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Mobilità.

Incursioni etnografiche

Indice

Capitolo 1. Titolo: Mobilità: incursioni


etnografiche. Introduzione, di Bruno Riccio
Capitolo 2. Titolo: «Migrare restando a casa».
Pratiche di mobilità e immaginari migratori in
Senegal, di Stefano degli Uberti
Capitolo 3. Titolo: Narrare il viaggio. Mobilità e
immobilità tra i rifugiati eritrei in Etiopia, di
Aurora Massa
Capitolo 4. Titolo: Oltre il ritorno: le case della
diaspora come infrastrutture della mobilità, di
Giuseppe Grimaldi
Capitolo 5. Titolo: La «svolta della mobilità»
nelle traiettorie dei migranti maliani in Spagna:
esperienze di circolazione transnazionale
nell’era della crisi economica, di Annalisa
Maitilasso
Capitolo 6. Titolo: Migranti ghanesi in Italia: ri-
leggere tempo, traiettorie e confini di mobilità,
di Selenia Marabello
Capitolo 7. Titolo: Intimità in movimento:
genealogie domestiche della diaspora panjabi
italiana, di Sara Bonfanti
Capitolo 8. Titolo: Soggetti al potere/soggetti
di potere: immobilità multiscalari bangladesi
fra coercizione e agency; Autori.
[N.d.t. Per una migliore fruizione del file:
- la dicitura Titolo: precede i titoli principali
presenti in indice,
- la dicitura Sottotitolo: precede i titoli di
secondaria importanza non presenti in indice,
- le note sono raggruppate alla fine della parte
a cui si riferiscono,
- le didascalie delle immagini sono riportate
alla fine della parte a cui si riferiscono,
- la parola (puntini) rappresenta gli spazi da
riempire negli esercizi,
- la dicitura (e) indica le parole
dell'enciclopedia elencate alla fine del
paragrafo di riferimento.]

Questo libro è suddiviso in Capitoli e


Paragrafi.

Capitolo 1 titolo: MOBILITÀ: INCURSIONI


ETNOGRAFICHE. INTRODUZIONE

Paragrafo 1. Introduzione
Mobilità internazionale continua a mancare una
riflessione consapevole e approfondita, capace
di restituire la multidimensionalità del
fenomeno e il punto di vista dei diretti
interessati, sempre meno riconosciuti come
soggetti sociali, oltre che politici. Questo
perché manca un sapere accurato sui fattori
che ruotano intorno alle molteplici esperienze
di mobilità. Per colmare questa carenza, in
questo volume si propone una rilettura delle
prospettive sulla mobilità dal punto di vista
etnografico, contribuendo al dibattito più
teorico sulla mobilità.

Paragrafo 2. Dalla prospettiva


transnazionale al paradigma della
mobilità
Inizio anni Novanta alcuni autori sostennero in
modo convincente che le migrazioni non
conducevano, nemmeno lontanamente, ad un
processo unilaterale di assimilazione nelle
società di approdo. Infatti si evidenziava che i
migranti fossero impegnati in molteplici forme
di appartenenza e nella costruzione continua di
campi sociali che attraversavano i confini
geografici e politici degli stati nazionali. Questi
studiosi definirono “transnazionalismo” il
processo attraverso il quale i migranti, anche
grazie alle innovazioni tecnologiche, tessono
reti e mantengono relazioni sociali,
economiche, culturali e politiche che
attraversano le frontiere, collegando le loro
società di origine a quelle di approdo e ad altre
località dove sono presenti altri gruppi di
connazionali. Le reti transnazionali, anche
grazie agli esiti della globalizzazione delle
innovazioni tecnologiche e dei processi di
decolonizzazione, hanno un’estensione globale.
Dallo studio di questi processi è nata una
prospettiva analitica, definita “transnazionale”,
secondo la quale occorrevano nuovi scenari
interpretativi per leggere la complessità dei
fenomeni migratori. In questa prospettiva si
proponeva di guardare con maggiore
attenzione agli spazi che i migranti non solo
attraversavano ma costruivano attivamente
nell’esperienza. Si cominciarono così ad
abbandonare modelli “bipolari” che
rappresentavano il migrante come uno
“sradicato” intento ad assimilarsi faticosamente
nel contesto d’immigrazione e si avviò uno
studio sulle azioni dei gruppi migranti capaci di
rendere questi simultaneamente presenti in
diversi luoghi. Le collettività migranti erano
intese come comunità mobili di persone che
soggiornano all’estero senza un preciso termine
temporale, transitando e circolando fra due o
più territori appartenenti a stati nazionali
diversi e alimentando circuiti attraverso cui
scorrono informazioni, oggetti, idee capitali e
immagini, oltre che persone. Tale approccio si
caratterizzava anche per la capacità di
evidenziare la dimensione “micro” cos’ spesso
assente nelle analisi della globalizzazione: le
etnografie si concentravano, infatti, sulle
esperienze quotidiane delle persone,
mostrando come anche le relazioni e i legami
più intimi potevano essere intrattenuti a
distanza. Già questa prospettiva riconosceva
che le vite e le identità sia dei migranti, sia dei
non migranti, erano connesse a, e influenzate
da, le mutevoli condizioni del capitalismo
globale. Nello stesso secolo, negli anni
Duemila, le scienze sociali hanno alimentato
discussioni teoriche ed analitiche su ciò che è
stato definito il nuovo paradigma della
mobilità. Proprio per evitare di trattare la
sedentarietà come condizione naturale, è stato
proposto di considerare le migrazioni come un
settore del più ampio studio della mobilità.
Anche in questo caso si parte dalla nozione
critica sedentaria della cultura e della società
per cui fenomeni naturali vengono trattati
come entità spaziali e territoriali dati. Più in
generale, diversi studiosi, hanno espresso
scetticismo nei confronti dell’idea che la
sedentarietà costituisca la normalità, mentre la
mobilità rappresenti la deviazione o una sorta
di problema.
Da questo punto di vista, le esperienze di
migrazione non possono essere concepite come
limitate nel tempo, ne pensate esclusivamente
in un’unica e specifica forma di movimento
lineare tra due luoghi distinti. Al contrario,
diverse sono le esperienze prima della
partenza: dal lavoro stagionale alle migrazioni
interne nella regione di origine, o alle relazioni
con persone che sono emigrate in passato.
Questa prospettiva permette di guardare la
migrazione senza irrigidirla dentro una
prospettiva lineare fra due punti stabili: il
contesto d’origine e quello d’immigrazione. Uno
degli aspetti più apprezzabili di questo
approccio è la possibilità di cogliere le
interconnessioni di diverse forme di mobilità,
come quella fra movimenti interni agli stati
nazionali. Questo approccio, quindi, consente di
superare la lacuna e la rigida divisione dei
lavori tra lo studio delle migrazioni interne e
quello delle migrazioni internazionali. In molti
casi le migrazioni interne basate su reti di
parentela, etniche o religiose, costituiscono il
cantiere di soluzioni organizzative che facilitano
le migrazioni transnazionali. La “cultura delle
migrazioni” si è sviluppata a partire dalle
mobilità interne al Messico, per poi estendersi
nella studiatissima migrazione transnazionale
verso gli Stati Uniti. In ogni continente si
registra un nesso stringente fra mobilità
internazionali e mobilità interne agli stati
nazionali. Le diverse mobilità sono
interconnesse anche perché i protagonisti delle
migrazioni interne possono essere proprio
quegli stessi stranieri originariamente
approdati attraverso movimenti internazionali.
A differenza della prospettiva del
transnazionalismo evocata in precedenza,
questo approccio più ampio alla mobilità
include non solo il movimento geografico nel
tempo ma anche la mobilità sociale ed
esistenziale. Durante il viaggio, cambiano le
traiettorie ma anche le aspirazioni e i progetti
dei migranti. Percorsi differenti si aprono
mentre confini si chiudono. Si può decidere di
rimanere in un paese che si riteneva di
transito, una tappa obbligata verso una
destinazione agognata, ma ciò non impedisce
di continuare il proprio viaggio con
l’immaginazione. Situazioni di transito possono
dunque trasformarsi in luoghi dove abitare e,
contemporaneamente, le destinazioni
desiderate possono diventare una semplice
tappa del cammino. Questo succede perché le
destinazioni si concretizzano e la realtà può far
cambiare idea e ciò è connesso al carattere
frammentario di queste migrazioni, che
evolvono strada facendo. Viene poi esplorata la
componente dell’immaginazione nella
costruzione simbolica di un altrove. Si tratta di
un fenomeno che riguarda anche il turismo. Gli
immaginari intrecciano parte delle informazioni
che viaggiano su brochure, televisioni e in rete,
con le aspirazioni di chi le coglie. Ci si convince
così di conoscere un luogo, e di sapere cosa si
troverà. È la stessa cosa che succede alle
persone che lasciano il paese di nascita per
migrare verso terre lontane. Ciò nonostante
non mancano le critiche a questa prospettiva.
Ci sono perplessità sull’utilizzo linguistico del
termine mobilità per indicare gli spostamenti
dei lavoratori più qualificati in contrasto con le
persone meno privilegiate per le quali si
tenderebbe ad usare il termine migrazioni. Tale
approccio è stato criticato per aver esteso il
termine mobilità a tal punto da include ogni
sorta di fenomeno, dal turismo alle migrazioni
forzate, come se costituissero lo stesso tipo di
realtà sociale. Glick Schiller e Salazar hanno
coniato l’espressione “regimi di mobilità” il
termine regime pone l’accento sul ruolo giocato
dai sistemi di regolamentazione, sorveglianza e
governo della mobilità e sullo stratificarsi degli
stessi. Negli ultimi anni, il mondo è in
movimento attraverso diverse forme di mobilità
che accelerano per alcuni e rallentano per altri.
La mobilità, secondo Bauman, è una risorsa
tanto ambita quanto polarizzata. Migranti non
alimentano le logiche della società dei consumi
come i turisti, per questo sono spesso sgraditi.
Recenti ricerche antropologiche mostrano come
per molte persone la mobilità è fondamentale
esperita nella sua assenza, nell’attesa o
nell’impossibilità dell’effettiva partenza.
L’immobilità, la sensazione di essere bloccati,
l’incapacità di muoversi per ragioni politiche o
economiche può a volte, paradossalmente,
costituire una forza, una spinta ad andare via.
Per molti comunque, la scarsità di risorse
economiche, impedisce l’effettiva partenza
immobilità involontaria: situazione in cui i
migranti si trovano a fronteggiare nuove ed
ostili forme di governo che escludono sempre
più persone dai circuiti globali della mobilità
regolare. Cresswell definisce la mobilità come
l’intreccio di movimento, rappresentazione e
pratica, collocandola contemporaneamente
nelle pratiche sociali, nell’immaginario e nel
mondo materiale. Illustra inoltre come tre
aspetti comportino una particolare politica della
mobilità:
• Il movimento fisico di spostamento da un
luogo all’altro
• La rappresentazione del movimento che
favorisce un significato condiviso
• L’effettiva esperienza e pratica incorporata
del movimento
Questa sofisticata teoria facilita la
combinazione delle ricerche etnografiche che
esplorano le traiettorie e la vita quotidiana dei
migranti con l’interconnessione fra mobilità,
trasformazioni geopolitiche ed economiche e la
potenza della forza dell’immaginazione che
plasma i processi migratori. Nelle località di
emigrazione infatti le immagini dei paesi
stranieri e degli emigrati diventano metafore
con cui pensare i cambiamenti sociali che
caratterizzano la località stessa. Spesso i
migranti sono considerati eroi contemporanei
incarano le nuove vie di mobilità sociale e
veicolano modelli di esistenza e stili di vita
alternativi che vanno oltre il semplice successo
materiale. È nel luogo d’origine che avviene il
riconoscimento del successo migratorio
costruzione di nuove case + trasformazione
della gerarchia degli spazi.
Discorsi sull’immigrazione ambivalenza

Paragrafo 3. Dalle etnografie multilocali


alle biografie della mobilità
Le ricerche possono focalizzare l’attenzione su
specifiche località che possono sembrare a
prima vista caratterizzate da immobilità, ma
che presto si rivelano incroci di varie forme di
mobilità interne, regionali e internazionali. Le
traiettorie possono essere esplorate anche
attraverso storie di vita, auto-biografie, e
biografie che spesso permettono un’analisi
approfondita delle esperienze. Una prospettiva
che tenga conto del singolo e della sua
individuale esperienza e percezione è utile per
esplorare la causa “finale”, ossia il motivo per
cui la migrazione viene intrapresa. La causa
non è costituita solo dalle condizioni socio-
economiche, ma anche dal desiderio e la
determinazione nel superarle, nonché
dall’insieme di rappresentazioni e significati che
portano a concepire la migrazione
internazionale come il modo migliore per
riuscire a farlo. Dedicare attenzione alle
motivazioni, alle esperienze soggettive e al
processo ci aiuta ad esplorare come la politica
delle mobilità plasma queste esperienze
migratorie. Le relazioni sociali di genere e
generazionali, i luoghi, i tempi di insediamento
influenzano le esperienze e le rappresentazioni
delle stesse esperienze migratorie.

Capitolo 2 titolo: «Migrare restando a


casa». Pratiche di mobilità e immaginari
migratori in Senegal, di Stefano degli
Uberti

Paragrafo 1. Introduzione
Dagli ultimi decenni del XX secolo le migrazioni
sono diventate oggetto quotidiano di interesse
e di dibattito pubblico ‘migrazioni irregolari’
procedure di protezione e accoglienza dei
rifugiati, ecc. Ma si dice ben poco sui
protagonisti di questi viaggi. Le ragioni per cui
vengono intrapresi questi viaggi sono
generiche: guerra, povertà, fame e
oppressione.
Semplificare l’esperienza dei migranti in una
fuga d condizioni di vita penose per migliori
opportunità in Europa non permette la
comprensione del complesso intreccio di
aspettative, motivazioni, situazioni da cui
scaturisce la determinazione di molte persone
ad abbandonare la propria terra. Con la
crescente intensità di flussi globali di merci e
persone, si è diffusa la consapevolezza che la
mobilità rappresenta un aspetto di ‘normalità’,
continuità, e non un’eccezione rispetto ad uno
stato di sedentarietà. Senegal non è difficile
raccogliere opinioni, racconti, leggende sulla
pericolosità del viaggio in piroga e
sull’apparente ingenuità dei molti ragazzi che
progettano di “gagner l’Europe” raggiungendo
le isole Canarie. Ciò che merge fin da subito dai
loro racconti è la dimensione soggettiva e
immaginaria del viaggio. C’è una lettura
alternativa della migrazione non è solo uno
spostamento fisico-geografico ma anche un
orizzonte di aspirazioni e zioni incorporate
nell’esperienza quotidiana, un patchwork di
significati socialmente condivisi. Nel guardare
alle migrazioni attraverso la lente del
paradigma della mobilità, le esperienze di vita
di molti senegalesi si configurano come
costruzioni socio-culturali che coinvolgono
importanti dimensioni discorsive e
immaginarie.

Obiettivo del capitolo discutere il paradigma


della mobilità e la sua dimensione immaginaria
nel contesto delle migrazioni in piroga verso le
isole Canarie. Dalle parole di un ragazzo si
evince come l’esperienza del viaggio non fa
necessariamente riferimento ad uno
spostamento fisico. Nel sancire il superamento
di una dimensione esclusivamente spaziale del
movimento, la nuova postura analitica si apre
allo studio delle componenti immateriali,
immaginarie, simboliche attraverso cui molti
individui fanno esperienza della mobilità.
Interrogandosi su come scaturisce il desiderio
di migrare, si guarda anche la dimensione
dell’immaginazione, nell’elaborazione di una
rappresentazione dell’Europa, come meta reale
o immaginaria di molti progetti migratori.
L’analisi del nesso tra mobilità e migrazione
permette di esplorare come si sviluppano le
narrazioni sulla migrazione e sui paesi di
destinazione di coloro che sono animati dalla
convinzione che una vita migliore possa essere
realizzabile, nella maggior parte dei casi,
lontano da casa.

Paragrafo 2. Radici e traiettorie della


mobilità tra pescatori e migranti della
Petite Côte
Prospettiva analitica esamina diversamente il
movimento delle popolazioni, superando
l’isonomia, spesso data per scontata tra popoli,
spazi e culture.

In opposizione a questo approccio, il paradigma


della mobilità promuove un “pensiero nomade”
e mette in discussione il più radicato approccio
sedentarista. Per milioni di africani, infatti,
“essere mobili” non è un’eccezione, ma
piuttosto un “modo di vita”. Il viaggio e le
pratiche di mobilità emergono come storie di
vecchia data e al tempo stesso di un nuovo
mondo del Sahel. Il paradigma della mobilità
dischiude una comprensione nuova della
propensione a migrare di molti senegalesi. Le
migrazioni senegalesi più recenti costituiscono
un’esperienza di re-immigrazione rispetto ad
una precedente storia di mobilità interna
all’Africa Subsahariana. 2005: prime migrazioni
in piroga dal Senegal verso le Canarie. M’bour
e Saly due dei punti di imbarco M’bour è l’area
del Senegal con il più alto tasso di migranti
rimpatriati residenti nel territorio. La mobilità è
una componente storicamente distintiva dei
pescatori senegalesi, espressione di una
“cultura della mobilità” che affonda le radici
nelle rotte storiche dei pescatori lungo le coste
dell’Africa dell’Ovest. I pescatori senegalesi
davano e danno ancora oggi prova di una
concreta mobilità in tutta la subregione
dell’Africa dell’Ovest.
Per lungo tempo la mobilità ha rappresentato
una parte integrante del sostentamento dei
pescatori, che spesso e volentieri decidevano
anche di insediarsi nelle località dove
trovavano una ricchezza di risorse. I
cambiamenti socio-politici, gli alti costi della
pesca artigianale e la progressiva riduzione del
pescato hanno innescato profonde
trasformazioni in quest’attività professionale.
Tra i pescatori di M’bour c’è la preoccupazione
di non garantire alle future generazioni
l’indipendenza necessaria a creare la propria
famiglia. In questo contesto, le migrazioni in
piroga costituiscono un atto culturalmente
significativo volto ad acquisire prestigio e
status sociale maggiore, soprattutto fra gli
uomini. Si migra verso le Canarie per pescare
un futuro migliore. Il coinvolgimento
nell’organizzazione dei viaggi in piroga ha
costituito una forma di guadagno e di
sostentamento alternativa e più sicura rispetto
alle lunghe ore di lavoro scarsamente
remunerate della pesca artigianale. La zona di
M’bour non si è mai caratterizzata come
un’area d’origine delle emigrazioni senegalesi
verso l’Europa. Migrazioni in piroga fenomeno
di continuità, frutto di un’evoluzione o
trasformazione delle pratiche sociali e del
contesto politico ed economico senegalese. La
sedentarietà non rappresenta una condizione
esistenziale opposta alla mobilità migratoria,
ma piuttosto una parte di essa. La mobilità
riguarda anche tutti colori che sono coinvolti,
più o meno direttamente, nella migrazione.

Paragrafo 3. (Im)mobilità involontaria del


Senegal
L’enfasi posta sulla mobilità come emblema
contemporaneo della libertà, del progresso e
del cambiamento non rende conto delle
disuguaglianze sociali e delle dinamiche di
potere che la originano o attraverso cui si
riproduce. È significativo osservare che il
termine “mobilità” viene usato per indicare i
lavoratori altamente qualificati, mentre si
adotta il termine “immigrazione” quando si
parla dei lavoratori di bassa qualificazione,
considerandolo un fatto da arginare. Numerosi
sono gli studi che sottolineano come indagare
le pratiche di mobilità implica far luce sul
perché molte persone non si muovono, così
come sulle storie di esclusione, disuguaglianza,
disconnessione, sulle condizioni d’insicurezza e
involontaria immobilità vissuta da molti che
aspirano a migrare. Le ricerche hanno
evidenziato un paradosso sulla mobilità la
possibilità di muoversi risulta piuttosto una
“merce scarsa e distribuita in maniera
ineguale, che è diventata rapidamente il
principale fattore di stratificazione sociale dei
nostri tempi.” Per molte persone la mobilità è,
infatti, un fenomeno cui si è esposti spesso ma
involontariamente o di cui si fa presenza in
‘assenza’. Migrazioni in piroga dal Senegal caso
esemplare di come l’esperienza di immobilità
nel proprio contesto di vita, la percezione
dell’incapacità di muoversi, diventino un volano
nell’innescare la propensione inziale ad
allontanarsi. In molte circostanze quindi
mobilità e immobilità appaiono due facce della
stessa medaglia. Rispetto ai processi di
criminalizzazione, vittimizzazione e
spersonalizzazione cui è soggetto l’”emigrante
clandestino” nelle narrazioni dei media
senegalesi, i racconti dei ragazzi suggeriscono
considerazioni differenti. Assane si appropria
del concetto di “clandestinità” e lo reinterpreta
attribuendogli una valenza identitaria ed
encomiastica. ‘Clandestino’ diventa colui che è
fieramente responsabile del proprio destino e
del proprio ruolo all’intero della famiglia. Il
tentativo di migrare per andare oltre le
costrizioni vissute ogni giorno diventa già di
per sé un aspetto di distinzione sociale. Dopo il
rimpatrio, l’esperienza del fallito viaggio non è
vissuta come una cesura o un rito di passaggio,
il cui senso è connesso al raggiungimento della
meta di destinazione. Al contrario, viene
reinterpretato dai migranti come un elemento
di continuità, la premessa per la creazione di
nuove relazioni sociali e strategie di riuscita
che consentano di dare una risposta al loro
futuro. Esperienza di Thierno ha tentato di
raggiungere l’Europa molte volte. Afferma che
le frontiere sono un impedimento al desiderio
di scoprire e fare esperienza. Al suo ritorno si è
accontentato di lavorare come autista, ma è
solo un ripiego. Il “fallimento” viene quindi
reinterpretato come uno spazio produttivo in
cui nuove modalità di riuscita e realizzazione
individuale e collettiva sono create, negoziate e
messe in atto.

Paragrafo 4. Immaginari di mobilità e


esperienze dell’altrove
Il paradigma della mobilità, nel sancire il
superamento di una dimensione
esclusivamente spaziale del movimento, si apre
all’analisi delle componenti immateriali e
simboliche, come detto prima. Le idee, i valori
così come i miti, le credenze sulle mobilità dei
Paesi di destinazione diventano parte
integrante dello studio dei processi migratori.
Queste componenti non sono immutabili ma si
modificano nel tempo e nello spazio. L’insieme
di questi fattori contribuisce alla formazione di
immaginari migratori e di un’idea dell’Altrove a
livello individuale e collettivo. Le rotte
migratorie sono prima di tutto immaginate
all’interno di una dialettica quotidiana che
intreccia dinamiche sociali locali e logiche
culturali globali. Gli immaginari sulla
migrazione sono però un fenomeno esclusivo
dei migranti, ma interessano un numero
maggiore di persone che, pur non avendo
spesso alcuna esperienza di mobilità al di fuori
del loro paese, trovano ispirazione attingendo
dal loro capitale culturale, sociale e relazionale.
Immaginazione valenza creativa e costitutiva
della soggettività degli attori sociali. L’
“immaginario” non è inteso come “immagine
di” qualcosa, ma “creazione incessante e
indeterminata di figure, forme e immagini” che
non rispecchiano la realtà, ma la creano in un
processo del “far essere”. La nozione di
‘immaginario’ qui fa riferimento a come i flussi
informativi e delle tecnologie abbiano
alimentato i processi di deterritorializzazione
dei gruppi culturali, come afferma Appadurai.
Questi “flussi culturali globali” secondo lui,
hanno origine dalle biografie della gente
comune e favoriscono la formazione di
“immaginari sociali” e “mondi immaginati” e
promuovono l’esperienza tra molti individui di
un “esilio immaginario” o la nascita di
collettività deterritorializzate. Una notevole
influenza è esercitata anche dal consumo dei
media televisivi, di Internet, così come
dall’influenza culturale, economica e visiva dei
migranti di ritorno che appaiono come
mediatori fra i candidati al viaggio e le società
del Nord del mondo. Anche i cybercafè
inducono un senso di spaesamento o di virtuale
riterritorializzazione dove il consumo e la
condivisione di immagini, video e messaggi
diventano il veicolo attraverso cui esprimere
passioni e desideri. Cybercafè spazio dove la
realtà quotidiana e quella immaginaria di un
“viaggio virtuale” si sovrappongono senza
soluzione di continuità, alimentando il desiderio
di migrare. L’analisi di come i migranti e non-
migranti usano e attribuiscono un significato
alle tecnologie d’informazione/comunicazione e
alle immagini del mondo che creano sollecita a
interrogarsi sul ruolo giocato
dall’immaginazione nella costruzione sociale del
‘desiderio per l’Altrove’. Nei media Barça è
considerata il paradiso dei migranti (El
Dorado). Vivere in Senegal e vivere all’estero
non rappresentano l’opposizione fra un Paese
povero e la ricchezza di un altrove. “Qui” e “Là”
si riferiscono a condizioni di vita concrete:
Barcellona simboleggia la possibilità di
realizzazione personale e professionale, mentre
il Senegal uno stato di “morte sociale, un Paese
di difficoltà nel garantire uno sviluppo socio-
economico. Di fronte a situazioni come queste,
la realtà consiste soprattutto in un vissuto di
sottrazione: agli occhi di molti non rinvia a ciò
che è, ma a ciò che non è. Questo forse è il
punto di incontro fra realtà e immaginario. La
dimensione irreale non sostituisce ne annulla la
realtà dei migranti; ma è la capacità
immaginativa che permette di rileggerne la
condizione riformulandola in una prospettiva
favorevole.
Reale e immaginario, interno ed esterno, qui e
altrove non sono dimensioni opposte, ma si
articolano e ridefiniscono dialetticamente. La
volontà di ‘riuscire’ non è l’espressione di un
desiderio di arricchimento rapido, ma è
sinonimo di ‘riuscita sociale’, di un percorso
verso l’età adulta dalle connotazioni molteplici.
Esprime in senso più ampio il raggiungimento
di una “completezza dell’individuo”. Viaggiare
sinonimo della pensabilità di un futuro, di una
continuità e proiezione di sé oltre il proprio
contesto domestico. Un altro ambito della vita
sociale dove si può esplorare il rapporto fra
mobilità e la sua componente immaginaria è il
turismo. Nel settore turistico di M’bour e Saly è
emersa la rilevanza di questo contesto sociale
nel generare i contenuti e le risorse
economiche e culturali che alimentano gli
immaginari migratori di numerosi ragazzi
senegalesi. Lo stretto rapporto che spesso
s’instaura attraverso lo scambio di souvenir o
altri oggetti simbolici nel corso delle visite o al
momento della partenza contribuiscono alla
“costruzione sociale di un Altrove locale.” Un
forte legame sussiste fra le rappresentazioni
dello spazio, i valori socialmente assegnati ad
esso e il processo di costruzione identitaria che
ha visto protagoniste le guide di M’bour e Saly.
L’incontro fra host e guest diventa un momento
centrale del definire la percezione e i modi in
cui si fa esperienza dei luoghi turistici. Col
tempo si sovrappongono la dimensione
personale e lavorativa. Il desiderio di migrare
di molte guide turistiche non prende forma da
rappresentazioni sulla società del Nord, ma è
piuttosto connesso alle esperienze soggettive
trasmesse dai turisti e al loro contesto di vita.

Paragrafo 5. La materialità degli


immaginari migratori
L’immaginario della mobilità si manifesta
attraverso una sua materialità. Artefatti
culturali, oggetti della memoria, ecc. alcuni dei
fattori che agiscono sulla capacità
immaginativa dei soggetti. Come informa la
materialità le pratiche e gli immaginari sulla
mobilità? John Urry racconti di viaggio,
brochure, ascolto della radio: dispositivi
simbolici che ridefiniscono i legami sociali e il
senso di appartenenza al contesto di vita
quotidiano, alimentando al tempo stesso la
percezione di viaggiare Altrove. Esempio dei
souvenir patrimonio dell’esperienza soggettiva
delle guide e componenti di quell’immaginario
dell’Altrove di cui gli stessi turisti diventano
emblema.

Paragrafo 6. Osservazioni conclusive


Si è dimostrato che mobilità, storia e
immaginazione sono fattori strettamente
interconnessi nello studio delle migrazioni in
piroga verso le Canarie e nella comprensione
delle trasformazioni innescate dai processi
migratori internazionali. L’analisi della
migrazione non rimanda necessariamente allo
studio delle forme di movimento, ma anche alla
comprensione delle aspirazioni delle
motivazioni, dei processi di immaginazione
degli individui nel pensare alla migrazione. Veri
o falsi che siano gli immaginari migratori hanno
mostrato di avere effetti concreti
nell’esperienza quotidiana degli individui o dei
gruppi sociali coinvolti. Hanno effetti anche nel
modo in cui gli individui percepiscono e
descrivono la loro società d’origine in rapporto
ai contesti di destinazione. Si è visto inoltre che
la spinta ad emigrare per raggiungere l’Europa
non è data da un desiderio di guadagno
materiale, ma dall’intento di formulare una
risposta ad una condizione di precarietà
sociale. L’indagine etnografica ha messo in luce
come l’Altrove sia un’esperienza plurale che
esprime una distanza morale e socio-culturale.
Può essere tanto ciò che è lontano quanto ciò
che è vicino.

Capitolo 3 Titolo: Narrare il viaggio.


Mobilità e immobilità tra i rifugiati eritrei
in Etiopia, di Aurora Massa

Paragrafo 1. La forza dei passaporti


Passport Index indice che classifica i passaporti
del mondo sulla base della loro ‘forza’, ossia
sulla base del numero di Stati cui ogni
documento garantisce l’ingresso senza bisogno
del visto. Costituisce uno strumento
superficiale e parziale che non evidenzia come
la possibilità di ottenere o meno un visto possa
variare in base al Paese. È pero efficace
nell’offrire lo scenario contraddittorio
attraversato da profonde gerarchie della
differenza, in cui si verificano esperienze di
mobilità e immobilità. Gli sforzi volti a prendere
le distanze dalle rappresentazioni della mobilità
in termini di anomalia hanno posto in secondo
piano le diseguaglianze nella possibilità di
muoversi o decidere se spostarsi o meno.
Frontiere, status giuridici e sistemi di visti
servono oggi non solo a bloccare ma anche a
filtrare e monitorare la mobilità, creando e
rafforzando forme di diseguaglianza. Gli
squilibri sociali e di potere svolgono un ruolo
determinante nell’originare e riprodurre la
mobilità. Analisi dei rifugiati eritrei, a partire
dall’Etiopia, uno dei Paesi di primo approdo. Al
tempo della ricerca era in un corso una “guerra
fredda” fra Eritrea ed Etiopia per i rifugiati
eritrei significava essere accolto in un contesto
nemico, nel quale arrivavano dopo aver
raggirato i meccanismi di controllo, volti a
impedire loro di lasciare l’Eritrea. In Etiopia i
ragazzi si sentivano spesso di passaggio;
avevano altre mete più attrattive come gli Stati
Uniti o il Canada. L’Etiopia era considerata una
semplice tappa, un momento di transito che a
volte però durava anche anni. Al tempo stesso
provavano una condizione di immobilità
‘forzata’ a causa delle limitazioni che gli assetti
giuridici internazionali imponevano alla loro
possibilità di viaggiare attraverso canali
regolari (passaporti, ecc.). L’immobilità che
avvertivano non era legata solo allo spazio, ma
anche altre dimensioni dell’esistenza. I ragazzi
intervistati considerano il loro viaggio come
qualcosa di inevitabile, come se non ci fosse
un’altra scelta. Stare fermi nello spazio è una
condizione talvolta desiderata, poiché può
garantire una mobilità sociale che nei viaggi
rischia di perdersi. Mobilità e immobilità forzata
dunque possono rappresentare entrambi
ostacoli alla realizzazione di un percorso di
stabilità; per molti ragazzi eritrei il viaggio
rappresenta un modo per raggiugere un luogo
in cui stabilirsi e sentirsi a casa.

Paragrafo 2. Non solo linee su una mappa


Modalità più frequente di rappresentare i
percorsi migratori utilizzo di linee rette o curve,
che connettono il punto A al punto B. Questa
rappresentazione riflette il paradigma della
sedentarietà, trascurando quello che avviene
inbetween. L’attenzione alla mobilità ha
cambiato il modo di studiare il movimento; le
traiettorie non vanno intese come percorsi
autonomi e lineari. Sono processi mutevoli e
aperti, in cui la mobilità dei migranti si
interconnette con altre forme di mobilità e con
elementi di fissità. Le traiettorie sono
influenzate da molteplici elementi e ostacoli. Le
persone in movimento talvolta non hanno mete
esatte, altre volte non possono raggiungere la
meta desiderata e si muovono quasi sempre in
base alle opportunità, alle persone e agli
ostacoli che incontrano. In molti casi, le soste
nei “Paesi di transito” durano anni, e nel
mentre le persone rimodellano gli spazi, le
economie e le forme di socialità. I migranti non
sono impermeabili e ai luoghi e vivono
momenti importanti della loro vita durante le
soste, come la creazione della propria famiglia.
È complicato definire un luogo come luogo di
partenza o d’arrivo; le destinazioni possono
mutare o diventare nuovi punti di partenza.
Migrazione e viaggio quindi sono processi
sociali che modellano gli spazi attraversati, i
gruppi sociali coinvolti e i soggetti in
movimento. Lo spostamento significa cose
diverse in differenti circostanze sociali. Per i
rifugiati eritrei, il viaggio verso l’Europa è
intriso di desideri futuri, di modelli individuali e
familiari di successo e di immaginari di altrove;
queste componenti influenzano il modo in cui lo
spostamento è vissuto. La narrazione del
viaggio non costituisce una creazione
puramente personale, ma è un’esperienza
intersoggettiva plasmata, attraverso cui sono
elaborate interpretazioni simboliche.

Paragrafo 3. Culture della migrazione


“Trapped in Adolescence” definizione dei
giovani eritrei secondo Treiber. Fa riferimento
alle conseguenze dell’allungamento temporale
del servizio nazionale di leva che dal 2002
obbliga i giovani a servire il governo per un
numero indefinito di anni. decisione che ha
avuto un ruolo centrale sulla mobilità. Ai
giovani viene imposto il tipo di lavoro e il luogo
in cui vivere con un salario. Questo causa
anche un prolungamento della gioventù, in
quanto durante il servizio, il raggiungimento
delle tappe che consentono il passaggio all’età
adulta è ostacolato. Tutto questo è in contrasto
con la mobilità l’esperienza migratoria è
associata a un percorso di crescita. Ruolo
economico, politico e simbolico della diaspora
eritrea coloro che vivono in diaspora sono
considerati il ‘buon esempio’ e godono di vari
privilegi rispetto a chi vive in Eritrea. Per i
migranti di oggi viaggiar significa oltrepassare
pericoli e barriere, che non solo rendono gli
spostamenti più pericolosi, ma modellano in
profondità l’esperienza pratica dei viaggi.

Paragrafo 4 Attraversare la frontiera


Visti per attraversare la frontiera rilasciati sulla
base di criteri incerti. Per questo motivo
migliaia di giovani emigrati hanno affrontato
alti fattori di rischio: gli spostamenti all’interno
del territorio nazionale sono fortemente
limitati, le frontiere sono presidiate e le
punizioni molto pesanti. A causa dei
meccanismi di sorveglianza, quella attuata dai
ragazzi eritrei è una fuga a lungo pianificata.
C’è una conoscenza diffusa delle abilità
necessarie a varcare la frontiera, che si
compone di saperi, risorse materiali,
esperienze e reti sociali a cui attingere per
muoversi. Nei racconti dei ragazzi ci sono
elementi ricorrenti esistenza di topoi narrativi
che modellano i racconti individuali; riguardano
aspetti del paesaggio, come il buio, i cani, la
possibile presenza di iene e soldati o del
proprio vissuto, come la fatica. Nonostante
questa dimensione collettiva, solitudine e
silenzio sonno altri aspetti ricorrenti delle
narrazioni. La segretezza è una tattica per
proteggere sé stessi e i propri cari da eventuali
rischi o può essere intesa come parte delle
competenze necessarie a organizzare il viaggio.
Prima della riapertura della frontiera nel 2018,
esistevano tanti modi per attraversarla. Era
attraversata in solitudine o in gruppo, talvolta
con l’aiuto di guide (pilot), improvvisate o di
professione. L’ultimo tratto di viaggio era
percorso a piedi e di notte attraverso zone
disabitate. Molti ragazzi nei loro racconti hanno
esaltato sé stessi per la propria forza e
coraggio e riconoscendo il ruolo fondamentale
della protezione divina. Nel caso eritreo, la
continua presenza della comunità diasporica
vede il viaggio come un’esperienza
generazionale. L’area a cavallo fra Eritrea ed
Etiopia è molto simile, sia dal punto di vista
linguistico che culturale la frontiera è
difficilmente rintracciabile Attraversamento
della frontiera = momento cruciale del viaggio.

Paragrafo 5. Sogni di immobilità


Per i migranti eritrei molto difficile realizzare in
Etiopia aspirazioni migratorie per aiutare la
famiglia. Ai rifugiati infatti è vietato lavorare ed
è permesso uscire dai campi profughi solo con
un’autorizzazione in base a certi requisiti.
Inoltre, per loro, come detto prima, è un Paese
nemico l’Etiopia non è mai un luogo in cui
pensarsi stabilmente e sono infatti pochi coloro
che non si sono spostati. Trovandosi in un
paese straniero, aumenta la sensazione di
immobilità. Esempio di un ragazzo inserito
insieme agli altri che erano nel suo stesso
campo, in un programma di resettlement di
gruppi verso gli Stati Uniti i suoi sogni
americani si intrecciavano con un desiderio di
immobilità e stabilizzazione che si
contrapponevano all’ipermobilità che ha
caratterizzato la sua vita.

Paragrafo 6. Arrivo
I fattori strutturali, economici, politici che
favoriscono o impediscono il movimento
rimangono centrali. Tale centralità non implica
un appiattimento dell’analisi delle etichette
giuridiche. Etichette giuridiche delle istituzioni
politiche non sono neutrali, ma scaturiscono
dalle cornici normative che regolano la
relazione tra persone e luoghi. Riflettono
esigenze politiche ed operative, ma anche
rappresentazioni sociali della realtà e visioni del
mondo.

Capitolo 4 titolo: Oltre il ritorno: le case


della diaspora come infrastrutture della
mobilità, di Giuseppe Grimaldi

Paragrafo 1. Introduzione: il ritorno a casa


e il mondo di Oz
“There’s no place like home”.
Il ritorno a casa situata in un altrove geografico
rispetto all’esperienza quotidiana assume un
valore fondamentale per i vari gruppi
diasporici. La tensione verso un contesto
d’origine ha storicamente costituito una sorta
di precondizione necessaria al fine di definire e
circoscrivere il concetto stesso di diaspora.
Esempio di Dorothy non può trovare la felicità
se non a casa sua, perché fuori dal suo recinto
spaziale di appartenenza lei è strutturalmente
altro. Mekelle: capitale dello stato di Tigray, nel
nord-est dell’Etiopia tanti quartieri costruiti
dalla diaspora tigrina per fare ritorno in Etiopia.
Queste case sarebbero delle vere e proprie
‘infrastrutture del ritorno’, atte a ristabilire una
sorta di equilibrio originario, un isomorfismo
tra spazio e appartenenza per forza di cose
impossibile da raggiungere in diaspora. La
quotidianità dei quartieri della diaspora si
compone di traiettorie di mobilità frastagliate,
di ritorni discontinui o inesistenti e di
riappropriazioni locali delle case costruite
dall’estero. L’analisi delle case della diaspora
richiede di abbandonare una metafisica
sedentarista in favore di una prospettiva di
mobilità. Le case si configurano come dei siti
privilegiati attraverso cui leggere le dinamiche,
le politiche e le pratiche sociali che lo
compongono. A Mekelle queste case sono le
“infrastrutture della mobilità”: sono centri di
interconnessione tra dimensione locale e
transnazionale.

Paragrafo 2. Oltre le rappresentazioni: il


ritorno a casa della diaspora dalla
tecnologia alla pratica
Mekelle processo di trasformazione del
contesto urbano a causa degli investimenti dei
soggetti della diaspora. Si sono moltiplicate le
aree residenziali con standard abitativi sul
modello occidentale, geograficamente separate
dal resto della città. Il processo di costruzione
delle case non è privato, ma è un vero e
proprio affare di stato.
Per i cosiddetti “diaspora” nel biennio 2002-
2003 e nel 2006 il governo ha messo a
disposizione a titolo gratuito terreno edificabile
a chiunque volesse costruire una casa
dall’estero. Tuttora vengono promosse delle
cooperative edilizie (mahber) costituite dai
consolati nei contesti locali della diaspora
etiope per abbattere i costi e facilitare le
pratiche burocratiche per la costruzione della
casa. La valenza sociale dei mahber è
molteplice l’adesione a progetti di
coinvolgimento con la madrepatria si configura
come una pratica di nazionalismo a distanza,
una conferma della lealtà verso l’apparato
istituzionale. Allo stesso tempo, la loro
dimensione locale e comunitaria agisce sui
processi di produzione e riproduzione della
comunità diasporica, rinforzando o creando
legami di solidarietà. Esempio dell’esperienza
di Magda ha lasciato l’Etiopia a metà degli anni
Settanta, si è stabilita a Stoccolma, ottenendo
lo status di rifugiato e la cittadinanza svedese.
Nel 2008 è entrata a far parte di un mahber
promosso dal consolato etiope a Stoccolma,
grazie al quale ha costruito la sua casa in
Etiopia. Casa tradizionale della diaspora:
grande cortile recintato, abitazione principale e
il service, ovvero una costruzione più piccola
per il personale di servizio. Magda trascorre la
sua vita tra Mekelle e Stoccolma, quindi non ha
abbandonato la sua vita in diaspora. Infatti, in
generale, solo poche persone si stabiliscono
definitivamente nelle case della diaspora; la
maggior parte delle case sono disabitate o
abitate da persone locali che non hanno mai
intrapreso percorsi migratori. Nel caso di
Magda poi, la casa patronale è stata affitta a
una famiglia locale, mentre lei viveva con i
parenti e le donne di servizio nel service. Un
altro elemento incongruente è che Magda non
è originaria di Mekelle, ma di Axum. Ha scelto
di costruire la sua casa in un’altra città perché
era l’opzione che metteva d’accordo tutti. Case
della diaspora inquadrate come parte
integrante di un quadro di mobilità più ampio e
facilitano o ostacolano i percorsi di mobilità
sociale e spaziale della diaspora.

Paragrafo 3. La casa come infrastruttura


della mobilità diasporica
La possibilità di costruire determinate
traiettorie di mobilità dipende da circostanze di
tipo infrastrutturale un passaporto, un
dispositivo legislativo, un piano di sviluppo
locale, ecc. Le case della diaspora fanno parte
di una rete infrastrutturale.

Paragrafo 4 Mekelle: contesti d’origine


mobili
Mekelle uno dei maggiori centri urbani
dell’Etiopia in tempi recenti. Ha una rete
infrastrutturale e una centralità economica e
sociale, per questo costituisce un polo
attrattivo per la regione. Sono fattori
importanti nel momento della scelta della
collocazione delle case del ritorno per i soggetti
della diaspora tigrina. La scelta di costruire a
Mekelle va intesa come un investimento di tipo
economico, sociale, simbolico, che assume un
ruolo centrale nei processi di riproduzione dello
spazio diasporico.
Paragrafo 5. Regimi di (im)mobilità e
pratiche di (non) ritorno
Ritorno dalla diaspora fatto sociale
strutturalmente instabile Magda: presenza
intermittente a Mekelle + decisione di affittare
la casa due fattori che evidenziano la
precarietà strutturale del suo rapporto con la
città. Le motivazioni non vanno cercate solo
nella città di Mekelle; le pratiche sociali di non
ritorno infatti risultano essere parte integrante
dei processi sociali, economici e simbolici che
sostengono una cultura delle migrazioni della
diaspora tigrina. La precarietà struttura delle
pratiche di ritorno di Magda quindi non può
essere separata dalla sua esperienza migratoria
e della sua vita sociale a Stoccolma. È stata la
permanenza a Stoccolma ad assicurarle uno
status all’interno dello spazio sociale della sua
rete diasporica.
Magda ha inoltre beneficiato del sistema di
welfare svedese; i requisiti per beneficiare di
questo sistema impongono un’immobilità tanto
sociale quanto spaziale. Il criterio
fondamentale per mantenere i benefici è la
residenza fissa nel contesto di migrazione.

Paragrafo 6. Interconnessioni: la funzione


“locale” delle case della diaspora
L’affitto della casa residenziale può essere
considerato come una fonte di remittenza
indiretta: un guadagno fisso a disposizione
della rete familiare attraverso cui mantenere il
proprio ruolo nel network diasporico. Nel
service però vivono i parenti di Magda, per i
quali la casa rappresenta un sito di enorme
valenza. Per suo fratello ha rappresentato per
esempio un punto di stabilità e ora si configura
come sito di futuri possibili. La casa
rappresenta un nodo di connessione tra spazio
locale, regionale e transnazionale che attiva
relazioni sociali fondamentali.

Paragrafo 7. Conclusioni
Il valore sociale delle case della diaspora non
può essere compreso entro un percorso
unilineare schiacciato sul ritorno. Esse risultano
rivelative di uno spazio di senso centrale nella
contemporaneità: percorsi di mobilità, classe
sociale, dispositivi legislativi, ecc. vanno infatti
a costituire un campo diasporico interconnesso.
Inquadrare le case come infrastrutture della
mobilità diasporica, come parte di un più ampio
spazio strutturalmente interconnesso, aiuta a
comprendere il rapporto tra mobilita e
immobilità di cui si nutre lo scenario globale
contemporaneo.
Capitolo 5 titolo: La «svolta della
mobilità» nelle traiettorie dei migranti
maliani in Spagna: esperienze di
circolazione transnazionale nell’era della
crisi economica, di Annalisa Maitilasso

Paragrafo 1. Introduzione
Lo spazio Schengen rappresenta un territorio
interessato da intense circolazioni di cittadini
europei ma anche di cittadini di Paesi terzi.
Queste persone realizzano movimenti pendolari
dal Sud al Nord Europa, dall’Europa all’Africa,
ma anche dalle periferie urbane alle campagne
sono di solito fenomeni poco studiati. Il
concetto di mobilità è uno strumento
indispensabile per intercettare e capire queste
altre circolazioni numericamente significative.
Esempio dei maliani residenti in Spagna in cui
si vede il loro uso strategico della mobilità la
loro capacità di muoversi agilmente in un
contesto amplio diventa una risorsa cruciale.
Questi circuiti di mobilità inoltre non
compromettono il tessuto di relazioni che lega i
migranti alla società di partenza e di
destinazione.
Circolazione esercizio ricorrente del movimento
da parte dei soggetti
Mobilità categoria più generale che identifica
tre dimensioni del movimento:
1. Mobilità/Circolazione quella degli attori
economici
2. Mobilità/Nomadismo quello delle culture
3. Mobilità/Fluidità quella che caratterizza le
competenze sociali e cognitive specifiche
messe in atto dagli attori

Paragrafo 2. Mobilità, circolazioni, flussi:


concetti che catalizzano nuove sensibilità
La mobilità abbraccia ogni tipo di movimento
includendo esplorazioni, migrazioni, viaggi
turistici, ecc. ed è quindi un elemento
essenziale nella vita di molti e per alcuni,
strumento di sopravvivenza.

Nell’introduzione del volume Mobile Africa:


Changing patterns of movement in Africa and
Beyond, De Brujin et al. cominciano una
riflessione dalla descrizione di un tragitto in
autobus in un paese africano è un microcosmo
sociale di persone, animali e oggetti in
movimento. In Africa la mobilità è un’abitudine
vissuta quotidianamente, è vissuta come uno
stato di normalità. Alcuni autori si sono quindi
concentrati sull’immobilità forzata cui sono
costretti molti migranti africani in cammino
verso l’Europa. In generale, oggi molte ricerche
rileggono i processi migratori alla luce della
prospettiva teorica della mobilità umana. Si
parla di mobility turn la svolta della mobilità. I
fenomeni di mobilità diventano un campo
infinito di esempi per confermare le tesi di una
modernità liquida. Il mobility turn quindi
prosegue un cammino teorico inaugurato dalle
teorie del transnazionalismo, attingendo
elementi dal paradigma della network society. I
teorici del transnazionalismo insistono sull’idea
che le migrazioni siano dei fattori di
connessione e costruzione di relazioni a grande
distanza. In un mondo in cui tutti si muovono,
sono i fenomeni di radicamento e di stanzialità
ad assumere un carattere d’eccezionalità.

Questa prospettiva ha però suscitato diverse


critiche:
• Alcuni autori hanno giudicato negativamente
l’assemblaggio confusionale di fenomeni
dissimili (turismo, terrorismo, viaggi d’affari). Il
rischio è di intaccare la pregnanza e l’efficacia
analitica della nozione di mobilità
• Altri autori hanno insistito sulla necessità di
trattare la mobilità come un potenziale
produttore di diseguaglianze. Thomas Faist
dimostra l’importanza di riarticolare in maniera
non binaria l’analisi delle mobilità invece di
opporre la mobilità di alcuni all’immobilità di
altri bisogna analizzare le condizioni del
movimento e della stasi. Sulla stessa linea
Schiller e Salazar hanno utilizzato la formula
“regimi di mobilità” per rendere conto di come
la circolazione possa comprendere esperienze
diverse a seconda della condizione, estrazione
sociale, ecc. il caso di studio analizzato in
questo capitolo fa riferimento a questo tipo di
approccio

Paragrafo 3. La mobilità dei migranti


maliani all’epoca della crisi economica
I maliani presenti in Spagna sono una
popolazione di dimensioni ridotte che però è
cresciuta esponenzialmente negli ultimi anni.
La migrazione era stata incoraggiata
dall’espansione economica spagnola e dalla
rapida procedura di ottenimento del permesso
di soggiorno per gli stranieri non comunitari.
Però poi con la crisi economica dell’ultimo
decennio, la popolazione migrante è risultata
uno dei gruppi più colpiti dalla recessione. Il
confronto con la questione della crisi ha
introdotto un elemento inatteso, modificando lo
sguardo sulla mobilità. Per molti infatti la
mobilità è diventata una strategia chiave per
reagire alla perdita di stabilità economica,
residenziale, giuridica e familiare. Secondo la
Morokvasic la mobilità è una risorsa economica
cruciale con grande potenziale in un mercato
del lavoro che privilegia la flessibilità. Parla
inoltre di “un’economia parallela fondata sulla
mobilità”.

Paragrafo 4. Hamid: il percorso frastagliato


di un giovane intraprendente
Ragazzo giovane che arrivato a Madrid era
riuscito a trovare lavoro come operario in
un’impresa di ingegneria civile. Prima
dell’Europa, aveva creato in Mali un’attività
commerciale e non aveva problemi di soldi
però percepiva l’emigrazione in Europa come
una maniera di progredire nel suo percorso e
allo stesso tempo come una perdita di libertà e
di qualità della vita. L’azienda in cui lavorava
ha poi iniziato ad effettuare tagli al personale e
per questo Hamid ha iniziato ad avere sempre
meno lavoro inizia a rilanciarsi negli affari
rivendendo auto in Mali però nonostante gli
sforzi si trova a corto di denaro e decide quindi
di partire per la Francia, nonostante preferisse
la Spagna e volesse ritornarvi non appena la
situazione fosse migliorata. In generale,
l’esperienza francese non è stata positiva.
All’interno di una stessa storia personale
intervengono pratiche di mobilità le cui logiche
sono eterogenee. L’assemblaggio di diverse
attività lavorative all’interno di una carriera su
coordinate geografiche elastiche è il frutto del
desiderio di miglioramento ma anche di fattori
esterni che deviano i progetti intrapresi. La
crisi economica è il grande elemento di
discontinuità di questa vicenda come di altre.
Anche altri maliani attribuiscono alla crisi la
responsabilità di una dispersione
transnazionale della comunità immigrata.

Paragrafo 5. Fatima e Sekou, una coppia di


commercianti transnazionali
Una coppia di maliani residenti a Madrid.
Secondo Sekou, in Spagna vi erano più
possibilità di ottenere un permesso di
soggiorno e durante la sua permanenza si è
spostato in varie città prima di riuscire ad
ottenerlo. Arrivato a Madrid ha lavorato in
un’impresa edile per poi scontrarsi con la crisi
economica costretto a spostarsi e a lavorare in
campagna, in nero. La moglie Fatima lo ha poi
raggiunto in Spagna ma Sekou è stato di nuovo
licenziato ed ha quindi deciso di intraprendere
un’attività commerciale, comprando e
vendendo veicoli usati in Mali. Fatima si occupa
invece di rifornire il negozio di sua madre in
Mali, con merci comprate a Madrid,
approfittando dei viaggi del marito. Il caso di
Fatima conferma la partecipazione femminile
all’economia della mobilità.
Paragrafo 6. Il caso di Alì: da una
circolazione nazionale a un pendolarismo
transnazionale
Ragazzo arrivato in Spagna per lavorare
inizialmente in un’azienda agricola e ottenendo
il permesso di soggiorno. Ha trovato poi un
lavoro stabile in un mattatoio, dove però è
stato licenziato dopo alcuni anni e per questo
ha iniziato ad alternare periodi di residenza in
Spagna e altri in Mali dove lavorava
saltuariamente. La città di Bamako
rappresentava per Alì una base da cui partire e
verso cui tornare, dove fermarsi quando c’era
bisogno di risparmiare. La tappa spagnola era
invece una fase interamente dedicata
all’attività professionale. In questo genere di
circuiti i membri della famiglia rimangono in
Mali. Come Alì, anche altri migranti riescono a
consolidare questa routine fatta di spostamenti
regolari e periodici, seppur vivendo in una
situazione di equilibrio fragile e precario.

Paragrafo 7. Riflessioni conclusive: quando


la mobilità marca una svolta biografica
negativa
Emerge il carattere articolato e multipolare
delle storie di circolazione dei migranti, in uno
spazio in cui la coppia contesto d’origine e
d’arrivo è stata sostituita da nuove geometrie
di mobilità. Emerge anche una forte presenza
di condizionamenti esterni e di una dimensione
di agency individuale. Spesso la mobilità viene
a colmare il vuoto lasciato da una
disoccupazione. Il legame tra crisi e mobilità è
la chiave di lettura dominante per rendere
conto del senso dei movimenti e delle nuove
esperienze professionali. Come sosteneva
Guarnizo il transnazionalismo non è una forza
socialmente liberatrice ed emancipatrice. Il
campo transnazionale funziona come un canale
che esporta le disuguaglianze al di là delle
frontiere e legittima un sistema di asimmetrie
di potere.

Capitolo 6 titolo: Migranti ghanesi in


Italia: ri-leggere tempo, traiettorie e
confini di mobilità, di Selenia Marabello

Paragrafo 1. Introduzione
Il termine mobilità mira a cogliere gli effetti dei
processi storico-economici e tecnologico-
infrastrutturali della globalizzazione osservando
come i flussi di persone, idee, oggetti e capitali
contribuiscano a ridisegnare le società e le
differenti rappresentazioni. Sheller e Urry
parlano di un mondo che sembra essere in
movimento. Tutte queste diverse opportunità
inaugurano quello che è stato definito come il
paradigma delle “nuove mobilità”. Ci sono state
però diverse critiche, tra cui una che
riguardava l’idea di movimento assunta, che
assimila sotto la stessa lente le diverse
condizioni e traiettorie migratorie e
normalizzava il movimento in sé, tenendo
inoltre poco in considerazione gli effetti e
l’influenza delle politiche economiche globali Il
dibattito sulla mobilità tende a contrapporre chi
utilizza la mobilità come categoria analitica e
coloro che invece interpretano la mobilità come
fenomeno osservabile in questo saggio si
dimostra che la mobilità come categoria
analitico-descrittiva consente una lettura più
efficace degli spostamenti tra luoghi e confini
statali e non.

Paragrafo 2. Traiettorie di mobilità


Betty è una ragazza ghanese che, arrivata a
Modena grazie al ricongiungimento familiare col
marito, ha iniziato subito a cercare lavoro,
senza successo. Dopo qualche anno, il marito
deve trasferirsi in Germania per lavoro ma lei
rimane in Italia e decide di andare dalla sorella,
vicino a Napoli, dove però non si trova bene.
Vorrebbe quindi andare in Germania dal marito
ma non ci sono ancora le condizioni e va quindi
a Pordenone con Mary, una cugina. Anche in
questo nuovo nucleo familiare si sta valutando
l’opportunità di migrare. Nel racconto di Betty,
i luoghi dove ha vissuto e dove pensa di andare
a vivere tendono a sovrapporsi gli uni agli altri,
le scelte e le traiettorie sono l’effetto di altre
cause. La mobilità tra le città italiane è
descritta come una fase limitata e temporanea.
Cecilia invece descrive una mobilità che
emerge come effetto di una continua
rimodulazione tra mete immaginate, mete
raggiunte e aspirazioni per i figli. Anche lei si
sposta in varie città italiane per raggiungere
marito e parenti. Tutti hanno affrontato varie
esperienze migratorie. Nel suo racconto i
legami familiari e le opportunità di lavoro
s’intrecciano costantemente per descrivere la
mobilità dei giovani che attraversano confini
nazionali e transnazionali nutrendo aspirazioni
di lavoro e studio. Emergono soprattutto le
aspirazioni e le ambizioni dei giovani della
famiglia che prendono forme diverse. Le
traiettorie di mobilità in cui l’Italia si connota
come un Paese di transito per persone
immigrate di recente o come Paese di
ripartenza per i giovani, trova riscontro in
diverse altre storie ascoltate e registrate, che
rendono le narrazioni prodotte vicine a quelle
dei giovani italiani che si muovono tra i confini
nazionali e transnazionali.
Kwame, espulso dal Sudafrica dopo otto anni,
arriva in Italia grazie al fratello maggiore.
All’inizio lavora in una fabbrica di prodotti
alimentari ma poi perde il lavoro. Dopo un
anno, il fratello torna in Ghana e Kwame
rimane in Italia da solo, nonostante un figlio
piccolo in Ghana. Ha fatto ogni tipo di lavoro
saltuario ritrovandosi in Calabria e definendo
l’esperienza al Sud come degradante,
sentendosi trattato da schiavo.

Paragrafo 3. Conclusioni
La mobilità può divenire una categoria d’analisi
efficace se si tiene conto dei vincoli cui le
persone sono sottoposte, delle condizioni
storico-economiche, del potere e anche
dell’accesso o del diniego di questo ad alcuni
confini nazionali. Permette di individuare
tattiche di agency individuale all’interno di
forme strutturali di vincoli e disuguaglianze.
L’osservazione incrociata e simultanea della
mobilità e dei confini o barriere a essa posti
permette di leggere il costruirsi di forme
d’ineguaglianza sociale.

Capitolo 7 titolo: Intimità in movimento:


genealogie domestiche della diaspora
panjabi italiana, di Sara Bonfanti
Paragrafo 1. Introduzione. Un casuale
ritorno al campo, dando conto dei balzi di
mobilità
Praneet è una ragazza indiana, trasferita in
Italia da bambina. Era poi tornata in India per
un matrimonio semi-combinato e ritornata in
seguito in Italia col marito, Binhat. Una forma
di mobilità che all’inizio sembrava una meditata
migrazione transnazionale era diventata un
trasferimento interno al territorio italiano.
Metafora dei balzi di mobilità per questa
migrazione che è diventata mobilità. La cifra
della mobilità sta nel suo essere considerata
come processo spazio-temporale complesso e
multifattoriale e che non può essere compresa
senza l’immobilità, il suo contrario. La tirannia
delle categorizzazioni nella ricerca sulle
migrazioni è spesso inadeguata a rendere la
complessità dolce e aspra delle esperienze
diasporiche vissute.

Paragrafo 2. Note di metodo. Quando


l’etnografia domestica diventa
transnazionale
La ricerca mette in trama la faticosa
simultaneità delle pratiche transnazionali e
dell’integrazione locale di una diaspora indiana
in un Paese dell’Europa mediterranea. È
diventata un’etnografia domestica le case degli
interlocutori, sia in Italia che in India, erano sia
contesto che oggetto d’indagine. Nel condurre
le interviste si è applicata una prospettiva
d’analisi genealogica che permettesse
l’emergere di un certo ‘ritmo dell’intimità’.

Paragrafo 3. Chiavi di lettura. Genere e


parentela in migrazione, “una donna per
tutte le stagioni”?
Il genere e la parentela rappresentano due
cifre ineludibili nell’articolare le rotte
migratorie. In particolare, le diaspore indiane,
hanno storicamente incarnato movimenti
migratori transnazionali mossi da una catena
parentale con una forte prerogativa maschile. Il
Panjab in particolare conserva la nomea di una
terra patriarcale, la cui cultura della migrazione
si è riprodotta attraverso una marcata
differenza di genere. L’analisi proposta si
concentra su quella pratica sociale che l’autrice
definisce mobilitazione dell’intimità,
confrontando le tattiche che due donne (madre
e figlia) migranti panjabi hanno ideato e
realizzato attraverso l’uso competente del
lessico della parentela per avviare itinerari di
mobilità nonostante i vincoli.

Paragrafo 4. Risultati in itinere. Come si


mettono in moto le migrazioni familiari?
Prove di mobilità tra continuità e scarti
generazionali
La relazione madre-figlia è un legame forte di
genealogia femminile che oscilla tra solidarietà
e conflitto intra-generazionale. Nel caso di
Praneet e sua madre, le intenzioni migratorie
erano centrali nei progetti di vita e nelle parole
di entrambe. La motilità (capacità potenziale di
muoversi) corrispondeva alla possibilità di
essere, di stare bene. Il percorso migratorio
della madre, Kanval, contraddice il modello di
ricongiungimento familiare al consorte maschile
primo-migrante, infatti lei era giunta per prima
in Italia lasciando a casa il marito. Questo
trasferimento di Kanval non è bizzarro o raro,
molte altre hanno compiuto lo stesso
spostamento. Però, una volta arrivato il marito
in Italia con il ricongiungimento, aveva dato a
lui l redini della famiglia e del lavoro,
dedicandosi esclusivamente ai figli. Praneet
aveva sempre vissuto con inquietudine il suo
stato di immigrata stabilizzata e si è spesso
lamentata di trovarsi “bloccata” nella
migrazione, immobile nella sua stessa mobilità.
È infatti poi tornata in India per un matrimonio
combinato e ritornata dopo poco in Italia dai
suoi genitori, soddisfacendo la sua voglia di
mobilità. legame tra mobilità e progressione
nel mercato matrimoniale
Paragrafo 5. Un epilogo a tappe. Rivisitare
il matrimonio transnazionale attraverso il
legame madre-figlia
In India il matrimonio è stato storicamente
inteso ed usato come veicolo per facilitare
l’espansione e il consolidamento di reti
transnazionali. L’unione matrimoniale è
l’itinerario privilegiato per iniziare o rinsaldare
una catena migratoria parentale e si apre poi la
strada per altre possibilità. Dal momento che la
migrazione panjabi in Italia è soprattutto una
forma di mobilità famigliare, un regime
disuguale di diritti e di stratificazione civica
interessa diversamente i vari membri della
famiglia.

Capitolo 8 titolo: Soggetti al


potere/soggetti di potere: immobilità
multiscalari bangladesi fra coercizione e
agency

Paragrafo 1. Introduzione
Le persone trattate in questo capitolo
intrecciano nella propria vita sedentarietà e
mobilità e allo stesso praticano diversi percorsi
migratori muovendosi su scale differenti: scala
urbana, regionale, nazionale e globale. Si è
quindi iniziato a studiare insieme diversi tipi di
migrazione, interne e internazionali e i diversi
tipi di mobilità. Prendendo ad esempio tre
persone nate in Bangladesh, vediamo come
siano al contempo cosmopoliti e
profondamento radicati in un luogo, mobili e
sedentari. Un aspetto importante che emerge
dalle vite di queste persone (dette probashi), è
che i loro movimenti e progetti devono
confrontarsi continuamente con dei poteri
esterni come apparati burocratici e forze
economiche. Spesso infatti lo spostamento si
configura come una necessità data dal
peggioramento delle condizioni strutturali e
questo collide con l’immagine positiva della
mobilità creata dai mobility studies. Né la
mobilità né la stasi sono di per sé vantaggiose
o desiderabili, sia lo spostamento che
l’immobilità possono essere frutto di
costrizione.

Paragrafo 2. Dovi
La storia di Dovi mostra come né mobilità né
sedentarietà rappresentino delle scelte
definitive, si possono infatti alternare e
sovrapporre diversi modelli di mobilità e siti di
residenza. La sua storia inizia in Bangladesh,
dove nasce, per poi spostarsi a Mosca dal
marito e in seguito a Roma, dove hanno avuto
due figli. Questa famiglia voleva vivere a Roma
come famiglia italiana, non bangladese. La
morte del marito di Dovi ha però sconvolto la
vita della famiglia e la donna ha dovuto
prendere a carico le esigenze economiche della
famiglia. Sono stati costretti a lasciare la loro
casa e vivere in una situazione di precarietà.
Hanno iniziato quindi a frequentare le zone
frequentate dai bangladesi, cosa che prima non
facevano, e qui Dovi ha conosciuto Mamum,
con il quale ha iniziato una nuova relazione.
Viste le difficoltà, la famiglia si è divisa
lasciando Mamum a Roma e facendo partire
Dovi e figli per il Bangladesh. Qui, Dovi ha
riprodotto lo stile di vita inizialmente seguito a
Roma e ha migliorato le condizioni di vita della
famiglia. La divisione della famiglia su due
continenti ha però da una parte portate
Mamum a essere più mobile ma dall0altra
hanno limitato la mobilità di Dovi, anche se la
donna vede questa fase come un qualcosa di
temporaneo. Al momento sta aspettando una
risposta per potersi trasferire in Canada.
Dovi è passata dall’essere:
• Una migrante interna in Bangladesh
• Una migrante internazionale in Russia
• Una migrante in transito in Italia
• Una migrante di ritorno in Bangladesh
Mantenendo però sempre delle caratteristiche
tipiche dei migranti transnazionali. La
traiettoria di Dovi non è solo modellata dalle
condizioni strutturali ma è piuttosto il prodotto
dell’interazione fra queste condizioni, il suo
capitale mobilità, i suoi progetti e i dolorosi
eventi biografici. Dovi da un significato ai
luoghi, ai quartieri, alle città e alle nazioni in
cui vive o transita.

Paragrafo 3. Nazir
Anche Nazir, come Dovi, interpreta lo spazio in
base alle proprie aspirazioni sociali e alla sua
coscienza di classe. È animato da una ricerca
del miglioramento per sé e per i figli. Nazi e la
sua famiglia non incontrano grandi ostacoli nel
loro percorso di inserimento locale e riattivano
la loro mobilità in virtù di un miglioramento del
proprio status legale. È riuscito ad acquisire un
forte capitale relazionale che ha fatto si che
riuscisse a conseguire la cittadinanza italiana e
allo stesso tempo ha fatto si che la proiettasse
la sua famiglia verso un altro paese europeo. A
Roma abitavano in un quartiere periferico dove
concentravano tutta la loro vita. Uno dei figli
poi si è trasferito a Leicester, seguito dalla
madre e poi dall’altro figlio. Nazir è rimasto
invece a Roma. Quindi vediamo come
l’acquisizione della cittadinanza italiana non
solo abbia favorito l’inserimento locale ma
abbia anche aperto le porte a forme di ulteriori
mobilità sfruttando l’area di libera circolazione
nell’UE. Come Dovi, anche Nazir ha
attraversato varie fasi da migrante. È inoltre
importante notare come nella traiettoria di vita
di Nazir, come in quella di Dovi, il genere
interagisca con la mobilità. Le donne in
particolar modo ricoprono un ruolo cardine, con
un ruolo attivo e mobile.

Paragrafo 4. Maruf
È importante sottolineare come dopo l’avvento
della crisi economica in Italia molti bangladesi
sono consapevoli del fatto che non
incontreranno condizioni vantaggiose in Italia e
quindi rinunciano alla partenza oppure non
tentano di riunire la propria famiglia,
lasciandone parte in Bangladesh. Così ha fatto
Maruf, trasferitosi a Roma, che conduce una
vita caratterizzata da spostamenti
transnazionali verso il Bangladesh e da mobilità
tra Roma e Nord Italia. In Italia non ha lavoro
stabile e giuridicamente è in una situazione
instabile. La relazione che Maruf ha con lo
spazio è diversa da quella di Nazir e Dovi
perché lui non ha famiglia in Italia e quindi non
valuta i quartieri in base alle loro
caratteristiche socioeconomiche, legge infatti lo
scenario urbano con lenti diverse, considerando
i quartieri con più vita notturna, locali, bar,
ecc. Per quanto riguarda invece la scala
nazionale, Maruf classifica le città in base alle
opportunità lavorative che possono offrire.
Egli associa:
• Lo spazio urbano di Roma al divertimento
• La scala nazionale al lavoro
• La dimensione transnazionale agli affetti
Vive nell’impossibilità di riunire questi diversi
aspetti della propria vita. I limiti imposti a
Maruf dai regimi di mobilità si riverberano su
diverse scale e in più lui e la sua famiglia
sperimentano i “costi emozionali del
transnazionalismo”.

Paragrafo 5. Conclusioni
Un tratto comune di tutti e tre gli esempi è il
fatto che la ricchezza della realtà etnografica
comporta una costante sovrapposizione e
interazione non solo fra mobilità e immobilità,
ma anche fra diversi modelli di mobilità e
diverse opzioni migratorie. Collyer e de Haas
criticano l’uso delle etichette e delle categorie
tradizionali e propongono l’espressione
“fragmented migration” per descrivere i
complicati percorsi intrapresi dagli attori
sociali. Un fatto interessante è che i migranti
non si definiscono come tali, ma lo sono definiti
dagli altri, infatti riferendosi a loro stessi
parlano di ‘spostarsi’, ‘trasferirsi’.

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