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Strategie di comunicazione riassunti

Capitolo 1- l’impresa di fronte alle sfide globali


La comunicazione è un processo di scambio di informazioni e di influenzamento
reciproco che avviene in un determinato contesto. si tratta di un’esperienza usuale e
continua di relazione con gli altri che tende ad influenzare reciprocamente le
persone ponendole in relazione e di un processo:
 Sistemico: in quanto le persone coinvolte fanno parte di un meccanismo di
influenzamento reciproco.
 Pragmatico: in quanto ciò che conta sono gli effetti del comunicare, non le
intenzioni, ma il messaggio che l’altro recepisce e la risposta che si ottiene.
 Strategico: in quanto la persona che ha chiari obiettivi da raggiungere si dota
di una strategia ben precisa.

Populismi, cambiamenti climatici e demografici, digitalizzazione. Questi


sono alcuni dei fenomeni che stanno influenzando e impatteranno sempre
di più sul nostro modo di vivere, lavorare e anche di comunicare. I nuovi sistemi di
comunicazione sfidano i divari geografici e temporali accorciando le distanze e
disintermediando le comunicazioni.

Lo sviluppo del paradigma di sostenibilità da’ tutela ambientale, la sostenibilità


include sempre più la dimensione economica e sociale delle iniziative politiche dei
governi e le azioni dei privati che sono sempre più rivolte a:
 Riconoscere il valore intrinseco delle risorse ambientali
 Tutelare la biodiversità e la dimensione ecologica
 Proteggere gli ecosistemi produttivi, rendendoli sostenibili
 Favorire la transizione energetica e le energie rinnovabili
 Preferire processi che rispettino l’eco-design dei prodotti
 Mitigare gli effetti del cambiamento climatico

Il populismo è sicuramente un fenomeno di natura complessa. Fin dalle sue origini il


termine ha richiamato l'idea di un appello al popolo, oltraggiato dalle élite
dominanti. Per cercare di definirlo, è comunque possibile isolare delle caratteristiche
distintive e comuni ai vari movimenti populistici. In primo luogo, i contesti in cui il
populismo si sviluppa e afferma sono, solitamente, caratterizzati da disintegrazione
e squilibri politici, sociali ed economici. In secondo luogo, ci sono due concetti
comuni su cui si basano tutti i movimenti populistici: il concetto di "popolo" che si
contrappone a quello di "nemici del popolo". Il popolo viene quindi visto come una
"comunità immaginata", un concetto astratto modulabile in diversi contesti sociali,
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politici e ideologici.
il populismo si è associato all'antipolitica, un fenomeno che è sempre esistito ma
che attualmente ha acquisito una maggiore rilevanza a causa delle recenti crisi dei
sistemi politici.

La trasformazione digitale che sta investendo la nostra società rappresenta


un'occasione per numerosi settori, coinvolti da fenomeni come l'accesso costante e
immediato ad internet, la diffusione di tecnologie mobili e di applicazioni sempre più
"smart". La destrutturazione dei processi e la possibilità di accedere da remoto a
dati e contenuti di valore danno la possibilità di ridefinire l'interazione e di
amplificare tutti i processi di creazione del valore, annullando gli ostacoli geografici e
temporali. La digitalizzazione dei servizi rappresenta una leva fondamentale per la
gestione industriale e per l'intero sistema economico. Il cambiamento non riguarda
infatti solo le aziende, La tecnologia è a disposizione di tutti, ma sono tre le parole
d'ordine di questo modello di società tecnologica: orizzontalità, interazione e
condivisione. Il progresso tecnologico si lega a nuove tendenze: multicanalità,
piattaforme digitali, diffusione di linguaggi inediti e la disintermediazione dei canali
di informazione assume un'importanza assoluta.

Parlando di macrotrend globali non si può prescindere da uno degli argomenti


più rilevanti per le aziende di tutto il mondo, il tema della Corporate Reputa-
tion. Emotional Brand e asset intangibile delle organizzazioni, la reputazione è uno
strumento chiave per attrarre i consumatori, gli investitori e facilitare le relazioni
con gli stakeholder chiave. Essa può essere definita come "il giudizio diffuso che i
diversi stakeholder hanno nei confronti dell'impresa, sulla sua credibilità, qualità e
affidabilità dei suoi prodotti e servizi, sulla legittimità e responsabilità delle sue
azioni", Si tratta di un concetto legato a doppio giro con la fiducia al fine di
raggiungere, e mantenere, un posizionamento positivo, è necessario coinvolgere gli
stakeholder sia in merito alle decisioni di business, sia riguardo a strategie di più
ampio respiro per la comunità e il territorio. Il beneficio di una buona reputazione
deriva dall'avere un vantaggio competitivo che si basa sull'interesse degli
stakeholder ad individuare organizzazioni degne di fiducia che li rendano
maggiormente disposti a pagare un premium price per la qualità.
La reputazione è intrinsecamente connessa al posizionamento strategico
di un'impresa e alle sue strategie comunicative. Con l'arrivo dei social network la
gestione della reputazione è cambiata profondamente. Se prima le informazioni
erano controllate in gran parte dalle aziende stesse e mediate dai media tradizionali,
ora la comunicazione è dominio di tutti e di immediata fruizione. il consumatore
diventa fonte stessa di informazione e comunicazione. Di conseguenza, la
reputazione non è più "auto-generata" dalla sola azienda ma include consumatori,
dipendenti e la collettività più in generale. Un post su Instagram può descrivere il
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prodotto o il servizio in modo più fruibile rispetto ad un articolo su una rivista
specializzata ed è in grado di raggiungere stakeholder in tutto il mondo. La
reputazione si crea, si mantiene e si può distruggere online attraverso meccanismi
che spesso escono dalle logiche aziendali. Il web consente di superare le asimmetrie
informative, Attraverso un click i consumatori possono assumere un ruolo attivo
nella catena di creazione del valore aziendale. il rafforzamento del power of voice a
favore degli stakeholder obbliga le aziende a cambiare il modo in cui comunicano la
propria reputazione.

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Capitolo 2- Advocacy
L’Advocacy punta a influenzare le politiche pubbliche attraverso il coinvolgimento di
settori ampi della società, stimolando la partecipazione di terze parti del mondo
associativo, accademico e dei media e con il coinvolgimento dei cittadini.

Un nuovo metodo per lo Stakeholder Engagement


Da “razionale” a “relazionale”: un nuovo approccio per lo Stakeholder Engagement.
Nel nuovo contesto politico e sociale, non è sufficiente che un progetto sia condiviso
solo con i decisori pubblici e le autorità̀ locali che hanno effettiva competenza
giuridica. Anzi, il consenso proveniente da istituzioni che godono di una bassa
reputazione costituisce un ulteriore “bias” per l’opinione pubblica. Non basta
spiegare le ragioni per cui un’opera è necessaria, bisogna invece creare una
relazione con gli elementi chiave del territorio.

Rispettare e comprendere le esigenze dei cittadini: Un territorio rappresenta un


sistema complesso e multidimensionale. I diversi attori - istituzionali, economici,
sociali e culturali - vogliono trovare in un progetto anche una realizzazione delle
proprie esigenze e aspettative. Se non vengono ascoltati e coinvolti fin dalle prime
fasi, possono emergere attori sociali che trovano la loro ragion d’essere proprio
nell’opposizione all’azienda o all’istituzione portatrice del progetto. Un percorso
efficace di Advocacy dovrà partire dalla comprensione delle ragioni del conflitto, per
disarmarlo e arrivare a un consenso attivo da parte dei cittadini. Possiamo farlo con
metodi quantitativi (sondaggi) o qualitativi (focus group). Ma è necessario anche
andare ad ascoltare direttamente le persone, selezionando stakeholder influenti.
È fondamentale presentare l’azienda non solo come un brand distante ma come un
attore fatto di persone con la voglia di avere un impatto positivo sulla realtà.

Coinvolgere i cittadini nella definizione del progetto (prima e non dopo)


Per un’azienda che voglia realizzare un nuovo progetto industriale non è più
sufficiente utilizzare gli strumenti classici del lobbying: prima definisco il progetto,
poi vado dal decisore, e poi cerco di spiegarlo ai cittadini. È necessario coinvolgere i
cittadini e gli stakeholder rilevanti prima e non dopo la definizione del progetto, ma
fin dalle prime fasi della realizzazione. Ovvero bisogna passare dal Modello
decisionale DAD (Decisione-Annuncio-Difesa) a forme di inclusione nel processo
decisionale.

La reputazione è un asset chiave dell’azienda o dell’istituzione. Realtà che godono di


una reputazione bassa o negativa dovranno fronteggiare conflitti più aspri o vere e
proprie “guerre di religione”. I soggetti promotori del conflitto tenderanno a creare
un sistema complesso e articolato, un network che si potrà estendere dal livello
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locale a quello nazionale o internazionale.
Lavorare sulla reputazione dell’azienda e del management è un’attività
determinante.

Rompere la «spirale del silenzio» come dimostrano vari studi scientifici le persone
subiscono la paura dell'isolamento e nel caso in cui si trovino ad avere un'opinione
difforme da quella della maggioranza sono disincentivate dall'esprimere
apertamente la propria opinione per paura di riprovazione e isolamento sociale da
parte della presunta maggioranza. Per questo è importante dare visibilità a opinioni
favorevoli, per stimolare l’intervento di coloro che rimangono in silenzio perché
percepiscono di essere in minoranza. Rompere la spirale del silenzio, in questo caso,
significa stimolare interventi di chi è a favore del progetto creando un contesto nel
quale le opinioni negative vengono gradualmente marginalizzate e controbilanciate
da una narrazione diversa. Un avvenimento progettato e pianificato
intenzionalmente; non è spontaneo, accade perché́ qualcuno lo ha progettato,
pianificato o auspicato. Inoltre, deve essere costruito per essere ripreso dai media: è
pianificato principalmente (anche se non esclusivamente) per essere riportato o
riprodotto. Il suo accadere è costruito per rendere la copertura agevole. Le
dichiarazioni, così come i comunicati stampa, le conferenze e le interviste sono
esempi tipici di pseudo evento. La predilezione dei media per questo genere di
notizie deriva dal loro inserimento ideale nelle routine produttive dei media, ovvero
nei meccanismi di organizzazione del lavoro giornalistico. Se gli pseudoeventi sono
notiziabili per definizione, anche gli eventi, come le manifestazioni, ottengono
sempre una buona visibilità. Come fa notare Eco (1976), i partiti di massa sono stati i
primi a intravedere le possibilità insite nella tecnica di produzione di fatti simbolici.
Manifestazioni, cortei, talora gli stessi scioperi, erano organizzati e prodotti solo
perché esisteva il circuito dei media capace di dare loro visibilità.
I modi per rompere la spirale del silenzio sono:
 Sito web: supportando un sito terzo che diffonda informazioni corrette sul
tema.
 Social Media: creando e diffondendo materiali multimediali sui social
network.
 PR online: dando particolare attenzione agli influencer della rete.
 Online campaigning: ogni attività umana ha gruppi favorevoli e contrari e utile
supportare l'attività dei gruppi pro.

Non esistono solo relazioni istituzionali ma anche comunicazione. È necessario


definire una serie di messaggi che rispondano alle diverse esigenze dei vari gruppi di
stakeholder: istituzioni, rappresentanti dei settori produttivi, media locali
(fondamentali a raggiungere larghi strati di cittadini) et cetera. Vanno coinvolte tutte
le aree della comunicazione delle relazioni esterne:
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• Media Relations
• Digital
• Marketing e sponsorizzazioni
• Eventi
• CSR (corporate social responsability o corporate citizenship)
• Relazioni istituzionali

Costruire coalizioni, in quanto, se l’azienda si trova sola contro «il resto del mondo»
è molto probabilmente destinata a essere in difficoltà. È utile costruire coalizioni di
diversi soggetti portatori di interessi che si facciano portatori di una visione comune.

Coinvolgere terze parti, sono centrali azioni che promuovano un punto di vista
esterno e autorevole e aggiungano contenuto al dibattito. È quindi fondamentale
coinvolgere opinion leader riconosciuti dalla comunità per la loro autorevolezza
accademica, professionale o personale e costruire assieme a loro il percorso che
porti al consenso sul progetto.

Coinvolgere i cittadini nella promozione del progetto, un’efficace strategia di


Advocacy punta a rendere anche i cittadini – o settori della popolazione - portavoce
di istanze favorevoli al progetto. Il consenso generato permetterà di facilitare il
processo di approvazione e realizzazione a tutti i livelli. Soprattutto, nel caso di
potenziali criticità, sarà la stessa opinione pubblica a depotenziare possibili attacchi
e agire verso il rafforzamento della reputazione dell’azienda e dell’istituzione
coinvolta. Ma per farlo è necessario passare dal Modello decisionale DAD
(Decisione-Annuncio- Difesa) a forme di inclusione nel processo decisionale.

Un’attività che coinvolge tutta l’azienda, per le aziende è necessario operare un


cambiamento di strategia e organizzativo: talvolta le attività di Stakeholder
Engagement vengono viste come una parte staccata dal core business, e il top
management non viene coinvolto in maniera attiva. Si tratta invece di un’attività che
non coinvolge solo la funzione relazioni istituzionali ma l’intera azienda, con la
partecipazione in prima linea di aree di lavoro molto diverse fra loro: dal CEO al CFO,
dal responsabile Affari Legali a quello delle Risorse Umane. Il decreto sul dibattito
pubblico renderà necessario quest’attività ma il risultato dipenderà dalla qualità del
contributo delle aziende e dalla reale volontà di aprirsi a un dialogo con le istanze
dei territori e delle persone e dall’efficacia del percorso di comunicazione.

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Capitolo 3- l’accountability nella corporate comunication
Il concetto di accountability si inserisce anche nell'ambito delle strategie di
comunicazione d'impresa. Le organizzazioni imprenditoriali che puntino a
mantenere un elevato posizionamento competitivo dovranno necessariamente
mantenere un atteggiamento accountable. Significa in pratica che esse maturino
una certa capacità di adattamento per far fronte all'evoluzione dell'ambiente
esterno, intercettando gli stimoli e recependoli in una direzione favorevole alla
propria strategia di business. negli ultimi decenni gli stakeholder hanno iniziato a
"punire" le imprese per comportamenti considerati non etici, e a premiare quelle
che fanno propri i valori di sostenibilità. Che esse si impegnino a svolgere un'azione
proattiva
rispetto all'ambiente circostante, con l'obiettivo di creare nuove interazioni e
soprattutto di affermare la propria legittimazione competitiva, sociale e istituzionale
nel contesto in cui operano. Alla base di tutte queste azioni, che possono sembrare
molto dispendiose, c'è la convinzione che un rapporto di fiducia reciproco tra
l'azienda e i propri stakeholder costituisca il presupposto fondamentale per
conseguire i risultati che essa si prefigge. Essere accountable per l'organizzazione
significa attuare un processo di interscambio incessante con tutti gli attori che
possono in misura più o meno determinante influire sulle scelte aziendali. La
comunicazione, infatti, assolve un ruolo di carattere strategico nell'ambito delle
strategie d'impresa in quanto, essa rappresenta una "linfa vitale dei nessi relazionali
tra l'impresa e l'ambiente.

Emerge l’esigenza di sviluppare strutture dinamiche e sempre meno gerarchiche.


Requisito essenziale per una buona strategia competitiva è mostrare un certo grado
di apertura verso l’ambiente esterno, ciò significa intrattenere rapporti di
interscambio con tutti i soggetti che si interpongono all’esercizio della propria
attività, si sviluppa una nuova qualificazione dell’impresa come “sistema aperto”.

La gamma degli stakeholder che pongono vincoli, condizionamenti è molto ampia.


Una possibile classificazione riguarda l’influenza esercitabile e la “vicinanza” rispetto
all’organizzazione, bisogna tener conto delle aspettative di tutti i portatori di
interesse è essenziale per la legittimazione sociale, oltre che economica,
dell’impresa.

È evidente il ruolo della comunicazione d'impresa quale strumento per la


creazione di valore condiviso: senza comunicazione è impossibile che le parti
di un sistema organizzativo possano funzionare e quindi possano essere coordinate
per il raggiungimento di un vantaggio competitivo. La comunicazione perde quindi i
connotati tipici di una disciplina funzionale e specialistica e tende sempre più a
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divenire elemento permeante l'impresa nella sua interezza.

La reputazione è l’elemento distintivo dell’impresa nel suo ambiente competitivo,


non imitabile in quanto connessa alle caratteristiche intrinseche dell’organizzazione,
intangible asset che si costruisce nel tempo e basata sul nesso esistente tra la e la
corporate image.

La corporate reputation, infatti, costituisce una delle principali determi-


nanti del valore aziendale e la base su cui costruire un vantaggio competiti-
vo: questo perché essa rappresenta un driver che opera trasversalmente below the
line, conseguente alle azioni e alle iniziative stesse intraprese dall'azienda. La
reputazione può essere definita come il "giudizio diffuso e sedimentato nel tempo
che i diversi stakeholder danno della credibilità delle affermazioni dell'impresa, della
qualità dei suoi prodotti e della responsabilità delle sue azioni". Il duplice ruolo della
corporate reputation è legato alla possibilità di ridurre l'incertezza, sia dal punto di
vista degli stakeholder, che vedranno ridotte le asimmetrie informative e un
conseguente risparmio in termini di costi necessari per la ricerca delle informazioni
dirette sull'agire dell'organizzazione, sia dal punto di vista dell'organizzazione stessa,
che avrà la possibilità di sviluppare una relazione stabile con i propri interlocutori e
una maggiore consapevolezza ed efficacia nel fronteggiare le minacce derivanti
dall’ambiente circostante.

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Capitolo 4- la comunicazione: approccio integrato e strategico
La comunicazione aziendale ha un ruolo fondamentale
per la reputazione, in quanto:
• Aiuta a delineare un percorso logico per interpretare correttamente le
aspettative degli stakeholder.
• Definisce gli strumenti più adeguati a tradurre le aspettative in atteggiamenti
favorevoli all’organizzazione
In generale, i processi e i canali della comunicazione aziendale creano un nesso tra
Corporate Identity e Corporate Image.

la comunicazione può essere interpretata come:


• Espressione di sintesi dell’orientamento strategico e dell’approccio relazionale
che l’impresa segue nel tempo.
• Strumento per anticipare e partecipare al cambiamento.
• Capacità di sviluppare sinergie con i propri stakeholder interni ed esterni.
• Capacità di organizzare le risorse secondo una prospettiva coerente con la
vision e la mission aziendale.
• Modalità tramite cui l’impresa riesce ad ottenere e migliorare la propria
unitarietà sistemica, a creare valore e diffonderlo all’esterno.

Negli anni si è evoluto il concetto ed il ruolo della comunicazione, essa nasce e si


sviluppa come leva di business. Di recente, tuttavia, si è sviluppato un «approccio
sistemico» alla comunicazione d’impresa, nel c.d. «paradigma di comunicazione
integrata», la comunicazione diviene elemento essenziale per il consolidamento
della cultura distintiva ed il raggiungimento di un vantaggio competitivo. La finalità
sostanziale della comunicazione è rafforzare e preservare la corporate reputation.

Il paradigma della comunicazione integrata si basa sul coinvolgimento e la


corretta coordinazione delle diverse "aree" dell'organizzazione, dalla cui interazione
dipende l'efficacia della strategia complessiva dell'impresa. La segmentazione degli
stakeholder, porta pertanto a definire le componenti del paradigma comunicativo,
effettuando la seguente distinzione:
• Comunicazione interna: rivolta al pubblico interno all'impresa, influisce su
comportamenti e processi decisionali al fine di sviluppare una forza coesiva. I
flussi di comunicazione interna riguardano il personale interno all'impresa e
hanno l'obiettivo di favorire la condivisione dei valori aziendali e la
partecipazione ai processi decisionali, al fine di incrementare una forza
coesiva nell'organizzazione;
• Comunicazione esterna: rivolta ai soggetti appartenenti al contesto entro il
quale l'impresa opera, ha lo scopo di integrare l'impresa con i suoi diversi
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ambienti di riferimento.

In funzione delle diverse categorie di destinatari, le aree coinvolte nel paradigma di


comunicazione possono essere ricondotte a quattro ambiti:
• Comunicazione istituzionale (corporate e specialistico-funzionale)
• Comunicazione commerciale (di brand e operativa);
• Comunicazione interna (organizzativa);
• Comunicazione economico-finanziaria (investor relations).
Ciascuna delle aree del paradigma di comunicazione è contraddistinta da propri
tratti peculiari in termini di: target di riferimento, ambito di applicazione,
obiettivi perseguiti, strumenti e linguaggi adottati.

La comunicazione commerciale (o di marketing) costituisce l'area di comuni-


cazione finalizzata ad instaurare e governare le relazioni con i consumatori e
clienti, diffondendo il valore del proprio marchio e/o le caratteristiche di un
determinato prodotto e servizio. In tale categoria rientrano due diverse tipolo-
gie di comunicazione, che differiscono in relazione all'obiettivo generale per-
seguito, agli strumenti e alle tecniche impiegate: la comunicazione di brand e
la comunicazione di prodotto. La comunicazione commerciale assolve anche la
funzione di diffondere la conoscenza delle caratteristiche dei prodotti offerti, al fine
di soddisfare le aspettative di consumo di specifici segmenti di consumatori e di
indirizzarne il processo di acquisto. Di conseguenza, la strategia di comunicazione
sarà rappresentata dall'insieme delle decisioni riguardo a:
• Target da raggiungere attraverso i canali di comunicazione (non sol- tanto
clienti, ma anche intermediari e partner commerciali);
• Obiettivi specifici perseguiti (posizionamento, incremento delle ven-dite,
miglioramento della relazione con i clienti, ecc.);
• Strumenti impiegati (definiti all'interno del communication mix).
Gli ambiti applicativi della comunicazione commerciale sono: CRM ossia customer
relationship management e il Marketing internazionale.

La comunicazione istituzionale di tipo corporate rappresenta un asset strategico, che


riguarda l'impresa nella sua interezza e pone al centro del messaggio la sua identità,
i suoi valori e i suoi progetti, anziché specifici elementi relativi alla sua attività. Il fine
sostanziale della comunicazione istituzionale è il consolidamento della corporate
reputation, facendo leva sulla consonanza di lungo periodo tra la corporate image e i
valori e aspettative dei vari stakeholder. Di conseguenza, essa andrà a rappresentare
l'insieme delle iniziative intraprese a livello corporate per favorire la conoscenza
degli elementi identitari dell'organizzazione. Gli ambiti applicativi di tale
comunicazione sono:
• Public affairs & lobbying
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• Crisis communication
• Comunicazione sociale e ambientale (CSR)
• Comunicazione culturale

La comunicazione organizzativa (interna) è tradizionalmente definita come la


comunicazione che si svolge entro i confini giuridici di un'organizzazione, con
l'obiettivo generale di incrementare e consolidare il coinvolgimento dei
collaboratori, il loro senso di appartenenza e la partecipazione al raggiungimento
degli obiettivi d'impresa. In generale, essa viene sviluppata con la finalità di proporre
un'identità coesa e una cultura forte all'interno dell'organizzazione, favorendo
l'allineamento degli obiettivi dei dipendenti agli obiettivi strategici
dell'organizzazione. Gli ambiti applicativi della comunicazione organizzativa sono le
conventions e gli eventi aziendali.

La comunicazione economico-finanziaria mira ad informare quei soggetti che a vario


titolo sono interessati a comprendere strategia, politiche gestionali, performance
economiche e finanziarie, progetti di merger & acquisition e le variabili competitive
in cui si inserisce l'azione dell'impresa. L'obiettivo, pertanto, consiste nella capacità
di alimentare la fiducia da parte dei pubblici di riferimento rispetto alle attività
svolte dall'impresa, rassicurandoli sulla buona situazione economica e finanziaria e
informandoli sulle prospettive future. Gli ambiti applicativi della comunicazione
economico-finanziaria sono le comunicazioni «price sensitive», relazioni periodiche
e lettere agli azionisti, pubblicità finanziaria, relazioni con i media e rating.

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Capitolo 7 - la corporate comunication
La crescente importanza della corporate communication nel contesto delle strategie
aziendali è da ricollegarsi all'evoluzione nel tempo del concetto di valore.
Storicamente il valore di un'azienda equivaleva a quello ad essa attribuito dagli
azionisti e, pertanto, veniva misurato esclusivamente
in termini economici. Il successo di un'azienda dipende anche dal consenso di cui la
stessa gode presso una molteplice varietà di stakeholder. L'evoluzione del concetto
di valore porta con sé un radicale cambiamento
nel modo di comunicare delle aziende che devono trovare strategie idonee ad
interagire con pubblici diversi, senza però perdere l'unicità e l'identità del loro
messaggio. Il punto di equilibrio di questa complessità è rappresentato dalla
corporate communication. È l’opinione prevalente degli appartenenti ad un
determinato gruppo di persone rappresentativo della popolazione di riferimento,
assume rilevanza quando raggiunge un adeguato livello di organizzazione. Ogni
organizzazione è coinvolta nel processo decisionale pubblico nel tessuto sociale a cui
appartiene. Pertanto, essa dovrà̀ osservarne attentamente le dinamiche e attivare
relazioni proattive con i diversi interlocutori, per contribuire a orientare l’opinione
prevalente in una direzione favorevole ai suoi obiettivi.

Per corporate communication, o comunicazione istituzionale (in questa sezio.


ne useremo in modo intercambiabile i due termini), si intende l'insieme delle
attività di comunicazione generate da un'azienda, o da qualsiasi altro ente, per
raggiungere gli obiettivi prestabiliti. La comunicazione istituzionale si riferisce,
infatti, a quel complesso di attività attraverso cui un'azienda, o un altro soggetto,
comunicano la propria visione, la propria immagine, l'identità, la storia e i propri
valori ai dipendenti, ai clienti, agli investitori e all'opinione pubblica in senso ampio.
La comunicazione istituzionale pone al centro del suo messaggio l'impresa nel suo
insieme, anziché aspetti specifici come i prodotti, il management o i risultati
economici, i quali sono propri di altre tipologie di comunicazione quali,
rispettivamente, quella commerciale (marketing), gestionale ed economico-
finanziaria. La comunicazione istituzionale è l'insieme che raccoglie in sé tutti gli altri
aspetti di comunicazione, per formare una voce sola, non solo nel senso di unitaria,
ma anche, e soprattutto, di unica.

In generale essa persegue la finalità di:


• Far conoscere e di diffondere la propria mission
• Affermare il posizionamento dell’impresa presso i propri interlocutori
• Influire sugli atteggiamenti dei pubblici di riferimento
• Supportare e contribuire alle scelte strategiche e di lungo periodo
I contenuti della corporate comunication sono di tipo:
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• Generale: finalizzata al governo complessivo della comunicazione d’impresa.
• Specialistico-funzionale: finalizzata al contatto con interlocutori non
raggiungibili dalle altre aree.
In questo senso coerenza ed integrazione sono requisiti essenziali per la
comunicazione istituzionale nell’esercizio del suo duplice ruolo.
Ossia cercare la coerenza tra:
• Il modo in cui le imprese si presentano e appaiono agli occhi di tutti;
• Il modo in cui comunicano attraverso i diversi canali e il modo in cui
enunciano le proprie idee;
• Il modo in cui difendono i propri interessi e la propria visione del mondo;
• La realtà oggettiva dei comportamenti dell'azienda.
Per questo la costruzione della reputazione necessita di un approccio specifico che si
distingue sia dalla brand image, che rappresenta un mondo evocativo carico di
promesse emozionali e valoriali, sia dalla customer satisfaction, che consiste in una
valutazione soggettiva espressa a seguito del contatto con il brand, sia dalla
corporate social responsibility, focalizzata su tematiche di sostenibilità ambientale e
sociale e che rappresenta, come abbiamo avuto modo di vedere, solo uno dei driver
di reputazione.

La finalità della comunicazione istituzionale è il consolidamento della corporate


reputation, ciò avviene:
• Favorendo la conoscenza di elementi identitari
• Creando associazioni mentali
• Formando le aspettative degli stakeholder
• Agevolando la congruenza fra percezioni e valori
La reputazione è fatta da stima, rispetto, fiducia perché queste cose sono credibili.
L’evoluzione della corporate reputation è la corporate loyalty cioè l’affiliazione alla
marca.

Nel contesto della comunicazione istituzionale, l'ufficio stampa rappresenta il


soggetto responsabile dell'insieme di attività rivolte ai media con l'obiettivo di
trasferire all'opinione pubblica un messaggio aziendale volto a creare un giudizio
positivo e favorevole sull'azienda stessa. Le attività di ufficio stampa sono di
fondamentale importanza, in particolare, per definire le modalità con le quali i temi
oggetto di dibattito vengono proposti all'opinione pubblica.
Strettamente collegata alle media relations è la comunicazione di crisi.
le crisi necessitano di un approccio strutturato potenzialmente in grado di
trasformarle in opportunità. Una crisi ben gestita può infatti contribuire a rafforzare
la credibilità di cui gode l'impresa. Perché ciò accada è fondamentale che nei
momenti di crisi la società comunichi in modo tempestivo e trasparente le proprie
posizioni, sia verso l'interno sia verso l'esterno, utilizzando una pluralità di
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strumenti, mediati e/o
diretti, diversi, ma tutti fortemente coordinati e integrati tra loro.
Lo stakeholder engagement viene realizzato effettuando una mappatura
del peso attribuito da ciascuno stakeholder ai diversi parametri che influiscono sulla
reputazione aziendale, in modo da ricavarne indicazioni utili a supporto della
pianificazione strategica di business e all'individuazione di aree di intervento
prioritarie in campo sociale e ambientale. Il risultato di questo sforzo viene spesso
pubblicato in un bilancio sociale che mira a rappresentare la dimensione sociale
verso cui la politica aziendale tende e il valore aggiunto generato a beneficio degli
stakeholder.

La comunicazione può essere interpretata come:


 Espressione di sintesi dell’orientamento strategico e dell’approccio relazionale
che l’impresa segue nel tempo.
 Strumento per anticipare e partecipare al cambiamento
 Capacità di sviluppare sinergie con i propri stakeholder interni ed esterni.
 Capacità di organizzare le risorse secondo una prospettiva coerente con la
vision e la mission aziendale.
 Modalità tramite cui l’impresa riesce ad ottenere e migliorare la propria
unitarietà sistemica, a creare valore e diffonderlo all’esterno.

La gamma degli stakeholder che pongono vincoli, condizionamenti è molto ampia.


Una possibile classificazione riguarda l’influenza esercitabile e la “vicinanza” rispetto
all’organizzazione, bisogna tener conto delle aspettative di tutti i portatori di
interesse è essenziale per la legittimazione sociale, oltre che economica,
dell’impresa.

Le leve della corporate comunication sono:


• Brand management
• Media relations
• Public affairs
• Eventi e sponsorizzazioni
• Comunicazione culturale
• Lobbying
• Crisis communication
• Corporate Social Responsibility

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Capitolo 8 - comunicazione economico-finanziaria
Attraverso la comunicazione economico-finanziaria l’impresa ricerca il consenso
attorno al proprio indirizzo strategico e alle proprie politiche gestionali, anche degli
altri soggetti interessati, a vario titolo, alle sue performance economiche e
competitive. La comunicazione economico-finanziaria si distingue dalle altre aree
della comunicazione d’impresa, interessandosi in modo specifico dell’informazione
relativa agli aspetti economici, finanziari e patrimoniali della gestione aziendale. La
comunicazione economico-finanziaria riguarda l’evoluzione dell’assetto reddituale,
finanziario e patrimoniale dell’impresa.

La comunicazione economico-finanziaria di una società quotata è il complesso delle


comunicazioni dell'azienda nei confronti dei diversi stakeholder, tramite qualsiasi
canale, in merito all'evoluzione dell'assetto reddituale, finanziario e patrimoniale
dell'impresa, di comunicazione.

La comunità finanziaria può essere divisa in due categorie di soggetti: buy-side e sell-
side.
 Buy-side: Fondi di investimento, banche, assicurazioni, società finanziarie
(Investitori istituzionali), gli investitori sulla base dello stile di investimento e
consultando i report pubblicati dal sell side, acquistano titoli (Shareholders) o
obbligazioni (Bondholders) delle società quotate anche
 Sell-side: Banche e società di intermediazione mobiliare (SIM), società di
rating, l’analista Equity (del mercato azionario) valuta la strategia di crescita e
la capacità reddituale. Pubblica un report assegnando un Target Price e un
Rating alla luce del potenziale andamento del titolo rispetto al Target Price.
L’analista del credito valuta la sostenibilità della struttura finanziaria. Emette
un report assegnando un credit rating all’emittente.

L'informazione societaria è di due tipi:


 Mandatory disclosure (informativa obbligatoria), per garantire un livello
minimo di trasparenza;
 Voluntary disclosure (informativa volontaria), ad integrazione dell'informativa
a carattere obbligatorio.

Le società quotate al fine di tutelare gli investitori diffusi tra il pubblico sono
soggette a maggiori obblighi (Mandatory disclosure) dagli organi di vigilanza
(CONSOB e Borsa Italiana). La normativa mira principalmentea disciplinare:
 Struttura societaria e relativa corporate governance
 Trasparenza informativa e abusi nell’uso dell’informazione
Il rispetto della normativa di riferimento ha determinato impatti sia
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sull’organizzazione della società quotate che sulle modalità di comunicazione al
mercato, favorendo l’intensificazione di quelle procedure necessarie al trattamento
delle informazioni privilegiate o price sensitive (informazioni non note che se rese
pubbliche potrebbero influire in modo sensibile il prezzo del titolo) e obblighi sui
soggetti rilevanti (coloro che hanno accesso continuativo alle informazioni
privilegiate).

In Italia il Network Information System (NIS) è il primo strumento e canale


di comunicazione al mercato. Tutti i comunicati ricevuti da Borsa Italiana attraverso
il NIS vengono automaticamente archiviati e trasformati in Avviso di Borsa e,
pubblicati quotidianamente sul sito internet della Borsa. Il circuito provvede, inoltre,
a ritrasmettere automaticamente i comunicati immessi.

Le società sono poi soggette alla voluntary disclosure, la capacità di leggere il


contesto dei mercati, le loro tempistiche e la necessità di individuare la migliore
strategia di comunicazione per gestire la cosiddetta voluntary disclosure è oggi un
must have. Se è vero che la comunicazione finanziaria obbligatoria risponde a
specifche esigenze di trasparenza verso il mercato, la comunicazione volontaria
generalmente risponde a specifici obiettivi dell'impresa tra cui la valorizzazione degli
asset tangibili aziendali.

L’informazione è efficace quando:


 È di qualità
 È continua: Un flusso costante e uniforme di informazione deve legare i
diversi momenti della comunicazione, con il susseguirsi di momenti
istituzionali (riunioni del CdA e assemblee degli azionisti), momenti rilevati
non ripetitivi (M&A o annunci di price sensitive), momenti rilevanti ordinari
(incontri con la comunità finanziaria), momenti sfavorevoli.
 È coerente: quando c’è seimmetria di comunicazione per le informazioni price
sensitive, di questo se ne occupa l’autorità di vigilanza e il codice di
comportamento; quando si gestiscono le aspettative con il controllo e la guida
del consenso degli analisti finanziari per evitare una dispersione delle stime in
circolazione; quanto c’è un accentramento delle responsabilità di investor
relations.

Con il termine investor relations (IR) si intende la responsabilità di gestione


strategica che integra finanza, comunicazione, marketing e ottemperanza alle
normative sui titoli quotati per garantire una comunicazione bilaterale efficace tra
azienda, azionisti, comunità finanziaria e altre controparti, contribuendo, quindi, al
conseguimento di un'equa valutazione dei titoli di una società e
all'abbassamento dei suoi costi di capitale. investor relation è il termine impiegato
16
per descrivere la costante attività di comunicazione tra le società e la comunità di
investimento. L'investor relator (IRO) in estrema sintesi è di supporto al
management per individuare, laddove esista, il gap fra il valore dell'azienda e ciò che
viene prezzato dal mercato. L’Investor Relations Officer è un soggetto rilevante e
rappresenta il punto di riferimento dei flussi informativi dell’azienda verso e
dall’esterno. Ha il compito di favorire il dialogo tra l’azienda e la comunità finanziaria
cercando di garantire uno scambio di informazioni puntuale e costante con
l’obiettivo primario di spiegare le vicende aziendali in modo credibile e trasparente.
Le competenze sul business dell’azienda e sul mercato di riferimento sono pertanto
elementi cruciali per la trasmissione delle strategie aziendali e per la trasmissione
del valore. I rapporti con la comunità finanziaria fanno principalmente riferimento ai
flussi informativi con gli investitori istituzionali e analisti, ovvero con i professionisti
del mercato finanziario. La relazione con i cosiddetti piccoli azionisti o azionisti retail
(che hanno limitata conoscenza della società) è gestita con canali e modalità
differenti (ie: media). Obiettivo primario di tali rapporti è di spiegare le vicende
aziendali in modo credibile e trasparente.

L’Investor Realtions Officer utilizza una serie di strumenti necessari a supportare lo


scambio di informazioni tra mercato ed azienda, facilitando la percezione del
mercato stesso da parte del Top Management. È necessario, pertanto, assicurare
una informativa periodica al Top Managment relativamente l’evoluzione della
composizione e peculiarità della base azionaria (Shareholders ID) e obbligazionaria
(Bondholders ID) e l’andamento dei mercati mobiliari e di riferimento attraverso
documenti specifici (Analisi di borsa, Consensus; Stock Monitor).

I migliori IR riescono ad ottenere quella che è definita la guida del consensus: la


capacità di contenere le stime in un range quanto più possibile contenuto. Più
stretta è la forchetta delle diverse previsioni degli analisti, più bassa è la volatilità. Il
Consensus è un indicatore di sintesi delle aspettative del mercato, e si compone di
una serie di stime prospettiche di conto economico e stato patrimoniale, elaborate
dai principali analisti finanziari nazionali e internazionali sulla base di modelli
economico finanziari.
Il Consensus si esprime in sintesi attraverso due elementi chiave:
1. Target Price: stima del valore dell’azienda; prezzo di mercato che l’analista
ritiene verrà raggiunto dal titolo entro un certo arco temporale (generalmente
un anno).
2. Rating: categoria di investimento e livello di rendimento atteso assegnata al
titolo (neutral, buy, sell).
Il Consensus monitora la valutazione dei mercati finanziari verso il titolo
azionario analizzando i principali aspetti economico-finanziari attuali e
prospettici offrendo un feedback al top management e ai finanziatori.
17
Capitolo 9 - comunicazione interna (organizzativa)
La comunicazione assume un ruolo chiave e diventa una variabile struttu-
rale e strategica del cambiamento, a partire dall'interno dell'organizzazione.
Di conseguenza, è di vitale rilevanza la creazione di un sistema di comu-
nicazione interna per sviluppare una nuova politica del dialogo, fondata sulla
condivisione della mission e vision aziendale, delle conoscenze e valori, sulla
realizzazione di nuovi processi di apprendimento e, in generale, sul coinvolgi-
mento diffuso delle risorse che partecipano al funzionamento e allo sviluppo
dell'organizzazione. La comunicazione interna costituisce un elemento basilare per il
funzionamento della struttura organizzativa. Essa può essere considerata come
l'insieme dei processi di scambio e di tutte le interazioni tra i membri
dell'organizzazione per la formulazione della strategia d'impresa e il perseguimento
del vantaggio competitivo. Essa diviene lo strumento per dar vita all'insieme di idee,
valori, comportamenti e credenze e per diffondere gli stessi nei confronti di tutti gli
individui che fanno parte dell'organizzazione, affinché ne rappresentino il modello di
riferimento. Da una parte, consiste nel principale canale per diffondere la mission e
la vision aziendale all'interno dell'organizzazione. essa intende realizzare un
allineamento tra gli obiettivi aziendali e quelli degli individui che ne fanno parte
affinché sia possibile realizzare più efficacemente il processo di reputation
management. Dall'altra, si pone quale obiettivo la diffusione di nuova conoscenza e
di processi di apprendimento, affinché sia garantita una maggiore comprensione
delle esigenze organizzative e vengano adottate le azioni più adeguate per
perseguire gli obiettivi dell'impresa.

Fine ultimo della comunicazione interna è infatti quello di sviluppare delle


procedure per la gestione delle parti dell'organizzazione e sviluppare sinergie tra gli
individui che ne fanno parte, cosicché l'impresa disponga degli strumenti necessari
per comprendere le problematiche e gli stimoli provenienti dal contesto di
riferimento e sappia attivare dei processi funzionali a garantire un allineamento con
lo stesso. La comunicazione interna è il principale strumento di organizzazione
sistemica delle risorse interne, al fine di coinvolgere le stesse nella creazione e
diffusione del valore per l'impresa. Da una parte, esse saranno coinvolte
attivamente nel processo di creazione di valore condiviso per l'organizzazione.
Dall’altra, obiettivo dell'organizzazione sarà puntare sul contributo delle risorse
interne per diffondere nuovo valore, attraverso la valorizzazione delle relazioni, la
creazione e lo scambio di conoscenze per migliorare l'immagine e la credibilità
strategica dell'impresa.

18
Nel nuovo scenario cambiano gli attori ed i ruoli, l’accountability assume un ruolo
decisivo per garantire l’autorevolezza della comunicazione. I protagonisti della
comunicazione sono chiamati ad apparire dal vivo, è essenziale la riassegnazione dei
ruoli, con un maggior coinvolgimento delle figure apicali e di rappresentanza.
E quindi è indispensabile:
 Sapersi relazionare appropriatamente con i colleghi e saper accettare i loro
difetti.
 Abbandonare la tradizionale formalità della comunicazione per rendere il
giusto peso ai nuovi bisogni e disagi.
 Cambiare il tone of voice, che deve avere un ruolo di leadership per indicare
una chiara direzione e stimolare la motivazione.
 Gestire le relazioni attraverso intelligenza emotiva ed empatia, i pilastri per
guidare le persone verso un obiettivo comune.

La comunità aziendale rappresenta il primo pubblico di riferimento per l’attuazione


della strategia, è il vettore decisivo per veicolare messaggi verso altri pubblici
strategici. Il decentramento delle decisioni e del potere a vantaggio della comunità
aziendale «amplifica» la questione su come comunicare verso l’interno
dell’organizzazione. È quindi necessario sviluppare un clima organizzativo
coinvolgente ed attrattivo nell’ambito dei processi interni.

La comunicazione interna può essere definita come l’insieme di attività, iniziative e


strumenti volti a costruire un flusso di informazioni e conoscenze per i dipendenti, si
caratterizza per il fatto di avvenire entro i confini giuridici dell’organizzazione, si
sviluppa secondo due direzioni:
 top-down (avvisi, riunioni, intranet, ecc....)
 bottom-up (questionari, colloqui individuali e di gruppo, ecc....)

Negli ultimi anni, le imprese hanno adottato un nuovo atteggiamento, consapevoli


dell’importanza di proporre un’identità coesa e una cultura forte, innescare un
processo di identificazione fra gli individui e l’organizzazione ed allineare i
comportamenti dei dipendenti agli obiettivi strategici dell’organizzazione. Obiettivo
della comunicazione è rivelare l’identità aziendale e favorire lo sviluppo della cultura
organizzativa.

La cultura organizzativa è l’insieme di credenze, valori e obiettivi percepiti dai


membri dell’organizzazione Assolve due funzioni critiche:
 Disciplinare i membri dell’organizzazione per favorire interazioni adeguate ed
atteggiamenti coerenti con la strategia dell’impresa.
 Favorire la capacità dell’organizzazione di adattarsi agli stimoli dell’ambiente
esterno.
19
Essa assicura che le persone condividano le finalità dell’impresa e assumano tutte le
iniziative per rafforzare l’identità e trasferire un’immagine positiva all’esterno. Nasce
per promuovere comportamenti attivi a tutti i livelli dell’organizzazione, il valore
delle risorse umane è connesso alla creazione di un clima motivante e che favorisca
il senso di appartenenza.

La comunicazione diventa un’attività che incide sui processi organizzativi


(conoscenze diffuse, innovazioni locali, tecnologie a supporto), pratica diffusa di
elaborazione della cultura interna (conversazioni, scambi informali, passaparola,
reti, narrazioni) e attività di soggetti attivi in tutte le aree dell’organizzazione.

La comunicazione organizzativa si divide in 4 parti:


1. Comunicazione funzionale
2. Comunicazione strategica
3. Comunicazione formativa
4. Comunicazione creativa

I contenuti della comunicazione organizzativa sono distinguibili in due grandi


famiglie:
 Comunicazione d’informazione: è la comunicazione ufficiale che ha come
obiettivo quello di aumentare il livello di conoscenza dei destinatari (fatti,
cifre, nomi, dati, elementi di scenario).
 Comunicazione di coinvolgimento: è la conversazione informale che ha lo
scopo di attivare energie psichiche verso un determinato obiettivo (valori,
minacce, sfide, rassicurazioni).

L’organizzazione deve creare le condizioni per lo sviluppo dei soggetti al suo interno
 Enabling
L’ambiente di lavoro: La struttura, il design, la disposizione degli spazi
Il clima organizzativo: Indagini di clima, communication audit
 Empowering
Strutturale: tecniche manageriali volte al potenziamento del ruolo dei soggetti
Psicologico: analisi della reazione cognitivo- psicologica al potenziamento del ruolo
organizzativo.

Gli strumenti di comunicazione interna sono tipicamente classificati in


funzione dell'entità di informazioni trasmesse. Essi si possono distinguere in
strumenti "caldi" e "freddi", Gli strumenti caldi sono utilizzati per sviluppare
maggiore coinvolgimento, per rendere i dipendenti partecipi dei processi
aziendali, per attenuare le conflittualità, o semplicemente per stimolare un clima
proattivo e si caratterizzano per il fatto di indirizzare messaggi nei confronti di tipici
20
target di soggetti. Essi vengono impiegati principalmente nell'ambito della
comunicazione valoriale e assumono un linguaggio tipicamente informale e
colloquiale. Viceversa, gli strumenti di comunicazione "fredda" hanno la finalità di
informare e/o di trasmettere con efficacia notizie, procedure e disposizioni, nei
confronti di un pubblico ampio ed eterogeneo, in tempi rapidi e al fine di ottimizzare
il processo organizzativo. Essi si caratterizzano per il fatto di definire dei flussi
informativi standardizzati e spesso unidirezionali.

Il piano di comunicazione interna rappresenta l'insieme delle iniziative e delle


azioni adottate in maniera sistematica delle organizzazioni per favorire il
consolidamento dell'ambiente organizzativo e realizzare il coordinamento delle
risorse in vista del perseguimento della strategia complessiva dell'impresa.
Esso si compone di 4 passaggi:
1. Il brief (o briefing): ricerca, individuazione e disamina di tutte le informazioni
utili per inquadrare il contesto entro e in funzione del quale elaborare il piano
di comunicazione organizzativa. Dalla sua accuratezza e precisione dipendono
l’efficacia e quindi il buon esito del progetto: più elementi conoscitivi rilevanti
saranno acquisiti e correlati, più la fotografia risulterà “fedele all’originale” e
quindi attendibile e rappresentativa.
2. Pianificazione: attraverso il processo di pianificazione, vengono individuati ed
esplicitati gli obiettivi da perseguire attraverso il piano di comunicazione
organizzativa e le conseguenti azioni da mettere in atto per realizzarli.
3. Attuazione: consiste nella definizione e messa in atto del programma di lavoro
necessario per la realizzazione del piano. L’attivazione di ciascuno strumento e
lo svolgimento delle azioni necessarie per la sua implementazione,
l’attribuzione dei compiti e delle responsabilità ai vari attori coinvolti e la
definizione dei tempi di esecuzione di ogni attività sono e devono essere il
risultato di un percorso di condivisione, confronto e mediazione fra i diversi
soggetti chiamati in causa dal progetto.
4. Controllo e valutazione: rappresentano un momento di verifica finale sul
livello di raggiungimento degli obiettivi prefissati (è comunque necessario
eseguire una sorta di pretest del piano o di alcune delle sue parti). Il controllo
e la valutazione forniscono anche elementi e indicazioni utili per elaborare il
piano di comunicazione organizzativa per il periodo successivo.

21
Capitolo 17 – Brand Management
Il brand è al tempo stesso il significante e il significato dell'azienda, un attributo di
forma unificante e unificatore che agisce da collegamento verso gli stakeholder
esterni e da collante tra i dipendenti, basandosi su unitarietà di valori tangibili e
intangibili che ne caratterizzano la promessa.
La marca ha il ruolo fondamentale nella creazione e difesa del vantaggio
competitivo, e costituisce perciò un asset aziendale di natura immateriale dotato di
attributi del tutto particolari.

Quando si parla di brand ci sono 4 temi importanti:


 Brand awareness: la capacità della marca di essere riconosciuta e ricordata
durante il processo di acquisto. I social network hanno aggiunto alla
riconoscibilità il concetto di engagement come volano del rapporto.
 Perceived quality: la qualità percepita nell'erogazione rispetto a quella attesa.
 Brand association: tutto quanto risulta collegato alla marca in termini di
attributi, benefici, e valori. Aiuta il posizionamento del prodotto e contribuisce
alla motivazione all'acquisto. In questo senso la corporate social responsibility
è una leva sempre più strategica.
 Brand loyalty: la scarsa attitudine verso la concorrenza. Il cliente ripete
l'acquisto e attiva il passaparola.

Si identifica in quattro fasi il processo di creazione di valore:


1. Identity: la consapevolezza della marca che ha il consumatore.
2. Meaning: il significato che un consumatore attribuisce a un brand e deriva
dalle sue esperienze dirette e indirette.
3. Response: i giudizi che il brand e i programmi di marketing generano nel
consumatore.
4. Relationship (what about you and me?): la relazione che i consumatori hanno
con la marca e che, ovviamente, dovrebbe essere basata su fedeltà e fiducia.

Tutti i soggetti attivi hanno un brand. Anche le persone, in qualunque stato di


avanzamento di carriera siano, devono tener presente i concetti di brand personality
e di personal branding. Ossia della necessaria coerenza tra il proprio modo di essere
e il modo di porsi. Le persone, come gli organismi, devono riflettere sul proprio
agire, social e non solo, nella consapevolezza che si trasforma immediatamente in
storytelling, lascia traccia.

Passando dalla componente strategica agli strumenti di lavoro, il primo di cui


dobbiamo dotarci è il brand identification system. Intendiamo l’insieme dei segni
22
verbali e iconici che, attraverso meccanismi di denotazione e connotazione,
esprimono l’identità di una marca attraverso policy e tecniche per un’efficace e
efficiente gestione dell’insieme stesso. Sono strumenti del brand identification
system il nome stesso della marca, il design distintivo (visual identity, immagini,
colori, package), i simboli, il payoff, fino al jingle sonoro. L’azienda per gestire
correttamente i suoi segni distintivi si deve dotare di due strumenti che contengono
le linee guida di origine strategica e le indicazioni operative per il management della
visual identity: il brand book e il manuale di visual identity.

Il brand può essere denotativo (suggestive brand name), ossia può presentare
significati direttamente connessi al prodotto (es. Perlana, Vetril...) e ha la capacità di
essere ancora di più elemento di efficienza del costo di acquisizione del cliente
minimizzando l'asimmetria informativa.
La seconda categoria di brand name è di nomi connotativi, per i quali si
associa un meccanismo soggettivo di astrazione o associazione simbolica. Rientrano
in questa categoria i termini con valore evocativo di tipo fonetico oppure parole con
valenza evocativa di origine semantica (Magnum, Smart), gli acronimi (FIAT, TIM).
Categoria a sé i nomi e cognomi, che acquisiscono significatività grazie alla
comunicazione e all'esperienza di marca (Gucci, Missoni, Prada, Ferrari).
L'altro elemento strutturale del brand identification system è il logo.

La brand image consiste in un sistema di associazioni mentali riguardanti una data


marca ed è conseguenza delle strategie e delle politiche di comunicazione tanto
quanto delle politiche di prodotto, vendita e post-vendita. Va misurata regolarmente
per valutare se l’immagine percepita è coerente con le convinzioni interne
all’azienda stessa. I brand creano valore tangibile e misurabile perché hanno minore
sensibilità al prezzo del cliente finale e consentono un maggior differenziale di
prezzo accettabile (premium price). Una marca forte è meno vulnerabile verso i
concorrenti, perché può contare sulla fedeltà dei clienti e sulle componenti emotive
del legame creato. Ha maggiore potere contrattuale sul trade ed è più proteggibile
contro le imitazioni. In sintesi, i brand non sono mai stati così importanti.

23
Capitolo 18 – introduzione alle tecniche di advertising
La campagna pubblicitaria rappresenta l’insieme delle attività promozionali,
sviluppate in coerenza con il piano di marketing, rivolte ai consumatori con
l’obiettivo di provocarne una reazione e trovare una soluzione per gli obiettivi
strategici o tattici dell’azienda.

Il primo step consiste nel decidere se la pianificazione della campagna debba


avvenire internamente all'organizzazione, affidando al dipartimento pubblicitario il
compito di svolgere tale attività, ovvero se sia più opportuno affidare ad un soggetto
esterno, dotato di specifiche competenze e requisiti professionali, il compito di
sviluppare la campagna pubblicitaria.

INTERNAMENTE
In questo caso il dipartimento interno si occupa di ogni fase della campagna, dalla
definizione del budget, alla scelta dei canali fino alle fasi esecutive del processo.

ESTERNAMENTE
In tali circostanze, il dipartimento interno “collabora” con l’agenzia occupandosi
delle attività legate a: budget per la campagna, approvazione dei contenuti della
campagna, controllo delle fasi esecutive del processo.

Nel decidere se svolgere internamente o affidare ad una agenzia esterna


l’esecuzione della campagna pubblicitaria bisogna tener conto di:
• Competenze professionali dell’agenzia vs/maggior interesse a tutelare gli
interessi dell’organizzazione da parte delle risorse interne.
• Gestione dei contenuti della campagna vs/tempistiche per lo svolgimento del
processo.
• Costi di commissione all’agenzia vs/ rilevanza del servizio offerto rispetto alla
strategia complessiva.

Tutto il processo si articola in diverse fasi, ciascuna delle quali con una propria
rilevanza. La necessaria premessa è che l’ideazione e realizzazione di qualsiasi
campagna pubblicitaria deve avvenire in sinergia con la strategia di marketing e di
comunicazione complessive. Il brief è un documento predisposto prima della
elaborazione della campagna, attraverso il quale verranno perseguiti la
pianificazione delle linee guida, del metodo di lavoro e degli obiettivi generali.

Il brief rappresenta uno strumento di pianificazione, gestione, consultazione e


24
monitoraggio per il buon esito di qualsiasi campagna pubblicitaria.
Il Brief deve trattare specifici punti essenziali:
1. BRAND IDEA: In questa sezione sono riportate tutte le informazioni relative al
brand e ai valori fondamentali dell’organizzazione (vision e mission). Fase
essenziale per garantire la coerenza della campagna con la strategia
complessiva dell’impresa.
2. ANALISI DELL’AZIENDA, DEL CONTESTO COMPETITIVO E DEL PRODOTTO: Qui
vengono raccolte e presentate le informazioni rilevanti per descrivere la storia
dell’azienda, la sua identità e la cultura organizzativa, i metodi di lavoro e i
processi interni. Oltre che l’analisi della concorrenza, dei punti di forza e delle
debolezze.
3. ANALISI DELLE MINACCE E DELLE OPPORTUNITÀ ESTERNE: Considerazione
degli ostacoli comunicativi cui l’azienda si trova di fronte tra cui: la
configurazione del mercato e del livello di concorrenza, il rischio di
disallineamento della strategia rispetto alle attese e le preferenze dei
consumatori, le minacce derivanti dal settore, ecc.
4. DEFINIZIONE DELLA STRATEGIA DI MARKETING E DEGLI OBIETTIVI DI
COMUNICAZIONE: La campagna pubblicitaria deve mostrarsi coerente
anzitutto con la strategia complessiva di marketing, tenendo conto del target
di clienti, degli obiettivi di vendita e del mercato di riferimento.
Contestualmente, vengono considerati gli obiettivi di comunicazione, che
possono essere legati allo sviluppo della reputazione, alla diffusione dei valori
del brand etc.
5. INDIVIDUAZIONE DEI CONTENUTI DELLA CAMPAGNA: Individuazione della
ratio della campagna pubblicitaria, ossia della promessa che si intende
soddisfare attraverso il processo di vendita (reason why). Inoltre, qui si
definiscono i messaggi che rendono credibile la promessa fatta.
6. DEFINIZIONE DEL BUDGET DELLA CAMPAGNA E PIANIFICAZIONE DEI CANALI
MEDIA DA IMPIEGARE: Quantificazione delle risorse finanziarie a disposizione
e della loro allocazione, in virtù degli obiettivi prefissati e in relazione alla
strategia di marketing. Tale fase, detta anche strategia media, richiede di
pianificare i canali media più adeguati, a fronte delle caratteristiche di ciascun
canale per un efficace raggiungimento del target.
7. CREAZIONE DEL MESSAGGIO E IMPLEMENTAZIONE DELLA CAMPAGNA: La
fase operativa e creativa in senso lato. Elaborazione dei contenuti del
messaggio, sulla base dei risultati prodotti dalle analisi svolte nelle fasi
precedenti.
8. VALUTAZIONE DELL’EFFICACIA DELLA CAMPAGNA: Passaggio complesso che
richiede di effettuare un’analisi delle vendite, il cui impatto può dipendere da
numerosi altri fattori che possono riguardare l’aspetto del prodotto e le sue
caratteristiche, il prezzo, le politiche di promozione e di distribuzione, le
25
condotte da parte dei concorrenti. Può avvenire sia su base storica che
attraverso ricerche sperimentali.

Nella pianificazione di una campagna pubblicitaria la creazione del contenuto del


messaggio deve comunicare nel migliore dei modi al mercato le caratteristiche del
bene o servizi offerto e i benefici ad esso associato.
Pertanto, deve rispondere a due domande:
• COSA COMUNICARE?: Definire il contenuto del messaggio (attraverso la
strategia creativa)
• COME COMUNICARE?: Definire i mezzi con cui comunicarlo (attraverso la
strategia media)

Il primo passaggio essenziale consiste nell’individuare il target di riferimento. Ciò


significa, in altre parole, definire il segmento di mercato a cui il prodotto è destinato,
con l’obiettivo di realizzare un allineamento tra le aspettative del consumatore e
l’utilità che lo stesso può trarre dall’acquisto di quel determinato prodotto.

A partire dal posizionamento che l’impresa intende sviluppare rispetto al suo target
di riferimento, si dovrà definire il contenuto del messaggio che dovrà soddisfare le
seguenti finalità:
• Creare un’esigenza, ossia rendere il prodotto desiderabile;
• Puntare sull’esclusività, ossia trasmettere i suoi tratti distintivi;
• Fornire un’immagine attendibile e quanto più possibile verificabile.

Lo strumento utilizzato all’interno della campagna pubblicitaria per definire


il contenuto del messaggio è la strategia creativa (o copy strategy).
L’implementazione della strategia creativa si basa sulla definizione dei seguenti
requisiti fondamentali:
• Il beneficio complessivo associato al prodotto, che l’impresa intende
trasmettere al target.
• Il tone of voice, ossia il linguaggio e le espressioni da utilizzare per rendere più
efficace il messaggio.

La pianificazione dei canali media consiste nella scelta dei canali più adeguati a
trasmettere il messaggio al proprio target di consumatori. Bisogna trovare la giusta
combinazione per ottenere il miglior risultato a fronte del budget disponibile e degli
obiettivi prefissati.

Per definire una strategia media bisogna:


• Determinare livello di copertura desiderato (estensione del potenziale
26
pubblico);
• Scegliere i principali mezzi di comunicazione da impiegare;
• Definire le tempistiche per lo svolgimento e il completamento della
campagna.

L’efficacia dipenderà principalmente da 3 ragioni:


• Coerenza con gli obiettivi complessivi della campagna pubblicitaria e con la
più generale strategia di comunicazione adottata dall’impresa;
• Ottimizzazione delle risorse finanziarie a disposizione per la campagna;
• Il raggiungimento dei target prefissati (in termini di copertura, di frequenza, di
durata benefici economici e commerciali legati alla campagna).

La scelta di un determinato canale piuttosto di un altro dipende dalle sue


caratteristiche in termini di copertura, frequenza e impatto sulle scelte di acquisto
del target. Un messaggio pubblicitario può essere veicolato tramite diversi canali
scelti in base alla coerenza con lo stesso e alla convenienza in termini di
diversificazione.

La televisione, la stampa, la radio e il cinema rappresentano i media classici

TELEVISIONE
• PRO: elevata copertura e frequenza, costo per contatto ridotto, alta
penetrazione.
• CONTRO: ridotta selettività del target, inadeguatezza per messaggi articolati.

STAMPA
• PRO: autorevolezza e credibilità, flessibilità di distribuzione ed utilizzo.
• CONTRO: elevati costi per contatto e adatto solo a messaggi non interattivi.

RADIO
• PRO: elevata duttilità e tone of voice informale, ridotto costo per contatto ed
elevata copertura.
• CONTRO: non è adeguata per veicolare messaggi interattivi.

CINEMA
• PRO: elevate potenzialità espressive e copertura geografica.
• CONTRO: elevati costi per contatto e difficoltà di rilevazione super partes.

Negli ultimi anni la “rivoluzione digitale” ha letteralmente stravolto tutti i paradigmi


della comunicazione, mettendo l’utente al centro, dando la possibilità ai brand di
sviluppare un dialogo “alla pari” con esso.
27
Questo si traduce in un ruolo sempre più attivo delle community nel processo di
comunicazione e in una personalizzazione degli annunci verso ogni singolo target.
Questa è una grande possibilità per le imprese di poter raggiunger e colpire
l’attenzione del consumatore, in modo da orientare l’intero processo di acquisto
tramite strumenti di monitoraggio e di engagement sempre più sviluppati.

28
Capitolo 24 – le ricerche di mercato e big data
Le imprese, come le organizzazioni di ogni tipo, hanno l’esigenza di comprendere il
mercato in cui operano. In tal senso le ricerche di mercato sono nate insieme al
mercato stesso. Acquisire elementi di conoscenza sulla percezione dei prodotti o dei
servizi (o più in generale dell’azienda), sul prezzo, o su ogni altro fattore, fornisce
alle imprese un vantaggio tangibile, che diventa ancora più grande se queste
informazioni sono finalizzate “ad una precisa decisione, strategica e operativa”.

Il mercato però, soprattutto con l’avanzamento del digitale, sta cambiando sempre
di più passando da un mercato di massa a tanti mercati sempre più frammentati e
meno massificati. Tutto questo porta enormi conseguenze nelle ricerche di mercato,
infatti ad oggi i dati raccolti dagli istituti di ricerca tramite interviste devono essere
integrati con quelli prodotti da ognuno di noi sui canali digitali ogni giorno.

Si tratta di sei passaggi che rimangono validi a prescindere dal metodo di ricerca e
che vanno seguiti in qualunque indagine di mercato:
1. comprensione del contesto;
2. definizione della domanda di ricerca;
3. programmazione della ricerca;
4. raccolta dei dati;
5. trattamento, elaborazione e analisi dei dati;
6. presentazione dei dati.

1. LA COMPRENSIONE DEL CONTESTO: Momento preliminare fondamentale che


richiede trasparenza e collaborazione tra ricercatore e committente. Serve a
comprendere lo scenario di riferimento, il prodotto/ servizio che si intende
valutare e le possibili conseguenze decisionali e operative della ricerca, senza le
quali non è possibile impostare correttamente gli obiettivi dell’analisi. E da
obiettivi non corretti discenderanno dati che nella migliore delle ipotesi saranno
poco utili, se non fuorvianti. Se una banca commissiona una ricerca di mercato
sulle esigenze finanziarie dei giovani italiani che si trovano all’estero per studio o
per lavoro sarà essenziale che committente e istituto di ricerca si confrontino su
informazioni di contesto come l’attuale offerta commerciale della banca in
oggetto e di altre banche in Italia e all’estero o il quadro di regolamentazione
nazionale e sovranazionale sulle attività finanziarie.

2. LA DEFINIZIONE DELLA DOMANDA DI RICERCA: Consente di orientare


precisamente, alla luce del contesto, l’obiettivo della rilevazione. Su uno stesso
contesto o mercato si possono sviluppare domande di ricerca differenti e
ugualmente legittime. Una domanda di ricerca utile, non deve esserlo in astratto
29
ma in relazione alle finalità strategiche e alle esigenze decisionali dell’azienda.
L’obiettivo va infatti sempre collegato al problema decisionale cui si vuole
rispondere. Se il problema decisionale della banca fosse la formulazione di un
nuovo prodotto finanziario dedicato ai giovani all’estero, una possibile domanda
di ricerca potrebbe essere volta a comprendere le dimensioni di questo mercato
e le esigenze finanziarie degli expats italiani under 35.

3. LA PROGRAMMAZIONE DELLA RICERCA: La programmazione della ricerca è


strettamente collegata agli obiettivi, ma è anche dipendente da condizioni
operative come:
• il budget disponibile;
• l’orizzonte temporale;
• la tipologia di persone su cui si vuole indagare;
• gli strumenti tecnologici a disposizione.

4. RACCOLTA DEI DATI: QUANTITATIVO E QUALITATIVO, SMALL E BIG DATA : La fase


della raccolta dei dati è quella nella quale si acquisiscono materialmente,
sebbene in forma ancora “grezza”, le informazioni finalizzate a rispondere
all’obiettivo di ricerca. Ci sono due tipi di ricerche:
• RICERCHE QUANTITATIVE: Permettono di misurare i fenomeni indagati in
termini numerici. Appartengono a questa categoria i sondaggi che si
realizzano in genere sottoponendo un questionario strutturato a un
campione di rispondenti con interviste telefoniche (sempre più anche a
telefoni cellulari), di persona o online.
• RICERCHE QUALITATIVE: Aiutano a comprendere le motivazioni e i framing
sottostanti ai fenomeni, in termini verbali. A questa categoria
appartengono tecniche come le interviste in profondità o i focus group,
gruppi di discussione focalizzati su un argomento che si intende indagare in
profondità.
Appartengono alla prima categoria i sondaggi (survey), che si realizzano in genere
sottoponendo un questionario strutturato a un campione di rispondenti con
interviste telefoniche (sempre più anche a telefoni cellulari), di persona o online.
Alla seconda si possono ascrivere invece tecniche come le interviste in profondità o i
focus group, gruppi di discussione focalizzati su un argomento che si intende
indagare in profondità.
Tradizionalmente si divide la ricerca di mercato in due categorie, quella
della ricerca primaria (che consiste nell'acquisizione di dati primari, intervistando ad
esempio un campione di clienti potenziali di un'azienda per scoprire quanti
conoscono un brand) e la ricerca secondaria, che produce analisi a partire da dati già
acquisiti da altri.

30
Oggi a questi approcci se ne è affiancato un altro, figlio della diffusione del digitale
che ha reso ognuno di noi produttore primario di dati in ogni movimento sul web.
Tutti questi dati insieme vanno a costituire enormi database dei dati gestiti dalle
aziende, eterogenei e diversificati: i Big Data.

I Big Data oltre a dare una disponibilità teorica di dati, danno la possibilità di
elaborarli e di metterli in relazione per individuare pattern di comportamento. Si
parla in questo senso di data mining, cioè di estrazione di informazioni a partire dai
dati, che vengono analizzati, trattati e collegati tra loro.

Gli Small Data sono, come dice il nome, piccoli dati ma ben strutturati, che possono
fornire informazioni puntuali basate sull’analisi dei dettagli. Martin Lindstrom, il
teorico degli Small Data, è convinto che i Big Data siano impersonali e poco fruibili
per la definizione di azioni future, mentre gli Small Data rappresentino una fonte più
affidabile, derivante dai dati individuali raccolti dall’osservazione delle persone nei
loro comportamenti abituali e quotidiani.

5. TRATTAMENTO DEI DATI: Il trattamento, così come la visualizzazione dei dati,


ricopre un ruolo centrale nel dare senso alle informazioni grezze acquisite. Usare
i giusti metodi statistici e di analytics è fondamentale per elaborare le
informazioni correttamente e isolare quelle più rilevanti per la domanda di
ricerca impostata all’inizio del progetto.

6. PRESENTAZIONE DEI DATI: La visualizzazione dei dati di ricerca invece è diventata


una parte sempre più importante del processo di analisi e costituisce il momento
nel quale il ricercatore restituisce al committente le informazioni di cui il
committente ha bisogno per ricavare indicazioni strategiche, operative e
decisionali. Per questo riuscirle a rappresentare in modo esaustivo e chiaro è
ormai cruciale data l’epoca dei dati in cui viviamo.

La sfida contemporanea è quella dell’integrazione tra le diverse tecniche di raccolta


dei dati – quantitative e qualitative, basate su questionari e sondaggi o su operazioni
di data mining. È fondamentale per imprese e organizzazioni attrezzarsi per essere al
passo con le trasformazioni abilitate dalla rivoluzione digitale, anche in relazione alle
analisi di mercato. Senza trascurare i passaggi e i principi fondamentali che restano
la bussola per condurre ricerche utili a migliorare i processi decisionali.

31
Capitolo 23 – Comunicare con i social media
Social Media (o Social Network): espressione generica che indica tecnologie e
pratiche in Rete che le persone adottano per condividere contenuti testuali,
immagini, audio e video. I professori Andreas Kaplan e Michael Haenlein hanno
definito i social media come un gruppo di applicazioni web basate sui presupposti
ideologici e tecnologici del Web 2.0, che consentono la creazione e lo scambio di
contenuti generati dagli utenti.

Secondo i dati dell’ultimo Global Digital Report, pubblicato ogni anno da We Are
Social e Hootsuite, gli utenti dei social media sono oggi circa 4,62 miliardi, quasi la
totalità di chi si connette a internet. Il tasso di penetrazione medio è del 58,4% e
varia di paese in paese.

Attualmente la classifica mondiale dei social media vede al primo posto Facebook
con quasi 3 miliardi di utenti, seguito da YouTube (2,5 miliardi), WeChat (1,2
miliardi) e Instagram (1,4). Sopra il miliardo di utenti troviamo anche servizi di
messaggistica come WhatsApp (2) e Facebook Messenger (0,9).
TikTok, è stato capace di una crescita maggiore a tutti gli altri social negli ultimi anni
arrivando a 1 miliardo di utenti.

Il numero degli utenti però non è l’unica metrica da tenere a mente, infatti molto
spesso è meglio focalizzarsi su social meno generalisti, dove creare community più
affiatate e ristrette come LinkedIn (mondo professionale/lavorativo), Pinterest
(ispirazione visiva/ecommerce) o Twitch (gaming).

Ma la vera rivoluzione social non è ben rappresentata dai numeri, bensì dal cambio
totale di paradigma: da un flusso di comunicazione prevalentemente a un’unica via,
nel quale gli utenti restavano relegati a fruitori passivi delle informazioni, all’attuale
flusso multidirezionale e partecipativo dove è fondamentale creare e mantenere
relazioni con le persone. Sui social oltre a promuovere o vendere prodotti e servizi si
possono raccogliere critiche, valutare idee e addirittura innescare meccanismi di co-
creazione. Un cambiamento complesso al quale, nonostante siano ormai trascorsi
diversi anni dall’avvento dei social media, molti faticano ancora ad adattarsi.

Numerose aziende e organizzazioni stanno sfruttando in maniera eccezionale il


potenziale dei social media, spesso con rilevanti e conseguenti incrementi di
fatturato. Ma il quadro generale presenta ancora tante ombre. Ci sono 3 errori
comuni da evitare:

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1. APPLICARE LE STESSE DINAMICHE DI COMUNICAZIONE DEL PASSATO AD UNO
SCENARIO IN COSTANTE EVOLUZIONE: I social media non devono essere
considerati solo dei nuovi strumenti di promozione, ma dei veri e propri motori di
un cambiamento che non interessa solo la comunicazione o il marketing, ma
l’intera organizzazione. Le best practices principali sono:
• capacità di ripensare tutti i processi interni, ponendo particolare attenzione
alla collaborazione tra funzioni che in passato hanno spesso lavorato divise
da compartimenti stagni (es. customer care);
• aggiornamento continuo;
• massima flessibilità nel ricalibrare strategie e tattiche sulla base delle costanti
novità.

2. CONSIDERARE I SOCIAL MEDIA UN GRANDE E INDISTINTO UNIVERSO COMPOSTO


DA PIATTAFORME SIMILI TRA LORO: Le piattaforme social, sebbene accomunate
dalla stessa natura, sono tutte diverse fra loro. Infatti, ognuna ha un pubblico
diverso e dovrebbe essere utilizzata con stili di comunicazione e linguaggi diversi.
Avere la stessa comunicazione su tutte le piatteforme per ottimizzare i tempi ha
come conseguenza quella di far comparire a un pubblico sbagliato dei contenuti
non rilevanti, con uno stile non appropriato e con obiettivi diversi rispetto a quelli
che andrebbero perseguiti su quella specifica piattaforma.
Per questo prima di sviluppare la propria strategia occorre considerare alcune
caratteristiche che distinguono i vari canali social:
• La demografia degli utenti: Sapere quali utenti utilizzano una piattaforma è
la prima informazione basilare da studiare. Inoltre, bisogna controllare
anche come questa cambia nel tempo. Ad esempio, Facebook inizialmente
era usata era il social degli adolescenti, mentre ora è usato principalmente
da over 35.
• Il mindset e le aspettative: Ogni social media è legato a un approccio
mentale ben preciso e a delle aspettative molto chiare da parte degli utenti
che lo usano. Ad esempio, una persona su LinkedIn vuole essere aggiornato
riguardo la sua professione, mentre solitamente Instagram è legato a
tematiche ispirazionali.
• Lo stile: Conseguenza diretta delle altre due caratteristiche. Lo stile di
comunicazione che dobbiamo avere su una piattaforma non può essere lo
stesso che abbiamo su un’altra. Quindi ad esempio, mentre su LinkedIn
dovremo rivolgerci a professionisti, su Facebook magari avremo
un’audience formata da clienti del brand.
• Gli obiettivi: Generalmente gli obiettivi che possiamo ipotizzare di
raggiungere sui diversi canali social possono seguire uno schema. Facebook
potrebbe, ad esempio, essere utile per incrementare la notorietà del brand,
Twitter per migliorare l’attività di customer care, LinkedIn per raccogliere
33
contatti profilati e Instagram per stimolare forme di interazione con i clienti.
Ovviamente cambiando gli obiettivi cambia anche la gestione delle
piattaforme.

3. COMUNICARE SUI SOCIAL SENZA DOTARSI DI UNA STRATEGIA DEDICATA E


SOPRATTUTTO INTEGRATA CON GLI OBIETTIVI DELL’AZIENDA O
DELL’ORGANIZZAZIONE: È una mancanza più comune di quello che si possa
immaginare. Secondo l’ultimo rapporto di Smart Insights, una delle principali
fonti d’informazione sul marketing a livello globale, il 45% delle aziende non ha
mai pianificato una strategia di marketing digitale.

L’utente medio utilizza otto diversi social media e servizi di messaggistica. Ciò
implica la necessità per le aziende e le organizzazioni di avere una visione unificata e
coerente del percorso che il consumatore compie lungo tutti i digital touchpoints,
ovvero i potenziali punti di contatto online con i prodotti o i servizi offerti. Questa
visione deve necessariamente concretizzarsi in una strategia di comunicazione e
marketing sui social media. Spesso, infatti, si arriva alla fase di esecuzione senza
un’adeguata preparazione strategica che risulta invece fondamentale.

Ci sono quindi 6 passi per costruire un’efficace strategia sui social media:

1. ANALISI: L’attività propedeutica allo sviluppo di una strategia sui social media
deve partire facendo un passo indietro: lo studio della presenza online
dell’azienda o dell’organizzazione. Questa fase renderà chiaro da dove partire e
come muoversi al meglio. Una buona analisi della presenza online dovrà quindi
essere incentrata sui seguenti asset digitali:
• Sito web. Il sito web rappresenta ancora oggi una specie di biglietto da visita
per qualsiasi brand e permette all’utente di conoscere meglio l’azienda, i
suoi prodotti etc... Per questo bisogna analizzarne il design, i contenuti,
l’user experience e soprattutto le fonti di traffico. Saper pradroneggiare
strumenti di analisi come Google Analytics diventa fondamentale per
conoscere metriche chiave come le pagine più visitate, le fonti di traffico, la
provenienza degli utenti e così via.
• I social media. Al giorno d’oggi difficilmente un’azienda parte da zero sui
social. L’analisi dunque dovrà tenere conto dell’attuale presenza sulle
piattaforme social e valutare il piano editoriale, la tipologia di contenuti, la
coerenza con l’immagine e gli obiettivi di business, la composizione dei
fan/follower, i dati sulle interazioni e sulle eventuali campagne pubblicitarie.
• Gli altri canali digitali. Campagne pubblicitarie display o sui motori di ricerca,
e-mail marketing o azioni di remarketing. Vanno considerate tutte le tattiche
34
attuate nel vasto panorama del marketing digitale perché possono offrire
dati e spunti molto utili per calibrare al meglio la presenza sui social media.
• La reputazione online. Dopo aver analizzato come l’azienda o
l’organizzazione promuove sé stessa, è fondamentale cambiare prospettiva
e ascoltare come le persone ne parlano in rete, identificando in particolare
quali sono i punti di forza e di debolezza, dove avvengono le principali
interazioni, quali sono le piattaforme dove sono più attivi i pubblici di
riferimento.
• I concorrenti. Infine, il lavoro di analisi compiuto finora va applicato anche ai
principali concorrenti con il duplice obiettivo di tracciare uno scenario
competitivo e ottenere utili spunti per la nostra comunicazione. Ad esempio,
l’analisi dei post pubblicati dai nostri competitor sui social media e delle
interazioni ricevute permette di capire quali possono essere i contenuti che
gli utenti si aspettano o gradiscono maggiormente.

2. INDIVIDUAZIONE DEL PUBBLICO TARGET: Uno degli obiettivi della fase di analisi
preliminare è anche quello di individuare i pubblici di riferimento ai quali
vogliamo rivolgerci. Raccogliendo quante più informazioni possibili è poi indicato
raggrupparle in un modello molto efficace di rappresentazione dei target: le
cosiddette (Buyer) personas. Queste personas non devono limitarsi a descrivere
semplicemente quali sono le caratteristiche demografiche degli utenti, ma
devono coinvolgere anche le caratteristiche psicografiche, gli stili di vita, le
abitudini, i problemi da risolvere, i valori di riferimento, gli interessi e il loro
rapporto con l’online. Ogni identikit, inoltre, può essere completato con nome e
foto dimostrativa per rappresentare al meglio un avatar del nostro pubblico che,
seppur non infallibile può darci un buon punto di riferimento dal quale partire.
Alla fine dell’analisi si individueranno diversi tipi di pubblici di riferimento e si
dovranno scegliere quelli che potranno generare maggiore valore in base agli
obiettivi prefissati.

3. IDENTIFICAZIONE DEGLI OBIETTIVI: Effettuata l’analisi e studiate in profondità le


caratteristiche dei pubblici di riferimento, è il momento di concentrarsi sulla
domanda chiave alla base della strategia: perché utilizzare i social media? Per
individuare questi obiettivi si parte necessariamente da quelli che sono generali
dell’azienda e che plasmano quelli sulle piattaforme social. Gli obiettivi sulle
piattaforme social possono essere di diverso tipo:
• obiettivi di business: generare lead (contatti profilati di potenziali acquirenti),
vendere prodotti o servizi online;
• obiettivi di customer care: migliorare la soddisfazione dei clienti, offrire nuovi
canali di relazione con il brand, stimolare referenze positive;
• obiettivi di prodotto: ricercare nuove soluzioni, monitorare i feedback,
35
ricevere suggerimenti, stimolare attività di co-creazione;
• obiettivi di comunicazione: migliorare la reputazione del brand, potenziare le
relazioni con i vari stakeholder, supportare l'attività dell'ufficio stampa;
• obiettivi di marketing: incrementare la visibilità del brand e dei prodotti,
coinvolgere gli utenti, aumentare la fidelizzazione.
Una volta individuata la natura degli obiettivi da raggiungere bisogna delinearli in
modo preciso. Per farlo viene molto utile usare un metodo ormai molto diffuso
rappresentato dall’acronimo SMART, che descrive le caratteristiche principali di ogni
buon obiettivo:
• Specifico.
• Misurabile.
• Raggiungibile (achievable).
• Rilevante.
• Orientato nel Tempo (time based).

4. SCELTA DELLE PIATTAFORME: Solo dopo aver capito a chi ci rivolgiamo e cosa
vogliamo raggiungere con i social possiamo scegliere quali piattaforme utilizzare.
Infatti, senza sapere cosa fare e a chi parlare non avremmo punti sul quale basare
la nostra scelta, finendo per affidarci solo alla moda del momento. Ora la
questione da porsi è duplice: dove intercettiamo i destinatari della nostra
comunicazione e quali canali si prestano meglio alle nostre finalità? Per
rispondere a questa domanda bisogna tenere conto anche del budget a
disposizione e della disponibilità di risorse umane da utilizzare nella gestione dei
nostri canali social. Infatti, sempre meglio focalizzarsi su poche piattaforme,
anche solo una, piuttosto che disperdere risorse ed attenzione su vari canali.
Per trovare quale canale si presta meglio alle nostre esigenze torna molto utile
un metodo ampiamente utilizzato anche per l’analisi concorrenti: l’analisi SWOT.
Questo strumento permette di valutare i punti di forza (strengths), le debolezze
(weaknesses), le opportunità (opportunities) e le minacce (threats) di un
progetto, di un piano di business o di altre situazioni specifiche, compresa la
scelta dei social media più adatti.

5. SVILUPPO DELLA STRATEGIA DI CONTENUTI: “Content is King” ha detto il


fondatore di Microsoft Bill Gates. Infatti, il vero motore dei social media sono i
contenuti. Per capire quali contenuti produrre bisogna prima però mappare il
percorso degli utenti prima e dopo l’acquisto di un prodotto, il cosiddetto
Customer Journey.
• Consapevolezza: l’utente assume coscienza di un bisogno.
• Ricerca: l’utente ricerca una soluzione per soddisfare quel bisogno.
• Valutazione: l’utente valuta diverse soluzioni.
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• Decisione: l’utente deve decidere quale opzione scegliere.
• Post-acquisto: questa fase è particolarmente utile per la fidelizzazione
Come ben capite, un contenuto relativo alla fase di consapevolezza (advertising su
Facebook) sarà diverso rispetto ad un altro relativo alla fase di valutazione (tutorial
su YouTube). Tutto questo lavoro di pianificazione e diversificazione dei contenuti
deve essere strutturato in un piano editoriale, un documento programmatico che
deve mantenere sempre una coerenza di base per adattarsi ai diversi contesti
mediatici, provando a non interrompere l’esperienza degli utenti, bensì guidandoli a
scoprire contenuti nuovi, ad approfondire tematiche di loro interesse o a
coinvolgerli in processi di co-creazione. I contenuti pianificati nel piano potranno
avere diverse funzioni: di intrattenimento, educativa o di informazione,
ispirazionale, stimolo all’interazione.

6. IMPOSTAZIONE DELLA MISURAZIONE: Un’analisi costante di quali contenuti


stanno funzionando meglio, di quali pubblici sono più reattivi ai nostri messaggi,
di quali piattaforme si prestano meglio al raggiungimento dei nostri obiettivi è un
aspetto fondamentale che ci permetterà di ricalibrare la nostra strategia nel
tempo e che va impostato con cura, scegliendo le giuste metriche, i KPI (key
performance indicators) e gli eventuali strumenti di monitoraggio. Purtroppo, gli
errori in questa fase sono moltissimi: dal cominciare a misurare a posteriori senza
delineare da subito quali metriche tenere sotto controllo, non stabilire
tempistiche alla misurazione o affidarsi tropppo alle vanity metrics (come il
numero di followers o di likes) perdendo di vista i veri obiettivi. Le metriche di
misurazione si possono dividere in 4 grandi insiemi legati agli obiettivi che ci si
pone sui social media:
• Visibilità: valutano la notorietà dell’azienda misurandole con le
impressions, la copertura e i click verso il sito web.
• Engagement: valuta il coinvolgimento degli utenti verso il brand tramite
metriche come il numero di commenti, likes e condivisioni. Questi numeri
vanno sempre incrociati con un’analisi dei sentimenti.
• Conversione: è la parte che interessa di più alle aziende ma che non si
compone solo di acquisti. Anche download di un file o di un’app,
un’iscrizione alla newsletter o la richiesta di un preventivo sono eventi di
conversioni potenzialmente importanti per un acquisto futuro.
• Advocacy: molto importante per la fase post acquisto si compone di
menzione del brand sui social, recensioni, condivisione spontanea delle
esperienze e raccomandazione di un brand.
Le metriche appena indicate sono solo una parte di un universo molto ampio che nel
gergo viene definito social analytics e che comprende altri dati legati alle
performance dei contenuti e delle campagne advertising come ad esempio (solo per
citarne alcuni):
37
• CTR (la percentuale di click su un link di un post rispetto al numero di
persone che lo hanno visto)
• CPM (costo per mille visualizzazioni di un post) • CPL (costo per ogni lead
generato).
Tutti acronimi questi che oggi un professionista di una comunicazione sempre più
influenzata dai dati deve necessariamente conoscere e saper interpretare.

38
Capitolo 21 – relazioni con i media
I mezzi di comunicazione hanno imposti i propri linguaggi che sono diventati uno
strumento di influenza, controllo e innovazione nonché il veicolo principale delle
istituzioni per trasmettere e acquisire informazioni. i media sono anche il luogo in
cui si svolgono molti fatti della vita pubblica nazionale e internazionale e
costituiscono una fonte importante di definizioni e immagini della realtà sociale:
rappresentano lo spazio dove si costruiscono si conservano e si manifestano i
cambiamenti culturali e i valori della società. I mezzi di comunicazione di massa sono
ovviamente la chiave decisiva per ottenere una visibilità pubblica.

nel corso degli anni in mezzo di comunicazione sono diventati talmente centrali da
provocare la mediatizzazione della società in cui viviamo, gli effetti sono duplici:
- mediatici: riguardano le modalità di produzione e diffusione del messaggio
spingendo ad adattare la propria comunicazione alla semplicità del
linguaggio media (soprattutto tv predominano spettacolarizzazione e
polarizzazione).
- politici: riguardano l'influenza dei media e delle loro logiche sugli attori
politici e sulle loro scelte (si affermano personalizzazione, leaderismo e
verticalizzazione delle decisioni).
I media sono diventati così rilevanti che c'è una corrispondenza tra la gerarchia dei
temi che coprono e quelli ritenuti più rilevanti dagli spettatori. Hanno acquisito un
ruolo decisivo nella selezione e nella determinazione degli argomenti al centro del
dibattito pubblico.
gli stessi news media puntano i riflettori su alcuni personaggi drammatizzano le loro
esperienze assicurano intensa copertura informativa contribuendo al loro successo
(effetto setaccio) e penalizzando gli altri.la gestione dei rapporti con i mezzi di
comunicazione EI loro addetti e il cuore del lavoro degli esperti di media relation che
dopo aver selezionato giornali, siti e programmi adatti alla loro comunicazione,
devono raggiungere l'obiettivo di diffondere informazione che riguarda l'azienda.

Lo scenario
sempre più persone si informano oh trascorrono tempo sulla rete . i quotidiani
cartacei hanno subito un calo impressionante. Internet ha fatto invecchiare d'un
colpo gli altri strumenti e a cancellato la mediazione, allargando il campo delle
interazioni, imponendo la condivisione e nuovi linguaggi. Fino a pochi anni fa era
impensabile leggere una dichiarazione ufficiale di un personaggio pubblico
direttamente sui social e non sulle agenzie di stampa, il terreno delle media relation
è molto cambiato ma i suoi principi sono rimasti gli stessi.

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Selezione delle notizie
la notiziabilità e la trasformazione di un fatto in notizia, accade quando un evento
soddisfa alcune caratteristiche ed è influenzata dalla routine produttiva dei media.
spesso, infatti, le modalità organizzative della stampa provocano una distruzione
degli eventi che vengono ricostruiti e rappresentati secondo le esigenze, i ritmi, i
formati e le modalità espressive del lavoro giornalistico.
Una componente fondamentale della notiziabilità è costituita dai valori notizia cioè
da una serie di principi che spingono a scegliere un contenuto, un mezzo , un
messaggio o un pubblico piuttosto che altri. Con le routine produttive, i valori notizia
sono all'origine della forte omogeneità nella scelta degli eventi trattati da media con
linee editoriali distinte. i valori notizie sono costruiti da considerazioni che
riguardano il contenuto delle notizie, i caratteri specifici dei prodotti editoriali
virgola in mezzo di comunicazione, la concorrenza e il pubblico.

La rilevanza di un evento dipende dall' importanza dei soggetti coinvolti, dall'


impatto sulla nazione, dal numero di persone che la notizia coinvolge e dalla
prossimità dell’accadimento. La notiziabilità è influenzata anche dalla rilevanza in
funzione degli sviluppi futuri, quando gli eventi hanno una durata prolungata.
Su tutto si basa l'interesse del pubblico, che deriva dalle immagini del pubblico che i
giornalisti hanno e dalla capacità di intrattenerlo della notizia. Gans definisce
quattro caratteristiche che la notizia deve avere per mantenere vivo l'interesse del
pubblico:
- Gente comune in situazioni straordinarie
- personaggi pubblici in situazioni ordinarie
- rovesciamenti di ruoli
- storie che commuovono il pubblico o storie di eroismo e imprese fuori dal
comune
ci sono poi i valori relativi alle specificità del prodotto editoriali utili per scegliere tra
più eventi a parità di rilevanza rispetto ai contenuti bisogna valutare:
- la predisposizione ad essere trattato secondo forme consuete
- la facilità tecnica nel seguirlo
- il dispendio di risorse economiche o umane per coprirlo
- La brevità: eventi che possono essere sintetizzati per non perdere
l'attenzione del pubblico
- la novità (vicina nel tempo)
- la qualità: l'offerta di immagini in movimento
- il ritmo: la possibilità di alternare contenuti per vivacizzare il complesso
- la completezza: la facilità di fornire tutti gli aspetti possibili di una vicenda
- la disponibilità di materiale di qualità tecnica almeno pari agli standard
minimi
- la chiarezza: la possibilità di far comprendere al pubblico concetti
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complessi
- ideologia della notizia: “le cattive notizie sono buone notizie” è più
notiziabile un evento con conseguenze negative che altera la routine o
offre scene cruente
- non ambiguità: cioè eventi le cui implicazioni sono chiare e non aperti a più
interpretazioni
- il lasso di tempo necessario all' avvenimento per prendere forma e
acquistare significato
- la disponibilità di immagini televisive o fotografie
- la prevedibilità: un evento viene coperto con maggiore probabilità se può
essere previsto
- la disponibilità: una storia anche marginale ma già preparata e pronta e
preferibile a una interessante ma da scrivere
- La concorrenza che spinge le testate in due direzioni opposte, eppure,
contestuali: per aumentare la diffusione tendono a differenziare i
contenuti e le strategie editoriali ma per evitare di perdere copie si imitano
a vicenda e anticipano le possibili mosse dei competitor.

I media sono sempre alla ricerca dello scoop, la valorizzazione delle notizie ottenute
in esclusiva è un criterio universalmente applicato nel mondo del giornalismo. Ma
per evitare di stupire i lettori con innovazioni eccessive, spesso le redazioni limitano
le valutazioni originali discostandosi dagli schemi tradizionali, così testate
concorrenti scelgono le stesse notizie.
L'emulazione della concorrenza è la tendenza a selezionare le notizie che si presume
i competitor possano scegliere. Essa provoca la nascita di punti di riferimento
professionali da imitare (NYTimes).

Esistono anche valori relativi al pubblico: (più che a quello reale si fa riferimento
all'idea dell'audience che i giornalisti hanno)
- Leggerezza: la capacità della notizia di intrattenere il pubblico con storie
che non appesantiscono
- Notizie di servizio rilevanti per la vita quotidiana del lettore

Pseudo evento
gli pseudoeventi sono avvenimenti che vengono programmati allo scopo immediato
di essere riportati o riprodotti. È un concetto che rivela la particolare natura di molti
fatti riportati dai media un avvenimento per poter essere definito pseudo evento
deve essere progettato e pianificato intenzionalmente virgola non è spontaneo,
accade perché qualcuno lo ha ideato pianificato o incitato (intervista, comunicati
stampa..). deve essere costruito per essere ripreso dai media, esso è pianificato
principalmente per essere riportato o riprodotto.
41
Inserendosi perfettamente nelle loro routine produttive, i media li prediligono.
la propaganda fa leva sul nostro desiderio di essere scossi sostituendo opinioni ai
fatti, mentre gli pseudoeventi, appellandosi al nostro diritto di essere informati,
sono fatti sintetici che stimolano la gente in maniera indiretta fornendo la base
fattuale su cui essa deve fondare le proprie opinioni.
Se gli pseudo eventi sono notizie abili per definizione anche gli eventi come le
manifestazioni, ottengono sempre una buona visibilità.

Media e immagini
le immagini giocano un ruolo troppo spesso sottovalutato, nei tempi del web sono
fondamentali e spesso decisive poiché con la loro forza immediata riescono a
imprimere il senso degli eventi (es meme virale che causa il successo di una strategia
mediatica)

Le reazioni pubbliche
le media relation disegnano un lavoro che si muove tra vecchi e nuovi mezzi di
comunicazione ma che ha sempre lo stesso obiettivo: far in modo che giornali, tv,
radio e siti web diffondano le informazioni che vogliamo veicolare. Si intrecciano in
inevitabilmente con le relazioni pubbliche che usano come propri strumenti i
contatti con i media, gli eventi di comunicazione, le pubblicazioni editoriali e i media
digitali. In assenza di specifici gruppi è svolta dall’ufficio stampa.
L'ufficio stampa mantiene i rapporti con i media e con i giornalisti e veicola le
informazioni che riguardano l'azienda o l'istituzione per cui lavora. L' addetto
stampa risponde alle richieste dei giornalisti, presenta e veicola le notizie all'esterno
virgola e aggiornato sui temi che riguardano il campo d'azione della propria
organizzazione. Il lavoro che si svolge nell’ufficio stampa si può dividere in:
- fase attiva: l’addetto stampa propone iniziative i media (la notizia può
essere veicolata “of the records” cioè non ufficialmente, può essere
proposta un'intervista o può essere inviato un comunicato stampa ai
media)
- fase passiva: L'ufficio stampa subisce e non propone l'esigenza di
intervenire (per rispondere ad accuse o precisare i contenuti inesatti negli
articoli)
- fase organizzativa: prevede un lavoro continuo per aggiornare mailing list,
indirizzario, rassegna stampa e sito internet

La Media List è lo strumento più importante per l'organizzazione dell'ufficio stampa


che contiene i nomi dei giornalisti con le testate di appartenenza e le loro qualifiche,
i numeri di telefono e le e-mail. Solitamente la media list viene segmentata per
agenzie di stampa, quotidiani, periodici, tv radio, siti web e social, media di settore e
internazionali. Il Comunicato stampa è un testo redatto per informare su un fatto o
42
un avvenimento in maniera ufficiale che viene diffuso agli organi di informazione e
riporta i dati utili per comporre articoli giornalistici (può essere accompagnato da
immagini video e audio).

Con la moltiplicazione dei canali di informazione i giornalisti sono travolti dalle


notizie e spesso non sono ben disposti a ricevere sollecitazioni da tanti addetti
stampa, nel vendere un’informazione ai cronisti bisogna considerare sempre il taglio
della notizia (può essere confezionata in modo diverso
a seconda del pubblico a cui è destinata).

Consigli per avere un approccio corretto con i giornalisti e riuscire ad essere incisivi:
- Siate accessibili
- Siate d'aiuto o provateci
- Siate amichevoli ma consapevoli nei limiti dell'amicizia
- Non parlate a vuoto
- Non dite bugie, distrugge la credibilità
- Evitate favoritismi prendete sul serio i giornalisti e considerate le pressioni
cui sono sottoposti
- Creati la notizia per far coprire un evento
- Non perdete tempo nel rimproverare i giornalisti che non hanno scritto nei
termini desiderati ma solo in caso di imprecisioni virgola malafede e
trucchi
- Assicuratevi di essere sempre chiari nei briefing

43
Capitolo 0.1 – I media relations
I media relations sono le attività di relazione, comunicazione e informazione che si
rivolgono ai media. Hanno lo scopo di trasferire attraverso di loro un messaggio di
un brand verso l’esterno e consentono di raggiungere consumatori e decisori
pubblici, rafforzano la reputazione e comunicano le proprie iniziative. Sono
coordinate dall’ufficio stampa, che gestisce, veicola e promuove il flusso delle
informazioni provenienti dalla struttura interna verso tutti gli organi di informazione.
Per curare le Media Relations è necessaria una conoscenza del sistema dei mezzi di
informazione, tradizionali e digitali.
Le Media Relations curano la scrittura e i tempi di trasmissione delle notizie,
monitorano gli organi di informazione, organizzano conferenze stampa e segue tutti
gli incontri e le riunioni in cui un’azienda/ un’organizzazione è coinvolta. I principali
strumenti a disposizione sono:
 Media database: comprende agenzie, quotidiani, periodici, radio e TV,
media online
 Rassegna stampa: monitora le uscite ed i temi di interesse per il brand
 Presidio proattivo dei media: permette di anticipare e influenzare la
comunicazione
 Fidelizzazione dei giornalisti: consente di costruire saldi rapporti con
giornalisti di interesse
Gli eventi e le sponsorizzazioni rappresentano opportunità di sviluppo di relazioni
con i propri pubblici, in contesti straordinari. La sponsorizzazione e gli eventi di
comunicazione sono due ambiti della comunicazione d’impresa molto diversi, pur
avendo numerosi aspetti in comune dal punto di vista operativo.
Gli eventi sono delle manifestazioni che consentono di coinvolgere e suscitare
interesse rispetto a un determinato target. L’evento rappresenta una modalità
innovativa di relazioni interattive e coinvolgenti, sotto il profilo emozionale, con
target effettivi o potenziali, allo scopo di promuovere un’associazione positiva tra
un’esperienza memorabile e un brand nel suo complesso. Si basano sulla live
experience e applicano tecniche persuasive e gli eventi, in particolare, consentono di
celebrare e “incontrare” il brand e conferiscono memorabilità ai messaggi trasmessi.
L’obiettivo è sviluppare, rafforzare e consolidare la reputazione e/o l’immagine di un
brand estimolare comportamenti da parte dei pubblici coerenti con le aspettative
del brand.

Le sponsorizzazioni incrementano la notorietà di un brand raggiungendo


interlocutori diversi dal proprio target. Consentono di associare il nome di un brand
a un particolare evento, nell’intento di ottenere un ritorno positivo in termini di
notorietà e immagine, beneficiando delle potenzialità comunicazionali dell’evento
stesso. La sponsorizzazione si avvale di eventi promossi da varie organizzazioni, ai
44
quali un brand si avvicina fornendo un contributo in denaro o in natura, mutuando
in tale senso valori simbolici e ottenendo la possibilità di accedere a una
“piattaforma” relazionale che ha già una sua esistenza.

L’Advertising è una comunicazione commerciale che dialoga direttamente con i


consumatori. L’advertising consente di amplificare la copertura e la visibilità, di
rendere il proprio brand più riconoscibile da parte di un determinato target.
La pianificazione advertising individua quali siano i canali migliori per realizzare la
strategia definita nel piano, ovvero il media mix su cui declinare il messaggio (spazi
pubblicitari su stampa, radio, televisione, campagne ADV su scala urbana, inserzioni
su motori di ricerca/social media).

Nelle scelte di investimento, le aziende devono individuare i mezzi che si adattano


meglio alle loro strategie. Per fare ciò, occorre analizzare la trasformazione della
dieta mediale dei consumatori negli ultimi anni e i nuovi fenomeni che si diffondono
(multimedialità e multiscreaning). Sono determinanti nella scelta, inoltre, la
dimensione (di conseguenza il budget disponibile) e il target aziendale.

Il budget È il documento previsionale in cui sono rappresentate le attività̀ inerenti il


piano di comunicazione e la previsione dei costi necessari alla sua realizzazione.
Include tutte le azioni, e le relative previsioni di spesa, riferite alle diverse leve del
communication mix che, messe in atto dalle diverse aree gestionali dalle singole
attività, verranno successivamente consolidate dal top management.

Le componenti di costo sono:


 Costi di esercizio: sono costi (spese correnti) che vengono sostenuti per la
realizzazione delle attività̀ e che confluiscono nel conto economico di
esercizio; questi costi vengono sostenuti per il presidio del potenziale di
mercato nel breve periodo.
 Investimenti: sono costi che vengono capitalizzati nello stato patrimoniale del
bilancio e ammortizzati nel tempo; la capitalizzazione dei costi di
comunicazione sottolinea le loro capacità di produrre benefici apprezzabili nel
medio e lungo termine e di incrementare il valore patrimoniale dell’azienda.

Ci sono diversi modi per stabilire il budget interno:


2. Metodo dell’importo disponibile: definizione del budget in funzione della
disponibilità finanziaria dell’impresa.
3. Metodo dell’importo fisso e metodo dell’inerzia: il primo, si basa sulla
determinazione di un importo da investire prestabilito dal management.
4. Metodo dell’inerzia assume come riferimento il budget dell’anno precedente,
apportando eventuali correttivi in base al tasso di inflazione o al modificarsi di
45
altre variabili in grado di incidere sulla stima dei costi.
5. Metodo della percentuale delle vendite: l’investimento in comunicazione è
definito secondo determinanti parametri o percentuali sulle vendite attuali e
passate.
6. Metodo della parità competitiva: definizione del budget in funzione degli
stanziamenti previsti dai concorrenti.
7. Metodo dell’obiettivo da conseguire: individuazione preventive di tutte le
azioni necessarie al raggiungimento degli obiettivi previsti, con i rispettivi costi
e stanziamento delle risorse stabilite.
8. Metodo degli obiettivi di vendita: definizione del budget promozionale in
termini percentuali rispetto alle vendite attuali, o previste, o rispetto al prezzo
di vendita unitario del prodotto.
9. Zero-Based Budget: lo stanziamento complessivo è in base alle esigenze
riscontrate. I responsabili sono chiamati a costruire il budget necessario alle
campagne di comunicazione sostenendo, da un lato, l’efficacia delle azioni
proposte, dall’altro, la correttezza delle relative stime di costo.

Ci sono due strategie da perseguire:


 Strategia push: il produttore massimizza il suo investimento nei canali di
distribuzione e indirizza il suo sforzo verso gli intermediari commerciali, per
indurli a comprare e a promuovere il suo prodotto/servizio
 Strategia pull: Il produttore massimizza il suo investimento in comunicazione e
indirizza il suo sforzo verso I client finali per indurli a comprare il
prodotto/servizio.

46
Capitolo 22 – le sponsorizzazioni
La sponsorizzazione è una forma di comunicazione finalizzata a promuovere
l’immagine dell’impresa per via indiretta, trasmettendo attraverso all’affiancamento
ad altre organizzazioni, realtà, iniziative, il valore aggiunto delle proprie attività, oltre
a quello materiale.

L’origine del termine va ricercata nel latino sponsor – garante, da spondere ovvero
promettere. Il concetto di sponsorizzazione veniva inteso come una forma di
donazione a carattere unilaterale, fino ad evolvere fino all’accezione attuale, nella
quale la sponsorizzazione è intesa come un contratto tra due parti, in un quadro di
reciprocità.

Sponsorizzare non significa solo associare il nome di un’impresa, di


un’organizzazione o di un prodotto ai valori di un evento o di un progetto. Significa
identificare quelle attività o manifestazioni quanto più vicine ai valori dell’impresa,
tali da trasferire notorietà all’immagine aziendale e quindi una diffusa riconoscibilità
presso i pubblici di riferimento.

La sponsorizzazione ha il vantaggio di veicolare un certo tipo di informazioni relative


all’azienda non solo in maniera diretta, ma anche in maniera indiretta, attraverso
l’attività di promozione, i media e i diversi canali a supporto, ottenendo quindi una
visibilità ancora più ampia rispetto a quella offerta dall’evento stesso.

Il principale obiettivo di comunicazione di un’attività di sponsorizzazione è


l’associazione dell’azienda o del brand con la mission e i valori dell’evento.
Il processo di selezione include anche la quantificazione del budget da dedicare
all’iniziativa, la negoziazione e formalizzazione del contratto di sponsorizzazione, la
valutazione delle azioni di comunicazione a supporto, la definizione di metodi e
tempi delle diverse attività.

È evidente, quindi, che tanto più le due parti coinvolte nel processo di scambio si
trovano allineate nella condivisione degli obiettivi e dei messaggi chiave e sono in
grado di cooperare nella realizzazione dell'evento, tanto maggiori saranno le
probabilità di successo complessivo, sia per l'azienda sponsor, sia per lo sponsee.
Non è raro che l'azienda sponsor scelga di non limitare il proprio supporto
ad un contributo economico, volendo invece partecipare attivamente anche alle fasi
di ideazione, pianificazione e realizzazione dell'evento, o almeno della propria
presenza e visibilità all'interno dello stesso. A seconda del tipo di coinvolgimento
derivante dalla collaborazione, quest'ultima potrebbe configurarsi non come una
sponsorizzazione tradizionale, ma come una forma di partnership più completa con
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gli organizzatori o con le altre aziende ed entità coinvolte.

Il principale motivo per cui di decide di sponsorizzare un evento è ottenerne un


beneficio in termini di brand awareness, quindi di immagine e notorietà sia presso i
propri target di riferimento, sia verso nicchie inesplorate. Gli strumenti di
misurazione di questi risultati sono quelli classici del marketing e possono includere
indagini ad hoc sul brand, i dati di engagement online o l’analisi di dati di consumo e
acquisto.

Le sponsorizzazioni possono realizzarsi in forme diverse: sotto forma di contributi


economici, sovvenzioni, donazioni o erogazioni in denaro (sponsorizzazioni
finanziarie), oppure attraverso beni, servizi, prestazioni, risorse umane o
competenze specifiche messe a disposizione dallo sponsor (sponsorizzazioni
tecniche). O ancora, in alcuni casi, le sponsorizzazioni possono assumere un
carattere misto, e comprendere quindi sia la prestazione di un servizio o la messa a
disposizione di un bene, sia il pagamento di un contributo economico. Di seguito
analizziamo invece alcune delle tipologie più diffuse:
 Sportivo
 Culturale
 Sociale

Le sponsorizzazioni legate a squadre, eventi o manifestazioni sportive sono


senz'altro le più frequenti e ambite, almeno nel nostro Paese. La loro diffusione è
dovuta a diversi elementi. L'immediatezza e la semplicità del linguaggio dello sport,
la sua trasversalità e quindi l'ampiezza del pubblico al quale è in grado di rivolgersi.
L'azienda sponsor, quindi, può scegliere di abbinare la propria immagine ad
una squadra o una manifestazione sportiva che abbia qualche attinenza valoriale
con la propria mission e le attività svolte.

Diverse sono le caratteristiche delle sponsorizzazioni culturali, definizione alla


quale possono essere ricondotte iniziative numerose e molto diverse tra loro,
dalle arti visive a quelle performative, dalla moda al design, dalla formazione
e ricerca alla conservazione e valorizzazione dei beni artistici e culturali, sino
ad arrivare a premi e iniziative editoriali. Supportare le attività culturali, inoltre,
consente alle aziende di entrare in contatto con un pubblico più ampio e di
aumentare la propria visibilità sui media (online e offline). Come per le
sponsorizzazioni sociali, inoltre, l'avvio di una strategia di corporate cultural
responsibility aziendale, può fare da volano ad una comunicazione interna più
efficace. Gli aspetti negativi legati alle sponsorizzazioni culturali sono anch'essi
intrinseci nel carattere alto ed esclusivo di questo tipo di iniziative, che
probabilmente sono più adatte ad attività di mecenatismo puro slegato da
48
opportunità di visibilità esplicita. Inoltre, pur trattandosi, come lo sport, di un
linguaggio universale, potrebbe risultare più complesso o meno immediato per
alcuni pubblici che quindi sarebbe impossibile raggiungere attraverso questo tipo di
attività.

Recentemente hanno trovato una larga diffusione anche le sponsorizzazioni in


ambito sociale, che possono configurarsi come interventi in difesa dell'ambiente,
interventi umanitari, raccolte di fondi e attività di beneficienza.
Gli aspetti caratterizzanti di questo tipo di iniziative sono: l'impegno diretto
assunto dall'impresa e il suo coinvolgimento attivo, che la porta a stretto contatto
con le comunità locali o di riferimento, e la sua finalità sociale, per l'appunto, che
porta più frequentemente a parlare di partnership, piuttosto che di
sponsorizzazione, proprio a sottolineare la collaborazione in nome di un interesse
comune. L'obiettivo di questo tipo di sponsorizzazioni, pertanto, è quello di
qualificare l'impresa come portatrice di valori condivisi dalla comunità. Lo sponsee
conferisce credibilità all'impresa diventando testimonianza concreta e garante
dei valori promossi dallo sponsor agli occhi dell'opinione pubblica. Un altro
obiettivo della sponsorizzazione sociale è quello di generare effetti positivi anche
all'interno della stessa impresa, favorendo nei dipendenti il senso di identità e la
convinzione di lavorare in un ambiente etico e integro, impegnato nel promuovere
valore per la comunità e i territori, oltre che nel generare profitto.
Il principale aspetto di rischio delle sponsorizzazioni sociali, da valutare
attentamente nella fase di assessment e di bilanciamento costi/benefici, è la
possibilità che l'attività generi una forte polarizzazione tra i target, implicando una
presa di posizione aperta da parte dell'azienda su un tema specifico.

49
Capitolo 20 – Comunicazione Eventi
Gli eventi applicano tecniche persuasive e vengono promossi e pianificati per
raggiungere specifici obiettivi commerciali, istituzionali, di relazione, di marketing, di
immagine o di comunicazione interna. Con evento si intende una leva della
comunicazione di impresa e del marketing esperienziale capace di generare un
contatto diretto face to face) finalizzato a ottenere un orientamento positivo nei
confronti di un marchio, prodotto, servizio, istituzione, idea, utilizzando momenti di
parola, contenuti live, performance, video, scenografie, interazioni, condivisione
social a forte contenuto emozionale o spettacolare. Per la sua attività l'agenzia viene
remunerata mediante una percentuale variabile sul budget a copertura delle proprie
prestazioni di creatività, produzione, gestione, consulenza e si fa carico di coordinare
tutte le attività previste o parte di esse.

Partecipare a un evento live suscita un coinvolgimento emozionale capace di


trasformarsi in ricordo, aumentando la prossimità: "compri" ciò che conosci,
che hai compreso, che hai toccato con mano, che senti più vicino a te. Lo acquisti, lo
consumi, continuerai a farlo nel tempo.
Gli eventi rappresentano perciò un insostituibile strumento del marketing
relazionale, con un ottimale rapporto tra costi/risultati, qualità/ efficacia, risorse
investite/ritorno d'immagine, trasmissioni di valori/capacità di memorizzazione.
Ci sono molti settori operativi in cui fare eventi, per questo si possono distinguere 16
macroaree:
1. Eventi rivolti al pubblico interno
2. Eventi rivolti a partner commerciali
3. Eventi rivolti a clienti o prospect
4. Eventi rivolti a un pubblico esterno
5. Eventi a supporto di una campagna di comunicazione
6. Eventi finalizzati a relazioni pubbliche
7. Eventi finalizzati ad attività di media relation
8. Eventi a carattere celebrativo
9. Eventi a carattere inaugurale
10. Eventi a connotazione social
11. Eventi a carattere istituzionale
12. Cerimonie
13. Eventi a carattere musicale o sportivo
14. Eventi a carattere espositivo
15. Eventi a carattere politico o sociale
16. Private events

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Il costo di un evento è la risultanza di voci diverse: tipologia, partecipanti, livello del
cast artistico, destinazione, viaggi, pernottamenti, livello dei servizi, location,
tecniche, allestimenti, personale, ecc. ci sono poi anche eventi a budget variabile.
La commessa per la realizzazione di un evento può essere ottenuta attraverso
cinque modalità di accesso:
 Contratto pluriennale: proposto soprattutto da aziende che
necessitano di appuntamenti continuativi durante l’anno
 Accordo internazionale: formula rara in Italia.
 Consultazione: la decisione e la selezione si basa su un’analisi dei
prerequisiti, sulla capacità creativa, sulle dimensioni, sulla
specializzazione, sulla notorietà.
 Commessa diretta: incarico diretto assegnato per meriti
professionali, affidabilità competenze, conoscenza approfondita
del cliente.
 Gara: criterio più diffuso, spesso richiesto perché coinvolge un
certo numero di agenzie, le quali sono tenute a presentare sulla
base di un brief condiviso un progetto creativo e una sua
quotazione.

A fronte del lavoro, le agenzie vengono remunerate a seconda di due criteri:


1. Agency fee: commissione di agenzia, cioè una percentuale
dichiarativa sui costi fissi del budget amministrato
2. Flact free: cifra fissa prestabilita

L’agenzia di eventi è un’impresa di servizi per la comunicazione specializzata


nell’ideazione, consulenza, sviluppo, produzione e regia di eventi di piccole, medie e
grandi dimensioni.
È generalmente suddivisa in 3 aree operative base:
1) Reparto creativo: è composto da figure professionali trasversali, tra cui grafici,
video maker ecc. tale gruppo si occupa di sviluppare i progetti collaborando
con professionisti esterni. Vi è un direttore creativo, la cui formazione è
prevalentemente umanistica.
2) Reparto produzione: il direttore di reparto coordina il lavoro dei responsabili
operativi di ogni progetto.
3) Reparto contatto: guidato da un direttore clienti, coinvolge i business manager
delegati a promuovere e gestire il rapporto di relazione commerciale.

Inoltre ci sono altre aree operative, come:


- Logistica: area operativa gestita da poche unità. Tale dipartimento si
occupa di gestire i trasporti e pernottamenti, ma anche tutti i servizi di
accoglienza, assistenza e prenotazione
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- Digital: tale area coinvolte anche più di uno specialista.

Per realizzare un evento ci sono una serie di fasi da seguire:


1) Fase conoscitiva: dopo essere stati invitati alla gara, si riceve un brief nel corso
di un briefing con indicazioni di budgeting, tempistiche e obiettivi. Si riceve un
documento scritto oppure si assiste ad una presentazione live. Importante è
organizzare dopo un debrifing interno, capendo bene le informazioni
importanti. A questo punto il gruppo creativo può organizzare una riunione
ristretta e dare vita a un brainstorming.
2) Fase esplorativa: analizzate due o più proposte interessanti, si inizia la fase di
verifica e approfondimenti. Il business manager cercherà di sondare il cliente
per verificare le sue aspettative o rispondere a dubbi. Si iniziano a verificare le
ipotesi di location e di cast artistico e vengono organizzati dei sopralluoghi e si
analizza la logistica.
3) Fase creativa: il reparto creativo sviluppa la parte grafica, i testi, i video e la
scaletta. Con le verifiche tecniche si capisce se il progetto è “in budget” oppure
se occorre apportare delle modifiche o addirittura cambiare l’idea di base.
4) Fase relazionale: la presentazione è fondamentale. Parliamo di empatia, di
capacità di argomentare le proprie scelte e valorizzarle. Serva anche a offrire
sicurezza, cioè la consapevolezza e convinzione di essere i partner giusti.
5) Fase produttiva: si firmano i contratti con cast e fornitori, si mette a punto la
scaletta e si definisce il progetto.
6) Fase realizzativa: verranno attuate delle prove tecniche di verifica.
7) Fase consuntiva: il debrief, serve per capire come ha funzionato la macchina
organizzativa, se esistono aree di miglioramento o ci sono stati dei disservizi

52
Capitolo 11 – Comunicazione di crisi
Crisi significa passare da una situazione di stabilità di un sistema sociale
a una condizione di variabilità, generata da un evento imprevedibile e
potenzialmente negativo. La crisi è il risultato di eventi conflittuali che portano la
società in una fase straordinaria di riassetto postumo. È un concetto di natura
dinamico-evolutiva, che affonda le proprie radici in un fatto negativo.

La crisi è un’opportunità per:


1. Rafforzare la reputazione dell’impresa
2. Introdurre cambiamenti e elaborare nuove strategie
3. Consolidare lo spirito di corpo e il senso di appartenenza del personale
4. Ridurre le probabilità di manifestazione di nuove crisi

La crisi è un evento, grave e imprevedibile, che può arrecare danno a qualsiasi


organizzazione, portando potenzialmente a un risultato negativo, non solo in termini
di performance economico-finanziaria, ma anche di reputazione.
Molti sono gli elementi di una crisi, ma tre sono quelli che possiamo sinteticamente
riassumere per identificarne le caratteristiche:
 Minaccia: un evento straordinario e spesso inaspettato, che può
rappresentare un danno per le organizzazioni;
 Sorpresa e visibilità: la sorpresa e l'imprevedibilità di questo scenario, la sua
visibilità esterna, sostenuta dai media che comunicano gli effetti negativi a
essa associati;
 Reazione rapida: la necessità di una risposta nel breve termine che preservi
l'organizzazione e gli obiettivi stabiliti in fase strategica.

Otto Lerbinger ha categorizzato otto tipologie diverse di crisi


1) Causate da disastri naturali
2) Tecnologiche
3) Causate da errori di confronto con terzi
4) Causate da atti di terzi finalizzati a screditare l’impresa
5) Causate da errori organizzativi
6) Causate da violenza sul posto di lavoro
7) Causate da pettegolezzi
8) Causate da attacchi terroristici o, in generale, dalla mano umana

Ci sono poi eventi catastrofici che portano ad una crisi traumatica, come:
 Emergenze chimiche
 Bioterrorismo
 Focolai di malattie infettive
53
 Calamità naturali
 Emergenze radioattive
 Esplosioni
 Incidente Cyber

In azienda le crisi possono essere generati da gravi errori quali:


 Lancio di prodotti pericolosi, difettosi o sbagliati
 Errori di confronto
 Misfatti organizzativi: Causate da valori deviati del management; Causate da
disonestà, raggiri e inganni; Causate dalla cattiva condotta dei dirigenti
 Atti delittuosi o infedeli dei dipendenti
 Violenza sul posto di lavoro

Esistono inoltre alcune tipologie di crisi causate da azioni di terze parti che mirano a
danneggiare o destabilizzare l’operato di un’organizzazione. Tra questi possiamo
classificare:
1) Sabotaggi e sofisticazioni di prodotti
2) Il Fenomeno NIMBY
3) Gli antagonisti ambientali
4) Azioni terroristiche, sequestri e rivolte
5) Interventi normativi e regolatori

Il crisis management è quel processo ordinato di attività che va dalla previsione della
crisi fino alla gestione della stessa (qualora essa si verifichi nonostante le procedure
preventive) ed alle fasi immediatamente successive al suo verificarsi
L’obiettivo di questa attività è duplice:
1) consentire il superamento in maniera efficace della crisi
2) attivare dei meccanismi di apprendimento per evitare che in futuro insorgano
eventi critici analoghi a quelli affrontati

Per poter gestire una crisi dal lato comunicativo è bene:


 Definire, progettare e attuare un piano di comunicazione volto a rafforzare in
maniera preventiva la reputazione e poi superare lo stato di crisi in cui
l’organizzazione è coinvolta.
 Funzione strategica per proteggere e rafforzare la reputazione dell’impresa,
del suo management, dei suoi dipendenti, dei suoi prodotti, della sua mission
e del suo ruolo sociale.
 Attività coordinata dell'organizzazione a fronte di crisi che possono ledere
l'immagine e la reputazione.

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Ci sono 4 fasi del crisis management:
1) Prevedere: generare una soluzione preventiva
2) Programmare: per non essere impreparati all’evento critico
3) Comunicare e gestire la crisi: al verificarsi dell’evento critico è bene seguire le
regole della programmazione
4) Gestire il dopo crisi: terminata la crisi si possono valutare le situazioni risolte o
i fallimenti, imparando da ciò che è stato fatto.

Prevedere significa attivare l’audit della crisi che comprende due fasi:
1) L’analisi dei rischi (interni ed esterni) a cui è esposta un’organizzazione
2) Il monitoraggio dei segnali premonitori (attraverso un sistema di reporting
interno che si propone di rilevarli e valutarne l’impatto)

Per individuare i segnali premonitori è necessario avere a disposizione strumenti


idonei che siano attendibili, sostenibili e in grado di fornire velocemente le risposte
attese. Ci sono due approcci teorici:
 Sense-making: Tentativo di creare ordine e dar senso alle situazioni
contingenti o, più in generale, a ciò che accade
 Prospective-taking: Abilità di considerare il punto di vista di terzi o di gruppi di
interessi esterni

Programmare significa elaborare piani di crisi, ossia dei documenti di sintesi delle
procedure da seguire, degli strumenti e le tecniche da utilizzare e delle risorse che
verranno impiegate durante la crisi.

Esistono tre ruoli che sono fondamentali nel processo di comunicazione di crisi:
1) Crisis manager: assume un ruolo di comando nel condurre, avvisare e
supportare la struttura manageriale nel periodo critico.
2) Direttore della comunicazione: spesso, assume la leadership del lavoro
all’interno del comitato, fissando priorità e decidendo l’intervento di un crisis
manager esterno.
3) Portavoce: è il volto della società in grado di interpretare e veicolare
esternamente i contenuti del comitato di crisi.

Il comitato di crisi: CMT


È l’unità organizzativa plenipotenziaria, composta dall’Amministratore Delegato e da
tutti i Direttori, responsabile del processo di crisis management. Quest’organo
svolge:
 Prima della crisi: Analisi dei rischi e segnali premonitori, attività di
programmazione
 Durante la crisi: Decisione e coordinamento delle attività di gestione e delle
55
iniziative di comunicazione, definizione delle «strategie di ripristino»,
monitoraggio periodico sullo stato di avanzamento e l’efficacia del piano di
rientro.
 Dopo la crisi: Chiusura dello stato di crisi

Le attività del comitato anticrisi sono:


 Accentra le informazioni interne ed esterne e le elabora
 Gestisce i rapporti con i soggetti interni ed esterni (stakeholder) ed in
particolare con i media
 Attiva i gruppi di intervento per fronteggiare gli impatti diretti e indiretti della
crisi
 Valuta l’opportunità di coinvolgere esperti esterni all’azienda
 Predispone un rapporto per l’AD con il dettaglio delle attività svolte e l’analisi
previsionale di breve, medio e lungo periodo sulle conseguenze economiche
ed operative dell’evento critico

Generalmente, il manuale di crisi si articola in


1) Introduzione
2) Altre informazioni utili
3) Documenti, note e Q&A
4) Risorse disponibili
5) Messaggi da veicolare
6) Procedure
7) Descrizione della struttura del CMT
8) Target di riferimento

Quando scoppia una crisi bisogna:


 Riunire il Comitato di crisi: Raccogliere le informazioni sulla crisi e decidere la
posizione da assumere e le azioni. Definire la comunicazione da attivare,
esterna ed interna all’organizzazione
 Avere un quadro preciso: Capire l’origine della crisi, danni attuali e potenziali,
responsabilità e soggetti coinvolti facilita la scelta della strategia e delle
tecniche più idonee da adottare
 Porsi come la fonte più autorevole ed esaustiva di informazioni: Comunicare
per primi, al fine di gestire il flusso di comunicazione verso i media e
l’opinione pubblica
 Essere veloci: Il tempismo è fondamentale nella risposta ad una crisi

Il comitato anticrisi dovrà:


 Riconoscere o negare la responsabilità dell’azienda
 Assumersi la responsabilità delle cause della crisi presso media e opinione
56
pubblica
 Attivare interventi volti a fermare la crisi o a contenerne i danni
 Intraprendere azioni di risarcimento nei confronti di terzi
 Intraprendere azioni legali
 Cercare il supporto di terze parti

I messaggi devono essere sempre chiari e immediati e, in generale, devono


includere:
1) La dichiarazione dello stato di crisi
2) L’assunzione delle proprie eventuali responsabilità
3) La comunicazione dei provvedimenti già attivati e quelli che lo saranno in futuro

Per far fronte efficacemente alla crisi devono venire predisposti


 Comunicazione interna: Formazione del personale per diffondere la cultura
della prevenzione e gestione della crisi; Diffusione delle competenze
necessarie, in coerenza con le decisioni strategiche del Comitato di Crisi;
Attivazione di relazioni di collaborazione tra le persone che potranno essere
mobilitate.
 Comunicazione esterna: Informare adeguatamente gli enti esterni (istituzioni,
forze dell’ordine, clienti, enti terzi, stampa e cittadini); Rispondere
adeguatamente alle richieste esterne di chiarimenti, coinvolgendo i referenti
delle funzioni aziendali impattate; Indicare i referenti per il coordinamento
delle iniziative congiunte e la risoluzione della crisi.

Una buona comunicazione interna è fondamentale per gestire la crisi ed evitare


ulteriori danni. Questa deve:
 Essere trasparente
 Veicolare messaggi chiari e reiterati
 Creare una squadra di risposta alla crisi
 Rispondere alle incertezze dei dipendenti
 Promuovere la salute psicologica dei dipendenti

La comunicazione esterna è finalizzata ad informare adeguatamente gli enti esterni


e deve:
 Essere esaustiva
 Veicolare messaggi chiari e coerenti
 Fondarsi su una cabina di regia univoca
 Rispondere alle domande poste dai media e gli altri stakeholder
 Sviluppare una «complicità» con i principali interlocutori esterni

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Gestire il dopo crisi è importante quanto gestire la crisi stessa. Le persone possono
ancora avere dubbi e incertezze ed evitare una ricaduta è fondamentale per
l’azienda. Per questi motivi, è necessario, nel dopo crisi:
8) Motivare le persone ad agire e rimanere vigili
9) Esprimere empatia per quelli che hanno subìto una perdita irrecuperabile
10) Continuare attività di caring nei confronti di clienti e dipendenti
11) Promuovere la formazione dei propri dipendenti per affrontare future crisi

58
Capitolo 0 – Il piano di comunicazione
Il piano di comunicazione è lo strumento che consente di sfruttare tutti gli strumenti
mediatici a disposizione per veicolare dei messaggi. Le sue azioni sono legate ad
obiettivi specifici, diffondono e trasmettono valori in modo implicito ed esplicito,
diretto e indiretto. È lo strumento che definisce messaggi, strumenti, canali, tempi e
costi e li sviluppa coerentemente rispetto ad una visione d’insieme e all’immagine
che si vuole trasmettere.

Le finalità di un piano di comunicazione sono: la definizione di obiettivi, articolare gli


strumenti, stabilire le risorse, individuare le sinergie.

Il piano di comunicazione richiede che tutte le attività siano:


 Tempestive: funzionali a perseguire l’obiettivo nei tempi stabiliti
 Credibili: basate su caratteristiche che trovano riscontro nella realtà
dell’impresa
 Programmate: articolate e combinate secondo una logica che ne accentui
l’utilità
 Coerenti: coordinate e sinergiche tra loro

La comunicazione supporta la reputazione, rafforzando il brand di un’azienda o di


un’organizzazione. La comunicazione rappresenta infatti uno strumento per la
costruzione delle relazioni con gli stakeholder con cui un’organizzazione interagisce,
contribuendo alla costruzione della Brand Equity, ovvero al valore del brand, la forza
che un brand esercita sullo scenario di riferimento.

Prima di costruire un piano di comunicazione, bisogna porsi 5 domande:


 A chi: identificazione del pubblico – target
 Perché: definizione degli obiettivi di comunicazione – obiettivi
 Che cosa: definizione del messaggio – messaggi
 Come, quando: scelta dei mezzi di comunicazione – strumenti
 Dove: cronoprogramma

Il piano di comunicazione deve partire da un’analisi dello scenario e della brand-


equity per comprendere al meglio la percezione del posizionamento del brand e
delle aree di miglioramento da cui partire per la stesura del piano.
Per definire il valore di una marca bisogna analizzare nell’ambito del mercato di
riferimento:
 Brand awareness, notorietà
 Brand acceptance, accettazione

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 Brand preference, preferenza di marca
 Brand loyalty, fedeltà

Per avviare il piano di comunicazione è necessario partire dalla fotografia


dell’esistente. Ciò consente di valutare le attività di comunicazione già messe in
campo dal brand, analizzare i suoi punti di forza e debolezza e conoscere il
sentiment di stakeholder interni ed esterni.
 Raccolta e analisi dei materiali e degli studi più recenti;
 Assessment della presenza e della copertura mediatica (on e offline)
È necessario porsi alcune domande fondamentali che riguardano la professione che
svolgiamo o l’organizzazione di cui facciamo parte. Dobbiamo conoscere nel
dettaglio ciò che possiamo offrire al pubblico, come veniamo percepiti, quali canali
abbiamo sfruttato fino a questo momento e con quali risultati. Possibilmente senza
mentire a noi stessi, cosa in cui di solito le aziende sono bravissime. Occorre anche
dare uno sguardo al budget e, soprattutto, alla volontà e all’intensità con cui
desideriamo intraprendere un percorso di Comunicazione, Marketing o Personal
Branding: tutte situazioni che hanno bisogno di un piano di comunicazione integrata.

Il benchmark consente di analizzare la comunicazione rispetto a un benchmark di


riferimento. Cosa fanno i competitor del brand, come comunicano? Ci sono best
practice di riferimento all’interno dalle loro strategie di comunicazione?
Analisi – on e offline – dei principali player del settore per capire come si
posizionano gli altri player all’interno dello stesso settore

Gli obiettivi di comunicazione devono essere chiari e rispondere ai 5 caratteristiche


identificabili nell’acronimo S.M.A.R.T.
 Specific, chiari e specifici
 Measurable, misurabili attraverso metriche
 Attainable, fattibili e raggiungibili
 Relevant, legati alla strategia
 Time Bound, legati a tempi definiti e certi

I destinatari sono gli stakeholders, ovvero i pubblici interni ed esterni, interessati e


coinvolte dalle attività dell’azienda. Nel piano vanno definite le categorie di
destinatari delle attività̀ di comunicazione, (Clienti, Cittadini, Istituzioni, Investitori,
Media, Dipendenti, Associazioni di categoria, Opinion leader) ognuna delle quali
deve essere oggetto di un approccio differente che possa ottimizzare la
comunicazione.

L’area di attività del piano di comunicazione sono:


60
 Brand identity
 Media relations
 Eventi
 Advertising
 Comunicazione interna
 Comunicazione digitale

La brand identity esprime i valori intangibili che contraddistinguono un’azienda e nei


quali i consumatori di possono riconoscere. Dialoga implicitamente con i
consumatori supportando il posizionamento della marca, isolandola dai concorrenti.
Si manifesta con: brand character, logo, payoff, palette cromatica, caratteri
tipografici, linguaggio fotografico, infografiche, tone of voice, storytelling.
Sempre più spesso, i brand ricorrono al re-branding: ovvero il restyling della brand
identity. Ciò diventa necessaria quando la brand image non è più in linea con i
cambiamenti della società, oppure quando non è più accattivante e non comunica i
valori per cui è stata progettata. Perché cambiare la propria identità?
• Perché l’immagine dell’azienda è fuori moda
• Perché il brand ha una cattiva reputazione
• A causa di fusioni, scissioni o acquisizioni
• Perché l’azienda si vuole riposizionare sul mercato

61
Capitolo 14 – Corporate Social Responsability
La responsabilità sociale è un asset chiave per l'impresa, capace di accrescere
concretamente il valore di un business. Si tratta, infatti, di un elemento centrale
attraverso cui si costruisce la reputazione e la percezione di un brand da parte degli
stakeholder, e di conseguenza la solidità e la continuità del business aziendale.
Per questo, i progetti di corporate social responsibility (CSR) sono ormai stabilmente
inglobati nel perimetro di attività di numerose aziende italiane e internazionali.

Ne è prova il fatto che, secondo il World Business Council for Sustainable


Development, "non esiste una definizione universalmente accettata di CSR".
Questo elemento attribuisce alla CSR uno status "permanente mutabile", che le
consente di rispondere in maniera flessibile alle nuove sfide del mondo industriale,
accogliendo nuove istanze e necessità: "La CSR è l'espressione del livello di sviluppo
morale di una socierà, in cui i valori che guidano le decisioni e le politiche e i
programmi sono prodotti da una varietà di sistemi normativi, a seconda del livello
culturale, della religione, dell'educazione ecc."

La consapevolezza su questi temi da parte dei consumatori è aumentata in modo


considerevole. La necessità di investire in prodotti e servizi che siano coerenti con la
causa ambientale o sociale si è tradotta, così, in una richiesta di beni sempre più
sostenibili, in particolare da parte dei giovani (dei millennial e generazione Z). Una
recente ricerca del Capgemini Research Institute evidenzia una forte correlazione tra
fidelizzazione dei clienti e sostenibilità, che sta influenzando le abitudini di acquisto
di oltre la metà della popolazione mondiale. Secondo quanto si legge nella ricerca il
53% dei consumatori e il 57% di quelli di età compresa tra 18 e 24 anni ha iniziato ad
acquistare prodotti di marchi meno conosciuti, ma più sostenibili. Il 52% degli
intervistati sostiene di avere un legame emotivo con prodotti o aziende ritenuti
sostenibili, mentre il 64% si sente meglio acquistando prodotti sostenibili
(percentuale che raggiunge il 72% nella fascia d’età 25-35 anni).

Secondo una ricerca condotta da SWG per Green&Blue tre italiani su quattro sono
sempre più preoccupati della situazione ambientale del luogo in cui vivono. E per 6
italiani su 10 gli scenari catastrofici dipinti dagli ambientalisti non sono esagerati.
Oggi, il valore dell’impresa: è fortemente condizionato dalle battaglie dei movimenti
sociali e dipende sempre più dall’apprezzamento degli stakeholder, ovvero di tutti i
soggetti direttamente e indirettamente coinvolti nelle attività aziendali. Per questi
motivi, imprese e organizzazioni, stanno investendo nel creare un rapporto valoriale
con gli stakeholder interni ed esterni, non focalizzandosi più esclusivamente sugli
obiettivi e le volontà espresse dagli azionisti.

62
Oltre ai più noti Accordi di Parigi e all’Agenda 2030 della Nazioni Unite cresce il peso
dei criteri ESG anche a livello di regolamentazione (europea). L’UE ha introdotto
obblighi di informativa in materia ESG che stanno impattando tutti i partecipanti al
mercato europeo dei capitali. I punti chiave da ricordare in merito sono:
 Il Green Deal europeo e Horizon Europe;
 Il Regolamento sulla Tassonomia;
 La Sustainable Finance Disclosure Regulation (SFDR) che mira a aumentare
la trasparenza sulla sostenibilità di determinati prodotti finanziari (ad
esempio fondi di investimento);
 La Non-financial Reporting Directive (NFRD), rivista con l’obiettivo di
facilitare le disclosures; ad aprile 2021 la Commissione ha presentato una
proposta per una Corporate Sustainability Reporting Directive (CSRD),
mirata a rivedere e rafforzare le regole introdotte dalla NFRD. Le aziende
dovranno riferire su come le questioni di sostenibilità influiscono sulla loro
attività e sull'impatto delle loro attività sulle persone e sull'ambiente.
 La Low Carbon Benchmark Regulation;
 La Credit Rating Regulation.

A breve con la revisione della non financial reporting directive a 50 000 aziende
nell'UE verrà chiesto di seguire i dettagliati standard di rendicontazione della
sostenibilità dell'UE (ad oggi sono 11 000 le aziende soggette ai requisiti esistenti)
Va ricordato inoltre quanto previsto dal PNRR che inserisce la transizione ecologica
tra gli assi strategici fondanti. Il Piano introduce sistemi avanzati e integrati di
monitoraggio e analisi per migliorare la capacità di prevenzione di fenomeni e
impatti. Incrementa gli investimenti volti a rendere più robuste le infrastrutture
critiche, le reti energetiche e tutte le altre infrastrutture esposte a rischi climatici e
idrogeologici. Il Piano rende inoltre il sistema italiano più sostenibile nel lungo
termine, tramite la progressiva decarbonizzazione di tutti i settori. Obiettivi di
sostenibilità sono chiaramente inseriti nel Next Generation EU.

Larry Fink, numero uno di BlackRock nel 2020 dichiarava che la sostenibilità sarebbe
stato il nuovo standard per gli investimenti di BlackRock. Nella lettera ai CEO del
2021 lo stesso Fink è ancora più esplicito e diretto nel sottolineare che gli
investimenti di BlackRock sono stati guidati dalla profonda convinzione che la
integrazione dei temi della sostenibilità permette agli investitori di avere portafogli
più resilienti in grado di garantire un ritorno migliore sul lungo periodo, anche per la
possibilità, sottolineata più volte, di ridurre i rischi (Finanziare la sostenibilità paga:
come ci ricorda il Rapporto di sostenibilità 2020, sempre di Cerved, la probabilità di
default media delle aziende con maggiori investimenti ESG (1,3%) è infatti meno
della metà di quella delle imprese con bassi investimenti sostenibili (2,8%);

63
Per J.P. Morgan diventa strategica la gestione del rischio, al fine di cogliere
opportunità in rapida evoluzione, allineando gli obiettivi finanziari a quelli non
finanziari. Da sottolineare inoltre come JPMorgan ha dichiarato che mira a prestare,
investire e fornire servizi finanziari per un equivalente di 2.500 miliardi di dollari di
attività bancarie da indirizzare a aziende e progetti che si impegnano a affrontare il
cambiamento climatico e la disuguaglianza sociale nel prossimo decennio.
L'annuncio di JPMorgan arriva in mezzo a una raffica di impegni da miliardi e trilioni
di dollari da parte delle banche verso iniziative ESG - un segno che il mondo della
finanza sta puntando sul mondo aziendale come motore di cambiamento e fucina di
soluzioni ai cambiamenti climatici e alla disuguaglianza sociale.
Finora il focus è stato posto soprattutto lato investimenti (i green bond sono un
esempio). Ad oggi sta cambiando l’offerta dei prodotti finanziari, con una nuova
attenzione alle linee di credito sostenibile, le quali offrono vantaggi in termini di
tassi di interesse a chi le impiega. Sono molte le banche che le hanno in portafoglio.

I risultati di un’azienda dipendono da molti fattori: andamento del mercato,


lungimiranza e efficacia delle scelte, capacità di comprendere e anticipare i trend di
settore. Se un Chief Financial Officer (CFO) viene valutato in base alla solidità
finanziaria, un comunicatore deve contribuire alla crescita dell’impresa sotto il
profilo del capitale reputazionale, a partire dal racconto delle strategie aziendali in
tema di sostenibilità e responsabilità verso il contesto sociale. Come non c’è posto
sul mercato per un’impresa senza un business plan solido, così non c'è futuro per le
aziende senza una cultura della sostenibilità.

I progetti di Corporate Social Responsibility (CSR) sono ormai stabilmente inglobati


nel perimetro di attività delle aziende italiane e internazionali.
La responsabilità sociale accresce concretamente il valore di un business, e deve
rientrare a pieno titolo tra le attività d’impresa. Si tratta di un elemento centrale
attraverso cui si costruisce la reputazione e la percezione di un brand da parte degli
stakeholder.

Oggi c’è un’attenzione crescente alle tematiche ambientali. I risultati del XI Rapporto
dell’Osservatorio europeo sulla sicurezza evidenziano come i timori degli italiani
coincidano complessivamente proprio con i grandi temi della sostenibilità e
dell’Agenda 2030. In qualsiasi processo decisionale si presta sempre maggiore
attenzione agli aspetti collegati alla sostenibilità. La responsabilità sociale diviene
leva di crescita e di coinvolgimento duraturo nel tempo.

In una fase ancora di crisi economica, le imprese che vogliono riuscire a parlare in
modo efficace alla società e ai propri stakeholder devono saper includere i temi
della sostenibilità nelle proprie strategie aziendali, passando a una visione strategica
64
globale e di prospettiva. L’obiettivo a cui tendere deve essere quello della creazione
di valore e di impatto sociale positivo, partendo da una applicazione efficace delle
strategie e degli strumenti di Corporate Social Responsibility, fino alla costruzione di
valore condiviso (shared value).

La definizione del concetto di "Responsabilità sociale d'impresa", o CSR, è complessa


e articolata, in considerazione sia delle diverse connotazioni assunte nel tempo sia
delle declinazioni in cui la CSR viene intesa e applicata dalle imprese stesse.
 
La varietà di definizioni formulate coincide con la varietà dei quadri teorici e di
approccio da parte del mondo accademico, per cui sfondi e obiettivi hanno
influenzato la concettualizzazione del fenomeno, sottolineandone di volta in volta
un aspetto piuttosto che un altro.
 
Il modo in cui la CSR viene inteso è in primo luogo influenzato da una “paniere”
piuttosto ampio di elementi e fattori (storici, economici, culturali e sociali) che
hanno influenzato la visione di un Paese e del ruolo degli attori industriali nel campo
delle responsabilità sociali. D’altra parte, gradi e modalità con cui questo approccio
viene adottato possono variare sensibilmente anche all’interno dello stesso
perimetro nazionale e economico, tra un’azienda e l’altra.

Una prima considerazione importante sulla visione della CSR è come questa sia
strettamente correlata ai ruoli attribuiti ai diversi attori sociali: per cui nei Paesi dove
storicamente lo Stato ha svolto un ruolo centrale nella fornitura di beni e servizi è
meno probabile contare su iniziative aziendali, mentre laddove lo Stato ha giocato
un ruolo sociale e di welfare minore, il settore privato è più incline ad assumere
responsabilità sociali.

Nel XXI secolo è cambiato radicalmente l’approccio alla responsabilità sociale


d’impresa, che evolve verso il concetto di creazione di valore condiviso.
Nessuna azienda è un'entità a sé stante, per cui il suo successo è influenzato dai
servizi e dalle infrastrutture che la circondano e dipendono anche dal territorio di
riferimento, che le imprese stesse possono contribuire a sviluppare Il concetto di
shared value integra e supera l’idea di responsabilità sociale, riscrivendo la catena
del valore: la crescita sociale è un obiettivo centrale e non un accessorio.

Le aziende possono migliorare la ricchezza sociale e il benessere condiviso,


includendo esigenze prima trascurate e migliorando le condizioni di vita dei cittadini
con l’obiettivo di trasformare in potenziali consumatori.
Una strategia che permette alle grandi imprese e alle multinazionali di accedere a
nuovi mercati, ma anche di migliorare lo status di una comunità locale, creando le
65
condizioni che consentano opportunità di sviluppo.

Le dimensioni di un’impresa si rappresentano su tre direttrici fondamentali:


economica e finanziaria, sociale (dipendenti, territorio di riferimento etc) ed
ambientale. Come i risultati finanziari sono raccolti in un bilancio che presenta la
solidità del piano di business di un’impresa, così il bilancio sociale rappresenta lo
strumento attraverso cui fornire agli stakeholder le informazioni per valutare i
risultati socio-ambientali conseguiti dall'azienda.

Un crescente numero di aziende ha introdotto accanto ai documenti informativi


tradizionali ed obbligatori uno strumento offerto in modo del tutto volontario che
presenta l’attività di CSR. Il Bilancio Sociale punta a rendere conto in modo
trasparente delle risorse utilizzate, delle attività svolte e dei risultati conseguiti.

Il Bilancio Sociale certifica e rende percepibili – perché quantificabili – il profilo etico


dell’impresa e i valori che ne guidano l’operato, elementi fondamentali sia per
azionisti e stakeholder sia per la comunità di riferimento. Si tratta di uno strumento
che è entrato nella prassi delle aziende piuttosto recentemente. La prima esperienza
assimilabile risale al 1938 da parte della società tedesca AEG, che realizza un
prospetto che affianca alle informazioni prettamente economiche e finanziarie
quelle a carattere sociale. Condividere la mission e la vision aziendale diventano un
elemento chiave per rafforzare la reputazione dell’impresa e ottenere il consenso
della clientela, dei dipendenti, dei future employee e dell'opinione pubblica.
In Italia la redazione del BS è ancora su base volontaria per le aziende e le imprese
profit.

Se il Bilancio sociale è lo strumento rivolto al controllo delle politiche dell’azienda, il


Codice Etico rappresenta invece la declinazione dei valori sociali d’impresa nel
campo dei comportamenti individuali.

Il Codice etico è la carta che definisce la responsabilità etico-sociale di ogni figura


affiliata all’organizzazione. È il primo mezzo a disposizione delle imprese per
prevenire comportamenti irresponsabili o illeciti da parte di chi opera in nome e per
conto dell’azienda Introduce una definizione chiara ed esplicita delle responsabilità
etiche e sociali di dirigenti, dipendenti e (addirittura) dei fornitori verso gli
stakeholder.

Non si tratta di un documento obbligatorio e codificato (la struttura può variare da


impresa a impresa), generalmente presenta:
1) I principi etici generali della mission aziendale;
2) Le linee guida per le relazioni dell’impresa con i propri stakeholder;
66
3) Gli standard etici di comportamento attesi;
4) Le sanzioni interne eventualmente previste e in caso di violazione del Codice;
5) Gli strumenti di attuazione (generalmente affidata a un Comitato etico) che
diffondere la conoscenza del Codice in azienda e ne monitorare l’attuazione.

Negli USA la redazione dei Codici Etici è largamente diffusa (1991, Federal
Sentencing Commission Guidelines for Organizations), ed è un elemento che
concorre a provare la buona fede dell’azienda. Meno diffusa in Italia, dove si registra
un forte impegno da parte dei grandi player e dalle associazioni di categoria (es.
Confindustria).

Essere presenti online in modo autorevole e costante è una necessità ormai per le
imprese. Il web può essere la chiave per trasmettere l’impegno in sostenibilità e le
attività di CSR. Una strategia di comunicazione digitale efficace permette di illustrare
in modo concreto l’impegno dell’azienda su alcune tematiche di CSR (impatto
ambientale, promozione della diversity etc.), scegliendo uno stile uniforme o
utilizzando un linguaggio coinvolgente e sfruttando immagini, video, infografiche e
contenuti con un tone of voice «caldo».

Secondo un’indagine di Lundquist un terzo dei post Facebook e un quarto dei tweet
sono relativi a temi di CSR, ma soprattutto sviluppano un maggior engagement
(+17%). Twitter - piattaforma sempre più targettizzata – ha un ruolo centrale.
Comunicare il proprio impegno sulla sostenibilità limitandosi al report caricato sul
sito non basta più: bisogna rendere i contenuti facilmente fruibile dal pubblico. Il
web permette di costruire uno storytelling basato su aspetti emozionali e sulla
diffusione di contenuti nativamente digitali.

È possibile raccontare la sostenibilità con contenuti multimediali. Ci si è resi conto,


infatti, che oggi fare impresa significa saper cogliere le opportunità dello sviluppo
sostenibile per aumentare la competitività, rafforzare la reputazione aziendale e
generare valore condiviso. Il podcast è quindi concepito come un contenitore di
storie e conversazioni.

Dal 2016 con la Riforma del Terzo Settore sono riconosciute in Italia le Benefit
Corporation, ed è obbligatorio per imprese sociali e le aziende di pubblico interesse
con più di 500 dipendenti pubblicare un bilancio di sostenibilità su base annuale.
La sostenibilità d’impresa ha una valenza triplice in termini di governance, di rispetto
dei parametri ambientali e del valore sociale.
Oggi le imprese puntano sempre più a creare valore condiviso tra il ritorno
finanziario e l'effetto che si ha sulla comunità di riferimento, sui propri clienti, sui
lavoratori, sui territori che ospitano gli asset dell’azienda. L’obbligatorietà non
67
corrisponde però a una parallela cristallizzazione delle costanti e dei parametri del
Bilancio, che resta – come abbiamo visto – uno strumento viziato da una certa
genericità e dall’uso di criteri (come le certificazioni ISO) che restituiscono una
visione parziale e “fredda” dell’effetto dell’azienda sulla comunità.

La trasformazione tecnologica e l’approccio data driven fanno evolvere il concetto di


Corporate Social Responsibility in Corporate Social Impact. Per il comunicatore la
chiave di un efficace storytelling diventa quella di raccogliere e raccontare i risultati
dei progetti non in termini di output (finanziamenti e risultati ottenuti) ma di
impatto (outcome) sulla vita delle singole persone, delle comunità e del tessuto
locale, basato su dati quantitativi e rappresentato in una nuova generazione di
reportistica, il “bilancio di impatto”.

Le aziende aderiscono ai principi ESG non solo per quello che rimane il motivo
principale, la salvaguardia del Pianeta, ma anche perché:
 Rafforza la propria reputazione
 Fa accedere al credito e ai finanziamenti

Per seguire correttamente gli obiettivi di sostenibilità:


∙ È necessario elevare gli standard e fissare obiettivi che vadano oltre gli
obblighi legislativi;
∙ È un processo di miglioramento che deve essere continuo e volontario;
∙ È un modo di operare che integra considerazioni sociali e ambientali nel
processo decisionale;
∙ È necessario restare coerenti con la propria strategia di business e purpose. 

È altrettanto importante:
• comunicare in modo chiaro, efficace e accessibile le informazioni sul proprio
impegno di sostenibilità;
• dimostrare coerenza fra i comportamenti ed il messaggio comunicato;
• identificare obiettivi misurabili
Importante per ridurre al minimo i rischi reputazionali dell’azienda che possono
essere determinati da un’immagine mistificatoria comunicata all’esterno (ad es. il
cosiddetto “greenwashing”). Nel fare ciò le aziende possono affidarsi a figure
professionali con competenze in grado di capire ed interpretare le tendenze del
contesto comunicativo, di utilizzare i nuovi linguaggi e strumenti.

68
Capitolo 12 – Comunicazione politica
La comunicazione politica è il prodotto dell’interazione tra il sistema politico,
sistema dei media e cittadini-elettori. Nel XX Secolo con i mezzi di comunicazione di
massa ma già nell’antica Grecia (VI-V sec. a.C) dominava la retorica, cioè l’arte della
persuasione. Nel mondo romano nascono i termini di “candidato” e “comizio”.

Si possono distinguere tre fasi nello sviluppo della comunicazione politica.


1. La prima si dilata dal Dopoguerra agli anni Cinquanta, quando dominano i partiti
e le ideologie. Il legame degli elettori con i simboli e con i gruppi di riferimento è
così forte che i politici non si preoccupano granché di immagine e
comunicazione. In manifesti e slogan prevale sempre il richiamo ai propri valori
condivisi in contrapposizione con quelli degli avversari.
2. La seconda: dagli anni Sessanta agli Ottanta, quando la televisione la fa da
padrone, aprendo la politica anche a un "pubblico" che tradizionalmente ne era
escluso, e in cui si ricorre ai sondaggi benché il flusso della comunicazione resti
ancora top-down, dagli addetti ai lavori ai cittadini.
3. La terza fase: dagli anni Novanta in poi quando, accanto alla TV, che moltiplica i
canali, si fa largo il web, che rivoluziona tecniche e strategie imponendo il lavoro
dei nuovi professionisti della comunicazione. La politica (o spesso, purtroppo,
soltanto la propaganda) sbarca nei talk show, i candidati si popolarizzano
pienamente e si confrontano direttamente con gli elettori.
Nasce la necessità di una narrazione che costruisca il candidato come un
personaggio, con virtù e vizi non dissimili a quelli delle persone a cui chiede il voto.

Lo scenario che abbiamo delineato impone un cambio di paradigma


nell'organizzazione politica e nella campagna elettorale.
Ci sono due opzioni per conquistare voti. Finora è stata privilegiata la via della
conversione:
1. La prima consiste nel convincere un elettore che non vorrebbe sostenere un
determinato partito a cambiare idea e votarlo. È la strada che ha spinto alcuni a
sostenere la necessità di "spostarsi al centro" e promuovere una visione più
moderata della politica. Ma questa strada presenta due grandi difficoltà. La
prima: si rivolge al cosiddetto "elettore indeciso", un vero e proprio mito, quasi
un Santo Graal della politica. Gli elettori veramente indecisi, infatti, sono pochi:
circa il 5% dell'elettorato secondo varie stime. Inoltre, pochi cambiano idea
durante la campagna elettorale. La maggior parte si forma un'opinione
lentamente, nella quotidianità dell'esperienza di vita. E a poco serve bombardarli
di stimoli a ridosso del voto.
2. La seconda strada per conquistare voti è quella della mobilitazione: consiste
nell'incoraggiare un elettore tendenzialmente vicino alla propria parte politica ad
69
andare a votare. Si rivolge agli elettori astensionisti che avevano scelto questa
coalizione nelle scorse consultazioni ma che sono tentati di non partecipare al
voto. Si tratta di un numero molto grande e in costante crescita.

Si è notato negli anni una Stretta relazione tra marketing e politica


(Caso Ohio) “Mercato elettorale” (Blumenthal).
 Marketing politico: durante la legislatura per rafforzare posizione del partito o
governo
 Marketing elettorale: durante le elezioni per conquistare voti
 Marketing sociale: campagne di sensibilizzazione dell’opinione pubblica

Il web si è abbattuto come uno tsunami sul campo politico (e commerciale) perché
ha cancellato la mediazione, modificando quasi tutte le attività tradizionali. I siti
delle aziende sono diventati bidirezionali, non pubblicizzano soltanto i prodotti che
vendono ma permettono ai consumatori di partecipare, in qualche modo, alla loro
definizione. Nel 2009 (il 4 ottobre - S. Francesco) viene fondato un “non partito”
(senza soldi, senza Tv, senza sedi, senza tessere, senza dirigenti), basato
sull’interazione tra cittadini sul web (piattaforma Meetup).

Con il web addio alla mediazione. I consumatori partecipano alla definizione del
prodotto (Prosumer) come I cittadini partecipano alla politica ed entrano nelle
istituzioni. Finisce il professionismo della politica e comincia un “franchising
politico”.

Nella comunicazione politica ricerca e sperimentazione non si fermano mai,


anche perché le campagne elettorali fanno un uso massiccio di analisi e test.
Prima si punta su ricerche per valutare le possibilità che un candidato avrebbe di
vincere le elezioni (benchmarking), poi si verificano quali sono i temi più sentiti dai
votanti (issue-oriented), in seguito si controllano le fluttuazioni degli orientamenti
dei cittadini durante la campagna elettorale (tracking). Ci sono anche ricerche
tempestive per cogliere il giudizio degli elettori dopo eventi particolari o con-
fronti TV (quick response).

Spesso gli staff dei candidati ricorrono ai focus group, più economici dei
sondaggi. Con l'obiettivo di stabilire azioni di marketing specifiche. I big data
sono l'ultima frontiera: consentono di indirizzare un messaggio personalizzato
agli elettori dei segmenti-target che sono stati individuati, di tenere informati
nel tempo i cittadini, di curare in modo specifico la comunicazione, di fideliz-
zare il rapporto con l'elettore. E ancora di più: ricerche e sondaggi diventano
essi stessi strumenti per orientare la scelta dei cittadini. Anche per questo bi-
sogna sempre prestare attenzione alle modalità con cui vengono realizzate le
70
indagini.

Le storie garantiscono ai messaggi politici, bisogna considerare che la struttura


narrativa risponde meglio alle necessità di schematizzazione della memoria rispetto
ad altre organizzazioni del discorso?4. Lo schema narrativo è infatti la più universale
e diffusa forma di organizzazione del pensiero: costituisce la base non solo della
maggior parte dei prodotti dell'industria culturale - dal romanzo al film - ma,
secondo quanto confermano vari studi, gioca un ruolo fondamentale nella
costruzione della memoria collettiva e dell'identità individuale. Per questa ragione la
narrazione è l'organizzazione non solo più diffusa, ma anche la più naturale per
comunicare idee, progetti, proposte. Non a caso è quella che riteniamo più semplice
da seguire. Un terzo elemento da sottolineare concerne la possibilità della
narrazione di coinvolgere emotivamente chi ascolta: le storie stimolano le
aspettative di azioni future e generano opposizione verso scenari ostili.

La maggior parte dei politici apre un profilo web perché "non si può non esserci";
molti hanno iniziato per dare un'immagine di dinamismo e di modernità, altri perché
ne hanno intuito il potenziale. Con il web, infatti, si può fare molto di più, si possono
"spostare le persone". Si può, cioè, coltivare un rapporto di fiducia con le persone
nel corso del tempo, informare i cittadini sulle attività realizzate, sulle proprie
proposte, rispondere alle critiche che si ricevono. E quindi instaurare una relazione
duratura con un gruppo di persone che saranno i propri primi sostenitori, con
l'attivismo, partecipando a iniziative di volontariato o anche semplicemente
parlando bene del candidato (o dell'organizzazione) con i loro familiari o colleghi di
lavoro.

La politica perde il proprio ruolo dominante, è costretta a cedere quote di potere, a


scendere dal piedistallo su cui i mass media l'avevano posta e a confrontarsi con i
cittadini. Può anche scegliere di non farlo, ma si espone, senza possibilità di
reazione, al giudizio dei cittadini, che hanno ora uno strumento più forte per
manifestare la loro opinione.

C'è una caratteristica che accomuna il comportamento dei politici sul web,
indipendentemente dall'orientamento, dal Paese di provenienza, dal fatto di essere
al governo o all'opposizione. La quasi totalità usa il web come se fosse in televisione:
parla, esprime la propria opinione, espone le proprie idee, ma non ascolta, non
risponde alle critiche, non interagisce con gli altri. Se interagisce, lo fa per cercare di
avere ragione, di prevalere sull'altro e, se non ci riesce, litiga, s'infuria, polemizza e a
volte arriva - addirittura - a insultare i cittadini.

l'interazione non può esaurirsi nella risposta ai messaggi, ma nella valorizzazione dei
71
contenuti prodotti da altri alla richiesta di opinioni a membri della comunità, fino al
coinvolgimento in progetti di decisione partecipata. La capacità di creare una
relazione con i propri elettori costituisce una bussola per orientarsi nella difficoltà
delle scelte quotidiane.

Ovviamente è opportuno stare attenti a quello che si pubblica perché, a differenza di


quanto accade con i mezzi tradizionali, che nel momento in cui sono stati consumati
finiscono, il web rimane lì, potenzialmente per sempre. Questa caratteristica della
rete comporta alcune accortezze. La prima: se si fa un errore bisogna ammetterlo.

Il web va inserito, però, in un contesto più ampio, da solo non può rispondere a
tutte le necessità della politica: servono un candidato onesto e con una buona
immagine, una strategia efficace, un'organizzazione rodata, un gruppo di
collaboratori di qualità e un budget adeguato. Né, tantomeno, si può pensare che il
web risolva tutte le dimensioni della comunicazione. La strategia online deve andare
di pari passo con gli altri strumenti, ad esempio deve dare visibilità a quello che
accade nel mondo "offline", agli eventi della campagna, o creare progetti che
permettano di generare la copertura degli altri media.

La crescita di un candidato o di un'organizzazione politica non dipende solo dai


media e dalla capacità di costruire consenso. Per avere successo serve un'idea
politica forte e condivisa da un largo gruppo di persone: non si può creare un sentire
collettivo dal nulla usando la rete. Ma si può dare a idee, esigenze e sensibilità
diffuse nell'opinione pubblica un punto di incontro e di visibilità e un'occasione per
organizzarsi ed elaborare un piano di azione comune.

72
Capitolo 10 – pubblic affairs e Lobbying
Il pubblic affairs è l'insieme delle attività di comunicazione volte a costruire e
consolidare relazioni di lungo periodo con i pubblici di riferimento dell’impresa.
Le relazioni pubbliche hanno il fondamentale compito di favorire lo sviluppo di un
rapporto solido e di reciproca conoscenza e comprensione tra l’organizzazione e gli
stakeholders: clienti, comitati, azionisti, associazioni, categorie, comunità.
Il P.A. è funzionale ad informare, sensibilizzare e influenzare le opinioni di tutti quei
soggetti che possono agevolare o ostacolare l’organizzazione nel raggiungere i suoi
obiettivi.

I due pilastri sui quali si regge una corretta politica di relazioni pubbliche sono:
• comportamenti/organizzazione
• comunicazione a due vie verso l’esterno e l’interno
Fra le attività tipiche delle relazioni pubbliche troviamo tutte le attività riconducibili
all’acronimo PENCILS:
 Pubblications
 Events
 News
 Community
 Identity
 Lobbying
 Social

Lobbying significa fornire al decisore pubblico informazioni e contenuti credibili per


arrivare in piena ma consapevole autonomia alla formulazione di: posizioni,
orientamenti, norme, e scelte di indirizzo politico-governativo.

Il lobbying può essere di due tipi:


 Diretta: Pianificazione e organizzazione di incontri diretti con i decisori chiave
per trattare tematiche di interesse.
 Indiretta (Grassroots Lobbying): Azione volta a creare una base di consenso
diffuso, sensibilizzando decisori e opinione pubblica su specifici temi di
interesse mediante l’utilizzo di canali di comunicazione, coinvolgimento di
terze parti, eventi e incontri.

L’Advocacy è lo sviluppo di una serie di azioni atraverso le quali si sostiene


attivamente una causa, un principio, una proposta, un interesse diffuso
istituzionalmente rilevante e non particolare, diretto, esclusivo.

73
Il lobbying si differenzia dall’advocacy perché:
 Lobbying: Difesa di interessi, diretti, legittimamente rappresentati,
prevalentemente di natura economica. Attività rivolta direttamente ai decisori
per influenzarne e orientarne le decisioni.
 Advocacy: Promozione o difesa di interessi diffusi, principi e diritti, non
esclusivi del soggetto promotore. Sensibilizzazione e mobilitazione
dell’opinione pubblica e dei decisori per la creazione di consenso diffuso su un
tema rilevante.

La lobby diretta consiste nell'elaborazione di una strategia che permetta di portare


avanti gli interessi del lobbista agendo direttamente con il decisore pubblico. La fase
di lobbying diretta si concretizza attraverso contatti o incontri con i rappresentanti
istituzionali ai quali il portatore d'interesse si rivolge, e attraverso la redazione di
documenti, volti a convincere il decision maker della validità della propria proposta.

La lobby indiretta o Grassroots Lobbying, si sviluppa attraverso la partecipazione dei


cittadini alle scelte del governo. La chiave per il successo è il coinvolgimento di
persone che condividono obiettivi e preoccupazioni comuni e creano una strategia
di comunicazione per sensibilizzare il legislatore.
Ci sono perciò tre approcci:
 Coalition building: permette di rendere di interesse generale un
provvedimento che altrimenti sarebbe sembrato di interesse esclusivo di una
determinata azienda.
 Stakeholder engagement: occuparsi degli interlocutori con cui si instaurano
relazioni (prendere impegni, comunicare interattivamente, confrontarsi per
verificare le aspettative, impostare o rivedere politiche e strategie)
 Utilizzo Media e Social: indispensabile per veicolare l’interesse rappresentato
al decisore e mobilitare l’opinione pubblica.

Ci sono tre fasi di lobbying:


• Engagement: in questa fase bisogna mappare i decisori, creare un clima
favorevole e definire un messaggio tailor-made in base alle esigenze di
stakeholder, istituzioni, rappresentanti dei settori produttivi e cittadini
• Coinvolgimento di terze parti: in questa fase bisogna stimolare il
dibattito, promuovere punto di vista esterno e autorevole e aggiungere
contenuto al dibattito, coinvolgere opinion leader riconosciuti, istituti di
ricerca, associazioni
• Coinvolgimento di cittadini: in questa fase, la più importante, bisogna
rendere i cittadini portavoce di istanze favorevoli, depotenziare possibili
attacchi e agire verso il rafforzamento della reputazione dell’azienda e
74
dell’istituzione coinvolta.
L’avvento delle nuove tecnologie e degli ambienti digitali ha imposto una
moltiplicazione di soggetti, che si attivano per influire direttamente e/o
indirettamente sulle decisioni pubbliche.
Non basta più governare le relazioni dirette con decisori e loro influenzatori, bisogna
presidiare gli “spazi” (fisici e/o digitali) allargati.
I decisori che ricercano informazioni per adottare soluzioni che tutelino l’interesse
pubblico possono bypassare i tradizionali gruppi di interesse e rivolgersi al vasto e
sempre più frequentato ambiente digitale.

Al lobbista è quindi richiesta una sorta di apertura verso la società giudicante e, uno
degli strumenti per percorrere tale strada è sicuramente quello del ricorso ai social
network, dove raccontare di sé, dei propri obiettivi e del proprio operato.

Il lobby 2.0 si differenzia da quello tradizionali per:


 Obiettivi: nel 2.0 si cerca di orientare una decisione generando consenso, non
influenzarla.
 Strumenti: ci sono molteplici tools, canali online e offline; diversamente dal
tradizionale one-to-one.
 Modalità: si cerca di creare conversation e crowdsourcing; piuttosto che un
lobbying diretto o in alleanza con altri soggetti.
 Criticità: c’è una maggiore esposizione e frammentazione del campo d’azione
rispetto alla poca trasparenza del metodo tradizionale.

Gli strumenti dei professionisti sono:


 Monitoraggio normativo e istituzionale: controllare in tempo reale
l’evoluzione normativa e regolamentare a livello europeo. Occhio ai business
in cui l’azienda è già coinvolta ma anche a quei settori in cui si sta pianificando
uno sviluppo.
 Redazione di dossier e position paper: (documento di sintesi, il più breve
possibile, per permettere al decisore istituzionale di comprendere il problema
in poche parole)
 Redazione del briefing paper: per preparare le audizioni parlamentari, in
modo da fornire informazioni al pubblico istituzionale e pianificare il
messaggio

Ci sono 30 regole per il lobbista:


1. La fiducia è tutto. Bisogna essere onesti sempre, anche quando è difficile.
2. La politica è sempre locale. Ciò che interessa sempre al politico è essere rieletto
quindi le questioni del collegio elettorale di appartenenza hanno sempre grande
rilievo.
75
3. La politica è personale. Mai minimizzare il potere della persuasione e delle
relazioni personali.
4. Mai minacciare, neanche in modo subdolo o velato perché l’interlocutore sarà
ancora più risoluto contro la tua proposta.
5. Non dare mai nulla per scontato.
6. Non cedere mai al “quid pro quo”: la corruzione di un pubblico ufficiale è un
crimine.
7. Resisti alla tentazione di fare gossip.
8. Proteggi le confidenze altrui come vorresti che gli altri facessero con le tue.
9. Chi la fa l’aspetti… anche se ci dovesse volere molto tempo.
10.Verifica la tua considerazione su coloro che rappresenti. Non dimenticare che tu
devi rappresentare il tuo committente e non ampliare la tua influenza come se
fossi un battitore libero.
11.Sii sempre gentile ed educato con tutti.
12.Quando hai qualsiasi dubbio verifica!
13.Resta al di sopra di ogni sospetto. Devi esser certo non solo di essere ma anche di
apparire sempre nel giusto.
14.Evita gli attacchi personali. Non risultare mai ingiurioso.
15.Fai sempre il backup. Sii sempre preparato con un piano B per il piano lobbying,
per gli incontri in agenda e per i supporti tecnologici.
16.Ricorda la legge di Murphy. Se qualcosa può andare storto lo farà e nel peggior
momento possibile.
17.Tutto è più complicato di quanto sembri.
18.Pianificare la tua strategia deve essere una priorità.
19.Sii proattivo! Non attendere che un problema esploda per tenerlo nella giusta
considerazione.
20.Informa i policy makers delle posizioni diverse come faresti con la tua.
21.Sii sempre rispettoso. Ovvero sii sempre puntuale, breve quando devi esserlo,
ricorda sempre di chiedere per favore e ringraziare.
22.Segui la scia del momentum. Un successo può condurre ad un altro successo e
può produrne un altro ancora.
23.Motiva coloro che rappresenti e agevola il loro sviluppo.
24.Intessi relazioni e recluta alleati in ogni momento, non solo quando serve.
25.La tempistica è importante. Valuta sempre non solo cosa fare ma quando è
opportuno farlo.
26.Supera le barriere. Quando contatti un legislatore rivolgiti direttamente a lui e
non accontentarti di parlare con lo staff.
27.Una buona politica è una buna politica. Neanche la migliore strategia può
compensare una cattiva politica.
28.Ammetti i tuoi errori, nessuno è perfetto!
29.Tieniti alla larga dal cinismo.
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30.Guarda tutto in prospettiva. Non perdere il senso dell’umorismo e non
dimenticare chi resterà nella tua vita anche fra 10 anni.

Il position paper è un documento che fornisce, in breve, una descrizione


dell'argomento che si vorrà discutere. Contiene l'indicazione degli interessi e della
politica seguite da un gruppo. Dovrebbe suggerire un piano d'azione o delle
proposte. La lunghezza media di questo tipo di documento è di un paio di pagine
formato A4. Il position paper si sviluppa in quattro parti:
 Focus: si illustra la tematica in oggetto
 Opportunità - Rischi: si evidenziano le opportunità e i rischi della questione in
esame dal punto di vista dello scrivente
 Proposte ed obiettivi: finalità delle strategie
 Azioni: suggerimenti di modifiche al testo ed iniziative concrete per realizzare
l’obiettivo proposto

Il processo di gestioni delle relazioni con le istituzioni e gli stakeholders da parte del
lobbista, sarà dunque impegnato in un processo composto da 6 fasi essenziali:
 Monitoraggio ed interpretazione del contesto
 Presa di posizione sulle tematiche d’interesse: condivisione della posizione
con il Top Management dell’azienda
 Selezione del sistema di interlocutori chiave
 Identificazione dei messaggi chiave
 Scelta delle modalità e degli strumenti di comunicazione: equilibrata
alternanza e compenetrazione tra attività di lobbying diretta ed indiretta
 Valutazione dei risultati: misurazione delle performance attraverso 5
indicatori: visibilità degli interessi rappresentati; conoscenza e comprensione
della posizione dell’organizzazione; atteggiamenti e opinioni delle istituzioni
pubbliche; qualità e intensità di mobilitazione dell’opinione pubblica; capitale
informativo e relazionale accumulato.

La rappresentanza di interessi non è solo appannaggio di aziende private ma


acquista sempre più una funzione sociale. La lobby inizia gradualmente a perdere la
connotazione negativa che ha avuto per anni.
Esempio interessante è la diffusione del modello di LOBBY SOCIALE proposto da
Creig Holman.
Public Citizen è un'organizzazione senza scopo di lucro nata a Washington nel 1971
con un obiettivo generale: garantire che tutti i cittadini siano rappresentati nelle
stanze del potere.
Public Citizen non partecipa ad attività politiche di partito ne sostiene candidati a
cariche elettive. Non accetta alcun tipo di finanziamento pubblico e lavora
esclusivamente grazie alle sovvenzioni della Fondazione, alla vendita di pubblicazioni
77
e all'assistenza dei 400.000 membri e sostenitori.
Ci sono tre modelli di regolamentazione:
 Trasparente (Israele, Canada, Nuova Zelanda, Inghilterra, Francia): Prevede
l’istituzione di un registro in cui i portatori di interesse sono tenuti ad
iscriversi. Gli stessi devono presentare relazione annuale delle attività svolte
presso ciascun decisore.
 Partecipativa (Stati Uniti): Si identifica con il principio dell’accountability
secondo cui il coinvolgimento del lobbista è obbligatorio perché si ritiene che
il decisore debba essere edotto sugli aspetti tecnici di ciascun tema e che il
confronto con più portatori di interessi sia proficuo per comprendere il reale
interesse della comunità.
 Opaca (Italia): Si caratterizza per l’assenza di una regolamentazione organica
della materia. Proliferazione di «Registri per la trasparenza» di carattere
Parlamentare, Ministeriale, Regionale e Comunale, privi di omogeneità e
coerenza reciproca.

Il Registro Ministero dello Sviluppo Economico è uno strumento di partecipazione e


controllo che si inserisce nell’ambito delle misure di Trasparenza e Accountability
avviate dal MISE. È obbligatorio nel caso in cui si voglia richiedere un incontro al
Ministro, ai Viceministri e ai Sottosegretari, a partire dal 6 ottobre 2016 aggiornato
almeno 1 volta l’anno; le attività rientranti nell’ambito di applicazione del Registro
comprendono la rappresentanza di interessi e le attività di sostegno.

In Italia è stata approvata una legge sulla rappresentanza d’interesse. Lo schema


normativo approvato dalla Camera, in linea generale, prevede:
 obbligo di iscrizione a un Registro Nazionale per la trasparenza per coloro che
intendono svolgere attività di rappresentanza di interessi presso i decisori
pubblici; trasparenza dell’agenda degli incontri dei rappresentanti di interessi
 codice deontologico
 comitato di sorveglianza specifico presso l’Antitrust, apparato sanzionatorio in
ipotesi di violazioni.

Il Registro del Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali è un


provvedimento adottato nel 2012 per rendere trasparente l'attività di interazione
tra il Ministero e il mondo delle lobby dell’agroalimentare obbligatorio per tutti i
soggetti che hanno interazioni con l'Amministrazione gestito dall'Unità per la
Trasparenza, un ufficio specifico. Ad oggi non risulta consultabile dal pubblico e non
sembra in funzione.

78
Capitolo 25 – Unconventional communication
Quando parliamo di comunicazione non convenzionale ci riferiamo principalmente a
tutte quelle strategie di comunicazione fuori dalla norma facenti capo al guerrilla
marketing. Il concetto nasce nel 1982, con l’omonimo libro di Jay Conrad Levinson
e fa riferimento alle strategie che le imprese impiegano per attirare l’attenzione del
pubblico con forme di comunicazione non comuni e messaggi originali capaci di
bucare la disattenzione collettiva.
Il nome si ispira alla tecnica bellica della guerrilla, strategia a cui ricorrono gli eserciti
in situazioni di inferiorità per prendere in contropiede l’avversario, attraverso azioni
inaspettate e rapide.

Il guerrilla marketing nasce come una strategia che utilizza strumenti non
convenzionali per ottenere il massimo dei risultati con budget ridotti ma oggi è
ampiamente usato anche da imprese multinazionali con budget piuttosto ampi.
Le tecniche utilizzate sono le stesse del cultural jamming, un movimento
internazionale che contesta il potere delle imprese multinazionali adoperando
forme di comunicazione insolite.

La comunicazione convenzionale ha cominciato a mostrare numerosi limiti.


La comunicazione non convenzionale esplicita la tendenza degli ultimi dieci anni che
vede il passaggio dallo storytelling di prodotto all’esperienza di prodotto.

la comunicazione convenzionale ha cominciato a mostrare numerosi limiti e così le


aziende, per attirare l'attenzione dei consumatori, nel tentativo di incontrarli
all'interno di questo nuovo spazio che incentiva il non convenzionale per definizione,
hanno iniziato a utilizzare gli strumenti dei loro detrattori.
Lo spazio online è particolarmente favorevole per il non convenzionale, in quanto
internet e i media digitali hanno notevolmente accelerato quella tendenza alla
stratificazione del linguaggio. Internet ha reso particolarmente pronunciata
l'interdiscorsività comunicativa, ovvero inserire in un certo tipo di discorso un altro
tipo di linguaggio.

L’affissione è uno degli strumenti maggiormente reinventati dalla comunicazione


non convenzionale, grazie allo stravolgimento del dialogo con gli spazi da esso
fisicamente occupati. In questo caso, lo strumento – il manifesto e l’affissione – non
sono anticonvenzionale, ma lo è l’uso che se ne fa nello spazio fisico. Nelle affissioni
di tipo ambient l’effetto sorpresa è dato dal superamento della classica logica del
messaggio pubblicitario limitato all’ambito fisico del cartellone.

79
Advertainment – advertising + entertainment.
Per colpire l’attenzione dell’utente, la campagna di comunicazione traveste spesso il
suo interno e si nasconde in registri comunicativi non tradizionali. In questo caso, la
strategia è l’adv che è forma d’intrattenimento, e lo strumento assume i connotati di
qualcos’altro, come può essere un trailer cinematografico o uno sketch comico.
Esistono due pilastri base alla base dell’advertainment che racchiudono l’essenza di
tale strategia:
- l’annuncio è intrattenimento
- l’intrattenimento è annuncio

L’advertainment può essere classificato in base al grado di integrazione tra il


prodotto/brand e il contenuto dell’intrattenimento:
1. Product placement
2. Integrazione del prodotto
3. Intrattenimento di marca

Lo spot evento consente di ribaltare gli stilemi dello spot classico ed è diventato uno
dei mezzi di comunicazione non convenzionale più utilizzati perché consente
un’intermedialità e un adattamento ai vari format digitali e non. Consiste nel creare
una situazione notiziabile intorno alla quale creare un dibattito, o per meglio dire
creare conversazioni, i principali KPI su cui vengono misurate le azioni di
comunicazione.

Occupa un posto sempre più importante il marketing virale. Il potenziale virale


risiede nella capacità della campagna di far leva sui meccanismi della condivisione
del sapere che caratterizzano i social network. Le campagne virali puntano su
un’emozione che spinga gli utenti a condividere la campagna, a farla propria.
Una tendenza di fondo delle campagne che risultano essere virali è il coinvolgimento
diretto degli utenti. Sempre più brand, infatti, studiano campagne di comunicazione
che per svolgersi da un punto di vista narrativo necessitano dell’interazione attiva
dei propri utenti finali. Un esempio è la campagna “Wrapped” di Spotify che grazie
ai big data compie un racconto degli ascolti dei propri utenti, ma anche li ingaggia
direttamente stimolandoli a scoprire il proprio anno su Spotify, percorrendo
attraverso un servizio interattivo i brani più ascoltati e gli artisti preferiti.

L’Instant marketing è una strategia che si focalizza su azioni di comunicazione rapide


che sfruttano un particolare evento rivelante nella sfera pubblica. Non si tratta di
azioni frutto di strategie complesse, quanto di cogliere un dato momento e di
raccontarlo con ironia, associandolo al proprio brand o istituzione. Per realizzarlo
bisogna essere in grado di rispondere tempestivamente a ciò che accade all’interno
dei social network e nella vita reale di tutti i giorni. Occorre attenzione e creatività
80
nel trovare un legame sensato, non forzato e divertente tra quanto avvenuto e il
proprio brand.

L'instant marketing è una strategia che si focalizza su azioni di comunicazione rapide


che sfruttano un particolare evento rilevante nella sfera pubblica. Non si tratta di
azioni frutto di strategie complesse, quanto di cogliere un dato momento e
raccontarlo con ironia associandolo al proprio brand o istituzione.
Si tratta di una strategia non convenzionale particolarmente utile per quelle aziende
che trattano prodotti difficilmente raccontabili in un'ottica più ampia, come bevande
alcoliche, energizzanti, servizi di pompe funebri, tabacco.
L'ironia e un discorso fuori dal proprio contesto di riferimento li aiuta senz'altro a
risultare più efficaci e ad allontanare l'attenzione dell'utente da tematiche che
sarebbero critiche o di difficile gestione all'interno di un ecosistema tanto "punitivo"
come i social network.

81
Capitolo 31 – neuromarketing
Il Neuromarketing è l'applicazione delle conoscenze e delle pratiche
neuroscientifiche al marketing, allo scopo di analizzare i processi inconsapevoli che
avvengono nella mente del consumatore e che influiscono sulle decisioni di acquisto
o sul coinvolgimento emotivo nei confronti di un brand. Il neuromarketing studia il
processo e raccoglie i dati.

La teoria dei nudge (in inglese: Nudge Theory) è un concetto che, nel campo
dell'economia comportamentale e della filosofia politica, sostiene che sostegni
positivi e suggerimenti o aiuti indiretti possono influenzare i motivi e gli incentivi che
fanno parte del processo di decisione di gruppi e individui, almeno con la stessa
efficacia di istruzioni dirette, legislazione o adempimento forzato. La teoria dei
nudge applica i dati per raggiungere obiettivi.

I modelli economici tradizionali si sono sviluppati durante gli anni in base al periodo
storico che andava declinandosi, tentando di volta in volta di provare a dare una
spiegazione razionale ed un modello generale da seguire per governare al meglio
l’economia ed i comportamenti umani. Ci sono state tre crisi dei modelli economici:
 Crisi del 1929: che ha fatto fallire il modello di Adam Smith dell’economia
classica
 Stagflazione degli anni 70: che ha fatto fallire la rivoluzione keynesiana
 Crisi dei mutui sub-prime del 2008: che ha fatto fallire la politica monetarista

Ognuna di queste crisi e teorie avevano una sola cosa in comune che si ripeteva di
volta in volta: l’uomo, inteso come fino ad allora come “homo oeconomicus”, agiva
in modo irrazionale e i modelli economici non riuscivano a spiegarlo.

L'economia comportamentale nasce agli inizi degli anni '70 del Novecento negli Stati
Uniti, appunto per colmare le lacune lasciate dai modelli economici tradizionali. A
differenza dell'economia politica tradizionale, che presupponeva la scelta razionale
del consumatore, l'economia comportamentale analizzando il processo decisionale
del consumatore ha scoperto che nella maggior parte dei casi è basato anche su
motivazioni irrazionali.

Nascono in questo periodo i concetti di percezione del valore e della spesa


disponibile. Da essa ha origine anche il marketing comportamentale, un ramo del
marketing che include anche le conoscenze di economia comportamentale in modo
da studiare come le scelte degli individui possano essere influenzate ed incentivate
da fattori esterni e anche diversi dal prezzo, per lo più fattori psicologico-sociali.
Proprio dal marketing comportamentale si svilupperà poi la Nudge Theory.
82
Nasce l’architettura delle scelte e la Nudge Theory, per aiutare le persone a
prendere delle decisioni migliori, che possano incrementare il loro benessere ed
anche quello collettivo. Quest’ultimo infatti è un presupposto obbligatorio della
Nudge Theory.

il nudge è lo strumento attraverso il quale gli architetti delle scelte possono indurre
gli individui a delle decisioni migliori. L’architetto delle scelte è colui che deve
studiare i processi decisionali dietro una determinata scelta, analizzare i fattori di
influenza, il ruolo delle emozioni ed i processi cognitivi ed infine deve inventare un
“pungolo” da inserire nel processo in modo da “spingere gentilmente” l’individuo
verso la scelta migliore.

Come descritto da Thaler e Sunstein: “per poter essere un pungolo, tale elemento
decisionale non deve essere un’imposizione, né tantomeno deve includere incentivi
economici, inoltre deve poter essere evitato facilmente. Per fornire un esempio
pratico: collocare della frutta ad altezza occhi in una mensa può essere considerato
un pungolo, vietare il cibo spazzatura no”

L’architettura delle scelte si può applicare in praticamente ogni ambito: i pungoli


funzionano per esempio:
 Cambiando il packaging di un prodotto
 Inserendo un disegno od un altro elemento
 Scegliendo con cura quali parole usare in una frase.
È proprio per la sua semplicità di utilizzo che già molte aziende ne fanno uso, a volte
anche in modo inconsapevole, così come importanti amministrazioni pubbliche.

Nella sua accezione filosofico-politica il Nudge viene definito “Paternalismo


Libertario”.
• Libertario: gli individui dovrebbero essere liberi di fare come credono, non
partecipando a situazioni che considerano spiacevoli. Gli individui dovrebbero
essere “liberi di scegliere”, non essendo obbligati a seguire delle strade che
non vogliono percorrere.
• Paternalismo: gli architetti delle scelte cercano di influenzare, in modo non
invadente, i comportamenti degli individui al fine di rendere le loro vite più
lunghe, sane e migliori. Così come un padre benevolo.

È questo che intendiamo quando parliamo di “terza via” ai modelli economici che si
sono sviluppati negli anni; modelli che spingevano da un lato ad imporre delle scelte
agli individui e dall’altro a lasciare totale libertà di scelta agli individui, senza
nemmeno provare ad indirizzarli verso la soluzione migliore.

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Kahneman e Tversky introdussero i due protagonisti del processo decisionale umano
in condizioni di incertezza il sistema 1 ed il sistema 2:
• Sistema 1 (S1): Questo sistema agisce in modo involontario ed automatico,
non induce sforzi ed è molto veloce. Si occupa di competenze innate ed
involontarie come respirare, masticare, riconoscere istintivamente le
emozioni primarie dalle espressioni facciali, reagire con i riflessi; inoltre il
sistema 1 apprende le associazioni di idee come gli stereotipi o i proverbi, e
impara a collegare ad esempio una capitale al suo paese. Le sue informazioni
sono presenti nella memoria, e vi si accede automaticamente e senza ricorso
a sforzi.
• Sistema 2 (S2). Volge la sua opera verso le attività cognitive e mentali che
richiedono impegno e concentrazione come calcoli matematici, analisi del
testo o riflessione filosofica. Le sue operazioni sono attivate ogni qual volta
che una persona compie un’azione ragionata od una scelta che implica
concentrazione. In tutte queste fattispecie il fattore comune è l’attenzione,
infatti in mancanza di essa il sistema 2 non si attiva.

Ovviamente il sistema 1 e 2 non esistono realmente, sono solo una metafora per
capire come funziona il nostro pensiero: Sistema 1 ci aiuta a riconoscere la paura sul
viso di una persona. Sistema 2 interviene quando dobbiamo svolgere un’operazione
complessa come 23x12.

Euristiche:” Approssimazione e intuizioni” del sistema 1 per risolvere in modo


semplice e veloce un problema complesso. Molto spesso possono essere precise.
Bias Cognitivi: casi in cui l’approssimazione delle euristiche va totalmente fuori
strada. Errori causati dalle euristiche.

I Big Data possono fornire un grande supporto per l’analisi del comportamento
umano, favorendo quindi una corretta architettura delle scelte.

Il digital nudging è un approccio basato sui principi dell’economia comportamentale


che applica gli elementi di design dell’user interface per influenzare le scelte degli
utenti nel panorama digitale. Gli elementi di design UI comprendono design grafico,
contenuti specifici, parole o piccole funzioni. Molti sono gli esempi di digital nudging
che si possono trovare sia in ambito pubblico che privato, che cercano di fare leva su
diversi effetti comportamentali ed euristiche, passando dal framing, allo status quo
bias fino alla loss avversion.

La neuroeconomia è un ramo emergente in ambito neuroscientifico che si focalizza


sui processi di funzionamento della mente umana, prettamente per quanto riguarda
i processi di scelta per la risoluzione di mansioni di carattere economico. Dato che la
84
neuroeconomia si fonda sull’unione di diverse discipline, come l’economia, la
medicina, la psicologia, la matematica, la neurologia e la scienza, può definirsi a tutti
gli effetti una materia interdisciplinare. Fa uso di tecnologie come l’eye tracking o le
risonanze per analizzare le funzioni cerebrali durante i processi decisionali.

Nel 2010 Cameron, ispirato dalla lettura dell’opera di Thaler e Sunstein, insediò un
gruppo di una dozzina di studiosi e membri del governo del tema nel Cabinet office,
con il compito di ideare politiche pubbliche e interventi basati sugli studi
dell’economia comportamentale. Nasce così la Behavioural insight unit (Bit),
comunemente conosciuta anche con il nome di Nudge Unit.

La Nudge Unit ha elaborato una serie di proposte per il miglioramento del benessere
collettivo della comunità insieme ai dipartimenti competenti del governo e
utilizzando il metodo di analisi suggerito da Thaler e Sunstein. Le strategie proposte
dalla BIT vengono ben rappresentate in un elenco di 7 strategie del report
denominato “Applying behavioural insights to reduce fard, error and debt”.

Tra le numerose iniziative messe in atto dalla Nudge Unit vediamo un esempio che ci
aiuta a capire come opera in concreto un nudge e come possa aumentare il
benessere pubblico. Su suggerimento della Bit nel 20011 sono state inviate lettere
per ricordare la prossima scadenza dei pagamenti dovuti al fisco a 140.000
contribuenti scelti a caso. Queste lettere erano però leggermente diverse da quelle
standard degli anni precedenti: nelle nuove lettere viene messo in risalto un dato
statistico significativo, cioè che la stragrande maggioranza dei cittadini inglesi paga
correttamente le tasse entro la scadenza dei termini.

Quest’informazione, che apparentemente non sembra in grado di incidere molto


sulla scelta di pagare o no nei tempi prestabiliti, in realtà ha avuto dei risultati
straordinari. Le nuove lettere hanno comportato un aumento del 15% del numero di
contribuenti che dopo aver ricevuto la lettera hanno poi rispettato puntualmente le
date previste. Facendo una stima, le autorità inglese sono arrivate alla conclusione
di poter avere un aumento delle entrate di circa trenta milioni di sterline l’anno solo
grazie a questa iniziativa.

Uno degli inventori della Teoria dei Nudge, Sunstein, è stato amministratore
dell’Office of information and regulatory affairs (OIRA) della Casa Bianca che ha
guidato per ben 3 anni, dal 2010 al 2012 sotto la presidenza Obama. Ha raccontato
la sua esperienza nel suo volume “Semplice. L’arte del governo nel terzo millennio.”

Per attuare questo processo di semplificazione è stato impiegato un nuovo metodo


costi-benefici che richiede il vaglio di ogni provvedimento con domande preliminari
85
volte ad analizzare le conseguenze di tale provvedimento, con particolare attenzione
alle conseguenze per gli esseri umani e la società. Si stima che durante i primi tre
anni di Amministrazione Obama i benefici netti totali riconducibili alle
regolamentazioni introdotte siano di 91,3 miliardi di dollari; dato impressionante se
paragonato ai 3,4 dell’amministrazione Bush ed ai 14 di quella Clinton.

L’interesse per le discipline comportamentali si sta espandendo anche nell’area


europea, come sottolineato anche da Sunstein nella sua ultima opera, “Effetto
nudge: la politica del paternalismo libertario”, in cui vengono citati due esempi
precisi: il Consumer policy toolkit pubblicato dall’Organizzazione per la cooperazione
e lo sviluppo economico (Ocse) ed il Green behaviour, un rapporto della
Commissione Europea riguardo delle iniziative applicabili nell’ambito della
sostenibilità ambientale.

In Italia sporadiche iniziative locali come il programma Abq del Comune di Roma e la
campagna “No-Credit” della provincia di Bolzano sulla prevenzione stradale.
Durante il governo Renzi c’è stata l’intenzione di provare a formalizzare una vera e
propria Nudge Unit portata avanti dal Professor Motterlini insieme al Professor
Nannicini.

I motivi per cui le tecniche di nudging sono poco usate dalle aziende, sono
principalmente due:
1. L’uso inconscio e non sistematico dei principi comportamentali;
2. L’aggressività consapevole della comunicazione di alcuni brand.
Come affermato da un brillante articolo di Ned Welch, pubblicato per McKinsey, i
principi comportamentali ancora oggi non vengono usati consciamente, e le poche
imprese che li usano in modo consapevole non lo fanno in modo sistematico ma
sporadico.

86
Capitolo 27 – public speaking
Il public speaking viene definita l’arte del parlare in pubblico. Può essere vista dal
lato di chi parla e dal lato di chi ascolta.

Presentare sé stessi in pubblico è parte del public speaking. Si tratta di raccontare


chi siamo e cosa facciamo 1 o 2 minuti, con una sintesi esaustiva, credibile e
accattivante che valorizzi la nostra persona, il nostro lavoro e il nostro progetto.
L’obiettivo è quello di incuriosire e coinvolgere i nostri interlocutori e di indurli a
considerare il nostro valore e quello delle nostre idee.

Presentare efficacemente sé stessi in pubblico, in presenza o da remoto, richiede


una certa abilità nel comunicare efficacemente pur avendo a disposizione un lasso di
tempo contingentato.
In ambito professionale, le occasioni che abbiamo per proporre noi stessi, le nostre
idee e i nostri progetti in un’unica occasione si rivelano eventi ad alto tasso di
profitto.

Ci sono due presupposti di base:


• Autostima: è il giudizio di valore che ci attribuiamo, anche in base al giudizio
(presunto ed esplicitato) degli altri nei nostri confronti.
• Auto-efficacia: è la percezione consapevole di essere in grado di realizzare e di
realizzarci.

Quando ci presentiamo agli altri lo facciamo con un obiettivo: risultare persone


credibili e contemporaneamente accattivanti, proprio per stimolare l’interesse di chi
ci ascolta e portarlo dalla nostra parte.
Una presentazione efficace di sé stessi, in pubblico, prevede una strategia che
possiamo riassumere in 5 punti:
1. Facciamo subito una buona impressione.
2. Raccontiamo in modo coinvolgente chi siamo e cosa facciamo soprattutto in
funzione di chi ascolta.
3. Prepariamoci tecnicamente e mentalmente all’esposizione.
4. Prepariamo lo speech e scegliamo il registro linguistico adeguato al pubblico
ed al contesto.
5. Esibiamo un outfit adeguato.

Lo storytelling ricopre un ruolo strutturale nel public speaking efficace.


E’ molto utile (spesso indispensabile) ricorrere alla narrazione per risultare
convincenti e coinvolgere la platea. La narrazione è uno strumento potente per
l’oratore ma deve essere approcciata con il giusto bagaglio tecnico.
87
Il discorso narrativo permette di rendere comprensibile, comunicabile e facilmente
memorizzabile il vissuto. Si tratta di un processo interattivo perché rende
possibili interpretazioni molteplici. Attraverso il racconto di storie si cerca di mettere
ordine e di dare un senso alle esperienze quotidiane.

Non c’è discorso efficace senza un incipit capace di attirare l’attenzione del pubblico.
Un incipit potente è in grado di mantenere questa attenzione per tutto lo speech.
Iniziare con il dettaglio più forte della narrazione è una strategia utile per
conquistare subito l’attenzione degli ascoltatori.

L’uso dello storytelling durante un evento di public speaking non deve essere privo
di finalità, deve puntare ad un obiettivo. In alcuni casi la narrazione è il punto di
partenza per aiutare il pubblico a trovare spunti di risoluzione ad un determinato
problema centrale nella struttura del discorso.

Un altro carattere fondamentale di uno storytelling efficace risiede nella capacità


dell’oratore di evocare immagini e situazioni concrete.
Allo stesso tempo è fondamentale non dilungarsi nella narrazione con dettagli
troppo lunghi e pesanti che potrebbero distrarre o annoiare.

Alcuni (molti) confondono lo storytelling con la scrittura persuasiva.


La scrittura persuasiva fa riferimento all’utilizzo delle strategie psicologiche del
marketing. Lo storytelling non influenza il target a livello psicologico ma emotivo.
Entrambe hanno l’obiettivo comune di coinvolgere il pubblico (lettore/ascoltatore).

Parlare in pubblico non è una condizione «naturale», pertanto necessita di


attenzione ed impegno e soprattutto di abitudine e allenamento. Parlare in pubblico
induce ansia e/o stress che non si possono eliminare ma che vanno gestiti (con
consapevolezza). Per essere efficaci è necessario curare tutti e tre i linguaggi:
verbale, paraverbale e non verbale. I tre linguaggi devono essere, tra loro e con il
contenuto, congrui. Qualsiasi tipo di speech deve essere curato nel contenuto per
poi acquisire efficacia attraverso la forma.

Per avere dimestichezza con la condizione di speaker è necessario prepararsi per


favorire consapevolezza e sicurezza, in doppia via:
- Da parte dello speaker verso il pubblico
- Da parte del pubblico verso lo speaker
Consapevolezza e sicurezza si acquisiscono attraverso un’analisi attenta dei propri
mezzi di comunicazione (e con il superamento degli eventuali limiti), con la
conoscenza del contenuto del nostro speech, del pubblico che ci troviamo d’avanti e
del motivo che ci spinge nella condizione di speaker.
88
La gestione dell’ansia e la prevenzione dello stress (o la sua trasformazione da
distress in eustress) è una condizione importante per una performance di qualità (in
termini di efficacia) come speaker.
Pensare di essere in grado di evitare le sollecitazioni emotive che vendono indotte
dalla condizione di speaker è sbagliato.
È necessario invece imparare a convivere con queste sollecitazioni, gestirle, e usarle
come spinta motivazionale.

Il linguaggio verbale è costituito dalle parole e dalle regole di grammatica, sintassi e


logica che le regolano.
Il linguaggio paraverbale è il verbale al di là delle parole, oltre le parole (volume
della voce, tono, timbro, ritmo, pause, brontolii e sospiri).
Il linguaggio non verbale concerne il corpo ed i suoi movimenti (presenza scenica,
occupazione dello spazio, gestualità prossemica, sguardo, sorriso e mimica facciale).

La congruenza è una condizione indispensabile all’efficacia della comunicazione


interpersonale in genere e soprattutto nel parlare in pubblico.
La congruenza è necessaria tra i tre linguaggi (verbale, paraverbale e non verbale) e
tra questi ed il contenuto dello speech.
Il pubblico nota ed apprezza la congruenza e rimane spiazzato, alcune volte
contrariato quando questa è assente o è addirittura sostituita dal suo contrario
(incoerenza, illogicità, sproporzione ed eccessività).

Il contenuto di uno speech, di un intervento, di una intervista, della partecipazione


ad un tavolo o un dibattito di qualsiasi tipo e nelle diverse condizioni possibili (in
presenza, online, in televisione o in radio, in contesti conosciuti o sconosciuti, di
fronte a pubblici numerosi e complessi, ecc.), deve essere studiato, analizzato,
preparato sempre e per quanto possibile, anche in presenza di una buona capacità
di parlare «a braccio».
La possibilità di prepararsi e di provare (lo speech) ci aiuta ad acquisire
consapevolezza, a correggere errori a migliorare il controllo delle nostre emozioni.

L’ansia, che quasi sempre e quasi a tutti, prende prima di uno speech in pubblico, è il
risultato emozionale dello scontro tra due parti del cervello: l’amigdala o cervello
primitivo ed il cervello così detto evoluto. L’amigdala vede il pubblico come un
nemico pronto ad aggredirci, il cervello evoluto invece lo considera un’occasione
positiva e senza pericolo ma sicuramente emozionante.

L’ansia si prova prima dello speech quando si è fortemente preoccupati per la


performance.
Lo stress si vive nel «qui ed ora» mentre si è impegnati nella performance.
89
In assenza di stress, difficilmente si raggiungono risultati soddisfacenti, ma è
indispensabile che il suo livello resti in una dimensione «tonica» (eustress), senza
diventare «tossica» distress.

La conoscenza del nostro stile e degli strumenti (interni ed esterni) che abbiamo a
disposizione ci permetterà di affrontare, con consapevolezza, performance
impegnative, gestendo l’ansia e con la giusta carica adrenalinica (eustress).

Parlare in pubblico significa prima di tutto ascoltare se stessi e gli altri (il pubblico),
impegnarsi costantemente, non sottovalutare mai contenuto e contesto. Provando e
riprovando. Anche la conoscenza della location è importante (per non avere
sorprese).

Ci sono alcune regole da osservare:


1. Conoscere nella maniera più approfondita l’argomento dello speech.
2. Conoscere, per quanto possibile la tipologia di pubblico.
3. Provare lo speech il più possibile (Steve Jobs per ogni nuovo prodotto
faceva una presentazione di 50’ che provava ogni giorno per due mesi
in slot esattamente di 50’).
4. la regola delle 14 parole: scrivere frasi (imparare o leggere) che abbiano
14 parole, il numero giusto per un respiro.
5. Curare la respirazione prima dello speech (durante sarà più difficile).
6. Visualizzate uno scenario/immagine, positiva, colorata.
7. Svela le emozioni (in incipit, se pensi che lo stress ti possa condizionare
in modo eccessivo, dichiara al pubblico la tua paura, le tue emozioni).
8. La cura del ritmo (regolare o lento) aiuta, insieme alla respirazione ed
alle pause a gestire lo stress

Per speech particolarmente importanti, situazioni non abituali, momenti


professionali di particolare tensione emotiva, cerchiamo il tempo e il modo giusto
per prepararci, studiamo, ripassiamo, aggiorniamo i contenuti che siamo chiamati ad
esporre e proviamo, anche davanti allo specchio, la forma, il nostro modo di
comunicare.

Ricordiamo l’importanza della congruenza tra i diversi strumenti di comunicazione


che abbiamo a disposizione, i linguaggi, e non eccediamo in nessuno di essi. Essere
prolissi è sbagliato, evitare le «insalate di parole» è necessario, contenere e
misurare i gesti è opportuno, lavorare sul volume, ritmo e tono della voce è efficace.
Impariamo ad usare bene le pause e misuriamole.

90
Anche le pause sono importanti quando si tiene un discorso pubblico. Ci sono diversi
tipi di pause:
1. Pausa di conclusione: alla fine di una frase, per preparare alla
successiva (particolarmente importante)
2. Pausa di transizione (e ponti): di collegamento tra diversi argomenti.
3. Pausa interna: nella frase per sottolinearne l’importanza e/o anticipare
un particolare un punto particolarmente importante.
4. Pausa tattica: usata all’inizio del discorso.

È bene non fidarsi della propria memoria in quanto lo stress potrebbe inibire la
memoria; pertanto, è necessario avere sempre una traccia scritta dello speech,
anche se siamo convinti di ricordare tutto. Una traccia per bullet point è meglio, sia
essa su carta, o in video.

La prima cosa da non fare quando si deve affrontare una platea è arrivare
impreparati e puntare sull’improvvisazione. I rischi sono due: non riuscire a
trasmettere il messaggio in modo efficace e chiaro e annoiare il pubblico. Inoltre,
senza un’adeguata preparazione rispondere alle domande in modo semplice e
veloce potrebbe rivelarsi difficile e far apparire l’oratore poco professionale.

Sapere da chi è formato il pubblico a cui è destinato lo speech è una regola


imprescindibile del public speaking perché conoscere il target di riferimento si
traduce in una conversazione capace di catturare subito l’attenzione e l’interesse
della platea.

L’ansia di parlare davanti a un pubblico mista al desiderio di mostrare le proprie


competenze può creare un pericoloso cortocircuito che spinge chi parla a esporre
troppi contenuti tutti insieme. Per essere incisivo il public speaking deve puntare
dritto all’obiettivo e fare della sintesi la sua più fidata amica.

Il ricorso all’immaginazione può rivelarsi molto utile nella fase di preparazione del
discorso. Fingere che il pubblico sia composto da un amico o da un componente
della propria famiglia che non conosce l’argomento oggetto dello speech è il modo
migliore per imparare a utilizzare un linguaggio facile e soprattutto comprensibile.
Fare a meno dei tecnicismi rende più gradevole e intuitiva la conversazione.

L’equilibrio tra comunicazione verbale, paraverbale e non verbale è la base su cui si


poggia la disciplina del public speaking. Ad esempio, sorridere mentre si parla
contribuisce a creare un’atmosfera positiva e coinvolgente che trasmette
entusiasmo e influenza lo stato d’animo di chi ascolta. Le mani ben in vista invece
comunicano apertura e onestà mentre tono e volume della voce devono variare in
91
base all’argomento trattato.

Sono due i protagonisti del public speaking: chi parla e chi ascolta. L’oratore
dev’essere capace di creare un dialogo con il pubblico se non vuole perdere
l’attenzione e l’interesse della platea. È importante cogliere eventuali segni di noia o
stanchezza da parte degli astanti per poter cambiare rotta in corso d’opera e non
perdere il contatto con la propria audience.

Tra i metodi più efficaci per catturare l’attenzione del pubblico c’è quello di
condividere storie che fanno parte del proprio background. Per l’oratore raccontare
episodi che riguardano la sua vita familiare e professionale è un ottimo modo per
generare empatia soprattutto se si aggiunge un pizzico di sano umorismo.

L’abbigliamento che si sceglie d’indossare influenza il risultato del public speaking ed


è sinonimo di credibilità. Spazio quindi a indumenti dai colori neutri e adeguati al
contesto e ad accessori che non siano fonte di distrazione per il pubblico.

Tenere bene a mente la regola del 3 è la chiave del successo per chi deve parlare in
pubblico. Si tratta di uno stratagemma che si basa su tre fondamenti: catturare
l’attenzione, dare il tempo alla platea di memorizzare il messaggio ed elaborare le
domande, chiudere il discorso con una frase a effetto che incentivi una call to action.
Metodo usato, tra gli altri, da Steve Jobs.

Conoscere le regole del public speaking e fare esperienza è utile per imparare a
gestire l’ansia e tenere sotto controllo lo stress, ma il consiglio più importante che
determina il successo di uno speech resta sempre e solo uno: essere sé stessi.

92
Capitolo 26 – il fundraising
La comunicazione sociale è il modello di comunicazione che si sviluppa con la finalità
di:
• Informare e aggiornare: portare all’attenzione del pubblico un concetto
positivo, un progetto sociale, un intervento da condividere, un’azione
responsabile;
• Convincere e persuadere: presentare e “argomentare” attraverso dati,
ricerche, testimonianze utili a dimostrare la veridicità di quanto comunicato;
• Stimolare e motivare: proporre nuovi modelli di comportamento; stimolare
azioni destinate a contribuire ad una causa sociale; modificare concezioni
errate

Gli attori della comunicazione sociale sono:


• La pubblica amministrazione: che intende promuovere l’educazione e la
sensibilizzazione dei cittadini su temi diversi di interesse sociale;
• Le imprese: che realizzano campagne per sottolineare l’impegno sociale verso
l’ambiente e la collettività. Non dovrebbero mai essere operazioni di
greenwashing, finalizzate a “ripulire” il brand con azioni solo tattiche e non
coerenti con la cultura d’impresa;
• Le organizzazioni non profit: soggetti che intendono soddisfare i bisogni
espressi dai cittadini in contesti caratterizzati dal venir meno delle logiche di
mercato. In alcuni casi sono impegnate nella ricerca raccolta fondi per
campagne benefiche in molteplici ambiti.

Secondo una ricerca realizzata dalla Johns Hopkins University, le organizzazioni non
profit sono caratterizzate per il fatto di avere una struttura:
• Formale: ossia dotata di uno statuto o un qualche atto costitutivo
• Privata: ossia istituzionalmente separata dal settore pubblico, sebbene
possano ricevere dei fondi pubblici
• Auto-governata: ossia con un certo grado di autonomia decisionale per lo
svolgimento delle proprie attività
• Senza scopo di lucro: ossia essere soggette al divieto di distribuzione di utili in
ogni forma ai propri azionisti
• Caratterizzata dalla presenza di lavoro volontario

Ciò che accomuna le organizzazioni non profit è il fatto di prevedere all’interno del
proprio statuto il divieto di distribuzione degli utili derivanti dall’esercizio delle
proprie attività. I ritorni economici di una ONP, infatti, sono impiegati
esclusivamente come strumento di autofinanziamento per la “causa” tipica, che è
diversa dal lucro.
93
Il fundraising è “La nobile arte di insegnare alle persone la gioia di donare”. Si
traduce con “raccolta fondi”, ma non si tratta di una semplice richiesta di denaro
Esso è piuttosto «un complesso di attività che l’organizzazione non profit mette in
atto per la creazione di rapporti d’interesse fra chi chiede risorse economiche,
materiali e umane in coerenza con lo scopo statutario e chi è disponibile a donarle».
L’obiettivo è la creazione di una vera cultura ed etica, finalizzata alla generazione di
rapporti durevoli con l’esterno.

Fundraising è l’insieme di attività che generano uno scambio sociale tra soggetti che
condividono i valori e obiettivi dell’organizzazione. Attività strutturata che si basa su
due principi guida dell’economia moderna:
1. Principio di reciprocità nei trasferimenti bilaterali fra due o più parti,
indipendenti, libere tra loro ma in qualche modo interconnesse
2. Matrimonio d’interessi non necessariamente di tipo economico ma che si
trovano rappresentati in un bene simbolico o relazionale, basato sulle più
svariate motivazioni

Nella causa proposta nel fundraising sono indispensabili


• Convinzione, determinazione e fede
• Correttezza e trasparenza
• Visione strategica

Il prodotto o servizio viene erogato da organizzazione non-profit vs. organizzazione


profit (Corporate fundraising). Alcuni esempi di organizzazione non-profit sono:
fondazioni, organizzazioni di volontariato, enti ecclesiastici, istituzioni sanitarie,
cooperative sociali.
Classificazioni possibili sul piano giuridico (diritto pubblico vs. privato), funzionale
(educazione, salute, sociale, sport), economico (svolgimento o meno di attività
commerciali), sociologico (culturale, etica, religiosa).

Il trasferimento viene effettuato da:


• Donatori d’impulso: si avvicinano in maniera pressoché casuale alla causa
sociale
• Donatori attivisti: fanno propria la causa sociale e pertanto decidono di
finanziarla periodicamente)
• Donatori partecipativi: presenti in eventi sociali o che possono condividere
l’attività manageriale riguardante specifici progetti
• Grandi donatori: si impegnano in modo continuativo nell’attività di
fundraising e che spesso partecipano alla definizione di politiche

94
Il fundraiser opera per conto dell’organizzazione ed ha l’intento di generare un
equilibrio tra gli interessi dei diversi attori coinvolti: da una parte definizione e
attuazione della vision e la mission dell’organizzazione; dall’altra individuazione dei
fattori che spingono i donatori ad erogare elargizioni. Si tratta di una figura
professionale chiamata a gestire la relazione tra l’organizzazione non profit e il suo
pubblico di riferimento. Deve assumere un comportamento deontologicamente
corretto.

Il vantaggio del corporate fundraising (effettuato da imprese profit) è:


• L’aumento della notorietà e del valore del brand aziendale
• Contribuire alla qualificazione dell’immagine aziendale
• Supportare la fidelizzazione dei propri clienti
• Il raggiungimento di target nuovi e diversificati
• L’accrescimento dello spirito di coesione tra i dipendenti e il loro senso di
appartenenza all’azienda

Ciò avviene attraverso:


 Coinvolgimento del Board aziendale
 Definizione di una policy di fundraising
 Definizione di una prima lista di aziende prospect
 Preparazione materiali di comunicazione
 Entusiasmo e coinvolgimento emotivo
 Capacità di innovarsi

Ci sono 7 fasi del processo di fundraising:


1. Avvio del processo
2. Identificazione degli obiettivi
3. Analisi dei mercati di riferimento e degli stakeholder
4. Programmazione delle attività e degli strumenti
5. Attuazione del piano di comunicazione (On air)
6. Attuazione dei programmi
7. Misurazione e rendicontazione

La fase di avvio del processo parte dall’adozione di una visione strategica e definisce
una propria missione che verrà condivisa dai soggetti che operano al suo interno. La
visione e la missione dell'organizzazione rappresentano quindi la combinazione e la
sintesi dei valori, principi, lo spirito e gli obiettivi che l'organizzazione intende
perseguire nel confronto con i propri stakeholder.

Nella definizione della vision e della mission aziendale, la pianificazione di un


fund raising efficace necessita di definire il case statement (anche conosciuto
95
come "Documento Buona Causa"), che rappresenta il documento in cui
l'organizzazione riporta la propria dichiarazione di intenti e attraverso il quale
identifica in maniera chiara e univoca le proprie finalità, i benefici sociali che
intende procurare e le problematiche che si prefigge di risolvere attraverso la
propria iniziativa. Il case statement è quindi la sintesi degli interessi a cui
l'organizzazione si applica con dedizione, mossa dal fine ultimo del suo ruolo sociale.

Deve essere:
 Trasparente e comprensibile
 Ben articolato, stimolante
 Credibile e realistico
 Distintivo e originale
 Ben scritto
 Costantemente aggiornato
Contiene due elementi fondamentali: il documento stesso, per uso interno, e la
documentazione promozionale, che comunica la buona causa al pubblico.

La “(buona) causa” è l’insieme di interessi a cui l’organizzazione si applica con


dedizione per soddisfare un’esigenza sociale (es. le risorse di cui l’organizzazione
dispone e su quelle di cui avrà bisogno in futuro).
Per ciascuna «buona causa» esiste «un caso» che rappresenta la serie di motivazioni
per cui una non profit richiede e merita sostegno e fiducia attraverso le donazioni
(es. l’eliminazione della fame nel mondo, la riduzione del numero dei senza tetto,
l’offerta di corsi di studio specializzati), la descrizione dei programmi, delle esigenze
attuali e dei progetti, un collegamento alla «buona causa» ma non va con essa
confuso, una raccolta enciclopedica di informazioni sull’organizzazione non profit
sulla «buona causa» e sul modo in cui viene perseguita.

Nel DBC si trovano le seguenti componenti


1. Mission
2. Obiettivi strategici
3. Obiettivi operativi
4. Programmi e servizi
5. Organi di governo
6. Il fabbisogno economico
7. Personale e volontari
8. Pianificazione, sviluppo e valutazione dell’organizzazione

1. La mission è Fondamentale per cogliere lo spirito ultimo che la non-profit


incarna. Spiega perché l’organizzazione esiste e non che cosa fa. Deve essere
96
strutturata in (almeno) 4 fasi:
1. Definizione del valore principale in cui l’impresa si incarna
2. Descrizione delle condizioni che impediscono a questo valore di
affermarsi
3. Spiegazione di cosa occorre fare per risolvere il problema
4. Portare delle prove a dimostrazione dell’impegno dell’organizzazione per
risolvere il problema e dell’efficacia delle iniziative adottate per farlo

2. Gli obiettivi strategici illustrano ciò che l’organizzazione compie per concretizzare
i principi ed i valori espressi nella mission. Sono al servizio della mission e
possono essere molteplici. Ogni organizzazione non profit avrà i propri obiettivi
strategici, che possono includere:
 Tutelare la salute, la sicurezza, la felicità della popolazione
 Sensibilizzare le persone sul problema della sordità
 Aiutare i bambini in età scolastica a sviluppare la propria personalità

3. Gli obiettivi operativi sono più specifici, di breve-medio termine e meno


ambiziosi. Essi devono essere “SMART”, ovvero:
 Specific
 Mesurable
 Achievable
 Relevant
 Timetable
Gli obiettivi (sia strategici che operativi) rappresentano ciò che un’organizzazione
non-profit intende realizzare e devono essere chiari e ben distinti per spingere il
potenziale donatore ad effettuare donazioni concrete.

4. I programmi e i servizi consistono nella descrizione dettagliata del modo in cui


l’organizzazione persegue gli obiettivi operativi (funzionali agli obiettivi strategici)
per raggiungere la mission. Nei programmi vengono esaminati i servizi che
vengono materialmente offerti per dare esempi concreti ai donatori di ciò che si
è fatto e di quali sono stati i risultati. Una domanda precisa che i donatori si
pongono (e che pongono al fundraiser) è: a chi giova l’operato
dell’organizzazione?
Richiede di definire le modalità di erogazione dei servizi: descrizione
dell’ambiente fisico e delle procedure usate per realizzare il programma.

5. Gli organi di governo devono essere persone dotate di precise qualità, spesso
meglio se con forte carisma e noti al pubblico di riferimento. Devono
comprendere delle professionalità per competere in modo efficace nel mercato
del fundraising (commercialisti, avvocati, economisti).
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6. I fabbisogni che un’associazione riscontra si suddividono in quattro tipologie:
 Relativi all’anno d’esercizio e quindi collegati al deficit annuale
 Legati a finalità specifiche
 In termini di capitali immobili e di attrezzature
 In termini di capitali che producono interessi per coprire i fabbisogni
relativi all’anno d’esercizio.

A questi fabbisogni corrispondono quattro programmi di raccolta fondi


1. Raccolta annuale (donazioni ordinarie)
2. Raccolte di capitali legate a specifici progetti:3. in termini di capitali immobili e
di attrezzature
3. Grandi donazioni e donazioni straordinarie, vengono fatte ogni 5-7 anni
4. Donazioni pianificate

Le fonti sono classificabili attraverso la piramide della donazione. Alla base si


trovano le piccole donazioni e le donazioni fredde, a cui fanno riferimento i donatori
occasionali tramite quote associative, prime donazioni, partecipazioni ad eventi.
Salendo si trovano i donatori freddi tramite rinnovi o seconde donazioni. In cima alla
piramide si trovano le grandi donazioni con piccole donazioni pianificate e donazioni
di eredità.

7. I volontari posseggono particolari caratteristiche, in quanto:


• Eseguono il loro servizio con lo scopo di aiutare e non di ricevere un
compenso
• Sono più credibili e i donatori tendono ad affidarsi a loro
• Sono più oggettivi nel criticare e nell’individuare i problemi della
struttura
• Vivono il loro lavoro con molto meno stress e meno pressione
• Sono cittadini che spesso aiutano l’associazione a superare i vincoli
burocratici
• Possono essere impegnati anche per progetti a rischio per l’associazione

8. La pianificazione dei programmi è il fondamento dell’autovalutazione,


documenta l’impegno nella mission, gli obiettivi strategici e operativi e precede la
pianificazione del fundraising. Occorre dettagliare i piani di fundraising a breve
termine, ossia il fabbisogno economico, i metodi per la sensibilizzazione dei nuovi
donatori, le strategie per rinnovare le donazioni annuali ed eventualmente
aumentarne l’importo. La pianificazione è indissolubilmente legata ai programmi.
La valutazione è fondamentale per dimostrare ai donatori la propria affidabilità,
per metterli in condizione di valutare efficienza ed efficacia dell’organizzazione, il
rispetto etico.
98
La seconda fase del processo di fundraising è l’analisi dell’organizzazione e degli
stakeholder che rappresenta un importante passaggio con cui l'organizzazione
intende esaminare, acquisire consapevolezza e fornire riscontro al pubblico di
potenziali donatori relativamente ai propri punti di forza e di debolezza. Da una
parte, l'analisi interna è finalizzata a definire la strategia da adottare, tenuto conto
delle proprie potenzialità, e consente l'individuazione delle tecniche più adeguate
per ottimizzare le proprie performance. Dall'altra, individua i punti critici su cui
focalizzarsi e lavorare per ridurre le proprie debolezze.

L’analisi degli stakeholders consiste nella segmentazione e analisi del proprio


pubblico di potenziali donatori. Tale attività ha lo scopo di fornire una panoramica
relativa agli interessi e le peculiarità degli interlocutori dell'organizzazione e
rappresenta quindi un passaggio essenziale per la corretta implementazione della
strategia di fund raising. Ciascun soggetto con cui l'organizzazione andrà ad
interfacciarsi, infatti, ha delle caratteristiche specifiche non soltanto in termini del
livello di sensibilità rispetto alla causa sociale, ma anche dal punto di vista degli
specifici meccanismi che sarà necessario implementare per avviare il processo di
raccolta fondi.

L’analisi effettuata in questo caso è dell’ambiente esterno, con lo scopo di fornire


una rappresentazione delle minacce o le opportunità che possono incidere
sull’attività di fundraising. L’analisi dell’ambiente competitivo è funzionale
all’individuazione dei punti di forza, debolezza rispetto ai concorrenti e a definire
una strategia. L’analisi dei mercati in cui si svolge l’attività è caratterizzata
dall’osservare i cambiamenti socio-culturali e politico-economico del mercato di
riferimento.

La terza fase del processo è la programmazione delle attività di raccolta fondi.


Con la fase di progettazione e pianificazione si entra nel vivo del piano di fund
raising. In questa fase, infatti, rientrano le attività operative necessarie per la
raccolta fondi. In particolare, la progettazione consiste nella definizione di un
percorso logico per la corretta esecuzione delle iniziative, che parte dalla definzione
degli obiettivi fino alla individuazione degli strumenti da utilizzare e la
documentazione da predisporre. Si tratta di un'attività dinamica, in quanto la
progettazione potrà variare in corso d'opera laddove si rendano disponibili nuove
informazioni utili per l'implementazione della strategia.

Il primo stadio di progettazione consiste nella identificazione degli obiettivi, che


possono essere di breve, medio o lungo termine. Lo stadio successivo consiste nella
pianificazione delle risorse economiche, organizzative, strutturali da impiegare, delle
tempistiche da rispettare e del budget a disposizione.
99
La quarta fase è di predisposizione del piano di comunicazione. La comunicazione
assume un ruolo fondamentale per la buona riuscita della strategia di fund raising in
quanto consente di sviluppare e migliorare i processi interni all'organizzazione, di
creare delle sinergie tra le risorse impiegate. L'attività di comunicazione intende
raggiungere un certo grado di fidelizzazione da parte del pubblico di interlocutori,
stringendo con loro nuovi legami. L'individuazione degli strumenti di raccolta fondi
rientra nell'ambito dei piani di comunicazione posti in essere dall'organizzazione. Ciò
è sostanzialmente legato al fatto che l'attività di fund raising costituisce di per sé
un'attività di comunicazione attraverso la quale l'organizzazione intende attivare una
relazione di reciprocità, avendo come fine ultimo quello di realizzare uno scambio
sociale.

Agli strumenti di comunicazione individuati nei precedenti paragrafi è possibile


affiancare alcuni meccanismi che possono essere considerati come dei veri e propri
programmi strutturali di fund raising. A questa tipologia appartengono molteplici
tecniche, accomunate dal fatto di non essere pianificate a scadenze predeterminate
o per soddisfare specifiche esigenze organizzative e operative, ma piuttosto
finalizzate a promuovere l'impegno sociale dell'organizzazione nel contesto in cui
opera. Come per esempio le relazioni pubbliche, gli eventi speciali programmi per
raccogliere fondi.

La quinta fase del processo di fundraising è l'esecuzione che rappresenta la fase più
delicata del piano di fund raising, in quanto momento di attuazione dei programmi
individuati sulla base dell'analisi svolta e di utilizzo degli strumenti di comunicazione
dell'organizzazione. Essa richiede un'attenta attività di coordinamento delle risorse
interne all'organizzazione, coinvolgendo diverse funzioni: dal management,
all'ufficio legale, alla direzione di comunicazione e quella di amministrazione, finanza
e controllo. In tale passaggio, vengono definiti gli strumenti finanziari a disposizione
dell'organizzazione e verificata la loro adeguatezza rispetto ai costi che
l'organizzazione dovrà sostenere per svolgere la propria attività.

L’ultima fase del processo è rappresentata dalla valutazione dei risultati, ossia
la valutazione degli esiti derivanti dall'attività di raccolta fondi. La valutazione dei
risultati del fund raising avviene dalla prospettiva del donatore, che rappresenta la
vista più completa con cui verificare la rispondenza tra gli impegni assunti
dall'organizzazione e i risultati conseguiti. Si tratta di addivenire ad un giudizio sulla
base del confronto tra i costi sostenuti e i benefici conseguiti dall'organizzazione
rispetto alla causa sociale perseguita.

In alcuni casi tale attività può risultare complessa e portare a risultati esaustivi solo
in un orizzonte di medio-lungo termine. Alcuni strumenti impiegati, infatti,
100
potrebbero caratterizzarsi per un legame costi e benefici che sarà quantificabile solo
a valle di un lungo processo, in quanto connessi prevalentemente alla
costruzione/rafforzamento della reputazione aziendale.

101
Capitolo 13 – la comunicazione culturale
La cultura rappresenta un sistema arbitrario di simboli o segni con il quale si
attribuisce significato agli oggetti e alle situazioni che ci circondano. Esistono due
modi di interpretare l'atto del comunicare. Da un lato, la concezione di
comunicazione come mera azione di trasmissione di un messaggio, nella cui
definizione, il termine comunicare è associato a verbi quali impartire, inviare,
trasmettere oppure fornire informazioni. Dall'altro, invece, l'idea di un'azione di tipo
simbolico, legata a una tradizione rituale. In questa seconda accezione, il termine
comunicazione è assimilato ad azioni quali condividere, partecipare, associare, avere
una fede in comune.

il patrimonio culturale di ciascuna nazione deve essere adeguatamente promosso e


"divulgato", ossia valorizzato per far si che la sua frequentazione diventi abitudine di
molti e che i proventi derivanti dalla sua fruizione possano contribuire alla crescita
economica del Paese e del settore del turismo. l'attività diplomatica
agisce su tre livelli diversi, ciascuno dei quali richiede il coinvolgimento di una
diversa configurazione di attori: promuovere gli obiettivi e le politiche nazionali di un
Paese (principalmente attori nazionali); comunicare le idee e gli ideali, le credenze e
i valori di una nazione (attori nazionali e subnazionali): e costruire una
comprensione e relazioni comuni (principalmente attori subnazionali). La cultura
risponde a ciascuno di questi tre livelli. Mostre, spettacoli e altre forme culturali ci
permettono di promuovere gli obiettivi di un Paese.

Così come l'identità nazionale di un Paese può diventare modello di riferimento in


una specifica area a livello mondiale, allo stesso modo le principali forme d'arte
(dalla pittura all'architettura) possono essere adoperate per diffonderne valori e
ideali a livello nazionale. Lo dimostra la storia: espressione del potere nell'epoca
rinascimentale con Raffaello, Bramante e Michelangelo, fu durante il periodo
barocco che il connubio fra cultura e potere papale divenne ancora più forte.
L'intervento urbanistico (instauratio urbis) iniziato a fine del Cinquecento per volere
di Papa Sisto V mette in luce l'influenza e l'interesse della Chiesa di Roma nella
ridefinizione della città.

La cultura giocò un ruolo politico fondamentale nella Germania nazista di Hitler: la


diffusione di un certo tipo di musica, di storia, di filosofia e di arte costituirono una
parte fondamentale della strategia nazista e contribuirono a mantenere il consenso
popolare, anche nei periodi in cui le sorti della guerra sembravano avverse e la
leadership del Führer era messa a dura prova. La comunicazione culturale era
utilizzata per diffondere in maniera capillare la propaganda nazista e spingere il
popolo ad amare e adorare la nazione.
102
Frutto dell'accordo siglato nel 2007 fra il governo francese e lo Stato Federale degli
Emirati Arabi, il Louvre negli Emirati, si colloca all'interno di una strategia più ampia
volta a posizionare gli Emirati quali nazione aperta al dialogo e allo scambio
interculturale. Lo scopo è di diffondere la cultura in modo democratico e rendere
fruibili i capolavori artistici alle generazioni di tutto il mondo.

La Biennale di Venezia. Questa manifestazione nasce nel 1895 dall'idea


dell'amministrazione veneziana di istituire una grande manifestazione culturale in
cui fossero presenti i maggiori artisti italiani e stranieri del tempo, trasformando i
famosi incontri serali degli artisti nelle salette del caffè Florian di Venezia in una
prestigiosa esposizione internazionale. La particolarità della Biennale Arte di
precorrere le nuove tendenze dell'arte le ha permesso di ospitare opere di
importantissimi artisti e di accogliere esperti, professori e storici dell'arte
provenienti da più di ottanta paesi nel mondo per curare le varie mostre e i
padiglioni.

La cultura rappresenta un bene cruciale per il benessere individuale, un fattore


integrante della qualità della vita di ciascun cittadino. Allo stesso modo, le attività
culturali fungono da volano di sviluppo economico per la comunità. La cultura è un
bene sociale da tutelare e incrementare. Per un'azienda investire in cultura significa
impegnarsi nello sviluppo del capitale sociale e politico di una comunità. Ravvio di
una strategia di cultural corporate responsibility aziendale può anche fare da volano
ad una comunicazione interna più efficace.

Le forme di interazione pubblico-privato nel campo culturale spaziano dall'arte


classica a quella contemporanea, dall'arte performativa a quella visiva, dalla
restaurazione di monumenti antichi alla creazione di progetti culturali ad hoc,
Solitamente si sviluppano in quattro modalità distinte. Il modello più tradizionale e
datato è, appunto, quello del mecenatismo. Questo tipo di rapporto è alimentato
solitamente da una volontà prettamente fiantropica e non prevede nessun tipo di
accordo commerciale, bensì una donazione ad un'istituzione culturale. Si passa poi
al secondo modello, ossia le sponsorship. Questo consiste nella messa a disposizione
da parte dell'azienda, di fondi o di supporti tecnici per la realizzazione di un progetto
o un evento. In cambio, l'istituzione culturale valorizza il brand del gruppo su tutte le
attività di comunicazione del progetto o della manifestazione frutto della
sponsorship. Il terzo modello consiste invece in vere e proprie partnership. La
differenza tra la sponsorship e la partnership è che lo sponsor solitamente non ha
potere decisionale sui contenuti del progetto. Nel caso delle partnership, invece, il
rapporto è del tutto simmetrico, ossia gli obiettivi vengono definiti insieme e l'ente
che dispone del finanziamento può collaborare attivamente alla gestione dei
contenuti e delle politiche delle attività culturali. L'investimento in cultura, inteso
103
come la definizione e attuazione di un progetto culturale da parte di un’azienda in
modo del tutto autonomo rappresenta invece il quarto modello di interazione.

Il concetto di cultura è molto vasto: spazia dall'insieme delle conoscenze e delle


tradizioni di un popolo e di un territorio - realizzato per mezzo di un graduale
processo di sedimentazione di pensieri, tradizioni e comportamenti - fino alla
semplice produzione di idee, di opere caratterizzata da una specifica vocazione
ovvero una data capacità di creare, rinnovare e progredire nel tempo. La
promozione culturale si confronta in primo luogo con l'esigenza di diffondere un
contenuto ad un pubblico sempre più diversificato e in crescita.

Si parla molto di cultura e tecnologia e di come questo connubio possa essere


d'aiuto sia per la divulgazione dei contenuti sia per l'economia delle organizzazioni e
degli istituti culturali. Per rendere più accessibili i propri contenuti, gli enti culturali si
basano sempre più spesso su supporti multimediali e interattivi capaci di coinvolgere
maggiormente il visitatore. Tramite questi canali - come, ad esempio, le pagine
social dei musei - gli ospiti sono invitati a commentare e partecipare attivamente alla
cosa pubblica, esprimendo le proprie opinioni, raccogliendo immagini a proprio
piacimento e persino contribuendo alla valorizzazione dell'evento in oggetto. Così
facendo, il visitatore passa dall'essere uno spettatore passivo a svolgere un ruolo
attivo da protagonista.

Un’interconnessione tra cultura e tecnologia è fortemente ricercata da diversi anni,


sia a livello nazionale sia europeo, al fine di garantire la trasformazione delle
istituzioni culturali in piattaforme socioculturali di sviluppo integrato in grado di
consentire una comunicazione attiva con il pubblico e fornire la possibilità di
accedere al patrimonio artistico e culturale a prescindere dai confini geografici.

La chiave di volta per rendere l'istituzione cultuale più economicamente efficiente,


pur mantenendo il suo ruolo di garante del patrimonio culturale e creativo, è quella
di avvicinare il mondo della cultura alle regole di mercato con una precisa mission e
una strategia comunicativa adeguata. Come primo passo, l'istituto culturale deve
innanzitutto definire i propri obiettivi. Definiti gli obiettivi e avendo ben chiaro il
concept del progetto, si può passare alla redazione del piano di comunicazione.

Il metodo di lavoro per diffondere il patrimonio culturale ad un maggior pubblico


possibile è suddiviso nelle seguenti fasi:
 Analisi: Analizzare le azioni di comunicazione, comprendere e mappare il
contesto dei competitor tramite la realizzazione di un bench-mark per
garantire il successo di ogni azione.
 Posizionamento: Avendo definito gli obbiettivi e il concept di comunicazione e
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successivamente all'analisi del benchmark, è necessario passare
dall'intuizione alla strutturazione di un progetto di posizionamento solido e
concreto.
 Stakeholder engagement: Entrare in contatto con istituzioni pubbliche, VIP,
sponsor partner e altre personalità di rilievo.
 Media relations: Una volta stabilito lo storytelling e i rispettivi messaggi chiave
del progetto, sarà necessario redigere una mappatura dei principali media
(online e offline) da coinvolgere.
 Pubblicità: Fare pubblicità significa acquistare gli spazi o i veicoli di
comunicazione per lanciare un messaggio preciso e coerente, indi- rizzato a
un target specifico.
 Comunicazione digitale: Comunicare attraverso uno specifico mezzo digital
vuol dire parlare a un segmento di persone con esigenze definite.
 Sviluppo: Una volta introdotte le attività volte al posizionamento
dell'organizzazione o dell'iniziativa culturale, è necessario concretizzare
l'attenzione al dettaglio in engagement attivo. Impatto. Come per tutte le
attività svolte da qualsiasi azienda, anche per le istituzioni culturali è
fondamentale implementare degli strumenti strategici al fine di valutare i
risultati della propria strategia di comunicazione.

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Capitolo 16 – Comunicare il non profit
Comunicare il non profit non è volontariato. Sono necessarie competenza,
professionalità e una continua innovazione in un settore che è in continua
espansione. Il continuo aumento delle organizzazioni che si occupano di non profit e
dei settori di interesse insieme alla crescita esponenziale di organizzazioni con scopi
territoriali (quelle che operano a livello regionale, comunale o di quartiere) ha
notevolmente cambiato lo scenario che ha caratterizzato gli anni Ottanta e buona
parte degli anni Novanta. Una spinta consistente alla crescita di queste realtà è stata
fornita dai social network che hanno creato, dal nulla, una nuova dimensione
comunicativa che, in pochissimo tempo, ha conquistato una porzione altissima
dell'interesse nella sfera individuale.

l brand rappresenta il vero capitale dell'organizzazione. Non deve solo trasmetterne


immediatamente gli scopi ma deve comunicarne affidabilità e credibilità. Per questa
ragione, nel caso di un brand forte bisogna evitare la sovraesposizione che potrebbe
comprometterne l'efficacia e bisogna tutelarne la credibilità evitando situazioni non
in linea con gli scopi dell'organizzazione.

I brand forti sono patrimonio delle organizzazioni più grandi che hanno una struttura
a livello internazionale (Save The Children, WWF, Medici Senza Frontiere, ecc.). In
questo caso minacce per il brand potrebbero arrivare da situazioni non relative alle
attività che svolge la propria organizzazione.

Nel caso di un brand debole, invece, è necessario, in prima battuta, lavorare sulla
caratterizzazione e sulla specializzazione dell'attività di comunicazione. Bisogna
costruire, passo dopo passo, non solo la credibilità, ma anche la riconoscibilità
dell'organizzazione. Questo può avvenire attraverso la costruzione e la diffusione di
contenuti dal taglio innovativo che rappresentano un moltiplicatore di
riconoscibilità.

Nel caso delle ONG più grandi, quelle con una ramificazione internazionale, ci si può
trovare nella condizione di dover gestire situazioni critiche o scandali che investono
un altro ufficio nazionale e che, come un virus, contagiano gli altri Paesi dove opera
l'organizzazione.

Quando si presenta una situazione come questa, nonostante le difficoltà oggettive


non si deve perdere la calma e bisogna evitare di commettere errori che potrebbero
condizionare tutte le mosse successive. Se le accuse sono fon- date, negare non solo
è inutile ma diventa dannoso. Bisogna affrontare le contestazioni con
determinazione e tempismo, individuando immediatamente i responsabili delle
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condotte contestate. Per tutelare l'organizzazione è necessario assumere in tempi
brevissimi provvedimenti commisurati alla gravità delle azioni contestate.

Meglio raccontare direttamente i fatti ai propri partner che lasciare che leggano
quello che è successo sui giornali. Bisogna redigere immediatamente uno statement
da utilizzare sui social network che produrranno un'onda lunga di contestazione che
va comunque affrontata e gestita. Passata la crisi, ridotte al massimo le conseguenze
bisogna immediatamente rimboccarsi le maniche e cercare di recuperare il terreno
perso dal punto di vista reputazionale.

I contenuti devono rispondere a tre caratteristiche principali. Devono essere


originali (anche se si tratta di una elaborazione di dati provenienti da fonti diverse da
quella che diffonde il contenuto). L'effetto "già visto" è purtroppo sempre dietro
l'angolo e rischia di respingere non solo le persone a cui è diretto il messaggio, ma
anche e soprattutto i media che devono trasmetterlo e amplificarlo.

I contenuti devono essere comprensibili anche per un pubblico di non ad- detti ai
lavori. La complessità degli argomenti trattati oltre alla quantità delle informazioni
da gestire può indurre all'errore di rifugiarsi in un racconto estremamente tecnico
che potrebbe risultare respingente.

Lo storytelling è uno strumento fondamentale per raggiungere questo scopo.


Costruire una storia, con personaggi ben definiti e con luoghi precisi e ricercabili, è
fondamentale per coinvolgere il pubblico nel racconto convincendolo anche a
sposare la causa dell'organizzazione.

Generalmente le organizzazioni non profit devono prestare molta attenzione a come


spendono le proprie risorse che, quasi interamente, provengono da sostenitori e
donatori. Per questa ragione il peso della spesa in messaggi pubblicitari deve essere
sempre mirato al sostegno di un progetto specifico e concreto e non deve mai
eccedere il 10% (meglio se inferiore) della somma che si chiede per realizzare il
progetto.

Per conquistare uno spazio di qualità su un "quotidiano" sarà necessario un


contenuto ad hoc, un dossier, un report o una storia che consenta di approfondire
uno specifico argomento. Anche se il numero dei lettori è ormai molto più basso di
un tempo i quotidiani cartacei hanno il pregio di parlare al mondo istituzionale (le
rassegne stampa) favorendo le attività di advocacy.

Per cercare di aggirare questa vera e propria crisi di attenzione è necessario


sviluppare strumenti di comunicazione "proprietari" in grado di fidelizzare il proprio
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pubblico e costruire un percorso di interesse per chi non è ancora entrato in
contatto con la realtà che intendiamo comunicare. Nella costruzione di questo
percorso non si può non partire da una analisi del pubblico a cui ci si rivolge e delle
sue abitudini nel consumo di informazioni.

Questi dati definiscono un universo digitale sempre più coincidente con la sfera
personale. Proprio per questa ragione la promozione dei contenuti anche delle
realtà non profit, forse a maggior ragione proprio delle realtà non profit, non può
prescindere dalla scelta di veicolare i propri contenuti attraverso i canali digitali che
stanno progressivamente assumendo il monopolio dei flussi di comunicazione.

La strategia vincente prevede la costruzione di un linguaggio facilmente adattabile a


tutte le piattaforme e che possa essere di assoluto interesse. Bisogna sviluppare,
quindi, una sintassi diretta e immediata che faccia ampio uso di video e immagini
facilmente condivisibili all'interno dell'ecosistema social. Per favorire l'utilizzo di
questo nuovo linguaggio è necessario curare con molta attenzione tutti gli strumenti
di comunicazione proprietari a cominciare dal sito web che deve diventare un vero e
proprio aggregatore di contenuti facilmente spendibili e condivisibili sui canali social
dell'organizzazione.

Questi contenuti, spesso virali, vanno utilizzati come vere e proprie calamite di
utenti in grado di attirare nell'ambiente web dell'organizzazione (non
necessariamente deve essere il sito web principale) il maggior numero possibile di
utenti che, insieme alle informazioni a cui sono interessati, riceveranno anche gli
strumenti per poter sostenere le attività della non profit. In particolare, la nuova
forma web degli strumenti di comunicazione deve essere consultabile attraverso
strumenti mobile, che, come abbiamo visto, rappresentano la prima chiave
d'accesso all'informazione digitale.

La trasparenza è un elemento fondamentale dal quale non si può prescindere visto


che le organizzazioni non profit ricevono le risorse per svolgere le proprie attività
grazie alla generosità di sostenitori e donatori. Tutte le attività che vengono svolte
dall'istituzione non profit devono essere "rendicondate" e raccontate puntualmente.

Un'altra caratteristica importante è l'autorevolezza che deve accompagnare tutti i


messaggi che vengono diffusi, Autorevolezza significa poter contare su fonti
accreditate e su revisioni puntuali dei materiali che si utilizzano. A questi deve
aggiungersi il controllo continuo da parte dei comunicatori che in ogni momento
devono incrociare dati e numeri per evitare di commettere errori nella diffusione dei
contenuti. Un deficit di autorevolezza conduce inevitabilmente ad una crisi di
credibilità.
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Utilizzare numeri e dati, precisi e verificati, per definire le situazioni che si intende
comunicare dà il senso di concretezza che deve sempre accompagnare l'attività di
chi difende gli interessi collettivi.

Un elemento vincente anche nel mondo del non profit è quello di far leva sulla forza
delle esperienze utilizzando una forma di comunicazione che definiremo
esperienziale. Corredare i messaggi di contenuti multimediali aiuta a raggiungere
l'obiettivo dell'immedesimazione, un meccanismo molto simile a quello che in
ermini psicoanalitici viene definito transfert. Bisogna sempre cercare di ridurre le
distanze tra quello che si racconta e la persona a cui lo si racconta.

Uno strumento molto valido nella promozione delle organizzazioni non profit è
quello di legare i propri messaggi a volti noti, a dei testimonial disponibili a prestare
la propria popolarità per una giusta causa. La popolarità, infatti, è un aggregatore di
consenso che permette di innescare un vero e proprio moltiplicatore per la
diffusione dei messaggi.

In Italia il modello testimonial è meno diffuso rispetto al mondo anglosassone dove,


invece, star del cinema o della musica fanno a gara nel prestare la propria immagine
alle buone cause. Un esempio che va in questa direzione è la collaborazione tra il
Jova Beach Party di Jovanotti e il WWF Italia che partecipa alle tappe del tour
musicale per la sensibilizzazione contro l'inquinamento di plastica in natura.

Spesso i comunicatori, in particolar modo quando si lavora in organizzazioni che si


occupano di questioni estremamente complesse, corrono il rischio di commettere
degli errori. Un grave errore è quello di sottovalutare vettori di notizie molto letti
come i giornali popolari, quelli che generalmente vengono venduti in edicola a 1
euro. Questi settimanali, insieme alle trasmissioni estremamente popolari e più
seguite rappresentano un veicolo importante che non va sottovalutato anche
perché sono stabilmente in vetta alle classifiche delle copie vendute.

Scegliere chi rappresenta l'organizzazione nelle occasioni pubbliche e negli spazi


mediatici che si hanno a disposizione è un'operazione fondamentale per trasmettere
un messaggio di positività, competenza e concretezza. Innanzi tutto, bisogna
scegliere la persona più adatta per il canale a cui si fa riferimento. Generalmente il
miglior metodo per la formazione delle spokesperson è quello dei piccoli passi e dei
passaggi progressivi che permettano di acquisire familiarità con le interviste. Si
comincia dalle piccole radio che consentono di mettere alla prova e indirizzare chi
ha meno esperienza. Una volta messo a punto il modo in cui stare in trasmissione si
può proseguire con le radio nazionali che presentano maggiori insidie e domande
più serrate e veloci.
109
Le buone notizie sono anticorpi rispetto all'impotenza che spesso si percepisce nei
confronti delle grandi emergenze del nostro tempo. Accreditare queste emergenze
come irrisolvibili avrebbe soltanto un effetto negativo in grado di far rimbalzare
automaticamente sia la call to action (la richiesta di mobilitarsi) sia il sostegno alle
attività delle realtà che si occupano di quelle emergenze. Ecco perché alle denunce e
al racconto delle situazioni problematiche bisogna sempre alternare la narrazione
dei risultati positivi raggiunti oppure degli esempi di chi si spende (o si è speso) per
una causa, a costo anche di gravi sacrifici.

Le attività della Comunicazione, per il WWF, rivestono un ruolo cruciale perché sono
strettamente connesse al raggiungimento degli obietti dell'associazione,
supportando e promuovendo le principali attività che vengono svolte nel corso
dell'anno: del programma di conservazione, di raccolta fondi e di advocacy. Negli
anni, proprio grazie alle diverse attività di Comunicazione, è stato possibile
aumentare la visibilità e consolidare l'autorevolezza del WwF in Italia, mettendo
sempre al centro della narrazione mediatica la qualità dei migliori contenuti
scientifici, l'efficacia d'intervento sul campo, il valore di appartenere ad un network
internazionale e quindi di operare concretamente a livello globale, nazionale e
locale. Il WWF continua ad essere un punto di riferimento e una fonte di
informazione affidabile per i principali media italiani sui temi della tutela della
natura nel mondo e in Italia.

110
Capitolo 32 – il ruolo e la figura del chief communication officer
L'evoluzione della missione e del ruolo professionale e manageriale del
comunicatore aziendale nei Paesi occidentali ed europei dalla fine degli anni
Novanta ai giorni nostri è stata accompagnata dalla trasformazione dei modelli di
governance, della cultura gestionale e organizzativa delle imprese e influenzata dalla
crescita del livello competitivo dei mercati, con il passare del tempo sempre più
globalizzati e integrati. Un altro fattore chiave che ha inciso sull'evoluzione della
figura del Responsabile della comunicazione, o come oggi si definisce del Chief
Communication Officer (CCO), è da associare al passaggio dalla old alla new e digital
economy e alla frammentazione degli stakeholder.

il CCO è la figura preposta a guidare le relazioni con la stampa, gli opinion leader, i
decisori e gli influenti, Sotto la sua responsabilità figurano l'ufficio stampa e le
relazioni con i media, i rapporti istituzionali e la produzione degli strumenti editoriali
aziendali.

La funzione parallela al Responsabile comunicazione nell'organigramma aziendale è


quella del Responsabile pubblicità, la cui mission si concretizza nella gestione e
coordinamento delle campagne pubblicitarie e promozionali, degli eventi speciali e
delle sponsorizzazioni, dello studio dei marchi e del logo aziendale e della sua
declinazione nei molteplici strumenti di comunicazione aziendale (corporate
identity). La posizione riporta tipicamente al Responsabile commerciale o al
Responsabile marketing & sales.

Oggi il CCO assume un ruolo chiave nella definizione del posizionamento strategico
dell'azienda, contribuisce attivamente alla costruzione del suo profilo competitivo e
alla diffusione della sua cultura di leadership, siede nel comitato di direzione alla
pari dei responsabili delle altre funzioni centrali di supporto al business.

Gli ultimi anni del secolo scorso e quelli successivi del nuovo millennio marcano un
passaggio importante per la crescita del posizionamento e peso manageriale del
CCO all'interno dell'organizzazione aziendale. Le privatizzazioni delle grandi aziende
pubbliche segnano una svolta nella comunicazione istituzionale sostenuta da grandi
budget e dal coinvolgimento di numerosi advisor italiani e internazionali. In quegli
anni si lanciano, in Italia e all'estero, imponenti campagne di comunicazione
indirizzate a diverse tipologie di target: piccoli risparmiatori, investitori istituzionali,
dipendenti.

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La guida di queste campagne, realizzate utilizzando l'intero armamentario di mezzi,
strumenti e risorse professionali delle discipline above-the-line e below-the-line, è
nelle mani di manager che si sono formati in scuole aziendali leader per tradizione
culturale e best practice nella comunicazione d'impresa. La sfida dei manager della
comunicazione istituzionale si gioca prevalentemente sulla capacità di costruire una
notorietà e un patrimonio di marca forti e distintivi, di elaborare una narrazione
esclusiva e memorabile della storia aziendale e dei traguardi raggiunti, in grado di
trasferire al mondo degli investitori e degli opinion leader l'alto valore del brand
aziendale. Un valore intangibile che ha una forte influenza sulla quotazione del titolo
azionario.

Nell'agenda dei vertici delle imprese privatizzate si impongono nuove priorità tra
cui: il rafforzamento del profilo competitivo, l'aumento degli indici di redditività e
profittabilità, la crescita del valore azionario. In questo contesto al CCO spetta
disegnare un nuovo modello di governance della comunicazione istituzionale che
vede consolidare la propria mission aziendale ed estendere la sua area di influenza
verso i vertici aziendali. L'organigramma del CCO si compone di un numero sempre
più articolato e integrato di funzioni da governare e coordinare: relazioni esterne e
con i media, relazioni istituzionali, corporate advertising, branding & corporate
identity, organizzazione di eventi e sponsorship, corporate publishing, ricerche di
mercato.

A seconda della dimensione dell'azienda, il processo di integrazione delle discipline,


dei mezzi e degli strumenti della comunicazione continua il suo corso estendendo la
responsabilità del CCO ad altri ambiti come ad esempio: analisi e studi, patrimonio
artistico, archivio storico. In alcuni casi al CCO spetta anche la responsabilità delle
investor relation; funzione che verrà in seguito collocata stabilmente nell'ambito
della struttura Amministrazione, finanza e controllo a riporto del Chief financial
officer (CFO). In altri casi si aggiunge la responsabilità della Comunicazione Interna,
funzione spesso contesa o condivisa con le Risorse umane.

La nascita della net economy e la proliferazione delle piattaforme digitali


introducono un momento di straordinaria discontinuità nella vita delle imprese,
nella gestione e organizzazione della corporate communication.
In quel periodo, la comunicazione tramite il web si caratterizza ancora per la
predominanza dei contenuti istituzionali lasciando ancora sullo sfondo il concetto
più avanzato della multicanalità a sostegno delle attività di marketing. Il CCO ha il
compito di coordinare la nuova funzione online/web communication ancora intesa
come un centro di specializzazione poco integrato con le altre funzioni che tende a
tradurre i contenuti dal mondo offline anziché trattarli applicando propri codici di
linguaggio. Nella struttura organizzativa del CC prendono vita nuove funzioni e figure
112
professionali la cui responsabilità consiste nel curare i rapporti con le autorità
indipendenti, con il mondo consumerista e, in forma più estesa, con le associazioni
non profit impegnate su scala nazionale e/o locale a difendere e promuovere istanze
di carattere ambientale, sociale e della salute. Prendono così forma e sostanza le
funzioni Affari regolatori, Responsabilità sociale d'impresa (CSR) e Community
relations.

Il CCO assume un ruolo sempre più centrale all'interno del management team e si
manifesta una dialettica interna con le funzioni marketing e commerciali. La sua
mission si estende a nuovi territori: far percepire in modo credibile all'esterno e
all'interno della propria azienda il senso strategico e la qualità del committment
dell'azienda nell'area della responsabilità sociale. Un impegno che richiede anche
nuove competenze professionali e investimenti in comunicazione. Il CCO e il suo
team si fanno promotori di iniziative e campagne di comunicazione tese a
valorizzare la cultura etica e di responsabilità dell'impresa verso la comunità in cui
opera nel rispetto dei diversi portatori di interesse.
Il CCO, chiamato a presidiare la comunicazione istituzionale, si trova per-
tanto ad affrontare una nuova sfida manageriale: quella della corporate social
responsibility (CSR).

Negli ultimi vent'anni la missione e il ruolo del CCO così come lo abbiamo ripercorso
in queste pagine si sono trasformati trainati dai grandi fenomeni economico-sociali,
dell'innovazione delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione. L'impresa
ha visto affermarsi nuovi soggetti istituzionali, nuovi media, nuovi gruppi di
pressione capaci di incidere fortemente sulla notorietà, autorevolezza e credibilità
del proprio brand e di modificare il loro modo di interagire con il mercato. Dal 2000
ad oggi la comunicazione istituzionale ha subito un processo di progressiva
integrazione che ha portato discipline, mezzi e strumenti su un unico piano di
elaborazione strategica in cui le attività di comunicazione above-the-line e below-
the-line. L'evoluzione della figura del CCO, come testimonia la nomenclatura
corrente, lo ha portato ad essere parte della così detta C-Suite alla pari degli altri
business leader: il Chief executive officer, il Chief of human resource manager, il
Chief financial officer, il Chief marketing officer, il Chief commercial officer, il Chief
information officer.

Mentre possiamo riconoscere le origini del CCO, con quali ferri del mestiere ha
costruito e affermato il suo ruolo in azienda e come si è evoluto nel tempo in virtù
del cambiamento delle architetture di governo aziendale, della cultura d'impresa,
dei modelli organizzativi e delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione,
più difficile risulta prefigurare la sua evoluzione negli anni a venire di fronte ad uno
scenario così rapidamente mutevole, fluido e difficilmente prevedibile.
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Il CCO dovrà pertanto agire in un contesto in cui gli stakeholder tradizionali, tra cui i
così detti corpi intermedi (partiti politici, sindacati, editori puri, Chiesa), perderanno
progressivamente peso politico e capacità di rappresentanza a scapito di nuovi
portatori di interesse infinitamente più numerosi e frammentati in grado di
interagire con l'impresa direttamente senza barriere geografiche e in tempo reale
grazie allo sviluppo delle piattaforme digitali, alla diffusione dei dispositivi mobili e
dei social media. I nuovi stakeholder diventeranno sempre più creatori di contenuti
(editori) acquisendo il potere di influenzare opinioni e promuovere azioni collettive
in modo istantaneo. Chiunque possegga uno smartphone può trasformarsi in un
reporter e opinion leader, promuovere campagne a favore o contro un'impresa, il
suo operato, i suoi prodotti, i suoi servizi.

il CCO dovra dimostrate attitudini e competenze nuove sul fronte delle competenze
professionali dovrà dimostrare di riuscire ad interpretare scenari sempre più
complessi e imprevedibili, in mutazione rapida e continua. Come di fronte ad una
fotografia digitale, in cui tanto più sono i pixel che la compongono tanto più
l'immagine gode di alta risoluzione fino a sembrare realtà, tanto più il CCO sarà in
grado di leggere gli eventi e i macro fenomeni e a scomporli sotto diversi campi di
analisi, tanto più sarà in grado di razionalizzare le emozioni, di monitorare il grado di
attenzione di un universo di portatori di interesse sempre più frammentato e
sovrapposto, e tanto più sarà in grado di comprendere il contesto competitivo e
prevedere i mutamenti economici e socioculturali.

Sarà sempre più richiesto al CCO di monitorare puntualmente tutte le diverse fonti
informative, i trend topic e i dibattiti in rete con un impegno sempre maggiore:
avere mille occhi, giorno e notte. Questo significa affrontare un cambio di paradigma
dal punto di vista strategico e operativo che richiede di essere continuamente
aggiornati sulle tecnologie dell'informazione e della comunicazione digitale, di
acquisire padronanza e familiarità nella decodifica e comprensione dei dati e dei
codici di linguaggio, oltre che di conoscere la cultura e i comportamenti dei suoi
fruitori e protagonisti (blogger, influencer).

Il CCO dovrà essere in grado di gestire la comunicazione in un contesto


contrassegnato da un mondo di interlocutori in continuo movimento e mutazione.
Dovrà mettere in campo nuove abilità per conquistare l'attenzione, suscitare
emozioni, far vivere nuove esperienze (brand experience, brand journey), trattare i
trend topic, gestire l'overload informativo e contrastare le fake news. Dovrà, inoltre,
saper comunicare con rapidità e incisività in un contesto senza più barriere tra il
mondo esterno e interno all'azienda, senza più distinzione tra pubblici esterni e
interni, tra i canali internet e intranet, ma contraddistinto da un unico ambiente
globale virtuale di interazione e coinvolgimento (extra-net).
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Le competenze del CCO negli anni a venire si misureranno anche su un altro terreno:
quello della leadership. Al centro della sua sfida manageriale ci sarà la capacità di
contribuire attivamente alle decisioni strategiche e di alimentare la motivazione
delle risorse del proprio team e accompagnarle nel loro percorso di crescita
aiutandole ad acquisire maggiore senso di responsabilità, produttività ed efficienza.
Questa sfida è particolarmente complessa se si pensa che in questo periodo storico
assistiamo alla presenza in azienda di ben tre generazioni differenti: i baby boomer,
la generazione X e la generazione Y (i millennial). Un fenomeno mai accaduto prima
di oggi nelle imprese. Nel suo ruolo gestionale, al CCO verrà sempre più richiesto di
facilitare il dialogo tra le diverse funzioni, di interpretare il ruolo di agente di
cambiamento, di partner per agevolare le attività di commerciali e di sviluppo del
business.

Dovrà dimostrare di possedere una spiccata intelligenza sociale ed emotiva per


poter cogliere segnali deboli e sottotraccia, gestire con efficacia i rapporti con diversi
stakeholder riconoscendone le diversità culturali e le priorità di agenda. Non da
ultimo dovrà sapersi sedere in una data room carica di monitor e saper processare
un'ingente mole di dati quantitativi e qualitativi per inquadrare trend, scenari e
audience per essere in grado di elaborare strategie efficaci di comunicazione in
funzione dei target da raggiungere.

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