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Capitolo 2- Advocacy
L’Advocacy punta a influenzare le politiche pubbliche attraverso il coinvolgimento di
settori ampi della società, stimolando la partecipazione di terze parti del mondo
associativo, accademico e dei media e con il coinvolgimento dei cittadini.
Rompere la «spirale del silenzio» come dimostrano vari studi scientifici le persone
subiscono la paura dell'isolamento e nel caso in cui si trovino ad avere un'opinione
difforme da quella della maggioranza sono disincentivate dall'esprimere
apertamente la propria opinione per paura di riprovazione e isolamento sociale da
parte della presunta maggioranza. Per questo è importante dare visibilità a opinioni
favorevoli, per stimolare l’intervento di coloro che rimangono in silenzio perché
percepiscono di essere in minoranza. Rompere la spirale del silenzio, in questo caso,
significa stimolare interventi di chi è a favore del progetto creando un contesto nel
quale le opinioni negative vengono gradualmente marginalizzate e controbilanciate
da una narrazione diversa. Un avvenimento progettato e pianificato
intenzionalmente; non è spontaneo, accade perché́ qualcuno lo ha progettato,
pianificato o auspicato. Inoltre, deve essere costruito per essere ripreso dai media: è
pianificato principalmente (anche se non esclusivamente) per essere riportato o
riprodotto. Il suo accadere è costruito per rendere la copertura agevole. Le
dichiarazioni, così come i comunicati stampa, le conferenze e le interviste sono
esempi tipici di pseudo evento. La predilezione dei media per questo genere di
notizie deriva dal loro inserimento ideale nelle routine produttive dei media, ovvero
nei meccanismi di organizzazione del lavoro giornalistico. Se gli pseudoeventi sono
notiziabili per definizione, anche gli eventi, come le manifestazioni, ottengono
sempre una buona visibilità. Come fa notare Eco (1976), i partiti di massa sono stati i
primi a intravedere le possibilità insite nella tecnica di produzione di fatti simbolici.
Manifestazioni, cortei, talora gli stessi scioperi, erano organizzati e prodotti solo
perché esisteva il circuito dei media capace di dare loro visibilità.
I modi per rompere la spirale del silenzio sono:
Sito web: supportando un sito terzo che diffonda informazioni corrette sul
tema.
Social Media: creando e diffondendo materiali multimediali sui social
network.
PR online: dando particolare attenzione agli influencer della rete.
Online campaigning: ogni attività umana ha gruppi favorevoli e contrari e utile
supportare l'attività dei gruppi pro.
Costruire coalizioni, in quanto, se l’azienda si trova sola contro «il resto del mondo»
è molto probabilmente destinata a essere in difficoltà. È utile costruire coalizioni di
diversi soggetti portatori di interessi che si facciano portatori di una visione comune.
Coinvolgere terze parti, sono centrali azioni che promuovano un punto di vista
esterno e autorevole e aggiungano contenuto al dibattito. È quindi fondamentale
coinvolgere opinion leader riconosciuti dalla comunità per la loro autorevolezza
accademica, professionale o personale e costruire assieme a loro il percorso che
porti al consenso sul progetto.
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Capitolo 3- l’accountability nella corporate comunication
Il concetto di accountability si inserisce anche nell'ambito delle strategie di
comunicazione d'impresa. Le organizzazioni imprenditoriali che puntino a
mantenere un elevato posizionamento competitivo dovranno necessariamente
mantenere un atteggiamento accountable. Significa in pratica che esse maturino
una certa capacità di adattamento per far fronte all'evoluzione dell'ambiente
esterno, intercettando gli stimoli e recependoli in una direzione favorevole alla
propria strategia di business. negli ultimi decenni gli stakeholder hanno iniziato a
"punire" le imprese per comportamenti considerati non etici, e a premiare quelle
che fanno propri i valori di sostenibilità. Che esse si impegnino a svolgere un'azione
proattiva
rispetto all'ambiente circostante, con l'obiettivo di creare nuove interazioni e
soprattutto di affermare la propria legittimazione competitiva, sociale e istituzionale
nel contesto in cui operano. Alla base di tutte queste azioni, che possono sembrare
molto dispendiose, c'è la convinzione che un rapporto di fiducia reciproco tra
l'azienda e i propri stakeholder costituisca il presupposto fondamentale per
conseguire i risultati che essa si prefigge. Essere accountable per l'organizzazione
significa attuare un processo di interscambio incessante con tutti gli attori che
possono in misura più o meno determinante influire sulle scelte aziendali. La
comunicazione, infatti, assolve un ruolo di carattere strategico nell'ambito delle
strategie d'impresa in quanto, essa rappresenta una "linfa vitale dei nessi relazionali
tra l'impresa e l'ambiente.
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Capitolo 4- la comunicazione: approccio integrato e strategico
La comunicazione aziendale ha un ruolo fondamentale
per la reputazione, in quanto:
• Aiuta a delineare un percorso logico per interpretare correttamente le
aspettative degli stakeholder.
• Definisce gli strumenti più adeguati a tradurre le aspettative in atteggiamenti
favorevoli all’organizzazione
In generale, i processi e i canali della comunicazione aziendale creano un nesso tra
Corporate Identity e Corporate Image.
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Capitolo 7 - la corporate comunication
La crescente importanza della corporate communication nel contesto delle strategie
aziendali è da ricollegarsi all'evoluzione nel tempo del concetto di valore.
Storicamente il valore di un'azienda equivaleva a quello ad essa attribuito dagli
azionisti e, pertanto, veniva misurato esclusivamente
in termini economici. Il successo di un'azienda dipende anche dal consenso di cui la
stessa gode presso una molteplice varietà di stakeholder. L'evoluzione del concetto
di valore porta con sé un radicale cambiamento
nel modo di comunicare delle aziende che devono trovare strategie idonee ad
interagire con pubblici diversi, senza però perdere l'unicità e l'identità del loro
messaggio. Il punto di equilibrio di questa complessità è rappresentato dalla
corporate communication. È l’opinione prevalente degli appartenenti ad un
determinato gruppo di persone rappresentativo della popolazione di riferimento,
assume rilevanza quando raggiunge un adeguato livello di organizzazione. Ogni
organizzazione è coinvolta nel processo decisionale pubblico nel tessuto sociale a cui
appartiene. Pertanto, essa dovrà̀ osservarne attentamente le dinamiche e attivare
relazioni proattive con i diversi interlocutori, per contribuire a orientare l’opinione
prevalente in una direzione favorevole ai suoi obiettivi.
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Capitolo 8 - comunicazione economico-finanziaria
Attraverso la comunicazione economico-finanziaria l’impresa ricerca il consenso
attorno al proprio indirizzo strategico e alle proprie politiche gestionali, anche degli
altri soggetti interessati, a vario titolo, alle sue performance economiche e
competitive. La comunicazione economico-finanziaria si distingue dalle altre aree
della comunicazione d’impresa, interessandosi in modo specifico dell’informazione
relativa agli aspetti economici, finanziari e patrimoniali della gestione aziendale. La
comunicazione economico-finanziaria riguarda l’evoluzione dell’assetto reddituale,
finanziario e patrimoniale dell’impresa.
La comunità finanziaria può essere divisa in due categorie di soggetti: buy-side e sell-
side.
Buy-side: Fondi di investimento, banche, assicurazioni, società finanziarie
(Investitori istituzionali), gli investitori sulla base dello stile di investimento e
consultando i report pubblicati dal sell side, acquistano titoli (Shareholders) o
obbligazioni (Bondholders) delle società quotate anche
Sell-side: Banche e società di intermediazione mobiliare (SIM), società di
rating, l’analista Equity (del mercato azionario) valuta la strategia di crescita e
la capacità reddituale. Pubblica un report assegnando un Target Price e un
Rating alla luce del potenziale andamento del titolo rispetto al Target Price.
L’analista del credito valuta la sostenibilità della struttura finanziaria. Emette
un report assegnando un credit rating all’emittente.
Le società quotate al fine di tutelare gli investitori diffusi tra il pubblico sono
soggette a maggiori obblighi (Mandatory disclosure) dagli organi di vigilanza
(CONSOB e Borsa Italiana). La normativa mira principalmentea disciplinare:
Struttura societaria e relativa corporate governance
Trasparenza informativa e abusi nell’uso dell’informazione
Il rispetto della normativa di riferimento ha determinato impatti sia
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sull’organizzazione della società quotate che sulle modalità di comunicazione al
mercato, favorendo l’intensificazione di quelle procedure necessarie al trattamento
delle informazioni privilegiate o price sensitive (informazioni non note che se rese
pubbliche potrebbero influire in modo sensibile il prezzo del titolo) e obblighi sui
soggetti rilevanti (coloro che hanno accesso continuativo alle informazioni
privilegiate).
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Nel nuovo scenario cambiano gli attori ed i ruoli, l’accountability assume un ruolo
decisivo per garantire l’autorevolezza della comunicazione. I protagonisti della
comunicazione sono chiamati ad apparire dal vivo, è essenziale la riassegnazione dei
ruoli, con un maggior coinvolgimento delle figure apicali e di rappresentanza.
E quindi è indispensabile:
Sapersi relazionare appropriatamente con i colleghi e saper accettare i loro
difetti.
Abbandonare la tradizionale formalità della comunicazione per rendere il
giusto peso ai nuovi bisogni e disagi.
Cambiare il tone of voice, che deve avere un ruolo di leadership per indicare
una chiara direzione e stimolare la motivazione.
Gestire le relazioni attraverso intelligenza emotiva ed empatia, i pilastri per
guidare le persone verso un obiettivo comune.
L’organizzazione deve creare le condizioni per lo sviluppo dei soggetti al suo interno
Enabling
L’ambiente di lavoro: La struttura, il design, la disposizione degli spazi
Il clima organizzativo: Indagini di clima, communication audit
Empowering
Strutturale: tecniche manageriali volte al potenziamento del ruolo dei soggetti
Psicologico: analisi della reazione cognitivo- psicologica al potenziamento del ruolo
organizzativo.
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Capitolo 17 – Brand Management
Il brand è al tempo stesso il significante e il significato dell'azienda, un attributo di
forma unificante e unificatore che agisce da collegamento verso gli stakeholder
esterni e da collante tra i dipendenti, basandosi su unitarietà di valori tangibili e
intangibili che ne caratterizzano la promessa.
La marca ha il ruolo fondamentale nella creazione e difesa del vantaggio
competitivo, e costituisce perciò un asset aziendale di natura immateriale dotato di
attributi del tutto particolari.
Il brand può essere denotativo (suggestive brand name), ossia può presentare
significati direttamente connessi al prodotto (es. Perlana, Vetril...) e ha la capacità di
essere ancora di più elemento di efficienza del costo di acquisizione del cliente
minimizzando l'asimmetria informativa.
La seconda categoria di brand name è di nomi connotativi, per i quali si
associa un meccanismo soggettivo di astrazione o associazione simbolica. Rientrano
in questa categoria i termini con valore evocativo di tipo fonetico oppure parole con
valenza evocativa di origine semantica (Magnum, Smart), gli acronimi (FIAT, TIM).
Categoria a sé i nomi e cognomi, che acquisiscono significatività grazie alla
comunicazione e all'esperienza di marca (Gucci, Missoni, Prada, Ferrari).
L'altro elemento strutturale del brand identification system è il logo.
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Capitolo 18 – introduzione alle tecniche di advertising
La campagna pubblicitaria rappresenta l’insieme delle attività promozionali,
sviluppate in coerenza con il piano di marketing, rivolte ai consumatori con
l’obiettivo di provocarne una reazione e trovare una soluzione per gli obiettivi
strategici o tattici dell’azienda.
INTERNAMENTE
In questo caso il dipartimento interno si occupa di ogni fase della campagna, dalla
definizione del budget, alla scelta dei canali fino alle fasi esecutive del processo.
ESTERNAMENTE
In tali circostanze, il dipartimento interno “collabora” con l’agenzia occupandosi
delle attività legate a: budget per la campagna, approvazione dei contenuti della
campagna, controllo delle fasi esecutive del processo.
Tutto il processo si articola in diverse fasi, ciascuna delle quali con una propria
rilevanza. La necessaria premessa è che l’ideazione e realizzazione di qualsiasi
campagna pubblicitaria deve avvenire in sinergia con la strategia di marketing e di
comunicazione complessive. Il brief è un documento predisposto prima della
elaborazione della campagna, attraverso il quale verranno perseguiti la
pianificazione delle linee guida, del metodo di lavoro e degli obiettivi generali.
A partire dal posizionamento che l’impresa intende sviluppare rispetto al suo target
di riferimento, si dovrà definire il contenuto del messaggio che dovrà soddisfare le
seguenti finalità:
• Creare un’esigenza, ossia rendere il prodotto desiderabile;
• Puntare sull’esclusività, ossia trasmettere i suoi tratti distintivi;
• Fornire un’immagine attendibile e quanto più possibile verificabile.
La pianificazione dei canali media consiste nella scelta dei canali più adeguati a
trasmettere il messaggio al proprio target di consumatori. Bisogna trovare la giusta
combinazione per ottenere il miglior risultato a fronte del budget disponibile e degli
obiettivi prefissati.
TELEVISIONE
• PRO: elevata copertura e frequenza, costo per contatto ridotto, alta
penetrazione.
• CONTRO: ridotta selettività del target, inadeguatezza per messaggi articolati.
STAMPA
• PRO: autorevolezza e credibilità, flessibilità di distribuzione ed utilizzo.
• CONTRO: elevati costi per contatto e adatto solo a messaggi non interattivi.
RADIO
• PRO: elevata duttilità e tone of voice informale, ridotto costo per contatto ed
elevata copertura.
• CONTRO: non è adeguata per veicolare messaggi interattivi.
CINEMA
• PRO: elevate potenzialità espressive e copertura geografica.
• CONTRO: elevati costi per contatto e difficoltà di rilevazione super partes.
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Capitolo 24 – le ricerche di mercato e big data
Le imprese, come le organizzazioni di ogni tipo, hanno l’esigenza di comprendere il
mercato in cui operano. In tal senso le ricerche di mercato sono nate insieme al
mercato stesso. Acquisire elementi di conoscenza sulla percezione dei prodotti o dei
servizi (o più in generale dell’azienda), sul prezzo, o su ogni altro fattore, fornisce
alle imprese un vantaggio tangibile, che diventa ancora più grande se queste
informazioni sono finalizzate “ad una precisa decisione, strategica e operativa”.
Il mercato però, soprattutto con l’avanzamento del digitale, sta cambiando sempre
di più passando da un mercato di massa a tanti mercati sempre più frammentati e
meno massificati. Tutto questo porta enormi conseguenze nelle ricerche di mercato,
infatti ad oggi i dati raccolti dagli istituti di ricerca tramite interviste devono essere
integrati con quelli prodotti da ognuno di noi sui canali digitali ogni giorno.
Si tratta di sei passaggi che rimangono validi a prescindere dal metodo di ricerca e
che vanno seguiti in qualunque indagine di mercato:
1. comprensione del contesto;
2. definizione della domanda di ricerca;
3. programmazione della ricerca;
4. raccolta dei dati;
5. trattamento, elaborazione e analisi dei dati;
6. presentazione dei dati.
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Oggi a questi approcci se ne è affiancato un altro, figlio della diffusione del digitale
che ha reso ognuno di noi produttore primario di dati in ogni movimento sul web.
Tutti questi dati insieme vanno a costituire enormi database dei dati gestiti dalle
aziende, eterogenei e diversificati: i Big Data.
I Big Data oltre a dare una disponibilità teorica di dati, danno la possibilità di
elaborarli e di metterli in relazione per individuare pattern di comportamento. Si
parla in questo senso di data mining, cioè di estrazione di informazioni a partire dai
dati, che vengono analizzati, trattati e collegati tra loro.
Gli Small Data sono, come dice il nome, piccoli dati ma ben strutturati, che possono
fornire informazioni puntuali basate sull’analisi dei dettagli. Martin Lindstrom, il
teorico degli Small Data, è convinto che i Big Data siano impersonali e poco fruibili
per la definizione di azioni future, mentre gli Small Data rappresentino una fonte più
affidabile, derivante dai dati individuali raccolti dall’osservazione delle persone nei
loro comportamenti abituali e quotidiani.
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Capitolo 23 – Comunicare con i social media
Social Media (o Social Network): espressione generica che indica tecnologie e
pratiche in Rete che le persone adottano per condividere contenuti testuali,
immagini, audio e video. I professori Andreas Kaplan e Michael Haenlein hanno
definito i social media come un gruppo di applicazioni web basate sui presupposti
ideologici e tecnologici del Web 2.0, che consentono la creazione e lo scambio di
contenuti generati dagli utenti.
Secondo i dati dell’ultimo Global Digital Report, pubblicato ogni anno da We Are
Social e Hootsuite, gli utenti dei social media sono oggi circa 4,62 miliardi, quasi la
totalità di chi si connette a internet. Il tasso di penetrazione medio è del 58,4% e
varia di paese in paese.
Attualmente la classifica mondiale dei social media vede al primo posto Facebook
con quasi 3 miliardi di utenti, seguito da YouTube (2,5 miliardi), WeChat (1,2
miliardi) e Instagram (1,4). Sopra il miliardo di utenti troviamo anche servizi di
messaggistica come WhatsApp (2) e Facebook Messenger (0,9).
TikTok, è stato capace di una crescita maggiore a tutti gli altri social negli ultimi anni
arrivando a 1 miliardo di utenti.
Il numero degli utenti però non è l’unica metrica da tenere a mente, infatti molto
spesso è meglio focalizzarsi su social meno generalisti, dove creare community più
affiatate e ristrette come LinkedIn (mondo professionale/lavorativo), Pinterest
(ispirazione visiva/ecommerce) o Twitch (gaming).
Ma la vera rivoluzione social non è ben rappresentata dai numeri, bensì dal cambio
totale di paradigma: da un flusso di comunicazione prevalentemente a un’unica via,
nel quale gli utenti restavano relegati a fruitori passivi delle informazioni, all’attuale
flusso multidirezionale e partecipativo dove è fondamentale creare e mantenere
relazioni con le persone. Sui social oltre a promuovere o vendere prodotti e servizi si
possono raccogliere critiche, valutare idee e addirittura innescare meccanismi di co-
creazione. Un cambiamento complesso al quale, nonostante siano ormai trascorsi
diversi anni dall’avvento dei social media, molti faticano ancora ad adattarsi.
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1. APPLICARE LE STESSE DINAMICHE DI COMUNICAZIONE DEL PASSATO AD UNO
SCENARIO IN COSTANTE EVOLUZIONE: I social media non devono essere
considerati solo dei nuovi strumenti di promozione, ma dei veri e propri motori di
un cambiamento che non interessa solo la comunicazione o il marketing, ma
l’intera organizzazione. Le best practices principali sono:
• capacità di ripensare tutti i processi interni, ponendo particolare attenzione
alla collaborazione tra funzioni che in passato hanno spesso lavorato divise
da compartimenti stagni (es. customer care);
• aggiornamento continuo;
• massima flessibilità nel ricalibrare strategie e tattiche sulla base delle costanti
novità.
L’utente medio utilizza otto diversi social media e servizi di messaggistica. Ciò
implica la necessità per le aziende e le organizzazioni di avere una visione unificata e
coerente del percorso che il consumatore compie lungo tutti i digital touchpoints,
ovvero i potenziali punti di contatto online con i prodotti o i servizi offerti. Questa
visione deve necessariamente concretizzarsi in una strategia di comunicazione e
marketing sui social media. Spesso, infatti, si arriva alla fase di esecuzione senza
un’adeguata preparazione strategica che risulta invece fondamentale.
Ci sono quindi 6 passi per costruire un’efficace strategia sui social media:
1. ANALISI: L’attività propedeutica allo sviluppo di una strategia sui social media
deve partire facendo un passo indietro: lo studio della presenza online
dell’azienda o dell’organizzazione. Questa fase renderà chiaro da dove partire e
come muoversi al meglio. Una buona analisi della presenza online dovrà quindi
essere incentrata sui seguenti asset digitali:
• Sito web. Il sito web rappresenta ancora oggi una specie di biglietto da visita
per qualsiasi brand e permette all’utente di conoscere meglio l’azienda, i
suoi prodotti etc... Per questo bisogna analizzarne il design, i contenuti,
l’user experience e soprattutto le fonti di traffico. Saper pradroneggiare
strumenti di analisi come Google Analytics diventa fondamentale per
conoscere metriche chiave come le pagine più visitate, le fonti di traffico, la
provenienza degli utenti e così via.
• I social media. Al giorno d’oggi difficilmente un’azienda parte da zero sui
social. L’analisi dunque dovrà tenere conto dell’attuale presenza sulle
piattaforme social e valutare il piano editoriale, la tipologia di contenuti, la
coerenza con l’immagine e gli obiettivi di business, la composizione dei
fan/follower, i dati sulle interazioni e sulle eventuali campagne pubblicitarie.
• Gli altri canali digitali. Campagne pubblicitarie display o sui motori di ricerca,
e-mail marketing o azioni di remarketing. Vanno considerate tutte le tattiche
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attuate nel vasto panorama del marketing digitale perché possono offrire
dati e spunti molto utili per calibrare al meglio la presenza sui social media.
• La reputazione online. Dopo aver analizzato come l’azienda o
l’organizzazione promuove sé stessa, è fondamentale cambiare prospettiva
e ascoltare come le persone ne parlano in rete, identificando in particolare
quali sono i punti di forza e di debolezza, dove avvengono le principali
interazioni, quali sono le piattaforme dove sono più attivi i pubblici di
riferimento.
• I concorrenti. Infine, il lavoro di analisi compiuto finora va applicato anche ai
principali concorrenti con il duplice obiettivo di tracciare uno scenario
competitivo e ottenere utili spunti per la nostra comunicazione. Ad esempio,
l’analisi dei post pubblicati dai nostri competitor sui social media e delle
interazioni ricevute permette di capire quali possono essere i contenuti che
gli utenti si aspettano o gradiscono maggiormente.
2. INDIVIDUAZIONE DEL PUBBLICO TARGET: Uno degli obiettivi della fase di analisi
preliminare è anche quello di individuare i pubblici di riferimento ai quali
vogliamo rivolgerci. Raccogliendo quante più informazioni possibili è poi indicato
raggrupparle in un modello molto efficace di rappresentazione dei target: le
cosiddette (Buyer) personas. Queste personas non devono limitarsi a descrivere
semplicemente quali sono le caratteristiche demografiche degli utenti, ma
devono coinvolgere anche le caratteristiche psicografiche, gli stili di vita, le
abitudini, i problemi da risolvere, i valori di riferimento, gli interessi e il loro
rapporto con l’online. Ogni identikit, inoltre, può essere completato con nome e
foto dimostrativa per rappresentare al meglio un avatar del nostro pubblico che,
seppur non infallibile può darci un buon punto di riferimento dal quale partire.
Alla fine dell’analisi si individueranno diversi tipi di pubblici di riferimento e si
dovranno scegliere quelli che potranno generare maggiore valore in base agli
obiettivi prefissati.
4. SCELTA DELLE PIATTAFORME: Solo dopo aver capito a chi ci rivolgiamo e cosa
vogliamo raggiungere con i social possiamo scegliere quali piattaforme utilizzare.
Infatti, senza sapere cosa fare e a chi parlare non avremmo punti sul quale basare
la nostra scelta, finendo per affidarci solo alla moda del momento. Ora la
questione da porsi è duplice: dove intercettiamo i destinatari della nostra
comunicazione e quali canali si prestano meglio alle nostre finalità? Per
rispondere a questa domanda bisogna tenere conto anche del budget a
disposizione e della disponibilità di risorse umane da utilizzare nella gestione dei
nostri canali social. Infatti, sempre meglio focalizzarsi su poche piattaforme,
anche solo una, piuttosto che disperdere risorse ed attenzione su vari canali.
Per trovare quale canale si presta meglio alle nostre esigenze torna molto utile
un metodo ampiamente utilizzato anche per l’analisi concorrenti: l’analisi SWOT.
Questo strumento permette di valutare i punti di forza (strengths), le debolezze
(weaknesses), le opportunità (opportunities) e le minacce (threats) di un
progetto, di un piano di business o di altre situazioni specifiche, compresa la
scelta dei social media più adatti.
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Capitolo 21 – relazioni con i media
I mezzi di comunicazione hanno imposti i propri linguaggi che sono diventati uno
strumento di influenza, controllo e innovazione nonché il veicolo principale delle
istituzioni per trasmettere e acquisire informazioni. i media sono anche il luogo in
cui si svolgono molti fatti della vita pubblica nazionale e internazionale e
costituiscono una fonte importante di definizioni e immagini della realtà sociale:
rappresentano lo spazio dove si costruiscono si conservano e si manifestano i
cambiamenti culturali e i valori della società. I mezzi di comunicazione di massa sono
ovviamente la chiave decisiva per ottenere una visibilità pubblica.
nel corso degli anni in mezzo di comunicazione sono diventati talmente centrali da
provocare la mediatizzazione della società in cui viviamo, gli effetti sono duplici:
- mediatici: riguardano le modalità di produzione e diffusione del messaggio
spingendo ad adattare la propria comunicazione alla semplicità del
linguaggio media (soprattutto tv predominano spettacolarizzazione e
polarizzazione).
- politici: riguardano l'influenza dei media e delle loro logiche sugli attori
politici e sulle loro scelte (si affermano personalizzazione, leaderismo e
verticalizzazione delle decisioni).
I media sono diventati così rilevanti che c'è una corrispondenza tra la gerarchia dei
temi che coprono e quelli ritenuti più rilevanti dagli spettatori. Hanno acquisito un
ruolo decisivo nella selezione e nella determinazione degli argomenti al centro del
dibattito pubblico.
gli stessi news media puntano i riflettori su alcuni personaggi drammatizzano le loro
esperienze assicurano intensa copertura informativa contribuendo al loro successo
(effetto setaccio) e penalizzando gli altri.la gestione dei rapporti con i mezzi di
comunicazione EI loro addetti e il cuore del lavoro degli esperti di media relation che
dopo aver selezionato giornali, siti e programmi adatti alla loro comunicazione,
devono raggiungere l'obiettivo di diffondere informazione che riguarda l'azienda.
Lo scenario
sempre più persone si informano oh trascorrono tempo sulla rete . i quotidiani
cartacei hanno subito un calo impressionante. Internet ha fatto invecchiare d'un
colpo gli altri strumenti e a cancellato la mediazione, allargando il campo delle
interazioni, imponendo la condivisione e nuovi linguaggi. Fino a pochi anni fa era
impensabile leggere una dichiarazione ufficiale di un personaggio pubblico
direttamente sui social e non sulle agenzie di stampa, il terreno delle media relation
è molto cambiato ma i suoi principi sono rimasti gli stessi.
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Selezione delle notizie
la notiziabilità e la trasformazione di un fatto in notizia, accade quando un evento
soddisfa alcune caratteristiche ed è influenzata dalla routine produttiva dei media.
spesso, infatti, le modalità organizzative della stampa provocano una distruzione
degli eventi che vengono ricostruiti e rappresentati secondo le esigenze, i ritmi, i
formati e le modalità espressive del lavoro giornalistico.
Una componente fondamentale della notiziabilità è costituita dai valori notizia cioè
da una serie di principi che spingono a scegliere un contenuto, un mezzo , un
messaggio o un pubblico piuttosto che altri. Con le routine produttive, i valori notizia
sono all'origine della forte omogeneità nella scelta degli eventi trattati da media con
linee editoriali distinte. i valori notizie sono costruiti da considerazioni che
riguardano il contenuto delle notizie, i caratteri specifici dei prodotti editoriali
virgola in mezzo di comunicazione, la concorrenza e il pubblico.
I media sono sempre alla ricerca dello scoop, la valorizzazione delle notizie ottenute
in esclusiva è un criterio universalmente applicato nel mondo del giornalismo. Ma
per evitare di stupire i lettori con innovazioni eccessive, spesso le redazioni limitano
le valutazioni originali discostandosi dagli schemi tradizionali, così testate
concorrenti scelgono le stesse notizie.
L'emulazione della concorrenza è la tendenza a selezionare le notizie che si presume
i competitor possano scegliere. Essa provoca la nascita di punti di riferimento
professionali da imitare (NYTimes).
Esistono anche valori relativi al pubblico: (più che a quello reale si fa riferimento
all'idea dell'audience che i giornalisti hanno)
- Leggerezza: la capacità della notizia di intrattenere il pubblico con storie
che non appesantiscono
- Notizie di servizio rilevanti per la vita quotidiana del lettore
Pseudo evento
gli pseudoeventi sono avvenimenti che vengono programmati allo scopo immediato
di essere riportati o riprodotti. È un concetto che rivela la particolare natura di molti
fatti riportati dai media un avvenimento per poter essere definito pseudo evento
deve essere progettato e pianificato intenzionalmente virgola non è spontaneo,
accade perché qualcuno lo ha ideato pianificato o incitato (intervista, comunicati
stampa..). deve essere costruito per essere ripreso dai media, esso è pianificato
principalmente per essere riportato o riprodotto.
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Inserendosi perfettamente nelle loro routine produttive, i media li prediligono.
la propaganda fa leva sul nostro desiderio di essere scossi sostituendo opinioni ai
fatti, mentre gli pseudoeventi, appellandosi al nostro diritto di essere informati,
sono fatti sintetici che stimolano la gente in maniera indiretta fornendo la base
fattuale su cui essa deve fondare le proprie opinioni.
Se gli pseudo eventi sono notizie abili per definizione anche gli eventi come le
manifestazioni, ottengono sempre una buona visibilità.
Media e immagini
le immagini giocano un ruolo troppo spesso sottovalutato, nei tempi del web sono
fondamentali e spesso decisive poiché con la loro forza immediata riescono a
imprimere il senso degli eventi (es meme virale che causa il successo di una strategia
mediatica)
Le reazioni pubbliche
le media relation disegnano un lavoro che si muove tra vecchi e nuovi mezzi di
comunicazione ma che ha sempre lo stesso obiettivo: far in modo che giornali, tv,
radio e siti web diffondano le informazioni che vogliamo veicolare. Si intrecciano in
inevitabilmente con le relazioni pubbliche che usano come propri strumenti i
contatti con i media, gli eventi di comunicazione, le pubblicazioni editoriali e i media
digitali. In assenza di specifici gruppi è svolta dall’ufficio stampa.
L'ufficio stampa mantiene i rapporti con i media e con i giornalisti e veicola le
informazioni che riguardano l'azienda o l'istituzione per cui lavora. L' addetto
stampa risponde alle richieste dei giornalisti, presenta e veicola le notizie all'esterno
virgola e aggiornato sui temi che riguardano il campo d'azione della propria
organizzazione. Il lavoro che si svolge nell’ufficio stampa si può dividere in:
- fase attiva: l’addetto stampa propone iniziative i media (la notizia può
essere veicolata “of the records” cioè non ufficialmente, può essere
proposta un'intervista o può essere inviato un comunicato stampa ai
media)
- fase passiva: L'ufficio stampa subisce e non propone l'esigenza di
intervenire (per rispondere ad accuse o precisare i contenuti inesatti negli
articoli)
- fase organizzativa: prevede un lavoro continuo per aggiornare mailing list,
indirizzario, rassegna stampa e sito internet
Consigli per avere un approccio corretto con i giornalisti e riuscire ad essere incisivi:
- Siate accessibili
- Siate d'aiuto o provateci
- Siate amichevoli ma consapevoli nei limiti dell'amicizia
- Non parlate a vuoto
- Non dite bugie, distrugge la credibilità
- Evitate favoritismi prendete sul serio i giornalisti e considerate le pressioni
cui sono sottoposti
- Creati la notizia per far coprire un evento
- Non perdete tempo nel rimproverare i giornalisti che non hanno scritto nei
termini desiderati ma solo in caso di imprecisioni virgola malafede e
trucchi
- Assicuratevi di essere sempre chiari nei briefing
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Capitolo 0.1 – I media relations
I media relations sono le attività di relazione, comunicazione e informazione che si
rivolgono ai media. Hanno lo scopo di trasferire attraverso di loro un messaggio di
un brand verso l’esterno e consentono di raggiungere consumatori e decisori
pubblici, rafforzano la reputazione e comunicano le proprie iniziative. Sono
coordinate dall’ufficio stampa, che gestisce, veicola e promuove il flusso delle
informazioni provenienti dalla struttura interna verso tutti gli organi di informazione.
Per curare le Media Relations è necessaria una conoscenza del sistema dei mezzi di
informazione, tradizionali e digitali.
Le Media Relations curano la scrittura e i tempi di trasmissione delle notizie,
monitorano gli organi di informazione, organizzano conferenze stampa e segue tutti
gli incontri e le riunioni in cui un’azienda/ un’organizzazione è coinvolta. I principali
strumenti a disposizione sono:
Media database: comprende agenzie, quotidiani, periodici, radio e TV,
media online
Rassegna stampa: monitora le uscite ed i temi di interesse per il brand
Presidio proattivo dei media: permette di anticipare e influenzare la
comunicazione
Fidelizzazione dei giornalisti: consente di costruire saldi rapporti con
giornalisti di interesse
Gli eventi e le sponsorizzazioni rappresentano opportunità di sviluppo di relazioni
con i propri pubblici, in contesti straordinari. La sponsorizzazione e gli eventi di
comunicazione sono due ambiti della comunicazione d’impresa molto diversi, pur
avendo numerosi aspetti in comune dal punto di vista operativo.
Gli eventi sono delle manifestazioni che consentono di coinvolgere e suscitare
interesse rispetto a un determinato target. L’evento rappresenta una modalità
innovativa di relazioni interattive e coinvolgenti, sotto il profilo emozionale, con
target effettivi o potenziali, allo scopo di promuovere un’associazione positiva tra
un’esperienza memorabile e un brand nel suo complesso. Si basano sulla live
experience e applicano tecniche persuasive e gli eventi, in particolare, consentono di
celebrare e “incontrare” il brand e conferiscono memorabilità ai messaggi trasmessi.
L’obiettivo è sviluppare, rafforzare e consolidare la reputazione e/o l’immagine di un
brand estimolare comportamenti da parte dei pubblici coerenti con le aspettative
del brand.
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Capitolo 22 – le sponsorizzazioni
La sponsorizzazione è una forma di comunicazione finalizzata a promuovere
l’immagine dell’impresa per via indiretta, trasmettendo attraverso all’affiancamento
ad altre organizzazioni, realtà, iniziative, il valore aggiunto delle proprie attività, oltre
a quello materiale.
L’origine del termine va ricercata nel latino sponsor – garante, da spondere ovvero
promettere. Il concetto di sponsorizzazione veniva inteso come una forma di
donazione a carattere unilaterale, fino ad evolvere fino all’accezione attuale, nella
quale la sponsorizzazione è intesa come un contratto tra due parti, in un quadro di
reciprocità.
È evidente, quindi, che tanto più le due parti coinvolte nel processo di scambio si
trovano allineate nella condivisione degli obiettivi e dei messaggi chiave e sono in
grado di cooperare nella realizzazione dell'evento, tanto maggiori saranno le
probabilità di successo complessivo, sia per l'azienda sponsor, sia per lo sponsee.
Non è raro che l'azienda sponsor scelga di non limitare il proprio supporto
ad un contributo economico, volendo invece partecipare attivamente anche alle fasi
di ideazione, pianificazione e realizzazione dell'evento, o almeno della propria
presenza e visibilità all'interno dello stesso. A seconda del tipo di coinvolgimento
derivante dalla collaborazione, quest'ultima potrebbe configurarsi non come una
sponsorizzazione tradizionale, ma come una forma di partnership più completa con
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gli organizzatori o con le altre aziende ed entità coinvolte.
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Capitolo 20 – Comunicazione Eventi
Gli eventi applicano tecniche persuasive e vengono promossi e pianificati per
raggiungere specifici obiettivi commerciali, istituzionali, di relazione, di marketing, di
immagine o di comunicazione interna. Con evento si intende una leva della
comunicazione di impresa e del marketing esperienziale capace di generare un
contatto diretto face to face) finalizzato a ottenere un orientamento positivo nei
confronti di un marchio, prodotto, servizio, istituzione, idea, utilizzando momenti di
parola, contenuti live, performance, video, scenografie, interazioni, condivisione
social a forte contenuto emozionale o spettacolare. Per la sua attività l'agenzia viene
remunerata mediante una percentuale variabile sul budget a copertura delle proprie
prestazioni di creatività, produzione, gestione, consulenza e si fa carico di coordinare
tutte le attività previste o parte di esse.
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Il costo di un evento è la risultanza di voci diverse: tipologia, partecipanti, livello del
cast artistico, destinazione, viaggi, pernottamenti, livello dei servizi, location,
tecniche, allestimenti, personale, ecc. ci sono poi anche eventi a budget variabile.
La commessa per la realizzazione di un evento può essere ottenuta attraverso
cinque modalità di accesso:
Contratto pluriennale: proposto soprattutto da aziende che
necessitano di appuntamenti continuativi durante l’anno
Accordo internazionale: formula rara in Italia.
Consultazione: la decisione e la selezione si basa su un’analisi dei
prerequisiti, sulla capacità creativa, sulle dimensioni, sulla
specializzazione, sulla notorietà.
Commessa diretta: incarico diretto assegnato per meriti
professionali, affidabilità competenze, conoscenza approfondita
del cliente.
Gara: criterio più diffuso, spesso richiesto perché coinvolge un
certo numero di agenzie, le quali sono tenute a presentare sulla
base di un brief condiviso un progetto creativo e una sua
quotazione.
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Capitolo 11 – Comunicazione di crisi
Crisi significa passare da una situazione di stabilità di un sistema sociale
a una condizione di variabilità, generata da un evento imprevedibile e
potenzialmente negativo. La crisi è il risultato di eventi conflittuali che portano la
società in una fase straordinaria di riassetto postumo. È un concetto di natura
dinamico-evolutiva, che affonda le proprie radici in un fatto negativo.
Ci sono poi eventi catastrofici che portano ad una crisi traumatica, come:
Emergenze chimiche
Bioterrorismo
Focolai di malattie infettive
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Calamità naturali
Emergenze radioattive
Esplosioni
Incidente Cyber
Esistono inoltre alcune tipologie di crisi causate da azioni di terze parti che mirano a
danneggiare o destabilizzare l’operato di un’organizzazione. Tra questi possiamo
classificare:
1) Sabotaggi e sofisticazioni di prodotti
2) Il Fenomeno NIMBY
3) Gli antagonisti ambientali
4) Azioni terroristiche, sequestri e rivolte
5) Interventi normativi e regolatori
Il crisis management è quel processo ordinato di attività che va dalla previsione della
crisi fino alla gestione della stessa (qualora essa si verifichi nonostante le procedure
preventive) ed alle fasi immediatamente successive al suo verificarsi
L’obiettivo di questa attività è duplice:
1) consentire il superamento in maniera efficace della crisi
2) attivare dei meccanismi di apprendimento per evitare che in futuro insorgano
eventi critici analoghi a quelli affrontati
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Ci sono 4 fasi del crisis management:
1) Prevedere: generare una soluzione preventiva
2) Programmare: per non essere impreparati all’evento critico
3) Comunicare e gestire la crisi: al verificarsi dell’evento critico è bene seguire le
regole della programmazione
4) Gestire il dopo crisi: terminata la crisi si possono valutare le situazioni risolte o
i fallimenti, imparando da ciò che è stato fatto.
Prevedere significa attivare l’audit della crisi che comprende due fasi:
1) L’analisi dei rischi (interni ed esterni) a cui è esposta un’organizzazione
2) Il monitoraggio dei segnali premonitori (attraverso un sistema di reporting
interno che si propone di rilevarli e valutarne l’impatto)
Programmare significa elaborare piani di crisi, ossia dei documenti di sintesi delle
procedure da seguire, degli strumenti e le tecniche da utilizzare e delle risorse che
verranno impiegate durante la crisi.
Esistono tre ruoli che sono fondamentali nel processo di comunicazione di crisi:
1) Crisis manager: assume un ruolo di comando nel condurre, avvisare e
supportare la struttura manageriale nel periodo critico.
2) Direttore della comunicazione: spesso, assume la leadership del lavoro
all’interno del comitato, fissando priorità e decidendo l’intervento di un crisis
manager esterno.
3) Portavoce: è il volto della società in grado di interpretare e veicolare
esternamente i contenuti del comitato di crisi.
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Gestire il dopo crisi è importante quanto gestire la crisi stessa. Le persone possono
ancora avere dubbi e incertezze ed evitare una ricaduta è fondamentale per
l’azienda. Per questi motivi, è necessario, nel dopo crisi:
8) Motivare le persone ad agire e rimanere vigili
9) Esprimere empatia per quelli che hanno subìto una perdita irrecuperabile
10) Continuare attività di caring nei confronti di clienti e dipendenti
11) Promuovere la formazione dei propri dipendenti per affrontare future crisi
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Capitolo 0 – Il piano di comunicazione
Il piano di comunicazione è lo strumento che consente di sfruttare tutti gli strumenti
mediatici a disposizione per veicolare dei messaggi. Le sue azioni sono legate ad
obiettivi specifici, diffondono e trasmettono valori in modo implicito ed esplicito,
diretto e indiretto. È lo strumento che definisce messaggi, strumenti, canali, tempi e
costi e li sviluppa coerentemente rispetto ad una visione d’insieme e all’immagine
che si vuole trasmettere.
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Brand preference, preferenza di marca
Brand loyalty, fedeltà
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Capitolo 14 – Corporate Social Responsability
La responsabilità sociale è un asset chiave per l'impresa, capace di accrescere
concretamente il valore di un business. Si tratta, infatti, di un elemento centrale
attraverso cui si costruisce la reputazione e la percezione di un brand da parte degli
stakeholder, e di conseguenza la solidità e la continuità del business aziendale.
Per questo, i progetti di corporate social responsibility (CSR) sono ormai stabilmente
inglobati nel perimetro di attività di numerose aziende italiane e internazionali.
Secondo una ricerca condotta da SWG per Green&Blue tre italiani su quattro sono
sempre più preoccupati della situazione ambientale del luogo in cui vivono. E per 6
italiani su 10 gli scenari catastrofici dipinti dagli ambientalisti non sono esagerati.
Oggi, il valore dell’impresa: è fortemente condizionato dalle battaglie dei movimenti
sociali e dipende sempre più dall’apprezzamento degli stakeholder, ovvero di tutti i
soggetti direttamente e indirettamente coinvolti nelle attività aziendali. Per questi
motivi, imprese e organizzazioni, stanno investendo nel creare un rapporto valoriale
con gli stakeholder interni ed esterni, non focalizzandosi più esclusivamente sugli
obiettivi e le volontà espresse dagli azionisti.
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Oltre ai più noti Accordi di Parigi e all’Agenda 2030 della Nazioni Unite cresce il peso
dei criteri ESG anche a livello di regolamentazione (europea). L’UE ha introdotto
obblighi di informativa in materia ESG che stanno impattando tutti i partecipanti al
mercato europeo dei capitali. I punti chiave da ricordare in merito sono:
Il Green Deal europeo e Horizon Europe;
Il Regolamento sulla Tassonomia;
La Sustainable Finance Disclosure Regulation (SFDR) che mira a aumentare
la trasparenza sulla sostenibilità di determinati prodotti finanziari (ad
esempio fondi di investimento);
La Non-financial Reporting Directive (NFRD), rivista con l’obiettivo di
facilitare le disclosures; ad aprile 2021 la Commissione ha presentato una
proposta per una Corporate Sustainability Reporting Directive (CSRD),
mirata a rivedere e rafforzare le regole introdotte dalla NFRD. Le aziende
dovranno riferire su come le questioni di sostenibilità influiscono sulla loro
attività e sull'impatto delle loro attività sulle persone e sull'ambiente.
La Low Carbon Benchmark Regulation;
La Credit Rating Regulation.
A breve con la revisione della non financial reporting directive a 50 000 aziende
nell'UE verrà chiesto di seguire i dettagliati standard di rendicontazione della
sostenibilità dell'UE (ad oggi sono 11 000 le aziende soggette ai requisiti esistenti)
Va ricordato inoltre quanto previsto dal PNRR che inserisce la transizione ecologica
tra gli assi strategici fondanti. Il Piano introduce sistemi avanzati e integrati di
monitoraggio e analisi per migliorare la capacità di prevenzione di fenomeni e
impatti. Incrementa gli investimenti volti a rendere più robuste le infrastrutture
critiche, le reti energetiche e tutte le altre infrastrutture esposte a rischi climatici e
idrogeologici. Il Piano rende inoltre il sistema italiano più sostenibile nel lungo
termine, tramite la progressiva decarbonizzazione di tutti i settori. Obiettivi di
sostenibilità sono chiaramente inseriti nel Next Generation EU.
Larry Fink, numero uno di BlackRock nel 2020 dichiarava che la sostenibilità sarebbe
stato il nuovo standard per gli investimenti di BlackRock. Nella lettera ai CEO del
2021 lo stesso Fink è ancora più esplicito e diretto nel sottolineare che gli
investimenti di BlackRock sono stati guidati dalla profonda convinzione che la
integrazione dei temi della sostenibilità permette agli investitori di avere portafogli
più resilienti in grado di garantire un ritorno migliore sul lungo periodo, anche per la
possibilità, sottolineata più volte, di ridurre i rischi (Finanziare la sostenibilità paga:
come ci ricorda il Rapporto di sostenibilità 2020, sempre di Cerved, la probabilità di
default media delle aziende con maggiori investimenti ESG (1,3%) è infatti meno
della metà di quella delle imprese con bassi investimenti sostenibili (2,8%);
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Per J.P. Morgan diventa strategica la gestione del rischio, al fine di cogliere
opportunità in rapida evoluzione, allineando gli obiettivi finanziari a quelli non
finanziari. Da sottolineare inoltre come JPMorgan ha dichiarato che mira a prestare,
investire e fornire servizi finanziari per un equivalente di 2.500 miliardi di dollari di
attività bancarie da indirizzare a aziende e progetti che si impegnano a affrontare il
cambiamento climatico e la disuguaglianza sociale nel prossimo decennio.
L'annuncio di JPMorgan arriva in mezzo a una raffica di impegni da miliardi e trilioni
di dollari da parte delle banche verso iniziative ESG - un segno che il mondo della
finanza sta puntando sul mondo aziendale come motore di cambiamento e fucina di
soluzioni ai cambiamenti climatici e alla disuguaglianza sociale.
Finora il focus è stato posto soprattutto lato investimenti (i green bond sono un
esempio). Ad oggi sta cambiando l’offerta dei prodotti finanziari, con una nuova
attenzione alle linee di credito sostenibile, le quali offrono vantaggi in termini di
tassi di interesse a chi le impiega. Sono molte le banche che le hanno in portafoglio.
Oggi c’è un’attenzione crescente alle tematiche ambientali. I risultati del XI Rapporto
dell’Osservatorio europeo sulla sicurezza evidenziano come i timori degli italiani
coincidano complessivamente proprio con i grandi temi della sostenibilità e
dell’Agenda 2030. In qualsiasi processo decisionale si presta sempre maggiore
attenzione agli aspetti collegati alla sostenibilità. La responsabilità sociale diviene
leva di crescita e di coinvolgimento duraturo nel tempo.
In una fase ancora di crisi economica, le imprese che vogliono riuscire a parlare in
modo efficace alla società e ai propri stakeholder devono saper includere i temi
della sostenibilità nelle proprie strategie aziendali, passando a una visione strategica
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globale e di prospettiva. L’obiettivo a cui tendere deve essere quello della creazione
di valore e di impatto sociale positivo, partendo da una applicazione efficace delle
strategie e degli strumenti di Corporate Social Responsibility, fino alla costruzione di
valore condiviso (shared value).
Una prima considerazione importante sulla visione della CSR è come questa sia
strettamente correlata ai ruoli attribuiti ai diversi attori sociali: per cui nei Paesi dove
storicamente lo Stato ha svolto un ruolo centrale nella fornitura di beni e servizi è
meno probabile contare su iniziative aziendali, mentre laddove lo Stato ha giocato
un ruolo sociale e di welfare minore, il settore privato è più incline ad assumere
responsabilità sociali.
Negli USA la redazione dei Codici Etici è largamente diffusa (1991, Federal
Sentencing Commission Guidelines for Organizations), ed è un elemento che
concorre a provare la buona fede dell’azienda. Meno diffusa in Italia, dove si registra
un forte impegno da parte dei grandi player e dalle associazioni di categoria (es.
Confindustria).
Essere presenti online in modo autorevole e costante è una necessità ormai per le
imprese. Il web può essere la chiave per trasmettere l’impegno in sostenibilità e le
attività di CSR. Una strategia di comunicazione digitale efficace permette di illustrare
in modo concreto l’impegno dell’azienda su alcune tematiche di CSR (impatto
ambientale, promozione della diversity etc.), scegliendo uno stile uniforme o
utilizzando un linguaggio coinvolgente e sfruttando immagini, video, infografiche e
contenuti con un tone of voice «caldo».
Secondo un’indagine di Lundquist un terzo dei post Facebook e un quarto dei tweet
sono relativi a temi di CSR, ma soprattutto sviluppano un maggior engagement
(+17%). Twitter - piattaforma sempre più targettizzata – ha un ruolo centrale.
Comunicare il proprio impegno sulla sostenibilità limitandosi al report caricato sul
sito non basta più: bisogna rendere i contenuti facilmente fruibile dal pubblico. Il
web permette di costruire uno storytelling basato su aspetti emozionali e sulla
diffusione di contenuti nativamente digitali.
Dal 2016 con la Riforma del Terzo Settore sono riconosciute in Italia le Benefit
Corporation, ed è obbligatorio per imprese sociali e le aziende di pubblico interesse
con più di 500 dipendenti pubblicare un bilancio di sostenibilità su base annuale.
La sostenibilità d’impresa ha una valenza triplice in termini di governance, di rispetto
dei parametri ambientali e del valore sociale.
Oggi le imprese puntano sempre più a creare valore condiviso tra il ritorno
finanziario e l'effetto che si ha sulla comunità di riferimento, sui propri clienti, sui
lavoratori, sui territori che ospitano gli asset dell’azienda. L’obbligatorietà non
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corrisponde però a una parallela cristallizzazione delle costanti e dei parametri del
Bilancio, che resta – come abbiamo visto – uno strumento viziato da una certa
genericità e dall’uso di criteri (come le certificazioni ISO) che restituiscono una
visione parziale e “fredda” dell’effetto dell’azienda sulla comunità.
Le aziende aderiscono ai principi ESG non solo per quello che rimane il motivo
principale, la salvaguardia del Pianeta, ma anche perché:
Rafforza la propria reputazione
Fa accedere al credito e ai finanziamenti
È altrettanto importante:
• comunicare in modo chiaro, efficace e accessibile le informazioni sul proprio
impegno di sostenibilità;
• dimostrare coerenza fra i comportamenti ed il messaggio comunicato;
• identificare obiettivi misurabili
Importante per ridurre al minimo i rischi reputazionali dell’azienda che possono
essere determinati da un’immagine mistificatoria comunicata all’esterno (ad es. il
cosiddetto “greenwashing”). Nel fare ciò le aziende possono affidarsi a figure
professionali con competenze in grado di capire ed interpretare le tendenze del
contesto comunicativo, di utilizzare i nuovi linguaggi e strumenti.
68
Capitolo 12 – Comunicazione politica
La comunicazione politica è il prodotto dell’interazione tra il sistema politico,
sistema dei media e cittadini-elettori. Nel XX Secolo con i mezzi di comunicazione di
massa ma già nell’antica Grecia (VI-V sec. a.C) dominava la retorica, cioè l’arte della
persuasione. Nel mondo romano nascono i termini di “candidato” e “comizio”.
Il web si è abbattuto come uno tsunami sul campo politico (e commerciale) perché
ha cancellato la mediazione, modificando quasi tutte le attività tradizionali. I siti
delle aziende sono diventati bidirezionali, non pubblicizzano soltanto i prodotti che
vendono ma permettono ai consumatori di partecipare, in qualche modo, alla loro
definizione. Nel 2009 (il 4 ottobre - S. Francesco) viene fondato un “non partito”
(senza soldi, senza Tv, senza sedi, senza tessere, senza dirigenti), basato
sull’interazione tra cittadini sul web (piattaforma Meetup).
Con il web addio alla mediazione. I consumatori partecipano alla definizione del
prodotto (Prosumer) come I cittadini partecipano alla politica ed entrano nelle
istituzioni. Finisce il professionismo della politica e comincia un “franchising
politico”.
Spesso gli staff dei candidati ricorrono ai focus group, più economici dei
sondaggi. Con l'obiettivo di stabilire azioni di marketing specifiche. I big data
sono l'ultima frontiera: consentono di indirizzare un messaggio personalizzato
agli elettori dei segmenti-target che sono stati individuati, di tenere informati
nel tempo i cittadini, di curare in modo specifico la comunicazione, di fideliz-
zare il rapporto con l'elettore. E ancora di più: ricerche e sondaggi diventano
essi stessi strumenti per orientare la scelta dei cittadini. Anche per questo bi-
sogna sempre prestare attenzione alle modalità con cui vengono realizzate le
70
indagini.
La maggior parte dei politici apre un profilo web perché "non si può non esserci";
molti hanno iniziato per dare un'immagine di dinamismo e di modernità, altri perché
ne hanno intuito il potenziale. Con il web, infatti, si può fare molto di più, si possono
"spostare le persone". Si può, cioè, coltivare un rapporto di fiducia con le persone
nel corso del tempo, informare i cittadini sulle attività realizzate, sulle proprie
proposte, rispondere alle critiche che si ricevono. E quindi instaurare una relazione
duratura con un gruppo di persone che saranno i propri primi sostenitori, con
l'attivismo, partecipando a iniziative di volontariato o anche semplicemente
parlando bene del candidato (o dell'organizzazione) con i loro familiari o colleghi di
lavoro.
C'è una caratteristica che accomuna il comportamento dei politici sul web,
indipendentemente dall'orientamento, dal Paese di provenienza, dal fatto di essere
al governo o all'opposizione. La quasi totalità usa il web come se fosse in televisione:
parla, esprime la propria opinione, espone le proprie idee, ma non ascolta, non
risponde alle critiche, non interagisce con gli altri. Se interagisce, lo fa per cercare di
avere ragione, di prevalere sull'altro e, se non ci riesce, litiga, s'infuria, polemizza e a
volte arriva - addirittura - a insultare i cittadini.
l'interazione non può esaurirsi nella risposta ai messaggi, ma nella valorizzazione dei
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contenuti prodotti da altri alla richiesta di opinioni a membri della comunità, fino al
coinvolgimento in progetti di decisione partecipata. La capacità di creare una
relazione con i propri elettori costituisce una bussola per orientarsi nella difficoltà
delle scelte quotidiane.
Il web va inserito, però, in un contesto più ampio, da solo non può rispondere a
tutte le necessità della politica: servono un candidato onesto e con una buona
immagine, una strategia efficace, un'organizzazione rodata, un gruppo di
collaboratori di qualità e un budget adeguato. Né, tantomeno, si può pensare che il
web risolva tutte le dimensioni della comunicazione. La strategia online deve andare
di pari passo con gli altri strumenti, ad esempio deve dare visibilità a quello che
accade nel mondo "offline", agli eventi della campagna, o creare progetti che
permettano di generare la copertura degli altri media.
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Capitolo 10 – pubblic affairs e Lobbying
Il pubblic affairs è l'insieme delle attività di comunicazione volte a costruire e
consolidare relazioni di lungo periodo con i pubblici di riferimento dell’impresa.
Le relazioni pubbliche hanno il fondamentale compito di favorire lo sviluppo di un
rapporto solido e di reciproca conoscenza e comprensione tra l’organizzazione e gli
stakeholders: clienti, comitati, azionisti, associazioni, categorie, comunità.
Il P.A. è funzionale ad informare, sensibilizzare e influenzare le opinioni di tutti quei
soggetti che possono agevolare o ostacolare l’organizzazione nel raggiungere i suoi
obiettivi.
I due pilastri sui quali si regge una corretta politica di relazioni pubbliche sono:
• comportamenti/organizzazione
• comunicazione a due vie verso l’esterno e l’interno
Fra le attività tipiche delle relazioni pubbliche troviamo tutte le attività riconducibili
all’acronimo PENCILS:
Pubblications
Events
News
Community
Identity
Lobbying
Social
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Il lobbying si differenzia dall’advocacy perché:
Lobbying: Difesa di interessi, diretti, legittimamente rappresentati,
prevalentemente di natura economica. Attività rivolta direttamente ai decisori
per influenzarne e orientarne le decisioni.
Advocacy: Promozione o difesa di interessi diffusi, principi e diritti, non
esclusivi del soggetto promotore. Sensibilizzazione e mobilitazione
dell’opinione pubblica e dei decisori per la creazione di consenso diffuso su un
tema rilevante.
Al lobbista è quindi richiesta una sorta di apertura verso la società giudicante e, uno
degli strumenti per percorrere tale strada è sicuramente quello del ricorso ai social
network, dove raccontare di sé, dei propri obiettivi e del proprio operato.
Il processo di gestioni delle relazioni con le istituzioni e gli stakeholders da parte del
lobbista, sarà dunque impegnato in un processo composto da 6 fasi essenziali:
Monitoraggio ed interpretazione del contesto
Presa di posizione sulle tematiche d’interesse: condivisione della posizione
con il Top Management dell’azienda
Selezione del sistema di interlocutori chiave
Identificazione dei messaggi chiave
Scelta delle modalità e degli strumenti di comunicazione: equilibrata
alternanza e compenetrazione tra attività di lobbying diretta ed indiretta
Valutazione dei risultati: misurazione delle performance attraverso 5
indicatori: visibilità degli interessi rappresentati; conoscenza e comprensione
della posizione dell’organizzazione; atteggiamenti e opinioni delle istituzioni
pubbliche; qualità e intensità di mobilitazione dell’opinione pubblica; capitale
informativo e relazionale accumulato.
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Capitolo 25 – Unconventional communication
Quando parliamo di comunicazione non convenzionale ci riferiamo principalmente a
tutte quelle strategie di comunicazione fuori dalla norma facenti capo al guerrilla
marketing. Il concetto nasce nel 1982, con l’omonimo libro di Jay Conrad Levinson
e fa riferimento alle strategie che le imprese impiegano per attirare l’attenzione del
pubblico con forme di comunicazione non comuni e messaggi originali capaci di
bucare la disattenzione collettiva.
Il nome si ispira alla tecnica bellica della guerrilla, strategia a cui ricorrono gli eserciti
in situazioni di inferiorità per prendere in contropiede l’avversario, attraverso azioni
inaspettate e rapide.
Il guerrilla marketing nasce come una strategia che utilizza strumenti non
convenzionali per ottenere il massimo dei risultati con budget ridotti ma oggi è
ampiamente usato anche da imprese multinazionali con budget piuttosto ampi.
Le tecniche utilizzate sono le stesse del cultural jamming, un movimento
internazionale che contesta il potere delle imprese multinazionali adoperando
forme di comunicazione insolite.
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Advertainment – advertising + entertainment.
Per colpire l’attenzione dell’utente, la campagna di comunicazione traveste spesso il
suo interno e si nasconde in registri comunicativi non tradizionali. In questo caso, la
strategia è l’adv che è forma d’intrattenimento, e lo strumento assume i connotati di
qualcos’altro, come può essere un trailer cinematografico o uno sketch comico.
Esistono due pilastri base alla base dell’advertainment che racchiudono l’essenza di
tale strategia:
- l’annuncio è intrattenimento
- l’intrattenimento è annuncio
Lo spot evento consente di ribaltare gli stilemi dello spot classico ed è diventato uno
dei mezzi di comunicazione non convenzionale più utilizzati perché consente
un’intermedialità e un adattamento ai vari format digitali e non. Consiste nel creare
una situazione notiziabile intorno alla quale creare un dibattito, o per meglio dire
creare conversazioni, i principali KPI su cui vengono misurate le azioni di
comunicazione.
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Capitolo 31 – neuromarketing
Il Neuromarketing è l'applicazione delle conoscenze e delle pratiche
neuroscientifiche al marketing, allo scopo di analizzare i processi inconsapevoli che
avvengono nella mente del consumatore e che influiscono sulle decisioni di acquisto
o sul coinvolgimento emotivo nei confronti di un brand. Il neuromarketing studia il
processo e raccoglie i dati.
La teoria dei nudge (in inglese: Nudge Theory) è un concetto che, nel campo
dell'economia comportamentale e della filosofia politica, sostiene che sostegni
positivi e suggerimenti o aiuti indiretti possono influenzare i motivi e gli incentivi che
fanno parte del processo di decisione di gruppi e individui, almeno con la stessa
efficacia di istruzioni dirette, legislazione o adempimento forzato. La teoria dei
nudge applica i dati per raggiungere obiettivi.
I modelli economici tradizionali si sono sviluppati durante gli anni in base al periodo
storico che andava declinandosi, tentando di volta in volta di provare a dare una
spiegazione razionale ed un modello generale da seguire per governare al meglio
l’economia ed i comportamenti umani. Ci sono state tre crisi dei modelli economici:
Crisi del 1929: che ha fatto fallire il modello di Adam Smith dell’economia
classica
Stagflazione degli anni 70: che ha fatto fallire la rivoluzione keynesiana
Crisi dei mutui sub-prime del 2008: che ha fatto fallire la politica monetarista
Ognuna di queste crisi e teorie avevano una sola cosa in comune che si ripeteva di
volta in volta: l’uomo, inteso come fino ad allora come “homo oeconomicus”, agiva
in modo irrazionale e i modelli economici non riuscivano a spiegarlo.
L'economia comportamentale nasce agli inizi degli anni '70 del Novecento negli Stati
Uniti, appunto per colmare le lacune lasciate dai modelli economici tradizionali. A
differenza dell'economia politica tradizionale, che presupponeva la scelta razionale
del consumatore, l'economia comportamentale analizzando il processo decisionale
del consumatore ha scoperto che nella maggior parte dei casi è basato anche su
motivazioni irrazionali.
il nudge è lo strumento attraverso il quale gli architetti delle scelte possono indurre
gli individui a delle decisioni migliori. L’architetto delle scelte è colui che deve
studiare i processi decisionali dietro una determinata scelta, analizzare i fattori di
influenza, il ruolo delle emozioni ed i processi cognitivi ed infine deve inventare un
“pungolo” da inserire nel processo in modo da “spingere gentilmente” l’individuo
verso la scelta migliore.
Come descritto da Thaler e Sunstein: “per poter essere un pungolo, tale elemento
decisionale non deve essere un’imposizione, né tantomeno deve includere incentivi
economici, inoltre deve poter essere evitato facilmente. Per fornire un esempio
pratico: collocare della frutta ad altezza occhi in una mensa può essere considerato
un pungolo, vietare il cibo spazzatura no”
È questo che intendiamo quando parliamo di “terza via” ai modelli economici che si
sono sviluppati negli anni; modelli che spingevano da un lato ad imporre delle scelte
agli individui e dall’altro a lasciare totale libertà di scelta agli individui, senza
nemmeno provare ad indirizzarli verso la soluzione migliore.
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Kahneman e Tversky introdussero i due protagonisti del processo decisionale umano
in condizioni di incertezza il sistema 1 ed il sistema 2:
• Sistema 1 (S1): Questo sistema agisce in modo involontario ed automatico,
non induce sforzi ed è molto veloce. Si occupa di competenze innate ed
involontarie come respirare, masticare, riconoscere istintivamente le
emozioni primarie dalle espressioni facciali, reagire con i riflessi; inoltre il
sistema 1 apprende le associazioni di idee come gli stereotipi o i proverbi, e
impara a collegare ad esempio una capitale al suo paese. Le sue informazioni
sono presenti nella memoria, e vi si accede automaticamente e senza ricorso
a sforzi.
• Sistema 2 (S2). Volge la sua opera verso le attività cognitive e mentali che
richiedono impegno e concentrazione come calcoli matematici, analisi del
testo o riflessione filosofica. Le sue operazioni sono attivate ogni qual volta
che una persona compie un’azione ragionata od una scelta che implica
concentrazione. In tutte queste fattispecie il fattore comune è l’attenzione,
infatti in mancanza di essa il sistema 2 non si attiva.
Ovviamente il sistema 1 e 2 non esistono realmente, sono solo una metafora per
capire come funziona il nostro pensiero: Sistema 1 ci aiuta a riconoscere la paura sul
viso di una persona. Sistema 2 interviene quando dobbiamo svolgere un’operazione
complessa come 23x12.
I Big Data possono fornire un grande supporto per l’analisi del comportamento
umano, favorendo quindi una corretta architettura delle scelte.
Nel 2010 Cameron, ispirato dalla lettura dell’opera di Thaler e Sunstein, insediò un
gruppo di una dozzina di studiosi e membri del governo del tema nel Cabinet office,
con il compito di ideare politiche pubbliche e interventi basati sugli studi
dell’economia comportamentale. Nasce così la Behavioural insight unit (Bit),
comunemente conosciuta anche con il nome di Nudge Unit.
La Nudge Unit ha elaborato una serie di proposte per il miglioramento del benessere
collettivo della comunità insieme ai dipartimenti competenti del governo e
utilizzando il metodo di analisi suggerito da Thaler e Sunstein. Le strategie proposte
dalla BIT vengono ben rappresentate in un elenco di 7 strategie del report
denominato “Applying behavioural insights to reduce fard, error and debt”.
Tra le numerose iniziative messe in atto dalla Nudge Unit vediamo un esempio che ci
aiuta a capire come opera in concreto un nudge e come possa aumentare il
benessere pubblico. Su suggerimento della Bit nel 20011 sono state inviate lettere
per ricordare la prossima scadenza dei pagamenti dovuti al fisco a 140.000
contribuenti scelti a caso. Queste lettere erano però leggermente diverse da quelle
standard degli anni precedenti: nelle nuove lettere viene messo in risalto un dato
statistico significativo, cioè che la stragrande maggioranza dei cittadini inglesi paga
correttamente le tasse entro la scadenza dei termini.
Uno degli inventori della Teoria dei Nudge, Sunstein, è stato amministratore
dell’Office of information and regulatory affairs (OIRA) della Casa Bianca che ha
guidato per ben 3 anni, dal 2010 al 2012 sotto la presidenza Obama. Ha raccontato
la sua esperienza nel suo volume “Semplice. L’arte del governo nel terzo millennio.”
In Italia sporadiche iniziative locali come il programma Abq del Comune di Roma e la
campagna “No-Credit” della provincia di Bolzano sulla prevenzione stradale.
Durante il governo Renzi c’è stata l’intenzione di provare a formalizzare una vera e
propria Nudge Unit portata avanti dal Professor Motterlini insieme al Professor
Nannicini.
I motivi per cui le tecniche di nudging sono poco usate dalle aziende, sono
principalmente due:
1. L’uso inconscio e non sistematico dei principi comportamentali;
2. L’aggressività consapevole della comunicazione di alcuni brand.
Come affermato da un brillante articolo di Ned Welch, pubblicato per McKinsey, i
principi comportamentali ancora oggi non vengono usati consciamente, e le poche
imprese che li usano in modo consapevole non lo fanno in modo sistematico ma
sporadico.
86
Capitolo 27 – public speaking
Il public speaking viene definita l’arte del parlare in pubblico. Può essere vista dal
lato di chi parla e dal lato di chi ascolta.
Non c’è discorso efficace senza un incipit capace di attirare l’attenzione del pubblico.
Un incipit potente è in grado di mantenere questa attenzione per tutto lo speech.
Iniziare con il dettaglio più forte della narrazione è una strategia utile per
conquistare subito l’attenzione degli ascoltatori.
L’uso dello storytelling durante un evento di public speaking non deve essere privo
di finalità, deve puntare ad un obiettivo. In alcuni casi la narrazione è il punto di
partenza per aiutare il pubblico a trovare spunti di risoluzione ad un determinato
problema centrale nella struttura del discorso.
L’ansia, che quasi sempre e quasi a tutti, prende prima di uno speech in pubblico, è il
risultato emozionale dello scontro tra due parti del cervello: l’amigdala o cervello
primitivo ed il cervello così detto evoluto. L’amigdala vede il pubblico come un
nemico pronto ad aggredirci, il cervello evoluto invece lo considera un’occasione
positiva e senza pericolo ma sicuramente emozionante.
La conoscenza del nostro stile e degli strumenti (interni ed esterni) che abbiamo a
disposizione ci permetterà di affrontare, con consapevolezza, performance
impegnative, gestendo l’ansia e con la giusta carica adrenalinica (eustress).
Parlare in pubblico significa prima di tutto ascoltare se stessi e gli altri (il pubblico),
impegnarsi costantemente, non sottovalutare mai contenuto e contesto. Provando e
riprovando. Anche la conoscenza della location è importante (per non avere
sorprese).
90
Anche le pause sono importanti quando si tiene un discorso pubblico. Ci sono diversi
tipi di pause:
1. Pausa di conclusione: alla fine di una frase, per preparare alla
successiva (particolarmente importante)
2. Pausa di transizione (e ponti): di collegamento tra diversi argomenti.
3. Pausa interna: nella frase per sottolinearne l’importanza e/o anticipare
un particolare un punto particolarmente importante.
4. Pausa tattica: usata all’inizio del discorso.
È bene non fidarsi della propria memoria in quanto lo stress potrebbe inibire la
memoria; pertanto, è necessario avere sempre una traccia scritta dello speech,
anche se siamo convinti di ricordare tutto. Una traccia per bullet point è meglio, sia
essa su carta, o in video.
La prima cosa da non fare quando si deve affrontare una platea è arrivare
impreparati e puntare sull’improvvisazione. I rischi sono due: non riuscire a
trasmettere il messaggio in modo efficace e chiaro e annoiare il pubblico. Inoltre,
senza un’adeguata preparazione rispondere alle domande in modo semplice e
veloce potrebbe rivelarsi difficile e far apparire l’oratore poco professionale.
Il ricorso all’immaginazione può rivelarsi molto utile nella fase di preparazione del
discorso. Fingere che il pubblico sia composto da un amico o da un componente
della propria famiglia che non conosce l’argomento oggetto dello speech è il modo
migliore per imparare a utilizzare un linguaggio facile e soprattutto comprensibile.
Fare a meno dei tecnicismi rende più gradevole e intuitiva la conversazione.
Sono due i protagonisti del public speaking: chi parla e chi ascolta. L’oratore
dev’essere capace di creare un dialogo con il pubblico se non vuole perdere
l’attenzione e l’interesse della platea. È importante cogliere eventuali segni di noia o
stanchezza da parte degli astanti per poter cambiare rotta in corso d’opera e non
perdere il contatto con la propria audience.
Tra i metodi più efficaci per catturare l’attenzione del pubblico c’è quello di
condividere storie che fanno parte del proprio background. Per l’oratore raccontare
episodi che riguardano la sua vita familiare e professionale è un ottimo modo per
generare empatia soprattutto se si aggiunge un pizzico di sano umorismo.
Tenere bene a mente la regola del 3 è la chiave del successo per chi deve parlare in
pubblico. Si tratta di uno stratagemma che si basa su tre fondamenti: catturare
l’attenzione, dare il tempo alla platea di memorizzare il messaggio ed elaborare le
domande, chiudere il discorso con una frase a effetto che incentivi una call to action.
Metodo usato, tra gli altri, da Steve Jobs.
Conoscere le regole del public speaking e fare esperienza è utile per imparare a
gestire l’ansia e tenere sotto controllo lo stress, ma il consiglio più importante che
determina il successo di uno speech resta sempre e solo uno: essere sé stessi.
92
Capitolo 26 – il fundraising
La comunicazione sociale è il modello di comunicazione che si sviluppa con la finalità
di:
• Informare e aggiornare: portare all’attenzione del pubblico un concetto
positivo, un progetto sociale, un intervento da condividere, un’azione
responsabile;
• Convincere e persuadere: presentare e “argomentare” attraverso dati,
ricerche, testimonianze utili a dimostrare la veridicità di quanto comunicato;
• Stimolare e motivare: proporre nuovi modelli di comportamento; stimolare
azioni destinate a contribuire ad una causa sociale; modificare concezioni
errate
Secondo una ricerca realizzata dalla Johns Hopkins University, le organizzazioni non
profit sono caratterizzate per il fatto di avere una struttura:
• Formale: ossia dotata di uno statuto o un qualche atto costitutivo
• Privata: ossia istituzionalmente separata dal settore pubblico, sebbene
possano ricevere dei fondi pubblici
• Auto-governata: ossia con un certo grado di autonomia decisionale per lo
svolgimento delle proprie attività
• Senza scopo di lucro: ossia essere soggette al divieto di distribuzione di utili in
ogni forma ai propri azionisti
• Caratterizzata dalla presenza di lavoro volontario
Ciò che accomuna le organizzazioni non profit è il fatto di prevedere all’interno del
proprio statuto il divieto di distribuzione degli utili derivanti dall’esercizio delle
proprie attività. I ritorni economici di una ONP, infatti, sono impiegati
esclusivamente come strumento di autofinanziamento per la “causa” tipica, che è
diversa dal lucro.
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Il fundraising è “La nobile arte di insegnare alle persone la gioia di donare”. Si
traduce con “raccolta fondi”, ma non si tratta di una semplice richiesta di denaro
Esso è piuttosto «un complesso di attività che l’organizzazione non profit mette in
atto per la creazione di rapporti d’interesse fra chi chiede risorse economiche,
materiali e umane in coerenza con lo scopo statutario e chi è disponibile a donarle».
L’obiettivo è la creazione di una vera cultura ed etica, finalizzata alla generazione di
rapporti durevoli con l’esterno.
Fundraising è l’insieme di attività che generano uno scambio sociale tra soggetti che
condividono i valori e obiettivi dell’organizzazione. Attività strutturata che si basa su
due principi guida dell’economia moderna:
1. Principio di reciprocità nei trasferimenti bilaterali fra due o più parti,
indipendenti, libere tra loro ma in qualche modo interconnesse
2. Matrimonio d’interessi non necessariamente di tipo economico ma che si
trovano rappresentati in un bene simbolico o relazionale, basato sulle più
svariate motivazioni
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Il fundraiser opera per conto dell’organizzazione ed ha l’intento di generare un
equilibrio tra gli interessi dei diversi attori coinvolti: da una parte definizione e
attuazione della vision e la mission dell’organizzazione; dall’altra individuazione dei
fattori che spingono i donatori ad erogare elargizioni. Si tratta di una figura
professionale chiamata a gestire la relazione tra l’organizzazione non profit e il suo
pubblico di riferimento. Deve assumere un comportamento deontologicamente
corretto.
La fase di avvio del processo parte dall’adozione di una visione strategica e definisce
una propria missione che verrà condivisa dai soggetti che operano al suo interno. La
visione e la missione dell'organizzazione rappresentano quindi la combinazione e la
sintesi dei valori, principi, lo spirito e gli obiettivi che l'organizzazione intende
perseguire nel confronto con i propri stakeholder.
Deve essere:
Trasparente e comprensibile
Ben articolato, stimolante
Credibile e realistico
Distintivo e originale
Ben scritto
Costantemente aggiornato
Contiene due elementi fondamentali: il documento stesso, per uso interno, e la
documentazione promozionale, che comunica la buona causa al pubblico.
2. Gli obiettivi strategici illustrano ciò che l’organizzazione compie per concretizzare
i principi ed i valori espressi nella mission. Sono al servizio della mission e
possono essere molteplici. Ogni organizzazione non profit avrà i propri obiettivi
strategici, che possono includere:
Tutelare la salute, la sicurezza, la felicità della popolazione
Sensibilizzare le persone sul problema della sordità
Aiutare i bambini in età scolastica a sviluppare la propria personalità
5. Gli organi di governo devono essere persone dotate di precise qualità, spesso
meglio se con forte carisma e noti al pubblico di riferimento. Devono
comprendere delle professionalità per competere in modo efficace nel mercato
del fundraising (commercialisti, avvocati, economisti).
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6. I fabbisogni che un’associazione riscontra si suddividono in quattro tipologie:
Relativi all’anno d’esercizio e quindi collegati al deficit annuale
Legati a finalità specifiche
In termini di capitali immobili e di attrezzature
In termini di capitali che producono interessi per coprire i fabbisogni
relativi all’anno d’esercizio.
La quinta fase del processo di fundraising è l'esecuzione che rappresenta la fase più
delicata del piano di fund raising, in quanto momento di attuazione dei programmi
individuati sulla base dell'analisi svolta e di utilizzo degli strumenti di comunicazione
dell'organizzazione. Essa richiede un'attenta attività di coordinamento delle risorse
interne all'organizzazione, coinvolgendo diverse funzioni: dal management,
all'ufficio legale, alla direzione di comunicazione e quella di amministrazione, finanza
e controllo. In tale passaggio, vengono definiti gli strumenti finanziari a disposizione
dell'organizzazione e verificata la loro adeguatezza rispetto ai costi che
l'organizzazione dovrà sostenere per svolgere la propria attività.
L’ultima fase del processo è rappresentata dalla valutazione dei risultati, ossia
la valutazione degli esiti derivanti dall'attività di raccolta fondi. La valutazione dei
risultati del fund raising avviene dalla prospettiva del donatore, che rappresenta la
vista più completa con cui verificare la rispondenza tra gli impegni assunti
dall'organizzazione e i risultati conseguiti. Si tratta di addivenire ad un giudizio sulla
base del confronto tra i costi sostenuti e i benefici conseguiti dall'organizzazione
rispetto alla causa sociale perseguita.
In alcuni casi tale attività può risultare complessa e portare a risultati esaustivi solo
in un orizzonte di medio-lungo termine. Alcuni strumenti impiegati, infatti,
100
potrebbero caratterizzarsi per un legame costi e benefici che sarà quantificabile solo
a valle di un lungo processo, in quanto connessi prevalentemente alla
costruzione/rafforzamento della reputazione aziendale.
101
Capitolo 13 – la comunicazione culturale
La cultura rappresenta un sistema arbitrario di simboli o segni con il quale si
attribuisce significato agli oggetti e alle situazioni che ci circondano. Esistono due
modi di interpretare l'atto del comunicare. Da un lato, la concezione di
comunicazione come mera azione di trasmissione di un messaggio, nella cui
definizione, il termine comunicare è associato a verbi quali impartire, inviare,
trasmettere oppure fornire informazioni. Dall'altro, invece, l'idea di un'azione di tipo
simbolico, legata a una tradizione rituale. In questa seconda accezione, il termine
comunicazione è assimilato ad azioni quali condividere, partecipare, associare, avere
una fede in comune.
105
Capitolo 16 – Comunicare il non profit
Comunicare il non profit non è volontariato. Sono necessarie competenza,
professionalità e una continua innovazione in un settore che è in continua
espansione. Il continuo aumento delle organizzazioni che si occupano di non profit e
dei settori di interesse insieme alla crescita esponenziale di organizzazioni con scopi
territoriali (quelle che operano a livello regionale, comunale o di quartiere) ha
notevolmente cambiato lo scenario che ha caratterizzato gli anni Ottanta e buona
parte degli anni Novanta. Una spinta consistente alla crescita di queste realtà è stata
fornita dai social network che hanno creato, dal nulla, una nuova dimensione
comunicativa che, in pochissimo tempo, ha conquistato una porzione altissima
dell'interesse nella sfera individuale.
I brand forti sono patrimonio delle organizzazioni più grandi che hanno una struttura
a livello internazionale (Save The Children, WWF, Medici Senza Frontiere, ecc.). In
questo caso minacce per il brand potrebbero arrivare da situazioni non relative alle
attività che svolge la propria organizzazione.
Nel caso di un brand debole, invece, è necessario, in prima battuta, lavorare sulla
caratterizzazione e sulla specializzazione dell'attività di comunicazione. Bisogna
costruire, passo dopo passo, non solo la credibilità, ma anche la riconoscibilità
dell'organizzazione. Questo può avvenire attraverso la costruzione e la diffusione di
contenuti dal taglio innovativo che rappresentano un moltiplicatore di
riconoscibilità.
Nel caso delle ONG più grandi, quelle con una ramificazione internazionale, ci si può
trovare nella condizione di dover gestire situazioni critiche o scandali che investono
un altro ufficio nazionale e che, come un virus, contagiano gli altri Paesi dove opera
l'organizzazione.
Meglio raccontare direttamente i fatti ai propri partner che lasciare che leggano
quello che è successo sui giornali. Bisogna redigere immediatamente uno statement
da utilizzare sui social network che produrranno un'onda lunga di contestazione che
va comunque affrontata e gestita. Passata la crisi, ridotte al massimo le conseguenze
bisogna immediatamente rimboccarsi le maniche e cercare di recuperare il terreno
perso dal punto di vista reputazionale.
I contenuti devono essere comprensibili anche per un pubblico di non ad- detti ai
lavori. La complessità degli argomenti trattati oltre alla quantità delle informazioni
da gestire può indurre all'errore di rifugiarsi in un racconto estremamente tecnico
che potrebbe risultare respingente.
Questi dati definiscono un universo digitale sempre più coincidente con la sfera
personale. Proprio per questa ragione la promozione dei contenuti anche delle
realtà non profit, forse a maggior ragione proprio delle realtà non profit, non può
prescindere dalla scelta di veicolare i propri contenuti attraverso i canali digitali che
stanno progressivamente assumendo il monopolio dei flussi di comunicazione.
Questi contenuti, spesso virali, vanno utilizzati come vere e proprie calamite di
utenti in grado di attirare nell'ambiente web dell'organizzazione (non
necessariamente deve essere il sito web principale) il maggior numero possibile di
utenti che, insieme alle informazioni a cui sono interessati, riceveranno anche gli
strumenti per poter sostenere le attività della non profit. In particolare, la nuova
forma web degli strumenti di comunicazione deve essere consultabile attraverso
strumenti mobile, che, come abbiamo visto, rappresentano la prima chiave
d'accesso all'informazione digitale.
Un elemento vincente anche nel mondo del non profit è quello di far leva sulla forza
delle esperienze utilizzando una forma di comunicazione che definiremo
esperienziale. Corredare i messaggi di contenuti multimediali aiuta a raggiungere
l'obiettivo dell'immedesimazione, un meccanismo molto simile a quello che in
ermini psicoanalitici viene definito transfert. Bisogna sempre cercare di ridurre le
distanze tra quello che si racconta e la persona a cui lo si racconta.
Uno strumento molto valido nella promozione delle organizzazioni non profit è
quello di legare i propri messaggi a volti noti, a dei testimonial disponibili a prestare
la propria popolarità per una giusta causa. La popolarità, infatti, è un aggregatore di
consenso che permette di innescare un vero e proprio moltiplicatore per la
diffusione dei messaggi.
Le attività della Comunicazione, per il WWF, rivestono un ruolo cruciale perché sono
strettamente connesse al raggiungimento degli obietti dell'associazione,
supportando e promuovendo le principali attività che vengono svolte nel corso
dell'anno: del programma di conservazione, di raccolta fondi e di advocacy. Negli
anni, proprio grazie alle diverse attività di Comunicazione, è stato possibile
aumentare la visibilità e consolidare l'autorevolezza del WwF in Italia, mettendo
sempre al centro della narrazione mediatica la qualità dei migliori contenuti
scientifici, l'efficacia d'intervento sul campo, il valore di appartenere ad un network
internazionale e quindi di operare concretamente a livello globale, nazionale e
locale. Il WWF continua ad essere un punto di riferimento e una fonte di
informazione affidabile per i principali media italiani sui temi della tutela della
natura nel mondo e in Italia.
110
Capitolo 32 – il ruolo e la figura del chief communication officer
L'evoluzione della missione e del ruolo professionale e manageriale del
comunicatore aziendale nei Paesi occidentali ed europei dalla fine degli anni
Novanta ai giorni nostri è stata accompagnata dalla trasformazione dei modelli di
governance, della cultura gestionale e organizzativa delle imprese e influenzata dalla
crescita del livello competitivo dei mercati, con il passare del tempo sempre più
globalizzati e integrati. Un altro fattore chiave che ha inciso sull'evoluzione della
figura del Responsabile della comunicazione, o come oggi si definisce del Chief
Communication Officer (CCO), è da associare al passaggio dalla old alla new e digital
economy e alla frammentazione degli stakeholder.
il CCO è la figura preposta a guidare le relazioni con la stampa, gli opinion leader, i
decisori e gli influenti, Sotto la sua responsabilità figurano l'ufficio stampa e le
relazioni con i media, i rapporti istituzionali e la produzione degli strumenti editoriali
aziendali.
Oggi il CCO assume un ruolo chiave nella definizione del posizionamento strategico
dell'azienda, contribuisce attivamente alla costruzione del suo profilo competitivo e
alla diffusione della sua cultura di leadership, siede nel comitato di direzione alla
pari dei responsabili delle altre funzioni centrali di supporto al business.
Gli ultimi anni del secolo scorso e quelli successivi del nuovo millennio marcano un
passaggio importante per la crescita del posizionamento e peso manageriale del
CCO all'interno dell'organizzazione aziendale. Le privatizzazioni delle grandi aziende
pubbliche segnano una svolta nella comunicazione istituzionale sostenuta da grandi
budget e dal coinvolgimento di numerosi advisor italiani e internazionali. In quegli
anni si lanciano, in Italia e all'estero, imponenti campagne di comunicazione
indirizzate a diverse tipologie di target: piccoli risparmiatori, investitori istituzionali,
dipendenti.
111
La guida di queste campagne, realizzate utilizzando l'intero armamentario di mezzi,
strumenti e risorse professionali delle discipline above-the-line e below-the-line, è
nelle mani di manager che si sono formati in scuole aziendali leader per tradizione
culturale e best practice nella comunicazione d'impresa. La sfida dei manager della
comunicazione istituzionale si gioca prevalentemente sulla capacità di costruire una
notorietà e un patrimonio di marca forti e distintivi, di elaborare una narrazione
esclusiva e memorabile della storia aziendale e dei traguardi raggiunti, in grado di
trasferire al mondo degli investitori e degli opinion leader l'alto valore del brand
aziendale. Un valore intangibile che ha una forte influenza sulla quotazione del titolo
azionario.
Nell'agenda dei vertici delle imprese privatizzate si impongono nuove priorità tra
cui: il rafforzamento del profilo competitivo, l'aumento degli indici di redditività e
profittabilità, la crescita del valore azionario. In questo contesto al CCO spetta
disegnare un nuovo modello di governance della comunicazione istituzionale che
vede consolidare la propria mission aziendale ed estendere la sua area di influenza
verso i vertici aziendali. L'organigramma del CCO si compone di un numero sempre
più articolato e integrato di funzioni da governare e coordinare: relazioni esterne e
con i media, relazioni istituzionali, corporate advertising, branding & corporate
identity, organizzazione di eventi e sponsorship, corporate publishing, ricerche di
mercato.
Il CCO assume un ruolo sempre più centrale all'interno del management team e si
manifesta una dialettica interna con le funzioni marketing e commerciali. La sua
mission si estende a nuovi territori: far percepire in modo credibile all'esterno e
all'interno della propria azienda il senso strategico e la qualità del committment
dell'azienda nell'area della responsabilità sociale. Un impegno che richiede anche
nuove competenze professionali e investimenti in comunicazione. Il CCO e il suo
team si fanno promotori di iniziative e campagne di comunicazione tese a
valorizzare la cultura etica e di responsabilità dell'impresa verso la comunità in cui
opera nel rispetto dei diversi portatori di interesse.
Il CCO, chiamato a presidiare la comunicazione istituzionale, si trova per-
tanto ad affrontare una nuova sfida manageriale: quella della corporate social
responsibility (CSR).
Negli ultimi vent'anni la missione e il ruolo del CCO così come lo abbiamo ripercorso
in queste pagine si sono trasformati trainati dai grandi fenomeni economico-sociali,
dell'innovazione delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione. L'impresa
ha visto affermarsi nuovi soggetti istituzionali, nuovi media, nuovi gruppi di
pressione capaci di incidere fortemente sulla notorietà, autorevolezza e credibilità
del proprio brand e di modificare il loro modo di interagire con il mercato. Dal 2000
ad oggi la comunicazione istituzionale ha subito un processo di progressiva
integrazione che ha portato discipline, mezzi e strumenti su un unico piano di
elaborazione strategica in cui le attività di comunicazione above-the-line e below-
the-line. L'evoluzione della figura del CCO, come testimonia la nomenclatura
corrente, lo ha portato ad essere parte della così detta C-Suite alla pari degli altri
business leader: il Chief executive officer, il Chief of human resource manager, il
Chief financial officer, il Chief marketing officer, il Chief commercial officer, il Chief
information officer.
Mentre possiamo riconoscere le origini del CCO, con quali ferri del mestiere ha
costruito e affermato il suo ruolo in azienda e come si è evoluto nel tempo in virtù
del cambiamento delle architetture di governo aziendale, della cultura d'impresa,
dei modelli organizzativi e delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione,
più difficile risulta prefigurare la sua evoluzione negli anni a venire di fronte ad uno
scenario così rapidamente mutevole, fluido e difficilmente prevedibile.
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Il CCO dovrà pertanto agire in un contesto in cui gli stakeholder tradizionali, tra cui i
così detti corpi intermedi (partiti politici, sindacati, editori puri, Chiesa), perderanno
progressivamente peso politico e capacità di rappresentanza a scapito di nuovi
portatori di interesse infinitamente più numerosi e frammentati in grado di
interagire con l'impresa direttamente senza barriere geografiche e in tempo reale
grazie allo sviluppo delle piattaforme digitali, alla diffusione dei dispositivi mobili e
dei social media. I nuovi stakeholder diventeranno sempre più creatori di contenuti
(editori) acquisendo il potere di influenzare opinioni e promuovere azioni collettive
in modo istantaneo. Chiunque possegga uno smartphone può trasformarsi in un
reporter e opinion leader, promuovere campagne a favore o contro un'impresa, il
suo operato, i suoi prodotti, i suoi servizi.
il CCO dovra dimostrate attitudini e competenze nuove sul fronte delle competenze
professionali dovrà dimostrare di riuscire ad interpretare scenari sempre più
complessi e imprevedibili, in mutazione rapida e continua. Come di fronte ad una
fotografia digitale, in cui tanto più sono i pixel che la compongono tanto più
l'immagine gode di alta risoluzione fino a sembrare realtà, tanto più il CCO sarà in
grado di leggere gli eventi e i macro fenomeni e a scomporli sotto diversi campi di
analisi, tanto più sarà in grado di razionalizzare le emozioni, di monitorare il grado di
attenzione di un universo di portatori di interesse sempre più frammentato e
sovrapposto, e tanto più sarà in grado di comprendere il contesto competitivo e
prevedere i mutamenti economici e socioculturali.
Sarà sempre più richiesto al CCO di monitorare puntualmente tutte le diverse fonti
informative, i trend topic e i dibattiti in rete con un impegno sempre maggiore:
avere mille occhi, giorno e notte. Questo significa affrontare un cambio di paradigma
dal punto di vista strategico e operativo che richiede di essere continuamente
aggiornati sulle tecnologie dell'informazione e della comunicazione digitale, di
acquisire padronanza e familiarità nella decodifica e comprensione dei dati e dei
codici di linguaggio, oltre che di conoscere la cultura e i comportamenti dei suoi
fruitori e protagonisti (blogger, influencer).
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