L’oggetto della comunicazione è costituito dall’insieme dei processi di scambio di messaggi che si
realizzano all’interno
dell’azienda e tra questa e gli
attori dei sistemi competitivo e
sociale, con lo scopo di
contribuire al perseguimento
degli obiettivi aziendali.
Con processo si intende quello
attraverso il quale una persona,
un’azienda o un ente si pone in
relazione con una o più
persone, aziende o enti,
avvalendosi di simboli verbali e
non.
Comunicazione aziendale
Per comunicazione aziendale, si intende l’insieme delle manifestazioni attraverso le quali l’azienda
attiva un processo di comunicazione con uno o più pubblici, ai quali propone uno o più aspetti
della propria identità al fine di sviluppare un’immagine favorevole.
Si intende lo studio dell’insieme degli scambi di messaggi in azienda e con gli stakeholder esterni,
per perseguire obiettivi esterni, di notorietà, quindi far conoscere l’impresa, (primo livello far
conoscere) legato anche all’estensione del target raggiunto, anche per questo la pubblicità ha costi
elevati.
Secondo livello è quello dell’immagine dell’impresa, volte a influenzarla positivamente, la
reputazione che gli stakeholder si formano, sono dei costrutti percettivi di giudizi di opinione
fortemente influenzati da processi comunicativi.
Terzo livello è quello di comportazione, cioè di azione come, per esempio, condividere contenuti
che sono piaciuti, azioni che portino vantaggio all’impresa.
A livello teorico della comunicazione di massa, alla base di tutti gli studi di comunicazione. Molto
datato perché il primo di Shanno e Hoeaver l’hanno fatto nei primi del Novecento. Anche quel
modello segue comunque questo tipo di processo. Decide cosa vuole dire, codifica in un messaggio
per i diversi touchpoint, segnali adatti a quel dato touch point, rappresentano i canali all’interno
dei quali l’azienda codifica il messaggio, che ha intenzione comunicativa dell’impresa, in fine
raggiunge il ricevente, in questo caso per esempio il consumatore ma anche altri stakeholder che
effettuerà un processo di decodifica, cioè interpreta i messaggi che sono stati ricevuti.
Ci sono dei rumors che possono andare a minare l’efficacia della ricezione del messaggio, gli
elementi di rumore, sono di tre tipologie.
Il primo è mnemonico, veicolato dall’azienda ma non ricordato dai riceventi, anche se esposti in
diversi momenti. Se non si ricorda il brand del messaggio, il messaggio è inefficacia.
Rumore tecnologico, cioè ci sono dei problemi nella trasmissione. Tra questi un tipo è l’errore di
stampa, per esempio. anche in questo caso il messaggio non va a buon fine.
Rumore semantico, non viene capito dall’audience, questo è il problema delle economie di scala,
con la pubblicità generalizzata in più paesi. Un esempio a base della pubblicità è l’umorismo e
l’ironia.
Tutt’ora la pubblicità funziona in modo che ci sia una fonte, un messaggio un canale una
rielaborazione dal ricevente, c’è una reazione affettiva, un’elaborazione emotiva, e infine stimolo
all’acquisto, comportamentale.
Ciò che è cambiato è che non siamo più in una situazione. Non c’è una fonte unica con un
ricevente passivo. Nel network di oggi i riceventi e gli emittenti sono tanti, anche l’azienda stessa
diventa ricevente, la rete è molto più grande ed è lei che emette i messaggi. L’azienda è solo uno
degli attori.
I prodotti molto simili gli uni con gli altri, grazie alle tecnologie, le finestre temporali, cioè quando
un prodotto viene immesso sul mercato, adesso la finestra si è rimpicciolita di mondo rispetto al
passato.
Trovandosi in una situazione di realtà competitivi, devono essere più unici e distintivi rispetto agli
altri, entrare in ambienti che non hanno a che fare con il prodotto e portare il consumatore
all’interno del sistema comunicativo, mettendolo al centro.
Le aziende sono costrette a dare voce al consumatore o a qualcuno che è al di sopra dell’azienda a
livello autoritario, perché in grado id avere una relazione migliore con i clienti.
Adesso i consumatori non solo hanno una scelta più ampia, ma sono sottoposti a migliaia di
messaggi, e sono loro a voler parlare, le aziende devono inventare nuove modalità, portarlo on
board e rendere la comunicazione più interattiva.
Le aziende hanno capito che per riguadagnare la forza competitiva devono fare gioco forza, il
consumatore stesso può fare pubblicità avendo una piattaforma base.
6-10-2021 lezione 2
Il processo di comunicazione aziendale. La comunicazione aziendale è studio dell'insieme dei
processi di scambio di messaggi interni ed esterni all'azienda, volti a obiettivi aziendali:
- notorietà: attraverso pubblicità, social media...
- immagine: influenzarla positivamente
- azione comportamentale: chiedere informazioni sul prodotto, andare al punto vendita,
acquistare, parlare del prodotto, partecipare ai contest aziendali, condividere contenuti con pari.
compiere azioni che portino vantaggio, in termini di prodotto e in termini corporate, all'azienda.
Il processo di comunicazione, a livello teorico, è detto 'di massa' (Mass Communication Theory,
elaborato da Shannon e Shivory, a fine degli anni '40). L'azienda è la fonte emittente, che decide
cosa dire, codifica un messaggio per i diversi touch point (canali di condivisione e comunicazione,
come tv, radio, social media) in segnali verbali e non verbali, C'è un'intenzione comunicativa da
parte dell'azienda, resa in un messaggio scritto o parlato secondo le caratteristiche del canale
usato. Il ricevente, il consumatore, decodifica il messaggio, interpretandone i contenuti che
vengono veicolati. Ci sono dei rumori, delle interferenze nel processo comunicativo che possono
inficiare la riuscita del processo di comunicazione e sono di tre tipologie:
1. rumore mnemonico: quando il messaggio viene veicolato dall'azienda ma il ricevente non lo
ricorda (accade nei casi di pubblicità in cui la creatività prende così tano il sopravvento che i
consumatori si ricordano lo spot, il jingle, i personaggi ma non ricordano il brand a cui appartiene
la pubblicità);
2. rumore tecnico-tecnologico: quando ci sono dei problemi nella trasmissione (quando, ad
esempio, cade il canale satellitare, Instagram down, problemi di connessione...) oppure quando, in
pubblicità cartacee, la pubblicità presenta errori di stampa, immagine o testi sfocate;
3. rumore semantico: riguarda la non comprensione del messaggio da parte dell'audience che lo
riceve (ad esempio, quando si fanno pubblicità commercializzate internazionalmente c'è il rischio
che l'ironia, l'umorismo non venga colto in certi paesi; vedi il British humor qui in Italia).
Questo processo ha teorizzato le basi e i fondamenti principali di quello che avviene tra azienda e
stakeholder e all'interno della stessa.
12-10-2021 lezione 3
Nel lungo termine c’è una riacquisizione di potere se si sa introdurre le strategie, le marche ora
sempre di più si rifanno alla persona, è molto pericoloso il modo dei social.
Con i consumatori che sempre più dicono la loro con una risonanza abbastanza forte, e soprattutto
normalmente, parlano male, lamentarsi fa audience. Questo viene esasperato con l’uso dei media.
Scenario diverso dal passato. Oggi la comunicazione è basata sul saper avere credibilità, al
contrario all’epoca che era quella della autorità economica, la credibilità che conta è quella
costruita, fake che funzionano, le aziende che un tempo non comunicavano vengono smascherate.
Ciò che ha reso più difficile la comunicazione è stato il push vs pull, push è una forma di
comunicazione che rappresenta le vendite, spinge il prodotto verso il mercato, incentivi occasionali
sia economiche che di prodotto. La comunicazione pull rende il prodotte desiderabile, va a
costruire la desiderabilità del prodotto, attraendo il consumatore a sé. Tutto ciò che non è push è
pull, va a costruire, sollecitare bisogni latenti, in modo che il consumatore emozionato,
interessato, chieda autonomamente il prodotto; quindi, intraprenda delle azioni che costituiscono
il brand. Oggi si è aggiunta una terza forma, il do-it-yourself, io azienda mi porto il consumatore
in casa, lo rendo Ambassador perché lui parli di me, si ispirano al modo in cui i consumatori
comunicano tra loro, alla base della comunicazione social, si fonda sulla non necessità del
consumatore di oggi di avere un’azienda, vengono portati onboard, usati nella loro creatività per
comunicare il brand. Tutto il mondo del crowdsourcing e founding. Mi porto a casa le idee e metto
a disposizione merchandising, vado a capitalizzare sul lavoro intellettuale delle persone.
Top down vs bottom up:
Letteralmente questi due termini significano “dall’alto verso il basso” e “dal basso verso l’alto”. Essi
rappresentano due strategie comunicative: la strategia top down si caratterizza per un modo
formale e organizzato di gestire l’informazione partendo dall’azienda e arrivando a una parte
gerarchicamente inferiore (es: newsletter, il volantino o allegato alla busta paga) mentre la
strategia bottom up rappresenta un movimento contrario, ovvero si parte da un’idea di
comunicazione più concreta e vicina ai problemi quotidiani. Questi vengono fatti risalire verso la
Direzione dell’azienda che in modo specifico cerca di agire (ES: conversazioni su whatsapp,
commenti e feedbacK).
Oggi il consumatore vuole partecipare, sempre di più per le aziende il successo diviene
dall’intervento del consumatore nella comunicazione di marca.
Sending messages vs. co-generating contents.
La legge è sempre più improntata su un atteggiamento restrittivo.
Sponsorizzazione è un sostegno finanziario affinché un evento possa esserci, un personaggio possa
effettuare le sue mansioni, contributo generazionale forte.
Quando sono diventate negative anche le sponsorizzazioni, fino a quando il simbolo della
sponsorizzazione non dovevano essere evidenziato (intorno al 2018).
Investire in forme di comunicazione dove i temi principali sono quelli dibattuti nella popolazione,
come quello della responsabilità ambientale, dello zero waste, con l’intento di ridurre gli sprechi.
Tocca il tasto del second hand, utilizzare i prodotti per più tempo e l’abbandono della
comunicazione autoreferenziale.
Si parla della circolarità dell’economia, basata sulla forza del prodotto. La strategia della
obsolescenza programmata non è etica, ma non venderebbero più (Apple).
Il Covid non ha aiutato le cose, anzi le ha peggiorate, nei trend più importanti, l’elemento Covid si
fa sentire, la tecnologia la fa da padrone; infatti, la socialità e le interazioni tra i consumatori e le
marche sono diventate ancora più digitali e mediate tecnologicamente. L’enfasi sull’ambiente
famigliare fa parte dello scenario di comunicazione di questo periodo, come anche l’aumento della
dipendenza e l’attaccamento agli apparecchi tecnologici.
Sono nati alcuni elementi come l’ossessione per l’igiene e il pressante bisogno di stress di consumo.
Nel loro modo di comunicare i brand hanno dovuto condividere con i consumatori una logica
deprimente per l’azienda.
Esempio di Uber che ringraziava i consumatori per stare a casa e non usare Uber, ringraziando
anche da parte di coloro che per necessità e lavoro dovevano usarlo.
I fenomeni di sharing, liking, disliking.
Ci sono dei brand che anche per una non capacità di comunicazione, andavano male, facendo un
rebrand e quindi iniziando un culto vero e proprio dei propri prodotti, hanno rilanciato la marca.
Il concetto di trand
Il trend deriva dall’inglese, to turn. E in sociologia disciplina da cui la parola deriva, il trend fa
riferimento ad una premonizione, che comporterà un cambiamento dello status quo, che verrà
accettato dalla maggior parte delle persone. Segnale premonitore di un cambiamento che verrà
utilizzato e accettato dalla maggior parte delle persone a livello di società.
Nei consumi un trend si riferisce, ad un cambiamento che va ad impattare i regimi di gusto, il taste
e il life style, concetti alla base dei comportamenti di consumo. È latente, alla base del concetto di
trend, un fenomeno latente vuol dire che esiste ma è momentaneamente appena manifestato, non
si è completamente affermato ma lo farà. Verrà popolarizzato nel giro di poco, anche se ora è un
segnale debole verrà massimizzato.
È tutto capire i trend, possibilmente rima di altri.
Grande differenza tra trend e fad, trend cambiamento di lungo termine, un fad è effimero e
momentaneo, cambiamento con breve ciclo di vita, che verrà sostituito con molta rapidità.
Gli spazi con trend di consumo che hanno impattato la società, il modo per esempio di vivere gli
spazi e il co-living e co-working. I trendsetter sono coloro che prendono un qualcosa che è stato
inventato, capendone il valore di quella creazione e lo fanno diventare un trend. Questi soggetti
hanno un grosso potere diffusivo (= un networking personale che ha la capacità di
influenzare gli altri) anche se a differenza dei creators non sono molto conosciuti come eori. I
principali trendsetters sono: influencers e gli opinion leader. I trendsetters hanno l’abilità di
diffondere un’innovazione e farla diventare un trend (abilità di influenza) grazie alla loro vicinanza
e connessione mentale con i propri followers. I trendsetters, inoltre, si mescolano anche tra di loro
avendo cosi la possibilità di osservare nuove persone e trovare l’ispirazione o imitare qualcosa. I
differenti trendsetters possono essere inseriti all’interno di un modello che prende il nome di
Diamond-Shaped Trend Model che illustra i sei diversi comportamenti che i trendsetters
hanno nei confronti del trend:
1. Trendsetters: sono gli individui più aperti e curiosi che danno una certa importanza al
gusto e allo stile. Essi accettano l’idea che gli stili cambiano e considerano questo positivo
quando avviene in intervalli regolari. Si presentano entusiasti di fronte alle innovazioni
negli stili e sono i primi ad adottarle.
2. Trend followers: sono molto simili ai trendsetters, ma hanno il bisogno di vedere altre
persone usare le innovazioni negli stili prima di metterli in pratica loro stessi. Sono aperti ai
cambiamenti ma vogliono essere sicuri di scegliere qualcosa che sarà poi accettata. Essi
prendono ispirazione dai trendsetters e diventano modelli di ispirazione per i
mainstreamers.
3. Early mainstreamers: sono individui che accettano i nuovi stili prima della maggior
parte delle persone, prima che lo stile diventi completamente mainstream. Il membro di
questo gruppo si caratterizza per essere aperto ai nuovi stili ma è più esitante rispetto ai
trend followers (devono vedere sia i trendsetters che i trend followers adottare
l’innovazione).
4. Mainstreamers: sono individui che tendono ad acquistare o usare cose perché tutte le
persone lo fanno. Le persone di questo gruppo non vogliono essere trendy come i
trendsetters ma non vogliono nemmeno essere conservativi.
5. Late mainstreamers: gli individui di questo trend group sono molto esitanti e in alcuni
casi ignorano i cambiamenti nello stile e nel gusto. Essi accettano l’idea che lo stile e il gusto
debba cambiare. In generale, essi tendono a comprare qualcosa di nuovo perché non
possono andare avanti con lo stile vecchio.
6. Conservatives: sono individui che preferiscono che sono esistenti da anni. Sono i più
scettici nei confronti dei nuovi stili.
Questi profili prendono il nome anche di trend groups. Nel modello appaiono anche i trend
creators sono un gruppo piccolo ed eterogeneo mentre i trendsetters sono un gruppo molto più
ampio e misto. I content creator che si focalizzano sulla creazione di contenuti da diffondere
mediante il web, a volte possono anche non avere un profilo con tanti followers. Questo perché non
sono molto interessati alla diffusione del contenuto ma alla creazione di questo; quindi si può dire
che sono più vicini agli innovators. I principali content creators sono: tiktokers. Essi si
distinguono dagli influencers perché hanno una capacità di bonding e networking superiore
rispetto a chiunque con i followers.
Esistono, però, dei gruppi che non accettano il cambiamento. Questi prendono il nome di anti-
innovators. Le persone, infatti, hanno diversi atteggiamenti verso i cambiamenti nello stile e nel
gusto. Gli psicologi hanno cercato di descrivere i trendsetters partendo da le Big Five Personality
Factors: Emotional stability, Extraversion, Openness, Agreebleness and Conscientiuosness. Ogni
personalità è data da una combinazione diversa di questi 5 fattori. Tuttavia, la trendsetters psiche è
molto più complessa perché oltre alle big five vanno aggiunte un forte senso di individualismo e
un bisogno di essere sempre diversi.
Il trend process inizia quando i diversi trend group sono ispirati dal top del modello: essendo un
processo che parte dai trendsetters fino ad arrivare ai mainstreamers e passare poi ai
conservatives. Nel modello preso in riferimento è lo stile che cambia posizione, non gli individui.
Fad piacciono ai trend setter, durano meno di un anno e c’è dietro una grande makettabilità,
perché essendo di veloce sviluppo e veloce per una massima efficienza, non influenzano spesso la
grande massa, ma una nicchia più piccola, muoiono velocemente.
Megatrend, sono trend grossi, culturali, economici, politici, tecnologici, che avranno durata
pluriennale e impatteranno diversi settori in modo sovrastante.
I consumatori tendono a essere più interessati allo stile di vite e al gusto quando sono ricchi,
perché hanno occasione di capire cosa li aggrada di più, gerarchia dei bisogni di Maslow. Si è
superato i bisogni basilari, dirigendomi verso la cima della piramide, più abbiamo e più vorremmo.
Nelle società contemporanea i bisogni più
sofisticati permettono di emergere ai trend
che vanno a a proporre stili di vita basati sul
well-being.
I bisogni partono da:
- Bisogni fisiologici di base
- Bisogni di sicurezza
- Appartenenza
- Stima
- Bisogni di autorealizzazione
I trend vanno a lavorare sulla stima e l’autorealizzazione che portano alla autoaffermazione e
benessere.
13-10-21 lezione 4
Trendsetters e innovatori
L’innovatore, chi introduce l’innovazione, spesso non sono quelli che la popolarizzano, gli
inventori sono tipicamente imprenditori, artisti, scienziati, designer, a volte sono persone di
sottoculture sociali, nicchie di persone specifiche più difficilmente accontentabili e quindi in
necessità di innovazioni.
Sono per esempio young people (fase in cui si esplorano le proprie identità e personalità),
scientists, designers (nella loro professione devono creare qualcosa di nuovo, essi sono molto
immaginativi), artists (sono creativi e immaginativi e possono cambiare i propri stili nel corso
della loro carriera), wealthy people (possono sopportare economicamente i più costosi nuovi stil
Gruppi sono per esempio la LGBTQ+ community e le celebrity, che hanno capacità di innovazione
in alcuni tipi di ambienti, se sei in ambienti di bassa ispirazione e non hai caratteristiche di
accessibilità non sei soddisfatto, altre volte proprio perché sei in un ambiente innovativo hai più
opportunità di innovare.
I trend setter prendono qualcosa di già inventato, capiscono il valore dell’innovazione e utilizzando
il loro networking, che ha la possibilità di influenzare gli altri, sono dei diffusori dei trend, se non
c’è nessuno che la usa non diventa trend, sono altrettanto importanti rispetto agli innovatori.
Trend vuol dire cambiamento latente, con pieno sviluppo possibile nei prossimi anni, le marche
cavalcano questa innovazione che diventerà trend, gli early adapters la popolarizzano e la fanno
arrivare alla massa.
Gli opinion leader e gli influencer sono i maggiori trend setter. I content creator sono interessati
alla creazione di contenuti di creatività, sono inventori che però non si preoccupano molto della
follower base, con la quale non hanno una follower base basate su fiducia e rappresentazione.
I content creator sono più vicini agli innovatori, artisti.
Gli influencer hanno capacità di bonding
e networking con i follower rispetto ai
content creator, hanno capacità di
spreading e influenza sul pubblico e
sulla propria follower base,
hanno una credibilità che diffonde
l’innovazione. Anche le celebrity
possono essere trendsetter.
Nella teoria della diffusione
dell’innovazione, di Everett Rogers, si trova la
curva che sancisce cosa succede ad
un’innovazione quando viene introdotta nella
società. Quando viene introdotta c’è una
piccola percentuale di persone che sono gli
inventori, poi si trovano gli early adopters,
cioè i primi che adottano l’innovazione, che
prendono lo spunto e hanno i canali per
diffonderlo (adesso trendsetter), ci sono
persone con grande capacità diffusiva, in
successione ci sono la early majority, la late
majority e i laggards, coloro che l’adottano per ultimi.
I lead users sono consumatori che sono molto interessati e avvertono un certo desiderio che altri
ancora non percepiscono, di fatto arrivano prima quindi sono quelli che alle aziende interessano
tantissimo. Sono coloro che porteranno alla diffusione del prodotto o servizio, possono essere
consumatori o influencers che hanno la capacità di guidare gli altri, (lead to followers).
Basi antiche di teorizzazione molto forte che non c’erano nei social media. Già decenni fa era
teorizzato come importante nelle teorie di innovazione.
Esempio
- Phygital Reality, in cui l’azienda ha unito un’esigenza fisica e digitale del prodotto. Vale
molto nel fashion e make-up.
- Safety Obsessed, i consumatori come trend sono sia giovani che non, emergenza
dell’ossessione per l’igiene che il Covid ha portato, adesso la gente che è riuscita ha
comunque un’ossessione per l’igiene.
- Thoughtful thrifters, riuso di capi per la salvaguardi dell’ambiente, cura del packaging e non
con la logica dell’usa e getta.
- Workplaces in new places, commistione degli spazi durante la pandemia.
- Outdoor Oasis, aziende prendono iniziative da fare all’esterno, le persone non vogliono più
stare all’interno, sempre come reazione c’è un allargamento dello spazio outdoor.
19-10-21 lezione 5
Brand functions, identity and positioning.
La marca come concetto ha iniziato ad essere rilevante, e quindi comunicato estensivamente, con
televisione, ancora in bianco e nero, cinema, usato come punto di contatto, affissioni,
(cartellonistica pubblicitaria, utilizzo dello spazio urbano) radio e stampa, oggi arricchito da tutto
ciò che è stampa online.
La società degli anni 60 è una società di boom economico e rinascita, prima di allora inginocchiata
dalle guerre e lontane dal concetto di marca. Negli anni 60, grande impresa. Anni 60 dopo piano
Marshall e ripresa dalla Seconda guerra mondiale, cominciano a esserci diverse imprese in stessi
settori e con prodotti analoghi, sorge bisogno di comunicare, farsi preferire e differenziarsi,
comincia a esserci scelta, le imprese cominciano ad aver bisogno di investire in un Brand, in modo
da farsi percepire come unica e decisiva.
Questa funzione è molto basica, le variazioni non si sono eliminate ma aggiunte l’una all’altra.
funzione semantica anni 80, inizio del sogno americano, produzione di serie tv show che
rappresentano le famiglie ricche, moda, lusso, e ricchezze con sfoggio di status fatto da
imprenditori self-made. (paninari) beni che hanno valore simbolico, che ti facevano parte di uno
status, di un gruppo, brand classici come Timberland, premium price esagerato. Anni di Regan,
tutti i grandi brand si sono.
La marca v a ad attribuire significato all’acquisto, non per bisogno di base nella gerarchia di
Maslow, ma il significato simbolico molto forte che i brand vanno ad attribuire vanno a
caratterizzare la persona nella sua personalità, vanno a rappresentare ciò che io sono come
persona presso i miei gruppi sociali di riferimento, completano il mio modo di essere, fanno status,
si acquista per il segnale che i beni danno alla rappresentazione di sé. Russel Bel, concetto di sé
esteso, i miei prodotti sono un altro me, un altro io, recipient of meaning, recipienti di significato
di una persona che le porta.
funzione pragmatica, anni 90’ nuova crisi, verso metà degli anni 90’ nasce il concetto di hard
discount, soddisfando quei prodotti convenient, in tutte le categorie grocery e non. Necessità di
prodotti di primo Prezzo, molto basso, banali, non ad alto investimento o emotività e neanche
tanta spesa, il brand fa fatica, formule ti retail che vendono formule di primo Prezzo con prodotti
unbrended, che rispetto a quelli del supermercato, non hanno notorietà, non esistono nella mente
dei consumatori, ma vengono prodotti da un’azienda che non comunica e non crea un valore
simbolico, che il consumatore assume quando vede un metro prodotto. Se tu non comunichi non
sei un brand ma un prodotto, molta parte dei consumatori gli va bene acquistare un prodotto che
costa di meno ma che non conosce, data la grave crisi.
Sempre in concomitanza dei discount, è la comparsa delle private Label, marche del distributore,
brand forti oggi che investono nel loro brand, fanno produrre ai piccoli produttori che non
sarebbero in grado di affrontare la domanda e la richiesta del prodotto, rinunciano al proprio
nome, fanno un contratto con il produttore che poi vende con il proprio marchio, unico reseller,
tutti prodotti di qualità con costo competitivo, es. Esselunga, che agli altri impone un costo di
entrata.
Scossone per le marche le private Label, che diventano anche leader di prodotto e top di gamma.
Subentra un’altra funzione, quella pragmatica, che a tutte le altre dimensioni, simbolica e positiva,
deve parlare delle prestazioni, oggettive, che il prodotto mi da. Comunicazione molto segnaletica
basata sulle prestazioni, performativa, dimostro a cosa mi serve e quale è il vantaggio. A svantaggio
dello storytelling. Keyword: triste
funzione esperienziale, mondo del brand dove il consumatore viene preso parte, portato dentro,
nella rappresentazione simbolica ed emozionale della marca, in modalità varie e creative,
onboarding del consumatore. Obiettivo è quello di rappresentare un mondo conciliabile ed
allineato alla sensibilità e alla vita del consumatore, in questo universo simbolico della marca.
Brand identity
Identità, definizione dell’identità di marca, definizione del concept di marca e del posizionamento
e dell’engagement.
Il concetto di marca si è evoluto notevolmente nel corso del tempo. Con il termine brand si
intende un nome, una parola, un simbolo, un design o una combinazioni di questi che
ha la funzione di identificare i prodotti/servizi di un’azienda o di un gruppo di
aziende e di differenziali dai quelli dei competitori.
Il concetto di marca ha una doppia definizione:
1. Dal lato dell’azienda: l’azienda è proprietaria di una marca che rappresenta una risorsa
intangibile in mano ad essa. Il brand viene presidiato dalla funzione marketing interna
all’azienda.
2. Dal lato del consumatore: la marca sempre di più è di fatto co-costruita. Il concetto non
è tale se è creato dalla sola azienda. Il consumatore ricorda esperienze, fatti, prestazioni. Il
brand dal punto di vista del consumatore viene identificato come un set di associazioni
mentali – cognitive e affettive – che vengono associate al prodotto e che vanno ad
aggungersi al valore percepito del prodotto/servizio. Queste associazioni devono essere
esclusive, forti e positive.
Prima dimensione costituita dal fisico, il fisico è rappresentato dalle caratteristiche estetiche
grafiche, che compongono la marca, il sistema di identità visiva sono fondamentali elementi del
brand. Ma anche elementi come la gamma di prodotti. Dal casual allo sportivo all’elegante è un
aspetto fisico a livello di mostrare prodotti, performa esteticità, rappresentatività del prodotto,
elementi tangibili poi immessi nel mercato.
- Personalità, umanizzazione del brand, brand personality una delle dimensioni più
importanti e caratteristiche, aggettivi del brand come se fosse una persona, utilizzati nella
pratica manageriale dei descrittori sulla personalità di marca che assimilano il brand ad un
essere umano, fondamentale quando si parla con il direttore creativo durante la campagna,
prima cosa da sapere è quale caratteristica ha il brand.
- Cultura, dimensione profondamente interne, scendendo sempre più sul consumatore, a
metà via tra i due, insieme dei valori portanti di ispirazione della marca. Cultura si intende
anche quella di consumo oltre che di paese, molti brand hanno la capacità di avere per
valori portanti, quelle sottoculture che vanno a servire, vanno a parlare a una community di
consumatori che si accerchiano in bisogni di cui la marca va a soddisfare i bisogni.
Importante è anche la relazione che si va a creare, il brand diventa croce delle transazioni,
degli scambi e delle conversazioni tra le persone.
- Customer reflection, quando si chiede ad un cliente, del loro punto di vista su una certa
marca, solitamente risponde per il tipo di cliente che è percepito come del brand.
L’azienda va a targetizzare i consumatori che amano aggregarsi con persone simili, hanno dei tipi
di prodotti innovativi e amano essere innovatori e dimostrare che non hanno barriere mentali,
targetizzando le community che, se più coese, formate da persone omogenee, rendono la
targetizzazione per tribù omogenee più facile, il cuore del branding è lo scout spot, cioè identificare
aggregazioni di consumatori simili, facilmente aggredibili perché tra loro omogenei.
- Self image, l’auto immagine del consumatore, come si auto vede e si auto descrive in
quanto buyer di quel dato prodotto, parla in prima persona, della sua auto percezione,
dall’altro lato abbiamo la reflection, speculare, come il consumatore viene visto dagli altri
non da sé stesso.
- Relationship, tipo di relazione che la marca instaura con il consumatore, quali canali e
touchpoint, che stile, fredda calda, multi divisionale o uni canale, più leva su PR o su paid
media, comunicazione esclusiva o di massa.
Brand Positioning
Un aspetto fondamentale nell’identificazione dei competitor, cioè non tutti i player del mio settore,
ma i 5 o 6 che devo identificare con il criterio di quota di mercato, cioè la quota di vendita di
un’azienda rispetto un’altra, sancisce quando un competitor è simile, con cui posso giocarmela, chi
è il leader di mercato, anche se è lontano da me, perché è lo standard di mercato, per me è sempre
un benchmark. In senso dinamico anche chi ha una quota più bassa ma a livello dinamico stanno
crescendo in maniera più veloce della media del settore, l’overperforming.
Andare a identificare il consumer insight, un insieme di bisogni e desideri latenti che esistono nei
consumi della società, e sono in fase di affermazioni ma non esplosi tanto da avere tanti brand da
saturare la proposta di questi, devo identificare prima degli altri i bisogni e i desideri che non
hanno ancora avuto risposta, dove io posso essere più performante, se ci sono pochi o nessuno che
mi da concorrenza.
Concept che deriva dall’esplorazione del lifestyle, statement che va a dire cosa il costumer cerca, di
cosa ha bisogno. Cioè perché il consumer dovrebbe fidarsi dell’azienda ed essere guidato
dall’azienda all’interno di questa risposta.
Ci sono dopo l’insight, i point of different, cioè i motivi per acquistare, un motivo per scegliere
quella marca, prodotto, che permette all’azienda di differenziarsi dagli altri, possono essere di
attributi performanti, funzionali legati al prodotto e quelli legati all’immagine, che vanno a toccare
aspetti emotive e i point of parity, cioè gli elementi che non possiamo non avere per competere in
un certo mercato perché le hanno tutti.
3.11.21
BRAND POSITIONING
Il posizionamento della marca è il cuore del brand management. Il brand positioning ha come
obiettivo quello di identificare e prendere possesso di una forte ragione d’acquisto
(reason to buy) che dà al brand un vantaggio reale o percepito all’azienda. Il brand
management fornisce la motivazione d’acquisto al consumatore. Il positioning è orientato alla
competizione: specifica il miglior modo di attaccare le quote di mercato dei
comptitor. Può cambiare nel corso del tempo, può essere aggiornato in base ai trend di consumo,
in base alla società e ai consumatori, mentre la brand identity è più solida e duratura. Il
positioning risulta un concetto dinamico rispetto a quello di identità di marca. Molto spesso,
infatti, si parla di processi di riposizionamento dovuti a fattori esogeni quali cambiamenti socio-
culturali, nelle abitudini di consumo, nel macroambiente e nei comportamenti dei competitors. È
bene che l’azienda riveda il proprio posizionamento ogni 1/2 anni per verificarne l’efficacia.
Non esiste una formila specifica per definire il posizionamento ma alcuni elementi devono essere
presenti in tutti i concept, questi sono: definizione del mercato target di riferimento; nome del
prodotto/marca; categoria merceologica d’appartenenza; reason to buy del consumatore (in
termini di “beneficio di marca” o “promessa di marca”); reason to believe (la ragione per cui il
consumatore dovrebbe “credere” alla promessa dell’azienda). Una formula per definire il proprio
positioning può essere: “For … (definition of target market) Brand X is … (definition of
frame of reference and category) which provides the most … (promise or consumer
benefit) because of … (reason to believe)”.
Con il posizionamento l’azienda fa una proposta e aggiunge una promessa. Quest’ultima può essere
rafforzata da alcuni elementi collegati alla brand identity che sono: attributi di
differenziazione; un beneficio oggettivo;un beneficio soggettivo; aspetti della
personalità del brand; il regno dell’immaginario collettivo; riflettere un tipo di
consumatore e valori radicati nella marca.
Il brand positioning è un processo volto a costruire e monitorare le immagini, percezioni e
associazioni che il consumatore collega ad un prodotto. Esso si articola in 5 fasi:
1. Defining the target
2. Outlining competitors (individuare i competitori)
3. Consumer insight (individuare il bisogno latente da colmare)
4. Point of parity (POP): punti di parità concorrenziale
5. Point of difference (POD): elementi distintivi su cui si gioca la promessa di
marca.
Nella deifnizione del target bisgona rispondere principalmente alle seguenti domande: chi sono,
cosa pensano di se stessi, qual è il loro lifestyle, come si comportano
individualmente, in società e nei confronti del brand. Questo si può fare mediante una
serie di paramentri che identificano e caratterizzano il target. Oggi i parametri più importanti sono
quelli comportamentali in quanto per capire bene il consumatore, questo deve essere osservato nel
suo habitat naturale. Altri parametri da osservare riguardano le variabili etnografiche e
netnografiche, psico-grafiche e molte altre. È necessario, inoltre, seguire una targeting checklist
composta da:
- Identifiability: is it easy to identify?
Bisogna sempre chiedersi cosa renda il target distintivo, a chi ci si voglia rivolgere nello specifico. È
importante che il brand sappia con chi sta andando a comunicare. Essere troppo generali nella
produzione di messaggi è spesso un aspetto negativo perché questi non verranno particolarmente
ricordati.
- Size: is it big enough?
Bisogna comprendere se il target sia abbastanza grande per sostenere l’investimento economico.
- Accesibility: can we easy reach it?
La marca deve chiedersi come o tramite quali strumenti può accedere e comunicare con il proprio
target. È importante prima di tutto considerare quale sia il target di indirizzo e se il prodotto sia
effettivamente ad esso accessibile.
- Responsiveness: how will it respond to marketing programs (both general and
tailor-made)?
Bisogna immaginare come il target reagirà agli stimoli e alla comunicazione di marketing messa in
atto dall’azienda/brand. Molto spesso si tratta di azioni che non comportano una risposta
immediara dall’audience: molte campagne sono messe in atto per costruire il valore relazionale del
brand e quindi comportano continui investimenti sui valori profondi ed etici del brand. Il brand
manager deve avere un portafoglio di strumenti a disposizione, alcuni dei quali comportano
un’immediata risposta d’acquisto, altri invece aumentano la brand equity.
Per identificare i competitors in un settore si usano diversi parametri tra cui:
Quota di mercato: la percentuale delle vendite toali di un dato settore, riferita
alla singola azienda. Si tratta di un parametro che va preso in considerazione seguendo
tre possibili ragionamenti: 1. Saranno competitor le aziende nel settore che hanno una
quota mercato molto vicina alla mia; 2. Il leader di mercato rappresenta in qualsiasi caso un
competitor e una fonte di spunto; 3. in una logia dinamica, sono competitor quelle aziende
con una quota di mercato che cresce molto più rapidamente di quella delle altre aziende
operanti nel settore.
Posizionamento del brand: bisogna conoscere il concept, i touch point di riferimento
dei competitor, i testimonial che utilizzano.
Targetizzazione: a quale target indirizzano l’offerta i competitors.
Strategia di marketing: prendendo in considerazione le politiche di prezzo, prodotto,
distribuzione, comunicazione.
È necessario conoscere nel dettaglio tutte le caratteristiche dei propri competitors, al fine di non
commettere l’errore di proporre un servizio/prodotto simile o del tutto uguale.
L’azienda non può dare al consumatore il positioning senza prima informarsi sulle azioni attuate
dai player chiave identificati come competitor aziendali. Non possono essere ammessi overlap
perché ciò comporterebbe una perdita per chi arriva dopo. L’analisi competitiva del branding si
basa sull’individuazione dei key players: attori che operano nello stesso mercato
dell’azienda. Accanto a quest’analisi è necessario identificare i comparables, ovvero aziende
e brands che tipicamente non operano nel settore dell’azienda ma che hanno in
comune qualcosa che può essere fonte di ispirazione per l’azienda stessa. (es: per le
campagne di advertisement). Ciò è importante perché introducono il concetto di pensiero
laterale dove l’idea strategica non viene dal proprio settore, a meno che questo non sia
particolarmente innovativo. I comparables vanno ad incrementare un’analisi dei competitors.
Il consumer insight è un concetto “scritto dal consumatore” che esprime un suo bisogno ma
fatto dal brand che individua tale bisogno e scrive come se fosse il consumatore. La consumer
insight può essere definita come l’espressione di un desiderio/bisogno latente che non è
ancora stato soddisfatto da un’ampia offerta di mercato. In questo modo è possibile
raggiungere il consumatore in maniera efficace e portarlo alla fidelizzazione o acquisto del
prodotto. Individuare il consumer insight richiede capacità analitica e creatività. Si tratta del
punto di incontro tra gli interessi dei consumatori e le particolarità del brand. Il suo
scopo primario è quello di comprendere perché i consumatori abbiano interesse nel brand e quali
siano i mindset, il mood, le motivazioni, i desideri e le aspirazioni nascoste da cui scaturiscono le
loro azioni e la loro attitudine nei confronti del della marca. Questo è diventato molto importante
che è diventato anche un lavoro “Consumer Insight Manager”.
Il positioning si conclude con l’individuazione del point of difference (POD) e i point of
parity. Questi illustrano come il brand sia egualmente unico e simile ai competitor e come mai i
consumatori dovrebbero preferirlo, acquistarlo ed utilizzarlo.
I point of difference sono i punti di differenziazione competitiva detti anche reason to choose,
ovvero riguardano gli elementi del brand che si distinguono e su cui si punta a livello
comunicativo. Essi sono di due grandi categorie:
- Attribute-based (funzionali performative e attributive): ingredienti o materie
prime impiegate e performance.
- Image-based (affettive, esperienziali, intangibile): questi sono i preferiti dai
creativi pubblicitari e stanno in linea con il concetto di creatività. In questo mondo
rientrano, ad esempio, l’ironia, il sarcasmo, il mondo da sogno, il desiderio,
l’intrattenimento, il fun e la sensualità. Gli attributi giocati da questo tipo di point of
difference sono difficilmente imitabili, sono unici in quanto l’idea è talmente creativa che è
difficile da riproporre.
I point of parity rappresentano i punti di parità concorrenziale, ovvero rappresentano i must
have di una determinata categoria merceologica che tutte le aziende devono possedere per
competere in un determinato mercato. I minimi requirements sono importanti perché vengono
utilizzati per neutralizzare i point of difference dei competitors rendendoli point of
parity. Sono importante a livello di positioning perché possono essere utilizzati per neutralizzati
l’unicità dei competitors dal momento che vengono prodotti anche dall’azienda presa in
considerazione.
Il processo di posizionamento può essere rappresentato anche da una matrice, detta perceptual
mapping (mappa percettiva).
Point of parity, i punti che non puoi non avere per competere in un mercato, solo che, innanzi tutto
bisogna conoscerli, in quanto il minimo richiesto, ma interessano dal punto di vista competitivo,
vengono utilizzati per neutralizzare i point of difference dei competitori. I first mover vengono
subito raggiunti, neutralizzando il point of difference e rendendolo point of parity.
Il brand engagement è un recente concetto introdotto nella letteratura del marketing per
espandere l’ambito della relazione di marketing. Tale concetto è nato nel 2006 ed è diventato
l’obiettivo principale di tutte le marche.
Una volta terminato il processo di positioning, il brand deve entrare nell’ambito della
comunicazione. Il consumer brand engament è quella strategia comunicativa
propriamente volta a coinvolgere sotto tutti gli aspetti il consumatore della marca. I
touch point con cui si può comunicare sono molti. L’engagement è uno sforzo di comunicazione
che permette di distinguersi a livello comunicativo, attirando l’attenzione in un ambiente che è
saturo di messaggi (“clutter mediatico”). Per attirare l’attenzione bisogna avere una grande
capacità immaginativa e creatività. L’engament è quella capacità di creare un legame con
il consumatore che sia in grado di attirare la sua attenzione (aspetto cognitivo), di
suscitare una reazione emotiva
(ridere, piangere, commuovere =
aspetto emotivo) e di farlo attivare
(“brand activation”= aspetto
comportamentale) a fare a qualcosa
verso la marca.
L’engagement fa parte dell’ambito delle
CBR, ovvero del consumer-brand
relationship. Al giorno d’oggi costruire e
stimolare l’engagement risulta essere
l’obiettivo principale di tutti i brand che si
superano constantemente per riuscire a
comunicare con il consumatore.
L’engagment è un concetto
poliedrico e polivalente e
rappresenta una dimensione chiave
dei concetti di brand equity e di
consumer behaviuor.
Le leve dell’engagement (drivers) sono diverse, una molto importante è la prossimità fisica e
valoriale. Ciò significa che la marca sarà capace di suscitare l’engagement del consumatore
quanto più è in grado di andare vicino al consumatore sia da un punto di vista emotivo che fisico. Il
tema dell’esperienza nel punto vendita rientra in questa leva, si ha un’esplosione del concetto di
store e punto vendita dove il consumatore viene immerso nell’esperienza che non sempre significa
ascquisto. I flash mob sono uno strumento classico che sfrutta questo tipo di leva. La prossimità
valoriale si riferisce al trattare temi vicini al consumatore. Rientrano in questa leva il cultural
branding e l’attivismo di marca. Sul piano
fisico, la prossimità si raggiunge con il fatto che grazie alle nuove tecnologie, le
marche possono essere con noi dappertutto. È possibile, infatti, interagire con
queste attraverso i dispositivi digitali oltre che nel punto vendita. Oggi è sempre
più diffuso il concetto di blend tra esperienza fisica e virtuale. Sul piano
etico o valoriale, vengono sfruttati l’impegno e la fiducia nella marca da parte dei
consumatori. Consiste nel toccare temi che fanno sentire il brand esattamente in
sintonia con il mondo valoriale di riferimento del consumer.
Un’altra leva fondamentale è il protagonismo dato al
consumatore. Il consumatore diventa parte del messaggio. Il consumatore
diventa molto più pragmatico (è attento
all’ambito economico, è esperto e critica),
volubile/imprevedibile/incostante e cerca
principalmente il soddisfacimento edonistico
(l’estetica diventa perfomità, esclusività e limited
edition). Il consumatore, oggi, vuole sempre la
novità. L’azienda deve considerare il
consumatore come suo pari.
10.11.21
Consumer brand engagement
Il consumer brand engagement è uno stato cognitivo, emozionale e comportamentale, che crea un
legame importante per il consumatore da parte della marca. La logica principale sottesa oggi ad un
brand per quanto riguarda il consumer engagement. È un concetto olistico, non si traduce, e si
intende lo stato di attivazione che riguarda tre ambiti, un’attivazione mentale, emotiva e
comportamentale, vuol dire che una persona è ingaggiata quando cognitivamente si ricorda un
messaggio quanto attira l’attenzione.
La capacità di attirare l’attenzione è il primo elemento necessario, il farsi notare. È un tipo di
attivazione di tipo cognitivo. Non si esaurisce solo nella capacità di attirare l’attenzione, ma è
anche emotiva, suscitare una reazione di carattere affettivo, attraverso l’ironia, il romanticismo,
attraverso stilemi che parlano alla’’ pancia’’ del consumatore. L’engagement deve inoltre suscitare
un comportamento di attivazione del consumatore.
Nel codice promo di un influencer, per esempio, che è una call to action.
Consumer brand engagement, crea visibilità spontanea, con il passaparola, tu stai avendo un
comportamento che crea vantaggio al brand.
Non è altro che un legame, che acquisisce significato in un certo momento storico della marca, non
per sempre, ma può essere di lunga durata come effimero, anche se non vuol dire meno intenso.
Il brand deve continuare a promettere, continuare a fare engagement.
Porta equity, valore di marca, fedeltà, che le aziende vogliono.
Flashmob, tipo di engagement di touch point su tre leve, attira l’attenzione, effetto straniamento,
associato a delle performance, colgono di sorpresa, al di la di raggiungere le persone
nell’immediato, fa leva sulle persone che fanno da medium, protagonisti perché dato che si
emozionano condividono foto video e messaggi.
Quando scatta questo innesco tu sei già nella viralità, utilizzando i consumatori come mezzi.
Earned media, usi i consumatori che hai ingaggiando come Ambassador.
Parte da un touch point fisico ed ha una ricaduta digitale.
Ci sono poi altre leve dell’engagement, i driver, uno è quella della prossimità fisica, capace di
incontrare il consumatore dove più comodo. Vari modi di usare l’ambiente. Trattare temi vicino al
consumatore, per esempio l’0attivismo di marca sociopolitico.
Altro elemento fondamentale è quella di dare protagonismo al consumatore, renderlo parte del
messaggio, supercritici, cultura del referaggio. I brand sono più attenti su questo, consumatore più
responsabili, value for money. Sono sfuggenti difficili da raggiungere. Siamo nell’esclusività
ricercata, il consumatore vuole essere stupito.
Aspetto dell’innovation, sempre novità. Lanci e nuove release, di prodotto che hanno delle piccole
varianti che però si vendono come fondamentali, che ti fa sentire al passo con i tempi.
Guerriglia di marketing, operazioni mordi e fuggi, inaspettate, che hanno l’obiettivo di creare uno
stato di attivazione emotiva collettiva molto forte attraverso la viralità che viene suscitata, non c’è
una performance ma un critical instrument che crea straniamento.
Ultima leva è quella della capacità di integrare i touch point, anche quelli non convenzionali, ma
anche della comunicazione classica. Capacità di integrare la strategia social, con capacità di
sfruttare la viralità.
ES: Promotioning X-Factor touch point con tecnica “flash mob”: tipo di comunicazione che
agisce su tutte e tre le leve (cognitiva, emotiva e comportamentale). Si associa a performance
canore o di danza che colgono di sorpresa i passanti. Questo tipo di comunicazione fa leva sul fatto
che le persone spettatrici diventano protagonisti facendo fotografie e condividendole con gli amici
o sui social. Da questo momento il messaggio si espande per mezzo del consumatore (earned
media = mezzo di guadagno).
ES: Ferrari promotioning costruzione di un parco indoor a tema ed esperienziale ad Abu Dhabi.
ES: Coca Cola nell’epoca della presidenza Obama, Michelle Obama ha combattuto l’obesità sulla
popolazione umile e black community. Quindi, Coca Cola ha previsto possibili crisi e ha agito in
anticipo: Coca Cola ha lanciato un messaggio di “J’Accuse” iperbolico che portasse i consumatori a
non overbere il prodotto (campagna educational).
ES: Guerrilla Marketing operazioni veloci ed inaspettate che estraneano il nemico che creano
un’attivazione emotiva. Genertel Life Park: due brand di compagnie assicurative (Generali e Europ
Assistance) volevano aprire uno store che suscitasse visite per sottoscrivere polizze. L’insight
principale è che siccome vendono polizze assicurative hanno ragionato sul fatto che tutto può
accadere (“anything can happen”). La soluzione delle due compagnie fu quello di far emergere dal
nulla un sommergibile in Piazza Mercanti a Milano.
23.11.21
Oggi il consumatore è potente perché si aggrega, in massa, parliamo degli eventi, manifestazioni
nelle piazze, i grandi momenti di rivolta popolare. Oggi i tipi di aggregazioni online sono effimere,
mordi e fuggi, ma in costante creazione.
Non sono movimenti ideologici ma sono comunque movimenti di attivismo popolare. Il digitale ha
creato la capacità di creare e dissolvere community che si aggregano intorno a interessi
momentanei. Possono cavalcare l’onda. Il consumatore riesce ad avere la meglio, rispetto ai brand,
che vanno a elaborare dei tipi di messaggi immediate, real time marketing che entrano in modo
naturale nelle conversazioni che oggi aggregano, per creare più interesse mediatico.
Tutto il concetto di instant marketing va a capitalizzare sulle interazioni veloci.
Oggi la società è orientata a tipi di legami, di aspettative di reazione, vive molto nel momento, devi
essere rilevante e giusto ora, nel presente. Sono effimere per loro stessa natura, tendenzialmente
vanno negoziati giorno per giorno, ma molto intense.
Concetto di fedeltà, fondamentale nella dinamica delle persone, che ora è messo in difficoltà,
fedele perché la marca se lo conquisto ogni giorno.
Il consumatore è sovrano, e bisogna andare a influenzarlo ogni giorno, con idee innovative,
altrimenti perde valore.
Il ruolo attivo che i consumatori hanno preso prende il nome di ‘’prosumption’’, che include ogni
aspetto delle attività che riguardano almeno un grado di partecipazione e consumazione, c’è una
serie di termini che si usano quando ci si riferisce ai consumatori impegnati nelle attività di
produzione:
- Prosumer: producer + consumer
- Craft consumer: da “to craft” significa “creare”. Il consumatore oggi crea.
- Productive/working consumer: il consumatore che produce. Normalemente si fa
riferimento alla produzione di contenuti digitali. Oggi, gran parte della monetizzazione
legata alle aziende che operano nel settore dei consumi è legata alla creazione di contenuti
digitali che vengono fatti anche dai consumatori.
- Post consumer:
- Empowered consumer
- Proam: variante che significa Professional Amateur (food blogger o fashion blogger che
diventano poi imprenditori.
Earned guadagnati, quella copertura mediatiche che è gratuita perché l’azienda è stata brava a
cavalcare determinati temi in maniera creativa. Guadagnati, quella copertura mediatica che è
gratuita perché l’azienda è estata brava a cavalcare determinati temi in maniera creativa. Contenuti
che si vendono da soli e gli utenti stessi condividono siccome lo ritengono degno di nota, si fanno
amplificatori e Ambassador. Cassa di risonanza gratuita perché ha comunicato in un certo modo.
La capacità di maggior efficacia in termini di KPI, quanti post organici sono stati fatti da influencer
senza pagarli, citazioni…ci sono metriche di efficacia di comunicazione che paragono quanto un
pezzo di testo spontaneamente sarebbe costato se avessero dovuto comprare quei tipi di commenti
o acquistare lo spazio pubblicitario. Ovviamente ce un risparmio.
Owned media proprietari, sono le tue e le utilizzi, ma raggiungono poche persone, servono come
vetrina, si vede il portfolio prodotti.
Paid siti a pagamento o sponsorizzazione tramite influencer o advertising, sono i mezzi pagati.
Il mix di questi da idea dei touch point che oggi l’azienda ha a disposizione, quelli più efficaci sono
gli earned, più credibili perché spontanei e da altri, a costo zero. Vuol dire avere grande testa per il
marketing, un grande gruppo di marketing creator e copertura mediatica spontanea.
1.12.21
STRATEGIC MARKETING- OSPITE DI ROSSELLA
TrendHunting consiste nella ricerca e nel monitoraggio di quelli che sono il trend.
1. Natural observation del comportamento delle persone;
2. Lettura di megazines, libri, blog.
Il monitoraggio e la gestione del trend è importante per capire (1)a chi si parla (il target) (2)che
cosa comunicare (i contenuti e i messaggi) (3)e come comunicarlo (con quali mezzi). Questi tre
elementi possono impattare sulla strategia di comunicazione di un’impresa.
(1)
Un brand può impattare la definizione o ridifinizione di un target.
Active aging, l’invecchiamento attivo, la popolazione sta invecchiando, questa fascia particolare
di popolazione sono nuovi ‘’active agers’’ persone che per la loro età non sono poi così giovani, ma
anche non estremamente vecchi, perché attive. Scoprono nuovi hobby e si muovono, che imparano
cose nuove, non sono fermi in casa e hanno un potere d’acquisto molto alto, anche più delle altre
fasce della popolazione, c’è del potenziale della crescita di una marca proprio su quest’audience.
Nuova fascia da ricercare e su cui costruire messaggi diversi sa quelli già presenti per altre fasce di
comunicazione.
Essere tra i primi a riuscire a sfruttare un trend permette di essere all’avanguardia e costruire la
sua immagine di brand sempre sul pezzo rispetto a quello che succede nel contesto socioculturale
del momento.
(2)
Un trend può anche ridefinire il modo in cui comunichiamo a un determinato target. Ad esempio
abbiamo il fempowerment ovvero il movimento per raggiungere l’uguaglianza di genere e
l’empowerment, maggiore forza, autostima, consapevolezza, di tutte le donne e le ragazze, contro
ogni stereotipo e giudizio. Il trend nasce nel 2004 dopo il discorso alle Nazioni Unite di Emma
Watson.
In questo caso la figura della donna secondo diversi punti di vista, estetici ma anche valoriali, non
era più in linea con i desideri delle donne e probabilmente la rilevanza la rilevanza su questo
particolare target femminile oggi lo si costruisce veramente mediante messaggi di empowerment,
che invitano al rafforzamento dell’autostima. Under Armour è una case History di successo.
I trend possono cambiare il nostro target di riferimento, ampliarlo, migliorarlo, i trend cambiano il
modo di costruire messaggi, di entrare in empatia con il target di riferimento, di creare vera
rilevanza.
I trend possono cambiare il modo di entrare in relazione con la marca.
Uno dei trend che ha fatto la storia è il gaming: esso si preannuncia come la prossima frontiera per
la comunicazione delle marche, soprattutto sul target più giovane.
Altro trend recente è il Diversity and inclusion, il bisogno di rappresentare e celebrare ogni
sfumatura dell’essere umano, senza inutili censure, altra case history di L’Oreàl.
CULTURAL BRANDING
ES: Corona campagna in cui si riprende la campagna con cui Trump era stato eletto e viene
problematizzato con un punto di domanda. Il Brand Activism nasce negli Stati Uniti con l’elezione
di Trump.
Fenty Beauty brand activism for inclusivity (black beauty) campagna con Rhianna. Il primo
brand di cosmetica
Bumble (app social dating) brand activism for women empowerment. Ambassador: Serena
Williams. La donna non è l’oggetto. L’81% delle employee sono femmine all’interno dell’azienda.
Tutto ciò ha portato a una nuova faccettatura del panorama delle aziende. In particolare, il risvolto
più pragmatico del cultural branding ha delle cause economiche:
- Globalizzazione
- Intensa competizione e omogeneizzazione dell’offerta (me too products)
- Declino del concetto di “preferenza di marca”
- Focus a breve termine
Tutti questi fattori hanno determinato una crisi del concetto di posizionamento del prodotto. Le
aziende, dunque, vedono come sempre più fondamentale la prese di posizione su temi sociali e
politici, al fine di differenziare competitivamente non il singolo prodotto ma l’intera
organizzazione. Le marche e le aziende di successo sono quelle che si aderiscono alla cultura e alle
sottoculture dei nuclei di consumatori a cui si rivolgono.
Un’altra dimensione del culturale branding prende il nome di real time o instant marketing
che riprende tutte le iniziative di branding culturale che intercettano le community di persone e le
conversazioni. Si tratta di una tecnica opportunistica con cui i brand saltano dentro a un
“trend topic”, ovvero quelle iniziative che creano conversazioni monitorando
quotidianamente i social. Le marche cosi vanno a strutturare dei pezzi di contenuti social e li
vanno a postare qualche ora dopo rispetto a qualche evento chiave che ha determinato grande
aggregazione e conversazionalità. Il real time marketing si focalizza su trend attuali e non si basa
su strategie di marketing pianificate in anticipo. Il real time marketing gioca
sulla leva dell’ironia, diverte. L’attivismo in questo caso appare ogni tanto.
I fattori chiave dell’instant marketing sono riconducibili al fatto che il brand risponde ad un evento
culturale attuale ed esprima la sua opinione al fine di attirare awareness e considerazione, e in
aggiunta al fatto che vengano utilizzati dati attuali per comprendere lo stato di bisogno dei
consumatori e potervi rispondere tramite messaggi mirati.
ES: De Cecco nel primo lockdown, l’unico prodotto che rimaneva sugli scaffali erano le penne
lisce (“alle penne lisce scivola addosso anche il coronavirus”). Sulla base di ciò, De Cecco ha fatto
un post in cui scrive “non tutte le penne lisce sono uguali” e propone delle ricette. Così da far
parlare e far girare l’awerness nel mondo.
Taffo Funeral primo brand di pompe funebri a parlare in maniera ironica della morte. Quando
si inizia a parlare di Green Pass, Taffo Funeral ha pubblicato un post contro i no vax scrivendo
“possiamo essere gli unici a farvi entrare senza Green Pass”. In questo modo, il linguaggio crea
istantaneità e Heard Media. Si va a fare un cultural branding ludico e frivolo.
Al centro del concetto di cultural branding troviamo una sorta di value covenant,
ovvero un patto di valore che rappresenta una promessa bilaterale tra aziende e
consumatori: tra quello che l’una promette e gli altri si attendono. Questo significa
da parte dell’azienda, essere coerente con le promesse che fa e che dovrà mantenere.
È una disciplina particolare, non ci vuole uno background specifico, in quanto è una professione
molto vasta.
Primo elemento di crisi è quello del cambio di fiducia, variazione della fiducia che i consumatori
riconoscono alle aziende, anche agli enti governativi, situazione di diminuzione della fiducia
nell’ultimo anno e mezzo. Il consumatore è ancora più sciettico. Se il consumatore non ha più
fiducia, diventa ancora più difficile mantenere un legame e ingaggiarlo
Geopolitica
La comunicazione deve avvenire sempre secondo gli equilibri, i cambi al vertice, che avvengono nel
mondo, es Trump Biden. Ci si concentra non solo sulla nostras azienda ma nell’insieme.
La tecnologia
Ha scardinato tutte le certezze dei consumatori, prima era un sistema intermediato, si passava
attraverso un opinion leader, che adesso però affianca, l’informazione è completamente
disintermediata
Potere
Nel senso di uno shift tra le aziende e i consumatori, che sono diventati più potenti rispetto al
passato, abbiamo libertà di parola e possiamo intervenire, prima era più semplice, le aziende
riuscivano a schermare l’informazione anche interna.
Valori
Cambio di valori, tema della sostenibilità, inclusione, femminismo, la società si muove e la
comunicazione deve intercettare questi trend e collegarli. Bisogna essere up-to-date.
Comunicazione come leva aziendale
Le aziende devono essere in grado di cavalcare questi trend. La comunicazione, quale sesto
elemento, diventa leva strategica aziendale. Numerosi errori attuali nelle aziende nascono
proprio da un’errata valutazione di tale leva.
Dalla massa alle community:
In quest’immagine è possibile vedere i principali cambiamenti legati ai brands nel corso degli anni:
Nella prima sezione, si vede come il brand era concepito negli anni ’80. Esso comunicava
one to many (dall’emittente al ricevente). Non c’era possibilità di interagire, in
quanto la comunicazione era una via.
Nella seconda sezione, si parla di experience brand. Un brand che avvolge e che
coinvolge il consumatore (anni ’90 – 2000)
Nella terza sezione, si vede come con l’avvento delle piattaforme social, ci sia stata una
disintegrazione del pubblico. Le aziende, oggi, hanno difficoltà nel comprendere dove
sono i propri consumatori. Questa frammentazione è dovuta anche alla quantità di mezzi di
comunicazione di massa.
Da questi cambiamenti, oggi si ha una comunicazione a due vie: le aziende hanno sempre
considerato il consumatore come una parte rilevante della comunicazione, ma adesso il
consumatore è anche attore e autore collaborando con l’equity dell’azienda. Si parla di
co-creation. Sembra che il brand sia a metà strada tra il consumatore e l’azienda. Il
consumatore è multitasking, un’altra difficoltà per le relazioni pubbliche in quanto egli si
trova su molti più devices di un tempo (chatta, commenta e twitta).
Dalla comunicazione top-down (classica comunicazione unidirezionale da pubblicità) negli anni
2000 si è passati al concetto di brand experience: i brand cercano di trovare punti di
contatto con il proprio target per creare esperienze piacevoli che vengano ricordate).
Con la nascita dei social network è possibile interagire e trovare più punti in comune. Il brand deve
andare a cercare le community e il proprio pubblico, lo scenario è sempre più complesso, i canali
sono diversi e quindi lo sforzo fatto deve essere sempre maggiore. Per le aziende diventa
necessario essere costantemente aggiornati, conoscere il proprio target e parlare il suo stesso
linguaggio.
Il consumatore è al contempo:
1. Re (deve essere soddisfatto)
2. Attore (partecipa alla comunicazione)
3. Autore (co-creazione)
Il cambiamento nella comunicazione ha influenzato il nostro modo di agire e di fare business.
Tutto è cambiato con la comunicazione digitale e la disintermediazione che essa ha portato
riguardante principalmente la costruzione del consenso e dell’affidabilità. Nel mondo delle aziende
si parla di brand journalism le aziende comunicando con i propri interlocutori
utilizzeranno strutture professionali e daranno la sensazione di parlare
direttamente con il consumatore/cliente. In questo caso l’intermediazione non ritornerà in
modo evidente, ma come elemento sotteso. L’arma delle relazioni pubbliche, quindi, si caratterizza
da due pilastri importanti: la comunicazione con i giornalisti e la gestione dei rapporti
diretti con il proprio pubblico.
Il consumatore è anche multitasking, si trova su molti più device allo stesso tempo.
Le aziende si sono ritrovate a parlare al pubblico, che prima passavano dai giornalisti, l’anima
dell’attività delle PR ha due grandi pilastri la gestione dei rapporti con i giornalisti e quella con il
pubblico, attraverso i mezzi e gli influencer. L’azienda deve trovare la strada migliore, nulla è
lasciato al caso.
La comunicazione è un processo di business guidato dall’audience; tale processo riguarda le
strategie verso gli stakeholder, il contesto, i canali mediatici e i risultati dei programmi di
comunicazione del brand.
Non si può fare a meno di questo processo, non è un processo laterale ma fa parte ormai, la
comunicazione porta tutto all’esterno.
- Stakeholder
In primis i consumatori, seguiti da altri, diversificati. Per ogni gruppo di stakeholder viene messa
in atto una strategia comunicativa personalizzata.
- Contesto
Dove si muove l’azienda
- Canali mediatici
Quali sono i canali, in questo caso sia quelli intermediati che quelli non intermediati, attraverso cui
raggiungo il consumatore.
- Risultati
Essendo la comunicazione intangibile è difficile misurare i risultati. Però risulta importante
riconoscere quale sia il ROI.
Importante il ruolo delle risorse umane, in passato importanti ma non come oggi. Si ha
un’attenzione massima verso i dipendenti, primi ambassador, se sono contenti, fungono come il
principale biglietto da visita.
L’obiettivo è quello di stare bene il dipendente perché a sua volta porta una serie di vantaggi
intangibili.
Piano di comunicazione
Partendo dal target devo capire a chi sto parlando, chi sono le persone interessate al prodotto, il
nostro fare, se non sappiamo chi è il target non possiamo fare una comunicazione adeguata per
esso.
Swot analyisis, i punti di forza e debolezza rischi e opportunità, serve per settare il background
del territorio. Si mandano dei messaggi che servono per evidenziare le criticità da gestire. Analisi
di benchmark, con brand affidato, vedere cosa fanno i competitor, ma anche altri con possibili
punti di contatto che risultano interessanti, non necessariamente dello stesso settore, aiuta ad
avere altre idee e non essere ripetitivi.
Necessario fissare degli obiettivi.
È necessario realizzare una strategia coerente con target e obiettivi fissati.
Fissare dei budget, la comunicazione costa quindi bisogna avere fisso un target per avere un
progetto.
Controllo dei KPI(key performance indicator) i più comunic sono le visualizzazioni, i commenti,
l’engagement rate.
Le prime quattro rispetto alle ultime hanno in comune che hanno un intermediario, fanno una
proposta mentre le altre portano consenso. La vera grande differenza è che sono a pagamento.
Pagano per usare il filtro (che esiste sempre per arrivare al consumatore finale), per esempio il
computer, il televisore o il giornale, le relazioni esterne non pagano il filtro, per esempio
l’Amministratore Delegato fa un articolo sul giornale, l’azienda non paga il giornalista, che
pubblica l’articolo solo se rilevante.
Discriminante è il valore della notizia, più ha valore più ha spazio, pagano l’evento, ma non
direttamente il filtro.
L’azienda ha a disposizione quattro spazi, il proprio, dove scrive quello che vuole, i siti
condivisi, come i social dell’azienda, dove c’è una comunicazione a due vie, spazi a pagamento,
per i quali vige la pubblicità, la sponsorizzazione, spazi delle relazioni pubbliche sono quelli
conquistate, le ottengo in vario titolo e modo, se sono bravo.
Relazioni esterne
ER- external relation
Si dividono in:
- Relazioni istituzionali
Può essere a vario livello, provincia, regione, tutti le authority, con cui l’azienda ha rapporti
quotidiani, le ONG. Comunità lovali e i gruppi d’opinione, particolarmente importanti
Hanno il nome inglese di lobby e nascono tempo fa, si tratta del favoreggiamento, con attività di
pressione per un’azienda nei propri interessi, crea pressione sui governi affinché si prendano
determinate azioni. Tutte le imprese più importanti hanno un responsabile della lobby. Nel mondo
anglosassone sono molto più evidenti.
Il lobbista deve avere una grande credibilità
Fa un’analisi del macroambiente, dove si trova l’azienda a livello generale e le tendenze che le
circondano.
Successivamente si passa all’analisi del microambiente, quindi i competitor, e le mappe delle
influenze. Si tratta molto spesso di una persona con relazioni con il mondo politico.
- Pubbliche relazioni
Mercato nel senso più ampio.
Le relazioni con il pubblico interno sono per lo più fatte dalle risorse umani.
Hanno come finalità quella di creare sviluppare e gestire sistemi di relazioni con i pubblici
influenti e dei singoli o realtà organizzate.
Singoli se si tratta di politici e le realtà organizzate sono le imprese, tutto ciò che non fa capo al
lobbista e all’investor relator rientra nelle pubbliche relazioni.
Le aree di competenza si dividono nell’azienda, con le informazioni corporate, i brand, prodotto,
sponsorizzazioni, testimonials, eventi e storia aziendale.
Dall’altra parte l’informazione indipendente, con i giornalisti gli influencer e le internet
communities, le relazioni si trovano al centro.
L’obiettivo è prendere qualcosa di sconosciuto e renderlo conosciuto, dall’azienda verso l’esterno,
renderlo ‘’notiziabile’’.
Deve creare un interesse dall’apatia, all’interno delle comunità, sempre più frammentate
attraverso campagne delle relazioni pubbliche.
Deve creare accettazione all’interno del pubblico, facendo cadere i muri del pregiudizio.
Dove c’è ostilità, difficoltà, portare il proprio gruppo onboard, spiegandone le caratteristiche. In
alcuni casi è più facile, come food e sport, in altre più complicato.
Sono tutti quotati in borsa, con un investor, si sono strutturati tutti nello stesso modo.
All’interno di queste compagnie si possono trovare diverse società tutte specializzate nelle
discipline del marketing, in comune a tutte le big4.
I centri Media sono il braccio operativo dei network, che danno ai clienti le informazioni circa il
target e come deve essere realizzata la campagna.
La parte di data insight sono la rielaborazione dei dati, tutto viaggia intorno ai dati, chi fa
comunicazione deve avere i dati e delle società specializzate nelle analisi.
Public relations e affairs, fanno campagne di relazioni pubbliche.
Brand consulting, parte di design sono grafici che disegnano i loghi.
Production, la parte di produzione, più operativa, di produzione dello spot.
In relazione all’ambito sanitario ci sono delle norme e regole che bisogna seguire.
Non ci sono solo società internazionale, anche una serie di agenzie Italiane, ASSOREL.
Non hanno mediamente molte persone, poi si affidano alle agenzie esterne in outsourcing. Settore
piccolo. Associazione delle agenzie.
Ci sono le associazioni internazionali, ogni paese ha un’associazione di categoria che si
raggruppano poi in quelle internazionali. (ICCO)
Ci sono i giornali di settore, questi sconosciuti ai più, parlano delle campagne di pubblicità,
raccontano il settore.
Alcuni sono Spot and web, Ninja marketing, YouMark!
I media di settore all’estero sono le prweek, con parti a pagamento, Ad Age, e The Holmes Report,
provokemedia.
17.11.21
Presentazione Andreotti
Pencils, acronimo di KOTLER definizione degli elementi principali delle pubbliche relazioni
Ogni iniziale sta per una delle leve delle PR:
- Pubblicazioni
- Eventi, amplificatori della notizia
- News, relazioni pubbliche vivono di notizie, delle capacità di scovarle
- Community, con cui l’azienda parla attraverso i social
- Identity, parte di attività che identifica l’attività della marca, visiva, coordinare la
definizione dei loghi, per esempio, l’ufficio stampa è il deposito di tutti gli elementi, come
corpo, font, che fanno di un brand la forza.
- Lobbying, a braccetto con le relazioni pubbliche, il mondo delle istituzioni, la lobby è più
vicino alle PR piuttosto che alle ADV
- Social
Ufficiali
- comunicato stampa
È un testo sintetico che contiene le informazioni principali, utili a veicolare il messaggio aziendale,
il titolo deve contenere solo le informazioni principali, non deve essere uno slogan, le informazioni
principali devono essere incluse nelle prime 4-5 righe, la combinazione delle 5W dipende dal
‘’mood’’ del target e dall’effetto che si desidera generare. Virgolettato è la dichiarazione presente
sia nel comunicato che nella nota, che nella nota appare solo sostanzialmente.
- nota stampa
Più breve del comunicato, si usa molto spesso nell’ufficio stampa di battuta, perché ha
un’intrinseca caratteristica di velocità di diffusione.
- cartella stampa
È uno strumentato che serve per approfondire le informazioni sull’azienda, è flessibile ed
adattabile a diversi eventi aziendali, per esempio lancio di nuove collezioni.
- libro bianco
Riassunto di scenario su un tema specifico.
- studio scientifico
Contiene i risultati di una ricerca fatta da un’organizzazione pubblica o privata su uno specifico
tema scientifico.
- ricerca statistica
Permette di approfondire un tema attraverso opinioni e commenti.
- lettera a quotidiano
Lettera di smentita.
30.11.21 Andreotti
Reputazione
Si intende la percezione delle azioni passate e future di una azienda che ne determinano l’attività
generale negli occhi dei suoi interlocutori, a confronto con i principali concorrenti, non universale
ha tanti aspetti.
Tutto quello che fa un’azienda accresce ed aumenta la propria reputazione, manca uno scivolone
per creare problemi.
Questo determina l’attrattività generale, più è alta più c’è rispetto e trasporto, perché il
consumatore si fida.
Diverse reputazioni con quelle dei competitor.
La brand reputation non dipende solo dall’azienda, prima lo era, circa vent’anni fa, era più facile
gestirla. Con l’evoluzione tecnologica, la brand reputation è un processo collettivo, un co-creation
di tutti gli stakeholder, sia interni che esterni.
Con l’overload di informazioni l’azienda deve monitorare la propria reputazione, tenerla sotto
controllo, ci sono magari spesso delle conversazioni sottotraccia negative e che hanno impatti
negativi di cui l’impresa non è a conoscenza.
Un’azienda virtuosa sa gestire la propria reputazione. I responsabili della comunicazione
intercettano e controllano tutti i flussi.
Controllo, gestione e attività di costruzione sono i passaggi fondamentali per l’azienda.
Tre zone della comunicazione aziendale.
Zona 1. Comfort zone, l’azienda è protetta, nell’universo aziendale chiuso, dove si trovano i siti
corporate, i siti brand e i siti prodotto, dove l’azienda scrive ciò che vuole, senza interazioni o
attacchi.
Zona 2, universo aziendale aperto, in questo caso aperta al mondo esterno e agli interlocutori,
social media aziendali, il blog e le community
aziendali. L’azienda parla con altre persone, se ci
sono problemi tutti possono parlarne, situazione di
criticità.
Zona 3 dove l’azienda è fuori dal controllo social
media in generale, forum in generale siti esterni,
news, che formano la maggiore criticità.
Ogni strategia di comunicazione ha un obbiettivo
generale, quello di attirare l’attenzione, necessità di
attirare l’attenzione del consumatore attention
economy.
Siamo completamente subissati da messaggi di marketing, in maniera disordinata in diversi settori
e aree, sempre meno tempo dedicato dalle persone a fruire dei contenuti.
Il tasso di conversione, fatta la campagna, quanto ho venduto e in cosa si è tradotta la mia attività.
Gli ordini, concetto commerciale, quanti ordini ha dai propri clienti, se non c’è strategia o ordine,
c’è la necessità di migliori risultati.
Gli strumenti
I dati, bisogna studiare dal punto di vista sociodemografico, interessi, abitudini, focus group,
bisogna partire dall’insight; la tecnologia, piattaforme device e tracking; la creatività, cioè
messaggi, i formati e i linguaggi, per attirare l’attenzione.
Bisogna essere time effective, il concetto di time to market, il tempo che l’azienda ci mette ad
arrivare sul mercato, più è lenta più rimane dietro ai competitors. Bisogna cavalcare i trend.
C’è bisogno di essere rilevanti, il trend deve essere utilizzato.
Spazio
Lo spettro di attività online che le aziende scelgono di realizzare per posizionarsi sul mercato è
diventato negli anni sempre più ampio.
Dipende molto dagli investimenti e dai soldi che ha a disposizione e dal tipo di azienda e dal
settore della sua attività.
Adv, Content marketing, Branded content, non classico di tipo spot, anche se forma a pagamento
ma molto meno costosa, ibrido tra relazioni pubbliche (storytelling) e pubblicità.
Digital PR, influencer marketing Social media, sono una via di mezzo, grande componente di story
telling.
SEO&SEM attività puramente tecnica di gestione della reputazione.
Influencer marketing da circa il 2018 c’è stato il boom, ora è una parte fondamentale di tutte
le strategie di comunicazione, non sempre l’azienda è preparata a farlo e spesso si affida ad agenzie
esterne, si dividono in 4 aree, i vip, le persone note al di fuori o che hanno fatto della rete il loro
successo; i vertical, dedicati ad un settore, ambito, in maniera molto connotata; le communities,
che gestiscono communities più ampie; micro-influencer, quelli di nicchia. Sono abbastanza
distribuiti fra loro.
Influencer digitale, virtuale, in realtà non esistono, sono avatar. L’influencer in house, sono i
dipendenti aziendali che diventano influencer e raccontano i brand, trend che unisce influencer
marketing e comunicazione interna.
Il problema delle aziende è che si devono affidare a delle agenzie specifiche, innanzitutto per la
fanbase, che deve essere un target specializzato e vero. In più cosa dire, quanti post fare, avere
un’agenzia aiuta proprio per avere una comunicazione giornaliera.
I criteri
Quello che dice l’influencer, deve essere
in linea con l’azienda, avere
sovrapposizione tra quello che dice il
brand e l’influencer. I followers devono
essere vicini al target da raggiungere,
anche se in termini valoriali è vicino,
bisogna scartare chi ha followers distanti
dal target. TOV (tone of voice) deve
usare lo stesso della comunicazione
aziendale. Insight e influence score,
capire che tipo di influenza può avere l’influencer e che impatto sul target. Content strategy, quello
che gli faccio fare o dire, come promuove il mio brand. Credibilità e professionalità, fake e chi
vuole truffare da evitare. Fit con il progetto e con quello che voglio dire, oltre al livello di
esposizione che voglio raggiungere.
Aree di criticità
Quello che può andare storto sono la misurazione del KPI, si rischia di non avere una strategia,
non c’è fiducia nell’influencer marketing, linguaggio molto giovane che quindi non ispirano le
aziende. Poca disponibilità dell’influencer e
quelli non idonei, perché si sbagli il criterio di
scelta
Gli obiettivi
Awarness, se lancio un nuovo prodotto devo fare
diventare noto il brand, grandi numeri (VIP e
celebrities)
Consideration, fiducia, prendo in considerazione
i consigli, (Mid-Tier Influencer)
Conversion, (Micro-Influencer) scatta l’acquisto
perché ambito più famigliare.
I messaggi che vengono recepiti sono pochi,
quasi 1 su 2.
Branded Content Viene arricchito di contenuti esterni, non parla da solo, non è la marca che
lo dice, ma il contenuto veicola il brand e lo fa arrivare ai consumatori.
Al contrario del Content Marketing, meo costoso e più approcciabile dalle aziende.
Il marketing vive di attività ‘’hard’’ nel senso pubblicità, televendite, che spinge all’acquisto, meno
della comunicazione e delle PR, il content marketing viaggia con i contenuti, non si parla del
prodotto ma di un mondo che il brand ci fa sognare, esempio di redbull.
Differenza: content marketing brand parla direttamente, branded content il contenuto veicola il
brand, lo percepisci ma non è quello l’obiettivo.
Social media Tutte le aziende sono sui canali social. Ancora ora non hanno capito cosa fare,
usano i social come catalogo di prodotti. Gli account sono spesso inutilizzati, molti social sono più
in disuso, perché datati, ora si usano social più recenti.
Primato, Italia più social di Europa in percentuale.
Ora come ora mobile va di più.
Focus importante sulle Stories, evoluzione poi con reels, anche i social cambiano e bisogna fare
una formazione ongoing, le piattaforme hanno interesse a proporre nuovi prodotti e servizi,
bisogna saperli usare.
2.11.21
LO STRATEGIC PLANNER - OSPITE DI ROSSELLA
Strategist planner:
Esistono diversi nomi con i quali ci si può riferire al concetto unico di strategic planner: strategist,
planner o strategic planner.
Il planner è il membro dell’agenzia che si occupa di elaborare grandi quantità di informazioni, di
sistematizzarle e riunirle insieme al fine di risolvere il problema di marketing o di comunicazione
presentato dal cliente.
È l’esperto di brand, mercato e competition che ha a che fare con un’enorme quantità di
informazioni che è in grado di strutturare queste in un pensiero.
Uno dei principali obiettivo del planner è quello di interpretare e capire gli obiettivi che il cliente si
è posto e trasformarli in quelli che dovranno poi essere gli obiettivi di comunicazione. Il planner si
occupa di comprendere come passare da un business problem ad un communication objective.
Egli svolge un ruolo di “collante” all’interno dell’agenzia: deve saper mettere d’accordo ed ascoltare
le esigenze di tutti, ossia dell’account, dei creativi e del cliente. Lo strategist deve possedere sia doti
creative che una forte razionalità, al fine di risultare credibile agli occhi dei clienti ma anche di
comprendere le esigenze dei creative.
In sintesi, si può dire che le skills essenziali che uno strategist deve possedere sono:
1. capacità analitica (analytical mind)
2. capacità di elaborazione in sintesi
3. cultura
4. capacità di presentazione ed esposizione
5. diplomazia e capacità di ascolto
6. curiosità e interesse
7. capacità di ispirare gli altri (il creative brief deve essere prima di tutto
inspiring).
La task principale di un planner risulta quella di sviluppare strategie di marca e di
comunicazione che abbiano l’obiettivo specifico di risolvere un problema.
All’interno di un’agenzia creativa troviamo diverse tipologie di strategist:
- brand strategist
- data strategist: si occupa della ricerca e raccolta dati
- communication strategist: ha il compito di dare vita all’idea comunicativa all’interno dei
diversi canali di comunicazione.
- digital strategist: gestisce i vari canali digitali
- social media strategist: gestisce le strategie e i canali social
Tutti i planner fanno capo al brand strategist, il quale ha la responsabilità dell’immagine della
marca nella sua interezza.
Creative brief
Il creative brief è uno strumento fondamentale per la rielaborazione a livello strategico per
risolvere i problemi di marca. I creativi, in questo modo, vengono guidati nello sviluppo dell’idea.
È uno strumento di sintesi che deve informare ma soprattutto inspirare. Solitamente si
compone di una pagina che serve da mappa che guida il team creativo. Senza il creative brief,
tempo e sforzo saranno necessari in enorme quantità.
Il creative brief, nella sua semplicità, è molto difficile da redigere. Deve sintetizzare in modo
chiaro gli obiettivi di una campagna pubblicitaria. Questo perché il cliente apporta molti
messaggi all’agenzia creativa. La stiuazione standard che si verifica è che il cliente non ha molto
chiaro il messaggio della campagna o il target prioritario.
Esso si inserisce all’interno di un processo che segue i seguenti passi:
1. il team creativo presenzia alla
riunione di client brief e
raccoglie le informazioni
necessarie.
2. In agenzia viene fatta la
situational analysis e vengono
raccolti i dati necessari.
3. Durante una riunione che
comprende planner, account e creativi, si rielaborano tutte le informazioni all’interno di un
documento ufficiale che prende il nome di creative brief.
4. Inizia il processo creativo, vengono fatte una serie di altre riunioni interne e infine il team
ritorna dal cliente per la presentazione del documento.
Il creative brief è sia uno strumento, ossia il punto di partenza per l’intero processo di creazione di
un campagna, che un momento ovvero una riunione durante la quale il planner e l’account
spiegano ai creativi il documento stesso.
Spesso i creative brief non sono solo documenti scritti ma vengono dati anche stimoli attraverso
immagini e altri contenuti visuali. È, inoltre, uno strumento sintetico. Saper sintetizzare,
sacrificare e distillare alcune informazioni è fondamentale per redigere un documento adeguato.
La comunicazione pubblicitaria è fatta infatti di sintesi, in modo da trasmettere un messaggio
chiave, “single-minded” al consumatore.
Gli elementi chiave del creative brief sono: request, target, competition, problem, insight,
proposition, KPI, touchpoint, executional info, deliverables (in cosa la campagna prende
vita), budget e timing.
- Request: si sintetizza quelle che sono le richieste del cliente. È una descrizione coincisa
della richiesta formulata dal cliente nel Client Brief. Qualche volta, questa richiesta non è
cosi chiara in tutte le sue parti. La sezione request è importante perché comunque offre un
minimo punto di partenza per il lavoro dell’agenzia creativa.
- Target: il planner prende le decisioni importanti che possono determinare lo sviluppo della
campagna definendo il conceptual target primario. In questa sezione si descrive la
persona che i creativi devono avere in mente nello sviluppo della campagna pubblicitaria: è
la persona a cui si sta parlando e che è interessata alla proposta. Di solito, ci si
immagina una persona che si conosce oppure si crea un personaggio immaginario. Per
ispirare i creativi si vanno ad indagare i comportamenti dei consumatori e le loro abitudini.
- Competition: si descrive e analizza quali sono i category drivers del mercato e
dell’industry del brand. Quest’analisi è fondamentale perché permette di individuare degli
empty spaces ovvero le opportunità che si possono sfruttare sia da un punto di vista
comunicazionale o luoghi dove la merca si può posizionare. La descrizione in questo caso
non deve riguardare solo la “narrow category” ovvero la categoria a cui appartenogno i
prodotti che si vogliono proporre sul mercato ma deve tenere conto anche di “enlarged
category” che include prodotti anche di diversa categoria.
- Problem: una campagna di comunicazione rappresenta una soluzione a un problema di
comunicazione che si riesce ad individuare di una certa marca. Il problema di comunicazione
non riguarda il business o il marketing. Molte volte la comunicazione può essere una leva per
risolvere problemi di business e di marketing. Cercare un problema su cui costruire il
creative brief per un planner è molto difficile. Il modo in cui si scrive un problema è
fondamentale: si parte dal problem statement (identificazione del problema), how to
question (come risolvere il problema) e il why.
- Insight: deve rispondere al problema rilevato ed essere rilevante per il target. Esistono
diverse definizioni di insight: una verità largamente condivisa che sblocca la creatività;
una scoperta che racconta le motivazioni che sottostanno ad un’azione umana;
un’osservazione penetrante di un comportamento umano che offre una prospettiva nuova
del consumatore; a new way of viewing the world . Il più delle volte l’insight si riferisce al
consumatore ma soprattutto riesce a collegare il consumatore con il brand o problem da
risolvere. Trovare un insight è ancora più difficile: non deve essere banale e per definirlo
bisogna guardare il mondo in modo diverso. L’insight è una frase, non è un dato, non
è una semplice osservazione e non è lo statement di un bisogno. Si tratta della
capacità di penetrare una verità nascosta, liberando il pensiero creativo. È il
legame tra consumatore, brand e problema da risolvere che produce un lavoro efficiente.
È importante che l’insight non corrisponda a un’ovvietà: l’insight non è un semplice insieme di
dati, esso deve rappresentare qualcosa di nuovo. Non è nemmeno una pura osservazione, un
desiderio o l’espressione di un bisogno. È compito del planner scrivere un insight sfruttanfo anche
le proprie intuizioni.
Dati, osservazioni, bisogni e desideri sono il risultato di una semplice osservazione, l’undestanding
e il meaning di questi portono alla definizione dell’insight, ovvero il deep understanding dei fatti
che conferisce un significato a questi ultimi.
TRENDHUNTING:
Il trendhunting è la ricerca e monitoraggio dei trend. Quest’attività è importante perché
permette la definizione della strategia di comunicazione. In particolare, è importante sulla
definizione di tre livelli:
1. Target (a chi parlare): i trend possono ri-definire il target di riferimento, ampliarlo e
restringerlo.
Oggi si assiste a un active aging (un invecchiamento attivo). Gli active agers sono per la loro età
non troppo giovani ma neanche troppo vecchi. Sono persone che viaggiano e che riscoprono nuovi
hobby. È una fascia di popolazione che nel territorio italiano ha un potere d’acquisto molto alto,
pertanto diventa una potenziale audience per i brand.
2. Contenuti o messaggi (che cosa comunicare): un trend può ridefinire il modo in cui
comunica al target dal punto di vista della composizione e costruzione del messaggio
entrando in empatia con il target e cercando di creare rilevanza. Ad esempio, Under armour
ha riposizionato il trend sulla leva femminile (female empowerment)
3. Con quale mezzo (come comunicare): come un trend può impattare il modo con cui si
veicola il messaggio al target. Si rientra nella sfera delle competenze media. ES: Smart
Speaker (assistenti vocali) sono sempre più presenti nelle case e possono diventare un
nuovo mezzo di comunicazione. I trend possono cambiare il modo di entrare in relazione
con la marca, introdurre nuovi touchpoint, nuovi strumenti e nuove modalità.
15.12.21
Appannaggio del mondo delle relazioni pubbliche, ci sono delle attività che società tentano di
accaparrarsi, sia in agenzie di PR che di pubblicità, la gestione dei rapporti con i giornalisti e crisis
communication sono solo in mano alle aziende pubblico perché richiedono delle expertise molto
particolari che possiede solo il PR.
Reputazione
Valore difficile da costruire, ma facile da perdere, è importante che l’azienda protegga la sua
reputazione.
La corporate reputation protegge il patrimonio di una società, svolge un ruolo sempre più
importante per gli investitori, e rafforza la fiducia dei consumatori nei prodotti e servizi
dell’azienda. La corporate reputation protegge il patrimonio della società, asset intangibile che si
deve proteggere, viene tradotto in una serie di item e sfaccettature che hanno un valore economico
e impatto importante sull’azienda. la reputazione attrae talenti migliori. L’azienda con la
reputazione migliore, con il maggior rispetto, può permettersi di scegliere tra i migliori. La
reputazione ha impatto molto positivo sulle vendite, le persone sono acquistate ad acquistare
prodotti di aziende con reputazione solida, oltre ai buoni prodotti, bisogna lavorare su questo
aspetto in quanto driver importante. Ai prodotti si da fiducia, ci si affida ad aziende con
reputazione elevata.
Premium pricing e consumatori fedeli
Non solo più vendite ma anche possibilità di chiedere un prezzo più alto, un’azienda su tutte è la
Apple.
È inglobato nella reputazione un aumento del prezzo, il consumatore ‘’premia’’ il marchio con un
prezzo maggiore in base alla buona reputazione. Ciò vuol dire anche un insieme di consumatori
fedeli, che si affidano ad un’azienda, i suoi ‘’love marks’’, sono meccanismi di acquisto non sempre
consapevoli, fidelizzare il consumatore fino a portarlo ad essere un ambassador della marca.
Valore economico importante perché consente di entrare in contatto con capitale di investimento a
minor costo. Possono accedere a costo capitale maggiore attraverso gli istituti di credito con
interessi minori rispetto ai competitors.
Questo si traduce nel lungo periodo in un vantaggio competitivo.
Tutto questo si traduce in profitti più alti. Alla lunga diventa quindi tangibile, in pase a tutti i
vantaggi del valore economico.
Risvolti economici importanti, la comunicazione deve apprezzata per difenderla, non bisogna farsi
trovare impreparati, perché altrimenti la reputazione crolla e si porta dietro tutti questi effetti che
diventano negativi.
Ci sono diversi fattori critici che influenzano la reputazione, uno tra questi è la globalizzazione,
anche questo aspetto è importante perché non ci si misura più all’interno di un mercato domestico
ma bisogna fare attenzione a culture diverse dalla nostra.
Altro fattore critico è l’era della ‘’crisi economica permanente’’ non solo con la pandemia, ma anche
prima dell’avvento del Covid19 e la situazione di emergenza, c’era questo concetto. Da un po’ di
anni si sono susseguiti una serie di crisi e scossoni che riguardavano sia il settore finanziario, di
debito pubblico, problemi di mercato, non si può dire che sia un momento facile per l’economia, le
aziende sono sotto pressione, che devono avere saldo comunque positivo.
Altri fattori sono una società maggiormente legata da valori, competente, meno deferente. Sono
sempre più coscienti, e guardano molto agli argomenti con prese di coscienza e di consapevolezza
che premono le aziende, chi non lo fa si trova ad avere problemi di reputazione. Altro fattore è
l’incremento della complessità di business e di regolamentazione. Regole nuove introdotte in ogni
momento che vanno a modificare il comportamento sia interno che esterno alle aziende, con una
complessità sempre più ampia. Migliori sono quelle che hanno interesse nel capitale umano, che
acquistano vantaggio competitivo per questo. Importante è l’impatto delle piattaforme social, di
scambio e condivisione. Fare impresa oggi è tutt’altro che semplice.
C’è sempre di più la ‘’search and peer review’’ le aziende devono gestire le revisioni e i commenti da
parte dei propri commenti, ambito sempre più aperto che ha questo concetto di ‘’navigare’’ in mare
tormentato dove tutti possono avere un’opinione ed esprimerla, molto facile da condividere,
difficoltà alta nella gestione.
Crisis or issue
Crisis è una situazione più complessa, elemento fondamentale è la prevedibilità o meno.
La situazione di crisis colpisce in maniera imprevista nell’attività di impresa.
Nel caso della issue l’azienda lo sa.
Da un punto di vista della comunicazione della gestione essere a conoscenza del problema, dal
momento che l’issue accadrà sicuramente, al contrario della crisis che potrebbe non accadere.
Essendo consapevole della presenza dell’issue, potrebbe essere per esempio la gestione di
licenziamenti. Si potranno attutire i colpi sulla reputazione e gli effetti negativi da questo
fenomeno, dato che crea sempre una situazione di disagio.
Esistono tutta una serie di tattiche sul quale preparare un piano di comunicazione a doc.
La crisis colpisce in maniera imprevedibile, anche se aziende più preparate sono in grado di
prepararsi e mappare le criticità.
Tipologie di crisi
- Prodotti difettosi
Recall di prodotti, attraverso la comunicazione si richiamano i prodotti in quanto difettosi. Il
prodotto non risponde per esempio a determinate norme di sicurezza. Essendo l’output principale
dell’azienda, comporta una crepa importante nel rapporto tra azienda e consumatore, con un
impatto importante sul brand.
- Condotta non etica del management
Ci tocca meno in quanto si conosce meno, colpisce la reputazione in maniera forte ma con altri
stakeholder, meno con i consumatori, più interessati ai prodotti finali. Ma sicuramente va a
toccare il mondo delle istituzioni e della finanza.
Al consumatore finale arriva meno questo aspetto della crisi che interessa invece molto l’ambito
finanziario e bancario
- Informazioni false
Fornire informazioni non vere sulla propria istituzione
- Data security
Con il fatto che i dipendenti si colleghino da dove non c’è un sistema di sicurezza adeguata, rete
informatica sconosciuta dai fruitori.
Dalla piccola crisi più banale di studenti che quelle di vaccini della lezione Lazio per esempio.
Per le aziende è un argomento molto aperto, soprattutto per quelle finanziarie.
- Corruzione, Evasione fiscale
Etica non corretta, ora spesso ci si scontra con situazioni di evasione fiscale più che con corruzione.
Aspetti che vanno sulla condotta etica sulle persone
- Inquinamento o disastri ambientali e incidenti
Esempio è la Costa Crociere, Tissan.
- Sfruttamento, discriminazione, mobbyng, politiche di genere
I brand non vogliono farsi trovare impreparati e devono assicurare ai fornitori e ai clienti di tenere
comportamenti etici. Attente alle condizioni di lavoro della manodopera.
Discriminazione tra livelli retributivi o situazioni di mobbying devono essere evitate. Le aziende
possono essere giornalmente sottoposte a situazioni di stress, sia interne con politiche di
personale, che esterne con i propri fornitori e stabilimenti.
Le crisi si propagano in maniera velocissima, presente dopo sei ore su news e mainstream, in
tempo reale, su BBC, Rai, o twitter ma anche sullo sharing, su social, dopo 12 ore, e editorial,
giornali, dopo 18.
Le aziende non sono preparate nell’epoca digitale alla gestione di crisi, in 4 casi su 10 la crisi è una
completa sorpresa, non c’è la cultura della gestione in anticipo della crisi, ignorano la presenza di
possibili elementi critici. In media le aziende impiegano 21 ore prima di diffondere una
comunicazione esterna significativa e più di 48 ore in un quinto dei casi di incidente.
A livello organizzativo, e con lo stato di assedio, se non c’è una leadership diventa difficile prendere
posizione e le imprese impiegano troppo, mentre il flusso comunicativo è più veloce.
5 aziende su 10 non hanno un piano di comunicazione in caso di crisi.
Le aziende più strutturate fanno una mappatura delle criticità.
Partono dal settore di appartenenza, a seconda della tipologia dell’azienda, della tracciabilità delle
materie prime e dei dipendenti, dei fornitori, che seguano comportamenti etici non inquinanti. In
base a queste analisi possono creare un piano di comunicazione di crisi, un manuale con delle issue
con livelli di rischio, con bozze di comunicati stampa approvati dal top manager, un buon ufficio
stampa poi si occupa anche di aggiornarli in maniera più o meno frequente, questo perché se
succede, più delle volte previsto ma anche prevedibile, il comunicato è pronto e si riducono i tempi
di reazione. Se l’azienda non parla ma tutti gli altri attori coinvolti parlano, la comunicazione va
vanti senza che l’azienda abbia degli spazi, la cosa peggiore è intervenire con una dichiarazione
sbagliata.
Solo la metà delle aziende ha il materiale per la comunicazione già pronto e solo 1 su 5 h eseguito
un esercizio di simulazione.
Con la situazione di crisi si può prendere il top manager i vari direttori del personale, dei sistemi
informatici, degli stabilimenti ecc. e si fanno delle simulazioni per capire come sarebbero in grado
di reagire ad una situazione critica.
Esempio di recall di prodotto Spinaci Bonduelle ritiro lotti, nonostante alla fine non fossero
difettati.
Nissan Renault per il comportamento del manager, arrestato per falso.
McDonald fa causa al proprio ex CEO per relazione con dipendente.