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CAPITOLO 1 - Apice di una civiltà e “oscuri timori” (Emilio Gentile)

In Europa
Se ci chiediamo se proprio l'anno 1900 sia stato percepito come importante per i contemporanei, la risposta è positiva.
Se ascoltiamo gli uomini dell'epoca, loro sono molto colpiti da questo passaggio di secolo.
1900, anno dell'esposizione universale di Parigi: una grande fiera in cui l'universo Mondo si autorappresenta, negli
elementi di progresso, grandezza che hanno raggiunto le varie nazioni. Questo del celebrare la propria modernità
attraverso un'esposizione universale è un'invenzione ottocentesca: la prima importante esposizione è quella di Londra,
del 1851, patria della rivoluzione industriale.
Parigi, 1889: per il centenario della rivoluzione francese, la Francia celebra sé stessa, come nazione che ha consegnato
al mondo le parole d'ordine della libertà, dell'uguaglianza e della fraternità, ma anche come nazione che si è
industrializzata (seconda rivoluzione industriale, del ferro e dell'acciaio).
Questo fa percepire una visione dell'800 come un secolo delle meraviglie, in cui sono state fatte scoperte senza
precedenti, in cui il mondo è diventato più piccolo (modernizzazione dei trasporti, e delle comunicazioni, come il
telegrafo).
L'esposizione del 1900 ha come simbolo l'elettricità: l'elettricità ha un grosso impatto sulle città, ne cambia il volto.
Consente una vita che non è scandita dal sorgere e dal calare del sole.
L'elettricità è un'energia che si ammanta di moltissima retorica: luce contro le tenebre, scienza contro l'ignoranza,
progresso contro la miseria.
Il ministro Millerand inaugura l'esposizione, ricordando come la scienza medica abbia sconfitto il male, il trionfo della
vita sulla morte.
La coscienza europea può vantarsi di aver esteso i propri confini: la costruzione degli imperi coloniali è avvenuta negli
anni '80 dell'800. E mai nessuna civiltà precedente aveva conquistato tutto il mondo come allora, attraverso un'ideologia
di espansione e di esportazione del progresso, con un modello evolutivo (civiltà superiore che scalza quella inferiore).
Ottimismo, entusiasmo, percezione che la luce si sia affermata sul buio, l'apogeo di una civiltà, si accompagna a diversi
elementi di inquietudine: la parola chiave che circola nel dibattito scientifico è quella di “degenerazione” possibile.
Questa parola chiave viene introdotta dal sociologo ebreo Nordau, riferendosi alla civiltà urbana: lui diceva che la
velocità, la grande mole di informazioni che circola, la frenesia che caratterizza la società contemporanea, insidia la
salute, si può regredire.
C'è un'inquietudine profonda, filosofica, sulla condizione esistenziale del tempo.
E' l'anno in cui viene anche pubblicato “L'interpretazione dei sogni” di Freud, dando una visione nuova a quella
materialistica, inventando l'inconscio, che non è qualcosa di materiale. Perchè è importante questa scoperta? Perchè
propone un paradigma umano completamente nuovo, rispetto alla psicologia evolutiva. La psicologia ottocentesca parte
da un presupposto: l'umanità ripercorre le diverse tappe evolutive della specie, al culmine del quale c'è la civiltà
europea, l'acquisizione di una piena razionalità. La malattia psichiatrica è la perdita della razionalità. Da questa
razionalità sono esclusi gli altri popoli, e le donne. Freud va oltre, in modo sconvolgente, perchè mostra come l'uomo
razionale, che si considera padrone del mondo e di sé stesso, convive con una potenza irrazionale ed incosciente, un
livello inconscio del proprio io che lo domina, che lo condiziona, in tutto quello che fa. Un elemento di fragilità e di
demolizione di un paradigma evoluzionistico pieno di certezze razionali.
Anche gli artisti esprimono in vario modo la perdita di certezze definitorie e di canoni consolidati: ad esempio il
cubismo di Picasso, con la sua frammentazione della realtà.

In Italia
Il '900 si apre con l'assassinio di Umberto I di Savoia, il 29 Luglio, da un anarchico, Gaetano Bresci. In quel momento
l'Italia si trova ad un bivio: verso una svolta autoritaria, antiparlamentare, oppure, come vorrà Vittorio Emanuele III,
verso una difesa delle istituzioni parlamentari.
Perchè questo bivio: l'unificazione italiana, che porta ad un regime parlamentare, sviluppa un forte accentramento
amministrativo per fare in modo che l'Italia regga come stato nazionale.
La scelta amministrativa è un modello fortemente accentrato, dov'è centrale la figura del prefetto, rappresentante del
Ministero degli Interni sui territori.
Altro aspetto è la politica liberista, soppiantata poi dal protezionismo a causa della crisi agraria in tutta Europa.
I primi governi post-unitari investono fortemente nel campo agrario, fino al 1875, quando al potere va la sinistra liberale
(ex repubblicani, garibaldini, mazziniani) e comincia qui la nazionalizzazione, con un investimento maggiore
nell'istruzione.
Importante anche l'allargamento del suffragio universale (dal precedente 2% all'8%), con l'obbligo di saper leggere e
scrivere per votare.
Il governo Crispi (1887-1896) riforma i programmi scolastici (studio di storia e geografia), avvia una statuomania,
rilancia l'Italia in un'avventura coloniale (Etiopia) con l'esercito italiano sconfitto per ben due volte.
Negli anni di Crispi ci sono anche forti conflitti sociali: nelle campagne, nelle fabbriche, tra i portuali. Nel 1892 viene
fondato il Partito Socialista, con organizzazioni sindacali e di lavoratori, che in Sicilia vogliono una riforma dei patti
agrari, tra grandi proprietari terrieri e braccianti, così anche nelle fabbriche.
Qual è la linea politica dello Stato in questo contesto? Di intervenire con l'esercito per impedire gli scioperi, le camere
del lavoro vengono sciolte, in maniera repressiva e violenta. Momento emblematico: nel 1898 a Milano il generale Bava
Beccaris ordina di far fuoco sui manifestanti, causando 450 feriti ed 80 morti.
Gaetano Bresci vendica queste morti uccidendo il re Umberto I. Ecco perchè ci ritroviamo al bivio di cui abbiamo
parlato prima.
Dalla morte di Umberto I, si avvia una stagione politica nuova, con presidenti del Consiglio Zanardelli prima e Giolitti
dopo, avviando la cosìdetta età giolittiana, che durerà fino alla Prima Guerra Mondiale.
Giolitti è un politico estremamente pragmatico (“le cose sono come sono, e non come dovrebbero essere”), è del tutto
anti-ideologico, e riguardo i conflitti che si trova davanti, la sua idea è di un'integrazione delle masse nello Stato, un
allargamento delle basi della cittadinanza, e non di una repressione.
Nei conflitti di lavoro, lo Stato deve avere un ruolo di arbitrato, neutrale. Davanti ad una manifestazione, che non turbi
l'ordine pubblico, lo Stato deve rimanere neutrale. Le prime leggi di welfare state, rispetto alle condizioni sociali della
popolazione, risalgono a questa fase politica (legislazione sociale). Legislazione sociale che riguarda il lavoro delle
donne e dei bambini.
Di questo periodo anche l'assicurazione per infortunio, che consente la sopravvivenza agli operai che non possono
lavorare in seguito ad un infortunio. Avviene anche la municipalizzazione di una serie di servizi pubblici: trasporti, gas,
elettricità. Un investimento dello Stato in tutto quello che può essere definito servizi pubblici, sostegno all'industria
siderurgia, ferrovie nazionalizzate.
Giolitti porta all'interno dell'area del consenso governativo anche i socialisti, senza però farli entrare nella compagine
governativa, ma piuttosto dall'accordo parlamentare.
E' in questo quadro che si svolge l'impresa di Libia, conseguentemente alla crisi dell'impero ottomano. A favore sono i
gruppi finanziari, come sbocco per gli investimenti; l'associazione nazionalista italiana, nata nel 1910; tutta la stampa
liberale, dopo l'umiliazione in Etiopia.
Sono anni di grande stabilità, un decennio di stabilità, e malgrado tutto, le ragioni di malcontento e le critiche che
vengono rivolte a Giolitti sono moltissime.
E' molto odiato a destra, proprio per la mancanza di idealità e di ambizione, rispetto alla nazione italiana, per chi trova
noiosa la vita parlamentare nel mantenere un equilibrio politico, rispetto alle ambizioni nazionaliste italiane. Critiche
vengono anche da sinistra: a partire da Benito Mussolini, in quel momento a sinistra.
In questi anni c'è una disaffezione nei confronti della democrazia: chi ne vuole fare una migliore (tipo Salvemini, che
definisce Giolitti “ministro della malavita”); ma anche dal versante nazionalistico e giovanile, circola una cultura
vitalistica, di energia, di lotta, che la democrazia giolittiana sembra impedire, “se ci fosse una guerra, metterebbe fine a
questa putrefazione”.
Il periodo giolittiano è anche un periodo delle riviste, riviste fatte da giovani intellettuali, accomunate da uno scontro
verso l'Italia così com'è. Un conflitto generazionale verso Giolitti e quella politica così poco eroica e così poco energica.

CAPITOLO 2 – “Cinque modi di andare in guerra” (Mario Isnenghi)

Siamo nel 1914, con l'attentato a Sarajevo, in cui l'erede al trono dell'impero austroungarico viene ucciso da un
irrendentista serbo. La Serbia era uno stato satellite dell'Austroungheria, che dall'inizio del 900 sogna di tornare ad un
regno serbo, che riunisca tutti gli slavi.
Dall'attentato di Sarajevo, si innesca una reazione a catena: l'Austria dà un ultimatum alla Serbia, la Russia assicura
sostegno alla Serbia, mobilitando le proprie forze, la Germania si sente minacciata e dà un ultimatum ed attacca. La
Francia, davanti alla mobilitazione tedesca, si sente minacciata, e la Germania decide di invadere il Belgio, per arrivare
in Francia. Due giorni dopo, interviene anche la Gran Bretagna.
L'opinione pubblica aderisce con un certo entusiasmo a questa guerra, sia dalla Francia, sia dalla Germania, sia dalla
Gran Bretagna.
La situazione italiana è più complicata: alleata della Germania e dell'Austroungheria, non interviene subito in guerra,
ma 10 mesi più tardi. Il governo fa riferimento al fatto che l'alleanza in questione è un'alleanza di tipo difensivo, quindi
l'Italia non è tenuta ad intervenire. Ma perchè non interviene? Prima di tutto, non è sicuro che gli austriaci, alla fine
della guerra, mollino Trento e Trieste. Ancora più decisivo è che l'esercito italiano non è affatto pronto, dopo aver speso
energie per la guerra in Libia contro l'impero ottomano. In più entrare in guerra a fianco della Germania, rischia di
esporre l'Italia ad una guerra marina contro la Gran Bretagna, la più potente in quel campo.
Ma piano piano si affaccia l'idea di combattere CONTRO la Germania e l'Austroungheria, con diverse motivazioni: per
alcuni bisogna completare il Risorgimento, riprendendosi Trento e Trieste, sotto l'Austroungheria. Altri ritengono che
sia un dovere democratico combattere contro i grandi imperi. C'è poi un interventismo rivoluzionario (Mussolini), che
ritiene sia importante intervenire per modificare il sistema putrido attuale. La posizione neutrale è quella dei liberali di
Giolitti, invece una parte dei liberali pensa che, nella situazione di guerra, si potrà attuare una politica interna anche più
forte, a differenza di quella di compromesso di Giolitti. Infine ci sono i nazionalisti che hanno un approccio
imperialista, molto aggressivo.
L'Italia quindi decide di trattare con Francia, Gran Bretagna e Russia. Il sacro egoismo “Valutiamo da che parte stare, in
base a ciò che ne può venire per il paese”. All'Italia, nel trattato, vengono assicurate Trento e Trieste, parte della
Dalmazia, altro. Questo trattato viene fatto dal governo, in piena autonomia, ma lo Statuto Albertino vuole che, in
queste circostanze, sia il parlamento a votare e ad esprimersi. Siccome la maggioranza del parlamento è neutrale,
Salandra (il PdC) fa il patto di Londra in segreto.
In questo contesto, si collocano le grandi manifestazioni interventiste, tra le quali il discorso di D'Annunzio a Quarto.
Su questo sfondo si consuma una pressione fortissima sul Parlamento che lo porta a votare a favore dell'entrata in
guerra, e dando i pieni poteri al governo. Votano tutti a favore, tranne i socialisti, che utilizzano una forma ambigua del
“nè aderire nè sabotare”. Non aderire perchè si andrebbe contro l'internazionalismo socialista,
Gli intellettuali sono quelli che hanno pensato per primi l'Italia, per prima la nazione (Foscolo con Dei Sepolcri, De
Santis con Storia della letteratura italiana), gli intellettuali quindi sono una chiave di accesso anche a questa fase storica,
tantopiù che nel movimento interventista hanno un ruolo importante. Sopratutto sono importanti i giovani intellettuali
interventisti, con una voglia di energia che guarda alla guerra come una rottura dall'ordine statico, grigio, e privo di
idealità.
Citando un romanzo del giovane siciliano Borgese, attivo nella propaganda di guerra, scrive:”Ciò che era
appassionante, era la guerra soltanto per sé considerata”. Lo stesso futurista Marinetti dice:”Si trattava di verniciare i
propri istinti sanguinari con nuovi ideali”.
Perchè cinque modi per andare alla guerra? Perchè sono cinque i punti di vista interventisti, molto differenti tra loro:
1. Interventismo democratico: Cesare Battisti, un trentino socialista, che si fa eleggere nel parlamento austriaco. Nel
momento in cui scoppia la guerra, Battisti avverte che bisogna cogliere l'attimo fuggente, per raggiungere l'obiettivo
massimo: la liberazione di Trento dal potere austriaco. Il compimento del Risorgimento che diventa possibile, contro
l'imperialismo.
2. Interventismo futurista: Filippo Tommaso Marinetti, pubblicatore del manifesto futurista, manifesto di uno slancio
per tutti quelli a cui non piace l'Italia com'è. Questo futuro verso cui proiettarsi, prevede la guerra. Trento e Trieste sono
solo pretesti, ma è la guerra in sé che si vuole. Marinetti stesso aveva partecipato alla guerra di Libia, restando incantato
dell'aviazione militare e dalla figura dell'eroe individualista del pilota. Nel 1913, presentandosi alle elezioni, le prime a
suffragio universale maschile, lancia un programma politico futurista: tutto per la GUERRA, la guerra sola igiene del
mondo, e per una grandezza dell'Italia. Ai futuristi si uniscono anche i nazionalisti, che parlano male dell'imperialismo
austriaco, ma a differenza di Battisti, ne parlano male solo perchè non è l'imperialismo italiano.
3. Interventismo rivoluzionario: Benito Mussolini, sì alla guerra ma con uno sbocco rivoluzionario, per far saltare tutti
gli assetti del paese. Uscire dalla stasi degli equilibri: essere neutralisti gli sembra un atteggiamento corrispondente ad
altri interessi, e non a quelli socialisti e rivoluzionari. La neutralità è un modo per lasciare le cose come stanno.
Lo scopo di Mussolini (attraverso il suo “Il Popolo d'Italia”) è di rieducare ai nuovi tempi della guerra il campo del
partito socialista.
4. Interventismo nazionalpatriottico: Gabriele D'Annunzio, durante l'inaugurazione del monumento dei Mille a Quarto,
fa il primo di una serie di discorsi che recuperano tutto il canone nazionalpatriottico precedente, ma si spinge anche
oltre con uno “squadrismo ante litteram”:“Miei compagni ammirabili, ogni buon cittadino è oggi un soldato della libertà
italiana”. Perchè squadrismo ante litteram? Per l'esaltazione della violenza come mezzo risolutore e purificatore, in
nome di un patriottismo nel quale si è dentro o fuori.
5. Interventismo esistenziale: Renato Serra, l'attimo fuggente che bisogna cogliere, non per realizzare una rivoluzione,
non per realizzare un nuovo Risorgimento, ma per un'esigenza intima di non mancare l'appuntamento con il destino.
Non partecipando,”invecchieremo falliti”; il marciare farà sparire le differenze tra gli uomini. Insomma il tutto si basa
su istinti gregari. Questo è già fascismo: sciogliere la propria individualità in una marcia comune, con il piacere
esistenziale di sentirsi parte di quest'insieme.

CAPITOLO 3 – “Il delitto Matteotti” (Giovanni Sabbatucci)

Dopo il primo dopoguerra, l'economia europea è disastrata: l'industria pesante è stata convertita in industria bellica, e va
riconvertita, c'è un'inflazione galoppante (a danno sopratutto dei ceti medio/bassi), il deficit statale è altissimo.
Le strutture politiche italiane sono particolarmente deboli, e non riescono a gestire le forze socialiste e cattoliche.
Il partito socialista nel 1920 ha circa 200.000 iscritti: è il primo partito di massa che è controllato dai massimalisti, che
non accettano una politica di riforme liberali, ma vorrebbero instaurare una repubblica socialista, anche se aspettano la
rivoluzione, piuttosto che farla. Non sostengono il governo, ma allo stesso tempo non si muovono. Ma all'interno del
partito c'è una generazione più giovane, che vorrebbe muoversi diversamente, formato a Napoli da Bordiga (sul modello
bolscevico), o di Gramsci a Torino, che guarda alle assemblee dei soviet operai nelle fabbriche, come organizzazione
politica al posto dello Stato. Questi condannano i massimalisti, oltre alla guerra appena finita. Le forze borghesi in
Parlamento sono terrorizzate dal rischio di una dittatura proletaria da parte di questi movimenti, sul modello russo.
Nel 1919 nasce anche il movimento popolare, di Don Luigi Sturzo, all'insegna dell'identità cattolica, e Mussolini fonda i
Fasci di combattimento, con un atteggiamento aggressivo e violento (ad esempio dando fuoco alla sede dell'Avanti).
Nella conferenza di Versailles l'Italia si dimostra debole, cade il governo Orlando, e nasce il mito della vittoria mutilata:
la classe dirigente è incapace di difendere gli interessi nazionali. Questo fornisce un elemento di delegittimazione molto
forte dell'intero sistema parlamentare, mentre l'inflazione è almeno al 30%, ed iniziano ad esserci tumulti: consideriamo
che nel solo 1919 ci sono oltre 1000 scioperi operai, che aumentano ulteriormente nel 1920.
In questo clima avvengono le elezioni del Novembre 1919, con una rappresentanza proporzionale, assegnando i seggi in
base alla percentuale di voti: i socialisti ottengono il 32% dei voti, un terzo, ed il partito popolare italiano ottiene 100
deputati. Quindi oltre la metà del Parlamento è formato da homines novi, cambia tutta la rappresentanza.
Viene chiamato Giolitti, sperano che riuscirà a domare l'opposizione socialista, a far entrare i socialisti in un'eventuale
coalizione, attraverso un compromesso parlamentare. Giolitti avvia il risanamento del bilancio, ma il contesto è troppo
diverso per riuscire a ridimensionare le spinte rivoluzionarie dei socialisti. Nella seconda metà del 1920 c'è il climax
delle agitazioni operaie: la FIOM ha occupato le fabbriche del Nord con le bandiere rosse, controllate quindi dai
consigli di fabbrica. Una volta raggiunta un successo, dal punto di vista sindacale, come passare poi all'attacco allo
Stato? Grazie alla mediazione di Giolitti, viene raggiunto un accordo sindacale, ma questo porta ad una delusione
politica, sgonfiando le proteste. Nel Gennaio 1921 il partito si spacca: una minoranza forma il PCI.
Le leghe sindacali, in tutto questo, mediavano con i proprietari terrieri per i diritti dei braccianti, controllando il mercato
del lavoro. Per questo i proprietari terrieri trovano nei Fasci di combattimento un appoggio contro queste leghe, queste
squadre armate che picchiano, sequestrano, purgano, umiliano gli aderenti ai socialisti, con il bene tacito dello Stato.
In un clima di intimidazione e di violenze, il PSI ottiene comunque buoni voti, e Mussolini inzia ad acquistare il
controllo del fascismo agrario: si presenta sulla scena politica come l'unico che può tenere a bada i Fasci, li usa come
minaccia e come mezzo di pressione, e dal '21 al '22 le violenze aumentano.
Fino ad Ottobre 1922, in cui avviene la marcia su Roma, e Mussolini viene nominato capo del governo da parte di
Vittorio Emanuele III. Lo stesso Giolitti considera la violenza dei Fasci come positivo per contenere i socialisti. C'è una
sottovalutazione da parte di tutti: non si capisce quanto questo incarico a Mussolini sia un movimento di svolta.
Quando Mussolini diventa capo del governo, il Parlamento, nonostante non sia la maggioranza fascista, gli dà la fiducia.
Da qui Mussolini comincia ad aggiungere, alle istituzioni esistenti, nuovi organismi che sono espressione del partito
fascista. Viene istituito, ad esempio, il Gran Consiglio del fascismo, che fa da raccordo tra partito e governo per
delineare la linea politica. Non solo, nel Gennaio del '23, le squadracce fasciste diventano milizia volontaria per la
sicurezza nazionale, cioè un partito si dota di un proprio esercito. Questo elemento è già un indizio della direzione in cui
andrà lo Stato, e passa anche questo inosservato, nonostante le violenze continuino.
Gli scioperi calano nel corso del '23, facendo un effetto positivo sull'opinione pubblica, anche sui liberali non fascisti.
Il Governo restituisce piena libertà all'iniziativa privata, ci sono centinaia di licenziamenti, fa una politica liberista, che
aumenta la produzione e ristabilizza il bilancio statale. In questa fase il fascismo ottiene parole di apprezzamento anche
da parte di Pio XI, in quanto il partito fascista ha evitato la rivoluzione socialista. Il ministro dell'istruzione, Giovanni
Gentile, include la religione nell'insegnamento delle scuole, e sopratutto introduce un esame di stato alla fine di ogni
ciclo. Perchè l'esame di stato è così importante? Permette alle scuole private, tutte cattoliche, di svilupparsi, con esami
con regole comuni alle scuole pubbliche, mettendole sullo stesso piano.
Cambia anche la legge elettorale, la legge Acerbo, con il sistema maggioritario, che permette al partito col 25% di voti
di ottenere il 75% dei seggi: è questo un punto di non ritorno. Nelle elezioni del '24 una lista, sotto il simbolo del
fascio, ottiene il 66% dei voti, quindi il 75% dei seggi. Sono queste elezioni che vengono accompagnate da
intimidazioni e violenze, e Giacomo Matteotti fa un discorso in Parlamento durissimo contro il fascismo. Matteotti che
non era leader del partito socialista, ma leader del partito socialista unitario, nato da una scissione del partito socialista.
Il delitto Matteotti avviene nel Giugno 1924: attorno alla dinamica del rapimento e dell'atteggiamento dei rapinatori, c'è
stata una forte discussione, sul ruolo di mandante di Mussolini. Chi siano gli esecutori materiali, arrestati pochi giorni
dopo il rapimento, è interessante: sono degli scagnozzi, che fanno il lavoro sporco, ex combattenti, alcuni nel corpo
degli Arditi, il gruppo dell'elite della prima guerra mondiale. Costituiscono una sorta di polizia segreta del partito
fascista, che spia i movimenti dei socialisti.
La dinamica dell'arresto dei responsabili e delle reazioni che questo suscita, ci mostra che esiste ancora una struttura
dello Stato che fa il suo lavoro: questi scagnozzi vengono notati dai portieri di un altro stabile vicino a quello di
Matteotti, che pensano possano essere dei ladri, e segnalano l'auto alla polizia.
Ma è stato Mussolini il mandante? Secondo Sabattucci l'omicidio non è organizzato: gli assassini si fanno riconoscere
già giorni prima, non uccidono sul posto la vittima, non hanno un piano per sbarazzarsi del cadavere, non hanno una
copertura preventiva da parte della polizia, nonostante sia sotto il controllo di un fascista, De Bono. Più probabilmente
doveva essere una spedizione punitiva finita male.
I partiti socialisti, comunisti, popolari, repubblicani, approvano un ordine del giorno che non andranno avanti i lavori
parlamentari finchè non verrà chiarita la situazione. Mussolini fa un discorso in cui dichiara di non essere responsabile
di questo delitto, e questo discorso viene preso incredibilmente per buono. Addirittura Benedetto Croce ne prende le
parti.
Mentre Mussolini per tamponare la crisi taglia qualche testa, le opposizioni chiedono le dimissioni del governo e lo
scioglimento delle milizie fasciste, ma il Parlamento è chiuso e non utilizzano i movimenti di piazza, quindi finisce tutto
nel vuoto. Perchè non utilizzano i movimenti di piazza? Dopo il biennio rosso, si dava per certo che ci sarebbe stata una
repressione ancora più dura di allora, rischiando addirittura di rafforzare le forze governative.
Il nodo della questione sta nel fatto che la quasi totalità della classe politica non avesse capito la natura del fascismo: il
fascismo era una novità, e questa ambizione totalitaria del partito fascista, non viene capita. Mentre c'è questa crisi del
delitto Matteotti, Mussolini si ritrova a scontrarsi anche con i Fasci di combattimento, che vedono Mussolini in questo
caso troppo poco reattivo. Dopo diverse settimane, con il ritrovamento del corpo di Matteotti, a Novembre la Camera
riprende i lavori, gli Aventiniani (socialisti) non tornano, e la maggioranza tiene, nonostante alcuni segni di
inquietudine. Mussolini riesce a tenere i mal di pancia interni dicendo che intende fare una nuova legge di riforma
elettorale, e passare ai collegi uninominali, per la gioia dei liberali: questo è in realtà un diversivo. Intanto Mussolini
riceve visita di una delegazione di una decina di consoli della milizia volontaria per la sicurezza nazionale: lo
minacciano esplicitamente, invitandolo a smettere di cercare la mediazione, e di passare all'offensiva, gettando la
maschera della legalità. Mussolini si presenta alla Camera, nel Gennaio del '25, con uno dei discorsi più famosi:”Il
fascismo sono io, ed al cospetto del popolo, io assumo la responsabilità politica, morale, storica, di quanto è avvenuto”.
Questo discorso assume il significato di gettare la maschera, di ammettere di essere in qualche modo responsabile del
delitto Matteotti, e questo intervento chiude la crisi nata dal delitto Matteotti. Da qui iniziano una serie di riforme, in
pochi mesi, dello Stato che inaugura il regime vero e proprio, attraverso le leggi fascistissime.

Il regime si consolida
Dopo la crisi Matteotti, si avvia una vera trasformazione del regime: una legge costituzionale, alla fine del '25, rafforza i
poteri del capo del governo e sarà responsabile soltanto davanti al re. Nel Gennaio del '26 il governo si dota della
facoltà di emanare decreti legge che diventeranno immediatamente esecutivi senza che il parlamento li approvi, ma non
solo. Mussolini si dota anche del potere di controllare l'agenda parlamentare: la stessa definisce la scaletta delle priorità
dell'attività legislativa, quindi non mettere un argomento significa impedirne la discussione. Altro elemento di
accentramento al potere esecutivo riguarda il controllo sulla stampa: i direttori dei giornali devono essere approvati dal
procuratore generale presso la Corte d'Appello, ma lo stesso procuratore deve sentire i prefetti, i quali sono i funzionari
che dipendono direttamente dal Ministro dell'Interno, quindi direttamente al potere esecutivo. Nella primavera del '26
viene abolito il diritto di sciopero, gli unici sindacati riconosciuti saranno quelli fascisti. Alla fine del '26 verranno
sciolti tutti i partiti che non sono fascisti, e nel '28 viene approvata una nuova legge elettorale che prevede elezioni con
una modalità assai particolare: il Gran Consiglio del fascismo redige una lista di 409 candidati e la sottopone in blocco
agli elettori, senza possibilità di scelta né dei candidati né delle liste, essendone una. Ad incarnare la volontà collettiva è
il capo del fascismo ed il partito fascista di cui è a capo. Un'altra misura di non poco conto è l'abolizione delle elezioni
amministrative: a capo dei Comuni viene nominato direttamente un podestà dal governo; anche questo è un
accentramento intorno al potere esecutivo. Infine viene istituito un tribunale speciale per la difesa dello Stato: si
occuperà di tutti quei comportamenti che mettono a rischio la sicurezza dello Stato; questo è un tribunale politico che
non applica il codice penale, anzi costitutisce un potere giudiziario che non fa parte dell'ordine giudiziario ordinario. Ne
fanno parte membri della milizia e militari. Il tribunale si occuperà principalmente degli antifascisti, con una logica
arbitraria. Questo insieme di misure (le leggi fascistissime) fanno entrare il regime in una fase successiva, per cui si
parla di una seconda fase di costruzione dello Stato fascista, fino al '29 (anno del Concordato con la Chiesa cattolica).

La terza fase
Si apre una terza fase, dal '29 al '36 (fino alla guerra d'Etiopia), costituisce gli anni di affermazione e di consolidamento
del regime in campo economico, sociale e di consenso. La guerra d'Etiopia, con la costituzione dell'Africa orientale
italiana e la corona di imperatore sulla testa del re, porta all'apice del consenso del regime.
Nel '29 c'è una crisi economico-finanziaria, con il crollo della borsa di Wall Street. L'economia americana è cresciuta
tantissimo negli anni '20, sul modello fordista (applicazione dei metodi di produzione in serie a beni di consumo
durevoli, a prezzi molto contenuti, allargando il bacino dei consumatori). Il problema dei beni durevoli è che portano ad
una saturazione del mercato, si raggiunge un limite in cui si deve per forza decellerare, contemporaneamente però le
industrie, quotate in borsa, hanno valori gonfiati, la cosìdetta bolla speculativa: c'è uno scollamento tra la reale
situazione finanziaria delle aziende, in debito con le banche, e l'economia finanziaria, per cui esplode la bolla
speculativa, c'è un crollo della borsa, ed i disoccupati passano da 3 milioni a 13 milioni, finchè non arriva Roosvelt nel
'33 a proporre una soluzione.
Le economie europee, dopo la prima guerra mondiale, sono strettamente legate all'economia statunitense. La Germania,
che non riesce a pagare i suoi debiti, viene aiutata dagli Stati Uniti, potendo così pagare i debiti a Francia e Gran
Bretagna, che a loro volta potranno pagare i debiti agli Stati Uniti. Nel '29, in seguito alla crisi, questo meccanismo si
inceppa: l'inflazione va alle stelle. Questo favorisce il partito nazista.
Inizialmente il governo americano, con a capo Hoover, segue una politica liberale classica, basata su pareggio del
bilancio, sul contenimento della spesa pubblica. Questo si rivela disastroso. Roosvelt propone invece un New Deal, un
nuovo corso dell'economia, che consiste nella ricetta keynesiana: uno Stato che interviene nell'economia, che spende,
investe, a favore del welfare, che garantisce i cittadini, e spende attraverso lavori pubblici; in più crea norme per il
sistema bancario. Questo sistema resterà in piedi per almeno 40 anni, fino agli anni '70, in cui avverrà una crisi
petrolifera e si tornerà ad un'economia liberale, riducendo l'intervento statale e tagliando sul welfare.
La crisi del '29 in Italia si sente un po' meno, perchè non c'era per l'Italia la questione delle riparazioni ed era meno
agganciata a quella statunitense. Sicuramente avviene una minore esportazione dei prodotti italiani ed un aumento della
disoccupazione, come risponde il regime a questa crisi? In primis con una politica di lavori pubblici (come Roosvelt),
che si declina ad esempio con la bonifica dell'agropontino. Vengono addirittura fondate due nuove città: Littoria (oggi
Latina) e Sabaudia. Dall'altro lato il regime sostiene banche ed imprese. Nel 1931 viene fondato l'IMI, istituto che
finanzia le imprese, ma viene trasformato in una cosa diversa nel 1933: l'IRI, il quale acquista imprese in difficoltà, le
dovrebbe riorganizzare, e quindi rivenderle. Questo aiuta molto le banche, le quali si liberano di azioni improduttive, e
se ne fa carico la collettività. Soltanto che non ci sono acquirenti, anche perchè alcune di queste aziende sono molto
pesanti per i capitali che servono, quindi l'IRI diventa permanente, e lo Stato diventa proprietario di un apparato
produttivo. Precedentemente solo l'Unione Sovietica, basata sull'abolizione della proprietà privata, controlla una
quantità di imprese maggiore dell'Italia. Questo parastato di aziende di proprietà pubblica è un enorme apparato che la
Repubblica italiana eredita fino alle privatizzazioni degli anni '80/'90. Di conseguenza la disoccupazione, prima della
guerra, è bassissima. Questa forma economica però penalizza operai e contadini, e avvantaggia i ceti piccolo-borghesi,
lo zoccolo duro del regime. Mussolini rilancia, alla fine degli anni '30, una politica autarchica, di difesa della
produzione nazionale, incentivando, implementando, propagandando il consumo di beni italiani, con tutta una retorica
dell'autosufficienza italiana. Lancia anche la formula dell'economia corporativa: è un aspetto abbastanza futile, in
quanto ai risultati ed agli effetti, ma l'idea è quella della terza, tra capitalismo e comunismo. Del capitalismo prende la
difesa della produzione industriale ed il sostegno alle imprese, nonostante un intervento dello Stato, ma ne rifiuta la
lotta di classe, la contrapposizione tra produttori e lavoratori. Produttori e lavoratori devono costituire un tutt'uno
organico, attraverso le corporazioni dei settori produttivi, un tavolo comune che deve puntare al solo interesse della
nazione. L'Italia continua ad essere comunque prevalentemente agricola, gli manca la base per essere una potenza anche
militare, cioè l'industria pesante. Ma su cosa batte la propaganda fascista? Sulla potenza demografica, sulla crescita
demografica, ed il regime assume una politica demografica all'insegna dell'aumento delle nascite. In questa propaganda
la donna viene vista come quella che deve stare a casa e fare figli. Per questo viene reso illegale anche il celibato, come
l'omosessualità, in quanto nemici dell'aumento demografico nazionale. Il momento culminante degli anni '30 è la guerra
d'Etiopia (1935), in cui vengono sperimentate tattiche della guerra totale contro i civili, che saranno applicate poi nella
seconda guerra mondiale: il bombardamento a tappeto, con bombe e gas asfissianti, deportazioni in massa. La conquista
dell'Etiopia è un momento in cui il consenso del regime è all'apice, la Germania appoggia l'Italia in questo frangente, e
ne nasce l'asse Roma-Berlino, una prima alleanza tra i due regimi. In questa fase si parla anche con più insistenza di
razze, e di qui a poco usciranno le leggi razziali (1938). Il regime fascista non è soltanto repressione, messa fuori legge
degli altri partiti, una polizia politica che manda al confino gli antifascisti, ma anche organizzazione delle masse: il
fascismo costruisce una struttura di associazioni, per genere ed età, che accompagnano gli italiani dalla culla alla tomba.
A tutte le età si è coinvolti, mobilitati, e questo rende il regime fascista profondamente diverso dai modelli autoritari
conservatori del passato, che si basavano sull'esclusione della popolazione. Il consenso per il regime, la
nazionalizzazione, raggiunge una dimensione iperbolica, attraverso le organizzazioni fasciste. Questa dimensione di
coinvolgimento delle masse è centrale nei regimi autoritari e totalitari del '900. A tutto questo viene affiancato il Partito
Nazionale Fascista, un organizzatore sociale: non essere iscritti al partito fascista è un motivo di sospetto e di esclusione
dalla comunità nazionale.

Guerra mondiale e sterminio degli ebrei


Se la prima guerra mondiale scaturisce da un intreccio di dinamiche di molti paesi, la responsabilità della seconda
guerra mondiale è indubbiamente di Hitler e della Germania nazista. Si succedono una serie di crisi, provocate da
Hitler: prima l'annessione dell'Austria, che si presenta come una riunione del popolo tedesco, poi dei Sudeti, una
popolazione tedesca in una zona di confine tra Germania e Cecoslovacchia. L'opinione pubblica europea occidentale
guarda con grande preoccupazione a tutto questo, ma tutto sommato queste annessioni possano soddisfare Hitler;
sopratutto dalla Gran Bretagna pensano che Hitler possa limitare l'avanzata dell'Unione Sovietica. Arriva poi
l'annessione della Cecoslovacchia, l'Italia invade l'Albania, e nasce il patto d'acciaio tra Italia e Germania. Da qui
Francia e Gran Bretagna si preparano a difendere la Polonia da un'eventuale invasione della Germania, che avverrà,
portando all'inizio del conflitto mondiale. Importante ricordare che è una guerra che si combatte su tre fronti: a metà del
'41 la questione europea è risolta, la Germania controlla tutta l'Europa, esclusa la Gran Bretagna, ed a quel punto attacca
l'URSS, avviando la famosa operazione Barbarossa. Un secondo fronte, tra il '41 ed il '42, parte dal Giappone verso
tutta l'Asia Orientale. Con l'attacco dei Giapponesi di Pearl Harbor (base navale americana), a fine '41, anche gli USA
entrano in guerra. Infine c'è un terzo fronte in Africa, dove la Germania aiuta l'Italia, che non se la sta cavando
benissimo.
Germania e Giappone, alleate, hanno degli obiettivi in comune: l'intenzione di instaurare un ordine nuovo; entrambi
sono convinti della propria superiorità razziale, impongono regimi durissimi, e fanno razzia di materie prime e
costringono a lavorare per loro centinaia di migliaia di persone, dei territori che occupano. Questo porta a dei grandi
benefici: lo Stato nazista è in grado, grazie alle ricchezze di cui fa razzia, di garantire un livello di vita all'interno del
proprio territorio straordinari. E' uno stato sociale che garantisce il benessere ai tedeschi, aumentando il consenso. Nel
corso della guerra si colloca lo sterminio degli ebrei: lo sterminio degli ebrei è stato interpretato in modi diversi,
storiograficamente. La prima lettura vede nello sterminio degli ebrei un antisemitismo storico internazionale che
culmina in questo sterminio. Un'altra lettura vede centrale la storia della Germania, come antisemitismo tedesco, per il
fatto che coinvolge non poche persone nella sua attuazione, anche civili. La terza lettura lo vedo come evento a sé
stante, in cui lo sterminio totale è da contestualizzare completamente nella seconda guerra mondiale. Oggi queste letture
possono essere considerate unitariamente. Il condizionamento ideologico della popolazione tedesca è chiaramente molto
forte, rinfocolando un antisemitismo precedente (già nel periodo della Repubblica di Weimar),mostrando gli ebrei come
un corpo estraneo, che trae benefici dalle vittorie occidentali sul piano finanziario. E' importante comunque considerare
la collaborazione della popolazione tedesca nello sterminio, popolazione intrisa di propaganda antisemita. C'è anche una
fiducia nello Stato, vedendo nel nazismo un ripristino della forza dello Stato, rispetto alla Repubblica di Weimar. La
decisione dello sterminio viene però presa tardi: secondo una tesi funzionalista, dall'entrata in guerra degli USA e dalla
non riuscita vittoria contro l'Unione Sovietica, si sviluppa l'idea della soluzione finale, insomma lo sterminio è un
evento improvviso. La soluzione finale viene decisa nel Gennaio 1942, che cosa è successo? Quando si attacca l'Unione
Sovietica, lì vengono fucilate un milione di persone, perlopiù ebrei, villaggi interi spazzati via, e “bocche inutili”, ma il
piano è ancora quello di una deportazione ad Est. Molti vengono uccisi e gettati nelle fosse comuni, ma non è un ordine
che viene dall'alto. La decisione della soluzione finale ha a che fare con il piano complessivo: un piano ambizioso, che
affonda le radici in alcuni luoghi comuni che condividono economisti e geografi negli anni '30.
Quali sono questi luoghi comuni del pensiero economico e dei geografi?
C'è un Europa industriale occidentale e c'è un'Europa agricola Orientale. Ci deve essere una complementarità delle due
Europe, attraverso un'espansione della Germania, per la modernizzazione del mondo industrializzato dell'Ovest. Quelle
orientali sono aree sovrappopolate, e l'inferiorità di queste popolazioni fa sì che non siano in grado di sfruttare
razionalmente le potenzialità dell'agricoltura. La sovrappopolazione rurale è responsabilità dell'arretratezza, quindi nel
realizzare la conquista del proprio “spazio vitale”, i contadini in esubero vanno spostati nelle città per rafforzare il
proletariato industriale. Gli ebrei nelle zone rurali invece vanno spostati verso Est, infine nelle città va eliminata la
popolazione inutile, ebraica, parassitaria e non ariana. Insomma realizzare un'unificazione etnica su vasta scala, per
un'agricoltura modernizzata.
Nel '40, per alcune settimane, si discute di un progetto faraonico, assai poco realistico: trasferire tutti gli ebrei in
Madagascar. Gli esperti nazisti si convincono che sia inevitabile che scompaiano gli ebrei dai ghetti, e quindi bisogna
liberarsene del tutto. La resistenza sovietica, porta al fallimento del progetto nazista, e questo crea le condizioni per la
decisione genocidale. Dall'estate del '42 il sistema funziona a pieno regime, e vengono uccise oltre 3 milioni di persone.
La soluzione finale va inscritta in un piano di riorganizzazione, coessenziale al disegno complessivo di Hitler, per il
quale non c'era posto per gli ebrei, quindi lo sterminio risulta un progetto praticabile nel momento in cui non ci sono
alternative.
Il carattere di modernità di questo genocidio, ma anche di altri: bisogna evitare di pensare ai genocidi come ad un
deragliamento rispetto alla civilizzazione. C'è invece qualcosa, nei genocidi, di profondamente moderno e di
tipicamente novecentesco degli stati moderni: l'ambizione di ricostruire una società completamente, un progetto
razionale, di rigenerazione dell'umanità, di una società migliore e completamente diversa, insomma una grande
ambizione di ingegneria sociale. “L'ordine artificiale che il giardiniere realizza (quale pianta va estirpata, quale pianta
deve crescere) per realizzare un giardino armonico”: uno Stato che interviene sulla realtà sociale come un giardiniere.
Quindi i genocidi sono considerabili un progetto di modernizzazione radicale, cioè obbligare la società a conformarsi ad
un piano globale che è stato concepito scientificamente.
Concludiamo ricordando la fine della Seconda Guerra Mondiale, nell'estate del '43: Germania, Italia e Giappone
perdono sui tre fronti. Il Giappone perde contro gli USA, nella zona dell'Oceano Pacifico; La Germania perde contro
l'Unione Sovietica ad Oriente; l'Italia e la Germania perdono nella zona nordafricana contro le truppe britanniche.

CAPITOLO 4 - “L'8 Settembre” (Claudio Pavone)

Siamo nell'estate del '43, con l'intervento americano decisivo nella guerra. Nella primavera del '43 italiani e tedeschi
vengono cacciati dall'Africa, gli alleati sbarcano prima a Pantelleria, a Giugno, poi in Sicilia, e si impadronisco con
grande rapidità della Sicilia (con una resistenza militare molto tenue). Nei mesi del '43 si è registrato uno scollamento
tra paese e regime, con anche grandi scioperi operai a Marzo. A Luglio c'è una fronda interna al regime: il Gran
Consiglio del Fascismo vota la sfiducia a Mussolini, che viene arrestato, chiedendo al re di riassumere le sue funzioni
(grazie allo Statuto Albertino), ed incarico al maresciallo Pietro Badoglio. Come viene vissuto l'arresto di Mussolini?
Con gioia, con una caduta del regime repentina ed ingloriosa. Perchè questo? Perchè si pensa che, alla caduta di
Mussolini, finisca anche la guerra. In tutto questo i tedeschi, per fermare l'avanzata alleata, avevano piazzato molte
truppe sul territorio italiano, e Badoglio dichiara di continuare a resistere affianco ai tedeschi. L'8 Settembre però viene
annunciato l'armistizio, con una formula ambigua, in cui si dice che il governo italiano, per risparmiare ulteriori e più
gravi sciagure alla nazione, ha chiesto l'armistizio al comandante Einsenhower, il quale ha accettato, spingendo a
cessare le ostilità verso gli alleati, al tempo stesso le forze italiane reagiranno a qualsiasi altro attacco da altre forze,
insomma nel giro di poche ore i tedeschi diventano nemici. L'ambiguità sta nel fatto che non si parla di proseguo della
guerra, ma di attacchi casuali, per cui le truppe sbandano, e non viene neanche difesa Roma dal governo. Per la difesa di
Roma, partecipano partigiani e civili. Addirittura, alla chetichella, il re Vittorio Emanuele III scappa da Roma, facendo
dissolvere l'esercito italiano: questo, dal punto di vista simbolico, è qualcosa che non gli verrà perdonato,
costringendolo ad abdicare a favore del figlio, cercando di recuperare l'immagine della monarchia. Mentre l'esercito non
riceve ordini, i tedeschi deportano circa 600.000 militari in Germania, in più liberano Mussolini dalla prigionia e lo
mettono a capo di una Repubblica fantoccio, la Repubblica sociale italiana, che si regge sulle forze tedesche. Gli anni
che seguono sono gli anni che seguono una spaccatura dell'Italia: da una parte la Repubblica di Mussolini, dall'altra il
regno del Sud, con un governo Badoglio. Intanto si formano le formazioni partigiane, divise in base alle ideologie
politiche (comuniste, socialiste, cattoliche). Intanto i partiti si sono ricostituiti, formando il CNL, il Comitato di
Liberazione Nazionale. In pratica abbiamo un governo che risponde al re, l'esercito cerca di riorganizzarsi, e tutti,
all'annuncio dell'armistizio, cercano di liberarsi degli abiti militare e hanno come unico desiderio di tornare a casa.
Il CNL vorrebbe che il governo Badoglio venisse destituito, anche se sostenuto dagli alleati, in quanto espressione del
re. Fino a quando non interviene Togliatti, leader del partito comunista, che in pratica consente un accordo: mettere da
parte il pregiudizio antimonarchico e collaborare, per il momento (una sorta di unità nazionale). Perchè Pavone, nel
raccontare questo periodo, si concentra sull'8 Settembre? L'8 Settembre è una data chiave anche per effetto di un
dibattito storiografico: anzitutto Pavone critica il modo in cui sono state fatte le trattative con gli alleati, in quanto
Badoglio non li ha rassicurati a dovere. L'aiuto agli alleati è molto timido e viene gestito male dal punto di vista
diplomatico, rendendo gli italiani poco credibili. Un secondo punto parte da quello che scrive Benedetto Croce nel suo
diario:“ad un certo punto, pure facendo forza al mio animo che avrebbe preferito veder vincere il proprio paese, ho
dovuto obbedire alla voce della mia coscienza e desiderare la sconfitta dell'Italia”, cioè desiderare la sconfitta del
proprio paese pur di vedere la fine della guerra. La reazione all'8 Settembre, il tutti a casa della massa dei soldati, aiutati
dai civili, porta al crollo morale di tutto l'apparato amministrativo dello Stato. Questo denota una mancanza di
preparazione spirituale del paese alla guerra: è un momento in cui 20 anni di costruzione e retorica fascista sull'uomo
nuovo, sull'uomo guerriero, sulle virtù di un popolo che si fa valere, si mostra che si trattavano di fesserie. E' più forte
l'idea che non abbia senso proseguire la guerra, dopo che è caduto chi l'ha voluta. Da parte della popolazione, dove si
combatte la resistenza, ci sono tantissimi comportamenti di resistenza tra gli stessi civili. I militari rifiutano il sostegno a
Mussolini, giurando fedeltà al re. Dopo l'8 Settembre c'è un vuoto istituzionale, ma c'è una solidarietà orizzontale, della
popolazione, ed è un momento di scelte personali, di riscoperta del senso della patria in un'accezione nuova: scelta da
che parte stare che comporta due visioni opposte della patria; ricostruire ciò che il fascismo aveva inquinato e distrutto,
o rinnovare la fedeltà a Mussolini, sprofondando insieme al fascismo. Ma anche scelta di quale autorità dichiarare
legittima. Calvino scrive “bastava un nulla e ci si trovava dall'altra parte”. Prende però forma un'altra idea di patria,
anche nella visione di liberazione nazionale, di antifascismo; una spinta propositiva, programmatica, che è progettualità
di una nuova nazione. In questo disfacimento di tutto l'apparato istituzionale, c'è una ricostituzione dal basso di
qualcosa, e c'è il coinvolgimento della lotta di resistenza una base di scelte, da qui l'importanza di questa categoria. E'
un momento in cui l'italiani sono stati costretti a schierarsi, rispetto a due idee di patria. La liberazione avviene
ufficialmente il 25 Aprile 1945. Il fatto che esistano delle motivazioni e delle scelte personali, non toglie nulla al
giudizio che noi possiamo dare agli opposti contenuti dell'idea di patria: la bella morte, la brutalità fascista, rispetto alla
violenza partigiana, di libertà antifascista, di diversa natura e quindi non paragonabili. Pavone introduce il concetto di
guerra civile, che ha consentito di ragionare sulle scelte individuali, che però non equipara.

CAPITOLO 5 - “Il miracolo economico” (Valerio Castronovo)

Dopo il 25 Luglio del '43 si ricostituiscono i partiti politici, dopo il ventennio di messa fuorilegge. Alla fine della
Resistenza, dopo il 25 Aprile del '45, il governo del paese è affidato ad una coalizione dei partiti del CNL. Queste forze
governano per due anni, fino al '47. Questo governo è inizialmente guidato da Parri, successivamente da De Gasperi. Il
2 Giugno, festa della Repubblica, corrisponde al risultato del referendum se scegliere repubblica o monarchia, con
suffragio universale maschile e femminile, e al voto per l'assemblea costituitente, che dovrà scrivere la Costituzione.
I lavori dell'assemblea costituente si sviluppano in un clima di compromesso tra le varie parti: una parte comunista, una
socialista ed una democristiana, in particolare. Nel mezzo dei lavori della costituente c'è questo rimpasto di governo,
che esclude dal governo socialisti e comunisti. La Costituzione entra in vigore il 1 Gennaio 1948, ed il 18 Aprile si
tengono le prime elezioni politiche vere e proprie. Nel primo decennio si vedrà che la democrazia italiana è bloccata, in
quanto viene impedito sempre al partito comunista di poter andare al potere, essendo l'Italia nella sfera d'influenza
americana, e sarebbe un rischio per l'equilibrio geopolitico internazionale. Alle elezioni del '48, con un clima in
campagna elettorale di scontro, la democrazia cristiana prende il 48%, mentre comunisti e socialisti costituiscono un
fronte popolare (dei partiti di massa di sinistra) che ottiene il 31%. Gli anni successivi sono governati sulla base di una
forma politica che è detta del “centrismo”: la democrazia cristiana governa con piccoli altri partiti di centro (partito
liberale, socialdemocratici, repubblicani), formando un governo tendente appunto al centro. A destra della democrazia
cristiana c'è anche la Chiesa, cioè De Gasperi fa un'opera di mediazione con la Chiesa per convincerli della soluzione
democratica. Questi governi centristi, che hanno diversi rimpasti, hanno due punti qualificanti:
1. La riforma agraria: in conseguenza delle agitazioni post-conflitto mondiale, De Gasperi lancia nel 1950 questa
riforma agraria, che dà terreni ai contadini, espropriando i terreni ai grandi proprietari. L'effetto è un consolidamento di
un ceto di piccola proprietà contadina, principalmente di sussistenza. Dal punto di vista economico, produttivo, questo
sistema funziona poco, per le regioni del Mezzogiorno.
2. La cassa per il Mezzogiorno: politica di credito agevolato, fino al '57 incentrato sull'agricoltura e sulla infrastrutture,
successivamente invece investe su un'industrializzazione pesante. Per un verso c'è un'opera di modernizzazione delle
infrastrutture, dall'altro anche la cassa per il Mezzogiorno funziona come strumento che convoglia consenso politico per
il governo.
In questi anni avviene il boom economico: una grande trasformazione del paese, dal punto di vista economico. Nel 1960
una giuria internazionale, convocata dal Financial Times, si esprime sulle monete nazionali, e dà l'oscar della moneta
più stabile proprio alla lira italiana. Questo è incredibile, considerando che nel '54 ci fu il piano Vanoni, che metteva al
centro l'edilizia invece dell'industria, ed alla metà degli anni '50 tutti guardano con sospetto al mercato comune europeo.
Quando nel '57 viene firmato il Trattato di Roma (istituzione Comunità Economica Europea), a molti pare una scelta
azzardata. In realtà i dazi si riducono da subito del 60% e l'industria italiana se ne avvantaggia molto. Già nel '58 il PIL
è aumentato di oltre il 6%. Come si spiega questo boom economico dal '58 al '62? Castronovo individua diversi fattori:
1. Bassi salari ed aumento della produttività dall'altro verso, grazie ad una disciplina di fabbrica molto rigida, senza
possibilità di fare richieste da parte dei lavoratori.
2. Adozione di tecnologie ed attrezzature americane.
3. Materie prime che si mantengono a prezzi costanti (sopratutto il petrolio, gestito dall'ENI), grazie anche a nuove fonti
energetiche.
4. Basso costo del denaro, cioè degli interessi che si pagano nel momento in cui si prende in prestito un capitale per
utilizzarlo in ambito aziendale. Anche se, in questa fase, i profitti sono tali che le aziende si autofinanziano.
5. Clima culturale e motivazione degli italiani, in quanto ci sono due generazioni di italiani che si rimboccano le
maniche ed hanno una forte speranza in un futuro migliore per sé e per i propri figli.
In questa fase c'è anche una forte emigrazione verso l'Europa, a differenza di quella in fase giolittiana che era
transoceanica.
C'è un altro aspetto fondamentale alla base del boom economico: c'è una marcia in più nell'industria per una
convergenza tra mano pubblica e privata. Per quanto riguarda il pubblico ci sono l'IRI che gestisce aziende e fabbriche
(contrari sono in particolare i liberisti), e l'ENI (ente nazionale idrocarburi) che gestisce le materie prime, che hanno una
forte vitalità dopo il '48. Dalla parte dei privati, si parla dei beni di consumo durevoli: le automobili, gli
elettrodomestici, le fibre sintetiche, la plastica, che hanno un enorme sviluppo e sono private. C'è una forte sinergia
quindi tra pubblico e privato: l'emblema di questi interessi comuni è la FIAT di Valletta, in rapporto con l'ENI di
Mattei. L'estrazione di petrolio a prezzi convenienti e la produzione di massa di automobili, sono il perfetto esempio di
questa economia mista. In questo modo le aziende private possono espandersi anche sul piano internazionale, e la
costituzione della CEE aumenta i guadagni dalle esportazioni ulteriormente. Nel '61 l'indice del reddito nazionale cresce
dell'8%. In questo grande sviluppo non mancano affatto i punti deboli, le storture: la parcellizzazione della proprietà
contadina, il fallimento della cassa del Mezzogiorno (dal '51 al '61 sono due milioni gli emigrati dal Sud al Nord, o
all'estero). Chi se ne avvantaggia quindi di questo boom economico? Il ceto medio borghese, che consuma, comprando i
beni di massa prodotti. Tutto questo avviene in mancanza di regole: una trasformazione del paese senza un intervento
della politica nel campo urbanistico, ad esempio, con la costruzione delle città senza alcun disegno predefinito. La
classe politica si trova impreparata a questo cambiamento: in poco tempo si passa da un'Italia prevalentemente agricola,
con consuetudini arcaiche, ad un'Italia che prende spunto da mode estere, tutto questo all'insegna di squilibri.
Come affrontare questi squilibri? Alla fine degli anni '50 nella democrazia cristiana c'è una corrente più riformista, con
a capo Fanfani, che cerca di avvicinarsi ai socialisti, allontanandosi quindi dal centrismo. Il primo smottamento politico
però va in una direzione diversa nel 1960: viene dato l'incarico di formare un governo unicamente democristiano a
Tambroni, un conservatore tendente a destra, che ha un appoggio esterno dal MSI (Movimento Sociale Italiano, con a
capo Almirante, che si ispira ale idealità del fascismo). Questo crea grande scalpore, considerando la base antifascista
della Costituzione. Il MSI annuncia la tenuta del proprio congresso a Genova, città medaglia d'oro alla Resistenza:
Sandro Pertini, leader socialista ex partigiano, tiene un comizio il 30 Giugno a Genova, con una grande manifestazione
contro il MSI. Il congresso viene annullato, ma la protesta si estende anche ad altre città. Davanti a queste
manifestazioni, la repressioni del governo Tambroni è durissima, e ci sono documenti che attestano una possibilità per
Tambroni di mettere fuorilegge il partito comunista: interpreta le manifestazioni contro il MSI come un complotto
comunista, come un tentativo di destabilizzazione del sistema. In conseguenza di questi eventi, Tambroni dà le
dimissioni nel '62, e nasce il primo governo di centrosinistra, con il governo nelle mani di Fanfani, dando avvio ad una
fase di governo con l'appoggio esterno dei socialisti. Fanfani ha nel suo programma proprio la gestione delle
trasformazioni date dal boom economico, dando centralità proprio alla programmazione dello sviluppo nel campo dei
servizi pubblici, dell'urbanizzazione. Questo programma è molto ampio e suscita molta speranza in nuove riforme, ma
suscita anche molte resistenze da parte dei conservatori.
Questo governo riesce a fare due cose: 1. La nazionalizzazione dell'energia elettrica. 2. La scuola media inferiore unica
e obbligatoria (pensata come strumento di elevazione della cultura dei ceti popolari). Viene bocciata invece la riforma
urbanistica del '63. Nel '63 la democrazia cristiana perde voti, mentre il partito comunista aumenta significativamente:
dopo queste elezioni nasce un governo di centro-sinistra con a capo Aldo Moro. Nel Giugno del '64 c'è un episodio
molto oscuro: una crisi legata ad un piano di colpo di stato da parte dei carabinieri con a capo De Lorenzo, un piano che
avrebbe previsto l'occupazione della RAI, delle prefetture, delle sedi dei partiti, per instaurare un nuovo governo che
avrebbe messo al bando le sinistre, il tutto con l'appoggio dei servizi segreti americani. Ci sono indizi ed elementi che ci
fanno capire qualcosa, ma questo può spiegare come dal '64 in poi i governi di centro-sinistra galleggiano, come
governi immobili.
Dalla inefficace risposta governativa al boom economico, i partiti si appiattiscono, iniziando a ricercare solo il consenso
fine a sé stesso, e perdendo una carica riformistica. Da qui comincia una partecipazione al governo da parte di tutti i
partiti con un equilibrio attraverso i propri uomini in posizione chiave, senza vere azioni legislative. La stessa
degenerazione dei partiti, che diventano agenzie di consensi ed interessi, parte da qui, e poi si consuma definitivamente
tra gli anni '80/'90 con la fine della prima repubblica. Una storia fortemente condizionata dall'esterno e da settori dello
Stato che fanno riferimento all'esterno.

CAPITOLO 6 - “La grande contestazione” (Marco Revelli)

Siamo al '68. Nell'interpretazione di Revelli, che poggia su una riflessione più ampia, il '68 è un anticipo della
globalizzazione. In che senso? Nel senso che il suo habitat naturale del fenomeno è strutturalmente globalizzato. La
cornice di riferimento del fenomeno non è nazionale, anche se le proteste degli studenti assumono tratti contestuali dei
singoli paesi. C'è una sincronicità degli eventi che non sorprende, in pochi mesi, di proteste analoghe in contesti diversi,
all'insegna di una certa omogeneità delle forme espressive, dei contenuti, dei linguaggi, dei protagonisti, che sono
giovani e studenti. Primo carattere è quindi quello della globalità del fenomeno, in quanto il riferimento spaziale non sia
più lo stato-nazione, ma l'intero pianeta.
Il secondo aspetto riguarda il fatto che riguarda un processo, e non un evento. Questo processo è un punto conclusivo di
un processo di accumulazione, di condensazione di alcune linee di crisi, che nel '68 emergono tutte assieme, ma che
erano già nell'aria. Linee di crisi, faglie, terreni sui quali si verifica questa accumulazione di energia di sapere dal punto
di vista critico, e di visione generazionale del mondo. La prima di queste linee è data dal fatto che i movimenti
studenteschi non nascono dal nulla, ma vedono diversi episodi negli anni precedenti. In particolare, per quanto riguarda
gli USA, il gruppo degli studenti per una società democratica. Cosa dicono nel '62 questi studenti? Prima di tutto
mettono in evidenza i paradossi del mondo costruito nei decenni precedenti: per la società americana innanzitutto la
questione razziale, in contrasto con il diritto alla libertà per tutti; affermazione di valori della pace e della democrazia,
contro la guerra, l'investimento nel settore degli armamenti nel corso della guerra fredda e la guerra del Vietnam.
Anche in Italia, prima della deflagrazione dei movimenti del '68, c'erano già stati degli scontri: nel '66 c'era stata
un'occupazione dell'Università di Pisa e della facoltà di sociologia a Trento per chiedere una maggiore partecipazione
degli studenti alla vita dell'Ateneo ed una revisione dei piani di studio. Esperienza del '66 rallentata dall'alluvione a
Firenze: momento importante perchè giovani da tutta Italia si mobilitano per fare opera di salvataggio, sia di opere
d'arte sia di libri (si parlava allora di “angeli del fango”). Altre occupazioni universitarie avvengono anche nel '67: sia
contro la guerra in Vietnam, sia per quanto riguarda i rapporti interni all'università.
Processo dunque, con una serie di istanze, di insoddisfazioni da parte dei giovani.
C'è una seconda linea di crisi: una linea di crisi esistenziale, che attiene alla possibilità che l'umanità intera possa essere
distrutta per mano dell'umanità stessa. Perchè? Per l'armamento atomico durante la guerra fredda. A causa di ciò, dagli
anni '50, si vive all'ombra di questa minaccia. Questa dimensione esistenziale di minaccia per l'intero pianeta, ad opera
dell'uomo, è un elemento che concorre a definire una dimensione di globalità, più un elemento di urgenza di intervento
rispetto ad un assetto e di una logica del mondo che porta verso il baratro.
Lo sviluppo economico, l'esplosione della società dei consumi, ha anestetizzato la popolazione, ha creato una società
conformista, dedita solo alla vita per il consumo. C'è un senso di solitudine generazionale, “senza padri e senza
maestri”. Gli studenti che animano i movimenti nel '68 condividono, su scala globale, il sentire un tichettio di una
bomba, che gli adulti non sentono.
Ulteriore aspetto: stili legati all'aspetto, al linguaggio. Sono movimenti che vogliono dissacrare quanto è considerato
sacro dalle generazioni precedenti. Attuano una rivoluzione culturale o antropologica: c'è un gigantesco spostamento
negli stili di vita, un cambiamento radicale rispetto al passato. Rivelli cita Edgar Morin, che parla di una breccia
culturale aperta nella società di massa, attraverso l'affermazione di una controcultura, di una cultura adolescente. In che
senso “adolescente”? Ci sono alcuni tratti (caratteriali, psicologici) dell'adolescenza che in alcuni momenti storici non
esulano dalla sola componente psicologica ed individuale, ma diventano collettivi: percepire i rapporti in maniera
iperconflittuale. Questi tratti sembrano connotare tutta la generazione dei giovani del '68.
Perchè diciamo che i giovani nascono negli anni '60 come categoria?
Anzitutto per la scolarizzazione di massa, nell'ambito di quella grande trasformazione in migliorare delle condizioni di
vita di un ampio ceto medio e medio/basso. La scolarizzazione di massa porta ad un posticipo dell'ingresso nell'età
adulta: andare all'università invece di andare a lavorare significa posticipare il passaggio all'età adulta.
Poi arriva un'industria culturale: i giovani sono anche una nicchia che diventa un target specifico, attraverso dei prodotti
culturali specifici. Prodotti culturali che circolano estensivamente, raggiungendo anche i più piccoli villaggi (attraverso
la radio, la tv). Questi consumi culturali immettono i giovani in uno spazio pubblico specifico, che è diverso da quello
degli adulti. La concezione precedente della giovinezza era quella di una fase di passaggio all'età adulta: cioè i giovani
sono degli adulti in potenza. Nella cultura degli anni '60 i giovani invece emergono come stadio ottimale dello sviluppo
umano. La cultura di massa degli anni '60 è una cultura giovanilistica, definendo una dimensione autonoma dei giovani,
e non una fase di transizione per diventare adulti.
Tutto questo ha contribuito a creare la percezione di una frattura di esperienze, rispetto a chi è nato dopo la guerra. Si
contesta la rispettibilità della classe media, dei genitori che son vissuti solo per far soldi, riproducendo le cose come
stanno. Insomma il '68 rompe con i canoni di abbigliamento “rispettabile”, c'è un involgarimento degli stili, è una
cultura demotica (come la definisce Hobsbawm), cioè una cultura che vede ai ceti popolari. I jeans sono il simbolo di
tutto questo: c'è una proletarizzazione dei giovani della classe media.
Una breccia aperta nel muro della società di massa. Chi passa attraverso questa breccia? Innanzitutto le donne: si
sviluppa un secondo femminismo, dopo quello tra '800 e '900, che rivolge una critica allo stesso movimento del '68, in
quanto i protagonisti del '68 sono tutti maschi: è maschile il linguaggio, sono maschili i codici. Le studentesse non
partecipano come leaders della protesta studentesca, sviluppando quindi una critica femminista, in nome di una critica
della separazione tra politica e vita. La critica del potere e dell'autorità calata dall'alto, porta il femminismo anche
all'interno dell'istituzione famiglia, all'interno delle relazioni interpersonali.
Una breccia attraverso la quale passano anche gli operai, in una dimensione diversificata, ma questa saldatura tra operai
e studenti è molto forte in Italia, nel cosìdetto autunno caldo. E' in corso una protesta dei metalmeccanici, che consiste
nel nucleo più consistente e forte, per un adeguamento dei salari. Con la saldatura con gli studenti, la protesta si
radicalizza, mostrando una crisi del modello fordista. Cos'hanno in comune operai e studenti? Il rifiuto di una gerarchia,
dell'autorità, e dal desiderio di poter esprimere la propria personalità.
C'è un ultimo aspetto: il '68 criticava la società dei consumi, criticava la riduzione degli individui a macchine. Tuttavia
Morin mette in luce una dimensione edonistica della rivolta studentesca, di ricerca di espressione del proprio desiderio,
della propria realizzazione personale, della liberazione che mette al centro l'individuo. Un edonismo dell'essere contro
un edonismo dell'avere, carattere del consumismo. Ma il confine è molto labile: alla fine della stagione dei movimenti,
dagli anni '80, il mercato e i beni di consumo promettono di soddisfare ogni bisogno ed ogni desiderio, e che attraverso i
consumi si realizza anche quell'edonismo dell'essere.
Anni '70, “anni di piombo”
Gli anni '70 sono un decennio ricco di tensioni, pulsioni, fenomeni, tra loro anche contraddittori. Intanto, dal punto di
vista economico, si interrompe in Occidente un lungo ciclo positivo, che aveva contraddistinto il dopoguerra. Tutto
parte da una crisi monetaria, dalla svalutazione del dollaro, con effetti a catena sulle monete occidentali, comportando
l'inflazione. Ma sopratutto, quello che accade nei primi anni '70, è uno shock petrolifero: i paesi produttori di petrolio
formano un cartello (OPEC) e decidono di aumentare i prezzi. Questo è uno shock per le economie occidentali e
globali, che nel petrolio dipendono per tutta la produzione. L'aumento dei prezzi del petrolio che comporta un'ulteriore
accentuazione dell'inflazione, porta anche ad un minore consumo e di conseguenza una minore produzione. Dal punto
di vista delle tensioni sociali, gli anni '70 sono caratterizzati dal terrorismo, che ha almeno due versioni:
uno nazionalista ed uno politico interno agli stati. Quello nazionalista ad esempio è quello irlandese, per l'indipendenza,
portando alla costituzione della Irish Republican Army (IRA), fino al '72 con il famoso Bloody Sunday, dove le truppe
britanniche fanno una strage in piazza della componente cattolica irlandese. Altro terrorismo nazionalista è quello
basco, in Spagna: nel '73 l'ETA uccide il primo ministro spagnolo, in un attentato.
Il secondo tipo di terrorismo, quello politico interno, ha un movimento molto attivo in Germania, la RAF, che viene
costituita nel 1970, hanno un orientamento marxista rivoluzionario, l'obiettivo è, attraverso gli attentati, la
destabilizzazione ed il compimento di una rivoluzione. Ma anche in Italia non manca un fenomeno terroristico.
Il '73 è un anno molto importante: in Chile avviene il colpo di stato di Pinochet, e Berlinguer, segretario del PCI, parla
di una necessità di un compromesso storico, per scongiurare un evento come il golpe chileno. Berlinguer prende atto di
come il sistema italiano sia un sistema bloccato, per cui una vittoria elettorale delle sinistre potrebbe portare di una
reazione autoritaria, con appoggio esterno degli USA, e l'unico modo per andare al governo è quello del compromesso
storico (con i democristiani). Berlinguer è il fautore di un eurocomunismo: nel '68 il PCI ha condannato la repressione
della primavera di Praga, con l'intervento dei sovietici sulle richieste di maggiore democrazia cecoslovacca, prendendo
le distanze dall'URSS. Per il compromesso storico, ha un ruolo di rilievo anche Aldo Moro, con un lavoro di
convincimento all'interno della DC, portando alla nascita di un governo DC+PCI, con a capo Andreotti.
Intanto il paese è costellato da due terrorismi opposti: di estrema destra (nel '69 c'è la strage famosa di Piazza Fontana,
nel '74 ci sono due stragi, a Brescia, a piazza della Loggia, e la strage del treno Italicus, i cui colpevoli non furono mai
trovati, ed infine nel '80 la strage della stazione di Bologna), per il disegno di una destra eversiva di suscitare
nell'opinione pubblica sgomento, e far cadere la responsabilità sulle forze di sinistra, spostando l'opinione pubblica in
favore di una soluzione autoritaria, di una svolta a destra del paese; di estrema sinistra (inizialmente ci sono degli
attentati incendiari, sequestri di dirigenti aziendali, atti esemplari di organizzazioni terroristiche che pensano in questo
modo di mobilitare la classe operaia, denunciando le malefatte nelle fabbriche del sistema capitalistico e
dell'imperialismo occidentale), dalle azioni dimostrative si passa ai primi omicidi: è del '76 il primo omicidio, del
magistrato Francesco Coco a Genova. Il '77 è anche l'anno di un nuovo movimento studentesco: nuove occupazioni
delle università, nuovi scontri. E' un movimento che ha due anime: da una parte c'è una componente assai più libertaria,
spontaneista, è un movimento assai culturale, ci sono gli hippies, c'è la controcultura, c'è la creatività. Dall'altra parte
dal punto di vista politico c'è una componente fortemente radicalizzata, e va in una direzione di lotta politica più dura
(rispetto al '68). Il defluire e la mancanza di esito dei movimenti del '77, porta molti a ripiegare alla militanza
terroristica (soltanto la violenza ed il ricorso alle armi possa avviare e far innescare una fase rivoluzionaria). Così che
gli anni dal '77 all'80 sono considerati gli anni più bui di questo decennio: nel '77 gli attentati sono circa 300, nel '79
circa 800. Ecco perchè sono considerati “anni di piombo”. Tra il '69 e l'82 ci sono più di mille morti e feriti, e 350 morti
solo di terrorismo (senza contare le stragi, dette di Stato), di cui 164 causate dall'estrema sinistra e 50 causate
dall'estrema destra. Infine delle 164, 90 morti sono causate dalla più importante organizzazione di estrema sinistra, le
Brigate Rosse.

CAPITOLO 7 - “Il delitto Moro” (Vittorio Vidotto)

Anzitutto bisogna far riferimento a diverse teorie del complotto, che sono state elaborate a proposito del rapimento
Moro: c'è una teoria secondo la quale i terroristi hanno collaborato con l'URSS, per impedire il compromesso storico,
Vidotto parla del bisogno italiano alla tesi del complotto per certi eventi, nonostante siano pochi i punti di mistero del
delitto Moro. Una seconda teoria parla dell'inesistenza di un disagio tale da dover prendere le armi, come una non
corrispondenza tra terrorismo e realtà, ed anche la posizione del PCI è contro il terrorismo. Tra l'altro non sono solo gli
anni di questo scontro politico, ma c'è anche una secolarizzazione del paese, il paese diventa più laico. Sono anche gli
anni del movimento femminista, con l'evoluzione del '68 sul piano dei contenuti. In questo periodo nascono anche le tv
private e le radio libere (riprendendo la presa di parola libera teorizzata nel '68).
Le Brigate Rosse nascono nel '70 a Milano, sono un migliaio nel momento di massima organizzazione (un piccolo
esercito di uomini e donne), che ha anche un più largo esercito di consensi, negli ambienti di estrema sinistra, negli
ambienti studenteschi, negli ambienti operai. I militanti delle BR hanno provenienza diversa: chi dalle fabbriche, chi
dall'università.
Scrivono molto le BR, fanno propaganda scritta (i loro testi sono numerosi) che trattano il come rovesciare l'ordine
capitalistico, come cambiare il futuro.
Poi Vidotto si sofferma sulla genesi dell'ipotesi del compromesso storico e sulla figura di Moro, un ritratto molto
efficace attraverso le testimonianze e diverse citazioni, arrivando poi al rapimento (il giorno in cui va votata la fiducia al
governo Andreotti).
Il 16 Marzo 1978, giorno del rapimento, è stato come l'assassinio di Kennedy o l'attacco alle Torri Gemelle: tutti quanti
si ricordano dov'erano, per l'impatto che hanno questi eventi sull'opinione pubblica.
Immediatamente le BR emanano un primo comunicato:”la crisi irreversibile che il capitalismo sta attraversando mentre
accelera la disgregazione del suo potere e del suo dominio, innesca nello stesso tempo i meccanismi di una profonda
ristrutturazione che dovrebbe ricondurre il nostro paese sotto il controllo totale delle centrali del capitale multinazionale
e soggiogare definitivamente il proletariato. La trasformazione nell'area europea dei superati Stati-nazione di stampo
liberale in Stati Imperialisti delle Multinazionali (SIM) è un processo in pieno svolgimento anche nel nostro paese. Il
SIM, ristrutturandosi, si predispone a svolgere il ruolo di cinghia di trasmissione degli interessi economici-strategici
globali dell'imperialismo, e nello stesso tempo ad essere organizzazione della controrivoluzione preventiva rivolta ad
annichilire ogni “velleità” rivoluzionaria del proletariato”. Un comunicato che viene inviato insieme ad una foto di
Moro ad un giornalista del Messaggero. Tutto il tempo del sequestro sarà scandito da questi comunicati.
La stampa e la classe politica si schierano per la resistenza a qualsiasi tipo di ricatto, non trattando la liberazione di
prigionieri politici. Moro sarà sottoposto ad un processo del popolo, dove dovrà confessare la complicità con il progetto
imperialista, come processo non al solo Moro, ma alla totalità della DC. Perchè non trattare? Trattare significherebbe
indebolie lo Stato e mettere in crisi la Repubblica, legittimando le BR come interlocutore politico.
Il movimento romano, nelle sue fasi finali, formula il concetto “nè con lo Stato, né con le BR”.
Il rapimento è costellato da comunicati e da lettere, lettere che Moro scrive dalla prigionia, alcune delle quali indirizzate
alla stampa, altre a singoli destinatari. In modo particolare c'è una lettera al ministro degli Interni, Cossiga, che però
viene inviata dalle BR ai giornali. E' una lettera molto interessante: Moro dice che non ritiene giusto che venga
processato per un problema che riguarda tutta la DC, ed invoca la trattativa e che lo Stato non perde la faccia trattando.
Queste lettere si ritengono non ascrivibili a Moro, che lo stesso scrive sotto dettatura delle BR.
Da parte dei due principali partiti DC e PCI resta un fermo rifiuto delle trattative, sopratutto il PCI che deve dimostrare
di non avere legami con le stesse BR. Gli stessi terroristici si rendono conto che stanno fallendo nel raggiungimento
delle trattative, arrivando a telefonate in cui viene richiesto dalle BR che lo scontro si sposti sul piano politico con un
riconoscimento, aspettando addirittura oltre il giorno dell'ultimatum.
L'auto con il corpo di Moro verrà fatta trovare in un punto equidistante tra le sedi di PCI e DC.
Le Brigate Rosse escono politicamente sconfitte, anche se lo Stato non ha vinto, e non avviene nessuna rivoluzione
proletaria nel paese, anche se le domande di adesione alle BR in realtà aumentano nell'immediato, ma già nel '79 c'è un
evento che ha un grosso impatto negativo negli ambienti dell'estrema sinistra: viene ucciso dalle BR un operaio a
Genova. Dopo l'omicidio di Moro, il PCI ed i sindacati avevano preso una posizione molto dura, incitando a denunciare
i sospetti di terrorismo attivi nelle fabbriche; questo operaio, Guido Rossa, si accorge di un collega di lavoro che
distribuisce volantini delle BR, e lo denuncia, testimonia al processo contro di lui, e questo collega viene condannato
per 4 anni e mezzo. Le conseguenze sono ovvie: Guido Rossa viene ucciso dalle BR. I funerali sono un momento molto
particolare: partecipano 250.000 operai, Pertini, ex partigiano e leader del partito socialista, che prende anche lui una
posizione contro la lotta armata. Dopo questo evento, le sorti delle BR sono in discesa, sopratutto dal punto di vista
della complicità esterna, del sostegno morale dalle organizzazioni in fabbrica.
In tutto questo, la politica del compromesso storico subisce una battuta d'arresto, tornando indietro al centrosinistra con
appoggio dei socialisti al governo, con a capo dei socialisti dal '76 Bettino Craxi. Dagli anni '80 per un decennio poi
reggerà in Italia il pentapartito (DC, PSI, socialdemocratici, repubblicani e liberali) fino a Tangentopoli nel 1992.

CAPITOLO 8 - “Il maxiprocesso” (Salvatore Lupo)

Siamo tra il Febbraio del 1986 e la fine del 1987. Maxi innanzitutto perchè ci sono 400 imputati, e tre quarti saranno
condannati. Condannati per cosa? Omicidi sotto l'egida della mafia.
Fino al 1982 non esiste un articolo specifico per l'associazione a delinquere di stampo mafioso, introdotto con la legge
Rognoni-La Torre, 416bis.
Mafia è il termine più antico che noi utilizziamo, ma utilizziamo anche Cosa Nostra, termine introdotto dal
supertestimone, su cui si fonda questo processo, Tommaso Buscetta. Buscetta è un esponente di Cosa Nostra che
ragiona in questi termini per autorappresentarsi:”la mafia attuale è degenerata, rispetto a quello che era, ha stravolta
tutte le regole della mafia originale, e per questo io mi dissocio. Io parlo non perchè pentito, ma perchè la mafia è
diventata un'altra cosa”. I magistrati protagonisti del processo sono Giovanni Falcone, Paolo Borsellino ed altri
magistrati, di un pool che si è costituito a Palermo.
La legge del 1982 è molto importante, perchè? Perchè parte dal presupposto che esista un'organizzazione vera e propria,
che abbia una struttura, che sia una società segreta, la mafia, e non anche, come si è ritenuto molto a lungo, una cultura,
cioè un insieme di regole informali che riportano ad una cultura tradizionale siciliana; una cultura tradizionalista,
arcaica, che ricorre alla violenza per il forte senso dell'onore e per una cultura basata sui legami di sangue. Quando i
mafiosi dicono che la mafia non esiste, si riferiscono proprio a questo: la mafia non è uno Stato parallelo che controlla il
territorio con le sue leggi, non è un'associazione, ma è una mentalità. Ci si appoggia, nel sostenere la versione culturale
della mafia, ad un etnologo positivista, tal Pitrè, il quale aveva scritto diverse pagine su questo, qualificando la mafia in
termini di una cultura arretrata di una società contadina povera, con un forte senso dell'onore, etc.
Se la mafia non ha un ordinamento né una gerarchia, la lotta alla mafia non è possibile; si fa la lotta ad una mentalità, ad
una cultura? Cos'è, la repressione di un'idea?
Il maxiprocesso, riconoscendo e condannando quasi 300 imputati per associazione a delinquere di stampo mafioso,
condanna una struttura criminale, portandola alla luce.
Non è il primo processo nella storia italiana che venga fatto alla mafia. La lotta alla mafia ha avuto un precedente
importante nel periodo fascista, quando il regime manda un prefetto in Sicilia, il prefetto Mori, che arresta e porta poi
alla condanna per associazione a delinquere migliaia di persone. L'azione del fascismo di lotta alla mafia, utilizzando
una legislazione speciale in quanto associazione a delinquere, nell'Italia repubblicana getta un'ombra inquietante, da un
punto di vista garantista, perchè sembra di introdurre una colpa collettiva, quando la responsabilità penale è individuale.
La cultura giuridica democratica guarda con sospetto il reato associativo, perchè il reato associativo era stato la
tipologia di reato già utilizzato in età liberale contro gli anarchici prima, contro i socialisti poi. Tra l'altro l'uso che il
prefetto Mori aveva fatto di strumenti eccezionali repressivi, era servito anche a mettere fuorilegge oppositori politici,
colpendo indiscriminatamente senza dover dimostrare le responsabilità individuali. Tanto che poi, alla fine del
maxiprocesso, le condanne non saranno poi così severe.
C'è quindi, nei confronti della lotta alla mafia sulla base dell'idea che si tratti di un'associazione, un grande sospetto, e
tra i sospetti, tra gli scettici dell'azione investigativa di Falcone e Borsellino, c'è Leonardo Sciascia, che negli anni
'50/'60 era l'intellettuale italiano che teneva vivo l'interesse sulla mafia. Nell'83 Sciascia scrive che già allora polizia e
magistratura ha un potere che va oltre la Costituzione per il controllo del territorio, ad esempio il confino di polizia
(isolare mandando altrove, soggetti considerati socialmente pericolosi). “Io sono convinto che il generale Dalla Chiesa,
incaricato di guidare le azioni delle forze dell'ordine in Sicilia, già ne ha avuto troppo di potere per la lotta contro il
terrorismo”. Anche per questo, l'intervento aggressivo contro la mafia, suscita fantasmi: l'antimafia che diventa una
forza politica ed istituzionale, che interviene sulla base di poteri speciali.
Sciascia recensisce uno studio di uno storico inglese Cristopher Daggan, che si era occupato nella lotta alla mafia nel
periodo fascista, dimostrando che i poteri del prefetto Mori erano stati utilizzati per la lotta politica contro le
opposizioni. Sciascia fa una critica molto dura, contestando che Leoluca Orlando stava facendo carriera politica,
attraverso l'antimafia, e lo stesso vale per il giudice Borsellino. Sciascia diceva che la soluzione non poteva stare nella
militarizzazione del territorio e nella creazione di una forza politica ed istituzionale autonoma che gestisse il problema,
ma che bisognava intervenire sulle cause del fenomeno mafioso. Sopratutto per lui, i processi e la repressione penale,
finisce per concentrarsi sui pesci piccoli, non eliminando la radice sociale e non individuando i politici importanti sui
quali i mafiosi possono contare. Questo per dire che il clima, in cui l'antimafia si costituisce e prepara il maxiprocesso,
suscita diverse perplessità nell'opinione pubblica democratica, di chi ritiene che le misure della repressione non portino
molto lontano. Queste critiche sottovalutano la portata dell'operazione che si sta compiendo, un'operazione di emersione
dell'associazione. I processi degli anni '60, anche a diversi imputati, non erano mai riusciti a dimostrare che esistesse
un'organizzazione, invece Falcone e Borsellino si pongono esattamente questo.
In quegli anni la politicizzazione del tema, cioè considerare la costituzione della mafia come una strategia di ordine
pubblico e quindi intrinsecamente di destra, era una lettura ideologica, fuorviante, laddove si capisce che c'è un punto
che li accomuna, di sinistra o di destra che siano, cioè il senso dello Stato. C'è questo forte senso dello Stato più che
della politica, come servitori dello Stato.
Cosa si trovano e cosa hanno davanti quando lavorano su questo? Cos'è successo negli anni precedenti?
Negli anni '60 alcuni mafiosi siciliani si sono trasferiti negli USA, ripristinando il “vecchio ponte” tra Sicilia e Stati
Uniti: fanno affari assieme (mafia siciliana e mafia italoamericana), altro che realtà arcaica di poveri pastori, creando le
basi per un mercato della droga su larga scala.
Nei primi anni '80 scoppia una guerra interna, tra cosche, in cui un equilibrio è saltato, e c'è la fazione dei Corleonesi
che cercano di prendere il controllo del traffico. E' una vera e propria guerra, considerando i 1000 morti in pochi anni.
Buscetta, facente parte della fazione perdente, incontra Falcone e Borsellino ed inizia a raccontare tutta l'organizzazione
della struttura mafiosa.
Cosa fanno Falcone e Borsellino? Seguono la strada dei soldi, ricostruendo un tassello alla volta tutti i passaggi di
questi. Per Lupo, bisogna evitare uno schema piagnone, per cui lo Stato subisce la reazione violenta della mafia, e così
poi la mafia si imbaldanzisce e non viene sconfitta. E' una guerra, in cui il pool investigativo gode di grandissimo
prestigio internazionale, ed anche il fenomeno dei pentiti è il frutto di una capacità investigativa, un punto di successo.
Ci sono vari omicidi in questa fase: di Dalla Chiesa, del fratello dell'attuale PdR Mattarella, che non sono legati alle
indagini, ma danno messaggi sul piano politico, simbolico. L'utilizzo della violenza, in questi omicidi politici, fino poi
agli attentati del '92, a Falcone e Borsellino, è una novità, che in qualche modo in una linea di continuità culturale con la
stagione precedente di terrorismo politico: anche la mafia sposa la convinzione che si possano influenzare le istituzioni
attraverso l'uso della violenza.

CAPITOLO 9 - “Tangentopoli” (Ilvo Diamanti)

Siamo nel 1992, sullo sfondo di trasformazioni più generali, come il crollo dell'URSS, la fine della guerra fredda.
Negli anni '50: la DC prova ad ottenere la maggioranza dei seggi, non riesce, alleanza coi socialisti.
Negli anni '60: la DC ed il PCI provano a formare un governo, attraverso Moro e Berlinguer, ma naufraga col rapimento
Moro.
Negli anni '70: Torna il governo DC e PSI, PSI guidato da Bettino Craxi, segretario del partito dal 1976.
Bettino Craxi non è stato il primo presidente del Consiglio non democristiano, prima di lui c'è stato Spadolini, del
partito repubblicano, storico ed a lungo presidente del senato.
Dall'83 all'87 il presidente del Consiglio diventa appunto Craxi. Gli anni '80 sono caratterizzati dal pentapartito, dandosi
un'alternanza alla presidenza del Consiglio, ma in realtà questa alternanza non incide sui contenuti del governo.
In questo quadro intervengono però degli elementi di novità:
Il crollo dell'URSS, avvenuto attraverso il tentativo di modifica del sistema politico ed economico di Gorbacev, con
due parole d'ordine: trasparenza e ristrutturazione del sistema economico (perestrojka). Gorbacev porta ad una nuova
costituzione, nel '90 viene eletto presidente, ma la situazione gli è già sfuggita di mano: queste sue manovre arrivano
fuori tempo massimo, tra '89 e '90 i paesi dell'est satellite dell'URSS smantellano le istituzioni comuniste (Polonia,
Ungheria, Cecoslovacchia, Bulgaria e sopratutto la Germania). Il 9 Novembre le autorità della Germania comunista
aprono i confini, e questo fa sì che venga smantellato il muro di Berlino in poche ore. Che senso ha il PC, nel momento
in cui non esiste più un paese a cui tendere? Nasce una discussione, sviluppata da Achille Occhetto, segretario del PCI,
che porterà a rivedere gli elementi fondamentali, oltre al nome, cambiando prima in PDS (partito dei democratici della
sinistra) ed infine PD (partito democratico). La presa d'atto del venir meno di senso, non senza fratture (con la nascita
anche di Rifondazione comunista), porta alla sparizione anche della DC (antagonista storico del PCI).
Contemporaneamente c'è anche la figura di un PdR, Francesco Cossiga, che si presenta come un “picconatore” di un
sistema, per rinnovarlo. Cossiga prende atto che serve una riforma radicale delle istituzioni. Questo venir meno dei
riferimenti consueti e di quel blocco del sistema, che faceva stare i tasselli al proprio posto, fa emergere elementi fino a
quel momento nascosti. Esce fuori una rete segreta (dei servizi segreti), sostenuta anche dalla NATO, pronta ad
intervenire in funzione anticomunista, fino al colpo di Stato militare o messa fuorilegge del partito comunista.
In questa fase di rimescolamento delle carte, Cossiga fa un discorso in Parlamento chiedendo che venga superata la
forma di governo attuale, per una forma presidenziale, portandolo alle dimissioni nel '92.
Mentre il PC è in crisi e si ridefinisce nelle proprie idealità e riferimenti, c'è anche un fenomeno del tutto nuovo:
l'incremento di consenso che ha una forza, espressa nella Lega Nord, guidata Umberto Bossi. All'insegna di una
rivendicazione e degli interessi della parte del paese definita produttiva, oppressa dal centro, con parole d'ordine di
secessione/federalismo, riportando nell'ambito italiano il tema del federalismo, con una classe politica del tutto nuova,
con uno stile comunicativo greve e volgare, che è anni luce distante da quello che si era visto negli anni precedenti.
Questo è un po' uno sfondo fondamentale perchè questo connota l'ambiente nel quale esplode la questione
Tangentopoli.
Il saggio di Diamanti parte da un discorso che Craxi fa in Parlamento, ai primi di Luglio del '92:”I partiti, specie quelli
che contano su apparati grandi, medi o piccoli, e con molte strutture politiche operative, hanno ricorso e ricorrono
all'uso di risorse aggiuntive in forma irregolare o illegale; non credo che ci sia nessuno in questa aula che possa alzarsi e
pronunciare un giuramento in senso contrario a quanto affermo, perchè presto o tardi i fatti si incaricherebbero di
dichiararlo spergiuro”. Con questo discorso, Craxi sta difendendo sé stesso ed il partito socialista dall'accusa di essere il
cancro del sistema partitito, perchè entrato nel ciclone di un'inchiesta giudiziaria.
Dal secondo dopoguerra è così, e tutti lo sanno: Mattei, presidente dell'ENI negli anni '50, diceva:”io i partiti li prendo
come i taxi, li chiamo, ci salgo sopra e scendo quando sono arrivato”. Alla dimensione finanziaria imprenditoriale,
attraverso il finanziamento pubblico ai partiti, si influenzi le scelte politiche e si faccia pressione per vedere realizzati
provvedimenti legislativi in proprio favore, è una pratica comune.
Tuttavia, dice Diamanti, l'Italia non era l'unico paese corrotto: il Giappone negli indici di corruzione dei sistemi politici
è ancora più estremo dell'Italia, ma anche in Germania, attraverso Kohl che guida la Germania all'unificazione, lo stesso
si dimette per corruzione, però la CDU (il partito di Kohl) non è crollato, come non è crollato il sistema partitico, né
tantomeno Kohl ha dovuto affrontare processi. Invece Tangentopoli segna il crollo di un sistema politico, questo
perchè? Perchè la politica è già profondamente delegittimata: intanto il successo ed i voti che prende la Lega
dimostrano questo desiderio di cambiamento dell'opinione pubblica, poi alle dimissioni di Cossiga, prova ad essere PdR
Forlani, di sponda DC, ma non viene eletto, ed al suo posto viene eletto Scalfaro, una figura molto più estranea alle
logiche tradizionali della DC. Così come al governo non andrà Craxi, ma Giuliano Amato, una figura meno
compromessa col sistema partitico. Sono tutti indizi di una delegittimazione di un sistema precedente. E le elezioni del
Maggio '92 sono un detonatore di questa situazione: i grandi partiti perdono tutti, sia PD sia DC sia partiti minori che
hanno sostenuto il pentapartito, mentre la Lega prende l'8%, diventando il primo partito del Nord. Tangentopoli prende
queste dimensioni perchè c'è un clima di consenso nella prospettiva di fare piazza pulita.
Febbraio '92 comincia Tangentopoli con l'arresto di Mario Chiesa, socialista, per mazzette; nei due anni successivi ci
sono più di 20.000 avvisi di garanzia (quella comunicazione a chi è oggetto di indagine), e di questi migliaia riguardano
politici.
Il '92 è anche l'anno dell'attentato a Falcone e Borsellino: la mafia, in questo clima di delegittimazione, fa sentire la
propria voce, colpendo anche un politico democristiano, referente di Andreotti in Sicilia, Salvo Lima. L'assassinio di
Salvo Lima (12 Marzo 1992) dà la misura di un mutamento già avvenuto. La capacità della DC di raccogliere voti, in
cambio di favori, è ormai finita.
In sostanza è una crisi di legittimità della politica, nella quale si inserisce la magistratura, colmando questo vuoto. Il
consenso degli italiani ai magistrati del pool “Mani Pulite” dà la misura di una supplenza che i magistrati assolvono. E'
un sistema politico sfinito, quello della Prima Repubblica.
Per Diamanati, la fine della Repubblica non è da circoscrivere quindi alla sola Tangentopoli, ma Tangentopoli è solo il
detonatore di una delegittimazione della politica, di un consenso verso la magistratura. La magistratura contribuisce ad
affondare i partiti che avevano sempre governato, ma è parte di un rimescolamento nato nell'89, appunto dalla caduta
dell'URSS.

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