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Dispensa di Comunicazione Sociale

Corso di Laboratorio di Comunicazione Pubblica


Prof. Maurizio Trezzi
a.a 2022/23

Il contenuto di questo file è rivolto esclusivamente agli studenti del corso di Laboratorio di
Comunicazione Pubblica dell’Università Iulm di Milano e non è riproducibile, divulgabile e non può
essere diffuso senza il consenso dell’autore in nessuna forma cartacea o digitale.

1. La comunicazione sociale
Il termine comunicazione si riferisce a un processo biunivoco di scambio di
informazioni e contenuti e prevede la costruzione di un processo organizzato
attraverso cui - tramite una condivisione di idee, valori e tesi - si produce
conoscenza, consapevolezza e confronto su un determinato tema.
Oggi viviamo immersi in un mondo dove le piste comunicative si sono sviluppate
all’ennesima potenza e pervadono l’intera esistenza, la modellano, la condizionano.
Attraverso la comunicazione si costruisce l’universo di relazioni di ogni singolo
individuo e si plasmano i mondi e il reticolo su cui si costruiscono le esperienze
personali.
Argomento di questo Laboratorio è la comunicazione sociale. Secondo Ricciardi la
comunicazione sociale è un: "indicatore di evoluzione della società”.
Il termine sociale deriva dal latino “socius” - compagno, alleato - a sua volta
derivato dal sanscrito: “chi accompagna”. Pertanto il termine implica un percorso
condiviso, il vivere in una comunità fatta di soggetti affini e di relazioni con gli altri.
La società è dunque basata su un sistema di relazioni, che rappresentano il tessuto
connettivo della collettività. Il termine sociale deve quindi essere inteso come
ambito delle relazioni tra i soggetti della comunità.
Il comunicatore è quindi un interprete di questo sistema di relazioni, che analizza,
comprende e su cui interviene e da cui trae spunto per le proprie attività e azioni.
Risulta pertanto decisivo, per la buona riuscita di un’attività di comunicazione riferita
alla società, comprenderne i meccanismi e i fondamenti, saperne interpretare i
cambiamenti e le tendenze, riuscire ad anticiparne gli andamenti e le modificazioni
per poter essere pronti a confrontarsi con la società del domani.

Negli ultimi 150 anni la società moderna ha vissuto cambiamenti epocali, posti in
essere rispetto al passato, con una velocità e con dei tempi rapidissimi rispetto al
passato e alla storia dell’uomo. Il 900 è stato il secolo dello stato centralista, della
grande impresa (fordismo), sviluppatosi e consolidatosi a seguito della rivoluzione
industriale, delle organizzazioni fortemente rappresentative. Un contesto che ha
vissuto una progressiva accelerazione, dopo la due guerre e le crisi economiche che
ne hanno determinato l’insorgere, nella fase post bellica quella del boom
economico, dell’affermazione del modello capitalistico in occidente e della dittatura
del proletariato nelle zone di influenza sovietica di quelli che sono stati poi i
prodromi della globalizzazione. Un fenomeno, quest’ultimo, rilevante non solo sotto
il profilo economico, finanziario e geopolitico. Anche la sfera delle socialità e delle
relazioni fra individui e Stati si è modificata, a causa, certamente nel mondo

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cosiddetto occidentale, del progressivo impoverimento del modello industriale e
dello sviluppo della digitalizzazione e del web. Questo fenomeno ha portato a
un’espansione individualistica del modello relazionale e a una trasformazione della
società da verticale a orizzontale.
I grandi soggetti protagonisti della comunicazione hanno quindi perso il loro dominio
e sono oggi affiancati da imprese, istituzioni e organizzazioni, di dimensioni ridotte
ma ugualmente fortemente rappresentative, con una moltiplicazione degli snodi
della comunicazione e un allargamento degli ambiti di responsabilità e di riferimento
dei singoli cittadini.
Questo cambiamento rende, da un lato, molto più democratici i processi di
comunicazione. Dall’altro li complica e rende più complicato il lavoro del
comunicatori chiamati a indirizzare i propri messaggi a un serie, quasi infinita, di
nodi da cui, attraverso una vera e propria rete (non solo digitale) i messaggi e le
interconnessioni si ramificano e si diffondono.
Per questi motivi la comunicazione sociale è una disciplina complessa, a volte ostica,
perché di difficile inquadramento e confinamento ma pur sempre strategica perché
elemento fondamentale nelle civiltà complesse del terzo millennio.

Afferisce agli elementi costituenti il sistema della comunità nella sua complessità e
deve saper intervenire sulle sue caratteristiche attuali ed evolutive. E’ inserita
all’interno del perimetro più vasto della comunicazione pubblica, di cui è parte
costituente insieme alla comunicazione istituzionale e a quella politica. Soggetto e
target sono gli individui, in quanto cittadini, che vivono in un determinato contesto e
che insieme costituiscono la polis, la comunità.

L’obiettivo della comunicazione sociale è promuovere diritti e buone pratiche per


l’affermazione dei diritti, della giustizia e della solidarietà.
Intende determinare nel pubblico cambiamenti che riguardano elementi centrali
dell’essere attraverso:
 Conoscenza: più informazione e consapevolezza permettono di scegliere e
decidere
 Azioni temporanee: indurre a fare qualcosa (donazioni, partecipazione)
 Comportamento: modifica aspetti del fare (come per gli abusi in genere)
 Valori: indurre modifiche in opinioni e posizioni diffuse (come per i pregiudizi
razziali)

Al contrario di quello che ci si può comunemente attendere quindi la comunicazione


sociale abbraccia i molteplici ambiti e aspetti della società, le sue dinamiche, i
rapporti fra i vari elementi che la compongono e le espressioni di soggetti, volontà e
culture.
Occorre superare il preconcetto e lo stereotipo per cui si considera la comunicazione
sociale come esclusiva attività di comunicazione del disagio, della sofferenza, dei
bisogni o della protesta. Questa è solo una parte dell’ambito ben più vasto e
complesso, all’interno del quale la comunicazione sociale agisce.

La comunicazione sociale porta con sé un'idea e una volontà di cambiamento nei


rapporti fra gli individui e nella interpretazione delle questioni legate al vivere in
comunità. Sostiene le reti, l’attenzione, la consapevolezza, la conoscenza e la

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promozione di una visione condivisa di società e dei rapporti che la regolano.
Queste si svolgono all’interno del perimetro della cosiddetta società civile.
Secondo Alexander la società civile è: “Un mondo di valori e identità ad essa
connessi che generano capacità di critica sociale e al tempo stesso integrazione
democratica”.

2. I soggetti
Non bisogna, in prima istanza, equivocare e semplificare fino a limitare il confine
entro cui si trovano i soggetti che svolgono attività di comunicazione sociale.
L’Amministrazione Pubblica e le sue istituzioni centrali e locali, svolgono certamente
questa attività. Così come il mondo delle Organizzazioni Non Profit e del cosiddetto
Terzo Settore, quel privato sociale che opera, senza scopo di lucro, con azioni di
sensibilizzazione, promozione di campagne e si finanzia con attività di raccolta fondi.
Vi sono poi i soggetti della rappresentanza come le associazioni di categoria e i
sindacati che promuovono interessi di gruppi con funzione di rappresentanza.
Meno scontati, ma non per questo meno rilevanti, sono le attività svolte in questo
ambito dalle imprese private, che attuano iniziative di carattere sociale e non
direttamente orientate a un profitto economico. Il mondo dei media è un soggetto
interprete di comunicazione sociale quando si occupa di questi temi e argomenti
portandoli all’attenzione dell’opinione pubblica. Vi sono poi i soggetti cosiddetti di
pubblica utilità, che svolgono attività di interesse pubblico pur essendo realtà di
diritto privato, le forze politiche, quando decidono di mettere nella propria agenda
questi argomenti e concorrono così alla formazione delle priorità dell’agenda
pubblica e per questo sono oggetto della cosiddetta lobbying sociale.

Si tratta di una pluralità di attori sociali che partecipano ai processi di sviluppo e


rivendicazione e ne determinano le condizioni insieme al pubblico.
La società civile e dunque un'arena dove i temi e le dinamiche sociali sono
sviluppate e quindi convogliati nella sfera istituzionale attraverso la partecipazione.

Il cambiamento della società ha indotto una parcellizzazione dei soggetti della


comunicazione. Si è passati da un sistema nel quale pochi parlano a molti a una
realtà nella quale molti parlano a molti:
 Associazioni
 Istituzioni locali
 Piccole imprese
 Non profit e onlus

Queste ultime hanno trovato la loro forma di definizione e riconoscimento con


l’approvazione delle legge 106 del 2016 che, all’articolo 1, definisce così le
associazioni non profit:
“Il complesso degli enti privati costituiti per il perseguimento, senza scopo di lucro,
di finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale e che, in attuazione del principio di
sussidiarietà e in coerenza con i rispettivi statuti o atti costitutivi, promuovono e
realizzano attività di interesse generale mediante forme di azione volontaria e
gratuita o di mutualità o di produzione e scambio di beni e servizi”.

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In questa definizione viene espresso un principio costituzionale, quello della
sussidiarietà, che è il fondamento dell’attività delle associazioni del Terzo Settore.
La Carta Costituzionale esplicita in due articoli la definizione e l’ambito in cui si
esercita la sussidiarietà:
Nell’articolo 18 si sancisce il principio di associazione:
“I cittadini hanno diritto di associarsi liberamente, senza autorizzazione, per fini che
non sono vietati ai singoli dalla legge penale. Sono proibite le associazioni segrete e
quelle che perseguono, anche indirettamente, scopi politici mediante organizzazioni
di carattere militare”.
L’articolo 118, comma 4 recita:
“Stato, Regioni, Città Metropolitane e Comuni favoriscono l’autonoma iniziativa dei
cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla
base del principio di sussidiarietà”.

La sussidiarietà è quindi definita come il principio regolatore per cui se un ente


inferiore è capace di svolgere bene un compito, l'ente superiore non deve
intervenire, ma può eventualmente sostenerne l’azione.
Si tratta di un principio entrato a far parte dell'ordinamento giuridico italiano
attraverso il diritto comunitario, onde essere poi implementato in forme sempre più
estensive sino al punto di essere direttamente incorporato nella Costituzione della
Repubblica Italiana a partire dal 2001.
Nel trattato di Maastricht del 1992 si afferma che: “Le decisioni siano prese il più
vicino possibile ai cittadini, conformemente al principio della sussidiarietà“.
Il principio di sussidiarietà trova la sua affermazione all'interno di vari ambiti della
società moderna e contemporanea, nei quali questa espressione possiede differenti
valori semantici, a seconda dell'ambito in cui viene utilizzata.

Si parla di sussidiarietà verticale quando i bisogni dei cittadini sono soddisfatti


dall'azione degli enti amministrativi pubblici, la ripartizione gerarchica delle
competenze deve essere spostata verso gli enti più prossimi al cittadino e, pertanto,
più vicini ai bisogni del territorio;
La sussidiarietà orizzontale è invece definita come la modalità di soddisfazione dei
bisogni svolta dai cittadini stessi, in forma associata e\o volontaristica. Il cittadino,
sia come singolo sia attraverso i corpi intermedi, devono avere la possibilità di
cooperare con le istituzioni nel definire gli interventi che incidano sulle realtà sociali
a lui più prossime.

Il percorso di evoluzione del Terzo Settore trova quindi nel 2017, anno di
approvazione dei decreti attuativi della legge 106/2016, un vero e proprio
spartitraffico riassumibile nel seguente schema.

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L’aumento di soggetti “istituzionalmente” vocati alla comunicazione innesca un
processo di ampliamento delle voci, e un incremento delle risorse che intendono
esprimere valori, identità e interessi. Questo implica, dal punto di vista dei soggetti
della comunicazione, l’esigenza di procedere in un percorso inverso nel quale si
aggregano le molteplici fonti in grado di esprimere posizioni e di far valere istanze
per andare a comporre quello che viene definito tessuto sociale.

3. I temi e la coesione sociale


La comunicazione sociale svolge una funzione rilevante a favore della coesione
sociale. Cerca di superare la concezione dell’individuo come sistema isolato a cui si
sostituisce l’esperienza simbolica di progetti comuni. Consente di offrire
rappresentazioni attraverso cui far crescere la possibilità di scelta, di partecipazione
solidale mossa da un forte desiderio di coinvolgimento.

I temi sviluppati e promossi dalla comunicazione sociale riguardano le relazioni


umane. Una visione classica e per certi aspetti limitativa, considera argomenti
pressoché esclusivi:

 Immigrazione
 Povertà
 Disabilità
 Sanità
 Vittime di violenza
 Anziani
 Vittime di emarginazione sociale

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I contenuti della comunicazione sociale evolvono nel dibattito pubblico. Per questo
essa può assumere una natura politica. Ciò accade quando viene riconosciuto,
formalmente, un diritto o una rivendicazione che necessità un intervento normativo
o legislativo. In realtà un tema sociale emerge e si afferma come oggetto di attività
di comunicazione quando se ne evidenzia l’urgenza e la necessità di portarlo ad
essere una priorità nell'agenda pubblica e nell'attenzione dei cittadini. I temi della
comunicazione sociale sono molto più ampi e attengono a problemi sociali legati a
istanze economiche, valori etici, concetti di giustizia e solidarietà sociale e alla loro
diffusione anche nella cultura aziendale.

4. I luoghi
La comunicazione sociale si manifesta in precisi contesti della società e nelle arene
mediatiche in cui i temi sono inquadrati e si sviluppano. Ambiti quali:

 Agorà della politica


 Magistratura
 Il mondo dei media riferito a:
• informazione
• cinema
• TV
• radio
• web
 Gruppi di azione sociale
 Organizzazioni religiose
 Editoria (libri, magazine, house organ)

Il ruolo della comunicazione sociale è quello di anticipare le azioni e i contenuti che


derivano da bisogni o istanze collettive, spesso non ancora pienamente emerse e
che quindi potranno entrare all'interno della sfera dell'interesse politico. La
promozione diviene necessaria quando un tema, già ampiamente conosciuto, resta
lontano dalle priorità e non assume un carattere di emergenza.
La comunicazione sociale, in questo caso, ne alimenta la presenza all'interno del
dibattito, crea nuovi legami per la diffusione di stili di vita o di buone pratiche e
favorisce la coesione sociale.
Vi sono anche caratteristiche di innovazione dato che nella stragrande maggioranza
dei casi, si induce una rigenerazione del tessuto sociale e viene sollecitata la volontà
di intaccare l'ordine sociale esistente. In questo caso possono essere generate delle
tensioni e dei conflitti proprio per il carattere di forte mutamento culturale della
società e dei suoi rapporti interni e di forza

5. Identità e relazioni
Come detto la comunicazione sociale consente di innescare un riequilibrio nei
rapporti fra sistema pubblico, imprese e mondo del sociale organizzato e del Terzo
Settore. Da quindi forma a una chiara espressione dell’esigenza, espressa dalla
collettività, di incrementare la partecipazione nei processi decisionali e porta a un

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espressione rinnovata di comunicazione che diventa “attiva”. Nuovi soggetti sono in
grado di esprimere posizioni, sottoporre problematiche e richieste, offrire soluzioni.
In questo sistema ha un ruolo attivo anche l’impresa quando questa intende
affermare il proprio ruolo di soggetto con responsabilità legate oltre che alla
produzione di ricchezza, anche di un protagonismo sociale all’interno del proprio
contesto.

6. Le forme della comunicazione sociale


Le iniziative e le attività di comunicazione che hanno come temi e come ambiti la
società, come precedentemente descritta, intendono determinare nei target e in più
in generale nell’opinione pubblica, dei cambiamenti basati su alcuni elementi che
devono essere tenuti in considerazione nelle costruzione di progetti strategici e di
azioni di comunicazione integrata.
La prima è la conoscenza. Solo attraverso una maggior informazione e una migliore
consapevolezza è possibile avviare processi di cambiamento e di intervento sulla
società. A seguire possono essere intraprese azioni temporanee per indurre i
cittadini a fare “qualcosa” come nei casi di campagne di raccolta fondi, mobilitazioni
nazionali, partecipazione al dibattito pubblico. Infine vi sono interventi sul
comportamento atti a modificare aspetti del “fare” come, ad esempio, nelle
campagne sugli abusi (fumo, alcool, droghe) e sui valori quando si intende indurre
modifiche nelle opinioni e nelle posizioni diffuse all’interno del contesto sociale come
riguardo i pregiudizi razziali e di genere o gli stereotipi e le diversa forme di stigma.
Queste iniziative si basano sostanzialmente su tre tipologie di attività.
Gli “appelli pubblici” sono iniziative che intendono sollecitare la partecipazione dei
cittadini rispetto a temi, cause o attività dirette. Ciò può avvenire con un impegno
personale diretto (volontariato) oppure mediante il finanziamento e il sostegno
economico di progettualità con il versamento di contributi in denaro o la
partecipazione con iscrizioni o donazioni, come nelle campagne di raccolta fondi
promosse dalle associazioni del Terzo Settore per finanziare progetti, attività,
ricerche.
Vi sono poi la “campagne di sensibilizzazione” che intendono coinvolgere i cittadini
nel sostegno di iniziative che hanno come obiettivo l’intervento sulle percezioni e sui
comportamenti per indirizzare l’opinione pubblica verso buone pratiche e
comportamenti positivi. I principali esempi di campagne di sensibilizzazione sono
quelle sui temi valoriali, come le politiche di genere e le pari opportunità, la difesa di
soggetti deboli o a rischio come disabili, minori, donne e in gran larga parte anche
le tematiche di difesa e tutela dell’ambiente.
Infine le iniziative di “comunicazione educativa” hanno lo scopo di indurre un
cambiamento e di modificare comportamenti dei costumi, pratiche o stili di vita
dannosi per il contesto generale della società. Sono iniziative che, stante la
complessità delle società e la difficoltà nel raggiungere il risultato, richiedono tempi
molto lunghi e molte risorse per poter arrivare al traguardo. Tipici esempi sono le
iniziative per la prevenzione delle malattie croniche, neurodegenerative e la lotta
contro i tumori, così come quelle per dare risposte definitive a piaghe sociali come
le dipendenze e sulle derive sociali fra cui le intolleranze razziali, la violenza, la
discriminazione.

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7. Gli strumenti
La comunicazione sociale viene esplicitata attraverso strumenti che sono,
sostanzialmente gli stessi utilizzati nella comunicazione di prodotto, ma con
contenuti, tecniche e modalità notevolmente diversi.
Nell’elaborazione di un progetto di comunicazione sociale i comunicatori hanno
quindi a disposizione un ventaglio di strumenti quali:

 Pubblicità - spot tv, annunci stampa, spot radiofonici, affissioni, digital adv,
social adv
 Pubbliche relazioni – attività di diffusione dei valori e della mission
 Eventi – organizzati direttamente dai soggetti oppure promossi o partecipati
 Ricerche – di fondamentale importanza per dare contenuti notiziabili e fornire
dati tramite rapporti, studi, pubblicazioni
 Incontri pubblici – organizzazione di convegni, seminari, webinar
 Giornate nazionali – momenti di confronto e di visibilità comunicativa
promosse per sostenere campagne di sensibilizzazione. Tipici esempi sono la
maratona Telethon, la Giornata sulla Ricerca sul cancro
 Televisione
 Progetti web
 Social media
 Radio

Si tratta di ambienti che permettono di amplificare il messaggio, raggiungere un


pubblico vasto , seppur non esattamente profilato nel caso di radio e TV, e di parlare
a un target eterogeneo e generalizzato ma pur sempre molto ampio.
Questi strumenti consentono un’ampia possibilità di:
• utilizzare lo storytelling
• far passare pochi messaggi in maniera incisiva e veloce
• mostrare i reali effetti dell’azione
• dare un volto e un nome a chi ha bisogno
• stimolare empatia
• usare testimonial

Il mix di strumenti scelto per diffondere messaggi e contenuti deve essere in grado
di generare il miglior risultato in termini di engagement, sensibilizzazione,
cambiamento e costruzione di un’opinione pubblica diffusa.
Da una ricerca dell’Osservatorio per la Comunicazione e la Disabilità dell’Università
Iulm, svolta nel 2012, emerge come gli strumenti più utilizzati dai cittadini per
costruirsi una posizione rispetto a un tema sociale siano ancora il passaparola,
quindi una forma diretta di relazione basata su elementi fiduciari, a seguire il web,
con le search sui principali motori di ricerca, e quindi i materiali cartacei (manifesti,
dépliant e brochure informative). Si tratta, in due casi su tre, di strumenti di
comunicazione offline e tradizionali. Questo conferma come sia necessario
individuare un ventaglio comunicativo e un sapiente utilizzo dei vari strumenti per
poter raggiungere i risultati attesi. Quello che non deve mai mancare è un contatto
diretto con il cittadino/utente, vedi importanza del passaparola, che può, e dovrebbe
avvenire, attraverso un coinvolgimento delle mondo delle associazioni, spesso

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ancora poco inclini o poco strutturate, nell’organizzazione di attività di
comunicazione.

8. I linguaggi
Tono e linguaggio sono elementi centrali nei processi comunicativi. Nella
comunicazione sociale, per la specificità degli argomenti e dei contenuti trattati, ci
possono essere diverse modalità con cui i temi sono rappresentati e narrati.
Modalità che variano a seconda dell’argomento, della cultura prevalente, degli stili
che sono utilizzati per acquisire efficacia e penetrazione del messaggio.
Gli stili comunicativi più utilizzati nella comunicazione sociale sono:

Drammatico
Il linguaggio commovente, patetico, pietoso, è ancora il più utilizzato nelle
campagne di comunicazione sociale in Italia. Le tecniche adottate, dal punto di vista
visual, sono la presentazione di drammi sociali, persone in difficoltà, minori in
condizioni disperate. Le parole commuovono, cercano di toccare le corde de
pietismo per muovere la coscienza. Il link empatico e la commozione hanno spesso
come obiettivo la donazione di fondi. E’ un linguaggio molto usato nella crisi
umanitarie.
Molto usato negli anni 70 e 80, è concentrato sulla denuncia e l’attacco verso chi si
disinteressa o è responsabile del problema o della situazione negativa. Chiede
partecipazione e mobilitazione. E’ tipico della campagne in difesa o di
sensibilizzazione sui temi ambientali e per la difesa dei diritti umani. Caratterizzato
da toni irruenti per suscitare senso di colpa. Testi e immagini tendono a a mettere
sotto accusa chi non ha preso decisioni corrette o non ha fatto nulla per risolvere il
problema. Il linguaggio vuole puntare il dito sul problema per stimolare i decisori, le
organizzazioni politiche a cambiare le regole, a prendere posizione.

Scioccante
Questo stile è il più diverso rispetto a quello usato dalla comunicazione di prodotto.
Ancora poco utilizzato in Italia è molto più frequente ritrovarlo nei Paesi
anglosassoni. Il tema viene rappresentato con un aspetto drammatico per mettere
in evidenza le conseguenze negative di un determinato comportamento. Si tratta di
una tecnica utile a ottenere attenzione e stimolare il cambiamento. Attenzione però
a non eccedere e a innescare il cosiddetto “fear appeal”, cioè un sentimento di
paura che supera quello dello shock. La paura implica rifiuto e distacco quindi non è
un sentimento utile alla comprensione o all’accettazione di un concetto. In questo
tipo di linguaggio sono usate parole dirette, crude, per enfatizzare gli aspetti
drammatici del messaggio. L’obiettivo è provocare senso di orrore e stimolare così
cambiamento di opinioni e comportamenti come riflesso di un primo impatto
evidentemente negativo. E’ uno stile utile per colpire un target secondario per la
forza del messaggio che implica un passaggio dei contenuti alle persone vicine al
target

Ironico
Un tipo di linguaggio sempre più usato in Italia, per evidenziare problemi con un
tono divertente ma ficcante. Occorre bilanciare correttamente i contenuti per non
mettere in secondo piano il tema e la sua importanza. Qui si punta sulla riflessione e

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sullo stimolo all’azione usando la leva del “riso amaro”. Uno stile spesso usato nella
cinematografia e nella pubblicità. E’ utilizzato per far prendere coscienza del
problema oppure per stimolare un vero e proprio cambiamento di stili di vita o per
ottenere la partecipazione attiva. Occorre fare attenzione a non sfociare
nell’eccesso, nella comicità che supera l’ironia e fa perdere perdere efficacia.

Didattico
Qui si utilizza la rappresentazione pedagogica per insegnare al target specifici
comportamenti. E’ molto utilizzato soprattutto nella campagne pubbliche per
promuovere, ad esempio, la sicurezza stradale, combattere le dipendenze, insegnare
buone pratiche. Si tratta di un tipo di linguaggio comunicativo che fa leva sulla
responsabilità individuale con appello al rispetto delle regole. L’obiettivo è stimolare,
grazie alla chiarezza dell’informazione presentata, la riflessione e il cambiamento
suggerendo corretti comportamenti. Questo tipo di linguaggio è stato molto
utilizzato nel periodo pandemico per la promozione delle campagne vaccinali e ha
previsto anche l’utilizzo di testimonial.

Nuove tecniche
L’evoluzione della comunicazione sociale e delle sue piste di rappresentazione
prevede tecniche che intendono sollecitare emozioni positive. Un esercizio che
riscuote sempre più spesso un ottimo impatto e successo nella campagne di
comunicazione. Per farlo si è soliti utilizzare sentimenti di gratitudine rivolti a chi ha
partecipato, nei più disparati modi, alle iniziative. Ringraziamenti rivolti dai
beneficiari verso chi ha partecipato. Essere ringraziati e ricevere manifestazioni di
gratitudine è una modalità che infonde un senso di appagamento, determina un
livello superiore di relazione positiva e fa più facilmente breccia nelle coscienze. E’
un sentimento rassicurante: si spiega come l’azione sia andata a buon fine ed sia
stata apprezzata. Quindi ci sono tutte le condizioni per chiedere di replicarla.
A livello di messaggio e di visual si ribaltano i livelli. Ora il bambino in difficoltà
sorride, è felice. La persona malata è guarito o la sua condizione è migliorata. Viene
riconosciuto il valore dell’impegno di chi ha partecipato, donato o si è speso per la
causa.
Si esprime gratitudine e il target viene fortificato nelle sue qualità morali, tanto da
diventare esempio per ulteriori azioni e ambasciatore del messaggio. Il
coinvolgimento qui è affettivo e si può procedere all’attivazione di un legame
fiduciario. Per meglio esercitare queste nuove modalità sono necessari un linguaggio
e un visual che sappiano tradurre e declinare cano un messaggio di verità e
un’espressione di positività, priva di ogni forma di manipolazione.

9. La pubblicità sociale
Elemento caratteristico e distintivo della pubblicità applicata ai temi sociali, sia sui
media e con gli strumenti tradizionali sia in ambito social e digitale, è l’assenza di un
prodotto da vendere ma, al contrario, l’esigenza e l’obiettivo di generare nuove
consapevolezze, comportamenti e di incidere sui valori etici. Per questo le
informazioni e i messaggi utilizzati non possono essere subliminali ma al contrario,
devono essere veri e confutabili, diretti. Lo storytelling deve essere capace di andare
a determinare una reazione positiva e fattiva.

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Secondo Aldo Grasso: “La pubblicità sociale si occupa di noi e dei nostri bisogni.
L’impegno dovrebbe dunque essere superiore ma questo non avviene. In Italia
siamo vittime del moralismo: si va al minimo come se si avesse vergogna di
affrontare i temi nel modo in cui dovrebbero essere affrontati. Le buone intenzioni
servono a lastricare la strada che porta all’inferno ma non certo a fare buona
comunicazione”.
Le tecniche utilizzate sono diverse rispetto a quelle tipiche della pubblicità di
prodotto che basa i suoi messaggi sulla ricerca dell’unicità e dell’esclusività.
Scopo della pubblicità sociale è dunque quello di indirizzare e cambiare i sentiment,
gli atteggiamenti, in fine di “far fare” cioè un’azione che si situa fra due i poli di dare
un consiglio ed effettuare una richiesta.
Nella pubblicità sociale vengono promossi messaggi rivolti ai cittadini con
l’intenzione di promuovere l’interazione e la condivisione

Un soggetto fondamentale nello sviluppo della pubblicità sociale in Italia è stato


Pubblicità Progresso, consorzio nato e promosso negli anni 70 da associazioni di
pubblicitari per dare vita, ogni anno, a campagne sociali con scopi educativi e di
sensibilizzazione. Nel corso degli anni Pubblicità Progresso ha seguito e inciso
direttamente sulla costruzione di un immaginifico collettivo su tematiche
fondamentali nel contesto nazionale come la prevenzione e la lotta contro alcune
malattie e sindromi, la disabilità, gli abusi, i diritti delle persone.
Seguire l’evoluzione di queste campagne e comprendere come i messaggi, i visual e
i contenuti si siano modificati con il passare degli anni ma soprattutto con l’evolversi
delle sensibilità e delle conoscenze riguardo queste tematiche è uno specchio fedele
di quanto proprio la pubblicità, declinata sia a livello visual sia con spot televisivi,
abbia un enorme valenza e capacità educativa e persuasiva nella costruzione di una
posizione diffusa.
Ovviamente afferendo a temi sociali e a valori culturali e identitari, la pubblicità
sociale riflette i comportamenti e gli aspetti sociologici delle diverse culture e dei
Paesi in cui sono diffusi e riferiti i messaggi. Per questo assistiamo all’uso di
tecniche, messaggi e immagini molto diverse fra paesi diversi come, ad esempio,
quelli di cultura e tradizione protestante (quindi i Paesi anglosassoni e del nord
Europa) rispetto e quelli di cultura e tradizione cattolica (Italia, Paesi del sud Europa
e del Sud America).
Pubblicità Progresso ha certamente introdotto forme di comunicazione innovative,
prima scarsamente praticate ed è diventata sinonimo di una pubblicità utile e
svincolata dalla presenza del prodotto e dal relativo invito al consumo. Ha inoltre
dato visibilità e vestito di senso la rete del sociale e con le sue campagne ha creato
nodi strategici per veicolare il messaggio nel migliore dei modi con un format
innovativo e all’avanguardia.

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Si riflettono quindi i comportamenti e gli aspetti sociologici dei Paesi a cui si devono
riferire i messaggi e se ne interpretano la cultura e i valori dei macro target e della
società civile. Ogni cultura e ogni nazione avranno quindi messaggi e spot diversi
come evidenziato dalle numerose ricerche svolte, ad esempio, sui diritti delle
persone disabili con campagne molto differenti fra paesi anglosassoni e quelli di
cultura e tradizione cattolica.

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Questa comparazione mostra campagne promosse per sensibilizzare ed educare
l’opinione pubblica e in particolare i giovani sul tema della diffusione del virus HIV.
In questo caso le campagne negli Stati Uniti e nel Regno Unito sono più dirette,
immediate e di facile comprensione, non lasciano spazio e interpretazioni diverse o
fuorvianti.
Al contrario le stesse campagne promosse dal Ministero della Salute italiano
risultano essere caratterizzate da messaggi più edulcorati, da interpretare e di
difficile comprensione nell’immediato e abbinano immagini quasi di felicità a un
tema, drammatico e doloroso come quello del contagio. Il risultato in questo
secondo caso è di una perdita di efficacia, di uno spreco di risorse e della necessità
di avere maggior tempo a disposizione per poter raggiungere gli obiettivi prefissati.

La shock adv
La tecnica del fear appeal, è spesso utilizzata soprattutto nei paesi anglosassoni per
incoraggiare un cambiamento nei comportamenti o per correggere atteggiamenti
ritenuti sbagliati o pericolosi. Queste pubblicità utilizzano immagini scioccanti per
mettere in luce aspetti negativi che possono derivare dalla mancata accettazione
delle sollecitazioni proposte

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Fanno scalpore, perché si accetta la provocazione ai fini della sensibilizzazione delle
coscienze. Nelle campagne sulla diffusione del virus dell'hiv si è assistito più volte a
una ghettizzazione dei malati, e a un un messaggio troppo terrorizzante.
Altre volte la paura stessa è un ostacolo alla riuscita del progetto. Un contenuto
troppo forte o disturbante è filtrato e cancellato dalla memoria e diventa inefficace.
Lo shock e le minacce possono stimolare una maggior attenzione nei confronti dei
contenuti del messaggio, ma dopo quel punto creano conseguenze negative che
spingono a una fuga difensiva rispetto al messaggio.
Per funzionare, lo shock non deve essere il contenuto esclusivo del messaggio ma
una premessa di una comunicazione che comprende anche una soluzione
rassicuratoria.

10. La comunicazione persuasiva


Una delle tecniche maggiormente utilizzate nella comunicazione sociale è la
persuasione. Non è possibile, infatti, intervenire sulle sfere personali e sui valori
delle persone attraverso la forza, la coercizione o i messaggi subliminali e
dissimulati.
Secondo il filosofo greco Aristotele la persuasione è l’arte di indurre le persone a
compiere azioni che normalmente non compierebbero. Per questo è appunto un’arte
che vuole indurre l’altro a fare qualcosa che non farebbe in modo spontaneo.
La comunicazione persuasiva adotta diverse tecniche che dipendono dal risultato
atteso e dalle caratteristiche del target. Gli elementi su cui agisce sono infatti
personali e il risultato che si intende ottenere deve far si che l’azione conseguente
sembri essere una decisione autonoma del target. Elementi che la differenziano da
individuo a individuo, da cultura a cultura, da contesto a contesto. In comune resta
un elemento su cui il marketing e la comunicazione persuasiva agiscono: le
emozioni.

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Il marketing commerciale lavora sulle emozioni positive quali la felicità, la
soddisfazione, la gioia e l’amore.
La comunicazione sociale lavora normalmente su emozioni negative innescando
pietà, tristezza, paura, provocazioni, senso di colpa.
Paura, disgusto, senso di colpa sono elementi classici della comunicazione
persuasiva propria della comunicazione sociale. Elementi che attirano l’attenzione
del pubblico, ma in alcuni particolari momenti, come nel periodo pandemico,
diventano meno efficaci per una serie di situazioni acuite e che funzionano meno nei
momenti di difficoltà sociale.
Si innescano infatti resistenze e rifiuto, soprattutto se si ritiene di stare vivendo un
momento di difficoltà e questo genera un sentimento di impotenza. Non poter far
qualcosa disturba creando uno stato di dissonanza cognitiva che allontana e non
avvicina, porta frustrazione e non voglia di agire.

11. Media relation nel settore sociale


L’attività di relazione con i media nel settore della comunicazione sociale attiene ai
rapporti continuativi e organizzati che le associazioni non profit, il terzo settore o la
PA allacciano con il mondo dell’informazione e dei media.
Si tratta di un processo quotidiano di informazione, comunicazione, confronto e
verifica che ha l’obiettivo di diffondere notizie, svilupparle e approfondirle e quindi
analizzare le ricadute in termini di visibilità, identità e passaggio dei messaggi
rispetto alla pubblica opinione.
Questa attività viene impropriamente definita di ufficio stampa. Un termine che non
consente di esplicitare l’importanza delle relazione, dei rapporti e dei contatti che
devono essere intessuti con i media. Fare media relation è molto più che aprire un
ufficio.
Oggetto dell’attività della media relation sono le notizie e le informazioni provenienti
da un soggetto, che sono poi veicolate, attraverso il mondo dei media, che con la
loro attività diffondono la notizia all’universo di riferimento. Elemento fondamentale
dell’attività di ufficio stampa sono la veridicità e la bidirezionalità. Come in tutti i
settori ma ancora di più in ambito sociale le informazioni e i contenuti nelle
comunicazioni alla stampa devono essere vere e non possono essere equivoche o
fraintendibili. Questo perché gli argomenti trattati sono legati a valori e a identità
rispetto alle quali la posizione deve essere chiara, netta, cristallina e non può
permettersi di non essere trasparente.
Il mondo dei media in ambito sociale si compone di un ventaglio di soggetti che
vanno dalla carta stampata alla televisione, dalla radio ai siti web, dai social alle le
agorà pubbliche.
Universo dei media sociali:
Carta stampata
• Quotidiani
• Settimanali
• Mensili
• Newsletter, House Organ
Radio:
• Network nazionali - Radio locali
Televisione: network nazionali, Programmi di informazione,

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Approfondimento, Rubriche e Magazine, Emittenti locali
Web: siti dedicati, siti generalisti, blog e social

Con ognuno di questi soggetti vanno utilizzate tecniche e modalità di ingaggio


diverse. Non è possibile mandare delle foto generiche a un quotidiano che invece
riporta notizie riferite ad eventi che necessitano di un preciso riferimento alla
cronaca. Per la radio si devono preparare dichiarazioni in formato mp3, per poter
passare in un TG si devono fornire alla redazioni immagini e interviste video.
Il mondo dei media è formato dall’universo dei giornalisti. Questi tendenzialmente
agiscono e operano secondo una serie di caratteristiche comuni.
I giornalisti, soprattutto quelli delle testate generiche, non conoscono tutto ma su
tutto possono fare opinione. Questo è il motivo per cui tendono a generalizzare e a
sintetizzare. Se ricevono delle comunicazione ben fatte e ben scritte, esattamente
con lo stesso stile di un articolo, i giornalisti possono fare “Copia e Incolla”. Una
modalità che deve soddisfare chi si occupa di media relation perché consente di
riportare nell’articolo e nel servizio esattamente le informazioni e le posizioni
dell’emittente la notizia, senza cambiamenti o manipolazioni. I giornalisti lavorano
per suggestioni e amano la polemica e la spettacolarizzazione. Hanno sempre fretta
quindi è necessario gestire i contatti con tempi brevi e nei momenti migliori della
giornata (tarda mattinata).
Nel settore sociale per l’attività di media relation risulta fondamentale il rapporto
continuativo con i giornalisti e il mondo dei media. Questo si costruisce attraverso:
• Credibilità
• Autorevolezza
• Tempestività
• Selezione delle notizie
• Capacità di relazione e interlocuzione
• Possibilità di anteprime ed esclusive
• Coinvolgimento

Chi opera nella media relation deve obbligatoriamente avere delle capacità e delle
competenze a livello di scrittura sufficientemente buone per poter fornire notiziabili
pronti all’uso. La scrittura di testi nel sociale deve possedere queste caratteristiche:
• Immediatezza
• Evitare la ridondanza e le ripetizioni
• Centrare il bersaglio, prima la notizie poi i commenti
• Semplicità di linguaggio
• Completezza delle informazioni
• Evitare eccessivi tecnicismi
• Essere didattici e spiegare anche cose che a chi scrive possono sembrare banali
o ovvie
• Attenzione alle spettacolarizzazioni

Sono diversi gli strumenti dell’attività di media relation che sono quotidianamente
gestiti e prodotti. La mailing list è il vero patrimonio di chi si occupa di relazioni con i
media. E’ un file o un database che si deve aggiornare giorno dopo giorno e che
contiene i contatti e i riferimenti dei giornalisti divisi per tipologia e testate. Va
alimentata, seguendo gli spostamenti dei giornalisti e non condivisa per non

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consentire ad altri di approfittare del lavoro, magari durato anni, di collezione dei
dati (mail, telefono, informazioni personali, grado di affidabilità) dei giornalisti.
La cartella stampa viene preparata in occasioni di eventi o presentazioni e contiene
il comunicato stampa che è lo strumento attraverso cui sono veicolate le notizie ai
media. Il comunicato stampa deve essere scritto come un articolo. Parte quindi con
il titolo, accattivante e invitante per il lettore/giornalista, un sottotitolo che repliche
l’occhiello di un pezzo di un giornale, la data del giorno di invio e quindi il
contenuto. Si parte sempre dalla notizia senza troppo divagare nelle prime cinque
righe del testo dove deve essere facilmente identificabile e comprensibile la notizia.
In fondo al comunicato stampa deve essere riportata una scheda sintetica
dell’emittente e devono essere indicati i contatti del responsabile delle relazioni con i
media di chi lo ha emesso. Il comunicato stampa, che viene inviato ai referenti della
mailing list per mail mettendo tutti gli indirizzi dei giornalisti in copia conoscenza
nascosta (ccn) per evitare di divulgare gli indirizzi dei contatti, può essere integrato
con schede tecniche, dichiarazioni, profili e approfondimenti.
La collezione degli articoli usciti sugli organi di stampa viene raccolta nella rassegna
stampa che è il risultato della attività di media relation. La rassegna stampa non è
solo una collezione di articoli, deve essere letta e valutata per capire come
l’argomento oggetto dell’attività è stato ripreso, raccontato, commentato dai media.
In particolari occasioni possono essere organizzate delle conferenza stampa in cui i
giornalisti sono invitati per la presentazione di un progetto, per l’avvio di una
iniziativa, per la diffusione di risultati o ricerche sul tema. I giornalisti, sempre più
spesso, preferiscono non partecipare alle conferenze stampa che di sovente sono
organizzate in forma ibrida sia in presenza sia online. Chi si occupa di media relation
viene incaricato di redigere testi per discorsi, interviste e per i social media.

12. Cause Related Marketing


Si tratta di processo che punta alla partecipazione solidale di soggetti del mondo
dell’impresa e del mondo profit che scelgono di impegnarsi a favore di cause di
interesse pubblico e generale.
Il Casue Related Marketing è quindi una pratica che vede le imprese protagoniste di
azioni, raccolte fondi, iniziative che mettono in relazione le loro attività di business
con una causa di valore sociale.
Un dei primi esempi di CRM risale al 1983 con quando con l’operazione American
Express – Statua della Libertà la nota azienda di servizi per i pagamenti decise di
donare un penny per ogni transazione effettuata attraverso le proprie carte di
credito e un dollaro per ogni nuova carta registrata nei primi tre mesi del 1983 alla
campagna per il restauro del notissimo ed iconico monumento simbolo degli Stati
Uniti. La campagna di comunicazione diretta era rivolta sia ai soci attuali sia a quelli
potenziali e coinvolgeva in maniera diretta (related) l’attività di business
dell’azienda. In quel periodo American Express registrò un incremento del 28%
nell’uso delle carte di credito rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente e una
crescita delle nuove adesioni. Il contributo che American Express diede ad Ellis
Island Foundation, per il restauro della Statua della Libertà, fu di 1,7 milioni di
dollari.

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Esempi simili in Italia di attività di CRM sono quelli di “Dash Ospedale Amico” di
Procter&Gamble, “Dove per Disagio mentale”, “Un futuro per Amatrice” di Eataly e
le recenti campagne contro il bullismo promosse da Burger King.

13. Partecipazione e cittadinanza attiva


Il sistema democratico attualmente presente in Italia è quello della democrazia
rappresentativa, cioè quella delegata attraverso le regole elettorali a suffragio
universale. Una situazione molto recente per il nostro Paese se si pensa che nel
1846 si votava solo per censo e la partecipazione elettorale era consentita solo al
2% della popolazione mentre il restante 98% rimaneva fuori dalle urne. Fino al
1946 in Italia, il voto era precluso alle donne che hanno votato per la prima volta al
referendum fra monarchia e repubblica.
La democrazia diretta è invece fondata su strumenti come i referendum che
agiscono senza mediazione sulla vitalità di norme e istituti. Si tratta di un impianto
solitamente legato alle realtà territoriali più piccole – come i cantoni svizzeri – ed è
spesso abbinato a sistemi rappresentativi. Infine la democrazia partecipativa si basa
su una visione intermedia, dove le responsabilità assegnate dalla democrazia
rappresentativa attivano forme regolate di ascolto che, anche attraverso la
democrazia diretta, concorrono a rendere più ampia e trasparente la materia attorno
a cui esercitare opzioni.
E’ soprattutto in questo ultimo impianto che si attivano forme di “cittadinanza attiva”
vale a dire di partecipazione consapevole di un cittadino alla vita sociale e politica e
del suo pieno inserimento nella rete di diritti e doveri che sono costitutivi della
società.
Le sfere di riferimento essenziali della “partecipazione” riguardano i caratteri
consultivi e deliberativi della democrazia. Secondo Jürgen Habermas la
partecipazione è “un processo di argomentazione sensibile alla verità. Negli ultimi
anni il processo partecipativo vuole equilibrare, dal basso, le spinte naturali dei
sistemi di governo verso la “tecnocrazia”, cioè governi nei quali non sono
rappresentanti eletti ma i tecnici a gestire la complessità delle decisioni da
assumere.
La partecipazione è dunque un modo di contribuire alla comunità con un impegno
civico che è insito in tutti gli individui. Si tratta di un principio stabilito dalla
Costituzione nel suo primo articolo dove viene ribadito che la sovranità:
“….appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione” e,
dal già citato, articolo 118 contenuto nel titolo V della carta costituzionale. Essere
cittadini attivi è il modo migliore per entrare in relazione con altri soggetti che
perseguono i medesimi scopi e obiettivi per poi dare vita a forme di associazionismo
tipiche del cosiddetto Terzo Settore.
Questo comprende i soggetti privati che, anziché occuparsi di interessi propri e
individuali, perseguono delle finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale
contraddistinte da un interesse generale.
Questo soggetto è “Terzo”, perché diverso dallo Stato (Primo Settore) che persegue
interessi comuni individuati dalle leggi e dai soggetti privati (l’impresa cioè il
Secondo Settore) che perseguono interessi particolari da essi stessi liberamente
individuati.

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L’elemento principale dell’agire del Terzo Settore è il coinvolgimento cioè la capacità
di far partecipare, avvicinare, avvolgere, avviluppare
Oggi, con la riforma del Terzo Settore si è aperta una nuova fase di coinvolgimento
rispetto agli Enti Pubblici che, nell’esercizio delle proprie funzioni di programmazione
e organizzazione a livello territoriale degli interventi e dei servizi, assicurano una
partecipazione attiva degli enti del Terzo Settore, attraverso forme di co-
programmazione e co-progettazione e accreditamento.
Attraverso il principio di sussidiarietà prende quindi forma l’attivismo civico cioè una
“pratica di cittadinanza” con una pluralità di autonome forme di azione collettiva che
danno concretezza al principio costituzionale dell’impegno e rimuovono gli ostacoli
all'eguaglianza dei cittadini attraverso attività di interesse generale.
La partecipazione rende più completa e interattiva la comunicazione pubblica.
Perché costruisce tra società e istituzioni un sistema a due vie regolando accesso
trasparenza ed efficacia sociale.
La cittadinanza attiva porta come esito naturale all’impegno civile e al volontariato
che appartiene a una serie di associazioni di cittadini che si attivano per fornire
risposte e servizi affiancando e a volte sostituendo lo Stato.
L’impegno civile nel terzo millennio è legato alla crisi del modello tradizionale della
cittadinanza democratica scaturito in Italia negli anni 90, a seguito dell’inchiesta
“Mani Pulite” e con l’emersione di nuovi bisogni sociali come l'immigrazione, la crisi
dei sistemi di Welfare e la conseguente crescente sfiducia nelle classi dirigenti
politiche che hanno minato i pilastri su cui si reggevano i fondamenti democratici.- Il
risultato sono fenomeni evolutivi inediti e non previsti
Spesso nei processi di comunicazione è importante rendersi conto che la voglia di
partecipazione è solo espressa e non praticata. Un fenomeno che appare evidente
analizzando i dati di affluenza alle urne nelle ultime tornate elettorali scesi ai minimi
storici di sempre. Questo è il frutto della sfiducia verso le Istituzioni e i soggetti della
politica, fenomeno, va detto, non solo italiano.
La presenza di un Terzo Settore forte ed efficiente favorisce la partecipazione attiva
ed è un elemento che può riequilibrare elementi divergenti e degeneranti della
società. Per questo mediante azioni di comunicazione sociale occorre promuovere la
partecipazione dei cittadini, in particolare dei giovani, con azioni di coinvolgimento
mirate e professionali.
Il mondo delle associazioni deve però essere pronto a gestire possibili, e auspicabili,
picchi di partecipazione. Secondo il rapporto Censis 2011:
“Coinvolgere i cittadini non è facile: partecipare significa mettere a disposizione
tempo ed energia. Un’adeguata motivazione forse è presente fra chi ha interessi
diretti da perseguire, rappresentanti di associazioni e istituzioni… Coinvolgere i
cittadini nelle decisioni crea aspettative: una volta partiti non si torna indietro, pena
la delusione e conseguente perdita di credibilità, e bisogna essere preparati
all’eventualità che i partecipanti possano assumere decisioni in contrasto con gli
orientamenti del sistema politico“.

14. La rappresentazione sociale


Le rappresentazioni sociali danno significato alla realtà e guidano i comportamenti
diffusi. Nascono nella collettività e dalla collettività, emergono, si conservano e si
trasformano grazie ai processi di interazione e di comunicazione.

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Ci si accosta alla realtà per il tramite delle rappresentazioni che di essa ci
propongono i mezzi di comunicazione e quindi la realtà è tanto più credibile quanto
più assomiglia a quella che viene rappresentata e di cui si ha familiarità. Il modo di
presentare un particolare un tema sociale attraverso i media influenza
pesantemente il giudizio che le persone si costruiscono circa quel fenomeno.
Esiste infatti una stretta correlazione tra la quantità di fruizione televisiva e i sistemi
di conoscenze che le persone strutturano a proposito della realtà sociale. I canali di
comunicazione hanno una quindi un’importanza maggiore rispetto alla sola
necessità di servire da veicolo di conoscenza, aspetto comunque non banale.
Anche le modalità con cui sono trasmesse le conoscenze può essere elemento
rilevante dal punto di vista della costruzione della rappresentazione sociale.
Le tecniche televisive, giornalistiche e narrative offrono utili indicazioni su come sia
possibile modulare tonalità, approfondimenti, parole per colorare di significato le
notizie e la rappresentazione della realtà narrata.

E’ molto interessante ripercorrere i passaggi che dagli anni 70 ad oggi hanno


contraddistinto l’evoluzione della rappresentazione sociale della disabilità, intesa
come la condizione delle persone disabili e non come una classificazione sanitaria o
di ruolo sociale.
Nel 1923 con la Riforma Gentile del sistema scolastico, in auge e applicata sino a
pochi decenni or sono, la logica che sovraintende alla presenza nelle scuole degli
allievi disabili è quella della separazione. Le persone con disabilità non possono
essere inserite nelle classi “normali”, stanno nelle scuole speciali e vivono emarginati
e nascosti dal resto delle società.
Fino agli anni 60 le “classi speciali” sono il ricovero per gli alunni disabili e non solo
anche di quelli problematici o dei figli di migranti che dal sud salgono al nord per
lavorare nelle fabbriche del “boom” economico. Sono qui che finiscono confinati i
ragazzi degli immigrati che non conoscono l’italiano e sono considerati per questo
“diversi”.
Le persone con disabilità sono invisibili, non partecipano al vita sociale e quindi non
sono rappresentati in essa.
La legge 118/71 per l’inserimento degli allievi con disabilità nelle scuole abolisce le
classi speciali. Sei anni dopo la legge 517/77 introduce la figura dell’insegnante di
sostegno e ribadisce la volontà di includere ogni alunno nelle classi insieme a tutti
gli altri studenti.
Gli anni 70 sono dunque gli anni dell’emersione delle persone con disabilità
dall’ombra. La disabilità non è una malattia ma una condizione e su questo si inizia
a basare una campagna di comunicazione per la piena integrazione e inclusione.
Con la maggior presenza di persone con disabilità nei contesti lavorativi e scolastici
anche la comunicazione inizia ad occuparsi di persone con disabilità, ancora negli
anni 70 impropiamente definiti “handicappati”. Negli anni 80 si avvia il dibattito sulla
condizione delle persone con disabilità e partono campagna per l’abbattimento delle
barriere architettoniche per l’affermazione dei diritti delle persone con disabilità.
Pubblicità progresso si occupa di disabilità e produce una serie di campagne per la
“normalizzazione” dei rapporti interni alla società e per l’accettazione delle persone
disabili in essa.
Negli ultimi dieci anni del secolo scorso, emerge il tema dei diritti. La legge 104/92
per l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone “handicappate”, e la

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legge 68/99 per l’inserimento lavorativo della persone con disabilità, sanciscono il
pieno riconoscimento della dignità di appartenenza delle persone disabili alla società
Negli anni 2000 e con passaggio al nuovo secolo si consolida il percorso di presenza
delle persone con disabilità nel contesto sociale. L’approvazione delle Convenzione
ONU per i Diritti delle Persone con Disabilità, avvenuta nel 2007, permette di
promuovere, proteggere e garantire il pieno ed uguale godimento di tutti i diritti
umani e di tutte le libertà fondamentali da parte delle persone con disabilità, e
promuovere il rispetto per la loro intrinseca dignità.
Con la Convenzione ONU si afferma e si stabilisce il diritto alla piena dignità delle
persone con disabilità e di conseguenza la comunicazione e la rappresentazione si
concentrano su questi temi con campagne per la tutela dei diritti e per la loro
definitiva affermazione.
Dal 2010 ad oggi si è assistito a un narrazione delle disabilità che ha messo, spesso
ma non sempre, da parte il pietismo per lasciare posto all’ironia e alla qualità
narrativa nella presentazione del superamento dello stigma.

15. Comunicazione sociale in ambito pubblico


Il settore pubblico, nei suoi diversi livelli di assetto dagli organi centrali a quelli
periferici, ha un ruolo decisivo nella costruzione di opinione diffuse e nella
sensibilizzazione su varie tematiche alcune delle quali fanno diretto riferimento ai
servizi offerti dalla Pubblica Amministrazione - in ambito sociale, sanitario – e alla
loro qualità.
L’evoluzione della comunicazione pubblica in comunicazione di pubblica utilità –
quindi riferita anche a soggetti privati che svolgono attività di interesse pubblico -
impone alla Pubblica Amministrazione un ripensamento delle tecniche e delle
modalità sin qui utilizzate e un riposizionamento dei messaggi, dei soggetti e dei
contenuti della comunicazione che va ad orientarsi verso la ricerca di cambiamento,
la promozione della partecipazione, e per un allargamento del concetto di
appartenenza che possono generare nuove forme di relazioni con la cittadinanza
attiva.
La comunicazione pubblica nel sociale deve promuovere l’ascolto e favorire un
sistema di valutazione continua con i cittadini/utenti che diventa elemento di
scambio continuo di informazioni e relazioni per arrivare a un miglioramento della
qualità dei servizi e dei processi comunicativi.

Per questo la comunicazione è decisiva e spesso fondamentale, nel rappresentare


processi di erogazione dei servizi perché ne esalta, oltre all’aspetto pratico e
organizzativo anche quelle componente di interazione sociale. Un servizio pubblico
non è solo una prestazione ma intesse una fitta rete di relazioni, legami e scambi
che ne determinano e ne giustificano e rappresentano la natura stessa.

Per poter meglio strutturare la comunicazione pubblica in ambito sociale occorre un


lavoro di comunicazione interna che parte dalla formazione e dalla motivazione del
personale in modo da rendere chiare le finalità e i percorsi per raggiungerle. Una
comunicazione interna, solitamente invece trascurata in ambito pubblico, efficace
consente di dare risposte efficaci che passano anche da una corretta organizzazione
e dimensionamento dei servizi. Non si deve però abdicare alla centralità della

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comunicazione a favore di questi ultimi aspetti se non si vuole depotenziare gli
aspetti sociali e di coesione che sovraintendono alla prestazione. La comunicazione
sociale accompagna un percorso di cambiamento e per questo pone al centro la
persona in ogni passaggio e in ogni attività. Non deve quindi essere caratterizzata
da elementi autoreferenziali e da procedure burocratiche ma invece abbracciare
tecniche e modalità più vicine, dirette e immediate con tecniche simili a quelli
utilizzati dalla comunicazione istituzionale e di prodotto per aumentare la base degli
utenti e i livelli di fruizione dei servizi. Grazie all’ascolto e al confronto la
comunicazione sociale nel settore pubblico potrà adattarsi ai cambiamenti della
domanda e dei bisogni andando a ricercare nuove situazione di necessità e nuovi
soggetti che richiedono aiuto e supporto.

Un esempio, la comunicazione sull’immigrazione


Il fenomeno dell’immigrazione ha in Italia ha una storia relativamente recente. Da
sempre Paese di emigrati, tra il 1876 e il 1976 partirono dall’Italia verso le
Americhe, l’Australia, il centro dell’Europa oltre 24 milioni di cittadini italiani, dagli
anni 90 del secolo corso il saldo si è invertito e l’Italia si è trasformata in una
nazione chiamata e gestire grandi flussi di immigrazione.
Tra il 2021 e il 2022 i cittadini non comunitari con regolare permesso di soggiorno in
Italia sono aumentati di quasi il 6%, passando (dati Istat) da 3.373.876 al 1°
gennaio 2021 a 3.561.540 al 1° gennaio 2022.
A questi numeri si accompagna un percezione del trend e la costruzione di un
immaginario collettivo rispetto alla questione in costante evoluzione e sempre
condizionata dalla strumentalizzazione politica (da tutti i soggetti dell’arco
costituzionale) a tratti anche aggressvia. Appare evidente come la difficoltà
organizzativa espressa dal mondo politico nella gestione e nel controllo dei flussi
migratori contribuisca alla crescita di soggetti della società civile (ONG) che
affrontano con maggior determinazione la risoluzione delle problematiche connesse
all’immigrazione.
In questo quadro l’opinione pubblica ha progressivamente elaborato, suo malgrado,
una percezione spesso distorta del tema, alimentata dalla propaganda mediatica e
sorretta da preconcetti e scarsa conoscenza più che effettiva assimilazione della
realtà esistente.
Per questo il ruolo della comunicazione appare essenziale per ristabilire un quadro il
più possibile fedele alla realtà. I target sono i cittadini, il sistema dei media, gli
stessi immigrati e il mondo delle imprese e delle Istituzioni stesse. A queste ultime,
che regolano e governano il fenomeno, viene richiesto di fornire dati attendibili, di
programmare politiche di integrazione e sociali efficaci e nell’ambito della
comunicazione attivare momenti di confronto e azioni di comunicazione mirata.
Fra i cittadini permangono stereotipi e modelli di diffidenza diffusa rispetto a allarmi
di ordine pubblico, sicurezza, concorrenza (oggi gli stranieri sono meno del 9% della
popolazione in Italia) alimentati dai media spesso superficiali e sensazionalisti.
Le associazioni non profit rispondono alle esigenze di carattere umanitario, sanitario,
legale e sono chiamati a svolgere un importante ruolo di mediazione dei conflitti e
nel processo di comunicazione di espressione dei bisogni e dei servizi offerti.

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16. Rappresentazione sociale nel media televisivo
Uno degli ambienti dove maggiormente si forma il pensiero collettivo è la
televisione. In particolare negli ultimi anni l’espressione delle serieTV, trasmesse
anche sui canali OTT (Netflix, Prime, etc) e derivazione degli sceneggiati o originali
televisivi dell’avvio delle trasmissioni televisive in Italia o delle prime serie arrivate
negli anni 70, ha contribuito in maniera sostanziale alla formazione di una posizione
e di una rappresentazione di temi sociali fra i quali l’inclusione e la vita delle persone
con disabilità.

In questo caso le rappresentazioni sociali presentano il tema attraverso personaggi,


vicende, situazioni che influenzano il giudizio che le persone si costruiscono sul
fenomeno. In letteratura sono diversi i lavori da cui emerge una stretta correlazione
tra la quantità di fruizione televisiva e i sistemi di conoscenze che le persone
strutturano a proposito della realtà sociale. I canali di comunicazione, e in
particolare la TV, hanno un’importanza maggiore rispetto alla sola necessità di
servire da veicolo di conoscenza, aspetto comunque non banale. Le tecniche
televisive, giornalistiche e narrative offrono utili indicazioni su come sia possibile
modulare tonalità, approfondimenti, parole per colorare di significato le notizie e la
rappresentazione della realtà narrata. Nelle rappresentazioni sociali della disabilità in
Italia, sino al secolo scorso, l’obiettivo principale è stato quello di impietosire, di far
stringere il cuore ai cittadini mediante una comunicazione in stile pietistico e
drammatico. In messaggi sono stati caratterizzati da un doverismo vittimistico nel
quale la leva del senso di colpa può indurre l’interlocutore ad atteggiamenti più
consapevoli, solidali e altruistici.
Un meccanismo, che rischia di innescare la costruzione di un’immagine negativa dei
soggetti protagonisti, diretti o indiretti, della comunicazione. Questa comunicazione
non trova corrispondenza nelle società cultura protestante in generale negli USA per
i motivi che sono stati ampiamente rappresentati nei capitoli precedenti.

Dal 1954 anno di avvio delle trasmissioni televisive in Italia e con la conseguente
affermazione del media televisivo, si assiste un cambiamento del contesto e del
perimetro della rappresentazione. La televisione è dapprima strumento pedagogico
e didattico, quindi diventa intrattenimento e, infine, veicolo di informazione e
portatore di messaggi sociali.
Nel dopo guerra e sino all’avvento del web, le giovani generazioni fruiscono sempre
più la TV e sempre meno i libri e i giornali. La radio resta un media diffuso. Si
iniziano a produrre messaggi pubblicitari (spot) che influiscono ancora di più sulle
emozioni, sulle suggestioni. Lo spot è un condensato di contenuti. In pochi secondi
(30”) deve essere in grado di catturare, veicolare e convincere. L’affermazione della
pubblicità cambia i tempi della comunicazione e avvia un ulteriore percorso di
semplificazione del messaggio che continuerà con l’avvento del web.
Dagli anni 60 in poi il pensiero diffuso è quello veicolato dei media – nota la
frase :“L’ho ha detto la televisione - e si iniziano a demandare ad essi scelte e
posizionamenti.
Ciò che si apprende avviene in via semplificata dallo schermo a tubo catodico
piuttosto che mediante la costruzione di un’opinione propria con il confronto di idee
raccolte sui giornali o sui libri. I medium televisivo e audiovisivo hanno una

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straordinaria capacità di comunicazione emotiva ed estetica, ma minore potenzialità
di informazione.

I primi esempi di serieTV o fiction si presentano negli anni ‘60 con le produzioni RAI
degli sceneggiati, trasposizione televisive di spettacoli teatrali e di grandi opere
letterarie.
Le serie TV prodotte negli anni 70 sono dedicate al genere poliziesco (Sheridan,
Maigret, Wolfe).
L’avvento della TV commerciale, negli anni 80 e 90, apre le porte alle serie straniere
ritrasmesse in Italia. Resta la produzione pubblica con fiction entrate a far parte
della cultura generale (La Piovra, La Squadra, più tardi Gomorra) che hanno
contribuito alla creazione di un pensiero diffuso si temi scottanti come la criminalità
organizzata. Nascono in questi anni anche le soap opera italiane dove non viene
presentata la disabilità se non in casi molto rari (in Cento Vetrine in onda sulle reti
Mediaset si segnala la presenza di un’attrice con disabilità).
Dal 2000 in poi si afferma la produzione di fiction che allargano il perimetro ad
argomenti e temi sociali e maggiormente rappresentativi dell’universo e del dibattito
pubblico.

Il tema disabilità è stato trattato in TV con una certa circospezione e un’iniziale


diffidenza. Dalla alcune ricerche - Besio e Roncarolo 1996, rapporto dell’Osservatorio
sulla Comunicazione Sociale del 2005 - emerge come, sino agli anni 90, vi erano dei
giorni preferibilmente dedicati all’inserimento della disabilità nelle tramissioni – il
martedì, mercoledì e venerdì e quelli lontani dalla festività – in un fascia oraria
preferibilmente mattutina e nel primo pomeriggio, ovvero lontane dal prime time e
quindi in momenti della giornata dove non sono presenti pubblici troppo estesi.
“Occuparsi di disabilità è un dovere, ma ciò offusca gioia e divertimento e va quindi
è un argomento che deve essere relegato in momenti specifici, fatti apposta per
commuoversi o riflettere in modo compunto sulle tragedie della vita”. (Besio e
Roncarolo, 1996)
Nel 2003, RAI-Censis hanno effettuato un campionamento dell’offerta televisiva per
analizzare e valutare le modalità con cui erano stati trattati i temi relativi alla
disabilità. Emerge un profondo cambiamento nel modo si affronta il tema della
disabilità. Si abbassano i toni della drammaticità e si iniziano a presentare gli
argomenti con gioia e serenità. La disabilità viene esplorata per quello che
effettivamente è, con un approccio più concentrato sul racconto, sull'esperienza
vissuta dalla singola persona.
Sempre secondo la ricerca RAI-CENSIS la sensibilizzazione avviene attraverso il
riferimento a casi di vita vissuta, a vicende personali legate alla quotidianità e ai
mille piccoli e grandi problemi che la persona deve affrontare. La disabilità motoria è
maggiormente trattata. Grande assente continua ad essere quella di tipo intellettivo
e relazionale, che pure interessa un amplissimo numero di persone, con disagi
rilevanti.
Sono molto pochi gli spazi di espressione diretta delle persone disabili ma sono per
lo più i conduttori a parlare di loro, rischiando a volte di vedere il soggetto come
mera vetrina o esempio del tema di cui parla.
Nella TV commerciale e generalista, governata dalla logica dell’audience e
dell’Auditel, la presenza delle disabilità è ancora più marginale. Si rischia di cadere

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nei clichés, di per sé rassicuranti, e che fanno parte di quelli archetipi - riferimenti
culturali e appartenenti all’immaginifico collettivo - che sono la base della
rappresentazione sociale. Si lavora molto con gli stereotipi – la puntata con solo
ospiti down del Maurizio Costanzo Show – e la disabilità è presentata come
condizione che fa un po’ impietosire e un po’ sorridere.
In realtà la possibilità di andare oltre esiste. Occorre decostruire il personaggio,
superare gli stereotipi e gli stigmi, ancorati ai preconcetti che influenzano il modo
soggettivo di apprendere e comprendere. Se i personaggi restano dentro gli schemi
il risultato sarà solo quello di alimentare gli stereotipi. Ed è proprio quello che è
successo nel caso delle persone con disabilità nella stragrande maggioranza dei casi.

Le serie TV statunitensi degli anni 80 e 90, approdate con qualche anno di ritardo
nelle emittenti italiane, avevano protagonisti prevalentemente bianchi, etero, di
classe media, Esempi classici sono: “Friends”, “Desperate Housewives”, “Sex and the
City”. Nel 2020–2021 solo il 3,5% dei personaggi rappresentati stabilmente nelle
serie TV erano persone con disabilità.
Vige ancora un’emarginazione delle disabilità dalle sceneggiature e della storie
narrate nelle fiction. Una tendenza parzialmente modificata dopo le fortune di
pellicole con protagonisti disabili (Figli di un Dio minore 1987, Rain Man 1988, Il mio
piede sinistro 1989, Forrest Gump 1994, A beautiful mind 2001, Il discorso del Re
2010)

Il mondo delle fiction rappresenta una realtà proteiforme, che esplora ogni singola
sfaccettatura delle realtà sociale e delle persone che la compongono. In una
rappresentazione corretta e legittima la persona disabile non è sempre sinonimo di
buono. E’ necessario superare un’immagine in cui la persona con disabilità è un
essere umano da compatire sempre e comunque. Per questo il pietismo, tipico delle
apparizioni nelle serieTV sino a 20 anni fa, deve essere messo al bando. In modo
che sia garantita una nuove forme di identificazione con personaggi appartenenti
alle minoranze che assumono una posizione centrale, lasciano ruoli marginali e
diventano protagonisti.

La prima serieTV trasmessa in Italia all’interno della quale si trova una


rappresentazione fedele e non preconcetta della disabilità è “La Casa nella Prateria”.
Le vicende della famiglia Ingalls si intrecciano con una marginale, ma significativa,
presenza di personaggi secondari con disabilità (Olga, Thincker Jones) con la loro
sorprendente diversità, nell’universo della rude normalità dei coloni. Ma il tema della
disabilità irrompe pesantemente nelle trama con la progressiva cecità di Mary, la
primogenita degli Ingalls. Mary non smette di studiare e di essere di aiuto per gli
altri (ribaltamento del concetto di assistenza) e inizia a trovare la sua strada. Lascia
la famiglia, frequenta un istituto per ciechi, vuole un’indipendenza che troverà dopo
aver incontrato il suo
futuro marito. Poi inizia a insegnare e torna al villaggio dove sarà la maestra dei
suoi piccoli concittadini. La rappresentazione delle disabilità diventa meno pietistica
e più inserita nella quotidianità.

In the Good Wife Michael J. Fox, colpito dal Parkinson giovanile nel 1991, dopo aver
reso pubblica la sua malattia nel 2010 decide di portare sul set con un legal drama

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trasmesso negli USA e in onda in Italia su Rai2. Invece di un cameo Fox entra in
pianta stabile nelle serie con il personaggio dell’avvocato Louis Canning. Secondo
Micheal J. Fox “Ogni volta che in una commedia o in una trasmissione televisiva
compare un personaggio disabile si diventa sentimentali, la musica è soft , i toni
sono lenti. Louis Canning è una vera carogna ed è detestabili. Ho voluto dimostrare
che le persone disabili lo possono essere, possono essere rappresentati come vere
cosi come accade con molti personaggi della storie del cinema”.

Fra le serie televisive americane di grande successo che hanno riscosso più critiche
che elogi per la modalità attraverso cui è stata presentata la disabilità vi è
certamente Glee. Kevin McHale interpreta il protagonista Artie Abrams, chitarrista
paraplegico. Vittima di bullismo e molto timido, Artie nutre una sconfinata passione
per la danza che vuole praticare. La serie è stata criticata dalle persone con
disabilità per i dubbi rispetto alla performance di un attore senza disabilità che
interpreta il ruolo di un paraplegico. Questa questione è sempre più spesso
dibattuta perché secondo le associazioni delle persone con disabilità alcuni episodi
risultano offensivi nei confronti dei reali ballerini in sedie a rotelle. Nel cast di Glee
non vi è nessun attore in sedia e quindi, secondo le associazioni, non vi è nessuno
che possa interpretare un danzatore in carrozzina.

In Speechless, invece, il personaggio di J.J Di Meo, ragazzo con una paralisi


cerebrale che non parla e non cammina e comunica attraverso un puntatore
oculare, è piaciuto a tutti.
Un serie brillante, infarcita di sarcasmo che a tratti presenta la disabilità in maniera
velenosa ma molto realte. Gli stereotipi sulla disabilità sono ribaltati per prendersi
gioco dell’attitudine di proporre le persone con disabilità solo per il fatto di essere
disabili a prescindere dalle loro effettive qualità e competenze. Di Meo e i suoi
famigliari affrontano la disabilità con leggerezza ma non con superficialità. La
condizione di disabilità non è uno strumento narrativo a servizio del pianto e della
tragedia, JJ è calato nella sua realtà senza disagio e la narrazione scorre su toni
ironici e ficcanti.

Nel famosissimo Trono di Spade il personaggio di Tyrion Lannister, nano chiamato “il
mezzo uomo” e interpretato dall’attore Peter Dinklage è uno degli eroi della Saga.
Tyrion è un appassionato lettore e usa l’ingegno e non la forza e non diventa mai
una caricatura, come invece accade ad altri personaggi di fiction affetti da nanismo.
Tyrion Lannister, propone una narrazione avanzata e innovativa. Sarcasmo e ironia
vincono su pietismo e drammaticità. Il personaggio disabile non deve essere sempre
un supereroe o suscitare pietà. Può essere normalmente disabile ed essere
presentato con realismo senza imprecisioni.

Esempio di fiction italiana di grande successo Ognuno è perfetto pone la disabilità al


centro della narrazione. Le vicende di Rick, ragazzo di 24 anni affetto da Sindrome
di Down, hanno una svolta quando incontra Miriam ed entra a far parte del suo
team insieme a un gruppo di ragazzi con disabilità. La storia si dipana con una serie
di situazioni e di opportunità che superano quelli che, comunemente, sono
considerati limiti. Per girare la fiction la produzione e il regista si sono avvalsi
dell’aiuto dell’Associazione Italiana Persone Down per cogliere i tratti distintivi e

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unici di una tematica che merita approfondimento e ricerca. I contenuti sono
mostrati con empatia e sensibilità e con schiettezza e sincerità. Il confronto con la
disabilità è vero e diretto e insegna molto a chi è spettatore.

Come dimostrato in questi esempi i personaggi con disabilità – fisica o psichica –


sono presenze fissa nelle fiction e la loro penetrazione mediatica, resa più rilevante
grazie alla diffusione delle piattaforme in streaming, consente di avviare un percorso
di rappresentazione il più possibile aderente alla realtà.
Forza espressiva e capacità di intervenire e mettere in discussione preconcetti e
regole, rendono i protagonisti con disabilità facilmente ricordabili e li collocano come
termini di paragone per chiunque, nel mondo dell'intrattenimento, abbia la volontà
di fornire una rappresentazione intelligente, articolata e ricca di sfumature della
disabilità in tutte le sue molteplici manifestazioni.

17. Fundraising
L’attività di raccolta fondi è una delle azioni essenziali per garantire l’operatività e il
sostengo alla progettualità delle associazioni non profit e in generale di tutti i
soggetti che operano nell’ambito del sociale organizzato. Si tratta di una attività
svolta con tecniche di marketing nella quale il ruolo della comunicazione è decisivo
per la riuscita delle campagne di raccolta perché queste si basano su elementi che
sono l’oggetto dell’attività di comunicazione istituzionale, di brand, di prodotto e
interna.
Le organizzazioni non profit non hanno scopo di lucro ma reinvestono integralmente
i proventi delle loro attività nei servizi e nei progetti svolti che, grazie alle donazioni
e ai finanziamenti pubblici, diventano sostenibili.
Questo rende il settore “terzo”, nel senso di indipendente e libero da forme di
finanziamento diverse che ne potrebbero condizionare l’operato.

Le attività di raccolta fondi sono spesso identificate con il termine fundraising


dall’inglese incrementare (raise) i fondi (fund) Si definisce come:
“Attività di ricerca di fondi provenienti da persone fisiche, enti pubblici, imprese,
fondazioni, essenziali per il funzionamento di enti e associazioni di Terzo Settore”.
Questa attività, svolta sia direttamente dalle associazioni sia da società specializzate,
è decisiva per l’esistenza e il sostentamento dei progetti e si esplicita in una serie di
iniziative di marketing e comunicazione che devono, portare al raggiungimento di
risultati per garantire l’operatività degli enti”.

ll fundraising è l’insieme delle attività organizzate e continuative non più legate a un


singolo evento episodico ma impostate tramite una strategia, con obiettivi di medio
e lungo termine che deve rendere praticabili le attività di interesse generale
dell’associazione. Viene definito anche come: “La gentile arte di insegnare alle
persone la gioia di donare". Rispetto a questa definizione si comprende come per
raggiungere il risultato si debba creare relazione. Il fundraising genera relazioni da
cui discendono le donazioni. Pertanto si tratta di una serie di attività che nascono e
afferiscono ai valori e alla mission che devono essere condivise e sposate da chi
sceglie di sostenere i medesimi principi identitari. Risulta quindi determinante in
questa attività la reputazione, il brand e il rapporto fiduciario che si crea fra il
richiedente e il donatore.

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Il primo esempio italiano di associazione impegnata in attività strutturata di raccolta
fondi risale agli anni 80 quando AIRC – Associazione Italiana Ricerca sul Cancro - fu
la prima a produrre un mailing dedicato alla raccolta fondi. Da quel momento in poi
il processo vide una notevole accelerazione, tanto che oggi, in diverse forme, tutte
le associazioni svolgono attività di fundraising usando questi canali e strumenti:

- 5 x 100
- donazioni dirette da azioni di marketing
- cause related marketing
- merchandising
- SMS solidali
- eventi e aste di beneficenza
- lotterie

Si tratta quindi di attivare un processo di comunicazione, relazione, coinvolgimento


interno ed esterno e di valutazione basato su tre principi cardine:
- verità
- trasparenza
- correttezza

Da questi elementi si sviluppa un processo che parte dall’analisi e dalla valutazione


interna, per determinare i progetti e le iniziative migliori per intercettare il potenziale
donatore. Occorre poi creare un gruppo di lavoro per definire insieme al board:
vision, mission, obiettivi strategici ed operativi e la quantità di risorse necessarie per
poter istruire la campagna. Si passa alla progettazione dove sono individuate le fonti
di finanziamento, le attività di comunicazione a supporto e le modalità per
fidelizzare i donatori. Infine sono indicati i benchmark e i criteri di valutazione per
comprendere l’efficacia della campagna.

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I donatori sono più propensi a effettuare forme di finanziamento o di partecipazione
di piccola entità. Per questo è necessario scomporre un grosso progetto in piccoli
lotti che possano essere sostenuti anche singolarmente e definire quindi delle fasi di
progress che possono essere finanziate singolarmente con importi più ridotti.
Questo facilità l’approccio con il donatore e rende un’idea più precisa dei risultati
generati.
Per istruire un piano operativo di fundraising si parte dal budget a disposizine,
riferito all’obiettivo di raccolta, si analizza il target e lo si segmenta, quindi si
determinano le iniziative, si valutano e descrivono le azioni di comunicazione a
supporto, si specificano le tempistiche e si evidenziano i criteri per la valutazione
delle campagne.
Occorre ricordare che il progetto deve suscitare la felicità nel donatore e
l’appagamento per la valorizzazione del suo gesto.

La comunicazione deve essere semplice, diretta, concisa e allo stesso tempo


esaustiva. Occorre prospettare al donatore l’interesse alla donazione e dare
motivazioni razionali che ne sostengono l’azione. Lavorare solo sul piano emotivo
porta a donazioni spot, poco consapevoli. Meglio costruire una ricorrenza della
donazione con una comunicazione più profonda e precisa.
Le chiavi del successo di una campagna di comunicazione per il fundraising sono
quelle di umanizzare la causa, mettere sempre le persone al centro e in prima fila,
anche in casi di un’emergenza sociale che va descritta attraverso le persone e i loro
racconti.

Spiegare il generale a partire dal particolare, questo da modo di immedesimare e


identificare il donatore. Ribaltare gli stereotipi per raggiungere e riuscire a
coinvolgere in maniera diversa i donatori.

Questi in estrema sintesi sono i 15 punti da utilizzare per creare e valutare una
campagna di fundraising:

1. Il fundraising è una questione di relazione non di denaro


2. Le persone donano alle persone
3. Comunica il bisogno e proponi una risposta
4. Il donatore deve sentirsi protagonista e parte del progetto
5. Occorre conoscere i donatori e profilarli
6. Le persone anziane donano di più
7. Tutti gli strumenti e i canali sono buoni per raggiungere scopo
8. I donatori potenziali sono i tuoi donatori esistenti
9. I processi di donazioni devono essere semplici e intuitivi
10. Chiedere è lecito se si vuole ottenere
11. Usare sempre un tone of voice adeguato e cortese
12. Replicare le strategie del marketing commerciale
13. Dire sempre la verità
14. Utilizzare professionalità e impegno
15. Mandare sempre messaggi di ringraziamento e rendicontare
gli esiti

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Il contenuto di questo file è rivolto esclusivamente agli studenti del corso di Laboratorio di
Comunicazione Pubblica dell’Università Iulm di Milano e non è riproducibile, divulgabile e non può
essere diffuso senza il consenso dell’autore in nessuna forma cartacea o digitale.

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