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Africa e dintorni

La Libia dei lager e lEtiopia aggredita dal fascismo rivisitate in due convegni
di Angelo Del Boca Il 2006 stato un anno particolarmente felice per gli studi sul colonialismo italiano. Dal 5 al 7 ottobre si tenuto a Milano, al Museo di Storia contemporanea, un convegno dal titolo LItalia e lEtiopia. A settantanni dallimpero fascista, al quale hanno partecipato trenta studiosi con relazioni di notevole rilievo. Non meno importante il convegno che si aperto a Tripoli il 12 dicembre dal titolo Italian colonialism and concentration camps in Libya (1929 1943). The state of art in historical research today, che ha visto la presenza di una ventina di storici, italiani e stranieri. A proposito del primo convegno, quello che si tenuto a Milano, dobbiamo fare alcune considerazioni. Per la verit, il convegno ha avuto uno svolgimento eccellente, con un pubblico attento che ha sempre gremito, per tre giorni, la grande sala del Museo. Ma non ha aperto, come speravamo, quel dibattito sul colonialismo italiano, tante volte auspicato e sempre disatteso. Complice anche lo sciopero dei mass-media, nessuno ha parlato del convegno. Un silenzio che la dice lunga sul tema del colonialismo. No, i tempi non sono ancora maturi. Visto anche che un uomo politico come Gianfranco Fini, che ha ricoperto importanti cariche istituzionali, pu tranquillamente pronunciare simili giudizi: Non tutte le pagine del colonialismo sono negative. LEuropa, ritengo, sia stata un elemento di grande civilizzazione e se guardiamo come sono ridotte oggi Etiopia, Somalia e Libia, e a come stavano quando cera lItalia, credo che ci sar una rivalutazione del nostro ruolo in quei paesi. Avevamo invitato Fini al nostro convegno. Peccato lo abbia disertato. Avrebbe colmato le abissali lacune di cui soffre. Di seguito pubblichiamo le mie relazioni, che hanno aperto i convegni di Milano e Tripoli, e la proposta di legge, diniziativa dei Deputati, per listituzione di un Giorno della Memoria in ricordo delle 500 mila vittime africane durante loccupazione coloniale italiana.

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Contro lEtiopia la pi vile, inconsulta, sciagurata aggressione del fascismo 1. Il Convegno che si apre oggi a Milano, dal titolo LItalia e lEtiopia. A settantanni dallimpero fascista, patrocinato dal Comune di Milano e dallIstituto nazionale per la storia del movimento di liberazione in Italia, di una considerevole importanza, e non soltanto per il folto e selezionato gruppo di relatori, ma perch, per la prima volta, non ha causato polemiche, contestazioni, veti e rinvii. Generalmente, quando il tema dei convegni riguarda il colonialismo italiano, i finanziatori si dileguano, diventa difficile reperire una sala che ospiti il dibattito, e non mancano i divieti. Cos, ad esempio, accaduto a Piacenza, nel 1990, quando il locale Istituto storico della Resistenza e dellet contemporanea cerc di organizzare un convegno sul tema Le guerre coloniali del fascismo. Ancora prima che la notizia del convegno fosse resa di dominio pubblico scrivevamo in quei giorni cominciarono a giungerci, da taluni ambienti politici e militari, voci di dissenso e di critica. Il tema del convegno veniva definito troppo delicato. La presenza a Piacenza di storici libici ed etiopici era giudicata inopportuna. Dopo le critiche giunsero gli avvertimenti. Liniziativa dellIstituto storico doveva comunque ottenere il benestare di almeno tre ministeri, quelli degli Esteri, degli Interni e della Difesa. Contemporaneamente alcuni enti privati, che avevano aderito alliniziativa e avevano anche quantificato il loro contributo finanziario, revocarono il loro sostegno con scuse impacciate e poco credibili1. Fummo perci costretti a rinunciare al progetto del convegno e utilizzammo i saggi gi commissionati a 24 storici italiani e stranieri per realizzare un volume edito da Laterza. Sei anni dopo tentavamo di nuovo di imbastire un convegno, questa volta con il titolo Adua. Le ragioni di una sconfitta cadendo proprio nel 1996 il centenario della disastrosa battaglia. Questa volta riuscimmo a trovare denaro per finanziare il convegno, la sala che lospitasse, ma quando chiedemmo lalto patrocinio della Presidenza della Repubblica questo onore ci fu negato. Del resto, sulla ricorrenza, nel nostro paese si faceva il pi completo ed inspiegabile silenzio: Le televisioni di Stato hanno completamente ignorato lanniversario, cos come si sono astenuti dal rievocare la battaglia il Corriere della Sera e La Stampa, due quotidiani che generalmente sono molto attenti a scadenze del genere. Il silenzio su Adua stato cos ben orchestrato che, essendo da lungo tempo cessata da diffusione
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delle veline del Minculpop, si pu pensare soltanto ad unepidemia di amnesie oppure di autocensure2. Ci siamo attardati su questi due episodi, per sottolineare la scarsa fortuna che gli studi sul colonialismo hanno avuto in Italia in questo dopoguerra. Dapprincipio, a creare ostacoli, ad impedire laccesso agli archivi storici, a sottrarre dagli stessi parte della documentazione, era la lobby colonialista, ben radicata negli organismi dello Stato. Poi furono gli stessi governi della Repubblica ad operare perch del periodo coloniale si tramandasse una visione edulcorata o addirittura elogiativa. Basti ricordare che soltanto nel 1996, a sessantanni dagli avvenimenti, il ministro della Difesa, generale Corcione, ammetteva, nel corso di una seduta parlamentare, che lItalia fascista aveva sistematicamente impiegato le armi chimiche durante la campagna di conquista dellEtiopia. Tuttavia va detto, per la verit, che non si pu attribuire interamente alla lobby colonialista e alle istituzioni governative la colpa di una par-

Questa fotografia dellimperatore Hail Selassi mentre aziona un cannoncino antiaereo Oerlikon durante unincursione aerea italiana sulla citt di Dessi, scelta dal Negus come suo quartier generale, ben raffigura la lotta del popolo etiopico contro laggressione fascista. Nel tentativo di bloccare le armate italiane, gli etiopici, male armati, subirono perdite gravissime: oltre 300 mila morti.

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tenza tardiva delle ricerche sul colonialismo e dello stato attuale, non esaltante, degli studi. Il colonialismo italiano, come argomento di indagine, non ha avuto assolutamente fortuna nei primi decenni del dopoguerra. Se si fa eccezione per La prima guerra dAfrica di Roberto Battaglia, che del 1958, bisogna arrivare allinizio degli anni settanta per leggere qualche libro scientificamente valido. Ed soltanto negli ultimi ventanni - nonostante il persistere dei divieti, le sottrazioni di documenti, i mancati incoraggiamenti da parte di chi avrebbe dovuto promuovere una revisione critica del nostro operato in Africa - che gli studi sul colonialismo hanno fatto qualche sostanzioso progresso. 2. Ben diversa la situazione degli studi coloniali nei paesi europei dal passato imperialista. Con la Francia, ad esempio, non si possono neppure fare confronti. Basterebbe citare il convegno di Lione, del giugno 2006, dal titolo Pour une histoire critique et citoyenne. Le cas de lhistoire franco-algerienne, che ha visto la presenza di oltre cento relatori. Basterebbe citare le ricerche a tutto campo compiute da Gilbert Meynier, che hanno prodotto due straordinari ed esaustivi volumi sulle vicende del Fronte di liberazione nazionale algerino3. Un altro paese che non ha timore di confrontarsi con il proprio passato coloniale il Belgio. Nel 2005, in occasione dei lavori di modernizzazione del Muse Royale de lAfrique centrale, stato pubblicato un volume di grosso formato, a cura di Jean-Luc Vellut, che contiene una quarantina di saggi e ha per titolo La mmoire du Congo. Le temps colonial 4. Impegnandosi a superare le barriere della mistificazione e della demistificazione, Jean-Luc Vellut scrive nellintroduzione: Gli autori della presente opera non hanno paura di deludere gli aficionados delle drammatizzazioni semplicistiche. La loro ambizione punta piuttosto a mostrarsi pi attenti che mai alla variet degli attori e alla loro parte di autonomia, quale che sia la loro origine, quale che sia il loro colore. Non si tratter dunque di una storia cromatizzata, dove i colonizzati non appaiono che come delle ombre ora vittime di un sistema coerente, ora, al contrario, beneficiari riconoscenti di unopera civilizzatrice5. Va anche ricordato che largomento del colonialismo italiano trova sempre pi cultori allestero, in modo particolare negli Stati Uniti, Germania, Svizzera, Francia, Gran Bretagna. Negli Stati Uniti, ad esempio, apparsa nel 2003 unantologia di scritti a cura di Patrizia Palombo, dal titolo
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A Place in the Sun 6. Due anni dopo veniva pubblicata una seconda antologia, a cura di Ruth Ben-Ghiat e Mia Fuller, intitolata Italian Colonialism 7. Vanno inoltre ricordati almeno due altri libri apparsi negli USA: The Building of an Empire 8 di Haile M.Larebo, professore di storia alla Clemson University, South Carolina, e Legacy of Bitterness. Ethiopia and Fascist Italy, 1945-1941 9, dellitalo-americano Alberto Sbacchi, gi professore di storia contemporanea allAtlantic Union College, nel Massachusetts. In Svizzera, da alcuni anni, riconosciuto come il pi attento e prolifico studioso del colonialismo italiano Aram Mattioli, gi professore di storia allUniversit di Lucerna. Il suo ultimo contributo si intitola Experimentierfeld der Gewalt 10, che possiamo tradurre con Laboratorio della violenza. La tesi principale di Mattioli, infatti, che la guerra italo-etiopica del 1935-36 stata la prova generale della seconda guerra mondiale, per luso sistematico del terrore e delle armi chimiche e per limpiego su scala industriale delle forze armate. Anche Giulia Brogini Knzi sottolinea, nel suo volume Italien und der Abessinienkrieg 1935-36 11 il carattere assolutamente nuovo dellimpresa africana voluta da Mussolini, tanto da porsi la domanda: Kolonialkrieg oder Totalerkrieg? Guerra coloniale oppure guerra totale? Il terzo studioso svizzero che vogliamo ricordare Rainer Baudendistel, autore di una straordinaria ricerca fatta negli archivi della Croce Rossa Internazionale. Con Between bombs and good intentions 12, Baudendistel ricostruisce la storia del conflitto italo-etiopico del 1935-36 rivelando che la Croce Rossa Internazionale non si schier in difesa dellEtiopia, cio del paese aggredito, ma mantenne un atteggiamento ambiguo tanto da favorire, in qualche occasione, il regime fascista. Anche in Germania non sono mancati, negli ultimi anni, studiosi che hanno manifestato un vivo interesse per le nostre vicende coloniali. Stefan Altekamp, ad esempio, con il suo Rckker nach Africa. Italienische Kolonialarchaologie in Libyen 1911-1943 13, ci offre un completo panorama delle ricerche compiute in Libia dagli archeologi italiani a partire dal 1911, lanno della parziale conquista della colonia mediterranea, al 1943, che segna la fine della dominazione italiana sulla quarta sponda. Gabriele Schneider, docente alla Freien Universitt Berlin, si occupa invece, con Mussolini in Africa 14, dellesercizio della politica fascista nelle colonie africane, con particolare attenzione ai fenomeni del razzismo e dellantisemitismo. Per ci che concerne la Francia, ci limiteremo a segnalare il convegno, tenuto a Caen nel 2003, dal titolo LAfrique coloniale et post-coloniale dans
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la culture, la littrature et la societ italiennes 15, e la raccolta di articoli, a cura di Marie-Hlne Caspar, scritti da Dino Buzzati nellanno trascorso in Etiopia (aprile 1939-aprile 1940) come corrispondente del Corriere della Sera. Come precisa la curatrice dellantologia, linteresse risiede soprattutto nel materiale che non assomiglia a nessun altro perch evoca un periodo a lungo occultato per motivi politici: quello della colonizzazione16. 3. Gli ultimi anni sono stati comunque, anche per il nostro paese, anni fortunati per gli studi sul colonialismo. Proseguendo nella sua lodevole iniziativa editoriale, lIstituto per lAfrica e lOriente ha pubblicato un terzo volume della collana Fonti e studi per la storia della Libia, ossia Tripoli bel suol damore di Salvatore Bono17; e un quarto volume della Serie Italia Libia18, in applicazione del comunicato congiunto italo-libico del 4 luglio 1998, che impegna lISIAO e il Libyan Studies Centre a condurre accurate ricerche nei luoghi di detenzione dei deportati libici durante il periodo coloniale. Di notevole interesse anche liniziativa dellUniversit degli Studi di Pavia di pubblicare la collana Quaderni del Centro Studi Popoli Extraeuropei, che intende raccogliere materiali relativi alle aree afroasiatiche, utili tanto alla ricerca quanto alla didattica. Sono stati pubblicati sinora tre volumi: La politica indigena italiana in Libia 19 di Giambattista Biasutti; Africa e Vicino Oriente nella stampa periodica italiana (1990-91) di Marco Mozzati20; e Le relazioni fra Arabia Saudita e Stati Uniti (1979-2004) 21 di Fabio Lucchini. Intendiamo inoltre segnalare alcuni libri apparsi negli ultimi due anni, di autori italiani, sia perch colmano evidenti lacune sia perch affrontano temi con una diversa ed originale angolazione. Cominciamo con Una guerra per limpero, unaccurata ricerca con la quale Nicola Labanca affronta per la prima volta, in maniera sistematica, la sterminata memorialistica dei combattenti della guerra dEtiopia22. Seguono, di notevole valenza: Africa: la storia ritrovata. Dalle prime forme politiche alle indipendenze nazionali di Giampaolo Calchi Novati e Pierluigi Valsecchi23; La Colonia Eritrea. La prima amministrazione coloniale italiana (1880-1912) di Isabella Rosoni24, dellUniversit di Macerata; LEuropa e gli altri. Il diritto coloniale tra l800 e il 900, unopera collettiva in due volumi di complessive 1400 pagine25. Segnaliamo infine Memorie di una principessa etiope di Martha Nasib26. Questa libro , scritto in italiano, da una nobile che ha cono164

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sciuto le umiliazioni e le privazioni di un lungo confino nellItalia fascista, non soltanto ha il grande pregio di introdurci in un mondo del tutto sconosciuto a noi occidentali, quello complesso dellaristocrazia etiopica degli anni venti e trenta, in bilico fra le suggestive eredit del feudalesimo e le forti aspirazioni alla modernit, ma ci restituisce anche, intatta e mirabile, la figura del padre dellautrice, il degiac Nasib Zamanuel, il quale per sette mesi blocc lavanzata nellOgaden dellarmata del generale Graziani e mor in esilio con i polmoni corrosi dalliprite che aveva inalato durante il conflitto. Nel corso del 2006 stato anche possibile accedere ad un archivio di capitale importanza per la storia delle relazioni italo-libiche, di cui, addirittura, non si conosceva lesistenza. Si tratta dellarchivio di propriet dellavvocato libico Anwar Fekini, che comprende, fra i documenti di maggior rilevanza, le Memorie del nonno, Mohamed Fekini, uno degli oppositori tripolitani pi coerenti e tenaci alloccupazione italiana della Libia; circa cinquecento allegati (soprattutto lettere) alle Memorie, che coprono il periodo 1911-1950; e la raccolta di poesie dellambasciatore Ali Noureddine Fekini, padre dellavvocato Anwar, dal titolo Ricordi della resistenza e dellesilio. Linsieme dei documenti (pi di millecinquecento pagine) costituisce un unicum che, per taluni aspetti, ribalta la visione che noi occidentali abbiamo del popolo libico e di quel periodo storico. Da un primo utilizzo di questo archivio, ci stato possibile scrivere un volume dal titolo A un passo dalla forca. Il libro, corredato da una cinquantina di fotografie inedite, apparir nel giugno del 2007 in quattro versioni, italiana, francese, inglese e araba27. Il 2006 stato anche lanno della pubblicazione, sul quotidiano la Repubblica, di alcuni articoli su una delle pi bestiali stragi compiute in Etiopia dalle truppe del generale Ugo Cavallero. Gli articoli, oltre a suscitare sgomento, provocavano commenti e proposte di notevole rilievo. Il giurista Antonio Cassese, ad esempio, suggeriva di seguire lesempio della Germania, che ha reagito al nazismo scavando a fondo nel proprio passato recente, facendolo conoscere, attraverso un ferratissimo dibattito fra storici (Historikerstreit) alle pi giovani generazioni, erigendo infine monumenti e musei alla memoria. Egli suggeriva inoltre di costituire una commissione di storici che esaminasse ci che accaduto in Etiopia (e nelle altre colonie italiane, aggiungiamo noi) e preparasse una documentazione ed unanalisi rigorose28. In seguito alla proposta di Antonio Cassese, chiedevamo ospitalit allo stesso giornale per avanzare un ulteriore suggerimento. Quello di
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istituire una Giornata della memoria per i 500 mila africani che lItalia crispina, giolittiana e fascista hanno sacrificato nel corso delle loro sciagurate campagne di conquista. Delliniziativa veniva messo al corrente anche il ministro degli Affari Esteri Massimo DAlema29. Prima che si chiuda lanno si terr a Tripoli, per iniziativa del Libyan Studies Centre e di alcuni storici italiani, un seminario sui campi di concentramento costruiti e gestiti dagli italiani nella regione desertica della Sirtica, dal 1930 al 1934, con un bilancio di 40 mila morti. 4. Dopo questa lunga carrellata informativa, ho il piacere e lonore di aprire i lavori di questo convegno che concerne la pi vile, inconsulta, sciagurata aggressione ordita dal regime fascista. Non soltanto lEtiopia era uno Stato sovrano, membro della Societ delle Nazioni, ma con questo Paese Mussolini aveva da poco sottoscritto un Patto ventennale di amicizia. Soltanto il Giappone di Hirohito era capace di fare altrettanto. Sulla campagna di conquista dellEtiopia e sulleffimero impero dellAfrica Orientale sono stati ormai scritti decine di volumi. Ma restano ancora da approfondire molti episodi, alcuni dati statistici, alcuni aspetti non marginali dellavventura fascista. Ad esempio, sappiamo, con esattezza quanti quintali di iprite e di fosgene sono stati lanciati durante la guerra dei sette mesi e nei cinque anni della controguerriglia, ma non sappiamo quasi nulla delleffettivo danno arrecato ai militari e ai civili etiopici. Non disponiamo di una sola cifra attendibile, cos come non siamo in grado di stabilire, neppure lontanamente, il bilancio definitivo delle perdite etiopiche. Uno degli argomenti ancora tutto da trattare la resistenza etiopica alla dominazione italiana e i metodi e lepisodica della repressione fascista. Eppure allUfficio Storico dello Stato Maggiore dellEsercito ci sono tonnellate di documenti sullargomento, a cominciare dagli utilissimi diari di battaglione. E allUniversit di Addis Abeba sono depositate centinaia di tesi di laurea e di dottorato sullattivit degli arbegnuoc, che coprono tutte le regioni del vasto impero di Hail Selassi. Potremmo continuare con altri suggerimenti. Ma noi siamo certi che anche da questi tre giorni di intenso lavoro avremo modo di arricchire le nostre conoscenze. Confidiamo, inoltre, che questo convegno possa aprire quel dibattito sul colonialismo italiano, tante volte auspicato e sempre disatteso30. I tempi ci sembrano pi che maturi. A settanta anni dagli avvenimenti non dovrebbero esserci pi ostacoli, n esitazioni, n timori.
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Note al testo
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Le guerre coloniali del fascismo, a cura di Angelo Del Boca, Laterza, Roma-Bari 1991, p. VI. Adua. Le ragioni di una sconfitta, a cura di A. Del Boca, Laterza, Roma-Bari 1997, p. 6. Gilbert Meynier, Histoire intrieure du FLN, 1954-1962, Fayard, Paris 2002; Mohammed Harbi, Gilbert Meynier, Le FLN. Documents et histoire, 1954-1962, Fayard, Paris 2004. La Mmoire du Congo. Le temps colonial, a cura di Jean-Luc Vellut, Editions Snoeck, Gand 2005. Ivi, p. 21. Patrizia Palumbo, A Place in the Sun, University of California Press, Berkeley 2003. Ruth Ben-Ghiat, Mia Fuller, Italian Colonialism, Palgrave, Macmillan, New York 2005. Haile M.Larebo, The Building of an Empire. Italian Land Policy and Practice in Ethiopia, 1935-1941, Clarendon Press Oxford, New York 1994. Alberto Sbacchi, Legacy of Bitterness, Ethiopia and Fascist Italy, 1935-1941, The Red Sea Press, Lawrenceville 1997. Aram Mattioli, Experimentierfeld der Gewalt. Der Abessinienkrieg und seine internationale Bedeutung 1935-1941, Orell Fssli Verlag, Zurich 2005. Giulia Brogini Knzi, Italien und der Abessinienkrieg 1935-36, Schningh, Paderbon 2006. Rainer Baudendistel, Between bombs and good intentions. The International Commettee of the Red Cross (ICRC) and the Italo-Ethiopian war, 1935-1936, Berghahn Books, Oxford 2006. Stefan Altekamp, Rckker nach Afrika. Italienische Kolonialarchaologie in Libyen, 1911-1943, Bohlau Verlag, Kln 2000. Gabriele Schneider, Mussolini in Afrika. Die faschistische Rassenpolitik in den italienischen Kolonien, 1936-1941, SH-Verlag, Kln 2000. Mariella Colin, Enzo Rosario Laforgia, LAfrique coloniale et postcoloniale dans le culture, la littrature et la societ italiennes, Presses Universitaires de Caen, 2003. Marie-Hlne Caspar, LAfrica di Buzzati. Libia: 1933, Etiopia: 1940, Universit Paris X, Nanterre 1997, p. 1. Salvatore Bono, Tripoli bel suo damore. Testimonianze sulla guerra italo-libica, ISIAO, Roma 2005. Salaheddin Hasan Sury, Giampaolo Malgeri, Gli esiliati libici nel periodo coloniale, 19111916, Raccolta documentaria, ISIAO, Roma 2005. Giambattista Biasutti, La politica indigena italiana in Libia. Dalloccupazione al termine del governatorato di Italo Balbo (1911-1940), Centro Studi Popoli Extraeuropei Cesare Bonacossa, Universit degli Studi di Pavia, 2004. Africa e Vicino Oriente nella stampa periodica italiana, 1990-1991, a cura di Marco Mozzati, Centro Studi Popoli Extraeuropei Cesare Bonacossa, Universit degli Studi di Pavia, 2004. Fabio Lucchini, Le relazioni fra Arabia Saudita e Stati Uniti (1979-2004), Centro Studi Popoli Extraeuropei Cesare Bonacossa, Universit degli Studi di Pavia, 2005. Nicola Labanca, Una guerra per limpero. Memorie della campagna dEtiopia, 1935-36, Il Mulino, Bologna 2005. Giampaolo Calchi Novati, Pierluigi Valsecchi, Africa: la storia ritrovata. Dalle prime for-

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me politiche alle indipendenze nazionali, Carocci, Roma 2006.


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Isabella Rosoni, La Colonia Eritrea. La prima amministrazione coloniale italiana (1880-1912) Edizioni Universit di Macerata, 2006 LEuropa e gli altri. Il diritto coloniale tra 800 e 900, a cura di Pietro Costa, Giuffr, Milano 2005. Martha Nasib, Memorie di una principessa etiope, Neri Pozza, Vicenza 2006. Angelo Del Boca, A un passo dalla forca, Baldini Castoldi Dalai, Milano 2007. la Repubblica, 23 maggio 2006. Oltre che sul quotidiano la Repubblica, il nostro appello stato pubblicato su Lettera ai compagni (n. 3, maggio-giugno 2006); Patria indipendente (n. 6, giugno 2006); Nigrizia (nn. 7/8, luglio-agosto 2006). Si veda: A. Del Boca, Il mancato dibattito sul colonialismo, in LAfrica nella coscienza degli italiani, Laterza, Roma-Bari 1992, pp. 111-127.

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Odio e disprezzo come genesi del lager libico 1. difficile trovare, nella pur lunga storia del colonialismo italiano, pagine pi buie, pi crudeli, pi cariche di odio di quelle che riguardano la genesi e la creazione dei campi di concentramento nel sud-bengasino e nella Sirtica. Il 20 giugno 1930, dopo che Graziani aveva inutilmente dato la caccia ad Omar al-Mukhtr nella zona Fayed, pur impiegando, come i suoi predecessori, forze dieci volte superiori, il maresciallo Badoglio inviava una lunga lettera a Graziani nella quale, dopo aver espresso lopinione che la controguerriglia tradizionale non avrebbe mai dato alcun frutto e che era necessario adottare nuovi metodi, anche se severissimi e catastrofici per i libici, soggiungeva: Bisogna anzitutto creare un distacco territoriale, largo e ben preciso, tra formazioni ribelli e popolazione sottomessa. Non mi nascondo la portata e la gravit di questo provvedimento, che vorr dire la rovina della popolazione cosiddetta sottomessa. Ma ormai la via ci stata tracciata e noi dobbiamo perseguirla sino alla fine anche se dovesse perire tutta la popolazione della Cirenaica1. Dinanzi a questordine crudele che, in effetti, avrebbe causato la morte di almeno 40 mila libici, Graziani non mostrava n dubbi n esitazioni, e precisava a sua volta: I capi e le popolazioni refrattarie e sorde ad ogni voce di persuasione e di richiamo ricevevano cos il trattamento che si erano meritato. Il rigore estremo, senza remore n tregua, cadeva inesorabile su di esse2. A partire dal giugno 1930, mentre aveva inizio la deportazione delle popolazioni dalla Cirenaica, tra Badoglio e Graziani si stabiliva una sorta di gara a chi si mostrava pi inflessibile, pi brutale, pi feroce. Una gara che aveva, a Roma, due implacabili istigatori: il ministro delle Colonie De Bono e il capo del Governo Mussolini. Il 7 luglio Badoglio riferiva a De Bono: Gli Auaghir sono tutti riuniti fra Giardina, Soluch e Ghemines. Ho loro parlato assai severamente ieri mattina. Domani sar ultimato il concentramento dei Braasa, Dorsa e Abid fra Tolmeta e Tocra. Marted si inizier lo spostamento degli Abeidat. []. La raccolta dellorzo sullaltipiano sar terminata con la fine dei movimenti di concentramento, cosicch nessun indigeno dovr pi trovarsi sullaltipiano, e chiunque sar incontrato sar passato per le armi come ribelle3. Nella stessa giornata del 7 luglio, Badoglio emanava il foglio dordine n. 151 riservato ai comandanti militari, nel quale precisava, con lo
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stesso linguaggio brutale, che lultima campagna contro Omar al-Mukhtr andava condotta con questi nuovi metodi: Bisogna assolutamente bandire il sistema arabo della sparatoria da lontano. Perci limitare allo stretto indispensabile luso del fuoco, e cercare la soluzione radicale nellattacco allarma bianca, e in un inseguimento che non deve avere limiti, inseguimento che deve essere feroce, inesorabile. Deve essere una vera caccia al ribelle nella quale sar redditizio ogni atto della pi sfrenata audacia4. Graziani, dal canto suo, annunciava dopo un supposto tradimento degli Abeidat: Il tribunale speciale, portatosi, subito dopo il fatto, ad Ain Gazala, istruiva il processo nellinterno stesso del campo ed i principali capi responsabili scontarono il fio della loro colpa col capestro5. Dove Badoglio e Graziani attingessero tanto odio e tanta determinazione a stroncare la ribellione in Cirenaica non facile spiegare. Nella riconquista del Fezzan si erano mostrati meno inflessibili, meno crudeli, al punto da consentire a migliaia di mugiahidin di sconfinare in Algeria e da risparmiare la vita ai fratelli Madhi e Ahmed es-Sunni che pure avevano dato filo da torcere per ventanni. Probabilmente non perdonavano ad Omar al-Mukhtr di aver rotto la tregua del 29 giugno 1929 a Sidi Rahuma, che gli italiani, in malafede, avevano considerato come una resa senza condizioni, il che li portava a considerare il vecchio Omar non soltanto un ribelle ma anche un traditore. La nostra attenzione e la nostra piet si sono rivolte alle vittime della macchina infernale delluniverso concentrazionario, trascurando, anche per carenza di documentazione, quelle dei trasferimenti forzati. In realt, anche per queste operazioni, che coinvolsero almeno 100 mila persone, non fu risparmiata la ferocia, come risulta da una relazione del commissario regionale di Bengasi, Egidi. La cabila in questione era quella degli Auaghir, di stanza fra Tocra e Bersis, che avrebbe dovuto raggiungere Ghemines con una marcia di duecento chilometri. Sin dai primi giorni, i pi anziani e i pi deboli tendevano a rallentare il passo e a staccarsi dalla colonna. Ma gli ordini impartiti agli ascari eritrei del II battaglione erano severissimi. Si legge nella relazione: Non furono ammessi ritardi durante le tappe. Chi indugiava, veniva immediatamente passato per le armi. Un provvedimento cos draconiano fu preso per necessit di cose, restie come erano le popolazioni ad abbandonare le loro terre e i loro beni. Anche il bestiame che, per le condizioni fisiche, non era in grado di proseguire la marcia, veniva immediatamente abbattuto dai gregari a cavallo del nucleo irre170

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golare di polizia, che avevano il compito di proteggerlo e di custodirlo6. Ancora pi lungo e tragico il viaggio dei 20 mila Abeidat e Marmarici che, in pieno inverno, furono costretti a compiere una marcia di 1.100 chilometri dalla Marmarica alla Sirtica. Accusati di complottare con Omar al-Mukhtr, per punizione Graziani ordinava il loro trasferimento a Marsa Brega e sceglieva per la marcia, che sarebbe durata due mesi, la stagione pi inclemente. Questo energico provvedimento scriveva, risentito, Imerio da Castellana allestero fece versare torrenti dinchiostro e fu condannato come barbaro7. Nessuno, che si sappia, ha mai tenuto la macabra contabilit dei morti lungo linfinito cammino da Tobruk a Marsa Brega. 2. Largomento dei campi di concentramento libici non stato a sufficienza indagato e presenta ancora oggi, a settantacinque anni dalla loro creazione, vistose lacune, che confidiamo vengano colmate nel corso di questo convegno. Se sappiamo, ad esempio, da alcune tremende testimonianze raccolte da Eric Salerno, come vivevano e morivano gli internati nei lager, non conosciamo invece il numero esatto dei reclusi e dei decessi (e la loro tipologia). Cos come ignoriamo totalmente il numero dei libici deceduti durante le marce di trasferimento, in gran parte abbattuti a fucilate e abbandonati sulle piste. Manca anche una precisa ricostruzione del campo di concentramento, poich le mediocri fotografie di cui disponiamo sono avare di dettagli, quando non sono soltanto immagini truccate per la propaganda. Cos come non sappiamo, con precisione, a chi fosse affidata la custodia dei campi, e per quali motivi, ogni giorno, venissero eseguite tante impiccagioni e fucilazioni, di cui nessuno, per evidenti motivi, ha tenuto la contabilit. Sarebbe anche interessante reperire le relazioni dei pochi medici che hanno operato nei lager, e conoscere latteggiamento dei funzionari coloniali dinanzi alla furia distruttrice di Graziani. Allodierno stato delle ricerche, siamo al corrente che soltanto il commissario Giuseppe Daodiace cerc di opporsi agli ordini di Graziani. Che io non li approvassi scriveva al sottosegretario agli Esteri Brusasca il 7 gennaio 1951 risulta dalle tante e ripetute mie proteste, scritte ed orali, per il fatto che non si facevano mai prigionieri in occasione di scontri fra le nostre truppe e i ribelli e si fucilavano anche donne e bambini8. Un altro argomento che, a mio avviso, merita di essere approfondito riguarda la chiusura dei campi nel 1933 e la destinazione dei sopravvissuti.
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Ritornarono alle loro terre sul Gebel o rimasero nel sud-bengasino o nella Sirtica? Persero labitudine al nomadismo ed acquistarono i gusti e le esigenze delle popolazioni sedentarie come auspicava Graziani?9, o faticarono a reinserirsi in una societ che per tre anni, mediamente, li aveva visti colpiti da una crudele segregazione? Per finire, mi permetto di mettere al corrente i partecipanti di questo convegno su di una lodevole iniziativa presa da Marco Boggero, del Department of Political Science della Yale University. Avvicinandosi due date molto significative per la celebrazione della memoria di Omar al-Mukhtr i 75 anni dal giorno dellimpiccagione del patriota e i 150 dalla sua nascita Marco Boggero sta lavorando ad un volume collettivo che si propone di fare il punto sulla fortuna postuma del grande guerrigliero, in tutti i campi, da quello politico a quello religioso, a quello letterario. Chi interessato a questo progetto, pu chiedere lindirizzo di Boggero al collega Nicola Labanca. 3. Prodotto tipico dellodio e del disprezzo per un avversario che si vuole annientare, il campo di concentramento ideato e costruito dagli italiani in Libia , con la forca, lo strumento repressivo pi crudele e malvagio che la mente umana abbia potuto escogitare. Oggi ne parliamo per delinearne tutti i macabri aspetti, ma anche nella speranza che simili strumenti siano banditi per sempre. Pur rendendomi conto che i CPT, i Centri di Permanenza Temporanea, istituiti in Libia negli ultimi anni, nellambito della lotta allimmigrazione clandestina, con il consenso e il finanziamento delle autorit italiane, non si possono configurare come autentici campi di concentramento, essi rientrano tuttavia in quel novero di strumenti odiosi di repressione che credevamo estinti. Per una succinta descrizione dei CPT, riferisco alcuni giudizi di persone che di recente hanno potuto visitare questi campi. Ha scritto il giornalista Jas Gavronski il 22 maggio 2005 dopo una visita al campo di Eli Fellah, alla periferia di Tripoli: Eli Fellah straripa di inumanit, di brutture da terzo mondo. Come straripano, dalle inferriate strette che danno sul cortile, i resti di cibo buttati verso gli stranieri assieme alle coperte unte, agli stracci, a immondizia varia. il modo in cui i rinchiusi ci dicono come sono trattati, mentre noi passiamo vicini ai loro stanzoni a cercare la dignit umana richiesta dallOccidente e scopriamo che qui non sanno che cosa sia10.
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Qualche mese dopo il prefetto Mario Mori, direttore del Sisde, visitava il CPT di Sebha e pi tardi, durante unaudizione del Comitato parlamentare di controllo sui servizi segreti, riferiva testualmente: Il centro prevede di ospitare cento persone ma ce ne sono 650, una ammassata sullaltra, senza il rispetto di alcuna norma igienica e in condizioni terribili11. Sono peggiori delle carceri dichiarava a sua volta il senatore dei DS Nuccio Novene Un paese civile non dovrebbe permettere che si arrivi a simili forme di degrado12. Poich la responsabilit dellideazione e della costruzione di questi campi va certamente divisa tra i governi di Roma e di Tripoli, pur riconoscendo che le finalit di questa operazione quella di cercare di risolvere un problema assai grave e della massima urgenza, siamo tuttavia nettamente contrari a forme repressive che purtroppo ricordano loggetto del nostro convegno. E vorremmo che da questo convegno, che ospita storici di chiara fama, uscisse una precisa, inequivocabile condanna dei CPT e un invito a ricercare strumenti pi umani per risolvere i problemi della convivenza. Aggiungere sofferenza a sofferenza non fa che acuire il contrasto fra il sud e il nord del pianeta, con tutte le conseguenze che sappiamo.

Note al testo
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ACS, Carte Graziani, b. 1, f. 2, sottof. 2. Rodolfo Graziani, Cirenaica pacificata, Mondatori, Milano 1932, p. 104. ASMAI, Libia, pos. 150/21, f. 90. Tel 146, riservatissimo personale. Ivi, pos. 150/22, f. 98. Rodolfo Graziani, Cirenaica pacificata cit., pag. 165. ASMAI, vol. V, Inventari e supplementi, pacco n. 5. Commissariato regionale di Bengasi, Relazione sugli accampamenti, 28 luglio 1932, p. 4. Imerio da Castellanza, Orizzonti dOltremare, Berruti, Torino 1940, p. 134. Archivio Brusasca, b. 44, f. 236. ASMAI, Libia, pos. 150/22, f. 98. Graziani a De Bono, 2 maggio 1931. Oggetto: Situazione delle popolazioni nomadi trasferite, p. 9. La Stampa, 29 maggio 2005. la Repubblica, 2 marzo 2006. Ivi, 12 maggio 2005.

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Proposta di legge diniziativa dei deputati Istituzione del Giorno della Memoria in ricordo delle vittime africane durante loccupazione coloniale italiana La presente proposta di legge intende raccogliere lappello rivolto dallo storico Angelo Del Boca, il maggiore studioso italiano sulle imprese coloniali in Africa, di istituire il Giorno della Memoria in ricordo degli oltre 500 mila africani morti nel corso delloccupazione italiana delle colonie. Gli studi dello storico Del Boca, hanno contribuito in questi anni a smentire lidea degli italiani brava gente, colonizzatori buoni, andati nei paesi africani per costruire ospedali, scuole e infrastrutture ed aiutare cos le popolazioni locali. In realt, soprattutto nel corso del periodo fascista, le atrocit commesse dagli italiani, sia militari che civili, sono state numerose ed ora fortunatamente ampiamente documentate. Risulta dunque difficile continuare a sostenere le tesi recentemente esposte dallOn. Fini, che Non tutte le pagine del colonialismo italiano sono negative. LEuropa ritengo sia stata un elemento di grande civilizzazione e se guardiamo a come sono ridotte oggi Etiopia, Somalia e Libia e a come stavano quando cera lItalia credo che ci sar una rivalutazione del nostro ruolo in quei paesi. In realt il comportamento del governo italiano, sia durante i governi Giolitti e Crispi, ma soprattutto durante il periodo fascista, non si differenzi molto da quello delle altre potenze coloniali. Studi approfonditi hanno documentato, ad esempio, il largo uso di aggressivi chimici contro le popolazioni locali. Utilizzati sporadicamente in Libia, i gas tossici vennero impiegati in maniera massiccia soprattutto in Etiopia negli anni 1935-36. In tutto, durante il conflitto italo-etiopico del 1935-36, furono sganciate su obiettivi militari e civili 1.597 bombe a gas scrive Del Boca - . In prevalenza del tipo C500.T. per un totale di 317 tonnellate. Altre 524 bombe a gas furono lanciate, tra il 1936 e il 1939, durante le operazioni contro i patrioti etiopici. Se si aggiunge infine che durante la battaglia dellEndert furono sparati dalle batterie di cannoni di Badoglio 1.367 proiettili caricati ad arsine, non si lontani dal ritenere che in Etiopia siano stati impiegati non meno di 500 tonnellate di aggressivi chimici. Ma luso dei gas chimici non fu lunica atrocit del governo fascista, ampia documentazione pervenuta, infatti, circa listituzio174

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ne di veri e propri campi di sterminio dove il regime di Mussolini deport migliaia di civili locali. Il generale Graziani ne predispose nella Sirtica, dove fece trasferire pi di 100 mila civili, ed in Somalia, a Danane a sud di Mogadiscio. Un terzo campo venne stabilito in Eritrea, nellisola di Nocra, dove le condizioni di vita erano particolarmente intollerabili per i detenuti, costretti ai lavori forzati nelle cave di pietra, in cui a volte le temperature raggiungevano anche i 50 gradi. Non meno cruenta la politica repressiva di cui lintera storia delle conquiste coloniali costellata. LEtiopia venne particolarmente colpita dalla violenza dei militari e dei civili italiani, ma anche Libia, Eritrea e Somalia non furono risparmiate. Recentemente il quotidiano la Repubblica ha pubblicato due intere pagine a cura del giornalista Paolo Rumiz riportando la ricerca svolta dallo storico Matteo Dominioni circa il ritrovamento di unimmensa caverna, nei dintorni di Ankober, dove trovarono rifugio migliaia di uomini, donne e bambini per sfuggire ai rastrellamenti degli italiani. Furono migliaia gli etiopici uccisi in quella occasione, i cui resti sono stati recentemente riportati alla luce. Non meno cruenta la strage di Addis Abeba del 19-21 febbraio 1937, che per questo abbiamo individuato come giornata simbolo in memoria delle migliaia di civili etiopici, eritrei, libici e somali morti nel corso delle conquiste coloniali. Durante una cerimonia preparata nella capitale etiopica venne organizzato un attentato contro il vicer Graziani, che rimase ferito con pi di 250 schegge nel corpo: il bilancio fu di 7 morti e cinquanta feriti. Immediatamente scatta la rappresaglia degli italiani: i militari aprono il fuoco colpendo indiscriminatamente i presenti, di cui centinaia rimangono a terra uccisi, mentre si scatena la furia dei civili italiani che danno fuoco alle case uccidendo in maniera indiscriminata da 3 a 20 mila persone, a seconda delle stime. Nello stesso tempo migliaia di civili furono rastrellati dai carabinieri italiani ed infine ammassati nei campi di concentramento. Qualche mese dopo, la strage dei monaci di Debr Libans, il pi importante centro conventuale dellintera Etiopia, dove vivono, negli oltre tremila tucul, monaci e laici, accusati di complicit nellattentato a Graziani del 19 febbraio. Con lassenso dello stesso Mussolini, scatta la rappresaglia con oltre duemila morti. Questa dunque la storia delloccupazione coloniale italiana in Africa, questa la sofferenza cui gli italiani brava gente hanno sottoposte le popolazioni occupate.
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Su questo importante pezzo della nostra storia ancora non stata avviata una efficace riflessione collettiva. Certamente gli studi condotti, tra mille difficolt, in questi anni hanno contribuito ad illuminare con una luce diversa la presenza degli italiani in Africa, ma ancora molto cammino deve essere compiuto sul piano della ricerca, della documentazione e della diffusione di una coscienza collettiva diversa. La memoria e la verit sulla politica italiana in Africa nel periodo coloniale stenta a farsi strada nel nostro paese: il famoso film Il Leone del deserto che racconta la storia del leader della resistenza libica Omar al-Mukhtr, impiccato da Graziani, per anni stato censurato nel nostro paese. Mentre linchiesta televisiva realizzata da Ken Kirby dal titolo Fascist Legacy che la Rai ha acquistato dalla BBC, ormai da tempo, non mai andata in onda. Una reticenza questa nei confronti di una pagina, certo non lusinghiera, della nostra storia che non pu essere rimossa e negata dalla coscienza collettiva. Per questo abbiamo ritenuto di presentare questa proposta: per contribuire ad avviare un processo di riflessione collettiva sui crimini perpetrati dal regime fascista ai danni delle popolazioni africane. La giornata della memoria, istituita proprio nel giorno della strage del 19 febbraio ad Addis Abeba seguita allattentato a Graziani, (art. 1) vuole essere loccasione perch si avvii un processo di studio e di riflessione che coinvolga soprattutto le giovani generazioni nelle scuole (art. 3). Accanto a questo riteniamo importante che il Governo si faccia direttamente carico di avviare un percorso di approfondimento, studio, ricerca e documentazione sulla presenza italiana in Africa, coinvolgendo i maggiori studiosi, ricercatori e storici sul tema da mettere a disposizione del paese (art. 2). Di questo sentiamo lurgenza, perch lo studio di una pagina oscura della nostra storia possa contribuire a far s che simili eventi non possano pi accadere. Art. 1 (Istituzione del Giorno della Memoria in favore delle vittime africane durante il periodo delloccupazione coloniale italiana) 1. La Repubblica italiana riconosce il giorno 19 febbraio, data delleccidio della popolazione civile di Addis Abeba compiuto dallesercito italiano, Giorno della Memoria, al fine di ricordare gli oltre 500 mila africani uccisi durante il periodo di occupazione coloniale in Eritrea, Etiopia, Libia e Somalia.
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2. La giornata di cui al comma 1 istituita al fine di ricordare gli eccidi, le campagne militari, le leggi razziali, limpiego di aggressivi chimici, la deportazione e la prigionia e in generale la politica di occupazione cui i governi Crispi, Giolitti e Mussolini hanno sottoposto le popolazioni di paesi africani dominati dallItalia. Art. 2 (Istituzione di una commissione di studio) 1. Il Presidente del Consiglio con proprio decreto istituisce una Commissione di storici ed esperti con il compito di esaminare le vicende che hanno caratterizzato il periodo delloccupazione italiana dei territori di Eritrea, Etiopia, Libia e Somalia. Art. 3 (Promozione della giornata della Memoria) 1. In occasione del Giorno della Memoria, di cui allart. 1, sono organizzate cerimonie, iniziative, incontri e momenti di riflessione, in modo particolare nelle scuole di ogni ordine e grado, sul periodo di occupazione coloniale militare italiano nei paesi di Etiopia, Eritrea, Libia e Somalia in ricordo dei 500 mila africani vittime del regime di occupazione, in modo da conservare la memoria di un tragico ed oscuro periodo della storia del nostro paese, affinch simili eventi non possano pi accadere. Art. 4 (Entrata in vigore) 1. La presente proposta di legge entra in vigore il giorno successivo della pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale.

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