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1
La “guerra civile” spagnola rappresentò, sotto il puro aspetto storico e
politico, una lotta, nella popolazione ispanica, tra i fautori di una
emancipazione culturale, sociale ed economica di cittadini appartenenti ai ceti
popolari meno abbienti, ed i sostenitori del vecchio sistema ultraconservatore
rispecchiante i “diritti acquisiti” ed, in quel momento, messi in pericolo, della
nobiltà, dei lacchè della vecchia monarchia borbonica destituita e della Chiesa
cattolica indigena, intimamente legata, con i sostegno del Vaticano, ai principi,
gretti ed ottusi dell’arcaico e superato moderatismo, basato sul mantenimento
dell’ignoranza e dell’indigenza nella “plebe” del Paese iberico. – Pietro
Barberi, Le cause della guerra civile spagnola, Rubin Ed., Roma, 2006, p. 5
2
Mario De Micheli, L’arte sotto le dittature, Feltrinelli, Milano, 2000, p. 171
1
gracia de Dios3, il 1° aprile 1939, entrò in Madrid con l’appellativo
di nuovo “duce”4.
Innanzitutto come ogni dittatura anche quella di Francisco Franco
prevedeva la persecuzione degli oppositori politici, la repressione
della libertà di stampa e della cultura, la censura dei media, fu
distrutto ogni diritto di espressione, tutto ciò perché la Spagna
voluta dal caudillo doveva essere una Spagna estromessa da ogni
scambio e dialogo, pertanto tutto ciò che era democratico veniva
paragonato a “degenerazione”. Infatti «una volta ottenuta la
vittoria, Francisco Franco mise in atto una terribile vendetta
contro i repubblicani e negli anni immediatamente successivi alla
guerra circa 100.000 persone vennero trucidate o morirono in
prigione. Tra le centinaia di migliaia di cittadini che furono
incarcerati vi erano numerosi intellettuali e insegnanti; per
sottrarsi all’arresto molti fuggirono all’estero, privando la Spagna
di un’intera generazione di scienziati, artisti, scrittori, educatori e
uomini di cultura»5.
Egli parlava di “purificazione” della Spagna, un’idea autoritaria che
prevedeva la cancellazione di ogni forma democratica, e per tale
motivo emanò la Ley de Responsabilidades Polìticas6 che permise
3
Tr. It. “La Guida di Spagna per la grazia di Dio”. Franco si soprannominò
Generalisimo (Generalissimo) e, in seguito, caudillo, l’equivalente spagnolo di
Führer. - Anthony Ham, Spagna, Feltrinelli, Milano, 2017, p. 458
4
Mario De Micheli, L’arte sotto le dittature, p. 171
5
Anthony Ham, Spagna, Feltrinelli, Milano, 2017, p. 458
6
Legge sulle responsabilità politiche: finalizzata a colpire, con effetto
retroattivo a partire dal 1934, tutti coloro che avevano militato o erano stati
simpatizzanti dei partiti e delle associazioni fuorilegge, comprese «tutte le
Logge massoniche». – Marco Cuzzi, Santi Fedele, Marco Novarino,
Massoneria e totalitarismi nell’Europa tra le due guerre, FrancoAngeli,
Milano, 2018, p.135
2
di condannare tutti coloro che si erano opposti a lui durante la
guerra civile. «Pertanto, nella primavera 1939 erano più di mezzo
milione i candidati a essere processati dai tribunali, avendo tutti,
stando alla lettera della legge sulle responsabilità politiche,
contrastato il movimiento nacional nel periodo successivo al 1°
ottobre 1934»7.
Tantissimi altri «in analoghe condizioni di fame, attesero in campi
di concentramento impiantati nei dintorni delle grandi città»8 nelle
quali erano costretti a lavorare per contribuire a riparare i danni
causati durante il conflitto.
Altra imposizione del caudillo9 fu la religione cattolica come
religione ufficiale10, non erano consentiti altri credi all’interno del
paese ed inoltre il divorzio tornò a essere illegale e i matrimoni
religiosi furono resi obbligatori11.
Oltre a questo vennero cancellati le culture regionali in Catalogna e
nei paesi Baschi proibendone la lingua e i nomi, infatti da questo
punto di vista tali regioni soffrirono la forte repressione del
franchismo12. Non a caso «l’esercito franchista si comporta come
un esercito di occupazione e la dittatura passa come un rullo
7
Gabriel Jackson, La repubblica spagnola e la guerra civile (1931-1939), Il
Saggiatore, Milano, 2009, p. 535
8
Ibidem
9
Vedi nota n. 3
10
Le relazioni fra Chiesa e Stato in Spagna erano ancora regolate dal
concordato del 1851, secondo il quale la religione cattolica doveva essere
mantenuta come religione ufficiale della Spagna. - Gabriel Jackson, La
repubblica spagnola e la guerra civile (1931-1939), Il Saggiatore, Milano,
2009, p.71
11
Anthony Ham, Spagna, p. 458
12
Eduardo Mendoza, Che cosa succede in Catalogna: Un grande scrittore
contro il pregiudizio, l’indifferenza e l’incomprensione, DeA Planeta Libri,
Milano, 2018
3
compressore su ogni aspetto dell’identità basca impedendone
l’espressione: adotta misure repressive contro l’uso della lingua
(vietando per esempio l’adozione dell’onomastica in euskera) e
infierisce sui simboli più cari alla memoria del nazionalismo
imponendo decisioni umilianti e provocatorie come quando, nel
1960, ordina l’abbattimento della casa natale dei fratelli Arana»13.
Tuttavia la politica repressiva va considerata l’elemento di sostegno
a questa dittatura, elemento di espressione, di antiliberalismo prima
che ancora elemento reazionario e, pertanto, consolidamento di
questa nuova società che nasceva sulle ceneri della repubblica14.
4
In tale contesto vi fu un risveglio da coloro che gli veniva imposta,
attraverso il SEU (Sindicato Español Universitario) una cultura
tipica franchista sulla base dei principi del Movimiento16.
Gli studenti iniziavano ad opporsi al Sindacato, e in modo indiretto
al regime, sostenendo la libera formazione e il libero sapere senza
repressione culturale.
Infatti questi «movimenti culminarono in “rivolte”, “quasi-
rivoluzioni” e “rotture culturali”. […] Le rivolte studentesche
miravano a rivendicare valori tradizionali e a battersi per fini
liberali “classici”»17.
Le università, soprattutto delle città più grandi, erano diventati il
luogo di manifestazione contro la dittatura del caudillo e i docenti
che si univano al movimento studentesco erano sempre più
numerosi18.
Ovviamente il contrattacco non venne a mancare da parte del
regime: molte università vennero chiuse e etichettate poco
professionali per la formazione culturale dello studente, addirittura
vennero definite illegali; molti docenti vennero licenziati e alcuni
costretti a lasciare il paese per aver preso parte alle manifestazioni;
molti studenti arrestati e privati dal loro diritto di studiare19.
5
Ma più il regime operava con una repressione violenta e più i
movimenti si moltiplicavano.
Per dare voce al popolo e svegliare l’intera opinione pubblica
furono istituite le prime riviste dove venivano rivendicati i crimini
commessi dal regime. A tal proposito Mario Giovana, recandosi in
Spagna in quel periodo, scriveva denunciando la dittatura che
governava quel paese da ormai venticinque anni: «La democrazia
non sarà sicura in occidente fino a quando la penisola iberica
vivrà sotto il regime di Franco»20.
Infatti per la prima volta la storia, che per lungo tempo il regime
franchista cercò di inculcare nella mente di tutto il popolo, veniva
capovolta. Semplicemente l’idea della guerra civile come
liberazione nazionale non veniva più vista sotto questo aspetto ma
bensì, viste le numerose vittime, come un vero e proprio momento
di violenza e sangue.
Sotto questo aspetto l’opinione pubblica e la nascita delle riviste fu
davvero determinante poiché la coesione sociale era diventata più
massiccia ed inoltre, con i movimenti studenteschi, vi fu un
risveglio anche nelle classi operaie più progredite della Spagna.
Infatti durante gli anni sessanta, anni del boom economico, vi fu
una crescita economica e demografica che tuttavia «non fu esente
chiamata OCN, destinata a combattere contro studenti, professori e l’intero
movimento sociale rivoluzionario. Dopo un certo numero di operazioni di
successo, Carrero Blanco nel marzo 1972 decise di trasformare l’OCN in un
nuovo servizio segreto che denominò SECED (Servicio Central de
Decumentanciòn de la Presidencia del Gobierno), posto agli ordini di José
Ignacio San Martìn Lòpez, già direttore dell’OCN fin dal 1968. – Daniele
Ganser, La storia come mai vi è stata raccontata, Fazi Ed., Roma, 2005, sez.
11
20
Diego Giacchetti, Per la giustizia e la libertà. La stampa Gielle nel secondo
dopoguerra, FrancoAngeli, Milano, 2011, p. 90
6
da contraddizioni e gravi limiti: la crescita fu squilibrata e
asimmetrica; la ricchezza continuò a essere distribuita in modo
ineguale; i poveri restarono troppi, i non secolarizzati e gli
analfabeti anche. A causa di un sistema fiscale inadeguato, lo Stato
non disponeva delle risorse necessarie a finanziare le
infrastrutture»21.
Allo stesso modo di come avveniva nel contesto culturale anche in
quello del lavoro il movimento sindacale inizia a farsi sentire con
scioperi e proteste chiedendo democrazia. Il popolo dei lavoratori
fomentava la ribellione urlando contro il regime “diritti per tutti
quanti” richiedendo un miglioramento dello standard lavorativo e
un adeguamento dei salari alla crescita economica.22
Nacquero le Comisiones Obreras (CCOO) sotto la bandiera del
Partido Comunista Españolo (PCE) le quali trasformarono la rabbia
dei lavoratori in principi democratici, attraverso la ribellione, per
dare vita a un nuovo regime che tutelasse la posizione inferiore del
popolo spagnolo23. Grazie alle CCOO «si abbandonò il sistema
assistenziale precedente con l’istituzione nel 1963della Seguridad
social e cominciò a crescere anche la percentuale di spagnoli a cui
era garantita la copertura sanitaria, che passò dal 37,5% del 1959
a oltre il 50% nel 1964, per toccare l’80% nel 1973»24.
21
Carmelo Adagio, Alfonso Botti, Storia della Spagna democratica: Da
Franco a Zapatero, Mondadori, Milano, 2006, p. 32
22
Alfonso Botti, Guerra civile spagnola, RCS MediaGroup S.p.A Divisione
Media, Milano, 2016, Ediz. Speciale per Corriere della Sera pubblicata su
licenza di Out of Nowhere, sez. 8
23
Carmelo Adagio, Alfonso Botti, Storia della Spagna democratica: Da
Franco a Zapatero, p. 33
24
Ibidem
7
Non fu diversa la reazione del regime, rispetto al contesto culturale
citato prima, in quanto anche questa volta fu aizzata una violenta
linea di attacco nei riguardi dei lavoratori: molti furono licenziati e
privati di un salario, le CCOO dichiarati illegali e gli associati a tali
organizzazioni furono arrestati e condannati.
In questo contesto, non vennero a mancare le proteste da parte del
mondo religioso e del clero i quali anche loro iniziavano ad opporsi
al regime chiedendo più democrazia ma soprattutto rispetto alla
religione cattolica.
A tal proposito presero forma le prime organizzazioni religiose
come la Hermandad obrera de Acción católica (HOAC) e la
Juventud obrera cristiana (JOC) e, allo stesso tempo, uscirono allo
scoperto il clero catalano e basco, che subirono una dura
repressione da parte del regime, rivendicando l’identità religiosa sul
piano nazionale in senso antifranchista25. Non a caso «sono trecento
i sacerdoti baschi che sottoscrivano nel 1960 una lettera di presa
di distanze dal regime e saranno quattrocento quelli catalani che
nel 1964 faranno altrettanto, mentre l’anno prima l’abate
Montserrat rilasciava un’intervista nella quale dichiarava che per
quanto il regime si dicesse cattolico in realtà non lo era»26.
A queste situazioni religiose se ne aggiungono altre di natura
clandestina come il Frente de Liberación popular (noto con il nome
Felipe) e l’Unión militar democrática, i quali erano sicuramente
delle organizzazioni più di tipo militare ma rimanendo sempre
fedeli alla lotta per il rispetto alla religione27.
25
Ivi, p.36
26
Ibidem
27
Ibidem
8
Ovviamente l’unica risposta contestata, ancora una volta, da Franco
è la dura repressione e, infatti, anche per il clero viene aggiunta un
adeguato distretto nel carcere di Zamora o “carcere
concordatario”28.
All’interno vennero reclusi tutti coloro, che per un motivo o un
altro, avevano reagito contro il regime franchista: chi per
manifestazioni antifranchiste svoltesi nelle sedi parrocchiali; chi per
l’uso di propagande religiose contro Franco; e chi aveva cospirato e
tentato di sfidare anche solo per un istante quello che era legge.
Molti sacerdoti vennero scomunicati e altri, proprio come successe
per gli intellettuali del mondo culturale, costretti a lasciare il paese
come il clamoroso caso dell’arcivescovo di Bilbao, Añoveros, che
nel marzo 1974 prese le difese della peculiare identità del popolo
basco29.
In riferimento a queste vicende si può ben capire dall’azione dei
cattolici, dei culturali e dei lavoratori, nonostante si fossero
organizzati in momenti diversi, che essi avessero come unico scopo
il cambiamento sociale e politico del regime.
In ognuno di loro ma soprattutto nell’animo del popolo iniziava a
crescere la consapevolezza di (non)vivere in una fase, durata molti
anni, che ostacolava a loro valori e principi liberali e democratici.
9
condussero all’apertura sociale del regime oltre che a un inizio di
istituzionalizzazione del paese. L’apertura ad una nuova fase fu resa
possibile grazie ad alcuni che lottarono per dare voce ai propri
principi, grazie al coraggio di alcuni che con ottimismo avviarono
quello che sarebbe stato il post-franchismo.
Inoltre gli ultimi anni della dittatura di Franco furono caratterizzati
dalla sua malattia e il suo allontanamento dalla politica per
dedicarsi alle sue passioni, quali la pesca e la caccia30.
Questo ovviamente non significò che egli smise di fare politica ma
bensì, dopo aver dipinto il suo regime come una sorta di dittatura
paternalistica, lasciò tutto nelle mani del re Juan Carlos in nome
della “continuità” e della tradizione31.
Pertanto annunciò un referendum per far approvare dal popolo
spagnolo la cosiddetta Legge di successione dello Stato che
prevedeva il ripristino della monarchia, considerata l’unica forma di
potere legittima per il regime franchista, e la formazione di un
governo affidato a Luis Carrero Blanco, con la quale non aveva il
compito di istituzionalizzare il paese ma bensì conservare
l’ideologia e l’istruzione formale della dittatura32.
Infatti all’indomani del referendum venne confermata la vittoria
della monarchia: «su oltre diciassette milioni di elettori votarono in
favore della monarchia e della continuità oltre quattordici milioni,
circa 7000.000 contro e altri 3000.000 voti vennero annullati»33.
30
Alfonso Botti, Guerra civile spagnola, sez. 8
31
Ibidem
32
Manuel Vázquez Montalbán, Io, Franco, Sellerio Ed., Palermo, 2016
33
Ibidem
10
Tuttavia si può ben notare che la vittoria non fu schiacciante in
quanto coloro che votarono per la monarchia lo fecero solo per la
speranza che vi fosse, appunto, un ritorno della monarchia e non
della continuità del regime di Franco; gli stessi che, per debolezza,
votarono il fatidico “Sì” fu perché per anni gli vennero inculcati
terrori di ogni genere.
Dall’altra parte però c’era il caos, coloro che nonostante le minacce
da parte del regime (annullamento delle pensioni, dell’assistenza
sanitaria, ecc)34, votarono “No” con la speranza che qualcosa
cambiasse.
Nonostante l’aria del cambiamento, della rivoluzione e delle
proteste, Franco continuava ad avere una forte affluenza sul popolo
e infatti, per intendere meglio quanto fosse influenzante la sua
figura dittatoriale, «un corrispondente straniero le domandò:
generale, dopo la sua vittoria nel referendum del ’47 è molto
difficile governare gli spagnoli? Lei sorrise benevolo, appoggiò la
mano sulle nostre teste rapate dentro o fuori oppure dentro e fuori
e disse: No, tutt’altro! Per me è stato molto facile»35.
Il re Juan non perse tempo nel dichiarare pubblicamente che la
monarchia non sarebbe stata, infatti, un’alternativa al regime ma
bensì la sua continuazione in base ai principi del Movimiento.
Tuttavia il problema delle proteste di studenti e lavoratori, che
invocavano diritti e libertà, non si era risolto nemmeno con
l’allontanamento dalla politica di Franco, anzi erano diventate
34
Ibidem
35
Ibidem
11
molte più accese e fuori controllo quando venne ripristinata la
monarchia.
Ciò indusse il re a pensare che il popolo spagnolo non avesse
bisogno della fedeltà al regime franchista ma qualcosa che andasse
oltre ai parametri del regime, qualcosa che avesse il profumo della
libertà, qualcosa che avesse il nome di “Democrazia”.
Anche se il pensiero di uno Stato democratico non mancava non era
abbastanza per andare contro ai voleri del regime franchista.
Successivamente la morte di Carrero, ucciso per mano di un
attentato dell’ETA (Euskadi Ta Azkatasun), condusse l’elezione al
governo dell’ammiraglio Carlos Arias Navarro36.
Il capo dell’esecutivo, nel febbraio 1974, pronunciò davanti alle
Cortes un discorso, ricordato poi come «lo spirito del 12 febbraio»,
in base al quale Arias si impegnava a portare avanti un progetto di
sviluppo politico che prevedeva di varare una riforma sindacale,
una dell’amministrazioni locale e, infine, l’approvazione di un
nuovo statuto delle associazioni37.
Tuttavia quelle di Navarro furono soltanto promesse non mantenute
poiché non vi fu la volontà di modificare las Leyes Fundamentales38
che reggevano il regime franchista e pertanto, proprio come
Carrero, altro non fece se non continuare quello che Franco aveva
lasciato.
36
Carmelo Adagio, Alfonso Botti, Storia della Spagna democratica: Da
Franco a Zapatero, p.38 – ETA fu un’organizzazione armata terroristica con
ideologie d’ispirazione marxista-leninista
37
Ibidem
38
Le leggi fondamentali
12
Ciò è vero quando la Spagna nel 1973 fu colpita da una grave crisi
petrolifera con la quale, ancora una volta, indusse ai dipendenti
delle imprese a scioperare contro il governo.
Navarro, se inizialmente aveva legalizzato con un decreto di legge
il diritto di poter manifestare e scioperare, in un secondo momento
decise di agire con la violenza e, proprio come fece il suo “maestro”
Franco, iniziò una dura repressione contro i manifestanti per
ripristinare l’ordine sociale.
La politica repressiva portata avanti dal Governo Arias sfociò
nell’approvazione di un decreto legge contro il terrorismo, in
seguito al continuo aumento di attentati contro il corpo ufficiale
della polizia, che equivaleva a uno stato di emergenza permanente39.
L’atto, oltre a limitare ulteriormente i diritti e le garanzie dei
cittadini, rafforzava il potere della giurisdizione militare e per molti
reati ristabiliva la pena di morte.
In sintesi, la repressione violenta dei moti anti regime rappresentava
l’unico strumento di controllo rimasto a disposizione del gruppo di
comando del franchismo nella sua fase finale.
39
Gian Piero Dell’Acqua, Spagna. Cronache della transizione. Itinerario
politico e civile dalla dittatura ai problemi della democrazia, Vallecchi,
Firenze, 1978, p. 105
13
4.3 Transizione democratica
L’avvio al processo di democratizzazione fu caratterizzato da un
evento mondiale: nel 1975, dopo quasi 40 lunghi anni di dittatura,
moriva el caudillo generalìsimo Francisco Franco40.
Fu un momento trionfante per il popolo spagnolo oppresso e
represso che in folla si recò ai funerali dando l’addio con il
tradizionale saluto fascista.
La morte del caudillo condusse a un vociferare nelle case della
gente spagnola intorno ad alcuni temi non indifferenti per le sorti
del paese: chi sarebbe stato il successore di Francisco Franco?
Repressione o libertà? Monarchia o Repubblica? Innovazione o
continuità?
In tale periodo il paese si divideva in due parti: da un lato l’ala
tradizionalista che voleva la continuità attraverso la monarchia e la
conservazione dei principi fondamentali del regime, pertanto il
franchismo senza Franco; dall’altro l’ala riformista che voleva la
modernità, la repubblica e quindi la democrazia.
Tuttavia continuare a mantenere il regime dittatoriale senza Franco
non era abbastanza facile e questo perché tutte le organizzazioni che
avevano reso possibile la mantenuta del regime iniziavano a
sgretolarsi41.
La scelta, su quelle che sarebbero state le sorti del paese, era nelle
mani del giovane re Juan Carlos di Borbone42 che, comprendendo la
40
Carmelo Adagio, Alfonso Botti, Storia della Spagna democratica: Da
Franco a Zapatero, p.41
41
Ibidem
42
Juan Carlos di Borbone, indicato come successore nel 1969, ascese al vertice
dello Stato. Nipote di Alfonso XIII, che aveva abbandonato il trono nel 1931,
Juan Carlos era nato a Roma, in piena guerra civile. Per un accordo tra Franco
14
necessità del popolo di un vero e proprio cambiamento politico,
voleva assicurarsi il passaggio dalla dittatura alla democrazia
nominando il suo precettore Torcuato Fernández Miranda alla
presidenza delle Cortes e del Consiglio del Regno43.
L’obiettivo del re era quello di preparare le istituzioni ad accogliere
le successive riforme politiche e predisporre l’ascesa di una nuova
figura alla guida dell’esecutivo.
Tuttavia, per realizzare tale obiettivo, era indispensabile per prima
cosa democratizzare le strutture governative del paese e quindi le
Cortes, modificando il regolamento interno, e diminuendo il potere
del Consiglio Nazionale del Movimiento il quale influenzava le
scelte del governo. A tal proposito «le Cortes giunsero il 25 maggio
1976 ad approvare una pur restrittiva legge sul diritto di riunione
e, più tardi, una sulle associazioni politiche. Quest’ultima
presupponeva però una riforma del codice penale. Che gli artt. 172
e 173 considerava associazioni illecite i partiti politici e le entità
analoghe. Riforma contro la quale le Cortes votarono l’11 giugno,
vanificando così la legge sulle associazioni»44.
Fatto sta che procedere per un’elezione per mezzo di nuovi
parametri istituzionali non era affatto semplice poiché, prima della
sua morte, Francisco Franco aveva lasciato per iscritto nel suo
testamento l’erede al governo.
e suo padre, Juan di Borbone, era rientrato in Spagna nel 1948 per gli studi, che
dal 1955 al 1959 aveva compiuto nelle accademie militari, per poi andare a
vivere, per volere del Caudillo, a Madrid. - Carmelo Adagio, Alfonso Botti,
Storia della Spagna democratica: Da Franco a Zapatero, p.41
43
Ivi, p. 42
44
Ivi, p. 47
15
Il nome ricadeva, per la seconda volta, in Arias Navarro e per tale
motivo il re, per non provocare un disordine politico e sociale,
decise di confermare l’erede testamentario.
Tuttavia il secondo governo Navarro non sembrava avere un grande
destino poiché il paese continuava ad essere soppresso dalla crisi
petrolifera e, anche, dalla svalutazione della peseta nel febbraio
1976.
Il paese aveva raggiunto l’apice del disordine sociale: numerose
erano le proteste e le violenze consumate tra le forze dell’ordine e i
manifestanti per le strade. Infatti «la regione con più intensa
mobilitazione fu quella barcellonese, con gli scioperi generali nel
Bajo Lobregat e a Sabadell»45.
Tuttavia la mancata soluzione a questi episodi condusse alle
dimissioni di Navarro (1 luglio 1976) e l’avvio imminente del
processo democratico in Spagna46.
Ivi, p. 48
45
16