Negli ultimi trent’anni del XX secolo nella sfera politica, comincia a farsi largo il termine
governance.
Laddove government viene fatto coincidere con l’apparato pubblico, la governance serve a
connotare in primo luogo la dinamica del fare ‘governance is wht a government does’.
Se il government si riduce ad indicare il governo pressoché esclusivo degli attori pubblici, con la
governance si vuole piuttosto esprimere l’idea del governare insieme.
Il primo uso si ha nella sfera economico-aziendale, dove si sviluppa la cosiddetta corporate
governance, che si va progressivamente precisando come il sistema della regole, in genere
rinforzate da sanzioni pubbliche, finalizzate a disciplinare i diversi ruoli e le relazioni di
responsabilità, e di potere tra gli azionisti, il management e i principali stakegholder dell’impresa
(obbligazionisti, lavoratori, fornitori, clienti, fisco, ecc).
Con uno sfasamento di circa 50 anni la pratica della governance approda anche in ambito politico;
con essa si può intendere ‘il processo di elaborazione, determinazione ed attuazione di azioni di
policies, condotto secodno criteri di concertazione e partenariato tra soggetti pubblici e soggetti
provati o del terzo settore, in cui tutti i soggetti partecipano al processo conferendo risorse,
assumendo responsabilità, esercitando poteri e, di conseguenza, usufruendo per quota parte dei
benefici attesi dall’esito delle stesse policies’.
Col termine burocrazia, che letteralmente sta ad indicare il potere/governo dell’ufficio, si designa:
‘il complesso degli uffici pubblici e dei funzionari cui sono demandati l’esecuzione operativa e il
controllo amministrativo, da eseguirsi ambedue impersonalmente, sulla base di criteri unitari e
prefissati, a carico di tutti i soggetti che rientrano in determinate categorie generali, degli atti
stabiliti o regolati dal potere centrale di uno Stato’.
I motivi per cui nasce la burocrazia sono in primo luogo di natura funzionale.
Qualsiasi sistema politico ha bisogno di tenere sotto controllo le risorse collettive materiali e
immateriali per ricavarne di che sostenersi, di elaborare tecnicamente strumenti normativi, di
realizzare opere e attuare le più svariate politiche pubbliche.
Il sovrano, il capo dello Stato, un esecutivo di estrazione politica non potranno mai, da soli,
svolgere direttamente tali compiti.
Il corpo dei burocrati, vera e propria macchina pubblica, serve dunque proprio a questo.
Agrimensori, tecnici idraulici e scriba, oltre ai sacerdoti ed ai militari, erano coloro che
consentivano al faraone dell’antico Egitto di governare effettivamente.
La stessa cosa si verifica nel Celeste Impero della Cina, in India, in Persia e nell’impero bizantino.
In Europa, accanto e dopo gli aristocratici, Weber ci ricorda come il re tenda via via ad utilizzare
tre specifiche categorie:
● i chierici;
● i letterati di cultura umanistica;
● giuristi usciti dalle università.
Il sovrano europeo ricorre ad essi perché hanno due pregi specifici:
● in primo luogo, non rappresentano una minaccia diretta per il potere e la discendenza regale.
Specialmente i chierici, così influenti nella corte francese, sono vincolati al celibato e quindi
non possono riconoscere pubblicamente i loro eventuali figli;
● in secondo luogo, conoscono e praticano l’arte della scrittura che, in forma aulica e tecnica
(uso della calligrafia, del latino e di particolare perizia giuridica), conferisce un’aurea quasi
sacralizzata ai decreti e alle disposizioni regie.
Questa stagione (con Luigi XIV) della burocrazia europea non è però sufficiente a fare attribuire ad
essa il carattere della modernità.
Almeno due elementi stanno ancora ad indicare il suo legame con le pratiche di memoria feudale:
● l’arbitrio di molti atti burocratici;
● le forme di remunerazione, legate il più delle volte a compensazioni patrimoniali (non
stipendi, ma rendite derivanti dall’ufficio ricoperto).
Affinché si affermi una burocrazia moderna sono necessarie tre grandi rotture:
● una economica: corrispondente al passaggio dalla produzione artigianale alla produzione
industriale e all’avvento definitivo del capitalismo;
● una culturale: caratterizzato dall’estensione a tutti gli ambiti della vita del processo di
razionalizzazione;
● una politica: con la trasformazione delle monarchie assolute in monarchie costituzionali e
con la progressiva affermazione del principio di legalità.
Prima di affrontare l’inquadramento normativo proposto da Weber, è opportuno fare un veloce
richiamo al giudizio critico sulla burocrazia espresso da K.Marx.
Per Marx, lo Stato è lo strumento con cui gli individui di una classe dominante fanno valere i loro
interessi comuni e l’essenza dello Stato risiede proprio nella burocrazia.
Il corpo dei funzionari pubblici, si presenta ai suoi occhi con un modo di essere tipico: ‘lo spirito
generale della burocrazia è il segreto, il mistero, custodito entro di essa dalla gerarchia, e all’esterno
in quanto essa è corporazione chiusa’.
Inoltre, nel modo di operare, la burocrazia mira ad accreditarsi con una forma apparente super
partes.
La sostanza invece rivela che essa si costituisce per svolgere un doppio compito: tenere a bada le
pretese delle vecchie corporazioni di mestiere (pre-borghesi) e della parte povera della popolazione,
senza però eliminarlo mai del tutto, anzi in un centro qual modo alimentandole.
Questo doppio atteggiamento è tipico della logica di chi deve neutralizzare i nemici dello Stato
borghese, ed al contempo deve giustificare e rinforzare il proprio ruolo.
Il pensiero di Marx, tendenzialmente mono-causale nell’interpretare il significato dei fenomeni
sociali, si discosta dall’approccio weberiano, che postula l’interdipendenza e la circolarità dei fattori
esplicativi della storia; se in Marx il motore è costituito dello stato dei rapporti di produzione che
genera componenti sovrastrutturali, in Weber la cultura svolge un ruolo autonomo o almeno
indipendente nei confronti degli altri fattori.
Weber trova una corrispondenza tra il più generale processo di razionalizzazione che ha investito
l’Occidente e i criteri regolativi della pubblica amministrazione, che possono essere ricondotti ai
seguenti assunti:
● principio di gerarchia: si traduce nella definizione normativa dei ruoli di autorità, che si
esercitano appunto solo all’interno di tale quadro e non al di fuori, e che sono disposti in
modo gerarchico nell’ambito di un assetto piramidale;
● principio di competenza: prevede la scomposizione funzionale del processo amministrativo
e la specializzazione degli impiegati nei compiti da assolvere;
● l’universalità della norma: è finalizzato ad eliminare ogni arbitro nell’esecuzione delle
funzioni burocratiche nei confronti dei cittadini e di ogni altro soggetto esterno;
● l’impersonalità delle relazioni burocratiche: esso rinforza il precedente, imponendo
l’adozione di neutralità affettiva nei rapporti con i colleghi e con i cittadini.
I compensi sono correlati con i ruoli e le posizioni gerarchiche, e vengono stabiliti in modo
generalmente fisso; la proprietà dei mezzi di produzione non è personale ma della stessa
amministrazione.
Il rapporto tra politici e burocrati è peraltro inscritto in un quadro di doppia ambiguità: da un lato
infatti, c’è il rischio della burocrazia padrona, dall’altro quello opposto della burocrazia serva,
tipico dei paesi non democratici o di democrazia recente egemonizzata dai partiti.
Le democrazie moderne hanno cercato di scogliere questo nodo costituendo dei cuscinetti intermedi
tra gli attori politico-istituzionali in senso stretto ed il corpo burocratico, contrassegnato nella
dirigenza della cosiddetta riserva di competenza.
A questo fine sono nate le figure di fiducia dei politici, in genere con incarichi di staff con un tempo
di ingaggio pari al mandato dei loro referenti, per vigilare sulla trasmissione della volontà
dell’organo politico nella gestione (cabinet ministériel e spoils system).
Che distanza c’è tra il modello normativo e la realtà fattuale della burocrazia? Quante e quali altre
dinamiche, oltre a quelle previste formalmente, si riproducono nei comportamenti amministrativi?
Su tali interrogativi si sono esercitati due differenti filoni d’analisi:
● quello dell’individualismo metodologico (la logica della burocrazia come risultato delle
azioni individuali)*;
● quello olistico (i comportamenti individuali come conseguenza dell’impostazione
organizzativa generale)**.
**Al secondo versante va ricondotta la teoria del neoistituzionalismo e/o della path dependance
(dipendenza dai modelli/sentieri già sperimentati).
Il neoistituzionalismo si muove dall’idea che le burocrazie pubbliche siano impregnate di culture
organizzative, vincoli istituzionali e abitudini procedurali che condizionano pesantemente gli attori
che in esse si trovano ad operare.
Secondo March e Olsen, le istituzioni non consistono solo di ruoli e di norme formali, ma anche di
routines comportamentali che semplificano la vita degli impiegati.
Queste routines si costruiscono nel corso del tempo e diventano modelli o dei percorsi che inducono
assuefazione e si rivelano comodi soprattutto per chi non è motivato al cambiamento (esempio
italiano: dopo le riforme Bassanini).
***Un terzo tipo di studiosi ha preferito ricorrere ad approcci misti, tra individualismo ed olismo.
Tra gli autori rappresentativi di questa tendenza possiamo indicare:
● H.Simon: il risultato dell’azione burocratica si forma nelle relazioni di alleanza o di
conflitto degli attori coinvolti, e non risponde quasi mai ad una logica di razionalità
sinottica, in cui sono considerate e soppesate tutte le variabili oggettive della situazione,
bensì ad una logica di razionalità limitata, in cui entra in gioco un numero controllabile di
variabili, adeguato e soddisfare le aspettative dei membri dell’organizzazione stessa;
● P.Blau: a differenza delle organizzazioni gerarchico-funzionali, in quelle che richiedono la
diffusione di abilità specifiche tendono a svilupparsi potenziali conflitti tra i dirigenti della
struttura, specie se di nomina politica, e i tecnici professionali;
● H.Mintzberg: le diverse variabile dei sistemi conducono ad almeno 5 configurazioni
organizzative:
1) struttura semplice;
2) burocrazia meccanica;
3) burocrazia professionale;
4) soluzione divisionale;
5) adhocrazia.
Il movimento che punta all’affermazione del New Public Management muove dagli Stati Uniti; la
prima traduzione pratica del nuovo modello è fatta risalire ai ‘dieci principi del governo
imprenditoriale’, del 1992.
Secondo questi principi, che nascono dall’osservazione di esperienze in specifici settori, come la
scuola, la sanità, la protezione sociale, l’ecologia, ecc, l’amministrazione pubblica deve:
● limitarsi a svolgere problemi di catalisi, ovvero indirizzare ma non gestire;
● corresponsabilizzare i cittadini e la comunità, anziché servirli depotenziandoli;
● cercare i vantaggi della competizione, favorendo la concorrenza nella fornitura dei servizi;
● farsi guidare dalla missione;
● essere orientata ai risultati, più che al rispetto formale delle regole;
● preoccuparsi delle esigenze dei clienti, rilevandone il grado di soddisfazione;
● essere intraprendente e cercare di guadagnare più che di spendere;
● anticipare i problemi, prevenendoli anziché intervenendo a posteriori;
● favorire un’organizzazione decentrata e basata sulla partecipazione e sul lavoro di gruppo,
anziché vincolata da rigidi criteri gerarchici;
● essere costantemente orientata al mercato, e non contrapposta ad esso.
Le esperienze del NPM hanno portato alla nascita e allo sviluppo di nuovi stili burocratici.
Essendo il mercato, le reti sociali e la governance i nuovi termini di riferimento, il network
approach è diventato la nuova parola d’ordine: guida operativa per la ricerca di opportunità in aree
poco battute, ma anche criterio di reclutamento di un network management, dotato di capacità
transazionali necessarie a coordinare attori con strategie e obiettivi differenziati, ma potenzialmente
riconducibili verso interessi congiunti pubblico-privati.
Rischi: Collusioni con il mercato – Riduzione della democrazia
Opportunità: Più flessibilità – Più innovazione
Sulle strutture politiche statiche in presa verticale e sulla società, si abbattono i flussi dinamici pluri-
fattoriali di attraversamento dei confini delle stesse strutture.
Si tratta di:
● i flussi comunicativi, resi possibili dalle nuove tecnologie;
● i flussi di merci, favoriti dall’azione di organismi internazionali orientati all’abbattimento
delle barriere doganali;
● i flussi di persone, dovuti all’aumento dei fattori di espulsione dalle aree deboli e di
attrazione nelle aree forti;
● i flussi finanziari, inevitabile ricaduta del mercato mondiale.
Se di formula si deve parlare, l’unica previsione che si può fare è quella di una politica multi-
modello: tanti assetti politici, cioè, per quante potranno essere le combinazioni tra lo stato variabile
dei fattori (tecnologia, economia e finanza, demografia) e l’intenzionalità reattiva degli attori con
posizioni ed interessi differenziati.
In questo senso è prevedibile che nel corso del XXI secolo si riprodurranno tanti tipi di regimi
autoritari quante democrazie rappresentative tradizionali, come pure potranno nascere forme di neo-
democrazia, di cui oggi intravediamo qualche spia anticipatrice, ma che, per intero, sono ancora da
immaginare.
Resta l’incertezza sulla possibilità che nel futuro restino confermate l’idea di supremazie della
politica sulle altre sfere della società, la tendenza verso un’estesa democratizzazione, le aspirazioni
per una società equa e solidale.