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Quaderni di Sociologia
21 | 1999
Protesta senza movimenti?
la società italiana / Protesta senza movimenti?
Immigrazione e protesta
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p. 14-44
https://doi.org/10.4000/qds.1398
Full text
Una prima stesura di questo articolo è stata presentata alla conferenza su «The
Impact of Increased Economic Integration on Italy and the Rest of Europe»,
organizzata da Sam Barnes e Miriam Golden alla Georgetown University,
Washington d.c., nella primavera del 1999. Desidero ringraziare loro e gli altri
partecipanti alla conferenza per gli utili stimoli e commenti.
3 Milano, 13 febbraio 1999. I sindacati guidano un corteo «per una città sicura e
solidale». Circa 100.000 lavoratori e cittadini – «di vari colori» come diranno i
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5 Come questi stralci di cronaca recente bene illustrano, in Italia, come quasi
ovunque nei paesi della Unione Europea, l’immigrazione extra-comunitaria è
divenuta uno dei temi più conflittuali nel dibattito politico. L’oggetto del contendere
riguarda una delle principali sfide per l’integrazione europea: lo sviluppo di una
nuova cittadinanza. Se la costruzione di una «cittadinanza europea» è ancora ad uno
stadio iniziale, più rapidamente si è invece definita l’immagine dello straniero:
l’immigrato dall’esterno dei confini dell’��, l’extracomunitario, appunto. E contro gli
extracomunitari si sono infatti coagulati una serie di azioni di protesta, più o meno
strutturate da imprenditori politici. Allo stesso tempo, comunque, la presenza degli
immigrati ha portato a mobilitazioni per un allargamento dei diritti di cittadinanza a
tutti i residenti, a prescindere dalla loro nazionalità.
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con quelle dei gruppi immigrati stessi: la loro concentrazione territoriale, la loro base
sociale, le loro capacità organizzative (Soysal, 1994, 85; cfr. anche Rex, 1994).
Dall’altra parte, le mobilitazioni anti-immigrati sono state analizzate soprattutto nella
loro ala più radicale – nella ricerca sul razzismo o in quella sui partiti dell’estrema
destra (ad esempio, Bjorgo e Witte, 1993; Koopmans e Kriesi, 1997).
7 Divisi tematicamente, questi filoni di ricerca sono anche difficili da combinare data
la profonda diversità nell’approccio. Nella letteratura sul razzismo ha prevalso infatti
una concezione dell’azione collettiva prevalentemente irrazionale, dove gli immigrati
divenivano il capro espiatorio dell’insofferenza individuale legata a privazione
relativa (disoccupazione, crisi del welfare, ecc.) o perdita di riferimento valoriale
(insicurezza, anomia, ecc.). La letteratura sui movimenti della sinistra libertaria è
stata invece a lungo dominata da un approccio razionale, che vede gli attori collettivi
come capaci di mobilitare le risorse sociali e istituzionali presenti nell’ambiente e
utilizzarle in vista di fini di trasformazione sociale e politica. Solo di recente,
l’attenzione si è estesa alle risorse simboliche.
8 Non solo l’emergere contemporaneo delle mobilitazioni anti-immigrati e pro-
immigrati, ma anche la loro costante interazione, se non altro sul piano simbolico,
renderebbe invece estremamente proficua un’analisi parallela di entrambe. In questa
direzione, un progetto di ricerca comparato su Germania, Gran Bretagna, Svizzera,
Francia e Olanda al momento in corso si propone di guardare ai due tipi di
movimento, considerando per entrambi sia le opportunità politiche presenti
nell’ambiente che gli schemi interpretativi attraverso cui queste circostanze
acquistano significato per gli attori (Koopmans e Statham, 1998a). L’ipotesi
principale della ricerca è che la mobilitazione sull’immigrazione è influenzata, su
entrambi i fronti, da una struttura delle opportunità politiche, dove ampio spazio
viene dato ai diritti di cittadinanza disponibili per gli immigrati, e da una struttura
delle opportunità culturali, legata in particolar modo alle concezioni diffuse
sull’immigrazione. Le differenze nell’entità e nel tipo di protesta deriverebbero sia
dalla definizione nazionale della cittadinanza, con la classica distinzione tra jus soli e
jus sanguinis (Brubaker, 1994), che dalle «differenti etichette simboliche che le
nazioni assegnano agli immigrati» (Koopmans e Statham, 1998b, 10). Secondo i
primi risultati di quella ricerca, ad esempio, mentre nella Gran Bretagna, che
riconosce uno status specifico ai gruppi etnici, questi tendono a intervenire di più nel
dibattito politico, focalizzando le loro richieste sulla politica interna, in Germania,
dove la definizione degli immigrati considerati come Gastarbeiter (lavoratori ospiti)
sottolinea il loro status precario, gli immigrati intervengono poco nel dibattito
politico interno, restando la loro attenzione concentrata sui paesi d’origine1. O
ancora, in Germania, una definizione etnica della cittadinanza (jus sanguinis)
avrebbe dato risonanza ai movimenti xenofobi, e la debolezza dello status giuridico
degli immigrati avrebbe ridotto la loro capacità di azione collettiva, lasciando la
mobilitazione antirazzista nelle mani dei gruppi locali. In Francia, invece, una
definizione territoriale della cittadinanza (jus soli), garantendo i pieni diritti ad una
seconda generazione di immigrati, avrebbe facilitato la loro partecipazione alla vita
politica francese, nonostante una concezione culturale assimilazionista riducesse la
possibilità di rappresentazioni di tipo etnico2. In Gran Bretagna, un approccio
multiculturale, legato ad un modello di cittadinanza coloniale – con una definizione
della cittadinanza come soggezione allo stesso dominio (Castles e Miller, 1993) –
avrebbe invece favorito un intervento degli immigrati come gruppo etnico.
9 Questa enfasi sulle condizioni nazionali non è condivisa da chi ha sostenuto che, in
particolare sul tema dell’immigrazione, una sempre maggiore rilevanza assumono le
variabili sovranazionali. Non solo i flussi migratori sono determinati da
trasformazioni dell’economia globale (Hollifield, 1992), ma le rivendicazioni degli
immigrati vengono elaborate sempre più in termini di diritti umani universali
(Jacobson, 1996, 9). Si è parlato, infatti, di «una trasformazione nel più rilevante
principio di organizzazione dell’appartenenza nella politica contemporanea… Diritti e
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2. La protesta sull’immigrazione in
Italia
13 A partire dalla fine degli anni ottanta, in Italia come nelle altre democrazie
europee, il tema dei limiti all’immigrazione e dei diritti degli immigrati ha iniziato a
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sull’immigrazione. Mentre nel 1990, gli albanesi vennero accolti a Brindisi con tutti
gli onori («Era un trionfo… c’erano sindaci e prefetti, parlamentari e cardinali»,
citato in Bonifazi, 1998, 99), gli sbarchi del 1991 produssero un clima di
preoccupazione – accresciuto dall’evidente impreparazione dello stato italiano.
18 Proprio come reazione ai primi episodi di violenza, ci fu in questo periodo una
crescita nel numero delle associazioni pro-immigrati – fra loro, il gruppo di sinistra
Italia–Razzismo – mentre veniva fondata una Consulta sui temi dell’immigrazione,
formata da rappresentanti di associazioni degli immigrati, gruppi di interesse,
sindacati e pubblica amministrazione. Circa 250 associazioni di immigrati presero
parte alla prima conferenza internazionale sull’immigrazione nel giugno del 1990. Il
discorso dominante era quello del «buon immigrato», che «stava solo esercitando il
suo diritto di fare ciò che molti emigrati italiani avevano già fatto in passato…
contrapposto al “cattivo” razzista, minoranza indesiderabile della comunità
nazionale» (Statham, 1998, 29-30).
19 I gruppi pro-immigrati si mobilitarono a diversi livelli. Nel 1992 venne creato un
«Patto nuovi diritti di cittadinanza per un parlamento anti-razzista» da associazioni
volontarie – incluse poche organizzazioni di immigrati – per sponsorizzare candidati
al parlamento di vari partiti, e contribuì all’elezione di 90 di essi e all’estensione agli
immigrati di alcuni diritti sociali e civili. Aumentò inoltre il numero delle associazioni
di volontariato che offrivano agli immigrati servizi quali corsi di italiano, vitto e
alloggio per situazioni di emergenza, attività sociali e culturali3. Accanto alle
associazioni specializzate sul tema dell’immigrazione, cominciarono ad occuparsi di
integrazione degli immigrati anche associazioni già impegnate su gruppi marginali,
aiuti al Terzo Mondo e difesa dei diritti civili (Allasino, Babtiste e Bulsei, 1995). La
tradizionale debolezza del welfare state per i settori marginali della popolazione,
insieme all’ampia percentuale di immigrati occupati in varie forme di lavoro nero,
accentuò la loro dipendenza dal volontariato, capace di garantire diritti informali a
coloro che non erano riconosciuti come portatori di diritti dallo stato (Zincone, 1994).
20 In questo settore di intervento come in altri, il volontariato si presenta come
estremamente eterogeneo, con una netta distinzione tra le tradizionali associazioni
cattoliche, con un intervento di tipo «caritatevole», e le più recenti associazioni di
«tutela dei diritti», nate spesso all’interno dei movimenti sociali della sinistra
libertaria. Come conferma una ricerca su Firenze (Burbui, 1997), le organizzazioni
cattoliche sono infatti specializzate nell’offerta di servizi (in particolare in relazione
all’emergenza abitativa), mentre le associazioni laiche intervengono nella difesa
(anche attraverso ricorsi legali) dei diritti degli immigrati, focalizzando l’attenzione
sui bisogni culturali dei diversi gruppi etnici e sull’educazione alla tolleranza dei
cittadini italiani. Nel nuovo associazionismo laico, c’è una sostituzione della categoria
neutrale del «povero» con quella, socialmente caratterizzata, di «marginale»;
parallelamente, l’obiettivo si sposta dalla carità all’implementazione dei diritti di
cittadinanza. Dal punto di vista organizzativo, le associazioni laiche, che coinvolgono
persone mediamente più giovani, sono più specializzate, danno una importanza
crescente alla formazione professionale dei loro membri, e hanno anche spesso
personale stipendiato. Ancora per i gruppi nuovi, vi sono contatti frequenti con la
pubblica amministrazione (che coinvolgono 9 delle 10 associazioni analizzate nella
citata ricerca su Firenze), che spesso sfociano in sostegno economico – specialmente
nella forma del contracting out di specifici servizi – in alcuni casi di dimensioni
sostanziose (un’organizzazione ha un bilancio annuale di un miliardo e mezzo di lire;
una di 900 milioni; e altre due di circa 500 milioni ciascuna) (Burbui, 1997)4. Come
ha notato Giovanna Zincone, «la disponibilità dello stato a delegare una parte delle
proprie funzioni ad organizzazioni della società civile dipende dalla forza e dalla
lealtà delle associazioni stesse» (1994, 29). Anche nei nostri casi, infatti, una sorta di
«protezione politica» sembra caratterizzare il rapporto delle amministrazioni locali
rispetto alle associazioni di volontariato.
21 Molte delle associazioni che hanno elaborato il tema dell’immigrazione all’interno
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di un discorso di diritti civili sono state fondate negli anni novanta in risposta ad
attacchi razzisti contro gli immigrati. Nel caso di Firenze, ad esempio, molti gruppi
sono stati formati da attivisti di vari movimenti sociali dopo la Marcia dei cittadini
indifesi, guidati da associazioni di commercianti nel 1990 contro gli ambulanti
irregolari, e l’aggressione organizzata a cittadini extra-comunitari durante il
carnevale dello stesso anno. Pochi giorni dopo l’aggressione, oltre 40.000 persone
presero parte al corteo indetto da diciannove comunità di immigrati, sindacati e
associazioni di volontariato. Negli anni novanta, anche associazioni della sinistra più
radicale, come il Movimento di lotta per la casa o il Centro popolare autogestito a
Firenze, hanno cominciato a intervenire sul tema dell’immigrazione, offrendo spesso
anche servizi agli immigrati5.
22 Un’altra peculiarità del caso italiano è il ruolo preponderante dei sindacati
all’interno della coalizione pro-immigrati. Infatti, «i sindacati sono stati, in questi
anni, uno degli attori che ha prestato maggiore attenzione alle condizioni degli
immigrati … mirando sempre all’eguaglianza normativa e retributiva» (Bonifazi,
1998, 89). I sindacati italiani, per cultura egualitari, hanno agito «per evitare abusi
contro la parte debole della forza lavoro ma anche e soprattutto per evitare una
competizione internazionale tra lavoratori» (Zincone, 1994, 9). Fin dalle prime leggi
sull’immigrazione, i sindacati hanno infatti surrogato le debolezze della pubblica
amministrazione, offrendo consulenza e protezione legale agli immigrati. Dato
comunque il basso livello di sindacalizzazione degli immigrati, l’azione dei sindacati è
stata di tipo avocativo piuttosto che rappresentativo (Zincone, 1994, 83)6.
23 Per quanto riguarda le associazioni degli immigrati, alcuni canali di accesso alle
istituzioni si sono aperti nel corso degli anni novanta. Per esempio, a Firenze, dopo la
menzionata aggressione razzista, l’amministrazione comunale aprì un Ufficio
immigrazione che organizzava incontri tra gli amministratori pubblici e
rappresentanti di comunità straniere, associazioni di volontariato e sindacati. A
livello provinciale, la Conferenza permanente sull’immigrazione, focalizzata
sull’integrazione culturale degli immigrati, coinvolge anche rappresentanti delle
comunità immigrate. Anche alle Consulte regionali sull’immigrazione partecipano,
oltre ad amministratori pubblici e sindacati, anche associazioni di immigrati. Ancora
il caso fiorentino indica che alcune associazioni etniche – come quelle degli egiziani e
degli eritrei – sono ben strutturate e capaci di ottenere finanziamenti dai governi
locali e regionale.
24 Nonostante questi segnali di mutamento, comunque, le associazioni degli
immigrati rimangono prevalentemente deboli e non integrate. Ancora a proposito del
caso fiorentino, molte di esse lamentano gli scarsi contatti con l’amministrazione
locale, mentre rappresentanti delle comunità immigrate descrivono l’Ufficio
immigrati come un «ufficio postale» – dove gli immigrati senza domicilio
permanente ricevono la posta – con una scarsa conoscenza dei problemi degli utenti.
Anche le associazioni composte da italiani impegnate sul tema dell’immigrazione
hanno interazioni spesso difficili con quelle costituite su basi etniche: alcuni dei
gruppi locali sono accusati dai rappresentanti delle comunità etniche di
monopolizzare i contributi economici pubblici sul tema dell’immigrazione; altre di
strumentalizzare il tema dell’immigrazione per i loro fini politici. Gli stessi
rappresentanti dei gruppi etnici denunciano infine i contrasti tra le varie comunità,
che ostacolano una possibile azione comune (Auzmendi, Bartolozzi, Chiarantini,
Fabbri, 1998). In generale, conflitti interni hanno a lungo ostacolato la nomina dei
rappresentanti delle minoranze etniche nelle consulte regionali (Zincone, 1994, 81).
25 Sintetizzando, la coalizione pro-immigrati è caratterizzata in Italia dalla debolezza
delle organizzazioni di immigranti e dal ruolo importante giocato invece da: a)
associazioni di volontariato cattoliche, che inseriscono il tema dell’immigrazione
all’interno di un discorso tradizionale di assistenza caritatevole; b) sindacati e gruppi
sinistra, che affrontano il tema dell’immigrazione all’interno di un discorso di
solidarietà e difesa di diritti.
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molti dei loro dirigenti a livello locale hanno organizzato campagne contro l’apertura
di ostelli per immigrati e campi nomadi. Nel bacino di reclutamento dell’Msi, in parte
passato ad An, sono sopravvissuti sentimenti e stereotipi razzisti7.
30 Alla fine degli anni ottanta, nella sua azione di «protezione dell’italianità», l’Msi
trovò un alleato nel sistema dei partiti: il Partito repubblicano italiano (Pri). Se l’Msi
cercava di emulare il Fronte Nazionale di Le Pen, il Pri mirava a consolidare su
questo tema il suo ruolo di rappresentante della classe dirigente economica. Durante
la discussione della legge Martelli, il Pri chiese infatti restrizioni all’accesso per gli
immigrati. Questa strategia si rivelò comunque fallimentare per il partito, distante,
sia per tradizioni ideologiche che per il background sociale della sua base di
riferimento, dal razzismo.
31 Fu invece la Lega a prendere, negli anni novanta, la guida politica della coalizione
anti-immigrati, combinando la richiesta di indipendenza per il ricco Nord, con toni
razzisti verso i meridionali, prima, e gli immigrati «extracomunitari», poi. Almeno in
una prima fase, la definizione etnica di se stessi ha facilitato una definizione etnica
dell’altro, del nemico. Un radicato antagonismo contro i meridionali (del Sud Italia)
– considerati come invasori del Nord, permeati da una cultura mafiosa,
economicamente e socialmente arretrati, e politicamente «protetti» – si è estesa
facilmente anche agli altri «meridionali», gli immigrati dal Sud (e dall’Est) del
mondo. È stato infatti osservato che «la Lega possedeva gli “strumenti culturali” per
dare una definizione etnica dei criteri dell’appartenenza alla comunità politica … e fu
capace di fare dell’immigrazione una chiave interpretativa del fallimento della “prima
repubblica”» (Statham, 1998, 52). La tradizionale opposizione tra un Nord laborioso
e un Sud ozioso «si tradusse in intolleranza verso l’alterità culturale di immigrati e
omosessuali» (Koopmans e Statham, 1999, 21). Partito regionalista, la Lega ha
inserito il tema dell’immigrazione all’interno di un discorso di trasformazione della
cittadinanza. Se il tentativo di elaborare una identità etnica, sempre presente nella
Lega, ha avuto intensità diverse nelle diverse fasi della sua evoluzione, anche il
neopopulismo, altra importante componente del discorso leghista (Diani, 1996;
Biorcio, 1997), è stato alla base di una difesa della cultura «popolare» autoctona
contro le minacce di invasione.
32 Il discorso fondamentalmente xenofobo della Lega rifletteva, e certamente
stimolava, atteggiamenti presenti nella sua base. Ad esempio, nel 1990, il 26,3 degli
elettori della Lega risponde di avere votato per quel partito perché difende la
Lombardia da troppi immigrati e stranieri, ed il 21,9% definisce il Sud come un
ostacolo allo sviluppo (Mannheimer, 1991, 144). L’anno successivo, il 61% degli
elettori della Lega dichiarava sfiducia nei meridionali, contro un 39% degli elettori
della Dc e il 34,5% di quelli del Partito democratico della sinistra (Pds) e di
Rifondazione (Biorcio, 1997, 141). In modo simile, gli elettori della Lega si
differenziano dagli altri sul tema dell’immigrazione. Nel 1991, il 53,7% degli elettori
della Lega afferma che gli immigrati extracomunitari fanno aumentare delinquenza e
droga; e secondo il 32,3% occorre vietarne l’ingresso (Biorcio, 1997, 156). Nel 1994, è
addirittura il 76% di coloro che hanno intenzione di votare per la Lega a ritenere gli
immigrati causa di un aumento della delinquenza (contro una media del 50%)
(Eurobarometro, 1994, cit. in Biorcio, 1997, 161). Seppure chiedendo aiuti per i paesi
d’origine, la Lega si è infatti mobilitata ripetutamente per una restrizione
dell’immigrazione e dei diritti degli immigrati.
33 Alla fine degli anni ottanta crebbe anche la violenza razzista (Caritas, 1990). Dopo
l’assassinio di Jerry Masslo nel 1989 e l’aggressione del carnevale del 1990 a Firenze,
azioni violente contro gli immigrati si susseguirono, con episodi di particolare
brutalità a Roma, Torvajanica, Caserta, e Pisa (Colombo, 1997). Su 199 aggressioni
con motivazioni razziste fra il 1990 e il 1993, il 40% avvenne nel Lazio. In alcuni casi,
le sezioni locali dell’Msi e poi di An, in special modo i gruppi giovanili dei due partiti,
furono coinvolti nella violenza (Famiglietti e Farro, 1997). Per quanto riguarda la
destra radicale, mentre le organizzazioni più strutturate hanno un approccio
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esempio a Firenze) comitati contro la criminalità sono stati fondati da ex-attivisti del
Pds. In genere, poi, i comitati hanno sottolineato con forza la loro natura apartitica –
anzi si sono presentati spesso come alternativa ai partiti e al loro fallimento,
«fenomeno di modernizzazione della politica», contro «una tradizione che delegava
tutto ai partiti». Secondo uno dei dirigenti del coordinamento dei comitati milanesi,
«Ci sono stati in passato dei tentativi di portarci da una parte politica, ma noi lo
abbiamo detto chiaramente: ognuno sceglie chi vuole, ma il comitato è politico, non
partitico»; «i fascisti e la Lega sono arrivati pensando di andare alla grande e invece li
abbiamo zittiti perché la gente non ci credeva più» (cit. in Palidda, 1994, 30).
41 Sintetizzando, la protesta anti-immigrati in Italia appare caratterizzata dalla
prevalenza del discorso «etnico-nazionalistico» della Lega rispetto al nazionalismo
classico della destra, e dalla diffusa presenza di comitati locali che affrontano il tema
dell’immigrazione all’interno di una richiesta di sicurezza, o di «legge e ordine».
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negli anni settanta, riconosciuto ai soli europei dell’Est. Fino alla metà degli anni
ottanta, la legislazione esistente rendeva estremamente difficile l’assunzione regolare
di un lavoratore straniero (Adinolfi, 1992, 14).
49 La situazione ha iniziato comunque a mutare a partire dalla metà degli anni
ottanta. Nel 1986, la prima legge sull’immigrazione (la n. 943/1986, «Norme in
materia di collocamento e di trattamento dei lavoratori extracomunitari immigrati e
contro le immigrazioni clandestine») ha fissato la direzione verso la quale si
orienteranno anche gli interventi successivi: maggiori diritti per gli immigrati legali, e
restrizioni agli ingressi. Essa ha riconosciuto infatti agli immigrati in occupazioni
dipendenti «regolari» gli stessi diritti dei lavoratori italiani, e collegato l’ingresso di
nuovi immigrati alle esigenze del mercato del lavoro. Nel 1990, la legge n. 39/1990
(«Norme urgenti in materia di asilo politico, di ingresso e di soggiorno dei cittadini
extracomunitari e di regolarizzazione dei cittadini extracomunitari ed apolidi già
presenti nel territorio dello stato. Disposizione in materia di asilo»), detta Legge
Martelli, ha seguito lo stesso percorso, del resto imposto dagli accordi di Schengen.
Essa ha regolato il diritto d’asilo (garantendo comunque ampi poteri discrezionali
alla polizia di frontiera), abolito le quote geografiche per i rifugiati, abrogato diverse
norme del Testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, introdotto un sistema di visti,
regolamentato le espulsioni e indicato la necessità di integrare socialmente gli
immigrati (delegando la politica abitativa ai governi locali e stanziando fondi per le
associazioni di volontariato attive nel settore). Entrambe le leggi hanno stabilito
amnistie per favorire la regolarizzazione degli immigrati già presenti sul territorio.
50 Nella seconda metà degli anni novanta, il governo di centro-sinistra ha continuato
nella direzione dell’integrazione dei regolari e della chiusura delle frontiere. A livello
regionale, diverse leggi hanno affrontato il tema della politica della casa (in
particolare della prima accoglienza), dei servizi sociali e dell’istruzione per gli
immigrati, offrendo sostegno finanziario ai gruppi attivi sul tema dell’immigrazione.
La «Disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero» (la legge
40/1998) ha riconosciuto allo straniero – definito come cittadino di paesi esterni
all’�� – una serie di diritti, tra cui l’intervento della pubblica amministrazione per
favorire la sua integrazione attraverso assistenza sanitaria, istruzione scolastica per i
bambini, qualificazione professionale per gli adulti. La legge ha accentuato il
decentramento delle politiche di integrazione al livello locale, introducendo
comunque una copertura a livello nazionale per questi compiti e «consigli
territoriali» per coordinare gli interventi. Gli immigrati con un lavoro regolare e
residenti da almeno sei anni hanno diritto a una «carta di soggiorno» che permette di
rientrare in Italia senza bisogno di visto e dà accesso ad alcuni servizi. Per
implementare le espulsioni, comunque, la legge stabilisce la custodia in «centri di
temporanea residenza e assistenza», così come l’espulsione preventiva e
l’accompagnamento alla frontiera».
51 Partendo dunque da una totale assenza di legislazione sull’immigrazione, fra gli
anni ottanta e gli anni novanta, l’Italia si è adattata alla politica comunitaria, con
alcuni diritti sociali agli immigrati e un rafforzamento delle frontiere. È stato infatti
osservato che, «dopo Bari, sia i politici che il pubblico hanno deciso che la futura
politica dell’Italia rispetto all’immigrazione dal Secondo e Terzo Mondo era nelle
mani del gruppo di Schengen» (Veugelers, 1994, 4). Anche in Italia, come in altri
paesi europei, i diritti sociali sono stati i primi ad arrivare, seguiti da alcuni diritti
civili ma non ancora da diritti politici (Zincone, 1994, 6)11. Rispetto a quella di altri
paesi europei, la politica italiana sull’immigrazione presenta comunque alcune
peculiarità. Essa è caratterizzata infatti da emergenzialità e reattività, oltre che da un
alto livello di discrezionalità amministrativa. La delega al governo locale, e spesso al
volontariato, di una serie di servizi determina inoltre una forte eterogeneità
geografica nel trattamento degli immigrati (Zincone, 1994, 4 e 54).
52 Queste condizioni istituzionali hanno certamente influenzato la mobilitazione
sull’immigrazione. Dal punto di vista della protesta anti- immigrati, la debolezza del
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Fig. 1. Numero di stranieri che vivono nei paesi dell'ue secondo la percezione dei
cittadini.
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Tab. 1. Opinione sulla presenza nel proprio paese di cittadini non appartenenti alla
comunità europea (domanda: «A proposito delle persone che vivono in… [nome del
paese] che non sono né … [cittadini del paese] né cittadini della ce: pensa che la loro
presenza sia, per il futuro del nostro paese…»). Percentuale per paese.
� �� � �� � � ��� � � �� � �� ��
In parte, un bene 22 30 32 16 38 31 46 35 44 51 28 39 34
In parte, un male 33 33 28 19 16 28 9 24 17 17 13 25 24
Nessuna risposta 16 15 18 44 24 12 18 23 17 10 31 16 19
Totale 100 100 100 100 99 100 100 101 101 100 100 101 100
Tab. 2. Estensione o riduzione dei diritti per i cittadini non-ce (domanda: «A proposito
delle persone che vivono in… [nome del paese] che non sono né… [cittadini del paese]
né cittadini della ce: pensa che si dovrebbe…». Percentuale per paese.
� �� � �� � � ��� � � �� � �� ��
Aumentare i loro
23 7 14 31 44 25 23 68 33 22 28 11 30
diritti
Lasciare le cose
36 49 51 27 29 42 48 13 53 53 40 52 39
come stanno
Restringere i loro
32 32 24 14 5 24 13 8 6 15 8 25 18
diritti
Nessuna risposta 9 13 11 28 22 9 17 12 8 10 25 13 13
Totale 100 101 100 100 100 100 101 101 100 100 101 100 100
Tab. 3a. Movimenti a favore del razzismo (domanda: «Ci sono movimenti e
organizzazioni che prendono una particolare posizione sugli stranieri immigrati. Quali
sono i vostri sentimenti in relazione a…?». Percentuale per i diversi paesi.
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Approva
4 6 2 2 6 3 4 4 3 4 9 3 4
totalmente
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Approva in parte 8 10 8 2 4 8 11 4 6 5 5 8 7
Disapprova in
27 16 27 8 7 23 14 12 13 8 13 25 19
parte
Disapprova
51 64 53 71 75 61 50 74 74 78 64 55 63
totalmente
Non risponde 11 5 10 17 8 5 21 6 4 5 9 9 8
Totale 101 101 100 100 100 100 100 100 100 100 100 100 101
Tab. 3b. Movimenti contro il razzismo (domanda: «Ci sono movimenti e organizzazioni
che prendono una particolare posizione sugli stranieri immigrati. Quali sono i vostri
sentimenti in relazione a…?». Percentuale per i diversi paesi.
� �� � �� � � ��� � � �� � �� ��
Approva totalmente 27 42 30 70 72 36 39 65 50 65 59 34 47
Approva in parte 30 31 34 20 8 26 19 18 29 19 18 32 24
Disapprova in parte 16 12 14 1 3 16 12 4 5 6 5 14 10
Disapprova
15 11 11 3 8 14 9 8 11 5 12 9 10
totalmente
Non risponde 12 5 11 16 8 7 21 5 5 6 8 11 9
Totale 100 101 100 100 99 99 100 100 100 101 101 100 100
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4. Mobilitazioni sull’immigrazione e
mutamenti nella rappresentanza:
ipotesi conclusive
62 Le mobilitazioni in solidarietà con gli immigrati e quelle per il «restringimento
delle frontiere» sono state poco studiate e, quando lo sono state, sono state analizzate
isolatamente le une dalle altre, all’interno di filoni di letteratura separati e non-
comunicanti. In questo articolo, ho presentato alcune prime riflessioni
sull’evoluzione delle proteste sul tema dell’immigrazione in Italia, sottolineando sia la
rilevanza di questo tipo di mobilitazione nel panorama politico contemporaneo, che
l’interazione – se non altro simbolica – tra proteste pro e contro gli immigrati. Ho
quindi suggerito che entrambe possono essere spiegati attraverso un modello che
prenda in esame le opportunità sociali, istituzionali e culturali disponibili, sia a livello
nazionale che sovranazionale, per la mobilitazione, oltre che le caratteristiche degli
imprenditori politici che si sono mobilitati nei due campi.
63 Soprattutto in relazione a quest’ultimo aspetto, le mobilitazioni sul tema
dell’immigrazione ci permettono alcune riflessioni sugli effetti delle trasformazioni
nella rappresentanza politica sulla protesta. In Italia, i partiti hanno a lungo goduto
di una sorta di monopolio della rappresentanza degli interessi, con una forte azione
di patronato sui movimenti sociali. I partiti hanno dunque svolto
contemporaneamente sia rappresentanza identificante – volta a «costituire,
preservare, rafforzare le identità politiche… produrre simboli che servono ai membri
di una collettività data per riconoscersi come tali, comunicarsi la loro solidarietà,
concordare l’azione collettiva» (Pizzorno, 1983, 175) – che attività efficiente –
attraverso la quale «i politici prendono decisioni direttamente intese a migliorare, o
non lasciar peggiorare, la posizione relativa dell’entità collettiva che essi
rappresentano nel sistema entro cui questa agisce» (Pizzorno, 1983, 175).
64 La protesta sul tema dell’immigrazione sembra indicare un progressivo
indebolimento della capacità dei partiti di agire sui due fronti. L’azione identificante
diventa infatti appannaggio di nuovi soggetti, mentre i partiti mantengono il
controllo delle istituzioni rappresentative e, quindi, dell’attività efficiente. Essi
interagiscono con gli attori della protesta, si presentano come più o meno vicini a
essi, mediano, cercano soluzioni, ma non sono più capaci di elaborare e fare accettare
interpretazioni complessive sulle cause dell’insoddisfazione e delle possibili soluzioni.
Queste attività identificanti vengono invece svolte da gruppi, associazioni di
volontariato, comitati, sindacati, che poi rivolgono le loro richieste alle istituzioni,
saltando la mediazione dei partiti. L’indebolimento dei partiti sembra poi avere
effetto sul tipo di identità collettive emergenti, che rifiutano infatti le grandi
ideologie, la ricerca dell’universale e il rinvio nel tempo della soddisfazione delle
proprie rivendicazioni. In entrambi i campi infatti, seppure con profonde diversità,
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l’intervento si concentra sul livello locale e cerca un effetto immediato. Per i partiti,
sembra quindi porsi la necessità di adattarsi ad un ruolo di mediazione
«efficientista» di identità costituite altrove. Per gli imprenditori della protesta, che si
trovano a gestire notevoli disponibilità all’azione collettiva «qui e subito», la
scommessa sembra invece riguardare la capacità di stabilizzare nel tempo risorse di
mobilitazione che appaiono al momento estremamente effimere.
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Notes
1 Ibid. Simile a quella tedesca è la situazione in Svizzera (Giugni e Passy 1998).
2 Anche in Francia, comunque, soprattutto nell’ultimo decennio, le associazioni degli
immigrati si sono professionalizzate e hanno stretto rapporti con il governo (Wihtol de
Wenden 1997).
3 Secondo la Fondazione italiana per il volontariato (1996), nel 1995, il 13% delle associazioni
di volontariato concentrava l’attività sugli immigrati. Molti di questi gruppi erano nati dopo il
1985: è il caso ad esempio di 8 delle 10 organizzazioni analizzate in una ricerca su Firenze
(Burbui 1997, 142).
4 A Firenze, il Cospe è riuscito ad avere accesso a numerosi finanziamenti dell’��, che ha anche
sostenuto progetti di altre associazioni fiorentine attive sull’immigrazione.
5 In alcuni casi sono le stesse autorità – Ufficio immigrati e Prefettura – ad indirizzare ai
gruppi più radicali gli immigrati clandestini (Paolucci, Pisani, Innocenti and Toccafondi 1998).
6 Sia la Cgil che la Cisl hanno un Uffici stranieri; la Cgil ha anche un Coordinamento immigrati
(dei cui 55 membri, 44 sono immigrati), la Cisl ha un’Associazione oltre le frontiere; uffici per
gli immigrati sono presenti nelle Camere del lavoro (Zincone 1994, 87-89).
7 Nel 1990, ad esempio, circa il 46% dei delegati al ��� Congresso dell’Msi approvava
l’affermazione che «ci sono razze superiori e inferiori»; e il 44% sosteneva che «il potere
finanziario è nelle mani degli ebrei» (Ignazi 1994, 82-4). Nel 1991, un quarto dei militanti del
Fronte della gioventù si dichiarava antisemita (Ignazi 1994, 88-9).
8 Su 300 persone indiziate di crimini razzisti, 142 avevano tra 18 e 20 anni; 84 tra 21 e 23; dei
50 di cui si conosce l’occupazione, 15 erano studenti, 19 operai, 7 impiegati, 2 commercianti, e
7 disoccupati (Rapporto Eurispes, in «La Repubblica», 22-23 febbraio 1994).
9 Dal Lago (1999) ha parlato di «tautologia della paura» a proposito del rinforzo reciproco tra
sentire dell’opinione pubblica e discorso dei media, mobilitato da imprenditori politico-morali,
che diffondono la definizione dell’immigrato come minaccia.
10 Altre fonti parlano di un totale di 5,6 milioni di immigrati tra il 1946 e il 1965 (Bonifazi
1998, 78).
11 Solo alcuni governi locali (fra essi Bologna e Torino) hanno dato agli immigrati diritto di
voto in referendum a livello locale.
12 L’identità nazionale è tradizionalmente debole nel nostro paese: non a caso, nel 1998 la
percentuale di italiani con una identità nazionale esclusiva (invece che un’identità territoriale
mista o europea) era la più bassa d’Europa (28% in Italia, con una media europea del 44%)
(Eurobarometro n. 49:42).
List of illustrations
Fig. 1. Numero di stranieri che vivono nei paesi dell'ue secondo la
Title percezione dei cittadini.
URL http://journals.openedition.org/qds/docannexe/image/1398/img-1.jpg
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References
Bibliographical reference
Donatella della Porta, “Immigrazione e protesta”, Quaderni di Sociologia, 21 | 1999, 14-44.
Electronic reference
Donatella della Porta, “Immigrazione e protesta”, Quaderni di Sociologia [Online], 21 | 1999,
Online since 30 November 2015, connection on 03 April 2023. URL:
http://journals.openedition.org/qds/1398; DOI: https://doi.org/10.4000/qds.1398
Copyright
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