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A Vittorio Veneto non accade mai niente. Non lo dico io che ci abito, ma il
fumettista serbo Aleksandar Zograf che nel suo "Saluti dalla Serbia" scrive :
"Non abbiamo resistito e siamo tornati a Vittorio Veneto, un posto meraviglioso
dove in realtà non accade mai nulla. Lo so che forse i miei lettori si
innervosiranno perché nei miei fumetti parlo sempre tanto del 'non fare nulla'.
Ma ricordate : non fare nulla a Vittorio Veneto è un'arte".
Certe volte d'estate, per provare una botta di vita, mi infilo in qualche sagra
paesana di cui sono piene le colline intorno. Mi piace guardare Giovanna o
Samantha o Luana (tutte con dei bei nomi che c'hanno gli zatteroni e le tette
grosse solo a pronunciarli) e le loro orchestre romagnole imitare i soliti refrain
di Casadei. Mi piace soprattutto osservare il popolo della polenta e del rosso
mentre smaltisce la cena in pista.
Ernesto deve averne passate parecchie. Con il suo sguardo lesso da tanguero
stanco, la sigaretta sempre miracolosamente in equilibrio all'angolo della
bocca, il capello impomatato dalla nascita, pare faccia ancora una vittima ad
ogni casché. Invischiato nell'affollato girotondo dei valzer, si muove sempre
con passo felpato e non diresti che ha superato la settantina. Ad ogni giro
cambia partner e sono ancora in molte ad aspettare il proprio turno. Lui le
conquista con il mistero del ballo e lo sguardo assassino sopra il baffo da
pampero trevigiano.
Ernesto l'ho conosciuto parecchi anni fa. Collaboravo con l'assistente sociale
del comune e insieme facevamo visita ai suoi assistiti. In una viuzza laterale
ancora più immobile del centro città, siamo entrati in una casetta grigia, una
costruzione anonima anni sessanta o settanta. Sul divano era stesa Rosa.
Viola. Dappertutto. Ricordo che distinguevo sulla pelle semicoperta da un
vestitino con dei fiori gialli, al massimo una o due chiazze chiare. Il resto era di
un blu violaceo uniforme.
a. A dare ascolto alle riviste di viaggi e turismo, l'Italia altro non sarebbe che
un'oasi di 300.000 kmq di paesaggi mozzafiato, monumenti unici al mondo,
spiagge incontaminate.
c. Mai dimenticare a casa guide e depliant del bengodi che ci attende all'arrivo,
nelle ore di attesa in coda a sezionare i bulloni del guard rail o ad osservare il
panorama del Tir mozzafiato (per via degli scarichi) nella carreggiata a fianco,
sono letture rasserenanti da praticare in alternativa allo yoga.
Tesi, antitesi e sintesi. Il problema - almeno così pensavo fino a pochi giorni fa
- è che inseguiamo in massa il turismo d'élite, quello morbidamente new age
ed ecologically correct, indifferenti ad ogni contraddizione, convinti come siamo
che la nostra scelta personale sarà la sintesi perfetta almeno per i quindici
giorni che servono.
La spiaggia è proprio come nella realtà : non manca neppure il solito coloured
che passa tra gli ombrelloni a vendere collanine e asciugamani. Sotto quel
solleone avrà anche lui un caldo bestia e per placare il senso di colpa generato
dalle mie continue lamentazioni, gli compro un paio di braccialetti.
Una conclusione del tutto provvisoria. Non ce la faccio proprio più, sul giornale
leggo il resoconto dell'ultima partenza intelligente dei dieci milioni in 24 ore. Mi
giro e rigiro sulla sdraio per cercare di capire dove sbaglio io, dove sbagliano
quelli come me e anche quelli che non sono come me. Concludo che vorrei
essere come tutti quelli dell'ombrellonopoli intorno, e basta. Ma alla fine, la
stanchezza ha la meglio e cedo al sonno sperando che, prima o poi, passi
quello del cocco.
- E' che la montagna non viene più curata - bestemmia - Su in alto, nei pascoli
senza bestie, l'erba cresce alta e nessuno si preoccupa di tagliarla. E quando
piove si piega e sembra asfalto, e il terreno diventa impermeabile. L'acqua
scorre, scende a valle, s'ingrossa, travolge tutto. Io, agli esperti che vengono
qui quando c'è l'emergenza, gli darei la falce in mano - dice senza sorridere.
- Sì, ho fatto anch'io come tutti. Negli anni '60 me ne sono andato ad Ivrea a
lavorare. Si stava bene, eh ! Non è mica che non mi piacessero tutti quei soldi
che mi giravano per le tasche, ma insomma, mi mancava l'aria, ecco. Tanti poi
sono rimasti lì, tornano a trovarmi d'estate per le vacanze, ma io sono
rientrato quasi subito. Ma di', tu di dove sei ?
Ah, veneto. Bel posto il Veneto. C'ho fatto il viaggio di nozze nel '63. Con la
Cinquecento di mio cugino siamo partiti da qui. Che viaggio, va là. Ma bello, eh
! Ci credi ? Ci siamo fermati in una pensioncina vicino a Longarone. La notte
prima. Ma a mia moglie non piaceva quel posto. C'era un'aria strana. Non dico
un presentimento, perchè è facile dirlo adesso.... Ma insomma siamo venuti via
quella mattina. Poi, la sera, lo sai, no ? Il Vajont..."
E' che qui, un novello crociato come il deputato veronese Bricolo che vuole i
crocefissi in ogni aula e gli arabi fuori dall'Europa, o i Serenissimi che occupano
il "loro" campanile di San Marco, ti fanno passare la voglia di memoria. I
leghisti usano la storia come una spada. Invece il passato è un ponte, luogo di
passaggio e congiunzione tra sponde diverse bagnate dallo stesso fiume.
Basterebbe chiederlo ai veneziani, che lo sanno. Treviso è la provincia più
leghista d'Italia : alle elezioni del maggio scorso i seguaci locali del dio Po
correvano da soli. Al primo turno hanno racimolato il 44% per poi passare
trionfalmente al ballottaggio. Visto da questa riva, il veneto è davvero cosa
loro.
Non il Vajont.
Sarà che la tragedia della diga è un ricordo un po' "rosso", perchè L'Unità,
grazie al coraggio della giornalista bellunese Tina Merlin, fu l'unica a
denunciare quello che stava accadendo, i soprusi e le bugie della società
veneziana SADE, titolare della gestione della diga, che portarono al disastro del
9 ottobre 1963.
La Merlin, anni dopo, scrisse anche un libro imperdibile : Sulla pelle viva. Come
si costruisce una catastrofe. Dimenticato da troppi per anni, sconosciuto alle
giovani generazioni, il caso del Vajont - dramma dell'arroganza del potere,
dell'assenza di ogni regola (che oggi viene riproposta in versione anglofona),
della brama del guadagno ad ogni costo - è stato dissepolto nel '93
dall'indimenticabile monologo teatrale di Marco Paolini e, più di recente, dal
controverso film di Renzo Martinelli.
- Sono venuta qui perchè non ho più niente e soprattutto, nessuna speranza.
Lo faccio per i miei figli - ne ho tre -, voglio che vengano in Italia, loro devono
avere un futuro. Non è solo per via della crisi economica; certo, quella conta
moltissimo... Ma anche il domani non sarà meglio : quello che viviamo oggi è il
risultato del golpe del '76. Lo stiamo ancora pagando. Chissà per quanto
ancora. Hanno ucciso tutti i migliori, i più carismatici, i più intelligenti, quelli
che oggi, forse, potrebbero darci un po' di speranza. Lo hanno fatto in maniera
chirurgica, sai ? Tutti insieme, esercito, polizia, marina, servizi segreti, con agli
americani. Li prendevano uno ad uno. E' stato un massacro. I politici di oggi
sono i servi di allora. Saranno servi anche in futuro. Ma sai chi potrebbe essere
il futuro presidente ? Menem ! Lui, ancora lui. No, non c'è proprio speranza - e
quasi diventa viola dalla rabbia e dal dolore.
L'epopea dei veneti d'Argentina, una specie di cerchio che si chiude dopo gli
anni del benessere di quella comunità, potrebbe offrire un qualche
insegnamento ai tanti di qui storditi dal successo del "miracolo del nord-est".
Ma chissà, forse la storia è solo l'invenzione bislacca di qualche romanziere : gli
ultimi emigranti di cui ho sentito (un articolo sul Corriere di qualche anno fa)
sono stati i capitani dell'industria locale - si fa per dire - più famosa al mondo
che, "stanchi della affollata campagna veneta", si sono comprati una hacienda
in Patagonia, per rilassarsi l'estate e allevare pecore per far maglioni d'inverno.
Adesso i figli di quegli emigranti che non si chiamano Benetton sperano di
tornare nella terra promessa, che è poi quella vecchia che avevano lasciato un
secolo fa.
- Per fortuna che gli argentini hanno un canale privilegiato, non riesco ad
immaginare gli altri. Fino all'anno scorso era molto più facile venire in Italia,
adesso è un casino. - interviene Lucio che corre da un ufficio all'altro per avere
tutte le carte di Graciela in regola.
- Sarà, io so solo che ho fatto e sto facendo una fatica bestiale per lei e tanti
altri miei connazionali. Io non ci tornerò mai laggiù. Dopo tanti anni qui
sarebbe impossibile vivere là. Faccio tutto quello che posso per quelli che
vogliono fare come me -.
- Io voglio essere italiana. I miei bisnonni erano italiani. Sono come voi. Voglio
tornare qui, nel vostro paese - insiste Graciela e poi, a mezza voce : - Lo faccio
per i miei figli -.
E' fatta. Questa volta il sceriffo ha scaricato le sue colt sul bersaglio sbagliato,
colpendo incidentalmente il vaso di Pandora pazientemente costruito in secoli
da genti forti, laboriose, silenziose, magari un po' servili (quell'orribile
"comandi" in bocca a troppi vecchi), ma certo affidabili, infaticabili, quasi
ostrogote (almeno secondo il sindaco di Treviso). Insomma, la razza Piave,
quella genia che da migliaia d'anni popola le due rive del fiume.
Quelli che gli tirerebbe in faccia Remo, sommo poeta locale di pura razza Piave
da non so quante generazioni.
E' fantastico vederlo incedere a testa alta, lungo i viali del centro, fendendo
come una lama la coorte di lavoratori del braccio (lavora, lavora, e ancora
lavora) tanto graditi a Gentilini. La lunga barba bianca, cappottone fino ai piedi
d'inverno, spolverino fino ai piedi d'estate, ti blocca piazzandoti davanti al naso
l'inseparabile ventiquattr'ore.
- Ehhhhhh, senza di lei mi sentirei perduto. Ci tengo tutti i miei progetti, i miei
scritti e soprattutto le poesie. L'intera raccolta a tema : Ode alla vite. (ode a
che ???) Ahhhhhh, o infedele ! Non conosci tu forse la possanza metallica del
bullone ? La perfettibile geometria dell'ingranaggio ? Metafore. M-e-t-a-f-o-r-e
mio caro ! Sono stato sette anni tornitore prima di dedicarmi all'arte. Da lì
traggo la maggior parte del mio immaginario poetico -.
Sublime. Gli pago un caffè in cambio di un paio di sonetti ("Ho tenuto anche un
reading a Firenze!") e ci separiamo. Giusto il tempo di lanciare un saluto
all'Indiano (non lo conosco in altro modo, lo chiamano tutti così), che passa lì
davanti. Un pellerossa di pura razza (Piave) che gira a petto nudo
indipendentemente dalla stagione. Abita in collina e quando deve andare a
Treviso (40 km) parte la mattina presto per essere a casa prima che tramonti il
sole. L'Indiano non usa altro mezzo di locomozione che le sue gambe. Due
tronchi mobili.
Remo, il Bucho e l'Indiano (quest'ultimo un po' meno per via della distanza),
sono degli habitué di una sedicente osteria che Robby (uno spurio originario di
Venezia) apre - friends only - nella discarica in cui abita proprio in riva al
Piave. Deve essere una specie di malattia, Robby raccoglie tutti i tipi di rifiuti
che pensa possano essere riutilizzati (biciclette, materassi, tubi, finestre rotte,
polistirolo espanso, una decina di frigoriferi, scarpe, vestiti, mobili.... la lista è
infinita) e dopo aver riempito la casa è passato al piccolo pezzo di terra
intorno. Il risultato è che per arrivare anche solo all'ingresso ci vuole un
machete. Ma è un'avventura ogni volta e anch'io, d'estate, ci vado spesso a
mangiare l'anguria.
Tutti loro, molto più di me, sono fancazzisti d.o.c renitenti ai Gentilini.
Uno di questi giorni, ci metteremo stesi con i piedi nell'acqua, l'anguria fresca
con tutti i semi in canna pronti allo sputo, a guardare scorrere il fiume, in
attesa che passi il cadavere di Gentilini e di tutti quelli come lui, nemici giurati
della nostra tribù astratta di pura razza Piave.
6. Il pensionato in dotazione
23/10/2002
La premessa:
Avete mai notato che dove c’è un cantiere stradale immancabilmente c’è un
pensionato sul bordo della buca che guarda gli operai all’opera?
Il Fatto:
Un bel giorno, colto da Colombite acuta (Colombo è un mio amico che non
appena vede un attrezzo o una macchinetta assolutamente useless li compra),
ho deciso di comprarmi una soffiatrice per sparare via le foglie dal parcheggio
di fronte al negozio.
Mai e poi mai avrei immaginato che in dotazione con la soffiatrice mi avrebbero
dato anche il pensionato che guarda.
Fin qui niente di stravagante, il pensionato che guarda non consuma e non
sporca, lui si limita a materializzarsi come un ologramma non appena accendi
la diabolica macchinetta.
Ma questo è niente. La domenica mattina (gli altri giorni, passi), alle sette e
mezza, è un'apoteosi, un'orgia, una sinfonia. Senti le campane in camera da
letto. No, di più, sotto il cuscino. Forse ormai le abbiamo tutti trapiantate nel
cervello. Comincio a sentirle anche quando sono fuori casa...
Se poi vai a vedere (abbiamo protestato anche con una bella petizione, ma non
è servita a niente), tutta l'orchestra suona per quattro vecchiette che vanno a
messa la domenica prestissimo. Il resto del pueblo ci va alle undici, orario più
comodo per chi si può permettere di alzarsi con una comunissima sveglia, che
so, alle dieci (in fondo è domenica per tutti).
Dopo dieci anni che abito da queste parti, confesso di aver accumulato una
certe dose d'odio amplificata dal senso d'impotenza per una cosa così assurda.
Gli empi si sono permessi perfino di fregare il cofanetto con le offerte per la
parrocchia al vecchio parroco del paese e, onta su onta, mentre questo
recitava la messa delle diciotto.
Nel qual caso, se per malaugurata sorte dovessi avere una visita di qualche
ladro, lo aiuterò a caricare il furgone (tanto ce la caviamo in trenta secondi con
ciò che di mio potrebbe interessargli). Perchè se le campane suonassero "a
morto" pure alle tre di notte, potrei fare a meno della fatidica domanda "per
chi suona la campana".
Son certo suonerebbe per me.
8. Radici?
20 marzo 2003
2003. In aereo, di notte, è una distesa di luci che continua per molti minuti e
disegna l’orizzonte fino alla barriera inviolabile delle Alpi. Una montagna di
schei riversati in un milione di capannoni e un miliardo di villette - e poco altro
– raccolte intorno alle direttrici stradali, quasi le stesse da quarant’anni, a
formare un’enorme area metropolitana. Lungo le statali, puoi partire dalle
prealpi trevigiane e arrivare a Verona senza accorgerti di aver passato
centinaia di paesini, ognuno con la sua bella sede municipale, la piazza, la
chiesa, il bar (e poco altro).
Il “modello veneto” non sfiora, salta addosso rubando ogni altro orizzonte
possibile. Pagine gialle sfogliate una ad una lungo strade da percorre in coda
alla velocità di un trattore - salvo poi tentare sorpassi impossibili per essere
just in time -, bestemmiando contro dio e l’Anas, la Regione e Roma, che tanto
il nemico si nasconde da qualche altra parte. La strage (13 morti e 103 feriti)
del 13 febbraio sull’A4 (bloody thursday), all’altezza di Cessalto, provincia di
Treviso ? Colpa di due camion, di certo gente dell’Est. Roba straniera. “Non
sono disciplinati come noi, li trovi nella corsia di sorpasso, superano i novanta
truccando il limitatore, bevono prima di mettersi in strada.” ha raccontato in
un’inchiesta del Corriere del Veneto, uno dei tanti camionisti di San Michele di
Cimadolmo, sempre Treviso, dove sette adulti su dieci lavorano nel settore.
Giocando a rimpiattino anche col campanile, probabilmente sarà colpa dei
veneziani che in macchina non ci sanno andare – sono gente di mare e
l’automobile mica è una gondola - se i dati appena forniti dalla Provincia
relativi agli incidenti stradali del primo bimestre 2003 sono sempre i soliti (21
morti, uno in meno rispetto all’anno scorso ma quattro in più del 2001) e fanno
della Marca trevigiana una delle aree più incidentate d’Italia.
Per il resto, notte fonda. Gli organizzatori hanno più volte richiamato i presenti
alla necessità di “tener fuori la politica” da quell’incontro, perché “bisogna
valorizzare quello che unisce, non ciò che divide”. Come se la politica si
esaurisse nella dialettica destra/sinistra (forse qui, meglio, Lega
Nord/movimenti radicalmente autonomisti) e raccogliere quell’urlo che
comincia a far capolino scarabocchiato su più di un muro, “basta fabbriche in
Veneto”, non fosse “politica”. Quella vera. “Addio capannone selvaggio”,
titolava un recente inchiesta di Famiglia Cristiana per raccontare le 1.800 aree
industriali in 581 comuni, i 17,9 mq per ettaro edificati nel 2002 (un record
rispetto alla media nazionale che è ferma al 7,9%), i 19 milioni di metri cubi di
fabbricati non residenziali del 2001, il 24,8% in più rispetto al 2000).
9. Pane e centesimi
12 maggio 2003
Non sono tra quelli che da vent'anni mangiano sempre lo stesso pane. Mi piace
cambiare. Provarne tipi nuovi. E poi in famiglia siamo in quattro. Ognuno con i
suoi gusti, possibilmente da accontentare caso per caso.
La "mia" panettiera ha il negozio esattamente a 20 metri da casa mia. Una
bella comodità: la mattina presto, alla bisogna, esco i ciabatte con gli occhi
cisposi e i capelli alla Branduardi e lei mi accoglie lo stesso con un bel sorriso.
La "mia" panettiera ci sa fare con i clienti. E' una bella ragazzona simpatica che
deve aver mangiato un sacco di pane. A guardare le guanciotte rotonde e
colorate ti viene subito voglia di ficcar dentro una bella fettona di prosciutto ai
panini che ti allunga nel sacchettino bianco e odoroso di farina. La carne
chiama carne.
Ho sopportato il giochino per mesi, forse per il quieto vivere, forse perchè da
anni la "mia" panettiera sopporta alito pesante, ciabatte, e "capelli al vento",
forse non me lo spiego e basta, ma stamattina mi sono incazzato come una
bestia. Forse era arrivato il momento.
- Scusa, ma perché applichi il prezzo più alto se ho preso 5 panini di un tipo e
3 di un altro?
- Eh??
- Col cazzo. So benissimo che fai sempre così. Se non te ne accorgi tu, me ne
sono accorto io.
- Scusa un cazzo (avevo proprio perso la testa...), la prossima volta che mi fai
un tiro così ti mando la Finanza come un missile rapido ed invisibile.
- Mi sono sbagliata.
Caner individua un errore (fra virgolette) anche a Gentilini. E spiega: «Si era
illuso forse che gli "sputasentenze" conoscessero questa espressione, dal
momento che chi in genere si arroga di dare del razzista ai leghisti se ne
intende di tradizioni di cultura e usi popolari. O così crede, tra un piatto di cous
cous e uno di sushi, consumato in un rinomatissimo ristorante che fa tanto
glamour. Ma la razza Piave - conclude Caner - preferisce polenta e sopressa,
piatti poco vicini al popolo, almeno a quello dei disubbedienti».
Paccato che, al solito, i leghisti mitizzino quel che gli fa comodo e usino il
passato a loro uso e consumo. A titolo di esempio, ecco un breve brano del
volume "Inediti della grande guerra" di Corni-Bucciol-Schwarz, Edizioni B &
M Fachin di Trieste. Nel libro si parla proprio del Veneto e della sua gente
durante la Grande Guerra citata da Caner :
Vorrei comunque ricordare come, fra tutti, coloro che subirono i colpi più duri
furono i profughi. Sballottati senza alcun ordine da un paese all'altro, costretti
a vivere in pessime condizioni igieniche, senza casa, senza lavoro, senza un
campetto da coltivare, i profughi si collocano indubbiamente al gradino più
basso della gerarchia sociale in quel periodo. Inoltre, si ha la netta sensazione
dalle fonti disponibili che, anzichè scattare un meccanismo di compassione e di
mutua assistenza da parte degli abitanti dei villaggi in cui i profughi vennero
smistati, si ebbero delle reazioni negative. (...)
La vicenda dei profughi, del loro arduo inserimento nel tessuto sociale di
villaggi i cui abitanti ne condividevano cultura, costumi e dialetto, testimonia
quali scossoni l'eccezionale situazione dovuta all'occupazione militare abbia
suscitato nella società veneta. Persino a guerra finita - come risulta da molti
documenti - essi continuavano a rappresentare un fattore scomodo, di cui tutti
volevano liberarsi al più presto". (Op. cit. pag. 91)
Certo, allora era durissima per tutti, ma non si può dire che la "razza Piave"
avesse un atteggiamento particolarmente "sportivo"; o no, consigliere Caner ?
11. Estetica leghista
13/9/2002
Girano in tre (si vede che un po' di timore per le reazioni c'è..), li ho visti due
volte nel giro di un'ora bloccarsi e fare la contravvenzione al malcapitato di
turno. Di solito per via della museruola (che nessuno, ma proprio nessuno, ha
comprato per il proprio cane) più che per la paletta, che viene abbastanza
usata .
Premetto che :
1) io ho un cane, quindi sono decisamente partigiano;
2) il sindaco mi sta sulle palle a prescindere;
3) è anche giusto che le strade siano pulite (sulla museruola avrei da
ridere...mica tutti abbiamo un pitbull).
Ciò detto, mi fa ridere che "l'accanimento contro i cani" sia diventato uno dei
cavalli di battaglia dell'amministrazione (a parte questo : asfaltano strade).
Al di là della "battaglia dei cani", una delle riflessioni che mi vengono in mente
in queste occasioni, è legata al concetto di "bellezza", cioè all'estetica, dei
leghisti.
Si sente spesso dire che, a Treviso, Gentilini ha "ripulito" la città. Qui a Vittorio
Veneto, Scottà sta cercando di fare lo stesso.
Il che significa : strade pulite e ben asfaltate, belle aiuolette verdi, i muri lindi
(a parte le scritte "forza lega" che vanno bene), la gente che cammina ordinata
la domenica (gli altri giorni si lavora), gli alberi lungo il viale, le feste di paese,
le belle tradizioni popolari.
A me la loro idea di bellezza ricorda tanto quel gusto piccolo borghese, banale,
piatto, ordinatissimo quanto sciatto, dei quadri di Hitler.
Sotto l'ordine apparente, si agitava un tumulto di follia omicida (e suicida)
dovuto al "difetto" fondamentale di una realtà non conforme ai sogni (alla
volontà di potenza) di quel genio del male. Insomma, anche quando Hitler fece
di Berlino, per un breve periodo, la capitale del mondo, dietro l'angolo del
vialetto, si nascondeva sempre un mare di merda di cane.
Parlo della caccia (che per altro non sopporto e abolirei del tutto senza tante
storie) per raccontare un episodio di stamattina.
Sono uscito con il mio cane per portalo a fare una passeggiata in mezzo ai
boschi tra le colline qui intorno visto che in città prosegue la "battaglia" del
sindaco che vorrebbe i cani al guinzaglio anche in casa.
Ad un certo punto incontro due cacciatori e il loro cane (che manco aveva il
collare), mi bloccano e mi fanno : "Lo sa che il suo cane dovrebbe stare al
guinzaglio ? Se la trova la Forestale le dà un multone..."
Chissà se a quel tizio viene mai in mente che, forse, la "selvaggina" la disturba
molto più lui del mio cagnetto.
A leggere il nome dell'impresa, Us Steel Kosice, sembrerebbe uno dei soliti casi
in cui gli americani riprendono o storpiano la toponomastica della vecchia
Europa. Kosice, Arkansas, come la ben più nota Paris, Texas. Invece le
"acciaierie americane" hanno sede proprio nella seconda città della Slovacchia
e sono le capofila di un insediamento industriale ormai di rilievo. In questi
giorni il Centro per lo Sviluppo Economico (Edc), ufficio studi dell'Us Steel
Kosice, sta portando in passeggiata alcuni industriali veneti per valutare la
possibilità di "delocalizzare" (si dice così), in tutto o in parte, la loro attività
produttiva. Non sarebbero i primi, grandi industrie venete come la Geox e la
Marzotto hanno laggiù dei loro impianti già in produzione.
Facile dire che in Slovacchia il costo della vita è decisamente inferiore e con
meno di 300 euro al mese si vive dignitosamente (forse) e che comunque gli
imprenditori compiono azioni meritorie creando opportunità in aree altrimenti
in difficoltà. Nell'era della globalizzazione, ogni "delocalizzazione" di questo tipo
produce un effetto domino e per ogni posto di lavoro che si crea laggiù se ne
toglie uno qui, e peggio ancora, si rende "precario" e "flessibile" oltre ogni
limite il modello d'impiego complessivo.
E' chiaro che un operaio italiano non potrà mai costare all'imprenditore meno
di 300 euro al mese e dunque, quando non si "delocalizza" scegliendo di
rimanere in Italia, si dilatano al massimo orari e modi del lavoro e si agisce sul
welfare che è la voce che più incide sui costi d'impresa. Sembra paradossale,
ma in Veneto questo giro di vite trova difficilmente opposizione, semmai molti
consensi. Il tradizionalissimo "comandi", tipica risposta del contadino veneto
quando gli si rivolgeva la parola, non è più usato se non da vecchi, ma non è
mai morto dentro la testa della gente. La cultura del lavoro (che
impropriamente viene scambiata con la semplice brama "de schei") favorisce
enormemente le scelte strategiche di Confindustria : qui molti lavorano
davvero come bestie e un impiego è considerato il "sommo bene" prima di ogni
altro. Per possederlo si è disposti a tutto e per "salvarlo" si fanno i salti mortali
: anche 14 ore al giorno, se serve.
Ci sono dei momenti in cui il tempo si prende una pausa dal presente.
Semplicemente, ferma le lancette e si autosospende per un po' per aprirci a
visioni "diverse". Qualche secondo. O minuti. Non di più.
Spero che siano riusciti a costruire almeno una casa dei sogni.
Ieri sono stato un paio d'ore a Treviso. Come al solito, mi sono fermato a dare
un'occhiatina alle vetrine di Marton, la libreria più importante della città, in
pieno centro (Corso del Popolo).
Ma Marton ha fatto di più e meglio : una bella colonna di libri sulla tragedia
delle due torri di NY posizionati uno sopra l'altro in modo da formare, poco
distante, una terza torre.
Peste !, ora sì che siamo in sella con la vecchia sputafuoco che ricomincia a
intonare la sua serenata.
Sono salito sulla più alta montagna è ho guardato il cielo un po' più in basso. E'
successo proprio così : davanti a me il panorama delle mia cittadina e due soli
elementi a increspare l'orizzonte piatto verso sud, la cattedrale (e va bene, ci
sta) e una fabbrica.
Due poteri, due altari diversi, lì a fronteggiarsi, a dichiarare la loro potenza nel
silenzio uguale dei tetti e delle strade.
Non so neppure se adesso produca ancora o faccia la cattedrale nel deserto del
modernariato.
So solo che conoscevo due delle migliaia di occhi attenti alle macchine e
all'orologio in attesa dell'ora in cui i vestiti sarebbero tornati oggetti da
comprare in un negozio del centro.
Ma il mio maglione mi pizzica - come quella lana, che oggi non fanno più,
quella che arrossava la pelle per il troppo vigore - perchè la racconti.
Presto.
PADOVA – Non ce l’aveva ancora fatta ad assicurarsi una vita alla luce del sole,
senza problemi di clandestinità, in Italia. Ma la giovane badante di origine
moldava ha comunque lasciato nel nostro Paese un dono che ha salvato cinque
persone.
La ragazza di 28 anni, che lavorava come colf in una famiglia vicentina e stava
completando l’iter della legge Bossi-Fini, è rimasta uccisa in un incidente
stradale, mentre tornava a casa in bicicletta. I sanitari in breve tempo hanno
contattato i suoi conoscenti in zona e poi i parenti in Moldavia, ottenendo
l’assenso all’espianto.Cinque equipe chirurgiche di Vicenza e Padova, in tutto
150 persone, hanno agito in simultanea, con un coordinamento attivato per la
prima volta in Veneto per operazioni di questo tipo.
I dati delle Asl del resto, dimostrano che la sensibilità per la donazione di
organi in Veneto è più spiccata tra gli immigrati extracomunitari che tra i
residenti. A sostenerlo il coordinatore regionale dei trapianti, Giampietro
Rupolo: “Lo scorso anno - spiega - su 106 donatori, sei erano immigrati, in
particolare provenienti dall' Est europeo; rispetto ai residenti la percentuale è
nettamente maggiore”. Quest’anno è già il quarto trapianto con donatore
straniero in Veneto. “Crediamo - ha aggiunto Rupolo - che sia importante dare
anche queste notizie, per aumentare la cultura della donazione, e per
dimostrare che vi sono modelli di solidarietà che vengono anche da molto
lontano”.
Ok, abbiamo capito che voi media gli immigrati ce li volete far digerire a tutti i
costi facendoci il lavaggio del cervello; tuttavia evitate di dare dati inesatti (o
parziali) e poi non vorrei generalizzare, ma date un occhiata alla percentuale di
reati effettuati da extracomunitari rispetto alla percentuale degli italiani, li si
che c'è un divario. Ma certo voi tirate in ballo solo le vostre statistiche di
dubbia veridicità.
Anch'io, come il lettore de Il Nuovo, non vorrei generalizzare, ma non capisco
cosa c'entrino degli ottimi pezzi di ricambio con i reati che potrebbe
commettere qualche bosniaco/kurdo/tunisino che magari poi non ci dona
neppure i resti ancora utilizzabili dallo sbarco malriuscito.
Pensieri sciolti :
Disquisire sui morti forse fa schifo.
Probabilmente anche il modo in cui lo faccio io.
Questo blog dovrebbe parlare del Veneto e finisco spessissimo a parlare di
extracomunitari.
C'è qualcosa che non torna.
Eppure oggi ho letto una notizia che mi ricollega a quella di ieri e, in parte, alle
polemiche che ha provocato.
E' il titolo del pezzo, il titolo, che mi colpisce, e ferisce. E anche il fatto che,
contrariamente al pezzo del Nuovo, in questo caso ci siano anche nomi e
cognomi (dei protagonisti della vicenda fuorché del ventiquattrenne di
Cordenons. Lui è solo G.M.).
Statale 53 Postumia, di fronte alla locale stazione dei Carabinieri, poco dopo le
4 di mattina. Due ragazze si trovavano a bordo di una Volkswagen Polo con
targa ungherese quando si sono scontrate con una Mercedes guidata da un
ventiquattrenne di Cordenons (Pn), G. M..
Una delle due ragazze è sembrata subito gravissima: incastrata tra le lamiere,
i Vigili del Fuoco hanno impiegato quasi un'ora per tirarla fuori. Trasportate
entrambe in ospedale a Treviso, quella che era al volante è deceduta, mentre
l'altra si trova in prognosi riservata, dopo una lunga operazione eseguita nel
pomeriggio.
Monika Bircsak era al volante, aveva 26 anni, era sposata con due bambini che
si trovano a Budapest; la donna, il cui marito ieri era venuto a trovarla, si
recava in Ungheria ogni due settimane per stare in compagnia dei piccoli.
I mezzi sono rimasti a lungo sulla strada, visto che sono usciti dal sinistro
completamente distrutti; la Polo era per di più stata tagliata a pezzi per poter
liberare la ragazza dalle lamiere.
Oggi non ci sono vite salvate di mezzo, nè una, nè cinque. Solo una lap-
badante che, ricordo, io sì mi ricordo, si chiamava Monika.
Si accettano proposte.
Secondo il consigliere regionale di AN, Elena Donazzon, "la scelta non è facile,
ma un inno deve essere marziale e lirico: non può quindi essere ricercato tra le
pur bellissime canzoni della tradizione popolare e folklorica (sic !) veneta".
Aveva uno strano vizietto: telefonare alla scuola materna e molestare le suore.
Il giochetto è durato quasi un anno fino a che la direttrice di un asilo in centro
a Treviso si è recata all'ufficio di polizia giudiziaria della polizia municipale che
ha avviato le indagini e le intercettazioni telefoniche per smascherare il
molestatore. Sabato scorso le minuziose ricerche hanno portato all'esito
sperato: gli agenti della polizia municipale hanno colto in flagranza un
pensionato trevigiano di 73 anni. Aveva la cornetta in mano, un vigile l'ha
afferrata e dall'altra parte c'era la suora in compagnia di un altro agente che
registrava le telefonate. L'anziano è stato accompagnato al comando dove gli è
stata notificata la denuncia per molestie.
In seguito alle indagini degli uomini del reparto di polizia giudiziaria dei vigili,
comandati da Francesco Carlomagno, è stato accertato che le telefonate
arrivavano da cinque cabine.
Sabato pomeriggio la svolta delle vicenda. Verso le 16,30 i vigili si appostano
nei pressi di una cabina. L'uomo compone il numero di telefono. Squilla
l'apparecchio della scuola materna. Risponde la suora. Immediatamente
interviene un vigile in abiti borghesi che afferra la cornetta e sorprende l'uomo
in flagranza. Gli viene sequestrata la scheda telefonica.
E' questo il giornalismo locale che mi piace, quasi un'arte : romanzare il nulla.
1. E' stato stupendo partecipare alla festa del quotidiano L'unità tenutasi a
Bologna e incontrare tutti i fumettisti della città. Poi, non abbiamo resistito e
siamo tornati a Vittorio Veneto, un posto meraviglioso dove non accade mai
nulla...
2. Semplicemente vagare per la parte medievale della città...senza nulla da
fare...mi rilassava e gratificava profondamente.
3. Lo so che forse i miei lettori si innervosiranno perché nei miei fumetti parlo
sempre tanto del "non far nulla".
4. Ma ricordate : non fare nulla a Vittorio Veneto è un'arte.
Nel suo volume "Ethnos e civiltà" (Ed. Feltrinelli), l'antropologo Carlo Tullio-
Altan rileva alcuni temi essenziali alla costruzione del tipo ideale di un'etnìa.
Vale la pena riportarli :
b) Anche qui, ad attenersi ai fatti, è notte fonda : l'insieme delle norme, civili o
religiose, che tengono insieme la società veneta sono profondamente in crisi.
La chiesa, tradizionale cemento della comunità nella regione "bianca" per
eccellenza, si dibatte in una crisi che il papato mitiga ma non può spegnere. A
ciò si aggiunga la sirena del neocapitalismo di matrice veneta, una ricchezza
immensa piovuta d’improvviso su una terra contadina e, anche nel recente
passato, profondamente povera. Fattori di per sé esplosivi che nessuna
pantomima inventata per l’occasione può sopire (il dio Po della Lega nord che
finisce a Venezia ma che è una tradizione inventata di sana pianta e che non
attecchisce da nessuna parte se non su pochi disperati talmente bisognosi di
ritrovarsi al punto da accettare anche un simulacro che sembra un film di Walt
Disney).
Ovviamente, non finisce qui, ma mi pare che gli spunti di riflessione, per chi
vorrà coglierli, non siano pochi. Considerando che questo è un blog (e non
certo il "Blog della Crusca"), mi pare di essere andato anche troppo oltre…
25. L’orda
7/02/2003
La feccia del pianeta, questo eravamo. Meglio : così eravamo visti. Comincia
così, con un sonoro schiaffone, il libro di Gian Antonio Stella, L'orda Ed. Rizzoli,
il racconto - per nulla romanzato - di quando la parte degli albanesi,
marocchini, nigeriani e tutti gli islamici-fottuta-razza la interpretavamo noi
italiani, con notevole successo di pubblico, in ogni angolo del mondo.
Disprezzati, odiati, sbeffeggiati, gente che defeca per terra come i maiali,
campioni di ogni bassezza, avvezzi all'imbroglio sistematico, alla sporcizia, alla
lussuria con tali e tante varianti fetish e sadomaso da riuscire a scandalizzare
anche un habitué d'ambienti hard tardo settecenteschi come il Marchese De
Sade. Mica un chierichetto.
Stella sta ben attento a distinguere, ogni volta che ne ha la possibilità, tra
stereotipi e dati, storia e leggenda. Arrichisce la sua indagine di una
bibliografia sterminata, cita documenti, libri, giornali, a frotte : ogni pagina.
All'interpretazione, a distinguo e obiezioni, viene lasciato ben poco : per molti
secoli, volenti o nolenti, qui in Italia o da emigranti, abbiamo fatto gli albanesi,
con grande sollazzo - quando andava bene - e infinito disgusto altrui. E ce n'è
per tutti, non si salva nessuno, dalle Alpi alla Sicilia.
Non era forse la Venezia d'allora una specie di Bangkok di oggi ? Non diceva un
adagio che "le fiorentine son libertine, le veneziane tutte puttane" ? Non
sosteneva la famosa guida turistica The Grand Tour, pubblicata nel 1794 da
Thomas Nugent, che il nome veniva da Venus e che era "la città ideale per
passare la notte con una donna sfacciata" ? Proprio questo era il Grand Tour
per la stragrande maggioranza dei viaggiatori : una immersione tra
monumenti, sapori forti e peccati.
E fin qui va bene : un click sul telecomando e d'incanto spariscono tutti e tre.
Altro discorso invece va fatto per i tanti Gentilini, Borghezio, Bricolo, Cé, Boso
e i loro cupi seguaci che abitano il Veneto (e pure Roma Ladrona) con la
sicumera tronfia degli uomini di potere o dei (sempreverdi)lacché dell'idiozia,
farseschi (ma non troppo) epuratori razziali di uomini, bestie e culture che non
siano quella gloriosa d'Italia - quando fa comodo - o del Veneto.
Sono solo poche, e su un tema specifico, le citazioni che ho riportato dal libro
(che mi riservo di utilizzare ancora, in futuro, pescandovi a piene mani), ma
spero sufficienti ad interessare qualcuno a questa vera e propria miniera di
vicende oggetto di una ottusa rimozione collettiva. Un libro che andrebbe
proposto in tutte le scuole come testo fondamentale di studio. Non per
umiliarci, ma per non dimenticare, per non essere come chi ha ucciso,
violentato, disprezzato, ferito, fino a non più di una generazione fa (e come
molti di noi oggi rispetto ad altri) la nostra gente. Un libro da recapitare in un
bel pacco dono natalizio a Gentilini e Borghezio, in mille, diecimila copie da
sventolar loro sotto la finestra come bandiere con tante, tantissime firme sotto
la dedica di Stella che apre il volume :
A mio nonno Toni "Cajo" che mangiò pane e disprezzo in Prussia e in Ungheria
e sarebbe schifato dagli smemorati che sputano oggi su quelli come lui.
26. Stars
12/02/2003
Ogni tanto, osservando le cose del mondo, mi torna in mente una vecchia
canzone di Roberto Vecchioni : I pazzi sono fuori (non cercateli qui / il mondo
dietro i muri / è più disperato di qui). Una Weltanschaung sempre in bilico fra
tragico e ridicolo, lo so.
Anch'io, sia della situazione che dell'articolo, che conclude cercando di dare un
taglio pseudo-sociologico :
Parecchi anni fa, in campeggio, io e mia moglie siamo in bagno. Da una toilette
esce una bambinella americana piccolissima, biondissima e bellissima, ma
sporca di cacca. Sola, è chiaramente in difficoltà. Mia moglie, presa da un
assalto d'istinto materno, l'aiuta a sistemarsi e a pulirsi. La lava perfino
(insomma, si sa, cacca e pipì dei bambini sono cose che danno quasi
soddisfazione). Il sorriso felice della bambina la ripaga di ogni sforzo. Torniamo
in tenda dopo che lei si è accuratamente lavata le mani. Nell'aria, un terribile
fetore di hamburger, patatine fritte, ciambellone ripiene di crema e altre
leccornie targate iuessei. Si annusa le mani : il fetore arriva da lì. Rilavaggio
totale, a fondo, completo. Si strofina con la spugnetta ruvida per i piatti intrisa
di detersivo. Nulla. Ripete il tutto più e più volte, con scarsissimi esiti.
Per circa due giorni, non so per quale mistero, quell'odore le è rimasto
appiccicato addosso.
Uno schifo ?
Macché ,vuoi vedere che niente niente, mia moglie ha avuto la fortuna di
lavare il culo a Britney Spears ?
Un articolo di Gian Antonio Stella pubblicato sul Corriere della Sera di venerdì
18 aprile ha fatto indignare l'assessore alla Cultura e all'Indentità veneta
Ermanno Serrajotto. Il pezzo (purtroppo non disponibile on line) è ironico già
nel titolo: Devolution a scuola: poesie di Catullo in dialetto veneto.
Nuova edizione di uno strano libro sulla cultura della regione promosso da un
assessore.
Stella si riferisce ad una specie di sussidiario sulla cultura della regione veneta
in cui il veronese Catullo viene tradotto in dialetto. Impropriamente, Il Nuovo
ne parla come un libretto fresco di stampa. In realtà il sussidiario "Noi veneti"
di Manlio Cortellazzo è del 2001 e ristampato l'anno scorso.
All'ironia di Stella, il leghista reagisce con il solito spirito greve alla Bossi, la
ben nota sindrome da assedio permanente attuato dai tanti che sono contro il
cambiamento (da leggersi nella tonalità roca propria del Senatùr): "A quanto
pare, quando comincia a tirare aria di elezioni, si risveglia dal suo torpore
anche Gian Antonio Stella. Impigrito, forse dalle sue infinite analisi sui Veneti e
sul loro rapporto con i 'schei' dev'essere stato probabilmente richiamato
all'ordine e da buon ventriloquo ha ripreso qualcuno degli argomenti che
ciclicamente le forze politiche del centrosinistra sventolano contro i partiti al
governo, soprattutto in alcune Regioni e soprattutto contro la Lega''
(Adnkronos del 18 aprile).
Se poi, come in questo caso, la patologia leghista si innesta sul refrain delle
destre di una scuola (e una cultura) "occupata militarmente dalla sinistra",
ecco spiegata la reazione scomposta dell'assessore, che però dovrebbe dirigere
altrove i suoi pesanti strali: se questo è il modo per "coniugare passato,
presente e futuro", le risate omeriche non vengono dal ventriloquo o dal
barbuto, è Catullo che si scompiscia nella tomba.
Ho avuto cani fin da piccolo. Ricordo a due anni un enorme pastore tedesco
chiamato Iles (eh, beh, mica glielo avevo dato io il nome) che cavalcavo come
una specie di Furia (cavallo del west). E lui impassibile mi scarrozzava qua e là.
Poi Billo, Pepa, Brick che mi facevano compagnia mentre, da ragazzino,
divoravo (io, umano) Konrad Lorenz e Gerald Durrell.
Vuoi per conoscenza diretta, vuoi per quelle antiche e appassionate letture,
due o tre cose di cani ne capisco.
L'altro giorno, il mio attuale compagno canino (Pepe, per la cronaca) ha ridotto
a malpartito un dobermann. Stavamo passeggiando al parco quando i due si
sono incrociati. La solita annusata veloce a pelo dritto (in certe occasioni basta
annusarsi a distanza per capire che finirà male) e poi la rapida zuffa che tanto
terrorizza i proprietari ma che, il 90 per cento delle volte, risulta una
sceneggiata volta a stabilire una insondabile (a noi umani) gerarchia tra i due
contendenti.
Solo che questa volta Pepe (un bastardo di taglia medio-piccola) ha fatto una
feritina all'orecchio del dobermann che ha perso dalle 10 alle 15 gocce di
sangue. Non so come possa essere successo visto la disparità di forza tra i
due, ma è successo.
La cosa sarebbe finita lì, se il proprietario, angosciato alla vista del sangue,
non avesse chiamato immediatamente il veterinario (di domenica pomeriggio)
per chiedere assistenza. Gli ho consigliato ironicamente il 118, ma quello non
l'ha presa bene e vorrebbe essere rimborsato (di che? dei danni morali?) dalla
mia assicurazione.
Vuoi mettere tenersi in casa un bel geco leopardato? Una volta comprato un
pratico terrario e cacciato dentro l'amico geco (molto attraente e di carattere
docile), il massimo dell'impegno sta nell'andar a caccia di insetti per lui avendo
cura di integrare una buona dose di calcio nella dieta.
29. Il cerchio
28/08/2003
Attilio, così come le sorelle Rosanna e Maria e il fratello Antonio-Toni per forza,
è nato in uno dei tanti paesini della bassa one-to-one, una casa-una fabbrica,
una specie di cartolina spalmata orizzontalmente per tutto il territorio
dell’incredibile scalata verticale del Veneto e delle sue genti.
Papà Raimondo è il patriarca di famiglia. E’ lui che un giorno, dopo tanti saluti
e inchini al paròn vecio che gli aveva insegnato l’arte, si è messo in proprio a
lavorare anche la notte di sabato e domenica per la mettere in piedi l’impresa
di famiglia: RAIMONDO DAL BO & FIGLI – PITTURE EDILI. Nel suo piccolo, una
potenza: quattro squadre di operai perennemente in trasferta su su fino alle
vette delle Alpi, fino a Belluno dove li prendono in giro e li chiamano
“veneziani”, anche se la loro stanno in provincia di Padova.
Attilio ha fatto la sua parte, così era scritto nel libro mastro dell’impresa di
famiglia, e, a quindici anni, ha cominciato la sua carriera di imbianchino.
Naturalmente partendo da zero, il ragazzo ha da imparare il mestiere, così
come ha fatto – il titolo ormai è acquisito- il vecio Raimondo. 12 ore al giorno e
il sabato mattina (i tempi sono cambiati e perfino paròn Raimondo si rende ben
conto che i giovani non possono più tenere i ritmi di una volta). Pomeriggio di
sabato e domenica libere.
La famiglia Dal Bo adesso è una di quelle famiglie a cui non manca più niente.
Mamma Renata che ha sempre fatto la casalinga non ha mai smesso di fare la
pasta in casa anche se adesso usa l’impastatrice elettrica. Nella nuova casa, ha
la televisione nelle camere, in salotto, in cucina così da potersi guardare tutte
le telenovele che vuole anche senza smettere di lavorare dovunque si trovi.
Alla sera la cena è una festa di sapori, e i ragazzi e il marito stanchi, divorano
in silenzio tutto quel ben di dio. Tanto a far casino e ad alzare la voce c’è già
Gerry Scotti che grosso e simpatico com’è, fa tanta di quella compagnia e poi
piace davvero a tutti.
In questo modo, i ragazzi Dal Bo vengon su dritti come tronchi, bravi ragazzi
lavoratori con pochi grilli per la testa, giusto qualche bravata di sabato sera.
Davide Lombardi
2002/2003