Sei sulla pagina 1di 23

Immigrazione e protesta https://journals.openedition.org/qds/1398?

lang=en#text

SEARCH All OpenEdition

Quaderni di Sociologia
21 | 1999
Protesta senza movimenti?
la società italiana / Protesta senza movimenti?

Immigrazione e protesta
D�������� ����� P����
p. 14-44
https://doi.org/10.4000/qds.1398

Full text
Una prima stesura di questo articolo è stata presentata alla conferenza su «The
Impact of Increased Economic Integration on Italy and the Rest of Europe»,
organizzata da Sam Barnes e Miriam Golden alla Georgetown University,
Washington d.c., nella primavera del 1999. Desidero ringraziare loro e gli altri
partecipanti alla conferenza per gli utili stimoli e commenti.

1 Milano, 16 gennaio 1999. I partiti del Polo organizzano a Milano una


manifestazione contro il crimine. Alleanza Nazionale e Forza Italia accusano il
governo di debolezza nei confronti di criminalitè e immigrazione clandestina e
domandano maggiori poteri per polizia e sindaci, citando a modello Rudolph
Giuliani. Il sindaco di Milano partecipa al corteo. Nello stesso giorno e nella stessa
città, il governatore della Banca d’Italia Antonio Fazio, nel suo discorso di
ringraziamento per la laurea in economia ricevuta honoris causa alla Università
Cattolica afferma che, in sistemi demografici dove il numero dei giovani declina,
l’ingresso di lavoratori stranieri può essere un arricchimento («La Repubblica», 17
gennaio 1999).

2 Firenze, 17 gennaio 1999. La Confcommercio indice una dimostrazione contro


spacciatori, prostitute e venditori ambulanti abusivi. Diciassette comitati locali
partecipano all’incontro, accusando il sindaco di centro-sinistra di non fare
abbastanza per fermare il «degrado» della città.

3 Milano, 13 febbraio 1999. I sindacati guidano un corteo «per una città sicura e
solidale». Circa 100.000 lavoratori e cittadini – «di vari colori» come diranno i

1 of 23 4/3/2023, 12:53 PM
Immigrazione e protesta https://journals.openedition.org/qds/1398?lang=en#text

media – partecipano alla manifestazione; fra loro è il sindacato di polizia �����.


Prima dell’inizio del corteo, l’arcivescovo di Milano, Carlo Maria Martini incontra i
sindacati e i rappresentanti delle comunità straniere in Italia invitando a «trovare i
giusti punti di equilibrio tra solidarietà, legalità e sicurezza». Il segretario della
����, Sergio Cofferati, ricorda che «la società multietnica è nel nostro futuro» («La
Repubblica» 14 febbraio 1999).

4 Torino, 14 febbraio 1999. La Lega organizza una messa in latino in Piazza di


Porta Palazzo, dove un mese prima l’Imam di Torino aveva celebrato la fine del
Ramadan. Trecento fedeli assistono alla cerimonia religiosa, durante la quale
vengono spesso evocati episodi simbolici della guerra tra cristiani e musulmani,
come la battaglia di Lepanto nel 1571 e l’assedio turco di Vienna nel 1638. La zona è
piena di manifesti della Lega, dove si legge: «Stop ai clandestini, zona controllata
dai volontari verdi». Il prete che celebra la messa, seguace di Monsignor Lefebvre,
dice ai fedeli: «siamo qui per riprendere possesso di questa piazza… non vogliamo
fonderci, non vogliamo sparire nel calderone del mondialismo dove tutto è uguale…
Non abbiamo niente contro i mussulmani, basta che si convertano. Perché non è
vero che tutti gli dei sono eguali. Il nostro è quello vero» («La Repubblica», 15
febbraio 1999). Pochi giorni dopo, la Lega indice un referendum contro la nuova
legge sull’immigrazione. Umberto Bossi spiega che «l’America utilizza vari
strumenti per impadronirsi del dominio mondiale: tra questi c’è la globalizzazione
… con questo referendum vogliamo dire no alla cancellazione dei popoli e delle
culture» («La Repubblica», 19 febbraio 1999).

5 Come questi stralci di cronaca recente bene illustrano, in Italia, come quasi
ovunque nei paesi della Unione Europea, l’immigrazione extra-comunitaria è
divenuta uno dei temi più conflittuali nel dibattito politico. L’oggetto del contendere
riguarda una delle principali sfide per l’integrazione europea: lo sviluppo di una
nuova cittadinanza. Se la costruzione di una «cittadinanza europea» è ancora ad uno
stadio iniziale, più rapidamente si è invece definita l’immagine dello straniero:
l’immigrato dall’esterno dei confini dell’��, l’extracomunitario, appunto. E contro gli
extracomunitari si sono infatti coagulati una serie di azioni di protesta, più o meno
strutturate da imprenditori politici. Allo stesso tempo, comunque, la presenza degli
immigrati ha portato a mobilitazioni per un allargamento dei diritti di cittadinanza a
tutti i residenti, a prescindere dalla loro nazionalità.

1. Immigrazione e protesta: una


introduzione
6 Nonostante la sua rilevanza politica, la protesta sul tema dell’immigrazione –
contro gli stranieri o in solidarietà con essi – è un terreno di studio relativamente
poco esplorato e, soprattutto, dove i frammenti di ricerca esistenti si collocano
all’interno di tradizioni disciplinari diverse e, in buona misura, non comunicanti tra
loro. La letteratura sui movimenti sociali si è specializzata infatti nell’analisi dei
movimenti della sinistra libertaria – movimento ecologista e movimento delle donne,
soprattutto – lasciando prevalentemente scoperte le mobilitazioni su temi
difficilmente definibili come «postmaterialisti» e, ancor di più, sui movimenti
«distasteful» della destra (della Porta e Diani, 1997, cap. 1). Di movimenti pro-
immigrati si è parlato, peraltro non molto, nel filone di letteratura sull’etnicità, che si
è concentrato sulle organizzazioni degli immigrati, collegando le loro caratteristiche

2 of 23 4/3/2023, 12:53 PM
Immigrazione e protesta https://journals.openedition.org/qds/1398?lang=en#text

con quelle dei gruppi immigrati stessi: la loro concentrazione territoriale, la loro base
sociale, le loro capacità organizzative (Soysal, 1994, 85; cfr. anche Rex, 1994).
Dall’altra parte, le mobilitazioni anti-immigrati sono state analizzate soprattutto nella
loro ala più radicale – nella ricerca sul razzismo o in quella sui partiti dell’estrema
destra (ad esempio, Bjorgo e Witte, 1993; Koopmans e Kriesi, 1997).
7 Divisi tematicamente, questi filoni di ricerca sono anche difficili da combinare data
la profonda diversità nell’approccio. Nella letteratura sul razzismo ha prevalso infatti
una concezione dell’azione collettiva prevalentemente irrazionale, dove gli immigrati
divenivano il capro espiatorio dell’insofferenza individuale legata a privazione
relativa (disoccupazione, crisi del welfare, ecc.) o perdita di riferimento valoriale
(insicurezza, anomia, ecc.). La letteratura sui movimenti della sinistra libertaria è
stata invece a lungo dominata da un approccio razionale, che vede gli attori collettivi
come capaci di mobilitare le risorse sociali e istituzionali presenti nell’ambiente e
utilizzarle in vista di fini di trasformazione sociale e politica. Solo di recente,
l’attenzione si è estesa alle risorse simboliche.
8 Non solo l’emergere contemporaneo delle mobilitazioni anti-immigrati e pro-
immigrati, ma anche la loro costante interazione, se non altro sul piano simbolico,
renderebbe invece estremamente proficua un’analisi parallela di entrambe. In questa
direzione, un progetto di ricerca comparato su Germania, Gran Bretagna, Svizzera,
Francia e Olanda al momento in corso si propone di guardare ai due tipi di
movimento, considerando per entrambi sia le opportunità politiche presenti
nell’ambiente che gli schemi interpretativi attraverso cui queste circostanze
acquistano significato per gli attori (Koopmans e Statham, 1998a). L’ipotesi
principale della ricerca è che la mobilitazione sull’immigrazione è influenzata, su
entrambi i fronti, da una struttura delle opportunità politiche, dove ampio spazio
viene dato ai diritti di cittadinanza disponibili per gli immigrati, e da una struttura
delle opportunità culturali, legata in particolar modo alle concezioni diffuse
sull’immigrazione. Le differenze nell’entità e nel tipo di protesta deriverebbero sia
dalla definizione nazionale della cittadinanza, con la classica distinzione tra jus soli e
jus sanguinis (Brubaker, 1994), che dalle «differenti etichette simboliche che le
nazioni assegnano agli immigrati» (Koopmans e Statham, 1998b, 10). Secondo i
primi risultati di quella ricerca, ad esempio, mentre nella Gran Bretagna, che
riconosce uno status specifico ai gruppi etnici, questi tendono a intervenire di più nel
dibattito politico, focalizzando le loro richieste sulla politica interna, in Germania,
dove la definizione degli immigrati considerati come Gastarbeiter (lavoratori ospiti)
sottolinea il loro status precario, gli immigrati intervengono poco nel dibattito
politico interno, restando la loro attenzione concentrata sui paesi d’origine1. O
ancora, in Germania, una definizione etnica della cittadinanza (jus sanguinis)
avrebbe dato risonanza ai movimenti xenofobi, e la debolezza dello status giuridico
degli immigrati avrebbe ridotto la loro capacità di azione collettiva, lasciando la
mobilitazione antirazzista nelle mani dei gruppi locali. In Francia, invece, una
definizione territoriale della cittadinanza (jus soli), garantendo i pieni diritti ad una
seconda generazione di immigrati, avrebbe facilitato la loro partecipazione alla vita
politica francese, nonostante una concezione culturale assimilazionista riducesse la
possibilità di rappresentazioni di tipo etnico2. In Gran Bretagna, un approccio
multiculturale, legato ad un modello di cittadinanza coloniale – con una definizione
della cittadinanza come soggezione allo stesso dominio (Castles e Miller, 1993) –
avrebbe invece favorito un intervento degli immigrati come gruppo etnico.
9 Questa enfasi sulle condizioni nazionali non è condivisa da chi ha sostenuto che, in
particolare sul tema dell’immigrazione, una sempre maggiore rilevanza assumono le
variabili sovranazionali. Non solo i flussi migratori sono determinati da
trasformazioni dell’economia globale (Hollifield, 1992), ma le rivendicazioni degli
immigrati vengono elaborate sempre più in termini di diritti umani universali
(Jacobson, 1996, 9). Si è parlato, infatti, di «una trasformazione nel più rilevante
principio di organizzazione dell’appartenenza nella politica contemporanea… Diritti e

3 of 23 4/3/2023, 12:53 PM
Immigrazione e protesta https://journals.openedition.org/qds/1398?lang=en#text

obbligazioni individuali, che un tempo erano collocati storicamente nello stato-


nazione, si sono sempre più spostati su un piano universalistico, trascendendo le
frontiere di un singolo stato nazione» (Soysal, 1994, 164). A livello politico, le
organizzazioni intergovernative – prima fra tutte, l’Unione Europea (��) – sono state
considerate come principali loci del potere di definizione del tema dell’immigrazione:
attorno a loro si sono formate di conseguenza numerose organizzazioni non
governative internazionali. Se un approccio più pessimista ha visto l’Europa
trasformarsi sempre più in una fortezza chiusa agli immigrati, percepiti come
problemi di sicurezza interna (terroristi, criminali ecc.), altri hanno visto nell’�� una
nuova opportunità per l’estensione dei diritti di cittadinanza anche agli immigrati.
10 Come cercheremo di argomentare in quanto segue, il caso italiano indica che
opportunità nazionali e opportunità internazionali si intrecciano nell’influenzare le
mobilitazioni sul tema dell’immigrazione. Le precondizioni socio-economiche per la
protesta sono chiaramente influenzate dalle trasformazioni nell’economia globale,
ma presentano anche peculiarità nazionali. Gli schemi interpretativi simbolici per
analizzare le nuove sfide dell’immigrazione e della cittadinanza vengono importati
dall’estero, ma sono anche poi adattati alle radici locali. Le istituzioni della
cittadinanza hanno diverse radici nazionali, che continuano ad avere i loro effetti
ancora oggi, ma l’�� spinge, in questo campo come in altri, verso un inevitabile
avvicinamento tra i diversi modelli nazionali.
11 Al di là della rilevanza delle tradizioni nazionali e dei processi globali (o, almeno,
europei) nell’influenzare le condizioni socio-economiche, culturali e istituzionali della
mobilitazione sull’immigrazione, si deve comunque aggiungere che il suo sviluppo è
fortemente influenzato dalla configurazione politica nazionale. Se le variabili relative
a istituzioni e concezioni della cittadinanza non sono certo ininfluenti, le
caratteristiche specifiche delle mobilitazioni dipendono dal contesto politico
contingente, dalla disponibilità di imprenditori politici disponibili a «cavalcare» un
certo tema, dalle loro specifiche tradizioni culturali, dalla loro capacità di aggregare
domande e trasmetterle al sistema politico. Si vedrà infatti che di movimenti pro-
immigrati e di movimenti anti-immigrati si può parlare solo in senso molto lato. Più
che attori dotati di (seppur vaghe) identità collettive e (seppur flessibili) reticoli
organizzativi comuni, vi sono aggregati occasionali di soggetti diversi che, pur
condividendo alcuni obiettivi «oggettivi», difficilmente si presenterebbero come parti
di un progetto comune.
12 Oggetto di questo articolo è dunque la protesta sull’immigrazione in Italia. In
particolare, guardando alla ricerca condotta in altri paesi sullo stesso tema, cercherò
di individuare somiglianze e differenze, possibili effetti della diffusione cross-
nazionale di idee e della presenza di reticoli sovranazionali di attori collettivi, ma
anche indicatori della persistente rilevanza del contesto nazionale. Utilizzando sia
un’analisi secondaria dei frammenti di informazioni sul tema presenti in diversi filoni
di letteratura che i primi dati raccolti nel corso di un «progetto pilota» sul caso di
Firenze, descriverò innanzitutto alcune caratteristiche della mobilitazione
sull’immigrazione in Italia, distinguendo una coalizione pro-immigrati e una
coalizione anti-immigrati. Successivamente, discuterò il grado relativo di influenza
delle opportunità sociali, culturali e istituzionali presenti a livello nazionale, e di
quelle presenti invece a livello sovranazionale (prevalentemente europeo),
soffermandomi quindi sulle caratteristiche della configurazione politica.

2. La protesta sull’immigrazione in
Italia
13 A partire dalla fine degli anni ottanta, in Italia come nelle altre democrazie
europee, il tema dei limiti all’immigrazione e dei diritti degli immigrati ha iniziato a

4 of 23 4/3/2023, 12:53 PM
Immigrazione e protesta https://journals.openedition.org/qds/1398?lang=en#text

polarizzare l’opinione pubblica. Una coalizione «pro-immigrati» ha sottolineato la


necessità di integrare gli immigrati estendendo i diritti civili, politici e sociali a tutti i
residenti, a prescindere dalla loro nazionalità; una coalizione «anti-immigrati» ha
chiesto una chiusura delle frontiere e la difesa della cultura e delle condizioni
materiali degli autoctoni.

2.1. La coalizione pro-immigrati


14 Le principali caratteristiche della mobilitazione pro-immigrati in Italia sono il
ruolo di patronato svolto dalla sinistra istituzionale e, soprattutto, dai sindacati; il
forte coinvolgimento del Terzo Settore nell’implementazione delle politiche di
integrazione degli immigrati; e la posizione estremamente debole dei rappresentanti
delle comunità di immigrati. Infatti, in Italia, «i sindacati, le Chiese, gli organi di self-
help adempiono, in determinati contesti, alle medesime funzioni che altrove sono
devolute all’associazionismo immigrato» (����, 1998, 209).
15 Secondo il Censis, all’inizio degli anni novanta erano presenti in Italia 266
associazioni di immigrati, spesso comunque organizzativamente deboli, e solo in
pochi casi riconosciute e sostenute dalle ambasciate dei paesi di provenienza. Altre
196 associazioni impegnate nel settore erano composte solo da italiani oppure miste
(Censis, 1991, in Campani, 1994, 145). Alcune di esse erano emerse negli anni
settanta in solidarietà con i rifugiati politici dall’America Latina e dall’Eritrea e
avevano poi esteso, all’interno di un discorso anti-imperialista, il loro raggio di
interesse anche agli immigrati «economici» provenienti da altri paesi. Altre sono
state fondate alla metà degli anni ottanta in ambienti vicini a partiti e associazioni sia
cattoliche che di sinistra per fare pressione per una legge sull’immigrazione. Molti
gruppi si sono poi formati all’interno della famiglia della sinistra libertaria (della
Porta e Rucht, 1995; anche della Porta 1996) – in particolare, nel movimento
pacifista e in quello ecologista – altri all’interno dei sindacati.
16 Le prime rivendicazioni a favore dei diritti degli immigrati sono venute infatti, alla
metà degli anni ottanta, da una coalizione di gruppi cattolici (come la Caritas o la
Comunità di Sant’Egidio), associazioni un tempo attive sul tema degli italiani
emigrati all’estero (come l’Istituto Fernando Santi e la Federazione italiana lavoratori
emigrati e famiglie, vicina alla sinistra tradizionale) e sindacati (Campani, 1994;
Veuglers, 1994). La questione dei diritti degli immigrati venne sollevata dal Comitato
per una legge giusta – fondato nel 1985 da Acli, Caritas, sindacati e varie associazioni
laiche – con l’obiettivo di fare pressione sui partiti e sensibilizzare l’opinione pubblica
(Veugelers, 1994, 37). Questi gruppi svilupparono un discorso inclusivo di solidarietà
«usando una strategia di “mediazione degli interessi”, mentre le diverse
organizzazioni si alleavano per far pressione sui loro differenti protettori nel sistema
partitocratico. L’effetto fu di rendere l’immigrazione un argomento politico
trasversale ai partiti, ma poco tematizzato» (Statham, 1998, 27). Non a caso, sia il Pci
che la Dc avevano politici coinvolti nella mobilitazione pro-immigrati. Almeno fino
alla fine degli anni ottanta, le associazioni etniche mantennero invece una strategia di
«sopravvivenza marginalizzata»: «gli immigrati avevano difficoltà a elaborare una
identità collettiva nella sfera pubblica e non avevano riconoscimento da parte delle
istituzioni politiche» (Statham, 1998, 25).
17 Il tema dell’immigrazione divenne via via più rilevante a partire dal 1989 – in
particolare dopo il corteo di protesta che seguì l’assassinio, avvenuto in agosto a Villa
Literno, di un rifugiato politico sudafricano, Jerry Masslo. In quella occasione, tutti i
partiti stigmatizzarono l’omicidio, e molti parlamentari presero parte al funerale,
mentre i media diffondevano messaggi di tolleranza e integrazione. Nello stesso
anno, centinaia di migliaia di persone parteciparono alla prima marcia nazionale
contro il razzismo, tenutasi a Roma il 7 ottobre. Nel 1990 e 1991, la crisi albanese, con
l’ondata di rifugiati sbarcati sulla costa pugliese, polarizzò comunque il dibattito

5 of 23 4/3/2023, 12:53 PM
Immigrazione e protesta https://journals.openedition.org/qds/1398?lang=en#text

sull’immigrazione. Mentre nel 1990, gli albanesi vennero accolti a Brindisi con tutti
gli onori («Era un trionfo… c’erano sindaci e prefetti, parlamentari e cardinali»,
citato in Bonifazi, 1998, 99), gli sbarchi del 1991 produssero un clima di
preoccupazione – accresciuto dall’evidente impreparazione dello stato italiano.
18 Proprio come reazione ai primi episodi di violenza, ci fu in questo periodo una
crescita nel numero delle associazioni pro-immigrati – fra loro, il gruppo di sinistra
Italia–Razzismo – mentre veniva fondata una Consulta sui temi dell’immigrazione,
formata da rappresentanti di associazioni degli immigrati, gruppi di interesse,
sindacati e pubblica amministrazione. Circa 250 associazioni di immigrati presero
parte alla prima conferenza internazionale sull’immigrazione nel giugno del 1990. Il
discorso dominante era quello del «buon immigrato», che «stava solo esercitando il
suo diritto di fare ciò che molti emigrati italiani avevano già fatto in passato…
contrapposto al “cattivo” razzista, minoranza indesiderabile della comunità
nazionale» (Statham, 1998, 29-30).
19 I gruppi pro-immigrati si mobilitarono a diversi livelli. Nel 1992 venne creato un
«Patto nuovi diritti di cittadinanza per un parlamento anti-razzista» da associazioni
volontarie – incluse poche organizzazioni di immigrati – per sponsorizzare candidati
al parlamento di vari partiti, e contribuì all’elezione di 90 di essi e all’estensione agli
immigrati di alcuni diritti sociali e civili. Aumentò inoltre il numero delle associazioni
di volontariato che offrivano agli immigrati servizi quali corsi di italiano, vitto e
alloggio per situazioni di emergenza, attività sociali e culturali3. Accanto alle
associazioni specializzate sul tema dell’immigrazione, cominciarono ad occuparsi di
integrazione degli immigrati anche associazioni già impegnate su gruppi marginali,
aiuti al Terzo Mondo e difesa dei diritti civili (Allasino, Babtiste e Bulsei, 1995). La
tradizionale debolezza del welfare state per i settori marginali della popolazione,
insieme all’ampia percentuale di immigrati occupati in varie forme di lavoro nero,
accentuò la loro dipendenza dal volontariato, capace di garantire diritti informali a
coloro che non erano riconosciuti come portatori di diritti dallo stato (Zincone, 1994).
20 In questo settore di intervento come in altri, il volontariato si presenta come
estremamente eterogeneo, con una netta distinzione tra le tradizionali associazioni
cattoliche, con un intervento di tipo «caritatevole», e le più recenti associazioni di
«tutela dei diritti», nate spesso all’interno dei movimenti sociali della sinistra
libertaria. Come conferma una ricerca su Firenze (Burbui, 1997), le organizzazioni
cattoliche sono infatti specializzate nell’offerta di servizi (in particolare in relazione
all’emergenza abitativa), mentre le associazioni laiche intervengono nella difesa
(anche attraverso ricorsi legali) dei diritti degli immigrati, focalizzando l’attenzione
sui bisogni culturali dei diversi gruppi etnici e sull’educazione alla tolleranza dei
cittadini italiani. Nel nuovo associazionismo laico, c’è una sostituzione della categoria
neutrale del «povero» con quella, socialmente caratterizzata, di «marginale»;
parallelamente, l’obiettivo si sposta dalla carità all’implementazione dei diritti di
cittadinanza. Dal punto di vista organizzativo, le associazioni laiche, che coinvolgono
persone mediamente più giovani, sono più specializzate, danno una importanza
crescente alla formazione professionale dei loro membri, e hanno anche spesso
personale stipendiato. Ancora per i gruppi nuovi, vi sono contatti frequenti con la
pubblica amministrazione (che coinvolgono 9 delle 10 associazioni analizzate nella
citata ricerca su Firenze), che spesso sfociano in sostegno economico – specialmente
nella forma del contracting out di specifici servizi – in alcuni casi di dimensioni
sostanziose (un’organizzazione ha un bilancio annuale di un miliardo e mezzo di lire;
una di 900 milioni; e altre due di circa 500 milioni ciascuna) (Burbui, 1997)4. Come
ha notato Giovanna Zincone, «la disponibilità dello stato a delegare una parte delle
proprie funzioni ad organizzazioni della società civile dipende dalla forza e dalla
lealtà delle associazioni stesse» (1994, 29). Anche nei nostri casi, infatti, una sorta di
«protezione politica» sembra caratterizzare il rapporto delle amministrazioni locali
rispetto alle associazioni di volontariato.
21 Molte delle associazioni che hanno elaborato il tema dell’immigrazione all’interno

6 of 23 4/3/2023, 12:53 PM
Immigrazione e protesta https://journals.openedition.org/qds/1398?lang=en#text

di un discorso di diritti civili sono state fondate negli anni novanta in risposta ad
attacchi razzisti contro gli immigrati. Nel caso di Firenze, ad esempio, molti gruppi
sono stati formati da attivisti di vari movimenti sociali dopo la Marcia dei cittadini
indifesi, guidati da associazioni di commercianti nel 1990 contro gli ambulanti
irregolari, e l’aggressione organizzata a cittadini extra-comunitari durante il
carnevale dello stesso anno. Pochi giorni dopo l’aggressione, oltre 40.000 persone
presero parte al corteo indetto da diciannove comunità di immigrati, sindacati e
associazioni di volontariato. Negli anni novanta, anche associazioni della sinistra più
radicale, come il Movimento di lotta per la casa o il Centro popolare autogestito a
Firenze, hanno cominciato a intervenire sul tema dell’immigrazione, offrendo spesso
anche servizi agli immigrati5.
22 Un’altra peculiarità del caso italiano è il ruolo preponderante dei sindacati
all’interno della coalizione pro-immigrati. Infatti, «i sindacati sono stati, in questi
anni, uno degli attori che ha prestato maggiore attenzione alle condizioni degli
immigrati … mirando sempre all’eguaglianza normativa e retributiva» (Bonifazi,
1998, 89). I sindacati italiani, per cultura egualitari, hanno agito «per evitare abusi
contro la parte debole della forza lavoro ma anche e soprattutto per evitare una
competizione internazionale tra lavoratori» (Zincone, 1994, 9). Fin dalle prime leggi
sull’immigrazione, i sindacati hanno infatti surrogato le debolezze della pubblica
amministrazione, offrendo consulenza e protezione legale agli immigrati. Dato
comunque il basso livello di sindacalizzazione degli immigrati, l’azione dei sindacati è
stata di tipo avocativo piuttosto che rappresentativo (Zincone, 1994, 83)6.
23 Per quanto riguarda le associazioni degli immigrati, alcuni canali di accesso alle
istituzioni si sono aperti nel corso degli anni novanta. Per esempio, a Firenze, dopo la
menzionata aggressione razzista, l’amministrazione comunale aprì un Ufficio
immigrazione che organizzava incontri tra gli amministratori pubblici e
rappresentanti di comunità straniere, associazioni di volontariato e sindacati. A
livello provinciale, la Conferenza permanente sull’immigrazione, focalizzata
sull’integrazione culturale degli immigrati, coinvolge anche rappresentanti delle
comunità immigrate. Anche alle Consulte regionali sull’immigrazione partecipano,
oltre ad amministratori pubblici e sindacati, anche associazioni di immigrati. Ancora
il caso fiorentino indica che alcune associazioni etniche – come quelle degli egiziani e
degli eritrei – sono ben strutturate e capaci di ottenere finanziamenti dai governi
locali e regionale.
24 Nonostante questi segnali di mutamento, comunque, le associazioni degli
immigrati rimangono prevalentemente deboli e non integrate. Ancora a proposito del
caso fiorentino, molte di esse lamentano gli scarsi contatti con l’amministrazione
locale, mentre rappresentanti delle comunità immigrate descrivono l’Ufficio
immigrati come un «ufficio postale» – dove gli immigrati senza domicilio
permanente ricevono la posta – con una scarsa conoscenza dei problemi degli utenti.
Anche le associazioni composte da italiani impegnate sul tema dell’immigrazione
hanno interazioni spesso difficili con quelle costituite su basi etniche: alcuni dei
gruppi locali sono accusati dai rappresentanti delle comunità etniche di
monopolizzare i contributi economici pubblici sul tema dell’immigrazione; altre di
strumentalizzare il tema dell’immigrazione per i loro fini politici. Gli stessi
rappresentanti dei gruppi etnici denunciano infine i contrasti tra le varie comunità,
che ostacolano una possibile azione comune (Auzmendi, Bartolozzi, Chiarantini,
Fabbri, 1998). In generale, conflitti interni hanno a lungo ostacolato la nomina dei
rappresentanti delle minoranze etniche nelle consulte regionali (Zincone, 1994, 81).
25 Sintetizzando, la coalizione pro-immigrati è caratterizzata in Italia dalla debolezza
delle organizzazioni di immigranti e dal ruolo importante giocato invece da: a)
associazioni di volontariato cattoliche, che inseriscono il tema dell’immigrazione
all’interno di un discorso tradizionale di assistenza caritatevole; b) sindacati e gruppi
sinistra, che affrontano il tema dell’immigrazione all’interno di un discorso di
solidarietà e difesa di diritti.

7 of 23 4/3/2023, 12:53 PM
Immigrazione e protesta https://journals.openedition.org/qds/1398?lang=en#text

2.2. La coalizione anti-immigrati


26 Le mobilitazioni contro l’immigrazione si sono sviluppate in Italia più tardi che in
altri paesi europei. Nel 1984, la Commissione d’inchiesta del Parlamento europeo su
fascismo e razzismo osservava che, nel nostro paese, il numero di episodi di razzismo
era ancora molto basso (in Campani, 1993, 517). Solo nel 1987 l’immigrazione
cominciò a essere tematizzata come problema nazionale. Come notava allora Luigi
Manconi, «le attuali condizioni di sviluppo della nostra comunità nazionale – lo
stadio raggiunto dal processo di civilizzazione – sembrano non consentire
manifestazioni aperte di razzismo ideologico (quello che esalta l’appartenenza a una
razza indicata come superiore…) o biologistico (quello che accredita una scala
gerarchica delle etnie, ordinate secondo criteri di evoluzione). All’opposto emerge da
molte fonti il bisogno di chi «incontra» l’immigrato di autorappresentarsi come non-
razzista, anti-razzista, tollerante e animato da sentimenti filantropici… In ogni caso,
l’insistente autorappresentarsi come “non-razzisti” non impedisce il manifestarsi di
un’altra tendenza: quella alla periodica stereotipizzazione di gruppi e comunità»
(Manconi, 1990, 46-47). È solo nel 1991 che un «razzismo ordinario» emerge in Italia
(Balbo e Manconi, 1992, 30). Negli anni novanta, tre principali attori possono essere
rintracciati nella coalizione anti-immigrati: una tradizionale mobilitazione di
nazionalismo di destra; il razzismo violento; la protesta localista sui temi della
sicurezza.
27 Il primo tipo di attore normalmente coinvolto nelle mobilitazioni anti-immigrati
non è particolarmente forte in Italia – almeno se confrontato con Francia o
Germania. Nessun partito è nato sul tema del controllo dell’immigrazione, e i partiti
di destra esistenti hanno avuto posizioni ambigue rispetto a esso. L’estrema destra ha
tradizionalmente fondato la sua identità sull’anticomunismo e solo occasionalmente
ha lanciato campagne anti-stranieri. Nel 1988, vi furono alcuni tentativi di imitazione
del francese Front National, che comunque vennero presto abbandonati.
28 Per varie ragioni, infatti, il principale partito dell’estrema destra italiana, l’Msi, è
stato molto titubante a imboccare la strada della mobilitazione xenofoba. Eletto
segretario nazionale del partito nel 1990, Pino Rauti propose un insieme di elementi
derivanti dalla tradizione del fascismo-movimento insieme a elementi della nuova
destra, cercando di attrarre almeno una parte dell’elettorato di un Pci in crisi
attraverso la «ricollocazione» del suo partito, con slogans anti-occidentali e
anticapitalisti, ma anche con «elementi inediti (e non conciliabili con la tradizione
culturale missina) quali la tolleranza e il diritto al dissenso, la plausibilità delle
differenze e la difesa dell’ambiente … Grazie a queste acquisizioni culturali il Msi,
contrariamente agli altri partiti dell’estrema destra europea, rifiuta decisamente il
razzismo (anche se alcune frange giovanili indulgono ad atteggiamenti ambigui
soprattutto nei confronti degli ebrei più che verso gli immigrati di colore)» (Ignazi
1994, 183). Almeno per quanto riguarda quest’ultimo punto, la segreteria Fini non
tornerà indietro rispetto ad un approccio non xenofobo. Per il Msi e poi per Alleanza
nazionale (An), un’esposizione nella lotta contro l’immigrazione, pur presentandosi
come possibile surrogato del declinante anti-comunismo, rischiava però di far
stigmatizzare come razzista una destra che invece sperava sempre più in un pubblico
riconoscimento come partito pienamente democratico.
29 Ciò non vuol dire che la destra istituzionale non abbia preso parte alla
mobilitazione anti-immigrati. Pur denunciando le «stupidità para-razziste» della
Lega Nord, l’Msi chiese spesso maggiori controlli alle frontiere contro la presunta
«islamizzazione dell’Europa». I documenti del partito denunciavano il miscuglio
etnico come pericoloso sia per i paesi di origine degli immigrati che per l’Europa. Gli
immigrati erano accusati di «snaturalizzare» la cultura italiana, portando il pericolo
di un imbastardimento culturale (Manconi, 1990, 53). L’Msi e poi An hanno spesso
votato in parlamento contro leggi sull’immigrazione considerate troppo liberali, e

8 of 23 4/3/2023, 12:53 PM
Immigrazione e protesta https://journals.openedition.org/qds/1398?lang=en#text

molti dei loro dirigenti a livello locale hanno organizzato campagne contro l’apertura
di ostelli per immigrati e campi nomadi. Nel bacino di reclutamento dell’Msi, in parte
passato ad An, sono sopravvissuti sentimenti e stereotipi razzisti7.
30 Alla fine degli anni ottanta, nella sua azione di «protezione dell’italianità», l’Msi
trovò un alleato nel sistema dei partiti: il Partito repubblicano italiano (Pri). Se l’Msi
cercava di emulare il Fronte Nazionale di Le Pen, il Pri mirava a consolidare su
questo tema il suo ruolo di rappresentante della classe dirigente economica. Durante
la discussione della legge Martelli, il Pri chiese infatti restrizioni all’accesso per gli
immigrati. Questa strategia si rivelò comunque fallimentare per il partito, distante,
sia per tradizioni ideologiche che per il background sociale della sua base di
riferimento, dal razzismo.
31 Fu invece la Lega a prendere, negli anni novanta, la guida politica della coalizione
anti-immigrati, combinando la richiesta di indipendenza per il ricco Nord, con toni
razzisti verso i meridionali, prima, e gli immigrati «extracomunitari», poi. Almeno in
una prima fase, la definizione etnica di se stessi ha facilitato una definizione etnica
dell’altro, del nemico. Un radicato antagonismo contro i meridionali (del Sud Italia)
– considerati come invasori del Nord, permeati da una cultura mafiosa,
economicamente e socialmente arretrati, e politicamente «protetti» – si è estesa
facilmente anche agli altri «meridionali», gli immigrati dal Sud (e dall’Est) del
mondo. È stato infatti osservato che «la Lega possedeva gli “strumenti culturali” per
dare una definizione etnica dei criteri dell’appartenenza alla comunità politica … e fu
capace di fare dell’immigrazione una chiave interpretativa del fallimento della “prima
repubblica”» (Statham, 1998, 52). La tradizionale opposizione tra un Nord laborioso
e un Sud ozioso «si tradusse in intolleranza verso l’alterità culturale di immigrati e
omosessuali» (Koopmans e Statham, 1999, 21). Partito regionalista, la Lega ha
inserito il tema dell’immigrazione all’interno di un discorso di trasformazione della
cittadinanza. Se il tentativo di elaborare una identità etnica, sempre presente nella
Lega, ha avuto intensità diverse nelle diverse fasi della sua evoluzione, anche il
neopopulismo, altra importante componente del discorso leghista (Diani, 1996;
Biorcio, 1997), è stato alla base di una difesa della cultura «popolare» autoctona
contro le minacce di invasione.
32 Il discorso fondamentalmente xenofobo della Lega rifletteva, e certamente
stimolava, atteggiamenti presenti nella sua base. Ad esempio, nel 1990, il 26,3 degli
elettori della Lega risponde di avere votato per quel partito perché difende la
Lombardia da troppi immigrati e stranieri, ed il 21,9% definisce il Sud come un
ostacolo allo sviluppo (Mannheimer, 1991, 144). L’anno successivo, il 61% degli
elettori della Lega dichiarava sfiducia nei meridionali, contro un 39% degli elettori
della Dc e il 34,5% di quelli del Partito democratico della sinistra (Pds) e di
Rifondazione (Biorcio, 1997, 141). In modo simile, gli elettori della Lega si
differenziano dagli altri sul tema dell’immigrazione. Nel 1991, il 53,7% degli elettori
della Lega afferma che gli immigrati extracomunitari fanno aumentare delinquenza e
droga; e secondo il 32,3% occorre vietarne l’ingresso (Biorcio, 1997, 156). Nel 1994, è
addirittura il 76% di coloro che hanno intenzione di votare per la Lega a ritenere gli
immigrati causa di un aumento della delinquenza (contro una media del 50%)
(Eurobarometro, 1994, cit. in Biorcio, 1997, 161). Seppure chiedendo aiuti per i paesi
d’origine, la Lega si è infatti mobilitata ripetutamente per una restrizione
dell’immigrazione e dei diritti degli immigrati.
33 Alla fine degli anni ottanta crebbe anche la violenza razzista (Caritas, 1990). Dopo
l’assassinio di Jerry Masslo nel 1989 e l’aggressione del carnevale del 1990 a Firenze,
azioni violente contro gli immigrati si susseguirono, con episodi di particolare
brutalità a Roma, Torvajanica, Caserta, e Pisa (Colombo, 1997). Su 199 aggressioni
con motivazioni razziste fra il 1990 e il 1993, il 40% avvenne nel Lazio. In alcuni casi,
le sezioni locali dell’Msi e poi di An, in special modo i gruppi giovanili dei due partiti,
furono coinvolti nella violenza (Famiglietti e Farro, 1997). Per quanto riguarda la
destra radicale, mentre le organizzazioni più strutturate hanno un approccio

9 of 23 4/3/2023, 12:53 PM
Immigrazione e protesta https://journals.openedition.org/qds/1398?lang=en#text

terzomondista, poco permeabile alla mobilitazione razzista, il forte attaccamento


territoriale spiega il frequente coinvolgimento negli episodi di violenza xenofoba di
gruppi di skinheads (come, ad esempio, a Firenze e a Ostia). Nel perpetrare le loro
azioni criminali, gli skinheads, spesso collegati ai gruppi «ultras» del calcio,
interagiscono con gruppetti di giovani non-politicizzati delle periferie delle grandi
città (nove aggressioni di questo tipo avvennero a Ostia tra il 1992 e il 1993)8. Le
aggressioni agli immigrati hanno preso talvolta dimensioni di piccole sommosse – è il
caso di Milano nel 1993, Genova nel 1992 e nel 1995, Torino nel 1996.
34 In questi casi, il razzismo violento ha interagito con mobilitazioni sui temi della
sicurezza e del degrado urbano. Negli anni novanta, infatti, le protesta contro la
criminalità si sono intrecciate con espressioni di quello che Balbo e Manconi (1992)
hanno definito come «razzismo addizionale», che pone l’accento sulla devianza degli
immigrati (diversamente dal «razzismo competitivo», che si oppone alla
competizione degli immigrati nel lavoro e nei servizi sociali, o del «razzismo
culturale», per la difesa della cultura locale da ogni contaminazione). In Italia come
altrove, i sentimenti di ostilità agli immigrati sono cresciuti insieme al senso di
insicurezza legato alla fase di bassa congiuntura economica a livello internazionale
che ha interagito, nel nostro paese, con la crisi politica prodotta dallo svelamento di
una corruzione particolarmente radicata.
35 È soprattutto dopo il 1992 che il discorso pubblico sull’immigrazione ha iniziato a
essere dominato dal collegamento tra immigrazione e crimine. Gli immigrati hanno
infatti cominciato a essere sovrarapresentati non solo nelle statistiche criminali della
polizia, ma anche nelle pagine di cronaca nera dei giornali. Negli anni novanta, «la
stampa aveva spostato progressivamente la sua attenzione dal problema
dell’accoglienza a quello del controllo e degli strumenti per fermare una pressione
migratoria che veniva descritta come inarrestabile e sempre più minacciosa.
L’immagine prevalente divenne quella della “minaccia”, “l’esercito che invade e
prende d’assalto”, … e l’immigrato veniva identificato con “il clandestino”,
“l’irregolare”, “l’illegale”» (in Bonifazi, 1998, 99). In molte delle grandi città,
soprattutto del Centro-nord, comitati di cittadini si sono mobilitati sul tema della
criminalità, collegandolo a quello dell’immigrazione illegale.
36 Estremamente disomogenei al loro interno, questi comitati tendono a condividere
comunque alcune caratteristiche. Dal punto di vista sociale, innanzitutto, essi non si
sviluppano nei quartieri-dormitorio o nei «ghetti» poveri delle grandi città. È stato
infatti scritto che «i Comitati – attore in qualche modo tipico (almeno nella sua
forma più pura) delle grandi concentrazioni urbano-industriali del Nord del paese
(Milano, Torino, Genova) – non nascono nei ghetti o negli slums ma nei quartieri
centrali e pericentrali, nei centri storici e nelle aree che a essi fanno corona: luoghi
caratterizzati da una spiccata multifunzionalità e da un forte dinamismo» (Petrillo,
1999, 7). In questi contesti, se i dirigenti dei comitati provengono prevalentemente
dal ceto medio, con alti livelli di istruzione, la membership è socialmente eterogenea
e l’interclassismo è, infatti, un elemento che domina anche l’autorappresentazione
dei comitati – come sottolinea, ad esempio, un documento di un comitato genovese
che parla di «operai, pensionati, medici, avvocati, architetti, casalinghe,
commercianti, artigiani, portuali, docenti universitari, studenti accomunati dal
desiderio di salvare il loro quartiere» (cit. in Petrillo, 1999, 13).
37 Le risorse per la mobilitazione vengono talvolta proprio dai movimenti della
sinistra libertaria. A Genova, ad esempio, «questi soggetti si riveleranno di estrema
importanza: attraverso di loro saperi e tecniche organizzative preziosi vi verranno
trasfusi da altre stagioni e da altri movimenti; la capacità di gestire forme di lotta
evolute ed organizzare manifestazioni di massa, la conoscenza dei meccanismi
simbolici della mobilitazione, l’abilità nel padroneggiare le risorse comunicative più
avanzate, avranno un ruolo determinante nella costituzione e nei successi del nuovo
attore collettivo» (Petrillo, 1999, 21). Dei movimenti del passato, i comitati
riprendono una struttura organizzativa che, nonostante la presenza spesso di statuti

10 of 23 4/3/2023, 12:53 PM
Immigrazione e protesta https://journals.openedition.org/qds/1398?lang=en#text

formali, si mantiene non-gerarchica e flessibile, con rari momenti di coordinamento


per occasionali mobilitazioni cittadine. La struttura della mobilitazione è a
fisarmonica, ampliandosi nei momenti di mobilitazione di massa e restringendosi
nuovamente nelle fasi di latenza.
38 Anche le forme d’azione riprendono spesso il repertorio dei movimenti della
sinistra, andando dalle manifestazioni di massa alle provocazioni simboliche (come
piante e scatoloni collocati davanti ai negozi a Firenze per allontanare i venditori
extra-comunitari). Manifesti e volantini, uniti ad una notevole capacità di interazione
con la stampa locale, sono strumenti di comunicazione spesso adoperati dai comitati,
insieme a petizioni e lettere alla stampa, mostre, comizi, concerti e feste di quartiere.
In alcuni casi, gruppi di vigilantes disarmati si sono organizzati in alcune zone o sono
state assunte guardie giurate – in entrambi i casi l’obiettivo dichiarato è stata la
protesta contro il degrado, più che la speranza di produrre effetti duraturi di
scoraggiamento della criminalità. Spesso questi gruppi hanno fatto pressione in vario
modo sulle autorità locali per ottenere una maggiore presenza della polizia sul loro
territorio – ottenendo, ad esempio nel caso fiorentino, una istituzionalizzazione della
loro partecipazione alla Conferenza permanente per la tutela dell’ordine e della
sicurezza pubblica organizzata dalla prefettura. A Genova come a Firenze e Milano, i
comitati appaiono caratterizzati da canali di accesso agli amministratori,
privilegiando comunque gli apparati repressivi: questura, prefettura, polizia,
carabinieri, vigili urbani. I comitati hanno avuto anche spesso successo, per quanto
temporaneo, nelle loro richieste di interventi di «bonifica» dei loro quartieri dalla
criminalità visibile, e in generale dagli immigrati che vengono comunque percepiti
come fonte di insicurezza9.
39 Il principale schema interpretativo è la difesa dell’identità locale contro la
criminalità, combinato con richieste di sicurezza e equità. L’attenzione dei comitati si
concentra innanzitutto sulla «criminalità fastidiosa» – spaccio, prostituzione – che
viene vista come fonte di pericolo fisico, ma soprattutto di fastidio psicologico
(«spettacolo indecoroso»). L’equazione tra criminalità e immigrazione è così
sintetizzata da un esponente di un comitato genovese: «l’immigrazione… che
fondamentalmente a Genova è stata gestita dalla malavita, l’immigrazione ha fatto sì
che lo spaccio – che era organizzato in una certa maniera – sia diventato più
capillare» (cit. in Dal Lago, 1999, 33). In generale, la propria azione è presentata
come «orientata a difendere i diritti di cittadinanza», contro la criminalità che
«colpisce i più deboli»; un intervento volto ad «evitare ondate di razzismo», la ricerca
della «sicurezza come precondizione per tutto il resto», «condizione per una
convivenza civile» (Palidda, 1994, 33); il rifiuto di «essere considerati come cittadini
di serie B» (Alfaioli, Colomba e Illusi, 1994). L’appartenenza al comitato rafforza poi
le identità territoriali, dando «un senso di appartenenza ad un villaggio» – nelle
parole di un esponente di un comitato milanese, «non ci conoscevamo, poi ci siamo
conosciuti, abbiamo dato vita ad un sistema di relazioni che è forse il patrimonio più
bello, più ricco di questa esperienza, che è un fatto di appartenenza, di identità»
(Palidda, 1994, 33). Bisogna aggiungere che, come indica ad esempio una prima
indagine su cinque comitati fiorentini, l’intervento contro la criminalità (in
particolare spaccio di droga) si intreccia con mobilitazioni su traffico, ambiente,
servizi, cultura, giovani. Sui temi dell’ordine pubblico intervengono infatti spesso
gruppi già attivi in questi altri settori. Accanto a richieste di maggiore presenza delle
forze dell’ordine, e dell’istituzione di vigili di quartiere, vi sono attività di
reinserimento di tossicodipendenti e richieste di maggiore partecipazione dal basso –
ad esempio, i comitati fiorentini chiedono una partecipazione alle riunioni della
giunta – oltre che di finanziamenti per le attività associative di base (Alfaioli,
Colomba e Illusi, 1994, 12).
40 Con poche eccezioni, comune ai comitati è anche il rifiuto di identificarsi con una
parte politica. Se spesso consiglieri comunali dell’Msi e poi di An, e anche della Lega
hanno tentato di mettersi alla guida di queste mobilitazioni, in altri casi (come ad

11 of 23 4/3/2023, 12:53 PM
Immigrazione e protesta https://journals.openedition.org/qds/1398?lang=en#text

esempio a Firenze) comitati contro la criminalità sono stati fondati da ex-attivisti del
Pds. In genere, poi, i comitati hanno sottolineato con forza la loro natura apartitica –
anzi si sono presentati spesso come alternativa ai partiti e al loro fallimento,
«fenomeno di modernizzazione della politica», contro «una tradizione che delegava
tutto ai partiti». Secondo uno dei dirigenti del coordinamento dei comitati milanesi,
«Ci sono stati in passato dei tentativi di portarci da una parte politica, ma noi lo
abbiamo detto chiaramente: ognuno sceglie chi vuole, ma il comitato è politico, non
partitico»; «i fascisti e la Lega sono arrivati pensando di andare alla grande e invece li
abbiamo zittiti perché la gente non ci credeva più» (cit. in Palidda, 1994, 30).
41 Sintetizzando, la protesta anti-immigrati in Italia appare caratterizzata dalla
prevalenza del discorso «etnico-nazionalistico» della Lega rispetto al nazionalismo
classico della destra, e dalla diffusa presenza di comitati locali che affrontano il tema
dell’immigrazione all’interno di una richiesta di sicurezza, o di «legge e ordine».

3. Opportunità nazionali, opportunità


internazionali e la mobilitazione
sull’immigrazione: il caso italiano in
prospettiva comparata
42 Come spiegare le principali caratteristiche della mobilitazione sul tema
dell’immigrazione in Italia? Possiamo trovare nella protesta su questi temi indizi di
una «globalizzazione» – o almeno «Europeizzazione» dell’azione collettiva – o
rimangono dominanti le condizioni presenti nel sistema nazionale? Come
interagiscono condizioni «oggettive» e percezioni soggettive? E come intervengono le
caratteristiche contingenti della configurazione del potere sulle forme della protesta?

3.1. Condizioni strutturali, percezione simbolica


ed emergere del conflitto sull’immigrazione
43 L’emergere dei conflitti sull’emigrazione può essere collegata innanzitutto
all’emergere di interessi – o meglio, alla difesa di interessi – che gli immigrati
metterebbero in pericolo. Si è infatti parlato addirittura di una specifica soglia (un
fatidico 5%) oltre la quale gli immigrati creerebbero inevitabilmente reazioni sociali e
politiche. La mobilitazione pro-immigrati potrebbe essere anch’essa collegata a
quella soglia – maggiore il numero degli immigrati, maggiore a parità di altre
condizioni, la loro capacità di organizzarsi – oltre che all’innescarsi di una reazione al
movimento anti-immigrati.
44 A questo proposito, si deve ricordare che, in Italia, la presenza degli immigrati
rimane sostanzialmente bassa rispetto ad altri paesi europei. Il nostro è stato
tradizionalmente un «paese di emigrazione»: più di tre milioni di persone hanno
lasciato il paese tra 1950 e il 1960; altri tre milioni tra il 1961 e il 1972; e ancora
1.200.000 tra il 1973 e il 1986 quando comunque il flusso migratorio divenne, per la
prima volta, positivo10. Solo nel 1990 gli immigrati raggiunsero l’1% della
popolazione, contro il 9% in Belgio, l’8% in Germania e il 5% in Olanda. Le richieste
di asilo ebbero un primo picco nel 1987 (11.050) ed un secondo nel 1991 (26.472), con
un improvviso declino (6042) nel 1992, cadendo successivamente al di sotto delle
2000 unità. Un livello comparativamente molto basso se consideriamo che nello
stesso periodo la Germania ha raggiunto 438.191 domande. Infatti, tra il 1987 e il
1996, la media di domande d’asilo per 100.000 residenti è di 2,32 in Germania, 0,60
in Francia, e appena 0,10 in Italia (Husbands, 1997).

12 of 23 4/3/2023, 12:53 PM
Immigrazione e protesta https://journals.openedition.org/qds/1398?lang=en#text

45 Seppure limitato in termini assoluti, il numero degli immigrati è comunque


aumentato piuttosto rapidamente negli anni recenti. Il tasso di crescita della
popolazione straniera era di 7,2% tra il 1981 e il 1985, più che raddoppiando (con il
16,7%) tra il 1986 e il 1990 (Veugelers, 1994, 35); tra il 1990 e il 1998, il numero degli
immigrati è cresciuto poi di più del 150%, raggiungendo un totale di 1.250.000
immigrati regolari. La crescita dell’immigrazione in Italia è derivata in parte dalle
scelte degli altri paesi europei, tradizionalmente considerati come zone di
emigrazione. È stato infatti quando questi paesi hanno cominciato a chiudere le loro
frontiere che gli immigrati si sono orientati verso il nostro paese. La maggior parte
degli immigrati sono dunque arrivati in Italia durante la così detta «seconda ondata»
migratoria, quando l’immigrazione è stata motivata più da crisi nei paesi di origine
degli immigrati che da espansione del mercato del lavoro nel paesi di accoglienza.
L’Italia ha dunque dovuto iniziare ad affrontare il problema immigrazione con una
popolazione straniera solo in parte integrabile dal punto di vista lavorativo.
46 Non a caso, l’immigrazione è caratterizzata in Italia da una larga percentuale di
immigrati irregolari. Fino alla metà degli anni ottanta, «un alto livello di
clandestinità è conseguenza della coesistenza di leggi restrittive con regolamenti
permissivi, e una diffusa tendenza dei datori di lavoro a infrangere la legge per
assumere forza lavoro flessibile ed a buon mercato» (Veugelers, 1994, 36). Anche
successivamente, una incerta posizione legale ha spinto gli immigrati sempre più nel
mercato clandestino: «la partecipazione nelle attività illegali è in armonia con
l’immagine che gli immigrati hanno del loro posto nella società italiana» (Colombo,
1997, 16). Infatti, i tassi di occupazione degli immigrati nell’economia informale sono
molto alti: sia nel settore primario marginale del Sud, che nel settore industriale
dinamico del Centro-nord. Un’altra caratteristica sociale degli immigrati italiani che
rende difficile la loro integrazione è la loro eterogenea provenienza etnica. Con
l’eccezione di cinesi e iraniani, gli altri gruppi nazionali sono molto piccoli e spesso
soggetti anche ad un forte squilibrio di genere: alcuni gruppi etnici sono composti
fino all’80% da uomini, altri mostrano percentuali simili per le donne (Campani,
1993, 516).
47 Un tasso di presenza di immigrati tradizionalmente basso, la rapidità
dell’incremento e le caratteristiche sociali dell’immigrazione potrebbe spiegare alcuni
elementi della mobilitazione sul tema. Per quanto riguarda la coalizione anti-
immigrati, la rapida crescita degli immigrati, e l’alta quota di clandestini può spiegare
perché la protesta si è focalizzata sul tema della sicurezza. Il basso numero totale di
immigrati può essere alla base della portata limitata degli appelli alla difesa della
propria integrità culturale. Le condizioni sociali degli immigrati possono avere
influenzato alcune caratteristiche della coalizione pro-immigrati – in particolare, la
debolezza delle associazioni di immigrati, e il forte intervento del sindacato. Mentre
la semilegalità riduce le capacità di organizzazione autonoma degli immigrati,
l’effetto competitivo dell’immigrazione nell’economia informale (Venturini, 1996)
potrebbe spiegare l’intervento del sindacato volto a inserire le quote deboli nel
mercato del lavoro regolare.
48 La condizione di debolezza sul mercato economico si è accompagnata
tradizionalmente ad una debole protezione legale. L’Italia è stata caratterizzata non
solo da un modello di cittadinanza restrittivo, basato sostanzialmente sullo jus
sanguinis, ma anche da una legislazione tradizionalmente ostile agli immigrati. Fino
al 1986 la condizione degli immigrati era definita dal Testo unico delle leggi di
pubblica sicurezza e dal regolamento a esso collegato, entrambi varati in periodo
fascista (Bonifazi, 1998, 90). Entro tre giorni dall’ingresso nel paese lo straniero
doveva presentarsi all’autorità di pubblica sicurezza, e vi erano anche forti restrizioni
a residenza, movimento e diritti di proprietà. Disapplicate erano la convenzione di
Ginevra del 1951, la convenzione n. 143 dell’International Labor Organization del
1975, e la raccomandazione no. 990 del Parlamento europeo del 1984. Il diritto
d’asilo era limitato a quanto stabilito da alcuni trattati internazionali – e nei fatti,

13 of 23 4/3/2023, 12:53 PM
Immigrazione e protesta https://journals.openedition.org/qds/1398?lang=en#text

negli anni settanta, riconosciuto ai soli europei dell’Est. Fino alla metà degli anni
ottanta, la legislazione esistente rendeva estremamente difficile l’assunzione regolare
di un lavoratore straniero (Adinolfi, 1992, 14).
49 La situazione ha iniziato comunque a mutare a partire dalla metà degli anni
ottanta. Nel 1986, la prima legge sull’immigrazione (la n. 943/1986, «Norme in
materia di collocamento e di trattamento dei lavoratori extracomunitari immigrati e
contro le immigrazioni clandestine») ha fissato la direzione verso la quale si
orienteranno anche gli interventi successivi: maggiori diritti per gli immigrati legali, e
restrizioni agli ingressi. Essa ha riconosciuto infatti agli immigrati in occupazioni
dipendenti «regolari» gli stessi diritti dei lavoratori italiani, e collegato l’ingresso di
nuovi immigrati alle esigenze del mercato del lavoro. Nel 1990, la legge n. 39/1990
(«Norme urgenti in materia di asilo politico, di ingresso e di soggiorno dei cittadini
extracomunitari e di regolarizzazione dei cittadini extracomunitari ed apolidi già
presenti nel territorio dello stato. Disposizione in materia di asilo»), detta Legge
Martelli, ha seguito lo stesso percorso, del resto imposto dagli accordi di Schengen.
Essa ha regolato il diritto d’asilo (garantendo comunque ampi poteri discrezionali
alla polizia di frontiera), abolito le quote geografiche per i rifugiati, abrogato diverse
norme del Testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, introdotto un sistema di visti,
regolamentato le espulsioni e indicato la necessità di integrare socialmente gli
immigrati (delegando la politica abitativa ai governi locali e stanziando fondi per le
associazioni di volontariato attive nel settore). Entrambe le leggi hanno stabilito
amnistie per favorire la regolarizzazione degli immigrati già presenti sul territorio.
50 Nella seconda metà degli anni novanta, il governo di centro-sinistra ha continuato
nella direzione dell’integrazione dei regolari e della chiusura delle frontiere. A livello
regionale, diverse leggi hanno affrontato il tema della politica della casa (in
particolare della prima accoglienza), dei servizi sociali e dell’istruzione per gli
immigrati, offrendo sostegno finanziario ai gruppi attivi sul tema dell’immigrazione.
La «Disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero» (la legge
40/1998) ha riconosciuto allo straniero – definito come cittadino di paesi esterni
all’�� – una serie di diritti, tra cui l’intervento della pubblica amministrazione per
favorire la sua integrazione attraverso assistenza sanitaria, istruzione scolastica per i
bambini, qualificazione professionale per gli adulti. La legge ha accentuato il
decentramento delle politiche di integrazione al livello locale, introducendo
comunque una copertura a livello nazionale per questi compiti e «consigli
territoriali» per coordinare gli interventi. Gli immigrati con un lavoro regolare e
residenti da almeno sei anni hanno diritto a una «carta di soggiorno» che permette di
rientrare in Italia senza bisogno di visto e dà accesso ad alcuni servizi. Per
implementare le espulsioni, comunque, la legge stabilisce la custodia in «centri di
temporanea residenza e assistenza», così come l’espulsione preventiva e
l’accompagnamento alla frontiera».
51 Partendo dunque da una totale assenza di legislazione sull’immigrazione, fra gli
anni ottanta e gli anni novanta, l’Italia si è adattata alla politica comunitaria, con
alcuni diritti sociali agli immigrati e un rafforzamento delle frontiere. È stato infatti
osservato che, «dopo Bari, sia i politici che il pubblico hanno deciso che la futura
politica dell’Italia rispetto all’immigrazione dal Secondo e Terzo Mondo era nelle
mani del gruppo di Schengen» (Veugelers, 1994, 4). Anche in Italia, come in altri
paesi europei, i diritti sociali sono stati i primi ad arrivare, seguiti da alcuni diritti
civili ma non ancora da diritti politici (Zincone, 1994, 6)11. Rispetto a quella di altri
paesi europei, la politica italiana sull’immigrazione presenta comunque alcune
peculiarità. Essa è caratterizzata infatti da emergenzialità e reattività, oltre che da un
alto livello di discrezionalità amministrativa. La delega al governo locale, e spesso al
volontariato, di una serie di servizi determina inoltre una forte eterogeneità
geografica nel trattamento degli immigrati (Zincone, 1994, 4 e 54).
52 Queste condizioni istituzionali hanno certamente influenzato la mobilitazione
sull’immigrazione. Dal punto di vista della protesta anti- immigrati, la debolezza del

14 of 23 4/3/2023, 12:53 PM
Immigrazione e protesta https://journals.openedition.org/qds/1398?lang=en#text

riconoscimento degli immigrati spiega le mobilitazioni contro la criminalità a livello


locale, orientate spesso all’allontanamento di tutti gli immigrati da un certo territorio.
Nel campo della mobilitazione pro-immigrati, diritti sociali incerti e assenza di diritti
politici possono contribuire a spiegare il ruolo di patronato svolto da sindacati e
volontariato e le difficoltà degli immigrati ad organizzarsi autonomamente
(Veugelers, 1994, 46). La debolezza delle associazioni di immigrati potrebbe essere
comunque anche conseguenza degli sviluppi a livello europeo, dove è stata osservata
la tendenza ad affrontare l’immigrazione sempre più come tema di «sicurezza», e
quindi «relativamente isolato dall’influenza di Commissione o Parlamento, che si
erano orientati in questi anni verso politiche progressiste nel settore» (Favell, 1997,
3). La Corte europea di giustizia e la Corte europea per i diritti umani, così importanti
in altri campi, si sarebbero «dimostrate tendenzialmente incapaci di affrontare
problemi relativi a non-nazionali» (Favell, 1997, 3). Pochi dei paesi europei
garantiscono diritti politici agli stranieri.
53 In Italia come nel resto d’Europa, la pressione delle organizzazioni non governative
attive a livello dell’�� hanno comunque contribuito a mantenere il tema dei diritti
degli immigrati sull’agenda politica. In particolare, nel 1997, in occasione dell’Anno
europeo contro il razzismo e la xenofobia, numerose associazioni attive in questo
campo hanno ricevuto finanziamenti e legittimazione. Infatti, le organizzazioni anti-
razziste «sono riuscite ad ottenere a livello europeo una legittimazione che permette
loro di aggirare le sfere politiche nazionali. In effetti, esse agiscono come movimenti
sociali elitari, delimitando un campo politico distinto da euro-valori e ideali
transnazionali» (Favell, 1997, 5). Questi sviluppi tendono comunque a escludere dai
finanziamenti le associazioni degli immigrati e a favorire i gruppi non-immigrati che
sono così divenuti importanti mediatori a livello locale, nazionale e sovranazionale.
54 Per spiegare l’emergere del conflitto sull’immigrazione occorre guardare, oltre che
alla posizione sociale e legale dell’immigrato, anche alle percezioni che del fenomeno
migratorio sono presenti nell’opinione pubblica. Secondo numerosi sondaggi, vi è
stato infatti un rapido adeguamento dell’opinione pubblica italiana a quella
dominante in altri paesi europei. Secondo l’Eurobarometro (n. 30), nel 1988 gli
Italiani che pensavano che l’immigrazione era una cosa negativa erano appena il 7%,
contro il 19% in Belgio, il 16% in Francia, il 15% in Germania, e il 14% in Danimarca
(vedi Tab. 1). Inoltre, l’Italia aveva la più alta percentuale di intervistati che
ritenevano necessario aumentare i diritti dei cittadini extra-comunitari (68% contro
una media europea del 30%) (vedi Tab. 2). Gli italiani che erano pienamente
d’accordo con il movimento antirazzista erano ben il 65% (rispetto ad una media
europea del 47%, e molto bassi 30% in Germania, 34% nel Regno Unito, e 36% in
Francia) (vedi Tab. 3). Questo atteggiamento è cambiato radicalmente negli anni
novanta. Nel 1991, secondo un sondaggio Doxa, l’immagine dominante
dell’immigrato è quella di un venditore ambulante; il 62% degli intervistati sono in
disaccordo con chi considera gli immigrati come necessari a sostituire gli italiani nei
lavori che questi non vogliono più fare, e il 44% è d’accordo su un diritto di priorità
per gli italiani disoccupati (in Bonifazi 1998, 216-229). Secondo l’Eurobarometro del
1997, il sentimento che vi siano troppi stranieri nel proprio paese è diventato in Italia
addirittura superiore rispetto alla media europea (45%): il 53% dell’Italia è infatti la
percentuale più alta dopo quella di Grecia (71%) e Belgio (60%), e molto vicina a
quella di Germania (52%), Francia e Danimarca (46%) (vedi Fig. 1). Nel 1999,
secondo l’Eurisko, il 63% degli italiani pensa che gli immigrati fanno aumentare
criminalità e disoccupazione e che dovrebbero tornare al loro paese («La
Repubblica», 24 febbraio 1999).

Fig. 1. Numero di stranieri che vivono nei paesi dell'ue secondo la percezione dei
cittadini.

15 of 23 4/3/2023, 12:53 PM
Immigrazione e protesta https://journals.openedition.org/qds/1398?lang=en#text

Tab. 1. Opinione sulla presenza nel proprio paese di cittadini non appartenenti alla
comunità europea (domanda: «A proposito delle persone che vivono in… [nome del
paese] che non sono né … [cittadini del paese] né cittadini della ce: pensa che la loro
presenza sia, per il futuro del nostro paese…»). Percentuale per paese.

� �� � �� � � ��� � � �� � �� ��

Una cosa positiva 10 8 7 13 17 13 23 12 22 14 23 11 12

In parte, un bene 22 30 32 16 38 31 46 35 44 51 28 39 34

In parte, un male 33 33 28 19 16 28 9 24 17 17 13 25 24

Una cosa negativa 19 14 15 8 4 16 4 7 1 8 5 10 11

Nessuna risposta 16 15 18 44 24 12 18 23 17 10 31 16 19

Totale 100 100 100 100 99 100 100 101 101 100 100 101 100

Fonte: Eurobarometro, n. 30, 1988

Tab. 2. Estensione o riduzione dei diritti per i cittadini non-ce (domanda: «A proposito
delle persone che vivono in… [nome del paese] che non sono né… [cittadini del paese]
né cittadini della ce: pensa che si dovrebbe…». Percentuale per paese.

� �� � �� � � ��� � � �� � �� ��

Aumentare i loro
23 7 14 31 44 25 23 68 33 22 28 11 30
diritti

Lasciare le cose
36 49 51 27 29 42 48 13 53 53 40 52 39
come stanno

Restringere i loro
32 32 24 14 5 24 13 8 6 15 8 25 18
diritti

Nessuna risposta 9 13 11 28 22 9 17 12 8 10 25 13 13

Totale 100 101 100 100 100 100 101 101 100 100 101 100 100

Fonte: Eurobarometro, n. 30, 1988

Tab. 3a. Movimenti a favore del razzismo (domanda: «Ci sono movimenti e
organizzazioni che prendono una particolare posizione sugli stranieri immigrati. Quali
sono i vostri sentimenti in relazione a…?». Percentuale per i diversi paesi.

� �� � �� � � ��� � � �� � �� ��

Approva
4 6 2 2 6 3 4 4 3 4 9 3 4
totalmente

16 of 23 4/3/2023, 12:53 PM
Immigrazione e protesta https://journals.openedition.org/qds/1398?lang=en#text

Approva in parte 8 10 8 2 4 8 11 4 6 5 5 8 7

Disapprova in
27 16 27 8 7 23 14 12 13 8 13 25 19
parte

Disapprova
51 64 53 71 75 61 50 74 74 78 64 55 63
totalmente

Non risponde 11 5 10 17 8 5 21 6 4 5 9 9 8

Totale 101 101 100 100 100 100 100 100 100 100 100 100 101

Fonte: Eurobarometro, n. 30, 1988

Tab. 3b. Movimenti contro il razzismo (domanda: «Ci sono movimenti e organizzazioni
che prendono una particolare posizione sugli stranieri immigrati. Quali sono i vostri
sentimenti in relazione a…?». Percentuale per i diversi paesi.

� �� � �� � � ��� � � �� � �� ��

Approva totalmente 27 42 30 70 72 36 39 65 50 65 59 34 47

Approva in parte 30 31 34 20 8 26 19 18 29 19 18 32 24

Disapprova in parte 16 12 14 1 3 16 12 4 5 6 5 14 10

Disapprova
15 11 11 3 8 14 9 8 11 5 12 9 10
totalmente

Non risponde 12 5 11 16 8 7 21 5 5 6 8 11 9

Totale 100 101 100 100 99 99 100 100 100 101 101 100 100

Fonte: Eurobarometro, n. 30, 1988

55 Si può dunque dire che l’emergere delle mobilitazioni sull’immigrazione


corrisponde ad una polarizzazione dell’opinione pubblica sul tema, con un
allineamento dell’opinione pubblica italiana alla media europea. Anche in termini di
definizione del sé e dell’altro, per gli italiani come per gli altri cittadini dell’��, «il
confine che i cittadini adoperano per definire “noi” e “loro” non corre più fra la
propria nazione e le altre nazioni europee … ma piuttosto, all’interno del paese, tra i
nativi e gli immigrati stranieri» (Fuchs, Gerhards e Roller, 1995, 175). Pur non
potendo controllare gli effetti di una diffusione cross-nazionale sugli umori del
pubblico, si può comunque notare, almeno nella parte «organizzata» di esso,
l’importazione in Italia di schemi interpretativi elaborati in altri paesi. In particolare,
nella coalizione pro-immigrati il discorso dei diritti differenziali per differenti gruppi
culturali ha cominciato a emergere, in particolare nel nuovo volontariato. Nella
coalizione anti-immigrati, la Lega ha cercato di motivare il rifiuto dello straniero
extra-comunitario in nome della difesa dell’emergente cittadinanza europea. Anche le
mobilitazioni sui temi della sicurezza hanno importato simboli e formule
organizzativa (come quelle dei vigilantes disarmati) da simili mobilitazioni presenti
in altri paesi europei (della Porta, 1998).
56 Molte delle caratteristiche della mobilitazione sull’immigrazione non sono però
comprensibili senza riferimento alle risorse simboliche e materiali degli imprenditori
politici che hanno aiutato la formazione del conflitto sull’immigrazione. In
particolare, la mobilitazione sull’immigrazione può essere letta come tipico esempio
della tradizionale tendenza dei partiti politici alla cooptazione dei conflitti sociali, ma
anche della crisi recente della rappresentanza basata sui partiti.
57 In primo luogo, si è visto che nella seconda metà degli anni ottanta i partiti hanno
dominato l’emergere della mobilitazione sul tema dell’immigrazione. Come si sa,
nella costruzione dello stato nazionale le lealtà primarie sono andate ad attori per

17 of 23 4/3/2023, 12:53 PM
Immigrazione e protesta https://journals.openedition.org/qds/1398?lang=en#text

varie ragioni antagonisti rispetto allo stato – la Chiesa e il movimento socialista –


mentre l’attaccamento territoriale si è sviluppato principalmente a livello locale
(Rusconi, 1993)12. Ciò può spiegare, per quanto riguarda la mobilitazione anti-
immigrati, la debolezza del discorso nazionalista classico, a vantaggio di una
impostazione localistica, del resto osservabile anche in altri movimenti (della Porta e
Andretta, 1999). Per quanto riguarda la mobilitazione pro-immigrati, la debolezza
della lealtà allo stato nazionale, e la prevalenza invece di lealtà subculturali, può dare
conto del ruolo importante giocato dalle associazioni legate a queste subculture: le
associazioni cattoliche così come i sindacati e il nuovo associazionismo di sinistra.
Entrambi permeati da una profonda sfiducia nello stato e nella pubblica
amministrazione, i due tipi di associazioni hanno affrontato l’immigrazione
all’interno del discorso più congeniale alle loro subculture di appartenenza: la carità
per i cattolici; l’eguaglianza per la sinistra. Nessuno di questi schemi di riferimento
riconosceva il diritto a un’organizzazione autonoma dei diversi gruppi etnici – e
questo spiega il bisogno per gli immigrati di trovare patroni politici in subculture
tradizionali che non ammettevano «multiculturalismo» (Statham, 1998, 25).
58 La situazione cambia, per entrambe le coalizioni, nel corso degli anni novanta, a
seguito della crisi dei partiti politici. Una caratteristica comune diventa allora la
prevalenza, in entrambi i campi, di una mobilitazione localistica e pragmatica. Nel
campo della mobilitazione anti-immigrati, la dominanza dei comitati locali riflette
l’incapacità dei partiti di elaborare rivendicazioni più complessive, e la prevalenza di
proteste localistiche. L’attenzione è infatti concentrata sul territorio, e la domanda
principale è la «bonifica» di certe aree dalla presenza di possibili «fonti di pericolo».
Il massimo del coordinamento si ha a livello cittadino, e anche questo limitato a
momenti saltuari. La mobilitazione condivide con movimenti di protesta sulla difesa
dell’ambiente, normalmente collegate alla sinistra, la logica del «perché proprio
qui?» (Bobbio, 1999).
59 Paradossalmente, comunque, una logica localistica – o almeno pragmatica –
sembra dominare anche i movimenti del fronte opposto, che pure si appellano
all’universalismo dei diritti umani. Sindacati e, soprattutto, associazioni di
volontariato intervengono «qui ed ora», per risolvere i problemi degli immigrati
presenti in un’area circoscritta. Anche in questo caso le prese di posizioni generali
sono limitate, nonostante vi sia una maggiore capacità che nell’altro fronte di
coordinarsi per manifestazioni a livello cittadino, o anche talvolta a livello nazionale.
L’attività principale sembra essere comunque quella del servizio alla comunità – vuoi
attraverso l’assistenza sociale agli immigrati, vuoi attraverso azioni nelle scuole o nei
quartieri orientate ad accrescere la tolleranza tra diverse culture.
60 Ciò non vuol dire comunque che questi attori non abbiano contatti istituzionali.
Anzi, si è detto che in entrambi i fronti le interazioni con le istituzioni sono frequenti,
soprattutto a livello locale. Particolarmente nel caso dei comitati, queste
mobilitazioni saltano comunque la mediazione dei partiti, conquistando l’attenzione
dei rappresentanti della pubblica amministrazione – in particolare di questori e
prefetti – attraverso una capacità di coinvolgimento dei mass-media, che fanno da
cassa di risonanza delle «angosce» dei «cittadini». Nel caso della mobilitazione pro-
immigrati, sembra invece che la precedente azione di patronato esercitata dai partiti
si traduca, nonostante l’indebolimento dei protettori del passato, in contatti
privilegiati con le istituzioni, in particolare con le amministrazioni locali – e spesso in
sostanziosi finanziamenti. Le capacità nei rapporti istituzionali si estende anzi alle
interazioni con altri attori – portando capacità di attrarre finanziamenti (e
legittimazione) anche da attori sovranazionali, prima fra tutti l’��.
61 Ancora in entrambi i casi, non sembra che la crisi delle capacità di mediazione dei
partiti porti ad un riflusso nel privato, né ad un’esplosione anomica dei conflitti.
Viceversa, l’indebolimento del patronato dei partiti sembra avere liberato una serie di
energie e capacità accumulate nelle precedenti mobilitazioni e le abbia indirizzate
verso un impegno orientato non più alla «politica assoluta» (Pizzorno, 1997), ma ad

18 of 23 4/3/2023, 12:53 PM
Immigrazione e protesta https://journals.openedition.org/qds/1398?lang=en#text

una condizione sperimentata come «immediata» e presentata come «circoscritta».


Dai movimenti collettivi del passato, le risorse per l’azione collettiva si sono trasferite
su entrambi i fronti, come capacità sia di promuovere protesta, che di utilizzarla nel
rapporto con i mezzi di comunicazione e con le istituzioni. Anche da parte delle
istituzioni del resto, le esperienze di mobilitazione del passato sembrano avere
lasciato una maggiore disponibilità, per quanto selettiva, al negoziato, almeno con
alcuni attori ritenuti degni di riconoscimento. Se in passato, però, il problema nella
gestione del conflitto era piuttosto legato alla forte ideologizzazione degli attori della
protesta, oggi viceversa esso sembra derivare dall’indebolimento della capacità delle
istituzioni politiche di creare identità collettive «alte», e di mediare tra gli egoismi
individuali.

4. Mobilitazioni sull’immigrazione e
mutamenti nella rappresentanza:
ipotesi conclusive
62 Le mobilitazioni in solidarietà con gli immigrati e quelle per il «restringimento
delle frontiere» sono state poco studiate e, quando lo sono state, sono state analizzate
isolatamente le une dalle altre, all’interno di filoni di letteratura separati e non-
comunicanti. In questo articolo, ho presentato alcune prime riflessioni
sull’evoluzione delle proteste sul tema dell’immigrazione in Italia, sottolineando sia la
rilevanza di questo tipo di mobilitazione nel panorama politico contemporaneo, che
l’interazione – se non altro simbolica – tra proteste pro e contro gli immigrati. Ho
quindi suggerito che entrambe possono essere spiegati attraverso un modello che
prenda in esame le opportunità sociali, istituzionali e culturali disponibili, sia a livello
nazionale che sovranazionale, per la mobilitazione, oltre che le caratteristiche degli
imprenditori politici che si sono mobilitati nei due campi.
63 Soprattutto in relazione a quest’ultimo aspetto, le mobilitazioni sul tema
dell’immigrazione ci permettono alcune riflessioni sugli effetti delle trasformazioni
nella rappresentanza politica sulla protesta. In Italia, i partiti hanno a lungo goduto
di una sorta di monopolio della rappresentanza degli interessi, con una forte azione
di patronato sui movimenti sociali. I partiti hanno dunque svolto
contemporaneamente sia rappresentanza identificante – volta a «costituire,
preservare, rafforzare le identità politiche… produrre simboli che servono ai membri
di una collettività data per riconoscersi come tali, comunicarsi la loro solidarietà,
concordare l’azione collettiva» (Pizzorno, 1983, 175) – che attività efficiente –
attraverso la quale «i politici prendono decisioni direttamente intese a migliorare, o
non lasciar peggiorare, la posizione relativa dell’entità collettiva che essi
rappresentano nel sistema entro cui questa agisce» (Pizzorno, 1983, 175).
64 La protesta sul tema dell’immigrazione sembra indicare un progressivo
indebolimento della capacità dei partiti di agire sui due fronti. L’azione identificante
diventa infatti appannaggio di nuovi soggetti, mentre i partiti mantengono il
controllo delle istituzioni rappresentative e, quindi, dell’attività efficiente. Essi
interagiscono con gli attori della protesta, si presentano come più o meno vicini a
essi, mediano, cercano soluzioni, ma non sono più capaci di elaborare e fare accettare
interpretazioni complessive sulle cause dell’insoddisfazione e delle possibili soluzioni.
Queste attività identificanti vengono invece svolte da gruppi, associazioni di
volontariato, comitati, sindacati, che poi rivolgono le loro richieste alle istituzioni,
saltando la mediazione dei partiti. L’indebolimento dei partiti sembra poi avere
effetto sul tipo di identità collettive emergenti, che rifiutano infatti le grandi
ideologie, la ricerca dell’universale e il rinvio nel tempo della soddisfazione delle
proprie rivendicazioni. In entrambi i campi infatti, seppure con profonde diversità,

19 of 23 4/3/2023, 12:53 PM
Immigrazione e protesta https://journals.openedition.org/qds/1398?lang=en#text

l’intervento si concentra sul livello locale e cerca un effetto immediato. Per i partiti,
sembra quindi porsi la necessità di adattarsi ad un ruolo di mediazione
«efficientista» di identità costituite altrove. Per gli imprenditori della protesta, che si
trovano a gestire notevoli disponibilità all’azione collettiva «qui e subito», la
scommessa sembra invece riguardare la capacità di stabilizzare nel tempo risorse di
mobilitazione che appaiono al momento estremamente effimere.

Bibliography
Adinolfi A. (1992), I lavoratori extra-comunitari, Bologna, Il Mulino.
Alfaioli P., G. Colomba e Illusi I. (1994), I cittadini e la città, Firenze, Facoltà di Scienze
Politiche, Corso di Governo Locale, contributo di ricerca.
Allasino E., Baptiste F. e Bulsei G.L. (1995), Gli incerti confini: Politiche per gli immigrati e
politiche di lotte all’esclusione a Torino e Lione, «Polis», ��, pp. 23-44.
Auzmendi A., Bartolozzi M. C., Chiarantini C. e Fabbri M. (1998), Immigrazione e
integrazione culturale a Firenze, Firenze, Facoltà di Scienze Politiche, Corso di Governo
Locale, contributo di ricerca.
Balbo L. e Manconi L. (1992), I razzismi reali, Milano, Feltrinelli.
Biorcio R. (1997), La Padania promessa, Milano, Il Saggiatore.
Bjorgo, T. e Witte R. (a cura di) (1993), Racist Violence in Europe, New York, St. Martin’s
Press.
DOI : 10.1007/978-1-349-23034-1
Bobbio L. (1999), Un processo equo per una localizzazione equa, in Bobbio L. e Zeppetella A.
(a cura di), Perché proprio qui? Grandi opere e opposizioni locali, Milano, Franco Angeli.
Bonifazi C. (1998), L’immigrazione straniera in Italia, Bologna, Il Mulino.
Brubaker R. (1992), Citizenship and Nationhood in France and Germany, Cambridge,
MAHarvard University Press.
DOI : 10.4159/9780674028944
Burbui C. (1997), Politiche dell’immigrazione e associazioni di volontariato. Una ricerca sul
caso fiorentino, Firenze, Facoltà di Scienze Politiche, tesi di laurea.
Campani G. (1993), Immigration and Racism in Southern Europe: the Italian Case, «Ethnic
and Racial Studies», ���, pp. 507-535.
DOI : 10.1080/01419870.1993.9993794
Campani G. (1994), Ethnic Networks and Associations, Mobilisation and Immigration Issue
in Italy, in Rex J. e Drury B. (a cura di), Ethnic Mobilisation in a Multi-Cultural Europe,
Aldershot, Avebury.
Caritas (1990), Immigrazione: Dossier statistico, Roma.
Castles S. e Miller M.J. (1992), The Age of Migration. International Population Movements in
the Modern World, New York, Macmillan.
DOI : 10.1080/10803920500434037
Colombo A. (1997), Hope and Despair: «Deviant» Immigrants in Italy, «Journal of Modern
Italian Studies», ��, pp. 1-20.
DOI : 10.1080/13545719708454936
Dal Lago A. (1999), La tautologia della paura, «Rassegna italiana di sociologia», ��, pp. 5-41.
della Porta D. (1996), Movimenti collettivi e sistema politico, Roma-Bari, Laterza.
della Porta D. (1998), Police Knowledge, Public Order and the Media, comunicazione
presentata alla conferenza su «Protest, the Public Sphere, and Public Order», Università di
Ginevra, 9-10 ottobre.
della Porta D. e Andretta M. (1999), La campagna di protesta contro l’Alta Velocità in
Toscana: tra ecologia e localismo, paper presentato alla conferenza annuale della Società
italiana di scienza politica, Trieste, 22-24 settembre.
della Porta D. e Diani M. (1997), I movimenti sociali, Roma, Carocci.
della Porta D. e Rucht D. (1995), Social Movement Sectors in Context: A Comparison of Italy
and West Germany, 1965-1990, in Jenkins J.C. e Klandermans, B.(a cura di), The Politics of
Social Protest, Minneapolis, Minnesota University Press, 1995.
Diani M. (1996), Linking Mobilization Frames and Political Opportunities: Insights from
Italian Regional Populism, «American Sociological Review», ���, pp. 1053-69.

20 of 23 4/3/2023, 12:53 PM
Immigrazione e protesta https://journals.openedition.org/qds/1398?lang=en#text

DOI : 10.2307/2096308
Eurobarometer (1988), Report n. 30, Brussels, European Commission.
Eurobarometer (1998), Report n. 48, Brussels, European Commission.
Eurobarometer (1998), Report n. 49, Brussels, European Commission.
Famiglietti A. e A. Farro (1997), Mobilization against Immigrants in Italy, Paper presented at
the European Sociological Association, Essex.
Favell A. (1997), The Europeanization of Immigration Polics: Some Comments,
comunicazione presentata alla conferenza su «Citizens, Immigration and Xenophobia in
Europe: Comparative Perspective», Wissenschaftszentrum Berlin, novembre.
Fondazione italiana per il volontariato (1996), Volontariato e Terzo Settore. Quale
legislazione, Roma.
Fuchs D., Gerhards J., e Roller E. (1995), Nationalism Versus Eurocentrism? The
Construction of Collective Identities in Western Europe, in Martiniello M. (a cura di),
Migration, Citizenship and Ethno-National Identities in the European Union, Aldershot,
Avesbury.
Giugni M. e Passy F. (1998), The Impact of Collective Mobilization on Political Decisions over
Immigration in Switzerland: A Preliminary Assessment, comunicazione presentata alla
conferenza su «Protest Event Analysis», Berlin.
Hollifield J.F. (1992), Immigrants, Market, and States: The Political Economy of Post-War
Europe, Cambridge, Harvard University Press.
Husbands C. (1997), Political Asylum: A Summary Comparative Analysis of Practices and
Procedures in Western Europe, 1987-1996, comunicazione presentata alla conferenza su
«Citizens, Immigration and Xenophobia in Europe: Comparative Perspective»,
Wissenschaftszentrum Berlin, Novembre.
Ignazi P. (1994), L’estrema destra in Europa, Bologna, Il Mulino.
���� (1998), Terzo rapporto sulle migrazioni. 1997, Milano, Franco Angeli.
Jacobson D. (1996), Rights across Borders. Immigration and the Decline of Citizenship,
Baltimore, The Johns Hopkins University Press.
Jopkee C. (1998), Asylum and State Sovereignty. A Comparison of the United States,
Germany and Britain, «Comparative Political Studies», ���, pp. 259-298.
Koopmans R. e Kriesi H. (1997), Citoyenneté, identité nationale et mobilisation de l’extreme
droite. Une comparaison entre la France, l’Allemagne, les Pays-Bas et la Suisse, in Birnbaum
P. (a cura di), Sociologie des nationalisme, Paris, ���.
Koopmans R. e Statham P. (1998a), The Contentious Politics of Migration and Ethnic
Relations in Britain and Germany: An Opportunity Approach for Studying Public Claims and
Collective Mobilization, comunicazione presentata alla conferenza su «New Directions in the
Comparative Research on Racism and Xenophobia», Utrecht, 23-25 aprile.
Koopmans R. e Statham P. (1998b), Challenging the Liberal Nation-State? Postnationalism,
Multiculturalism, and the Collective Claims-Making of Migrants and Ethnic Minorities in
Britain and Germany, Working paper, Berlin.
DOI : 10.1086/210357
Koopmans R. e Statham P. (1999), Ethnic and Civic Conceptions of Nationhood and the
Differential Success of the Extreme Right in Germany and Italy, in Giugni M., McAdam D. e
Tilly C. (a cura di), How Movements Matter, Minneapolis, University of Minnesota Press.
Manconi L. (1990), Razzismo interno, razzismo esterno e strategia del chi c’è c’è, in Balbo L. e
Manconi L., I razzismi possibili, Milano, Feltrinelli.
Mannheimer R.(1991), Chi vota Lega e perché, in R. Mannheimer (a cura di), La Lega
Lombarda, Milano, Feltrinelli.
Palidda S. (1994), Polizia e domanda di sicurezza a Milano, Firenze, Istituto Universitario
Europeo, dattiloscritto.
Paolucci V., Pisani K., Innocenti S. e Toccafondi A. (1998), Associazioni a confronto, Firenze,
Facoltà di Scienze Politiche, Corso di Governo Locale, comunicazione di ricerca.
Petrillo A. (1999), Insicurezza, migrazioni, cittadinanza, dattiloscritto in corso di stampa.
Pizzorno A. (1983), Sulla razionalità della scelta democratica, «Stato e mercato», 7 (ora in A.
Pizzorno, Le radici della politica assoluta, Milano, Feltrinelli)
Pizzorno A. (1997), Le radici della politica assoluta, Milano, Feltrinelli.
Rex J. (1994), Introduction, in Rex J. e Drury B. (a cura di), Ethnic Mobilisation in a Multi-
Cultural Europe, Aldershot, Avebury.
DOI : 10.1016/S1096-2883(00)80034-0

21 of 23 4/3/2023, 12:53 PM
Immigrazione e protesta https://journals.openedition.org/qds/1398?lang=en#text

Rusconi G. E. (1993), Se cessiamo di essere una nazione, Bologna, Il Mulino.


Soysal Y. N. (1994), Limits of Citizenship. Migrants and Postnational Membership in Europe,
Chicago, University of Chicago Press.
Statham P. (1998), The Political Construction of Immigration in Italy: Opportunities,
Mobilization and Outcomes, Discussion paper �� ��� 98-102, Wissenschaftszentrum Berlin.
Venturini A. (1996), Extent of Competition between and Complementarity among National
and Thirld-World Migrant Workers in the Labour Market: An Exploration of the Italian
Case, in Frey L. et al., The Jobs and Effects of Migrant Workers in Italy, Ginevra, Ilo.
Veuglers J. W. P. (1994), Recent Immigration Politics in Italy: A Short Story, «West European
Politics», ����, pp. 33-49.
DOI : 10.1080/01402389408425013
Wihtol de Wenden C. (1997), Civic Associationism in France and Europe: New Trends,
comunicazione presentata alla conferenza su «Citizens, Immigration and Xenophobia in
Europe: Comparative Perspective», Wissenschaftszentrum Berlin, novembre.
Zincone G. (1994), Uno schermo contro il razzismo. Per una politica dei diritti utili, Roma,
Donzelli.

Notes
1 Ibid. Simile a quella tedesca è la situazione in Svizzera (Giugni e Passy 1998).
2 Anche in Francia, comunque, soprattutto nell’ultimo decennio, le associazioni degli
immigrati si sono professionalizzate e hanno stretto rapporti con il governo (Wihtol de
Wenden 1997).
3 Secondo la Fondazione italiana per il volontariato (1996), nel 1995, il 13% delle associazioni
di volontariato concentrava l’attività sugli immigrati. Molti di questi gruppi erano nati dopo il
1985: è il caso ad esempio di 8 delle 10 organizzazioni analizzate in una ricerca su Firenze
(Burbui 1997, 142).
4 A Firenze, il Cospe è riuscito ad avere accesso a numerosi finanziamenti dell’��, che ha anche
sostenuto progetti di altre associazioni fiorentine attive sull’immigrazione.
5 In alcuni casi sono le stesse autorità – Ufficio immigrati e Prefettura – ad indirizzare ai
gruppi più radicali gli immigrati clandestini (Paolucci, Pisani, Innocenti and Toccafondi 1998).
6 Sia la Cgil che la Cisl hanno un Uffici stranieri; la Cgil ha anche un Coordinamento immigrati
(dei cui 55 membri, 44 sono immigrati), la Cisl ha un’Associazione oltre le frontiere; uffici per
gli immigrati sono presenti nelle Camere del lavoro (Zincone 1994, 87-89).
7 Nel 1990, ad esempio, circa il 46% dei delegati al ��� Congresso dell’Msi approvava
l’affermazione che «ci sono razze superiori e inferiori»; e il 44% sosteneva che «il potere
finanziario è nelle mani degli ebrei» (Ignazi 1994, 82-4). Nel 1991, un quarto dei militanti del
Fronte della gioventù si dichiarava antisemita (Ignazi 1994, 88-9).
8 Su 300 persone indiziate di crimini razzisti, 142 avevano tra 18 e 20 anni; 84 tra 21 e 23; dei
50 di cui si conosce l’occupazione, 15 erano studenti, 19 operai, 7 impiegati, 2 commercianti, e
7 disoccupati (Rapporto Eurispes, in «La Repubblica», 22-23 febbraio 1994).
9 Dal Lago (1999) ha parlato di «tautologia della paura» a proposito del rinforzo reciproco tra
sentire dell’opinione pubblica e discorso dei media, mobilitato da imprenditori politico-morali,
che diffondono la definizione dell’immigrato come minaccia.
10 Altre fonti parlano di un totale di 5,6 milioni di immigrati tra il 1946 e il 1965 (Bonifazi
1998, 78).
11 Solo alcuni governi locali (fra essi Bologna e Torino) hanno dato agli immigrati diritto di
voto in referendum a livello locale.
12 L’identità nazionale è tradizionalmente debole nel nostro paese: non a caso, nel 1998 la
percentuale di italiani con una identità nazionale esclusiva (invece che un’identità territoriale
mista o europea) era la più bassa d’Europa (28% in Italia, con una media europea del 44%)
(Eurobarometro n. 49:42).

List of illustrations
Fig. 1. Numero di stranieri che vivono nei paesi dell'ue secondo la
Title percezione dei cittadini.

URL http://journals.openedition.org/qds/docannexe/image/1398/img-1.jpg

22 of 23 4/3/2023, 12:53 PM
Immigrazione e protesta https://journals.openedition.org/qds/1398?lang=en#text

File image/jpeg, 36k

References
Bibliographical reference
Donatella della Porta, “Immigrazione e protesta”, Quaderni di Sociologia, 21 | 1999, 14-44.

Electronic reference
Donatella della Porta, “Immigrazione e protesta”, Quaderni di Sociologia [Online], 21 | 1999,
Online since 30 November 2015, connection on 03 April 2023. URL:
http://journals.openedition.org/qds/1398; DOI: https://doi.org/10.4000/qds.1398

About the author


Donatella della Porta
Dipartimento di Scienza della Politica e Sociologia - Università di Firenze

Copyright

Creative Commons - Attribution-NonCommercial-NoDerivatives 4.0 International - CC BY-NC-


ND 4.0

https://creativecommons.org/licenses/by-nc-nd/4.0/

23 of 23 4/3/2023, 12:53 PM

Potrebbero piacerti anche