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Capitolo 5

Le nuove articolazioni della politica


1. I modelli di governo: dal ‘government’ alla ‘governance’
● In origine il government, inteso come system of government, tende a coincidere con il
concetto di regime politico, e serve quindi ad individuare l’attribuzione dei poteri pubblici
ai doversi organi dello Stato, ed in particolare la modalità di ripartizione dei poteri tra il
parlamento e l’esecutivo.
● Con il passare del tempo, la parola government restringe il suo campo semantico e passa ad
individuare l’apparato di governo, inteso come complesso istituzionale costituito
dall’esecutivo e dalla macchina amministrativa.
● Nella terza e odierna definizione il government è dunque generalmente inteso come quel
particolare tipo di governo caratterizzato dalla prevalenza del ruolo degli attori pubblici
(nazionali e locali) sugli altri attori e da una logica decisionale e tendenzialmente top-down.

Negli ultimi trent’anni del XX secolo nella sfera politica, comincia a farsi largo il termine
governance.
Laddove government viene fatto coincidere con l’apparato pubblico, la governance serve a
connotare in primo luogo la dinamica del fare ‘governance is wht a government does’.
Se il government si riduce ad indicare il governo pressoché esclusivo degli attori pubblici, con la
governance si vuole piuttosto esprimere l’idea del governare insieme.
Il primo uso si ha nella sfera economico-aziendale, dove si sviluppa la cosiddetta corporate
governance, che si va progressivamente precisando come il sistema della regole, in genere
rinforzate da sanzioni pubbliche, finalizzate a disciplinare i diversi ruoli e le relazioni di
responsabilità, e di potere tra gli azionisti, il management e i principali stakegholder dell’impresa
(obbligazionisti, lavoratori, fornitori, clienti, fisco, ecc).

Con uno sfasamento di circa 50 anni la pratica della governance approda anche in ambito politico;
con essa si può intendere ‘il processo di elaborazione, determinazione ed attuazione di azioni di
policies, condotto secodno criteri di concertazione e partenariato tra soggetti pubblici e soggetti
provati o del terzo settore, in cui tutti i soggetti partecipano al processo conferendo risorse,
assumendo responsabilità, esercitando poteri e, di conseguenza, usufruendo per quota parte dei
benefici attesi dall’esito delle stesse policies’.

Occorre trovare, ora, le risposte ai seguenti interrogativi:


● come e perché si affermano il concetto e la pratica della governance;
I motivi del successo del modella della governance sono:
1) di ordine interno: crisi di efficacia delle policies e crisi delle risorse;
2) di ordine sovranazionale: le modalità dell’azione dell’Unione Europea e di altri
organismi internazionali (Agenzie dell’Onu, Banca mondiale, Fondo monetario
internazionale) non possono prescindere dal ricorso alla concertazione per due motivi:
questione della sovranità e questione dell’addizionalità.
Da quanto sopra, deriva la prassi della multilevel governance.

● in quali ambiti e a quali livelli si applicano;


1) politiche di sviluppo economico e di coesione, cofinanziate dai fondi strutturali dell’UE
(Regioni e Gruppi d’azione locale);
2) piani strategici urbani, che puntano alla costruzione collettiva di una visione condivisa
del futuro di un dato territorio, attraverso processi di partecipazione, discussione ed ascolto;
3) bilanci partecipativi;
4) la cosiddetta Agenda 21, dedicata alla diagnosi ambientale e alle relative politiche;
5) piani sociali, concernenti le politiche sociali locali (PSR e Piani di Zona);
6) clinical governance, si tratat di una modalità di governo della sanità che vuole superare
tanto i limiti della mera supremazia dei medici quanto quelli dell’invasività dei burocrati.
● in quali modi vengono richiamati e studiati;
1) approcci normativi e prescrittivi : la governance tende a presentarsi come un modello
idealtipico, connotato da particolari valori, principi e procedure, e rispetto al quale un
analista può misurare il grado maggiore o minore di avvicinamento e/o di attuazione.
L’Agenzia delle Nazioni Unite, la Banca Mondiale, il Fondo Monetario Internazionale,
l’UE concedono finanziamenti a condizione che si pratichi una good governance, nella
quale sono garantite la legittimità e la responsabilità politica, la libertà di associazione e
partecipazione, la libertà di informazione ed espressione, l’efficacia nella gestione del
servizio pubblico e la cooperazione con le organizzazioni della società civile.
2) approcci analitico-interpretativi: la governance si rivela come prassi fattuale di un
determinato processo socio-economico e politico in cui si realizza uno specifico modo di
combinarsi del rapporto fra Stato, mercato e società civile.
● se trattasi di un fenomeno nuovo o di un fenomeno vecchio con un nome nuovo;
Negli ultimi due secoli si registrano almeno tre periodi cruciali in cui forme di governance
pubblico-privata si rendono necessarie per sbloccare situazioni di stallo economico-sociale:
1) la costruzione delle ferrovie nei paesi dell’Europa continentale dell’800 (Francia –
Germania – Italia);
2) il rapporto tra pubblico e privato dopo la crisi del 1929;
3) la recente soluzione della crisi di una casa automobilistica americana, la Chrysler.
La governance, non è dunque un fenomeno totalmente nuovo, ciò che può considerarsi
nuovo è il fatto che l’odierno ricorso alla governance si presenta in condizioni di contesto e
con istanze di partecipazione di dimensioni superiori e di qualità nettamente differenti
rispetto al passato.
● da quale segno politico sono connotati;
Ci si imbatte in due sotto-questioni:
1) la prima relativa agli equilibri di potere tra gli attori coinvolti nel processo di
concertazione e di partenariato.
Spesso la partecipazione dal basso è elevata in progetti di impatto circoscritto, ma è
minima in operazioni di grande peso economico.
2) la seconda riguarda la natura integrativa o concorrenziale delle modalità politico-
decisionali nella governance rispetto a quelle della democrazia rappresentativa.
Le pratiche di governance privilegiano gli esecutivi e gli attori privati, a scapito degli
eletti nelle assemblee elettive (consigli comunali, parlamenti).

2. La burocrazia pubblica: dal modello weberiano al ‘New Public Management’


Il potere di governo si esercita principalmente attraverso due azioni processuali:
● la decisione: consiste nello sciogliere i nodi, nell’affrontare eventuali conflitti,
nell’individuare e nell’imporre soluzioni rispetto alle questioni che si presentano;
● l’amministrazione: interviene in sede di attuazione delle decisioni prese tramite la prima
azione, usando strumenti applicativi tendenzialmente neutri, che possono essere impiegati
anche nella fase istruttoria tecnica del processo decisionale.
In genere la decisione fa capo alla classe politica in senso stretto, mentre l’amministrazione spetta
alla burocrazia.
Secondo Weber, lo spirito di parte, la lotta, la passione, ira et studium, sono l’elemento politico,
specialmente del paco politico, mentre il funzionario deve governare il proprio ufficio sine ira et
studium.

Col termine burocrazia, che letteralmente sta ad indicare il potere/governo dell’ufficio, si designa:
‘il complesso degli uffici pubblici e dei funzionari cui sono demandati l’esecuzione operativa e il
controllo amministrativo, da eseguirsi ambedue impersonalmente, sulla base di criteri unitari e
prefissati, a carico di tutti i soggetti che rientrano in determinate categorie generali, degli atti
stabiliti o regolati dal potere centrale di uno Stato’.

I quattro approcci allo studio della burocrazia sono:


● l’approccio storico in chiave macro-funzionalista;
● il modello ideal-tipico weberiano;
● l’approccio di sociologia dell’organizzazione di taglio micro-funzionalista (critico);
● il modello normativo del New Public Management.

I motivi per cui nasce la burocrazia sono in primo luogo di natura funzionale.
Qualsiasi sistema politico ha bisogno di tenere sotto controllo le risorse collettive materiali e
immateriali per ricavarne di che sostenersi, di elaborare tecnicamente strumenti normativi, di
realizzare opere e attuare le più svariate politiche pubbliche.
Il sovrano, il capo dello Stato, un esecutivo di estrazione politica non potranno mai, da soli,
svolgere direttamente tali compiti.
Il corpo dei burocrati, vera e propria macchina pubblica, serve dunque proprio a questo.
Agrimensori, tecnici idraulici e scriba, oltre ai sacerdoti ed ai militari, erano coloro che
consentivano al faraone dell’antico Egitto di governare effettivamente.
La stessa cosa si verifica nel Celeste Impero della Cina, in India, in Persia e nell’impero bizantino.

In Europa, accanto e dopo gli aristocratici, Weber ci ricorda come il re tenda via via ad utilizzare
tre specifiche categorie:
● i chierici;
● i letterati di cultura umanistica;
● giuristi usciti dalle università.
Il sovrano europeo ricorre ad essi perché hanno due pregi specifici:
● in primo luogo, non rappresentano una minaccia diretta per il potere e la discendenza regale.
Specialmente i chierici, così influenti nella corte francese, sono vincolati al celibato e quindi
non possono riconoscere pubblicamente i loro eventuali figli;
● in secondo luogo, conoscono e praticano l’arte della scrittura che, in forma aulica e tecnica
(uso della calligrafia, del latino e di particolare perizia giuridica), conferisce un’aurea quasi
sacralizzata ai decreti e alle disposizioni regie.

Questa stagione (con Luigi XIV) della burocrazia europea non è però sufficiente a fare attribuire ad
essa il carattere della modernità.
Almeno due elementi stanno ancora ad indicare il suo legame con le pratiche di memoria feudale:
● l’arbitrio di molti atti burocratici;
● le forme di remunerazione, legate il più delle volte a compensazioni patrimoniali (non
stipendi, ma rendite derivanti dall’ufficio ricoperto).

Affinché si affermi una burocrazia moderna sono necessarie tre grandi rotture:
● una economica: corrispondente al passaggio dalla produzione artigianale alla produzione
industriale e all’avvento definitivo del capitalismo;
● una culturale: caratterizzato dall’estensione a tutti gli ambiti della vita del processo di
razionalizzazione;
● una politica: con la trasformazione delle monarchie assolute in monarchie costituzionali e
con la progressiva affermazione del principio di legalità.
Prima di affrontare l’inquadramento normativo proposto da Weber, è opportuno fare un veloce
richiamo al giudizio critico sulla burocrazia espresso da K.Marx.
Per Marx, lo Stato è lo strumento con cui gli individui di una classe dominante fanno valere i loro
interessi comuni e l’essenza dello Stato risiede proprio nella burocrazia.
Il corpo dei funzionari pubblici, si presenta ai suoi occhi con un modo di essere tipico: ‘lo spirito
generale della burocrazia è il segreto, il mistero, custodito entro di essa dalla gerarchia, e all’esterno
in quanto essa è corporazione chiusa’.
Inoltre, nel modo di operare, la burocrazia mira ad accreditarsi con una forma apparente super
partes.
La sostanza invece rivela che essa si costituisce per svolgere un doppio compito: tenere a bada le
pretese delle vecchie corporazioni di mestiere (pre-borghesi) e della parte povera della popolazione,
senza però eliminarlo mai del tutto, anzi in un centro qual modo alimentandole.
Questo doppio atteggiamento è tipico della logica di chi deve neutralizzare i nemici dello Stato
borghese, ed al contempo deve giustificare e rinforzare il proprio ruolo.
Il pensiero di Marx, tendenzialmente mono-causale nell’interpretare il significato dei fenomeni
sociali, si discosta dall’approccio weberiano, che postula l’interdipendenza e la circolarità dei fattori
esplicativi della storia; se in Marx il motore è costituito dello stato dei rapporti di produzione che
genera componenti sovrastrutturali, in Weber la cultura svolge un ruolo autonomo o almeno
indipendente nei confronti degli altri fattori.

Weber trova una corrispondenza tra il più generale processo di razionalizzazione che ha investito
l’Occidente e i criteri regolativi della pubblica amministrazione, che possono essere ricondotti ai
seguenti assunti:
● principio di gerarchia: si traduce nella definizione normativa dei ruoli di autorità, che si
esercitano appunto solo all’interno di tale quadro e non al di fuori, e che sono disposti in
modo gerarchico nell’ambito di un assetto piramidale;
● principio di competenza: prevede la scomposizione funzionale del processo amministrativo
e la specializzazione degli impiegati nei compiti da assolvere;
● l’universalità della norma: è finalizzato ad eliminare ogni arbitro nell’esecuzione delle
funzioni burocratiche nei confronti dei cittadini e di ogni altro soggetto esterno;
● l’impersonalità delle relazioni burocratiche: esso rinforza il precedente, imponendo
l’adozione di neutralità affettiva nei rapporti con i colleghi e con i cittadini.
I compensi sono correlati con i ruoli e le posizioni gerarchiche, e vengono stabiliti in modo
generalmente fisso; la proprietà dei mezzi di produzione non è personale ma della stessa
amministrazione.

In Inghilterra, ma soprattutto in Francia, i gruppi dirigenti della burocrazia pubblica costituiscono


delle élites coese quanto a cultura e rapporti di amicizia per effetto di due fenomeni: l’estrazione
sociale da famiglie di ceti superiori e la comune frequentazione di importanti università private
inglesi o di Grandes Ecoles francesi, come l’ENA.
L’esperienza italiana è invece segnata da due caratteristiche distorcenti: una legata alle possibilità
offerte del pubblico impiego rispetto alla debolezza cronica del mercato del lavoro nazionale; l’altra
connessa con la compenetrazione dei partiti nella macchina statale.
A lungo il pubblico impiego è servito per assorbire la disoccupazione intellettuale di origine media
e piccolo-borghese, ma dei settori marginali.
Ciò ha comportato una non eccelsa professionalità media.
Infatti, l’interesse per la qualità del personale è spesso passato in secondo piano rispetto a quello per
la quantità dei posti disponibili.

Il rapporto tra politici e burocrati è peraltro inscritto in un quadro di doppia ambiguità: da un lato
infatti, c’è il rischio della burocrazia padrona, dall’altro quello opposto della burocrazia serva,
tipico dei paesi non democratici o di democrazia recente egemonizzata dai partiti.
Le democrazie moderne hanno cercato di scogliere questo nodo costituendo dei cuscinetti intermedi
tra gli attori politico-istituzionali in senso stretto ed il corpo burocratico, contrassegnato nella
dirigenza della cosiddetta riserva di competenza.
A questo fine sono nate le figure di fiducia dei politici, in genere con incarichi di staff con un tempo
di ingaggio pari al mandato dei loro referenti, per vigilare sulla trasmissione della volontà
dell’organo politico nella gestione (cabinet ministériel e spoils system).

Che distanza c’è tra il modello normativo e la realtà fattuale della burocrazia? Quante e quali altre
dinamiche, oltre a quelle previste formalmente, si riproducono nei comportamenti amministrativi?
Su tali interrogativi si sono esercitati due differenti filoni d’analisi:
● quello dell’individualismo metodologico (la logica della burocrazia come risultato delle
azioni individuali)*;
● quello olistico (i comportamenti individuali come conseguenza dell’impostazione
organizzativa generale)**.

*Al primo versante vanno ricondotti:


● R.K.Merton: ogni istituzione, a suo avviso, tende a soddisfare non solo funzioni manifeste,
ma anche funzioni latenti; perciò il suo primo suggerimento è quello di studiare le funzioni
delle organizzazioni secondo questa duplice caratterizzazione.
Un secondo contributo verte sulla necessità di superare la semplificazione concettuale che
distingue tra azioni normali e azioni devianti.
Egli sostiene che ogni azione si sviluppa mettendo in connessione mete e mezzi.
In questo senso le azioni possono essere conformiste, se in esse tanto le mete quanto i
mezzi corrispondono alle aspettative generali, o viceversa non conformiste.
In questa classificazione Merton designa come ritualistico il comportamento di chi, avendo
perso di vista le mete o per i mezzi scelti non c’è corrispondenza con le aspettative sociali
della maggioranza;
● A.W.Gouldner: (conservazione dell’apatia dei subordinati – funzione di deriva dei
dirigenti – burocrazia apparente, impositiva e rappresentativa);
● M.Crozier: egli mette a punto le coordinate fondamentali della sua analisi, vale a dire:
1) per tutti gli attori che lavorano all’interno di un’organizzazione, agli scopi espliciti tipici
del sistema (la produzione, l’erogazione di servizi, ecc), si aggiunge sempre lo scopo del
miglioramento materiale e simbolico della propria condizione individuale;
2) in ogni ambito organizzativo, per quanto rigido esso sia, ogni attore può contare su un
margine di libertà irriducibile (che può consistere anche nella semplice libertà di dire di no);
3) alla luce dei primi due, ogni attore mette in atto comportamenti strategici, che si
definiscono tali in quanto, a partire dalle risorse proprie possedute nell’organizzazione,
vanno ad investire sulle aspettative dei comportamenti altrui;
4) lo strumento e la posta in palio della varie strategie è essenzialmente il potere (la crescita
di potere proprio);
5) il potere è, in ultima istanza, la capacità (propria) di controllare e gestire le aree di
incertezza;
6) ogni attore opera quasi sempre con l’intento di trasformare le competenze e le
informazioni possedute in esclusiva in elementi di incertezza per gli altri, al fine di
accrescere così il proprio potere.
La burocrazia, per lui, va perciò osservata come un sistema dinamico, con scopi e passi
multilivello.

**Al secondo versante va ricondotta la teoria del neoistituzionalismo e/o della path dependance
(dipendenza dai modelli/sentieri già sperimentati).
Il neoistituzionalismo si muove dall’idea che le burocrazie pubbliche siano impregnate di culture
organizzative, vincoli istituzionali e abitudini procedurali che condizionano pesantemente gli attori
che in esse si trovano ad operare.
Secondo March e Olsen, le istituzioni non consistono solo di ruoli e di norme formali, ma anche di
routines comportamentali che semplificano la vita degli impiegati.
Queste routines si costruiscono nel corso del tempo e diventano modelli o dei percorsi che inducono
assuefazione e si rivelano comodi soprattutto per chi non è motivato al cambiamento (esempio
italiano: dopo le riforme Bassanini).

***Un terzo tipo di studiosi ha preferito ricorrere ad approcci misti, tra individualismo ed olismo.
Tra gli autori rappresentativi di questa tendenza possiamo indicare:
● H.Simon: il risultato dell’azione burocratica si forma nelle relazioni di alleanza o di
conflitto degli attori coinvolti, e non risponde quasi mai ad una logica di razionalità
sinottica, in cui sono considerate e soppesate tutte le variabili oggettive della situazione,
bensì ad una logica di razionalità limitata, in cui entra in gioco un numero controllabile di
variabili, adeguato e soddisfare le aspettative dei membri dell’organizzazione stessa;
● P.Blau: a differenza delle organizzazioni gerarchico-funzionali, in quelle che richiedono la
diffusione di abilità specifiche tendono a svilupparsi potenziali conflitti tra i dirigenti della
struttura, specie se di nomina politica, e i tecnici professionali;
● H.Mintzberg: le diverse variabile dei sistemi conducono ad almeno 5 configurazioni
organizzative:
1) struttura semplice;
2) burocrazia meccanica;
3) burocrazia professionale;
4) soluzione divisionale;
5) adhocrazia.

Il movimento che punta all’affermazione del New Public Management muove dagli Stati Uniti; la
prima traduzione pratica del nuovo modello è fatta risalire ai ‘dieci principi del governo
imprenditoriale’, del 1992.
Secondo questi principi, che nascono dall’osservazione di esperienze in specifici settori, come la
scuola, la sanità, la protezione sociale, l’ecologia, ecc, l’amministrazione pubblica deve:
● limitarsi a svolgere problemi di catalisi, ovvero indirizzare ma non gestire;
● corresponsabilizzare i cittadini e la comunità, anziché servirli depotenziandoli;
● cercare i vantaggi della competizione, favorendo la concorrenza nella fornitura dei servizi;
● farsi guidare dalla missione;
● essere orientata ai risultati, più che al rispetto formale delle regole;
● preoccuparsi delle esigenze dei clienti, rilevandone il grado di soddisfazione;
● essere intraprendente e cercare di guadagnare più che di spendere;
● anticipare i problemi, prevenendoli anziché intervenendo a posteriori;
● favorire un’organizzazione decentrata e basata sulla partecipazione e sul lavoro di gruppo,
anziché vincolata da rigidi criteri gerarchici;
● essere costantemente orientata al mercato, e non contrapposta ad esso.

Le esperienze del NPM hanno portato alla nascita e allo sviluppo di nuovi stili burocratici.
Essendo il mercato, le reti sociali e la governance i nuovi termini di riferimento, il network
approach è diventato la nuova parola d’ordine: guida operativa per la ricerca di opportunità in aree
poco battute, ma anche criterio di reclutamento di un network management, dotato di capacità
transazionali necessarie a coordinare attori con strategie e obiettivi differenziati, ma potenzialmente
riconducibili verso interessi congiunti pubblico-privati.
Rischi: Collusioni con il mercato – Riduzione della democrazia
Opportunità: Più flessibilità – Più innovazione

3. Lo scenario politico del XXI secolo


Il lascito della lunga stagione storica che inizia nel ‘600 e raggiunge il suo apice nel ‘900, è
costituito da tre macro-fenomeni:
● l’affermazione dello Stato come ente sovrano;
● la progressiva democratizzazione delle masse;
● l’estensione dei sistemi pubblici di protezione sociale (welfare State).

Sulle strutture politiche statiche in presa verticale e sulla società, si abbattono i flussi dinamici pluri-
fattoriali di attraversamento dei confini delle stesse strutture.
Si tratta di:
● i flussi comunicativi, resi possibili dalle nuove tecnologie;
● i flussi di merci, favoriti dall’azione di organismi internazionali orientati all’abbattimento
delle barriere doganali;
● i flussi di persone, dovuti all’aumento dei fattori di espulsione dalle aree deboli e di
attrazione nelle aree forti;
● i flussi finanziari, inevitabile ricaduta del mercato mondiale.

L’azione concorrente di tutti questi flussi ha fatto si che si verificasse:


● il ridimensionamento del concetto di sovranità nazionale , a fronte di deleghe o di fattuali
espropriazioni esterne di porzioni significative di potere ad impatto collettivo;
● l’indebolimento della presa dei confini politico-amministrativi , ed il superamento del
mero ambito nazionale del mercato, con le conseguenze di cui al successivo punto 4;
● la crisi del governo tradizionale di cittadinanza, per la pressione sempre più elevata degli
outsider in arrivo (e reclamanti diritti) sui vecchi insider;
● la crisi dei sistemi pubblici di protezione sociale delle politiche distributive tradizionali ,
a causa dell’incertezza circa la generazione del gettito fiscale, dovuta ai processi di
delocalizzazione internazionale della basi produttive.

Con le espressioni di politica multistrato o di multi-politica, si allude alla compresenza di almeno


4 classi di soggetti o di 4 articolazioni del campo politico:
● attori e situazioni di livello sovra-nazionale, di dubbia o assente legittimazione
democratica, impegnai sul fronte dei rapporti economici internazionali, così come descritti
da Hardt e Negri;
● attori e situazioni corrispondenti al sistema politico tradizionalmente inteso , fatto di
istituzioni rappresentative, governi legali, elezioni regolari, ecc;
● attori e situazioni periodicamente impegnati in mobilitazioni ed in movimento
alternativi, all’interno del sistema politico o a singole sue componenti, per proporre nuove
identità, nuovi diritti e forme di contro-democrazia;
● attori e situazioni che si presentano nell’ambito del quotidiano della società civile ,
perseguendo la riscoperta e la difesa dei bisogni fondamentali e del bene comune, la
sussidiarietà più che la delega, l’empowerment individuale e di piccolo gruppo.

Se di formula si deve parlare, l’unica previsione che si può fare è quella di una politica multi-
modello: tanti assetti politici, cioè, per quante potranno essere le combinazioni tra lo stato variabile
dei fattori (tecnologia, economia e finanza, demografia) e l’intenzionalità reattiva degli attori con
posizioni ed interessi differenziati.
In questo senso è prevedibile che nel corso del XXI secolo si riprodurranno tanti tipi di regimi
autoritari quante democrazie rappresentative tradizionali, come pure potranno nascere forme di neo-
democrazia, di cui oggi intravediamo qualche spia anticipatrice, ma che, per intero, sono ancora da
immaginare.
Resta l’incertezza sulla possibilità che nel futuro restino confermate l’idea di supremazie della
politica sulle altre sfere della società, la tendenza verso un’estesa democratizzazione, le aspirazioni
per una società equa e solidale.

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