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CAPITOLO 10: PROCESSI DECISIONALI E POLITICHE PUBBLICHE

1. La politica in azione
La politica non è solo potere o lotta per influenzarlo, ma è anche un’attività o una sfera di azioni finalizzate a risolvere
problemi ritenuti di rilevanza collettiva.
La politica in azione è fatta di una serie continuativa di azioni, di discussioni, di progettazioni, svolte a diversi livelli e in
diversi contesti all’interno del medesimo sistema politico: è fatta di processi complessi e articolati in cui possono svilupparsi
dinamiche che, di fatto, diluiscono le decisioni elettorali oppure gli impegni presi dai detentori del potere.
Per affrontare la politica in azione, è opportuno ricorrere al concetto di politica pubblica, un modo di affrontare i processi
decisionali per il quale “chi ha il potere” è solo uno degli elementi del processo mediante il quale si decide cosa fare e si attua
la decisione presa. Occorre dunque adottare una prospettiva analitica su:
● - come i problemi collettivi vengano costruiti come tali (come un evento è percepito x avere rilevanza sociale politica)
● - le modalità di interazione tra gli attori (cooperano più che confliggono)
● - la rilevanza di fattori spesso incontrollabili dai decisori stessi. (ad esempio le crisi internazionali)
Si tratta di concettualizzare la politica in azione come politica pubblica, integrando:
● approcci teorici propri della scienza politica rispetto ai problemi decisionali
● i contributi propri dell’analisi delle politiche pubbliche.

2. I processi decisionali come politiche pubbliche


Decidere deriva da latino de-credere, tagliar via, ma ciò non basta per descrivere cosa sia un processo decisionale.
Concentrandoci sui processi decisionali possiamo dire che un processo è fatto di tante decisioni e non decisioni. La decisione
in quanto tale è, pertanto, la punta di un iceberg che cela un complesso intreccio di azioni e interazioni che necessita di
essere ordinato, descritto e spiegato. E qui viene in aiuto l’analisi delle politiche pubbliche che concettualizza la politica in
azione come politica pubblica. Ma cosa si deve intendere per “politica pubblica?” Secondo Hugh Heclo, le politiche
pubbliche non sono fenomeni che si autodefiniscono bensì categorie analitiche, i cui contenuti sono identificati dall’analista
più che dallo stesso policy maker. ( non esistono nella realtà, ma sono solo un costrutto analitico). Da qui, un enorme
dibattito…
Di certo le politiche pubbliche non sono leggi e nemmeno procedimenti amministrativi.
Vi è una condivisione tra gli studiosi sul fatto che le politiche pubbliche siano:
● Caratterizzate da un’intenzionalità perseguita dagli attori coinvolti, i veri protagonisti delle politiche
● Un fenomeno dinamico e processuale, che si sviluppa nel tempo.

Questi tre elementi (attori, intenzionalità e dinamicità) sono stati utilizzati nelle proposte di definizione. Per ordinare questa
varietà è utile dividere la gamma delle definizioni in 2 tipi:
● “ristrette”, che focalizzano l’attenzione sul ruolo del governo o su un’autorità pubblica (“Ogni cosa che i giovani
scelgono di fare o non fare”.) Viene intesa come un fenomeno simile alla decisione politica discreta, una definizione
più parsimoniosa, ma anche limitata in quanto non consente di cogliere aspetti decisivi dei processi decisionali.
● “ampie”, che mirano a includere una maggiore variabilità di attori ed eventi (“l'insieme delle azioni compiute da un
insieme di soggetti, che siano in qualche modo correlate alla soluzione di un problema collettivo - e cioè, un bisogno,
un'opportunità o una domanda insoddisfatta - che sia generalmente considerato di interesse pubblico”.). Consente
una visione più realista dei processi decisionali perché include una pluralità di dimensioni e di elementi rilevanti
per un processo decisionale.
Le politiche pubbliche hanno inoltre una natura multidimensionale: traendo origine dalla proposta di Lasswell di ordinare
funzionalmente le attività che si manifestano nel caso dei processi di policy, gli studiosi delle politiche pubbliche suddivisero
le dinamiche processuali delle policies in fasi:
● La costruzione dell’agenda (l’emergere del problema, la sua definizione e il duo inserimento nell’agenda);
● la formulazione del programma di policy (la fase in cui la decisione viene presa);
● l’implementazione del programma statuito;
● la valutazione; infine, l’eventuale estinzione della politica stessa.

Per arena politica si intende uno schema istituzionalizzato di comportamenti in cui determinati attori perseguono un
determinato obbiettivo.. Sono intrinsecamente politiche perché sono strutture di relazioni e luoghi in cui al tempo stesso si
persegue il potere e si cerca d i dare un contributo alla soluzione di problemi ritenuti di rilevanza collettiva.
Non si tratta di fasi collocate linearmente nel tempo, dove l’una succede all'altra, ma si tratta di attività costituite dei
processi decisionali. Esse coesistono in modo continuo nella realtà quotidiana dei processi decisionali.
3. La formazione dell’agenda
3.1 La funzione strategica dell’agenda setting
La fase di formazione dell’agenda, cioè la lista dei problemi, teorie casuali, simboli e valori ritenuti rilevanti in un determinato
contesto politico, ha assunto un ruolo centrale nell’analisi delle politiche pubbliche in quanto rappresenta lo strumento
principale per l’esercizio del potere. La strategicità dell’agenda-setting è costituita proprio del decidere ciò su cui si deve
decidere.

3.2 La struttura dell’agenda setting


È opportuno distinguere tra:
● L’agenda sistemica è l’insieme delle questioni che una comunità politica ritiene meritevoli di una qualche
attenzione, seppur con diversa e variabile intensità.
● L’agenda istituzionale è l’insieme dei problemi che vengono tenuti in considerazione da attori decisionali.
● L’agenda decisionale è l’insieme dei problemi sui quali gli attori preposti alle decisioni agiscono attivamente al
fine di prendere una decisione.
Il passaggio dall’agenda sistemica all’agenda decisionale, passando per quella istituzionale, è fortemente influenzato dalle
caratteristiche, in particolare, delle dimensioni strutturali politico istituzionali e di cultura politica:
● Politico-istituzionali —> possono disegnare delle soglie più o meno esigenti all’azione degli attori che perseguono il
passaggio di una questione dall’area sistemica a quella istituzionale. Ex:
○ X i sistemi federali,passare dall' agenda sistemica a quella istituzionale = + semplice
○ X i sistemi unitari con sistemi partitici che controllano i gruppi = - semplice
● Cultura politica—> particolarmente rilevante per strutturare i valori dominanti all’interno dell’agenda sistemica.
Ex: nella cultura politica USA, è difficile che nell’agenda possano entrare problemi risolvibili tramite azioni di
policy di tipo “socialista”.

3.3 La dinamica dell’agenda setting


La dinamica di formazione dell’agenda è caratterizzata da 2 passaggi fondamentali:
● la “definizione del problema” —> Sforzo cognitivo ma anche lotta per far prevalere la propria definizione del
problema poiché in questo modo si influenza il seguito del processo.
● mobilitazione del supporto necessario per arrivare all'iscrizione della questione nell’agenda”.

1. La definizione del problema (o dei problemi)


Tale momento iniziale è assolutamente significativo. Immaginiamo che gli attori che gravitano in questa arena comincino a
ragionare su un fatto (es. una rilevazione statistica che quantifica nel 20% la disoccupazione della popolazione attiva). Questo
dato, per essere definito come problema, deve essere interpretato. Cioè, deve essere inserito all’interno di una teoria causale. Per
dire che questo dato è un problema di rilevanza collettiva è necessario:
● mostrare gli effetti negativi che esso causa alla collettività,
● “spiegare” perché il fenomeno si è sviluppato in un dato modo, fino a raggiungere quella specifica percentuale.

Questa operazione non è affatto neutra, ed è lecito ipotizzare che di fronte a questa necessità di interpretazione/spiegazione
causale si confrontino almeno due posizioni diverse. Ad esempio, chi evidenzia come l’alta disoccupazione sia il prodotto di
una regolazione impropria del mercato del lavoro oppure di un eccessivo costo dello stesso; vi sarà chi, invece, evidenzia come
la causa primaria sia dovuta a una scarsa produttività o a scarsi investimenti. Questo dibattito vedrà prevalere una definizione
rispetto a un’altra.
Ciò che conta in questa fase è, pertanto, il fatto che la definizione di un problema collettivo implica che a esso venga
imputata una specifica teoria causale che individua una gamma di possibili soluzioni, escludendone altre. Ed è proprio
questa la natura intrinsecamente “politica” della definizione del problema: nel momento stesso in cui si definisce qualcosa
come un problema sul quale si deve decidere, si prestruttura l’ambito delle soluzioni perseguibili.
Una volta emersa una specifica definizione del problema, essa non deve essere considerata definitiva. Infatti, i “perdenti”
cercheranno durante tutto il processo decisionale di far riemergere la propria definizione del problema, quindi le proprie
soluzioni. In questo senso, la definizione del problema non è solo l’inizio della fase di agenda, ma caratterizza tutto il
decorso dei processi decisionali.

2. Mobilitazione del supporto necessario per arrivare all'iscrizione della questione nell’agenda”.
Non basta che un problema venga rilevato e interpretato come un problema collettivo.
È necessario che esso venga sufficientemente condiviso per riuscire ad entrare nell’agenda decisionale. Si tratta di un
processo articolato e differenziato, e per questo Cobb, Ross e Ross, puntando l’attenzione sul “chi” e sul “come”, hanno
formulato una tipologia dell’agenda setting che individua tre modelli di formazione dell’agenda:

● ⚈ Outside iniziative model: un attore collettivo, esterno alle reti istituzionali, agisce al fine di inserire una
questione nell’agenda politica, auspicando che i decisori la inseriscano nell’agenda costituzionale;

● ⚈ Mobilization model: sono gli attori politico-amministrativi che, intendendo decidere su una data questione,
agiscono per inserirla nell’agenda politica mirando a suscitare l’interesse popolare al fine di costruire il supporto
necessario alla decisione;

● ⚈ Inside access model: assume che le questioni entrino in agenda per vie interne al circuito politico-
amministrativo, sulla base delle interazioni del sistema partitico, delle richieste degli apparati amministrativi e dei
gruppi di interesse privilegiati, delle scadenze istituzionalizzate prefissate (es. legge di bilancio, rifinanziamento
del debito pubblico).
Questa tripartizione di dinamiche dell’agenda consente di capire come la maggior parte delle questioni abbiano origine
all’interno del sistema politico amministrativo.
Sul cambiamento del contenuto delle agende decisionali hanno focalizzato la propria attenzione altri schemi interpretativi:
● Kingdon [1984] dice che una nuova questione, o una nuova soluzione, riescono a entrare nell’agenda istituzionale
solo se si crea una finestra di politica pubblica, ovverosia un’opportunità che consente l’incontro tra problemi,
soluzioni ed esigenze politiche. In questa prospettiva, che ipotizza l’esistenza di 3 flussi (dei problemi, delle soluzioni e
della politica istituzionale), una questione entra nell’agenda politica se un determinato problema viene percepito
come rilevante da un attore politico istituzionalizzato.
● Baumgartner e Jones [1993] osservano come la dinamica di agenda sia caratterizzata da periodi di stabilità, in cui
tende a persistere la medesima definizione del problema e quindi delle relative soluzioni, e momenti di
cambiamento.
Per entrambe queste prospettive risulta rilevante la presenza di imprenditori di policy, cioè di attori individuali capaci di
orientare il dibattito sui problemi e sulle soluzioni.

4. La formulazione
4.1 La struttura della formulazione
È la fase nella quale si disegna il contenuto della decisione e si costituisce il consenso politico per formalizzarla.
La fase di formulazione è molto più strutturata di quella di agenda, ma tradizionalmente è suddivisa in due sotto-fasi:
a) l’elaborazione tecnica —> avviene all’interno degli apparati amministrativi (ministeri, assessorati),
b) la costruzione del consenso politico —> avviene all’interno delle istituzioni politiche in senso stretto ( il consiglio dei
ministri, le giunte del governo locale, le assemblee legislative).
Queste caratteristiche della fase di formulazione portano necessariamente all’enfasi sui policy networks come strutture
relazionali predominanti nei processi di formulazione. Con il concetto di policy network si intende “un reticolo di attori,
pubblici e privati, dotati di risorse quantitativamente e qualitativamente diverse, e operanti all’interno di uno spazio
definito dal problema di policy”.

I principali tipi di network sono:


● Il triangolo di ferro rappresenta una struttura relazionale caratterizzata dalla presenza di rapporti
istituzionalizzati, anche se informali, che all’interno di uno specifico settore di politica pubblica, legano in modo
stringente gli apparati burocratici di riferimento, le commissioni parlamentari e i gruppi di interesse più
importanti nel settore. Si tratta di una struttura relazionale di tipo antipluralista, che focalizza l’attenzione sulla
possibilità che questi attori abbiano la massima convenienza a gestire la formulazione delle politiche in arene
isolate dall’influenza dell’opinione pubblica.
● L’issue network si presenta come l’opposto del triangolo di ferro. Infatti, esso è caratterizzato dalla presenza di un
numero potenzialmente elevato e comunque imprevedibile di attori; da una elevata instabilità e volatilità,
dall’improbabilità che una decisione venga presa. La difficoltà a definire una comune strategia e l’assenza di una
condivisione di interessi e di prospettive future, rende questo tipo di network decisamente poco efficace nel medio-
lungo periodo.

● La policy community si caratterizza per rappresentare una vera e propria comunità, in senso sociologico. I membri
di questo tipo di struttura relazionale condividono non solo un comune interesse per un settore di politica pubblica ma
anche il riconoscimento reciproco (basato anche sulla condivisione di uno specifico linguaggio specialistico).

● Il concetto di advocacy coalition costituisce una rappresentazione teoricamente molto forte che delinea il processo
decisionale come un’arena in cui si contrappongono almeno due network, coalizioni appunto, che competono per
imporre le proprie soluzioni. Questo tipo di struttura relazionale delinea un processo formulativo nel quale il network
dominante (grazie a una serie di condizioni esterne, in primis il tipo di coalizione al governo) impone le proprie
decisioni in un contesto in cui, però, viene continuamente sfidato da almeno un altro network. La principale
caratteristica è la condivisione di uno specifico insieme di valori da perseguire e di strumenti e strategie da
utilizzare

4.2 La dinamica della decisione


Per cogliere come si arriva a prendere una decisione politica, si devono tenere insieme tre elementi essenziali:

I modelli di decisione —> L’analisi della decisione politica è attività complessa che necessita di una consistente
razionalizzazione teorica. In questo senso sono disponibili quattro modelli di riferimento:

❖ Il modello razionale, prevede che il decisore unitario, persona singola, comitato gruppo più ampio, raccolga tutte
le informazioni e i dati necessari, si impadronisca di tutte le variabili che influenzano la messa in opera di una
politica pubblica, prende in esame tutte le conseguenze possibili e infine, dopo un calcolo, scelga con precisione
una politica pubblica rispetto all’altra basandosi sul criterio di ottimizzazione e certezza. Giustifica la
pianificazione centralizzata e dall’alto.

❖ il modello cognitivo, il decisore unitario non si preoccupa più di prendere in esame tutte le alternative virgola di
controllare tutte le variabili e non mira alla massimizzazione dei dati e delle informazioni disponibili, ma si limita
consapevolmente alla soddisfazione di alcune esigenze, definite in maniera più realistiche, come la raccolta e la
valutazione sequenziale di un numero da lui ritenuto adeguato di dati, di variabili, di problematiche e
conseguenze, basandosi sul criterio di soddisfazione e incertezza.

❖ Il modello incrementale assunto da Charles Lindblom, viene interpretato come alternativa critica allo schema
della razionalità, e sostiene che i processi decisionali e di produzione procedono non in maniera lineare e
controllata come nel razionalismo, bensì per tentativi , crescendo su decisioni già prese, attraverso accordi e
scambi , e basandosi sul criterio di parzialità e mutuo aggiustamento basato su un incrementarismo sostenuto da
una costante concorrenza fra i vari decisori detti partigiani

❖ Il modello del bidone della spazzatura – offre una prospettiva diversa. La maggior parte dei processi decisionali e
delle politiche pubbliche è caratterizzata da insopprimibile complessità, per questo il decisore senza confessarlo o
teorizzarlo , si abbandona alla casualità e dal cassonetto delle alternative disponibili ne estrae a cazzo una
qualsiasi che risulterà nella peggiore né la migliore, ma che sarà comunque influenzata dal particolar momento in
cui la decisione deve essere presa
Il modello incrementale e quello del garbage can sono stati quelli più utilizzati dagli studiosi..
Il contesto politico-istituzionale. Il processo formulativo che porta alla formalizzazione di una decisione politica si dipana
all’interno di uno specifico contesto politico-istituzionale che ne influenza la dinamica. Le diverse strutture dei sistemi
politico-istituzionali incalano i processi decisionali rendendo più o meno possibili alcune configurazioni.
Due concetti possono catturare l’influenza aggregata dei fattori politico-istituzionali:

❖ o La teoria dei veto players (Tsabelis) nella formulazione della policy, quanto più gli attori istituzionali saranno
capaci di potere di veto, tanto più la fase si concluderà con una non decisione o con un piccolo incremento rispetto
al passato

❖ o Il concetto di policy style (Richardson) si possono distinguere ambiti politico istituzionali, ovvero i governi, in cui
lo stile di policy è:
❖ reattivo consensuale  domina la logica incrementale
❖ anticipatorio autoritativo  la decisione può essere più lontana dallo status quo

La posta in gioco. Le caratteristiche dell’arena decisionale strutturano le caratteristiche della posta in gioco, quindi, il
comportamento degli attori. Quindi le caratteristiche delle situazioni decisionali individuano i vantaggi e gli svantaggi che
gli attori partecipanti possono ottenere. Il problema è mantenere l’equilibrio tra gli attori. Di solito si va per cambiamenti
incrementali.

L’analisi della posta in gioco può essere sviluppata primariamente attraverso tre approcci teorici:

❖ approccio tipologico:
➢ di Lowi  che assume le caratteristiche della policy in gioco determinando quali attori siano i
protagonisti del processo decisionale, quali siano le loro relazioni e,ovviamente, quale sia il contenuto
della decisione. Il prodotto = famosa quadripartizione delle politiche in:
■ “distributive” (tutti gli attori partecipanti ottengono un qualche vantaggio);
■ “redistributive” (spostano benefici diffusi da un macrogruppo sociale a un altro);
■ “regolative” (modificano il comportamento di individui o gruppi con obblighi e sanzioni);
■ “costituenti” (stabiliscono regole di gioco d’un settore di politica pubblica).

➢ Wilson  nella realtà le policy sono un mix di regolazione e distribuzione, e propone invece di analizzare
lowi pubbliche misurando costi e benedici della politica e vedere se Wilson
le politiche gli intrusi sono concentrati o
diffusi…
⚈ Interest groups politics: situazione di conflitto tra gruppi di interesse
⚈ Client Politics: un gruppo ristretto guadagna a discapito della collettività
⚈ Entrepeneurial Politics: la massa guadagna a discapito di un gruppo ( improbabile)
⚈ Majoritian Politics: non ci sono gruppi molto interessati né in positivo né in negativo per cui è
difficile si inneschi, ma incontra meno ostacoli.

❖ teoria dei giochi: diversi possibili schemi di gioco decisionale legati a percezione degli attori:
➢ se gli attori avranno la certezza di ottenere dei vantaggi saranno disposti a collaborare,
➢ se x ottenere dei vantaggi devono arrecare svantaggi ad altri attori, sono disposti a confliggere.

❖ l’analisi razionale, Si tratta di un approccio molto articolato che sostanzialmente assume come la situazione
decisionale sia fortemente prestrutturata e, pertento, vincoli gli attori decisionale in modo fortemente costrittivo
ad accettare la logica della posta in gioco.
4.3 Il contenuto della decisione
Obiettivo = cercare di capire come cercare di raggiungere degli obiettivi. Per questo possiamo servirci delle strategie di
politica pubblica = l’insieme di principi generali di azione di politica pubblica con particolari strumenti.
I principi generali di azione riconducono a specifiche visioni ideali, ad esempio: «statalismo vs. liberismo», «accentramento
vs. decentramento», «competizione vs. pianificazione». Ma cosa si decide quando si decide?
Uno strumento di policy è un metodo o un meccanismo mediante il quale viene indirizzata l’azione collettiva al fine di
raggiungere un effetto desiderato. Quando i decisori devono scegliere come intervenire concretamente nella realtà, devono
innanzitutto scegliere come farlo, cioè con quali mezzi.
Per ordinare l’estrema varietà di strumenti a disposizione dei governi, la letteratura politologica ha proposto varie
classificazioni:
● Classificazione di Hood —> ha individuato quattro tipi generali di strumenti: (classificazione classica) N.A.T.O.
○ a. la nodality ( capacità dei governi di svolgere un ruolo vitale nei processi informativi)
○ b. l’authority (il potere legale dei governi)
○ c. la treasury (le risorse finanziarie a disposizione dei governi)
○ d. l’organization (capacità di azione diretta attraverso gli eserciti, la polizia e le burocrazie),

● Classificazione Doern e Phidd —> usa come principio il livello di legittimazione della coercizione:
○ l’autoregolazione ○ - la regolazione (+ la tassazione)
○ - l’esortazione ○ - la proprietà pubblica
○ - la spesa pubblica

● Classificazione Schneider e Ing —>su caratteristiche motivazionali di comportamento individuale:


○ - Gli strumenti autoritativi (presenza/assenza di disposizioni normative che indirizzino l’azione)
○ - Gli incentivi (assenza/presenza di stimoli esterni all’azione)
○ - Gli strumenti che incidono su capacità d’azione di attori (assenza/presenza risorse- informazioni)
○ - Gli strumenti esortativi o simbolici (cercano di incidere sui valori e percezioni degli attori)
○ - Gli strumenti che cercano di incentivare l’apprendimento.
Infine merita ricordare la distinzione analitica proposta da Howlett tra:
● 1. Strumenti sostantivi: quelli medianti i quali i governi determinano direttamente il tipo, la quantità, la qualità e
la distribuzione di determinati beni e servizi nella società.
● 2. Strumenti procedurali che influenzano gli esiti delle politiche attraverso la manipolazione delle caratteristiche
dei processi di politica pubblica

5. Implementazione
Qualsiasi decisione politica produce impatto sulla realtà solo se prima viene trattata attraverso una serie di azioni
attraverso le quali la decisione ha effetto pratico:parliamo dell’implementazione, l’insieme delle “azioni dirette al
raggiungimento di obiettivi posti da precedenti decisioni di policy”
Lo studio dell’implementazione delle politiche origina dai lavori di Pressman e Wildavsky, i quali cercavano di capire
l’Implementation deficit, cioè difficoltà mostrata da alcuni di rilevare i programmi di politica pubblica di raggiungere gli
effetti desiderati nella realtà statunitense. Sono studi a carattere fortemente prescrittivo che si ponevano il problema di
capire come superare le questioni che un programma di politica pubblica deve affrontare nella fase di implementazione
per non essere inefficace. Da qui nasce il dibattito sul policy design ovvero disegnare un programma di politica pubblica in
modo da evitare distorsioni.
In realtà, Il modo migliore per trattare la fase implementativa dei processi decisionali è quello di considerarlo come un vero e
proprio processo decisionale in cui molti attori e organizzazioni sono coinvolte e il ruolo dei destinatari delle politiche è
rilevante.
La fase di implementazione è un'evoluzione delle fasi precedenti ed essa ne presenta tutte le problematicità. In particolare:
● 1. Coloro i quali hanno perso nelle fasi precedenti cercheranno di ribaltare la situazione con azioni finalizzate ad
annacquare le soluzioni statuite.
● 2. La dinamica dell’implementazione difficilmente può essere di tipo autoritativo. Essa si sviluppa sulla base di
logiche negoziali tra gli attori partecipanti che strutturano anche l’implementazione come un processo di mutuo
aggiustamento partigiano.
● 3. Spesso il contenuto delle decisioni, frutto di logiche incrementali, è multiobiettivo, senza una chiara gerarchia
tra le finalità da raggiungere. Inoltre, la fase di implementazione è fortemente influenzata da una serie di fattori
“micro” come ad esempio le caratteristiche, il territorio ecc

6. Valutare, apprendere, continuare e sbagliare


La valutazione è un’attività costitutiva dei processi decisionali e si sviluppa durante tutta la dinamica dello stesso.
Spesso i politici sono più interessati all’output del processo decisionale rispetto all’impatto vero e proprio della decisione.
Merita concentrarsi sulla valutazione degli effetti delle politiche, quindi su quel tipo di attività mediante il quale si cerca di
determinare quali siano stati gli esiti effettivi dell’implementazione delle decisioni politiche. Il processo è basato su:
● Come viene operata la valutazione? La Valutazione è in verità un’attività soggettiva che viene resa oggettiva
dall’uso di tecniche e di metodologie adeguate.

● Chi valuta? I valutatori, che possono essere sostanzialmente di tre tipi:


○ attori indipendenti dal sistema politico he ha prodotto le decisioni (es: banca mondiale);
○ attori interni al sistema a forte leggittimazione tecnica o politica(es: banca d’italia);
○ attori attivamente protagonisti del processo decisionale.
La valutazione è un’attività costitutiva dei processi decisionali e, quindi, soggetta alle regole e ai fattori di influenza degli
stessi, e sebbene svolga un ruolo di enlightenment per gli attori e per l’opinione pubblica, ha bisogno di incontrare le
esigenze della politica e di un contesto istituzionale e sociale favorevole per produrre effetti.

7. Processi decisionali fra “government” e “governance”


Il ruolo dei governi nei processi decisionali è diventato meno significativo a vantaggio di una struttura di governo dei
processi decisionali più orizzontale e policentrica. Le politiche pubbliche non sarebbero più governate in modo monolitico
dallo Stato e dalle istituzioni politico-amministrative, ma sarebbero coordinate mediante un intricato intreccio relazionale tra
più attori:, ovvero basate sulla “governance”, ovvero l'insieme dei processi e degli assetti studi realizzati mediante i quali le
decisioni sono formulate implementat
Molti studiosi hanno affermato nel tempo che in verità i governi mantengono un ruolo pivotale nei processi decisionali
MA utilizzano meno gli strumenti del comando e del controllo a vantaggio di strumenti di regolazione leggera che
consentono loro di governare a distanza le politiche pubbliche.

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