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La ricezione de La battaglia di

Algeri di Gillo Pontecorvo in


Italia

Carmen Gallo MCS/00149 | Storia dell’Italia contemporanea |


Anno Accademico 2020/2021
Premessa

Questo lavoro ha lo scopo di illustrare in poche righe l’assimilazione in Italia di


un processo politico e culturale di carattere prevalentemente europeo: la
decolonizzazione. Nella prima parte verrà proposto un quadro generale del periodo
storico di riferimento, per poi concentrarsi sul lavoro cinematografico di Gillo
Pontecorvo, La battaglia di Algeri; si prosegue esaminando gli sviluppi e i cambiamenti
interni all’opinione pubblica italiana; saranno presenti anche doverosi accenni al lungo
percorso di accettazione, da parte della Francia, della propria cultura coloniale, che
fatica a sradicarsi dal pensiero politico e da parte del discorso pubblico francesi.
Verranno, inoltre, citati e commentati alcuni articoli presenti sulle riviste della stampa
italiana durante gli anni di successo di Pontecorvo, il quale, proprio per la realizzazione
del film La battaglia di Algeri, vincerà il Leone d’oro a Venezia nel 1966.

La decolonizzazione

A partire dalla fine della Seconda guerra mondiale, ha inizio una lunga fase di
decolonizzazione, caratterizzata da movimenti per l’indipendenza dei nascenti stati
nazionali, soprattutto in Africa, in buona parte dell’Asia e in alcuni territori delle
Americhe.
Le tensioni tra colonizzatori e colonizzati preannunciavano lo scoppio di
un’azione violenta di rivendicazione del diritto all’autodeterminazione dei popoli, già
presente nei Quattordici punti del discorso pronunciato dal presidente americano
Woodrow Wilson l'8 gennaio 1918 davanti al Congresso degli Stati Uniti, alla fine della
Prima guerra mondiale. Appellandosi a questo principio, i popoli colonizzati avrebbero
ottenuto il permesso di scegliere una propria forma di governo e di darsi una
costituzione propria, senza subire pressioni da parte degli Stati più sviluppati. Le
difficoltà sorte nel tentativo di applicazione di questa volontà da parte dei popoli
oppressi misero in luce alcune fragilità di fondo presenti negli stati e nella corrente
mentalità occidentale. In Europa, i grandi imperi coloniali, come la Gran Bretagna e la
Francia, erano convinti della loro missione civilizzatrice e della legittimità del loro
dominio: per tale ragione, i primi movimenti di indipendenza non vennero percepiti

1
come un grosso pericolo, né il loro persistere come qualcosa su cui discutere per trovare
un accordo. Ciò che cominciava a minare l’equilibrio interno dei paesi europei era la
forte contraddizione tra i principi democratici molto acclamati in madrepatria e la
repressione violentissima di qualsiasi forma di ribellione nelle colonie. «Liberazione
nazionale, rinascita nazionale, restituzione della nazione al popolo, Commonwealth,
qualunque siano le etichette impiegate o le formule nuove introdotte, la
decolonizzazione è sempre un fenomeno violento»1, la quale «com'è noto, è un processo
storico: vale a dire che non può essere capita, non trova la sua intelligibilità, non si fa
trasparente a se stessa se non proprio in quanto si discerne il movimento storicizzante
che le dà forma e contenuto»2. Nonostante il carattere violento sia una costante di tutti
gli eventi storici, c’è da dire, come sostiene George Mosse, che si verificò una «certa
brutalizzazione della vita politica postbellica»3, che aveva assunto due declinazioni
specifiche: da un lato, l’introduzione di nuove forme di lotta politica, forme che
contemplavano la violenza come strumento di eliminazione dell’avversario; dall’altro,
la diminuzione della sensibilità di fronte al valore della vita e alla crudeltà umana.

Il terzomondismo e l’Italia dei movimenti

Le due grandi guerre che sconvolsero l’Europa della prima metà del Novecento
contribuirono alla presa di coscienza, da parte dell’opinione pubblica italiana del
secondo dopoguerra, di adottare linee politiche diverse da quelle che in precedenza
avevano adottato misure così violente e debilitanti verso gli altri stati. D’altronde, la
nascente Italia repubblicana si impegnò, fin dalla sua nascita, a partecipare alle
organizzazioni internazionali che promuovevano la pace e la giustizia fra i popoli,
prendendo parte alla creazione di un ordinamento mondiale più giusto, in grado di
esprimere quei valori fondamentali considerati come cardine della vita democratica,
quando, nel dicembre del 1955, aderì all'Organizzazione delle Nazioni Unite.
L'ONU, costituitosi ufficialmente il 24 ottobre del 1945 sulla disciolta Società
delle Nazioni, ha nel suo statuto, come programma, quello di garantire alle nazioni del

1
F. Fanon, I dannati della terra, Torino, Einaudi 2010.
2
Ibidem.
3
G. Mosse, Le guerre mondiali. Dalla tragedia al mito dei caduti, Roma-Bari, Laterza,
1990.

2
mondo la pace e il progresso della democrazia come pure l'affermazione del rigoroso
rispetto per i diritti e le pari dignità di tutti gli stati, sia grandi che piccoli.
L’articolo 11 della Costituzione italiana4, infatti, fu scritto e pensato anche per
consentire l'adesione dell'Italia all'ONU, che richiedeva, come condizione essenziale
per tale adesione, che lo stato si fosse dichiarato “amante della pace.”
Inoltre, l’enorme diffondersi dell’attivismo politico grazie alla nascita di
movimenti come quello contro le armi nucleari o l’iniziativa pacifista italiana,
concretizzatasi poi con la prima “marcia per la pace”, da Perugia ad Assisi nel 1961,
rappresentò un’altra importante caratteristica della trasformazione della lotta politica a
partire da quegli anni. Un altro movimento, legato all’internazionalismo (non soltanto
operaio), fu il cosiddetto terzomondismo, che consisteva nell’adesione da parte
dell’Italia al progetto di emancipazione del Terzo mondo. Sotto il profilo politico-
culturale, come ricorda Marica Tolomelli ne L’Italia dei movimenti. Politica e società
nella Prima Repubblica, un grande contributo alla valorizzazione delle lotte di
emancipazione anticoloniale è dato dalla pubblicazione in Italia de I dannati della Terra
di Fanon nel 19625 e dall’impegno politico-sociale degli intellettuali che parteciparono
al dibattito pubblico italiano, tra cui Giovanni Pirelli, Giangiacomo Feltrinelli e il
politico e imprenditore Enrico Mattei.
L’evento che da molti anni attirava l’attenzione dell’opinione pubblica italiana
degli anni Sessanta era la repressione da parte della vicina Francia delle rivolte di
indipendenza algerine, cominciate nel novembre del 1954. L’Italia, in quegli anni,
aveva fatto una precisa scelta a favore dell’anticolonialismo, legata anche alla perdita
delle colonie africane decisa dall’ONU, a partire dal 1949; tuttavia, la recente presa di
coscienza dell’importanza e del riconoscimento della dignità dei popoli sottomessi si
scontrava con la necessità di non turbare le relazioni con il partner europeo, la Francia:

4
L’art. 11 dispone: «L'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa della libertà degli
altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in
condizioni di parità con gli altri Stati alle limitazioni di sovranità necessarie ad un
ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le
organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo».
5
Il libro di Fanon venne pubblicato nel 1962 «dall’editore torinese Einaudi nella collana
dei “Libri Bianchi”, nata a seguito dei fermenti politici e intellettuali innescati dagli
eventi del 1956» M. Tolomelli, L'Italia dei movimenti. Politica e società nella Prima
repubblica, Roma, Carocci 2015, p. 73.

3
la questione algerina, infatti, rappresentava per la sensibilità parigina una minaccia
“interna” e come tale andava trattata. Il conflitto si muoveva contemporaneamente su
due piani: quello militare, dopo l’avvio delle azioni armate del Fronte di Liberazione
Nazionale (FLN) e quello semantico, per cui nell’ordine discorsivo ufficiale francese
all’espressione guerra d’Algeria venivano sostituite denominazioni più rassicuranti
come operazioni di polizia, azioni di mantenimento dell’ordine, operazioni per il
ristabilimento della pace civile, pacificazione. «L’Algeria era un territorio
metropolitano francese che accoglieva al suo interno circa un milione di francesi, […]
i quali rappresentavano una presenza numericamente e politicamente imponente.
L’incoraggiamento alla causa dell’indipendenza algerina (legittimo e persino scontato,
alla luce di un discorso anticoloniale generoso di promesse) e il mantenimento di buone
relazioni con la Francia […] si ponevano, per l’Italia, come i due poli di
un’alternativa»6. Va aggiunto il fatto che l’intera tradizione della sinistra italiana
rivelava un’incapacità di approfondire le questioni sorte con la decolonizzazione,
riducendole ai discorsi usitati della lotta al fascismo e al capitalismo7.

Il ruolo dei mezzi di comunicazione di massa: il cinema e le riviste

Mentre negli ambienti politici si discuteva su quale strategia adottare per


salvaguardare le sorti dell’Italia all’interno dei sempre più complessi rapporti di politica
estera, i mezzi di comunicazione di massa (cinema, riveste, quotidiani…) avevano reso
accessibile il dibattito sul tema delle lotte di liberazione anticoloniale a una fascia di
pubblico ben più ampia.

6
B. Bagnato, « Tra Parigi e Algeri. L’Italia e «l’elastico filo della sopportazione francese»
(1954-1962) », Cahiers d’études italiennes, 22 | 2016, 113-125.
7
Paolo Vittorelli (1959, p.50) osservava: «il movimento antifascista italiano ha un debito
d’onore verso le nazioni coloniali e ex coloniali: tale debito d’onore nasce da avventure
coloniali del regime fascista, in particolare dall’aggressione del 1935 contro l’Etiopia. Fin
da allora, non vi fu nessuno, in seno all’antifascismo italiano, che non sentisse che la lotta
contro il fascismo era anche lotta contro le avventure imperialistiche del fascismo, era
anche lotta contro ogni forma di oppressione coloniale, da chiunque fosse esercitata, quale
che fosse il principio in nome del quale tentava di giustificarsi».

4
La stampa nazionale dell’epoca, tra cui i quotidiani «Il Giorno»8 e «La Stampa»,
riservò una particolare attenzione agli eventi relativi alla guerra franco-algerina;
l’informazione in merito, però, raggiunse una maggiore risonanza con l’arrivo nelle sale
cinematografiche de La battaglia di Algeri di Gillo Pontecorvo, nel 1966. Questo film,
interamente girato nella capitale algerina, si colloca a pochi anni di distanza
dall’effettivo riconoscimento dell’indipendenza dell’ex colonia francese, avvenuto
soltanto quattro anni prima. L’opera di testimonianza storica di Pontecorvo suscitò
polemiche in Francia, dove il film venne vietato fino al 1971 e attaccato sia da destra
che da sinistra; ebbe viceversa grande risonanza internazionale, vincendo il Leone d'oro
e il premio della critica internazionale alla Mostra del Cinema di Venezia, ottenendo
tre nomination all'Oscar, per il miglior film straniero, per la migliore regia e la migliore
sceneggiatura originale.
Nonostante la messa in scena documentarizzante e il grande lavoro di veridicità
(attestato anche dalla presenza di numerosi attori non professionisti), La battaglia di
Algeri non rientra in quel genere di film che all’epoca si identificava come “cinema
militante”9. È pur vero che a Pontecorvo fu proposta una sceneggiatura scritta dagli
stessi ex-combattenti del FLN (Fronte di Liberazione Nazionale), ma egli la rifiutò,
perché troppo smaccatamente propagandistica. Cominciò allora un lavoro di co-
produzione con Franco Solinas: i due si recarono in Algeria e iniziarono un attento
lavoro di consultazione dei giornali dell'epoca e dei verbali della polizia e di confronto
con i discorsi dei colonnelli francesi.
Sulle pagine della rivista anarchica «Volontà», nell’ottobre del 1966 appare, tra
le righe dedicate alla recensione del film di Pontecorvo, un’importante riflessione: oltre
alla forza fisica e militare degli eserciti, c’erano altre forze esercitate da attori diversi
che pian piano cominciarono a diventare i veri protagonisti di questi dibattiti, ovvero

8
Il Giorno nasce per iniziativa del presidente dell'ENI Enrico Mattei, intenzionato a dar
vita ad un nuovo quotidiano che fosse d'appoggio alla linea politica ed economica da lui
espressa.
9
L’espressione fu coniata in riferimento ai movimenti cinematografici esplicitamente
legati alle rivolte politiche della fine degli anni Sessanta e alle lotte di indipendenza dei
Paesi del Sud del mondo. Si tratta di un cinema d’impronta fortemente ideologica,
finanziato direttamente da partiti o movimenti e destinato a circolare tramite circuiti
alternativi alla distribuzione tradizionale. Il cinema militante cerca un intervento diretto
nell’agone politico, e tendenzialmente abbandona le strutture della finzione a favore di
un approccio almeno in parte documentaristico.

5
l’opinione pubblica, la congiuntura internazionale, le aspirazioni delle masse10. La
posizione del regista si pone sicuramente a favore del popolo algerino, oppresso dalla
dominazione francese; ciò, però, non significa, come è stato sostenuto dalla critica
francese del tempo, che il film sia stato una condanna per i francesi e un mezzo di
propaganda per l’Algeria: l’obiettivo principale era quello di ricostruire pagine di
cronaca con una precisa posizione politico-ideologica, ma senza disprezzare la
drammatizzazione spettacolare. Mentre il cinema militante è un prodotto maggiormente
pensato per la proiezione durante occasioni particolari e alternative, come quelle dei
congressi politici, La battaglia di Algeri venne portato in sala e sottoposto a un pubblico
ben più ampio, proponendosi in modo tale da coinvolgere sia lo spettatore colto che
quello meno raffinato. Il faticoso equilibrio a cui aspirava Pontecorvo nel tentativo di
comprendere le ragioni dei colonizzati e dei colonizzatori, pur trattando con un certo
riguardo i primi, venne considerato un limite dalla rivista «Quaderni piacentini»11, la
quale, in un articolo di Goffredo Fofi apparso nel gennaio del 1967, intitolato Film da
vedere e non vedere, sosteneva: «Il didascalico è di scoraggiante povertà. Non tocca la
politica, né la sociologia, né l'economia — e dunque non tocca la storia di una
complessa rivoluzione, finita nel modo in cui è finita non perché «tradita» ma perché
nata in un certo modo e sviluppatasi con una certa linea, che andava spiegata o indicata
in riferimento ad un passato, ad un futuro, e a un retroterra preciso. Tocca solo un
contrasto in cui «ognuna delle due parti ha le sue ragioni », una lotta a colpi bassi (sì,
purtroppo, è stato necessario rinunciare al fair play!) tra ipotetici gentlemen»12. Ciò che
appariva didascalico in Fofi, rappresentava un merito, invece, per Ferraresi che su
«Volontà» riconosceva in Pontecorvo la sua capacità di aver conferito umanità ai
personaggi simbolici. Se l’istanza dei colonizzatori è esplicitata grazie anche al
discorso del colonnello Mathieu sulla tortura13, quella più emotiva è riservata agli

10
L. Ferraresi, La battaglia di Algeri, «Volontà», n.10, a. XIX, ottobre 1966, p. 606
11
Rivista di dibattito politico e culturale fondata a Piacenza nel 1962; fu per molti anni
uno dei punti di riferimento teorico-politico della cosiddetta nuova sinistra, anticipando
le tematiche del movimento studentesco del 1968 e sostenendo, in ambito culturale, una
linea di critica intransigente alla società capitalistica.
12
G. Fofi, Film da vedere e da non vedere, «Quaderni piacentini», n. 29, a. VI, gennaio
1967, p. 97.
13
Tramite questo personaggio, il regista si fa portatore di una tesi sulla tortura che deriva
dalle teorie di Fanon: colonialismo e tortura sono la stessa cosa, la tortura è una logica
conseguenza del rapporto tra colonizzatore e colonizzato. Questo richiamo importante

6
algerini: nelle scene in cui si scava tra le macerie alla ricerca dei corpi dei bambini
algerini, colpiti dall’esplosione di una bomba nella casbah o in quelle che mostrano il
viso del popolo algerino segnato dalla violenza francese, il livello di pathos e di
partecipazione emotiva da parte dello spettatore è molto alto.
Le posizioni espresse dalle due riviste muovevano i fili del discorso pubblico
italiano, ma ciò che vale la pena sottolineare, come sostiene Tolomelli nell’opera
sopracitata, è che «La battaglia di Algeri contribuiva a tenere accesi i riflettori su ciò
che accadeva nel continente africano e il protrarsi dei conflitti con le ex potenze
coloniali europee»14.
La discussione attorno a questi temi che non coinvolgevano direttamente la
società italiana, ma si riferivano a quella francese, serviva anche a rimuovere le
memorie di un passato coloniale abbastanza recente. Come accadde per il fascismo
nell’immediato secondo dopoguerra, era forte la tendenza a disconoscere il passato
coloniale, così da impedirne una conoscenza reale, una sua rielaborazione e una
collocazione storica nel presente. Risulta emblematico un banalissimo esempio che
dimostra il vuoto d’attenzione della stampa italiana sull’indipendenza della Somalia,
ottenuta il 30 giugno 1960, ovvero l’aver dedicato numerose pagine all’indipendenza
congolese dal Belgio, avvenuta nello stesso giorno.

Conclusioni

Secondo quanto riportato da Irene Bignardi nel suo volume biografico su Gillo
Pontecorvo, il regista, nel girare La battaglia di Algeri fu fortemente ispirato da ciò che
aveva vissuto personalmente come partigiano vent'anni prima: la forte analogia che
Pontecorvo sentiva fra il movimento indipendentista algerino e quello partigiano
italiano è chiaramente percepibile vedendo il film. Martellini ha sottolineato come, nel
momento in cui il dibattito sulla legittimità della guerriglia nel Terzo mondo assumeva
le dimensioni di una lotta al nazifascismo, i legami ideali con la Resistenza, nel
movimento, si facevano più concreti: «le similitudini tra i vecchi partigiani e i nuovi

al rapporto di violenza che necessariamente e naturalmente si instaura tra i due gruppi


serve proprio ad affermare, accanto all’anticolonialismo, la prospettiva francese.
14
M. Tolomelli, L'Italia dei movimenti. Politica e società nella Prima repubblica, Roma,
Carocci 2015, pp. 79-80

7
guerriglieri iniziarono a inseguirsi incessantemente nelle manifestazioni pubbliche e a
rimbalzare per tutta la penisola. Non a caso queste similitudini vennero generosamente
alimentate proprio nel corso delle celebrazioni per il 25 aprile, che divennero un
simbolico trait d'union, un ideale ponte gettato nel tempo e nello spazio per collegare
la vittoria sul nazifascismo con le lotte dei popoli del Terzo Mondo contro l'Occidente
imperialistico; e i giovani di casa nostra, che non avevano partecipato né alla prima né
alle seconde, si sentivano però partecipi di queste, come avanguardie di una rivoluzione
ormai prossima anche in Occidente, ed eredi di quella, senza che peraltro, nessuno li
avesse nominati tali»15.
Dal contesto italiano emerge, quindi, un’incapacità di staccarsi dal paradigma
interpretativo dell’antifascismo e una necessità sempre più insistente di riaffermare il
legame tra cultura antifascista e cultura anticoloniale. Di conseguenza, risultava molto
difficile fare una rielaborazione critica della storia recente e del rapporto stesso
dell’Italia con le sue ex colonie africane: il rischio che si correva era quello di ridurre
la questione a una serie di semplificazioni scolastiche, che appagavano il giovane
italiano che viveva il fervore indipendentista del terzomondismo in Italia, senza mai,
però, interrogarsi profondamente sulle ultime vicende coloniali che avevano coinvolto
la sua nazione.

15
Martellini, All'ombra delle rivoluzioni altrui, cit., p. 24

8
Bibliografia
Monografie:

Ferro M., Quale Fanon? Un’analisi della prima recezione italiana de “I dannati della terra”,
Tesi di Laurea Magistrale, Università Ca’ Foscari Venezia, a.a. 2013-2014, relatore prof.
Giuseppe Goisis, correlatore prof. Guido Basso.

Mosse G., Le guerre mondiali. Dalla tragedia al mito dei caduti, Roma-Bari, Laterza, 1990.

Martellini A., All'ombra delle altrui rivoluzioni. Parole e icone del Sessantotto, Milano-
Torino, Bruno Mondadori 2012.

Ottolini T., La guerra d'indipendenza algerina da un punto di vista italiano 1954-1962, Tesi
di Laurea Magistrale, Università di Bologna, a.a. 2012-2013, relatrice prof.ssa Marica
Tolomelli, correlatore prof. Paolo Capuzzo.

Id., Dal soutien alla cooperazione. Il terzomondismo in Italia fra il Centro di


Documentazione “Frantz Fanon e il Movimento Liberazione e Sviluppo, Dottorato di
ricerca, Università di Bologna, a.a. 2018, coordinatore dottorato Massimo Montanari,
supervisore Marica Tolomelli.

Tolomelli M., L'Italia dei movimenti. Politica e società nella Prima repubblica, Roma,
Carocci 2015

Articoli:

Bagnato B., Tra Parigi e Algeri. L’Italia e «l’elastico filo della sopportazione francese»
(1954-1962), Cahiers d’études italiennes, 22 | 2016, 113-125

Brazzoduro A., La guerra d’Algeria nel discorso pubblico francese, quarant’anni dopo
(1962-2002) contenuta in Rassegne, Sapienza Università di Roma – Université de Paris X
(Ihtp), 2008.

Ferraresi L., La battaglia di Algeri, «Volontà», n.10, a. XIX, ottobre 1966.

Fofi G., Film da vedere e da non vedere, «Quaderni piacentini», n. 29, a. VI, gennaio 1967.

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