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Simona Piattoni
La ”governance” multi-livello: sfide analitiche,
empiriche e normative
(doi: 10.1426/20904)
Ente di afferenza:
UNIVERSITA STUDI CAGLIARI BIBLIOTECA (unicadm)
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LA «GOVERNANCE» MULTI-LIVELLO:
SFIDE ANALITICHE, EMPIRICHE,
NORMATIVE
di Simona Piattoni
1. Introduzione
1
L’autrice intende ringraziare Marco Brunazzo, Sergio Fabbrini, Marco Giuliani e Pa-
trizia Messina nonché due referees anonimi della RISP per i commenti davvero articolati che
hanno voluto fornire a una versione precedente del presente articolo. Rimango responsabile
di ogni ulteriore errore od omissione.
2
Una delle migliori introduzioni alle sfide analitiche poste dalla governance multi-
livello – particolarmente il suo essere un fenomeno nuovo, ma non troppo – è contenuta
in Peters e Pierre (2002, 3-9).
3
Non sarà possibile proporre in questo articolo una rassegna dettagliata della lettera-
tura relativa alle politiche europee di sviluppo regionale ed ambientali e, quindi, dare conto
La «governance» multi-livello 419
dell’effettiva capacità descrittiva della GML. La sezione dedicata alla fruttuosità empirica
di questo concetto si limiterà pertanto a sottolineare quale classe di fenomeni nuovi essa
ci permette di cogliere, senza testare la loro effettiva diffusione, frequenza ed intensità.
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poco hanno a che fare con l’Unione Europea). Insomma, l’Unione Europea
sarebbe afflitta da un «deficit democratico» che inficerebbe la legittimità
dal lato dell’input delle decisioni che da essa emanano4. La legittimità delle
decisioni dal lato dell’output consisterebbe nella loro capacità di risolvere
problemi che, a livello nazionale, non potrebbero essere affrontati altrettanto
efficacemente e comunque nella loro capacità di produrre decisioni che non
suscitano opposizione (Banchoff e Smith 1999). Anche dal lato dell’output la
legittimità della GML è altamente problematica perché di difficile misurazione:
una decisione che risolve efficacemente un problema per un certo gruppo di
riferimento, potrebbe crearne di maggiori ad un altro. Non è possibile del
resto ipotizzare che decisioni che non suscitino diretta opposizione siano, per
ciò stesso, legittime né, ancor meno, che decisioni che suscitano opposizione
dimostrino la legittimità delle istituzioni verso le quali si rivolge la protesta
(Banchoff e Smith 1999). Neanche la governance multi-livello può dunque
sottrarsi alla sfida normativa: occorrerà infatti chiedersi se i processi decisionali
multi-livello producano decisioni (più) legittime (dal lato dell’input, dal lato
dell’output o da entrambi i lati) perché coinvolgono, oltre ad attori privati
rappresentanti della società civile, anche istituzioni governative di diversa
scala territoriale.
È forse opportuno segnalare, fin dall’inizio, il disagio che concetti quali
governance e governance multi-livello hanno suscitato a lungo in chi scrive. Le
trasformazioni nei processi decisionali indotti dalla scoperta delle interdipen-
denze funzionali fra stati nazionali e fra livelli di governo un tempo concepiti
come innestati gli uni negli altri richiede certamente strumenti concettuali ed
approcci analitici nuovi (come sostiene, ad esempio, Gamble cit. in Bache e
Flinders 2004, 1), ma non ci esime dal richiedere a tali concetti chiarezza ana-
litica e alle analisi che da essi derivano forza descrittiva e/o esplicativa. Infine,
non occorre essere foucaultiani per provare un certo scetticismo verso tutti
quei processi decisionali che, offuscando le fonti e frammentando l’esercizio
del potere, rischiano di spuntare le armi di cui i cittadini si sono dotati per
chiedere conto ai propri governanti delle loro decisioni.
4
Secondo alcuni, questo deficit esisterebbe solo se si mantiene un approccio stato-
centrico della Unione Europea, ma se si parte invece dall’assunto che l’Unione Europea
costituisca un sistema politico sui generis, allora non si dovrebbero più applicare ad essa
nozioni di legittimità che sono state sviluppate per altre formazioni politiche. Questa,
almeno, l’opinione di Jachtenfuchs (1995).
La «governance» multi-livello 421
5
Elencazioni dei vari significati ed usi del termine governance, e quindi delle lette-
rature ad essi collegate, sono contenute in Rhodes (1996), Van Kersbergen e Van Waarden
(2004) e Kjær (2004). Per un’utile distinzione fra multi-level governance e network gover-
nance, si veda Messina (2003, 248).
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compiti e le proprie modalità d’azione (quadrante I). Esso appare ormai inca-
pace a far fronte agli eccessivi impegni contratti nel dopoguerra («dalla culla
alla tomba», come prometteva il programma Beveridge ai cittadini inglesi alla
fine della Seconda guerra mondiale) ed ha finito per drenare eccessive risorse
alla società senza riuscire a fornirle servizi adeguati. La protesta fiscale ed un
generale cambiamento d’umore nei confronti dell’eccessiva ingerenza statale
e della sua eccessiva burocraticità ha indotto governi neo-liberali (e non) a
ridimensionare gli ambiti d’intervento statale e a delegare alcuni di essi a varie
espressioni della società civile. Governance, in questo caso, s’identifica con la
riduzione degli ambiti d’intervento dello stato (privatizzazioni di vario tipo),
con la condivisione con soggetti privati della fornitura di servizi «pubblici»
(sub-contracting e public-private partnerships), con l’adozione di metodi tipici
delle imprese private nella gestione di servizi tuttora pubblici (New Public
Management) e con l’affidamento ad agenzie amministrative indipendenti di
compiti di controllo e supervisione in settori ad alto contenuto tecnico e/o
ad elevata sensibilità politica.
Origine
della sfida Aspetto caratterizzante della governance
allo stato
Strutturale Processuale
riguardo un’ampia letteratura sulla politica pluralista e sul ruolo dei gruppi
d’interesse e delle lobby nell’influenzare le decisioni autoritative – col termine
di governance s’intende indicare che gli attori privati non partecipano più
solo in qualità di esecutori di decisioni prese a livello istituzionale, ma anche
come attuatori delle stesse. S’intende inoltre attirare l’attenzione sul fatto che
le istituzioni governative non sono più solo i ricettori delle pressioni partico-
laristiche della società, alle quali rispondono dopo aver soppesato, aggregato
e trasformato le spinte e controspinte, quanto piuttosto che esse lascino che
l’equilibrio venga raggiunto nel corso stesso del processo decisionale – posto
che ad esso possano partecipare gli stakeholders6. Nel caso della governance,
attori privati (individuali e collettivi) diventano comprimari di ruoli decisionali
ed attuativi in aree d’intervento d’interesse generale e le istituzioni pubbli-
che si aprono ad una stretta collaborazione e condivisione del governo con
le espressioni più varie della società civile7. Insomma, ad entrare in crisi col
concetto di governance è l’immagine convenzionale delle democrazie liberali
nelle quali i governi agiscono autonomamente dalla società (Peters and Pierre
2001, 131). È questo uno sviluppo benvenuto da coloro i quali credono che
la governance non debba essere solo «la faccia accettabile dei tagli di spesa»
e «la parola in codice per ‘meno governo’» (Stoker 1998, 17), ma che debba
dare risposta al desiderio di partecipazione della società civile nella condu-
zione della cosa pubblica al di là dei meccanismi della delega parlamentare
e governativa. Le stesse esigenze che portano la società civile a richiedere un
maggior coinvolgimento nel governo sarebbero anche alla base della richiesta
di una maggiore autonomia da parte delle articolazioni periferiche dello stato
(Loughlin 1996) a cui lo stato ha da tempo risposto con una generale tendenza
al decentramento (Sharpe 1979; 1993).
Alle sfide interne si sommano poi sfide esterne. La globalizzazione ha
esposto i sistemi produttivi e i sistemi sociali nazionali alle pressioni compe-
titive dei mercati internazionali. Sono state messe in discussione sia forme
di protezionismo esplicito a favore di determinate fasce sociali sia forme di
6
Per avere il senso di come l’azione sociale sia cambiata, e sia stata diversamente
valutata, nel corso del tempo basti guardare l’ampia letteratura sui gruppi d’interesse
prodotta nel Regno Unito al fine di documentare le trasformazioni che il sistema politico
britannico ha subito passando da un modello quasi paradigmaticamente liberale (Richar-
dson e Jordan 1979) ad uno neo-corporativo (Jordan e Richardson 1987) fino a dissolversi,
dopo la rivoluzione neo-conservatrice, in una miriade di policy networks (Rhodes 1988;
Marsh e Rhodes 1992).
7
Nelle parole di Stoker (2000, 17), difficili da rendere in italiano per mancanza di
vocaboli, «governance si riferisce allo sviluppo di stili di governo nei quali i confini fra i
settori pubblico e privato [...] hanno incominciato a confondersi». Ed ancora: «L’essenza
della governance sta nel suo focalizzarsi su meccanismi di governo (governing) che non
ricorrono all’autorità ed al potere sanzionatorio del governo (government)» (ibidem).
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8
Jachtenfuchs (2001) situa l’agenda di ricerca legata alla governance multi-livello
nell’ambito degli studi «post-ontologici» dell’Unione Europea, di quegli studi cioè che non
mirano più a descrivere l’Unione Europea o a determinare come si sia andata formando,
ma che ne danno per scontata l’esistenza e ne studiano solo il funzionamento. A me sembra
invece che la GML sia stata utilizzata dai suoi proponenti anche come una teoria della
strutturazione dell’Unione Europea e quindi come teoria ontologica (in questo senso vedi
anche Bache e Flinders 2004).
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9
Non è qui possibile riportare i moltissimi contributi al dibattito, che si trovano soprat-
tutto su riviste. Rassegne accurate e ragionate sono contenute nei seguenti volumi: in inglese,
Bache 1998, Bomberg e Peterson (1998), Börzel (2002); Bukowski et al. (2004); Hooghe
(1996); Gualini (2004); Jones e Keating (1995); Keating e Jones (1985); Leonardi (1993); Rho-
des (1995); in italiano, Caciagli (2003); Messina (2003); Graziano (2004); Brunazzo (2005).
10
Per una discussione della letteratura e della difficoltà di trarre un bilancio defi-
nitivo circa il potenziamento delle regioni, si vedano Smyrl (1996); Bache e Jones (2000);
Bourne (2003).
11
Non sarebbe questa cieca resistenza, ma una comprensibile riluttanza al cambia-
mento quando questo non sia indotto da mutamenti generali di tutto il sistema politico-
amministrativo nazionale. Le mappe concettuali e normative dei rappresentanti politici e
dei funzionari regionali e nazionali cambierebbero lentamente e solo quando diventi chiaro
che le politiche, le procedure e le norme comunitarie sono diventate pienamente anche
politiche, procedure e norme nazionali.
La «governance» multi-livello 431
riformazione. In quanto tale, esso è stato studiato sia da chi, come R.A.W.
Rhodes (1988; 1996; 1997), parte da una situazione di ordine gerarchico che
va disgregandosi (il Regno Unito), sia da chi, come Fritz Scharpf (1988; 1994;
1997; 1999; 2000), cerca di teorizzare come il coordinamento possa svilupparsi
a partire dall’assenza di gerarchia (l’Unione Europea). In entrambi i casi, pur
prendendo spunto da situazioni geo-politiche concrete, questi autori finiscono
per studiare la governance multi-livello come un problema anzitutto teorico.
Ad essi si aggiunge una schiera sempre più folta di studiosi che enfatizzano
la natura generale del problema del coordinamento e propongono elabora-
zioni teoriche corrispondentemente sempre più astratte e generali (Eberlein
e Kerwer 2002; 2004; Knill e Lenschow 2003; Skelcher 2005). I disegni istitu-
zionali che renderebbero possibile il coordinamento vengono chiamati in vari
modi, ma i contendenti più appetibili appaiono essere quelli di federalismo,
da un lato, e functional, overlapping, competitive jurisdictions o FOCJ (Frey e
Eichenberger 1999), dall’altro, oppure ancora governance di Tipo I e di Tipo
II (Marks e Hooghe 2001; 2002; 2003; 2004; Benz 2000).
Iniziamo da questa contrapposizione idealtipica per vedere se ad essa
corrispondano referenti empirici chiaramente identificabili. La governance di
Tipo I è caratterizzata dalla dispersione dell’autorità in un numero limitato
di giurisdizioni non sovrapposte ad un numero limitato di livelli12. Tali giu-
risdizioni tendono ad estendere la loro autorità in vasti ambiti decisionali
(competenze) che rimangono stabili nel tempo. La governance di Tipo II
invece è caratterizzata dalla compresenza di molte giurisdizioni che si
sovrappongono a molti livelli «a mo’ di patchwork» e le cui competenze
giurisdizionali sono flessibili e vengono continuamente ridefinite. Il primo
tipo di governance multi-livello rassomiglia da vicino al federalismo e, più
in generale, allo stato: le giurisdizioni sono numericamente poche, i confini
giurisdizionali sono ampi, le competenze giurisdizionali tendono ad essere
precisamente definite (sia nel caso in cui le competenze di ciascun livello
terminino lì dove iniziano quelle degli altri sia nel caso in cui le competenze
dei vari livelli siano, in determinati ambiti, sovrapposte) e stabili. Il secondo
tipo di governance risponde ad un’immagine della società come «priva di
centro» (centreless society), in cui le attività degli attori sono regolate in mol-
te giurisdizioni specialistiche i cui confini s’intersecano e le appartenenze si
sovrappongono fluidamente.
12
«Giurisdizione», così come «governo» e «autorità», può essere intesa sia come
termine concreto sia come termine astratto. Come termine concreto, indica l’ambito su
cui viene esercitata autorità (talvolta persino la struttura che esercita tale autorità). Come
termine astratto, indica l’esercizio di tale autorità. L’ambito giurisdizionale può essere
definito territorialmente (come nel caso dello stato) oppure funzionalmente. Vedi Skelcher
(2005, 91) per un’utile discussione di questi concetti.
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13
È possibile osservare una somiglianza fra questa tipologia e la tipologia proposta
da Schmitter e Streeck (1985), i quali avevano identificato nelle associazioni, nei network
e nelle comunità le alternative più promettenti alla gerarchia, ma anche al mercato.
14
Con questa frase immagino che Knill e Lenschow (2003, 3) intendano che, una
volta concordati, questi standard devono poi essere effettivamente mantenuti, pena sanzioni
comminate dallo stato.
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15
La discussione che segue si basa largamente su Beetham e Lord (1998, 1-32).
La «governance» multi-livello 437
16
Non è possibile rendere giustizia, in poche righe, alla chiarezza e completezza
della trattazione di Beetham e Lord (1998). Sul problema della legittimità e democraticità
dell’Unione Europea si vedano, all’interno di una letteratura in continua crescita, Andersen
e Eliassen (1996); Lord (1998); Banchoff e Smith (1999); Eriksen e Fossum (2000).
17
Del resto, la sua legittimazione non può nemmeno unicamente basarsi su altre
fonti, quali ad esempio la superiore conoscenza tecnica dei suoi funzionari (legittimazione
tecnocratica, come pure è stato argomentato, cfr. Majone 1997).
438 Simona Piattoni
5. Conclusioni
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