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“A ogni generazione la sua protesta, a ogni protesta la

sua narrativa”

Christian Palumbo

Relazione sull’incontro online organizzato da CODE l’11/05/2023


L’incontro è organizzato dai membri del progetto CODE (Combating Disinformation with
Democratic Experimentalism), finanziato dall’ambasciata degli Stati Uniti a Roma e incen-
trato sulla lotta alla distorsione del dibattito pubblico. La discussione è stata incentrata sul
seguente quesito: quali sono gli stimoli che hanno portato a organizzare un incontro relativo
alla partecipazione politica giovanile? Gli interventi di tre relatori, fra docenti e ricercatori,
si sono intrecciati nel tentativo ben riuscito di fornire una risposta esauriente alla domanda.
La ragione dietro all’organizzazione dell’incontro è stata l’importanza attribuita dai membri
del progetto alla nascita di diversi movimenti che hanno adottato tecniche di protesta non
convenzionali – due esempi rappresentativi sono Black Lives Matter e Ultima Generazione
– in modo da sottolineare quali sono gli elementi originali e come si contestualizzino nel
panorama politico odierno.

Intervento della prof.ssa Katia Pilati


Katia Pilati, docente di sociologia presso UniTN, dà il La alla discussione interrogandosi sul
perché studiamo i movimenti sociali. Una possibile risposta è che principalmente ce ne inte-
ressiamo in quanto attori di cambiamenti sociopolitici dal basso, capaci di controbilanciare
le decisioni prese dalle istituzioni (top-down). Inoltre si tratta di una forma di partecipa-
zione diretta alla vita politica, che è un aspetto centrale della dimensione democratica. La
relatrice ha poi proceduto a una breve disamina di alcuni movimenti del passato, fra cui in
particolare quelli del ’68, in modo da metterli in relazione con quelli odierni.
Le proteste del ’68, che si estendono per una quindicina di anni a partire dalla metà de-
gli anni ’60, hanno coinvolto principalmente gli studenti (40%) e si sono intrecciate con i
movimenti femminista e operaio. Il movimento studentesco è iniziato con occupazioni nelle
università e nelle scuole superiori e con assemblee, le quali hanno favorito la creazione e
la condivisione di un’identità comunitaria (o, per Turkheimer, di un’“effervescenza colletti-
va”), per poi svilupparsi con l’organizzazione e la partecipazione a manifestazioni pubbliche
in piazza. Il repertorio delle richieste comprendeva inizialmente, in ambito accademico, la
libertà di discussione e di costruzione del piano di studi e l’abbassamento delle tasse, ma
presto si è esteso alla denuncia dello sfruttamento e delle oppressioni dei regimi capitalistici,
facilitando il confronto e la collaborazione con i movimenti operai.
Nel dicembre 2010 scoppiano le primavere arabe, presto estese all’intero Medio Oriente, in
cui i giovani sono tra i principali protagonisti. Durante questo momento storico si assiste

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a diverse sollecitazioni pubbliche, fra cui anche quelle degli indignados (in Spagna e in
Portogallo), che hanno adottato anche la pratica dell’occupazione delle piazze con tende.
Dal 2013 in poi le proteste si fanno di carattere più culturale: Black Lives Matter, Fridays
for Future, Non Una di Meno...
Ci si chiede allora: quali sono le connessioni e le divergenze fra i movimenti attuali e quelli di
fine ‘900? Di certo, in una simile analisi, non si può ignorare l’influsso dei social media, che
hanno parzialmente trasferito l’impegno politico-sociale alla dimensione digitale (Bennett e
Segerberg parlano di “manifestazioni connettive”): crowdfunding, petizioni online, forum di
discussione sono oggi una realtà estremamente florida che funge quasi da primaria forma
di comunicazione fra popolo e istituzioni. Nei movimenti studenteschi del passato recente
i nemici erano identificati nella società borghese, nel capitalismo e nel patriarcato. Come
accennato questi aspetti, che segnavano fra le altre cose anche il conflitto intergenerazionale,
hanno consentito la creazione di due alleanze principali: quella con gli operai, nella comune
denuncia dello sfruttamento capitalista, e quella con il movimento femminista, nella comune
identificazione dell’oppressione socioculturale del nucleo patriarcale. L’ampiezza e l’inter-
connessione di questi frames sono decisamente più robuste di quelle dei movimenti odierni,
al contrario piuttosto frammentati, e questo è vero anche per i movimenti dichiaratamente
intersezionali (come BLM, che non richiede solo la rivisitazione del concetto di razza, ma
anche di quelli di classe e di genere.
Un ultimo punto che è stato toccato riguarda la continuità temporale dei movimenti, limitata
in quelli passati e decisamente più forte oggi, ancora una volta grazie allo scambio rapido di
informazione reso possibile dall’innovazione tecnologica. BLM fa scuola in questo senso: il
movimento è molto attivo online e ha ormai acquisito una importante fluidità, associata alla
regolarità dovuta alla creazione di gruppi stabili dislocati non sono nel continente americano,
ma anche in quello europeo.

Intervento del sociologo Giovanni Moro


L’incontro prosegue con l’intervento di Giovanni Moro, sociologo politico che si presenta
non come specialista dei movimenti sociali, bensì come ricercatore nell’ambito della citta-
dinanza intesa come dispositivo per la partecipazione politica. L’intervento si è rivelato di
carattere maggiormente tecnico ed è iniziato con il delineare gli elementi distintivi dell’o-
dierna “standard view”: la visione del potere politico come responsabilità di prendere delle
decisioni, quella del governo come un sistema di domande e risposte (input/output) e la
centralità dei partiti. Per quanto riguarda la partecipazione politica, essa si svolgerebbe in
tre arene: quella politico-elettorale, quella del dibattito pubblico e quella delle politiche pub-
bliche. Queste non sono viste come indipendenti, bensì interconnesse. Come già osservato
dalla prof.ssa Pilati, un tipo di partecipazione politica odierna particolarmente interessante
è quella digitale, la cui caratteristica fondamentale è la moltiplicazione delle forme: origine
o follow up offline), scala di ricezione variabile da locale a globale, pubblici ristretti o molto
ampi, network temporanei o comunità con organizzazioni e statuti strutturati...
L’ambiente politico digitale è organizzato come un mercato fondato su un’ampia gam-
ma di iniziative partecipative. Il relatore ha proceduto a fornire un elenco descrittivo e
soddisfacentemente esaustivo di tali realtà.
1. Produzione e scambio di contenuti, esperienze e know-how (in particolare, blog).

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2. Raccolta e diffusione di dati e informazioni (aggregazione di informazioni, giornalismo
partecipativo, crowdmapping...).
3. Controllo e sorveglianza (pagine Facebook, siti web per attività di verifica e denuncia,
monitoraggio della comunicazione politica, siti di fact checking...).
4. Monitoraggio di politiche, servizi e situazioni (sondaggio sulla qualità della democrazia,
sulla qualità dell’aria, sull’andamento della vaccinazione da COVID-19...).
5. Deliberazione ed elaborazione di proposte (piattaforme partecipative per l’intervento
diretto nell’attività legislativa e amministrativa, voto online, diffusione e condivisione
di proposte di riforma...).
6. Aggregazione, collaborazione e coordinamento (petizioni, condivisione di condizioni di
difficoltà, sharing – come consumo collaborativo ed economia circolare...).
7. Mobilitazione (coordinamento di iniziative offline, flash mob, mail bombing, twee-
tstorm...).
8. Finanziamenti su larga scala (crowdfunding).
Tutte queste esperienze, nella loro complessità ma anche nella loro materialità, mostrano
come la standard view sopra descritta riesca con molta difficoltà a comprendere tale nuovo
paradigma. La conclusione è che occorre a tutti i costi evitare di tagliare fuori queste forme
di partecipazione politica e tantomeno di equivocarle, in quanto arricchiscono enormemente
il panorama e il repertorio dell’interazione democratica. Il relatore afferma di avere l’im-
pressione che oggi tuttavia esista, dopo la ventata di entusiasmo della seconda metà del
’900, un dilagante scetticismo politico soprattutto nel nostro paese, si sta vivendo un forte
e progressivo calo della partecipazione elettorale.

Intervento della prof.ssa Mirella Paolillo


Segue in conclusione l’interveto di Mirella Paolillo, docente di Teorie e Tecniche della Co-
municazione presso l’Università Federico II di Napoli, la quale ha illustrato una ricerca con-
dotta dall’ateneo sul ruolo dei giovani nell’infosfera. Bisogna prima di tutto intendersi sul
significato di “giovani”, concetto che sembrerebbe vivere un’estensione semantica (ISTAT).
Un’altra nozione altrettanto ampia è quella di “generazione”, ossia l’appartenenza alla stes-
sa coorte demografica e l’esposizione alle stesse modalità di “stratificazione della coscienza”
(Mannheim 1926, Donati 2002). Fra i nativi digitali, si distingue fra millennial, diventati
maggiorenni durante l’esplosione di Internet (nati tra 1981-1996), e Generazione Z, nati
nell’era dell’iperconnessione (nati tra il 1997-2012).
Nell’ambito della sfera giovanile, la ricerca ha tentato una classificazione della partecipazione
politica in base a una “intensità”, ossia allo sforzo e al carico cognitivo.
• Alta intensità: partecipazione a proposte o campagne, mobilitazione in organizza-
zioni politiche, offrire candidature.
• Media intensità: attività di contatto (interazioni con politici o istituzioni...), espo-
sizione di opinioni politiche anche su piattaforme digitali.
• Bassa intensità: forme di partecipazione politica tradizionali come voto, conversa-
zioni fra amici o in famiglia, consumo di notizie giornalistiche.

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Il campione intervistato (fra il 2020 e il 2021) è costituito da circa 500 giovani residenti in
Campania – peraltro, secondo i dati ISTAT, la regione italiana più giovane e social – e ha
per oggetto la partecipazione delle nuove generazioni nella sfera pubblica attraverso i media
digitali. Si sono tenuti in considerazione 5 aspetti:
1. socio-anagrafica;
2. frequenza nell’uso di Internet e dei social;
3. grado di informazione politica (ovvero, modalità di consumo delle informazioni);
4. livello di comunicazione politica (percezione dell’ambiente comunicativo digitale e delle
modalità di comunicazione delle figure politiche);
5. grado di partecipazione politica (percezione dello spazio pubblico, relazioni fra le
pratiche di partecipazione tradizionale e digitale...).
È emerso con evidenza che tutte le forme tradizionali di partecipazione alla vita politica
sono drasticamente diminuite a seguito della pandemia da COVID-19. Sono invece parecchio
aumentate le forme di partecipazione online, fra le quali si annoverano l’assistere a video
o dirette di un politico sul proprio profilo social e il seguire pagine di gruppi politici. Si
è infine condotta un’analisi multivariata sulle tipologie di comportamenti dei giovani nella
sfera pubblica, da cui è emerso che è possibile una suddivisione in quattro categorie: esclusi,
partecipi, informati, disinteressati. Si riporta in relazione l’annessa tabella mostrata durante
la presentazione dei risultati dello studio.
La ricerca permette di concludere con relativa sicurezza che uno dei problemi principali
oggi è la visione di un panorama giovanile distante dalla politica, invece che di una politica
lontana dai giovani: questi ultimi, che con i divieti imposti dall’isolamento da COVID-
19 si sono abituati ancor di più a consumare informazione online, non sono permeati dai
bombardamenti politici a causa della loro variegata e sbilanciata dieta mediale. Ripartendo
dal territorio e dall’intersezionalità, l’esercizio che la sfera politica dovrebbe svolgere è quello
non di ridurre il problema della comunicazione politica giovanile alla necessità di modificare
il linguaggio, come la si è visto fare di recente con contenuti di dubbia efficacia, bensì di
aumentare l’inclusione dei giovani nell’ambito della discussione e della concertazione politica.

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