Sei sulla pagina 1di 33

CAP.

1: L’ETÀ GIOLITTIANA

1.1
Ci sono vari ostacoli alla partecipazione politica degli italiani, ancora privi della coscienza di cittadini: 1 la
maggioranza crede che i Savoia siano una casa regnante qualunque; 2 analfabetismo, diffusione del
dialetto; 3 proletariato socialista e cattolico per definizione antinazionale: il primo insegue
l’internazionalismo, il secondo la Chiesa; 4 è ancora in vigore il non expedit quindi nessun cattolico siede in
Parlamento. In conclusione manca una solida base popolare, che è necessario trovare: bisogna incanalare il
malcontento che deborda nelle piazze in canali istituzionali governabili. A questo sono favorevoli i liberali
di sinistra, ma non quelli di destra conservatori, spaventati dalla democrazia.
Nel 1893 esplodono le agitazioni dei fasci dei minatori, il primo ministro Crispi dichiara lo stato d’assedio e
fa sparare sulla folla; questi moti ne richiamano altri nel 1898 a Milano, dove Bava Beccaris spara di nuovo
e vengono ordinate leggi restrittive. Alla base di ciò ci sono le trasformazioni sociali, che non vengono
comprese e infatti si assiste ad una svolta autoritaria. Sidney Sonnino (liberalconservatore) la sostiene,
mentre gli oppositori (radicali, socialisti, anarchici, repubblicani, liberali progressisti) aprono una polemica.
Il papa Leone XIII si pone a favore dell’associazionismo cattolico come pacificatore sociale, mentre il resto
dei clericali conservatori è a favore dell’autoritarismo. Ma è la sinistra liberale guidata da Giolitti a diventare
determinante per il successo delle opposizioni, per bloccare una norma lesiva dei poteri parlamentari. Le
elezioni politiche vengono indette nel 1900: il capo del governo è Giuseppe Saracco, un
liberalconservatore, ma le opposizioni acquistano numerosi deputati. Quando il clima sembra acquietarsi,
ecco che l’anarchico Gaetano Bresci uccide il re Umberto I. Con il successore Vittorio Emanuele III sembra
venir meno la prospettiva di una democrazia, infatti egli vuole un paese ordinato e sereno, ma anche il
rispetto dei sudditi, perciò non innesca una vendetta per quanto successo al padre.

1.2
A favore della normalizzazione gioca l’atteggiamento della borghesia imprenditoriale che non apprezzava
l’atteggiamento repressivo del re, mentre preferirebbe una monarchia all’inglese. Infatti, è l’espansione
dell’industria ad essere la spia della modernizzazione in atto. Si sta costruendo l’intreccio tra Stato,
industria e gruppi finanziari tipico del capitalismo italiano. Nel 1899 Giovanni Agnelli fonda la FIAT, azienda
leader dello sviluppo industriale. E’ proprio al Nord che la popolazione aumenta e chiede libertà, diritti e
migliori condizioni di lavoro. E’ necessaria quindi una politica riformista per mettere al pari l’Italia e gli altri
paesi europei, perché è ancora arretrata. La maggior parte della manodopera è fatta di braccianti sia al
Nord sia al Sud. Dal 1881 al 1901 si calcola che 2 milioni+ di italiani siano emigrati nelle Americhe, terra
promessa del lavoro.

1.3
Il Partito Socialista Italiano, fondato nel 1892, nel 1900 non è ancora totalmente di massa, perché la
maggioranza dei suoi iscritti proviene dal Nord e sono contadini, operai, fasce urbane medio-piccole
favorevoli alla politica riformista di Turati. Anche se, all’interno del partito, nasce un’opposizione
battagliera che vuole dare voce ai milioni di proletari dimenticati dallo stato. Il PSI per tutta la sua storia
sarà diviso in correnti che daranno vita a dure scissioni: questo perché lo stesso proletariato è
disomogeneo. In questo momento le correnti principali sono quella minimalista e quella massimalista (da
non confondere con il comunismo). Le leghe contadine del Sud non riescono a diventare uno strumento
vero per la tutela del proletariato, colpito duramente dalla disoccupazione.
Nel 1901 si dimette Saracco e sale al potere Zanardelli, il cui ministro dell’Interno è Giolitti; egli vorrebbe
integrare i socialisti nel governo, mentre il ministro delle Finanze abolisce dazi e imposte dirette. E’ una
svolta.
1.4
Giolitti infatti ha capito che bisogna affrontare la questione sociale, agevolando il processo di crescita
sociale delle masse che, tramite le associazioni, stanno acquisendo l’identità di cittadini. Bisogna integrare
le classi subalterne nella vita dello Stato, tramite l’ingresso dei movimenti socialista e cattolico. Essi ne
approfittano subito creando varie federazioni di lavoratori: FIOM, tessitori, Federterra, statali. Le leghe
bianche sono in espansione, perché la rete ecclesiastica era capillare e sotto lo stretto controllo del
Vaticano. Nasce il movimento dei democratici cristiani guidati da Romolo Murri, un sacerdote, che agisce al
di fuori dell’Opera dei congressi. Il papa non è d’accordo con l’azione di Murri: è troppo simile al
movimento socialista e un partito cattolico non è concepibile. Ciononostante, il sindacalismo bianco che fa
capo a Murri è in espansione. Tra 1901-02 ci sono numerosi scioperi e agitazioni che mettono in crisi il
governo Zanardelli e il socialismo, perché crescono le frange estremiste che vogliono lottare, minacciare il
padronato e ottenere risultati in modo più veloce che con le riforme. Il leader dei massimalisti è Arturo
Labriola, il quale propone la lotta di classe e nessun patteggiamento con Giolitti. Nel 1904 la corrente
riformista è in minoranza e il ricambio si sente, perché viene proclamato lo sciopero generale, il primo nella
storia italiana. Si accentua la spaccatura nel socialismo. Un esponente autorevole di dissenso è Salvemini,
che parla a nome del Sud abbandonato dallo stato nella miseria e nella criminalità. La questione
meridionale dovrebbe essere al primo punto sia per i socialisti sia per il governo, che invece continua a fare
la doppia faccia: al sud viene usato il voto clientelare.
Nel mondo cattolico invece Pio X è avverso al modernismo, ma la necessità di frenare il socialismo gli fa
accettare l’elezione di due deputati cattolici. Nel 1903 succede Giolitti: egli chiede l’appoggio di Turati, che
viene negato, mentre viene proposto dai cattolici-liberali, non molti

1.5
Giolitti si mostra abile a mediare tra i diversi settori, anche usando ogni strumento di persuasione, a danno
dell’identità della maggioranza. Infatti Giolitti crea una rete di deputati fedelissimi con la quale governerà
per circa 10 anni: sarà chiamata dittatura parlamentare. Se da un lato è una maggioranza ancora ingabbiata
nel trasformismo, dall’altro permette di continuare lo sviluppo senza traumi. Il processo di politicizzazione
degli italiani è difficile per la loro frammentazione, ma anche quella della piccola e media borghesia,
orientata su diversi schieramenti. I primi segnali di rottura con la tradizione si hanno tra le avanguardie
culturali: nascono La Voce e il Manifesto del movimento futurista. E’ un’esperienza culturale ricca: i valori
futuristi, come la guerra e il coraggio, sono contro-valori che affascinano la borghesia anche perché sono
volti ad attaccare l’Italietta giolittiana. I futuristi fanno propaganda in modo teatrale, vogliono cambiare la
società. In realtà il movimento nazionalista nasce già nel 1903 con Enrico Corradini, anche egli avverso a
Giolitti. Crescono le insofferenze per lo stato di nazione minore.

1.6
La politica estera italiana ruotava attorno alla Triplice Alleanza, stretta nel 1882. L’alleanza con la
Germania favorì una maggiore integrazione dell’Italia nel sistema europeo, ma l’amicizia con l’Austria non
era ben vista perché era ancora in atto la questione delle terre irredente: la clausola di questa alleanza era
infatti la rinuncia al Trentino e alla Venezia Giulia. Con il nuovo secolo, la protesta irredentista monta e
l’Italia inizia ad avvicinarsi alla Francia, venendo meno alla Triplice. Con la disgregazione dell’impero turco,
cresce la febbre imperialista anche in Italia. I primi passi coloniali erano stati effettuati da Crispi in Abissinia,
conclusisi con la sconfitta di Adua (1896). A Giolitti non interessa l’impero, ma alla gente sì perché è in atto
una crescita economica che illude il paese di poter essere alla pari con le altre potenze europee. Vengono
potenziati il settore del siderurgico (Bagnoli), la telefonia, le ferrovie e il chimico. L’area interessata allo
sviluppo però è limitata al triangolo industriale Mi-To-Ge. Qui si riversano ex artigiani ed ex contadini
attratti dai salari e dai modelli urbani di consumo. Il reddito aumenta, le condizioni igieniche migliorano e
l’analfabetismo diminuisce. La spesa pubblica arriva anche al Sud, a favore di cui Giolitti vara una serie di
norme, che però non riescono a colmare il grande divario con il resto della penisola. Di fronte a questo i
nazionalisti premono per la conquista di nuove terre italiane per i disoccupati. Il clima è talmente pesante
per Giolitti che è costretto nel 1909 a fare un passo indietro. Gli succede Sonnino, ma il suo governo dura 3
mesi. Sale Luzzatti, che ha un programma avanzato di riforme in grado di guadagnarsi l’appoggio di
radicali e anche dei socialisti. Il movimento femminista è ai suoi albori, ma tutte le sue componenti sono
d’accordo nel richiedere il suffragio universale (tranne la cattolica). Esso non verrà varato, ma nel 1912 la
Camera vota il suffragio universale solo maschile, per un totale di 24% degli italiani.

1.7
Nel 1911 si festeggiano i cinquant’anni dell’Unità d’Italia, ma non tutti applaudono: 1 la Chiesa; 2 i socialisti
e i meridionalisti che riconoscono l’esistenza di due Italie. Il colpevole è sempre Giolitti, che non riesce più a
mantenersi al centro del sistema. Sia la monarchia socialista sia la destra conservatrice hanno fallito, ormai
sono i clericali a dare appoggio alla destra liberale, grazie a don Luigi Sturzo, il quale è più cauto di Murri.
Ma Pio X è sempre più contrario ad ogni tentativo di rinnovamento sociale: nel 1907 dichiara il modernismo
come dottrina contraria a quella cristiana; inoltre è più stretto il controllo sulle associazioni cattoliche.
Ciononostante Sturzo vuole creare un partito aconfessionale, perché la presenza cattolica in politica non
può più limitarsi all’accordo con i liberali, l’identità cattolica non può mascherarsi e i cattolici devono essere
cittadini a pieno diritto come i laici. Sturzo è consapevole anche che non può rimanere tutto nelle mani di
Giolitti, difatti diventerà un suo avversario. Pio X non capisce che la nascita di un partito cattolico potrebbe
mettere fine alla questione romana.

1.8
L’Italia sta preparando la sua espansione in Cirenaica e Tripolitania; nel 1908 sigla l’ultimo accordo (con la
Russia) a questo proposito. Nel caso della Libia, la conquista è in atto da anni senza aver trovato ostacoli
grazie al nulla osta internazionale. Ma ora avviene un’accelerazione: la guerra contro la Turchia diventa
inevitabile e viene decisa in segreto nell’estate 1911. Il corpo di spedizione italiano è formato da 35mila
uomini che riescono in ottobre ad occupare la maggior parte dei centri di Tripolitania e Cirenaica; a
novembre la Libia è posta sotto la sovranità piena del regno d’Italia. Nelle trattative di pace con la Turchia,
la Triplice riconosce il possesso italiano della Libia. Ma ciò non basta a ridare stabilità al governo di Giolitti,
perché passato l’entusiasmo rimangono i problemi di sempre, nonostante questa impresa sia gradita agli
imprenditori/banchieri, ai nazionalisti (moralità della guerra per rafforzare l’Italia), ai cattolici
(evangelizzazione) e ai proletari, che ora possono godere di altra terra italiana. I socialisti invece si
spaccano: c’è chi è a favore dell’impresa coloniale come Bissolati e Bonomi, detti i ministerialisti, che per
questo motivo verranno espulsi dal PSI e formeranno il PSRI. Un oppositore dei ministerialisti è Benito
Mussolini, antibellicista e estremista. Anche nella CGL ci sono correnti estremiste che si rifanno a Sorel e al
suo Sciopero generale e la violenza: dev’essere il sindacato il protagonista della lotta per la conquista del
potere attraverso scioperi e sabotaggi. Le elezioni del 1913 sono quindi molto tese. Il cattolico Ottorino
Gentiloni offre un sostegno massiccio dei cattolici ai liberali in cambio però di un patto a difesa di alcune
tematiche care ai cattolici. 228 deputati su 305 verranno eletti grazie al patto Gentiloni. La laicità dello
stato quindi è definitivamente compromessa. Hanno un piccolo avanzamento i socialisti e gli altri
progressisti, oltre che le forze nuove come i nazionalisti (hanno loro partito). Dopo pochi mesi il governo
Giolitti cade e chiude l’intera stagione giolittiana.

CAP. 2: LA GRANDE GUERRA


2.1
L’Italia è ancora il fanalino di coda degli stati europei. L’inquietudine che serpeggia tra i proletari pronti a
fare la rivoluzione è simile a quella dei piccolo-borghesi, alla ricerca di identità. Gli ideali democratici infatti
sono minoritari tra la popolazione. Nel giugno 1913 avviene la settimana rossa: inizia da una giornata di
lotta proletaria e continua in sette giorni, dove in molti comuni viene proclamata la repubblica. Dopodiché
rimangono solo polemiche. Ciò favorisce le forze antidemocratiche che fanno capo al nuovo capo del
Governo Salandra: lo schieramento comprende la destra tradizionale, ma anche quella moderna,
favorevole ai nazionalisti e ad un governo autoritario, tipo Germania gugliemina.

2.2
Il 28 giugno 1914 l’arciduca Francesco Ferdinando viene ucciso dall’anarchico Gavrìlo Princip; è l’inizio del
conflitto che durerà 4 anni e che sarà ancora più distruttivo a causa delle innovazioni tecnologiche. Non
sarà possibile percorrere la via diplomatica perché ci sono troppi conflitti tra nazioni.
L’Italia non è vista come un temibile concorrente, perché non ha risorse, eppure è grande la voglia di uscire
dallo stato di minorità e di essere accolti tra le grandi potenze. Quando esplode il conflitto l’Italia si dichiara
neutrale e Salandra riesce per un po’ a contenere gli scontenti e gli impazienti, sperando in un vantaggio
per il paese. Sono troppi i rischi per l’entrata in guerra: la sconfitta, l’invasione e la rivoluzione. Come
vantaggi si intendono miglioramenti nell’economia e anche ottenere le terre irredente. Non sono
d’accordo gli industriali e i banchieri che, poiché non riescono ad arricchirsi con la neutralità, vogliono
percorrere la strada dell’intervento, anche perché le potenze dell’Intesa (FR, UK e RUS) spingono per
l’entrata in guerra dell’Italia, al loro fianco. Significherebbe una montagna di commesse statali. Nel
frattempo si moltiplicano le rivolte della fame specialmente al sud, che spaventano l’opinione borghese: è
terreno fertile per la propaganda interventista, decisa a cavalcare questo scontento per rovesciare la
maggioranza giolittiana che condiziona Salandra. Essi vedono la guerra come un deus ex machina in grado
di mutare i destini degli italiani, e la presentano nel loro modo teatrale.

2.3
Il vate dell’intervento in guerra è il poeta Gabriele D’Annunzio, il quale ha su di sé anche l’eco della stampa.
Egli trova che la guerra sia il culmine della storia nazionale. Questa Italia giovane e antica si è risvegliata e
deve sconfiggere l’Italietta giolittiana vecchia. La guerra contro gli imperi centrali in nome degli ideali
patriottici trova concordi tutti, nazionalisti e democratici. Il grido di battaglia è Delenda Austria: bisogna
liberarsi dal dominio degli imperi autoritari che hanno trascinato l’Europa nella guerra. La vittoria degli
Stati democratici è garanzia di pace. Lo stesso grido vuol dire anche la conquista di Trento e Trieste, se non
dell’intero territorio asburgico. Tutto ciò rafforza la nazionalizzazione del popolo italiano, ma bisogna
capire se in senso democratico o autoritario. Accanto a questo, i nazionalisti sono anche potenzialmente
eversivi, perché sono molto violenti. Concetti analoghi arrivano anche a sinistra, specialmente tra i
transfughi del socialismo come Mussolini e De Ambris. Essi chiedono l’intervento in guerra come lotta di
classe: il proletariato contro gli imperi centrali e anche contro il governo italiano, che con la neutralità
contribuisce alla sopravvivenza degli Asburgo. Essi sono interventisti rivoluzionari, che inaspriscono lo
scontro politico: Mussolini ricatta la monarchia (guerra o rivoluzione).

2.4
L’11 agosto 1914 l’Italia si dichiara ufficialmente neutrale. Sono d’accordo il papa e i socialisti, che vedono
la guerra come un capriccio degli imprenditori che vogliono far combattere i proletari per i loro interessi.
Ciononostante, in Parlamento sono pochi i neutralisti, a cominciare dal re che non vuole rimanere isolato
nel contesto nazionale, ma che soprattutto crede che la svolta militarista sia un modo per portare
obbedienza e disciplina in Italia. Il generale Cadorna però ha dichiarato che l’esercito non è pronto per la
guerra, allora presenta delle richieste in caso di intervento a Parigi e Mosca, dopodiché Sonnino dialoga
con gli ex alleati; al silenzio di questi egli occupa Valona (Albania). La rottura sembra inevitabile, ma dopo
poco l’Austria propone un patteggiamento per la cessione del Trentino, ma siccome Salandra e Sonnino
vogliono puntare più in alto, decidono infine di intervenire in guerra a fianco di FR e UK, che stanno
vincendo. Resta da vincere la resistenza del Parlamento e l’arma adeguata è il movimento interventista,
ormai incontenibile. Ci sono degli scontri tra neutralisti ed interventisti, questi ultimi protetti dalle forze
dell’ordine. Il 7 maggio 1915 il governo approva il Patto di Londra firmato da Sonnino 11 giorni prima:
l’Intesa ha accettato le clausole italiane che vanno oltre la cessione di Trento e Trieste, fino a Istria e la
Dalmazia (no Fiume). Giolitti però consiglia a Salandra di rompere il patto con l’Intesa e di rassegnare le
dimissioni; il re non le accetta perché non vuole venire meno agli impegni presi. Nelle radiose giornate di
maggio D’Annunzio aizza gli interventisti di fronte a Montecitorio contr il vecchio Parlamento tramite
insulti rivolti ai neutralisti. Allora quando Salandra si ripresenta alle Camere, esse votano la propria
esautorazione e inizia il governo del re.

2.5
Il 23 maggio 1915 l’Italia dichiara guerra all’Austria, mentre nel 1916 alla DL. Vengono emanati decreti
restrittivi delle libertà, il paese diventa militarizzato. L’esercito è formato da un milione e mezzo, mentre
alla fine della guerra sarà di 5,700mila. Ma sono moltissimi anche i morti. Sugli altri fronti europei èè in atto
una logorante guerra di trincea a causa della tecnologia (carri armati, ecc). Le vittorie italiane sono ben
poche: dopo un anno si riesce a conquistare Gorizia, città bandiera dell’irredentismo, ma al costo di 20mila
morti. L’esercito non è motivato né entusiasta, non c’è modo di renderlo tale perché i sottufficiali sono
pochi e gli ufficiali non si mescolano alle truppe. E’ alto infatti il numero dei disertori. Tramonta la speranza
che sia un conflitto breve perché nel 1917 inizia il contrattacco degli austriaci: essi raggiungono molti
territori italiani, che cadono sotto il dominio asburgico. Il sogno dell’Italia-grande potenza si è infranto! La
rotta di Caporetto mette in ginocchio le armate. La colpa viene data alla teppa disfattista agitata dai
socialisti, che l’hanno spinta a tradire la patria. In realtà gli errori sono di Cadorna. Però si radica l’idea di
un’antinazione pronta a consegnarsi nelle mani straniere. Ciò esploderà in un’ondata di moti a Torino nel
1917.

2.6
Salandra e Sonnino sono consapevoli di non aver fatto nulla per dare uno sfondo ideologico alla guerra per
convincere l’opinione pubblica e questo costerà caro ai liberali che, dopo il conflitto, non sapranno
rilanciarsi: la gente è attratta solo dalla politica-spettacolo di D’Annunzio e Mussolini. A rompere il silenzio
ci pensano i volontari/e impegnati in assistenza e educazione ai valori nazionali, prevalentemente nelle
città. Infatti nel 1917 la crisi economica e la miseria invadono l’Italia: nella Venezia Giulia c’è anche chi
applaude all’arrivo degli austriaci cha scacceranno chi ha voluto la temibile guerra. Ancora, la rigidità nelle
fabbriche fa temere la rivoluzione, non solo in Italia. Il papa condanna la guerra e al suo appello si legano
tutti i cattolici, ancora più estranei allo stato. Gli interventisti si sentono isolati perché il conflitto non sta
portando alcun vantaggio: essi incolpano i neutralisti-socialisti, nemici della patria. Ci vuole un ricambio
totale nella classe dirigente, perciò la caduta di Salandra è inevitabile: gli succede Paolo Boselli nel 1916.
Dopo qualche tempo sale al potere Vittorio Emanuele Orlando: da questa crisi politica ne esce rinsaldato il
Fascio parlamentare di difesa nazionale i quali riescono a mettere fuori gioco i dirigenti socialisti nel 1918,
accusati di tradimento indiretto. Al contempo in Russia sta scoppiando la rivoluzione, quindi in Italia perde
eco la voce dei riformisti.

2.7
Per sollevare il morale delle truppe il governo vara provvedimenti a favore dei soldati e delle loro famiglie,
come licenze agricole, sussidi alle vedove e agli orfani. Si parla anche di concedere terre ai contadini.
Orlando intanto interviene sul piano militare e fa sostituire Diaz a Cadorna, il quale modifica la strategia
passando ad una tattica difensiva. Viene attuato anche il Comando unico interalleato, grazie al quale FR e
UK riescono a soccorrere gli italiani. Nell’ottobre 1918 Diaz sferra l’attacco finale contro le armate
austriache allo sbando; il 29 ottobre l’Impero asburgico chiede l’armistizio, il quale sarà firmato il 4
novembre. Nel frattempo gli italiani arrivano a Vittorio Veneto, da dove poi raggiungeranno Trento e
Trieste. Inizia così il dopoguerra. Il presidente americano Woodrow Wilson ha presentato al Congresso una
proposta riguardo il futuro dell’Europa, basato sulla libertà e sulla nazionalità: la nuova carta geopolitica
deve avere linee di nazionalità ben riconoscibili. Ma sarà un’utopia. Queste idee piacciono anche in Italia.
Durante le assise del Congresso dei popoli soggetti all’impero asburgico, è stato redatto un patto (patto di
Roma), affine alle teorie wilsoniane. Quindi sembra che in nome della nazionalità, tutti i paesi vogliano
rinunciare alle mire espansionistiche. Nel novembre 1918 Fiume viene dichiarata annessa all’Italia, mentre
è occupata anche da altri reparti. Questa vicenda durerà due anni.

2.8
L’Italia esce dal conflitto come una potenza industriale, che ha accelerato la modernizzazione. Ma la vera
ripresa dalla crisi economica sarà nel 1922. Si è formato un nuovo ceto medio occupato nei servizi, mentre
le donne iniziano ad assaporare la loro emancipazione, partendo dal vestiario fino al frantumarsi
dell’ordine secolare di sudditanza femminile. Nel 1919 viene emanata la legge che ammette le donne
all’esercizio di ogni professione, al pari degli uomini. Anche i reduci sono cambiati: molti hanno lasciato per
la prima volta il loro paese e la sofferenza della guerra li ha portati ad essere più consapevoli di sé e della
propria coscienza politica. Nasce l’ANC, i cui dirigenti sono esponenti interventisti di tutti i tipi, interessati
ad usare questa organizzazione come raccolta di consensi.
La vicenda di Fiume è ancora aperta. Wilson propone la nascita della Società delle Nazioni, molto popolare
in Italia. Si crede che Wilson non sia contrario all’annessione italiana di Fiume, anche perché è a
maggioranza italiana. Ma nel patto di Londra la città non è stata inclusa, e non si può fare alcuna rettifica: o
il Patto o Fiume. Bissolati propone di rinunciare al Patto in cambio di Fiume e Zara, ma solo Nitti lo
sostiene. I nazionalisti respirano il vento favorevole e riappaiono.

2.9
Essi si erano mantenuti defilati perché il clima wilsoniano era all’insegna della democrazia. Per loro la SdN
era sinonimo di passatismo, mentre i futuristi si organizzano in partito e lanciano un manifesto. E’ un
fronte rivoluzionar-sovversivo, il cui maggiore esponente è Mussolini, non più democratico. La Conferenza
di Pace si apre a Parigi e si nota subito lo scontro tra il nazionalismo italiano e quello jugoslavo, perché la
Jugoslavia pretende le medesime città degli italiani. Wilson allora propone un compromesso: la rinuncia a
Fiume e un accordo per l’Istria e la Dalmazia. Orlando rifiuta. In molti sono convinti che la vittoria italiana
sia stata mutilata! Gli interventisti, ma anche le forze armate, cresciute di numero a causa della guerra,
sono a favore di un colpo di mano a Fiume, guidato da D’Annunzio. Il 10 settembre 1919 l’Austria firma un
trattato di pace e consegna all’Italia il Trentino, l’Alto Adige, Venezia Giulia e Istria, ma non Fiume. Due
giorni dopo il poeta e un manipolo di arditi arriva alle porte della città. I fiumani lo accolgono e egli dichiara
l’annessione di Fiume all’Italia. Nitti, ora presidente del Consiglio, sconfessa quanto fatto da D’Annunzio.
Nel novembre 1920 Italia e Jugoslavia firmano il trattato di Rapallo che aggiusta a favore dell’Italia i
confini. Fiume viene dichiarata autonoma, ma per allontanare il poeta ci vorranno i cannoni.

CAP. 3: IL CROLLO DEL SISTEMA LIBERALE


3.1
L’Italia uscita dal primo conflitto mondiale non era quella che Giolitti conosceva. La stabilità che egli aveva
costruito si basava su elementi troppo fragili e il sistema politico stesso si era inceppato al momento di
garantire l’alternanza tra maggioranza ed opposizione. Queste proprio non esistevano a causa della pratica
trasformistica. Da sempre in Italia governavano i liberali, ma dopo la guerra essi si scompongono rendendo
il sistema più ingovernabile. E’ necessario un cambiamento radicale: verrà introdotto il proporzionale al
posto dell’uninominale. Questa legge elettorale però giova ai partiti di massa, ovvero PSI e PPI, perché
vengono meno i legami clientelari, favoriti dal precedente sistema. Alle elezioni del 1919 la sconfitta dei
liberali è inevitabile. Il Parlamento quindi si rinnova con 300+ nuovi deputati su 508. I liberali non possono
governare, ma non possono nemmeno i socialisti o i popolari. Bisognerebbe fare un accordo popolari-
liberali, ago della bilancia, anche se questa scelta piace pochissimo.
Il PPI è nato nel 1919 già con i connotati di partito di massa ed è guidato da don Luigi Sturzo. Era un partito
aconfessionale ma ispirato ai valori del cattolicesimo. Sturzo ha dovuto superare le diffidenze del Vaticano,
dove una democrazia non veniva vista di buon occhio perché sinonimo di sovversione, mentre il sacerdote
era convinto che fosse necessaria in Italia. Tuttavia piuttosto che privarsi di ogni potere riguardo gli affari
interni del regno, Benedetto XV preferisce appoggiare Sturzo. Infatti nel 1919 abolisce il non expedit. Oltre
al PPI, le associazioni cattoliche si erano organizzate nel CIL, quindi sulla scena politica erano già presenti i
cattolici. All’interno del partito ci sono 3 correnti: 1 cattolici-liberali, 2 conservatori-clericali, 3 cristiano-
sociali. Questi ultimi sono in contrasto con i valori del liberalismo; essi propongono una terza via tra
socialismo e capitalismo, ovvero nuove istituzioni che abbiano al centro il lavoro umano sindacalmente
organizzato. Le leghe bianche infatti sembrano ancora più agguerrite di quelle rosse!

3.2
La frattura masse-nazione è ancora aperta e profonda. Nel 1919 ci sono moltissimi problemi: nel 1918
l’epidemia di influenza spagnola, il malcontento dei proletari che avevano combattuto, lo sviluppo
industriale straordinario che aveva portato alla diminuzione della produzione agricola, l’inflazione. I moti di
protesta partono dalla Liguria e arrivano in tutta la penisola, mentre braccianti e salariati dichiarano guerra
al vecchio potere agrario, occupando le terre e lavorando abusivamente. Infatti a chi ha fatto la guerra
sembra scontato il diritto alla terra e sono proprio i reduci che animano le occupazioni. I proprietari sono
costretti ad atti di sottomissione di fronte alle vittorie contadine. Un esponente popolare teorizzava un
populismo contadino, basato sulla diffusione della piccola proprietà contadina; egli aveva molto successo
nelle masse, infatti si parla di arditi bianchi.
Anche in fabbrica le lotte si inaspriscono e ogni pretesto è valido per iniziare uno sciopero. Torino sembra
diventata il laboratorio della rivoluzione: qui operano Gramsci e Tasca con la loro rivista Ordine Nuovo, che
piace a certe frange estremiste del sindacato; ancora una minoranza, perché il resto è ancora riformista. Gli
operai vogliono sovvertire l’intero ordine della società, ancora rigorosamente classista anche a livello di
ricchezza. Il conflitto è altissimo, tutti sono convinti che stia per scoppiare la rivoluzione bolscevica. Sia
Nitti sia il suo successore Giolitti sperano in un esito pacifico, ma quando la CGL decide di non demordere
con le sue rivendicazioni, allora Giolitti si muove e ordina la fine delle occupazioni delle fabbriche. Gli stessi
sindacati decidono per la linea non rivoluzionaria.

3.3
Le occupazioni dell’agosto-settembre 1920 sono l’apogeo del biennio rosso, mentre alle elezioni del 1919
nelle zone dove è stata alta la conflittualità il PSI raccoglie un sacco di voti. Ciononostante, non è stato
possibile organizzare la rivoluzione: c’era l’intenzione, c’erano gli uomini ma non le armi e nemmeno un
effettivo piano. Inoltre, è solo una frazione che risponde all’Ordine Nuovo, gli altri si attengono alla linea
riformista-non rivoluzionaria della CGL, e gli stessi dirigenti socialisti non se la sentono di guidare la
rivoluzione. Essi pensano di rinviarla, ma in realtà è la fine del sogno.

3.4
A risvegliarli dal sogno provvedono i fasci di combattimento, fondati da Benito Mussolini nel 1919 e
contenenti le frange più eversive dell’arditismo e del futurismo. Essi vogliono sconfiggere il nemico interno
socialista: allora Mussolini dal suo giornale, il Popolo d’Italia, chiama a raccolta la giovinezza per fare la
rivoluzione. Solo i fasci infatti possono parlare di rivoluzione: è cominciata nel 1915, continuata con la
guerra e ora in pieno svolgimento. Il 23 marzo viene anche stilato il programma dei Fasci, che è confuso,
ma trasgressivo. Ad alimentarne le fila sono soprattutto i giovani. Nell’aprile 1919 un corteo socialista e
uno fascista si scontrano: è il primo atto della guerra civile, ma il nuovo movimento non viene preso sul
serio. Infatti piano piano scema l’interesse verso Mussolini, mentre la popolazione è stanca del
permanente disordine. Però egli è deciso ad ottenere una base di massa e sa dove puntare: i proprietari
terrieri e gli industriali covano odio perché sono stati battuti dai contadini. Un accenno di reazione si
verifica nel sud dove alcuni di questi si fanno giustizia da soli. Ma questa soluzione non può essere
esportata al nord, allora ecco che si palesa l’aiuto dei fasci anche nelle campagne. I socialisti stanno
arretrando anche perché si stanno esaurendo le agitazioni. E’ proprio dalla rossa Bologna che i fasci
partono per le controffensive, sparando. L’opinione pubblica guarda con favore ad essi perché hanno il
coraggio di fronteggiare i rossi; ciò avviene specialmente nei ceti medio-piccoli che sognano la riscossa
borghese. Essi non sono patrioti, semplicemente non vogliono perdere il loro status. Non hanno mezzi per
difendersi come invece li hanno i proletari. Nenni infatti parla di errore fatale fatto dai socialisti, ovvero
l’aver respinto i ceti medio-piccoli: si sono autopuniti. Lo squadrismo si diffonde ed aiuta il movimento di
mussolini tramite la violenza armata. Dalle città partono le spedizioni punitive. A fornire gli strumenti
(camionette, pistole) sono gli industriali. Lo squadrismo assume i caratteri peculiari di ciascuna zona ed è
guidato dai ras, capi dei piccoli gruppi.

3.5
Al governo è salito nuovamente Giolitti, perché Nitti non ha sostenuto l’attrito delle agitazioni sociali e dei
fermenti patriottici. E’ diventato simbolo della vittoria mutilata. Giolitti si circonda di personalità diverse
(radicali, socialriformisti ecc) e sembra riuscire a mettere d’accordo tutti. Egli cede a dare spazio politico ai
fascisti, basta depurarli della carica sovversiva per sostituirli ai popolari. Ma è un errore di valutazione
enorme, perché Giolitti non capisce che la violenza è alla base del fascismo. Nel 1921 l’evoluzione
democratica dello stato liberale sembra ancora possibile, ma egli sceglie il compromesso con Mussolini,
che sarà fatale. Questo anche perché il padronato applaude alle gesta dei fasci e ciò condiziona Giolitti, il
quale inoltre accetta di cedere il monopolio della forza dello Stato alla milizia costituita dai fasci. Forse
l’alibi è il fatto che la violenza ormai fa parte della società italiana, prima con la guerra e poi con il biennio
rosso.

3.6
Nel gennaio 1921 si consuma la scissione della frazione comunista nel congresso di Livorno: essa infatti
esce dal PSI per votarsi alla causa di Mosca, mentre il partito originario rimane fedele alla linea pacifista-
democratica. Nasce il Partito Comunista d’Italia (PCDI), sezione della Terza Internazionale. Lenin ormai
non crede più nella rivoluzione ad Occidente, però vuole comunque creare una rete di PC fratelli. Turati
denuncia questo nazionalismo russo da cui bisogna difendersi. La scissione è pesante, anche se sono pochi
gli aderenti al PCDI inizialmente. Lo squadrismo diventa fortissimo nelle città, dove dà vita a battaglie
anche di 4 giorni (Firenze). L’incapacità di reagire di fronte a questi attacchi sta nella sottovalutazione delle
offensive: i leader socialisti sono paralizzati di fronte ad esse, non solo ideologicamente ma anche
concretamente perché i carabinieri sono dalla parte dei fascisti e quindi i socialisti non possono fare molto.

3.7
Tra i vantaggi accumulati dai fascisti c’è quello di entrare in Parlamento dei blocchi nazionali, al fianco di
esponenti liberali. Nel 1921 il clima è inquinato dagli squadristi, ciononostante Giolitti indice elezioni
anticipate, convinto che la parlamentarizzazione del fascismo possa risolvere tutti i problemi, anche quello
della violenza. Inoltre la vittoria dei liberal-fascisti potrebbe garantire a lui una maggioranza forte. Si
sbaglia. Mussolini è contento della possibilità offertagli: può gestire sia l’aspetto legale sia quello violento,
le liste hanno come emblema del fascio littorio e i suoi membri sono tutti liberali contro Giolitti. La
campagna elettorale è violentissima, con 100 morti. Molto rumore per nulla: i vincitori sono ancora i
popolari e i liberali, il presidente del Consiglio è Bonomi, mentre i 35 deputati fascisti non vogliono farsi
parlamentarizzare, lo stesso duce non vuole rassegnarsi. Deve ancora alternare camicia nera e doppio
petto.

3.8
L’equilibrio politico in Parlamento si è spostato a destra: rappresenta un muro invalicabile anche da
Bonomi che non riesce ad imporre la sua forza per riportare l’ordine. Nel 1921 i fasci di combattimento si
trasformano in partito: nasce il PNF, uno strumento che Mussolini riesce a governare meglio, limitando il
potere dei ras. Nasce inoltre il sindacato fascista, al quale gli operai si iscrivono più per paura. Tuttavia,
Mussolini vuole arrivare al potere con il consenso della piccola borghesia e di tutti coloro che stanno
cercando un nuovo canale rappresentativo. Ad allarmare il leader fascista è la nuova organizzazione degli
altri schieramenti: da un lato la Democrazia, dall’altro il PLI. Ma egli dispone di alleati anche tra i liberali. Il
nuovo papa Pio XI apre al fascismo. Nel 1922 alla caduta del governo Bonomi, Sturzo blocca la candidatura
di Giolitti. Il suo veto rappresentava l’ultima occasione per fermare l’avvento al potere dei fascisti, ma
nessuno l’aveva intuito. Il nuovo esecutivo viene varato da Facta, un popolare, a cui i fascisti danno il loro
appoggio. Ciò significa un nulla osta alla violenza squadrista, che ancora una volta spezza il paese. Facta
allora si dimette, Turati si propone al re come sostenitore di un governo liberale e legittimo, Facta vara un
secondo esecutivo, ma ciò causa due giorni di scioperi che i fascisti riescono a contrastare con la violenza.
Dopodiché Mussolini ordina la smobilitazione delle squadre, perché i nemici da abbattere sono in
Parlamento. Egli vuole alimentare ancora l’illusione della parlamentarizzazione, ma il 24 ottobre 1922
Mussolini chiede la presidenza del consiglio, minacciando in caso contrario la rivolta delle squadracce. Il
piano della marcia su Roma scatta immediatamente: nonostante lo spiegamento di forze, la minaccia
squadrista è militarmente limitata e il regio esercito non avrebbe avuto problemi a stroncarla. Eppure il re
non firma lo stato di assedio: Vittorio Emanuele sceglie il compromesso e nomina Mussolini presidente del
Consiglio, spinto dall’illusione della parlamentarizzazione. Egli vara un esecutivo in cui ha anche l’interim
dell’Interno e degli Esteri, inoltre ci sono 3 fascisti, 2 militari, 2 popolari e 6 liberali. La stragrande
maggioranza dei deputati vota la fiducia.

CAP. 4: LA NASCITA DELLA DITTATURA


4.1
Il 10 novembre 1922, prima ancora di presentarsi in Parlamento, Mussolini abolisce alcune leggi, che gli
garantiscono il pieno appoggio degli industriali. Scompaiono scioperi e manifestazioni, mentre la
Confindustria riconosce le corporazioni fasciste come controparte privilegiata, anche se ancora non si parla
di monopolio sindacale fascista. La prima manovra del duce è la lotta al deficit del bilancio dello stato,
arrivato a 3 miliardi £. In un anno viene ridotto a 700 milioni. Ciò produce una nuova immagine dell’Italia: in
presa ripresa economica, un mercato appetibile. Ma si finge di non vedere l’altra faccia della medaglia,
ovvero il volto liberticida del regime.

4.2
Dal dicembre 1922 fino al 1923, le violenze squadriste aumentano, nonostante le iniziative normalizzatrici
di Mussolini, che gli servono per fermare la violenza ma anche per migliorare la propria immagine: lo
scioglimento delle squadre d’azione è stato decretato nel gennaio 1923 dal nuovo organo, il Gran Consiglio
del Fascismo, mentre gli ex squadristi dovrebbero confluire nella Milizia VSN. Già nel 1923 il PCDI vive in
semiclandestinità, mentre il PPI si mostra diviso di fronte al problema fascismo-autonomia dalla chiesa.
Infatti, il Vaticano ha già visto come interlocutore ideale per difendere gli interessi religiosi Mussolini
(uomo della Provvidenza); inoltre lo stesso cardinale Gasparri massacra nel 1926 il PPI, perché invita i
cattolici a non mescolarsi a partiti politici. Inoltre nel 1923 gli squadristi prendono di mira l’area liberal-
democratica, tra cui Nitti e Amendola. Essi infatti si erano opposti alla legge Acerbo, che prevedeva un
premio di maggioranza dei 2/3 dei seggi alla lista che otteneva il 25% dei voti. Su queste elezioni si gioca la
sopravvivenza del sistema liberale.

4.3
La legge Acerbo (maggioritario) è di importanza vitale per i fascisti, ancora deboli in Parlamento con 35
deputati, in quanto la sopravvivenza del governo Mussolini è data dai suoi alleati, liberali e popolari.
Bisogna privarli del loro potere prima delle elezioni. La classe dirigente liberale perde un’occasione per
evitare la distruzione del sistema politico. Ma ciò è dovuto anche alla debolezza dei liberali, che non hanno
una struttura moderna, e alla necessità di allargare le basi del consenso al governo. Per questo motivo
sono stati accolti i fascisti. Nel 1924 la lista del fascio littorio presenta anche esponenti della destra liberale-
nazionalista ma anche liberalisti. Amendola definisce tutto ciò un vero e proprio cancro all’interno del
sistema. Egli crede che bisogna coinvolgere il paese per contrastare il fascismo; allora egli crea nel 1924
l’Unione nazionale, un nuovo movimento. Amendola ritiene che bastino quei pochi deputati fedeli ai valori
liberalisti a conquistare la base di massa dei cittadini senza tessera, e in particolare i ceti medi. La
controffensiva deve partire dal Sud dove i fascisti, PPI e PSI sono deboli, quindi c’è un grande bacino di voti
a cui attingere. Si parla di Rivoluzione meridionale, come rivoluzione democratica. Però solo una minoranza
aderisce ai democratici di Amendola: gli altri si scoprono affascinati dal fascismo, anche al sud, in cui la
pratica del trasformismo ha portato al sostegno del nuovo potente, il duce. I ceti medi infatti chiedono un
veicolo nuovo per imporsi come nuovo soggetto politico, per questo hanno creduto al fascismo, ma al
contempo Mussolini sta stringendo accordi con le forze reazionare che contrastano con l’impeto borghese.
Alla fine rimangono fedeli a Mussolini perché comunque sta vincendo; Amendola invece appartiene al
vecchio mondo. In vista delle elezioni del 1924, gli squadristi si mettono all’opera e conquistano anche il
Centro e il Sud. La lista fascista ottiene il 64,9% dei voti e, con il premio, ottiene 375 deputati. Di questi, 275
sono iscritti al PNF e vengono dalla media-piccola borghesia. E’ la prova de il ceto medio al potere. Le
opposizioni hanno solo 161 parlamentari. Ma a far vincere Mussolini è il paese meno politicizzato, ne deriva
che il fascismo è nato e cresciuto nel Nord, ma si consolida e va al potere grazie ai voti del centrosud. Il
socialista Matteotti denuncia le violenze e i brogli della campagna elettorale, chiedendo di invalidare le
elezioni. Sarà messo presto a tacere: verrà ucciso da un commando squadrista il 10 giugno 1924.
4.4
I socialisti non hanno dubbi sullo svolgersi dell’avvenimento. Tutte le opposizioni si uniscono in un
comitato per la difesa della legalità. Tutto ciò dura sei mesi, dopodiché il regime verrà avviato alla
dittatura. Ma sono anche i mesi più duri per il fascismo perché per la prima volta gli antifascisti riescono a
scuotere il paese. Non è facile quindi convincere i senatori della piena costituzionalizzazione del fascismo,
ma Mussolini riesce comunque ad ottenere la fiducia delle due Camere. Il 27 giugno i gruppi delle
opposizioni si ritirano sull’Aventino delle loro coscienze (Turati), ovvero si impegnano a non partecipare ai
lavori della Camera finché non ci sarà un nuovo governo e non ci sarà piena legalità nel paese. Mussolini li
ignora e vuole che tutto il paese li ignori. Infatti censura i giornali che danno loro eco e restringe la libertà di
stampa (1923). Amendola, capo dell’Aventino, rifiuta il ricorso alla piazza, impaurito dalla vendetta
squadrista, mentre vorrebbe convincere i liberali ad abbandonare Mussolini, innescando un effetto a
catena. Quando si riapriranno le Camere, i comunisti abbandonano l’Aventino, mentre gli altri continuano
lo sciopero parlamentare. Qualcosa si muove a loro favore, ma il 3 gennaio 1925 Mussolini proclama di
essere il mandante dell’omicidio Matteotti. L’eliminazione fisica degli avversari è il mezzo preferito dai
fascisti. Da questo 3 gennaio il sistema liberale crolla, inizia la dittatura: il duce dice che userà la forza per
raggiungere i suoi obiettivi, vengono controllati circoli e gruppi sospetti, infine vengono promulgati molti
decreti lesivi delle libertà. Solo il re sarebbe in grado di fermare la morsa della rete fascista, ma egli tace
anche di fronte alle richieste dell’Aventino. Per questo sarà fatto fuori nel 1946. Da un lato egli vuole
evitare la rivolta degli squadristi di fronte alle dimissioni coatte del duce, o una guerra civile, dall’altro non
ha fede nella classe dirigente liberale. Lo pensano anche gli antifascisti.

4.5
Lo scontro tra il partito della piazza e quello delle istituzioni ha un peso importante, perché i più giovani
vogliono passare all’azione, mentre i vecchi non sono riusciti a fermare la marcia su Roma. Entrambi però
si convincono che sia necessario resistere. Ma sarà difficile perché quando il giovane anarchico Anteo
Zamb0ni attenta alla vita del duce è l’occasione giusta per mettere fuori legge le opposizioni. Infatti tra il
1924-26 i maggiori esponenti antifascisti scompaiono, vanno in esilio o in carcere (Gramsci), colpiti dalle
leggi per la difesa dello Stato. Viene istituita l’OVRA, una polizia speciale per controllare la popolazione.
L’Italia è diventata uno stato di polizia. Inoltre Mussolini proclama che chi vuole fare parte del governo deve
assolvere il fascismo e il suo capo da qualsiasi responsabilità col delitto Matteotti.

4.6
La battaglia del grano inizia nel 1926. Se gli imprenditori sono ancora tentennanti di fronte al fascismo,
rompono ogni resistenza quando aumenta nuovamente la conflittualità nelle fabbriche, la quale viene
sedata dagli squadristi e così gli industriali possono mantenere il loro potere. La democrazia ha dato
troppa libertà al paese, meglio quindi una dittatura. Nel 1925 la Confindustria e le corporazioni fasciste
siglano un patto con il quale si riconoscono esclusive rappresentanti delle rispettive parti. Viene vietato lo
sciopero. Con la Carta del Lavoro vengono completate queste disposizioni: non c’è più spazio per altri
sindacati. Il cedimento degli industriali spiana la strada al fascismo, anche tramite i quotidiani nazionali che
essi controllano, che diventano tutti filofascisti. Inizia il problema della cultura: il fascismo vorrebbe
l’appoggio degli intellettuali per eliminare quel marchio di incompatibilità tra intelligenza e fascismo,
diffuso anche tra la popolazione. Nel 1925 viene promulgato il Manifesto degli intellettuali fascisti, che
testimonia la fede del fascismo nella cultura. Dopo pochi giorni invece viene la risposta di B. Croce, il quale
redige il Manifesto degli intellettuali antifascisti, che contiene firme più autorevoli. E’ l’ultimo sussulto
dell’intelligentia italiana. Viene anche redatta l’Enciclopedia, che deve contenere tutto il sapere della
nuova Italia, viene aperta l’Accademia d’Italia, ma l’obiettivo del duce non è l’arte di stato, bensì avere solo
il controllo sugli intellettuali.

4.7
La corrente novecentista si muove in sintonia con il regime (rivista 900). Le opere di questi artisti emanano
un bisogno d’ordine. La loro collaborazione al fascismo è passiva ma in ogni caso utile.
Nasce nel 1924 l’Istituto LUCE, che fa propaganda al fascismo per l’educazione degli italiani. E’ il primo
passo verso la cinematografia, in quanto il duce preferisce la radio e vuole che essa entri in tutte le case
degli italiani. L’ascolto collettivo viene organizzato nei Dopolavoro, che hanno sostituito bar e altri circoli.
Ci sono associazioni anche per altre categorie della società: i bambini si iscrivono ai Balilla, mentre anche la
scuola è entrata nel mirino della fascistizzazione. Viene adottato un testo unico e gli insegnanti devono
fare giuramento di fedeltà al fascismo. Inoltre il fascismo si spende in attività assistenziali come per la
maternità e l’infanzia, o per le assicurazioni sul lavoro, aspetti tralasciati dai precedenti governi. In questo
modo si mette in modo la macchina del consenso. L’ultimo passo è siglare un accordo con il Vaticano.

4.8
Il processo di conciliazione era già stato avviato tempo prima quando Mussolini si era garantito l’appoggio
del papa per la conquista del potere. Per quanto riguarda i cattolici, per loro non era facile essere anche
antifascisti. Infatti, molti popolari avevano abbandonato l’Aventino e si erano sottoposti al duce, mentre
altri come De Gasperi sono finiti in prigione. E’ una contraddizione man mano che i rapporti tra regime e
Vaticano si stringono, infatti il duce è disposto a fare molte concessioni, ma senza toccare
l’associazionismo cattolico che era appannaggio dei popolari che avevano rinunciato alla politica. In un
primo periodo però, dopodiché gli se ne sbarazzerà.
L’11 febbraio 1929 sono firmati i Patti Lateranensi e il Concordato, che mettono fine alla questione romana.
E’ un successo decisivo, che consente anche a tutti i cattolici di essere partecipi della vita dello stato. Ma
l’antifascismo cattolico continua a sostenere che questi accordi non significhino la benedizione del papa al
regime, perché i loro valori sono antitetici. Tuttavia i cattolici sono più avvantaggiati degli altri antifascisti
perché sono ancora a contatto con le masse italiane. Sarà un apporto decisivo nel 1943.
Il sostegno del pontefice al duce si basa anche sul fatto che il duce supporta una campagna antimoderna,
tramite la battaglia del grano, il rilancio di un paese contadino e la battaglia demografica lanciata nel 1927.
Le donne sono quindi disilluse dal fascismo in cui avevano sperato per l’emancipazione (nel programma del
1919 aveva presentato anche il voto femminile): ora vuole rafforzare l’identità maschile e lasciare le donne
a crogiolarsi nel loro istinto materno. Anche rilanciando il trinomio Dio, patria, famiglia, è impossibile
fermare le trasformazioni innescate dallo sviluppo economico.
Nel 1927 un nuovo sistema elettorale ha sostituito la legge Acerbo e prevede un collegio unico nazionale e
una sola lista di candidati preparata dal Gran Consiglio: gli elettori devono scrivere un sì o un no. E’ un
plebiscito per il fascismo: 98,4% di sì.

CAP. 5: LO STATO TOTALITARIO


5.1
Nel 1929 la borsa di Wall Street crolla e anche in Europa arriva il vento di crisi. In Italia le conseguenze si
sentono solo a partire dal 1930, con i primi fallimenti e la crescita della disoccupazione, dopo la crescita del
1928-29. Mussolini continua a difendere la sua politica della quota 90, ovvero 90 lire per 1 sterlina, che
serve anche a rilanciare l’Italia come interlocutore economico. Questa politica inizia nel 1926, con
l’austerità. La deflazione ridà potere d’acquisto agli stipendi e rivaluta i risparmi della piccola borghesia:
essa è la base di massa del fascismo, perciò bisogna salvaguardare il loro status quo. Nel 1928 inoltre viene
avviala la bonifica integrale delle zone paludose. L’intervento dello stato è massiccio in questo periodo: il
duce proclama i principi dello Stato corporativo: tutto nello stato, niente al di fuori dello stato. La Carta del
Lavoro contiene tutte le libertà degli industriali nella conduzione delle aziende. Vengono impiantate le
fondamenta per un capitalismo di stato perché il regime acquisisce importanti partecipazioni azionarie fino
al 21% del capitale di tutte le s.p.a. italiane. Grazie a questo intervento si riqualifica l’apparato industriale.
E’ dall’altro lato una contraddizione tra i due aspetti del fascismo: di base reazionario, ma che favorisce la
modernizzazione, che porta all’omologazione con gli altri paesi europei. Basandosi su questo binomio, gli
osservatori stranieri pensavano che una dittatura fosse il sistema più adatto a governare gli italiani,
arretrati e deboli. Ma lo scoppio del fascismo non può essere inscritto solo nella situazione italiana, perché
altri regimi autoritari stavano salendo al potere in altri stati europei. Ma se il mondo agrario era idolatrato
sia dal regime sia dalla Chiesa, perché potenziare l’industria? Per garantire continuità con il passato, ma
anche perché nel fascismo c’era un’anima moderna che voleva rinnovare l’economia italiana.

5.2
Nel 1930-32 si verificano delle astensioni dal lavoro, che vengono ora facilmente sedate ora duramente
represse. Tuttavia gli operai credono che sia venuto il momento della rivoluzione, ma la paura del regime e
l’assenza dei capi socialisti rende ciò impossibile. Inoltre gli operai non riconoscono i sindacati fascisti che
non fanno i loro interessi, impotenti di fronte ai padroni. La rete clandestina di oppositori si è già creata,
ma è difficile mantenersi in contatto con essa perché il fascismo arriva ovunque.

5.3
Nonostante la crisi economica sia dura, il regime fa di tutto per andare verso il popolo attraverso opere di
assistenza: nascono i dopolavoro, vengono erogati sussidi che però sembrano non bastare mai. Ma questa
generosità vale al regime molti consensi; nasce il mito del duce, uomo del popolo, mentre i gerarchi sono
tra la gente. Anche se è tramite la propaganda che si crea questa immagine. Viene creato il Commissariato
per le migrazioni, incaricato del collocamento dei disoccupati: nell’Italia fascista nessuno deve rimanere
senza lavoro, macchierebbe l’immagine di un paese sereno e laborioso, e sarebbe un potenziale di
criminalità. Aumenta l’urbanizzazione nelle zone bonificate (Littoria, città ideale fascista).
Vengono riaperte le iscrizioni al PNF, perché per qualsiasi attività era necessaria la tessera. Poiché il
fascismo si è tramutato in stato, non era più un partito vero e proprio. C’è anche un calendario fascista che
conta gli anni a partire dalla rivoluzione, ovvero la marcia su Roma del 1922. Al partito si preferisce una
milizia, la MVSN. Alle elezioni del 1934 è un secondo plebiscito per il fascismo: 99,84% di sì.

5.4
Gli antifascisti sono scoraggiati da questi risultati: Terracini è il primo a rendersene conto, perché molti altri
vivono nell’inderogabile sogno di rivoluzione e nell’assoluta fedeltà al Comintern di Stalin. Nel 1927
Togliatti viene indicato come segretario del PCI, responsabile del coordinamento del centro estero, di
direzione ideologica e politica (nessuna alleanza con i socialfascisti), e del centro interno, ovvero la rete
clandestina, che però viene presto tutta arrestata. Il socialfascismo segna il punto più alto del contrasto nel
socialismo italiano ed europeo. Inoltre le purghe staliniane arrivano fino in Italia, dove vengono esplusi i
trotskijsti. Il PSI e il PSU si riunificano ed entrano nella famiglia delle socialdemocrazie. Inoltre nel 1929
nasce il movimento Giustizia e Libertà, che sostiene il socialismo liberale (Rosselli 1930), ovvero una società
repubblicana con un’economia mista. Nonostante le diverse iniziative, viene meno il grande evento in
grado di scardinare il fascismo: nemmeno i giornali parlano degli oppositori, perché non è pensabile che un
italiano avversi il regime.

5.5
Anche chi si opponeva passivamente al regime finisce per esserne travolto: infatti, non si poteva separare
vita pubblica e vita privata, in quanto il fascismo le invadeva entrambe al fine di dare a tutti gli italiani la
comune identità di fascisti. E’ la trasformazione in stato totalitario. Mussolini fa di tutto per incoraggiare la
resa degli oppositori, anche rilasciando condoni: è una prova di forza. Infatti il fascismo è ormai
stabilmente al potere e la lotta antifascista sarà lunga, di posizione. Il duce non ha convinto solo gli ex
socialisti con lo slogan andare verso il popolo, ma anche i ceti medio alti che lo vedono come abile uomo di
stato, infine le potenze straniere apprezzano il suo stile. Egli aveva stretto accordi con altri stati europei
come Jugoslavia, Ungheria e anche URSS, ricevendo il merito di paese affidabile. Quando sale al potere
Hitler in Germania, tutte le potenze europee sono preoccupate dal risveglio della stessa; Roma, Vienna e
Budapest siglano un accordo per la pace. Ma questo proposito fallisce perché nel 1935 inizia la guerra in
Etiopia, che porterà alla stabile alleanza IT-DL.

5.6
L’attributo della potenza non può essere che la guerra, è proprio nella definizione di fascismo. Il fattore che
concorre a questo cambiamento principalmente è l’avvento di Hitler, che scombussola il quadro europeo.
Già Rosselli capisce che i due dittatori stringeranno amicizia, e da questa ci si deve aspettare solo guerra.
Le mire espansionistiche verso l’Etiopia erano già rese note nel 1928 nell’accordo di collaborazione italo-
etiopico, ma il duce vuole l’annessione. Un altro fattore è la necessità di rispondere ai problemi nati con la
crisi economica, specialmente alla disoccupazione. La guerra sarà condotta con brutalità e le nazioni
europee provvederanno con sanzioni leggere, che però il duce fa passare come pesanti per far credere agli
italiani che il loro sogno di terra è stato soffocato dalle vecchie nazioni plutocratiche. Solo chi si trova
all’estero capisce che l’Etiopia è un passo falso, che non ci sarà terra per i contadini. Avviene la giornata
delle fedi, per dare l’oro alla patria. Nel febbraio 1936 Haile Selassie è costretto a fuggire perché gli italiani
sono arrivati ad Addis Ababa. Vittorio Emanuele viene incoronato imperatore d’Etiopia. Il consenso è al
culmine. Mussolini stringe un patto con UK per mantenere questo status quo nel Mediterraneo: è l’inizio
della politica dell’apeasement, quello che il Fuhrer e il duce interpreteranno come un nulla osta. Nella
visione di Mussolini, è finita l’epoca di FR e UK, la democrazia non ha funzionato ed è arrivato il momento
dei regimi rivoluzionari. Tuttavia fino al 1940 non c’è alcuna rottura con i due paesi. Ma dal 1936 i rapporti
internazionali procederanno a passo doppio: IT-DL, UK-FR.

5.7
Nel 1936 in Spagna scoppia la guerra civile aizzata dal generale Francisco Franco, contro il governo
repubblicano a guida socialista. Siccome esso non demorde, Franco chiede aiuto ai dittatori nazifascisti,
contenti di aiutarlo. Si apre uno scenario che anticipa quello della Seconda guerra mondiale: da un lato i
regimi dittatoriali, dall’altro le potenze democratiche e l’URSS, che si impegna in primo piano a difesa dei
socialisti spagnoli. Tuttavia, UK e FR rimangono passive in questo conflitto. E’ importante anche per far
riemergere gli antifascisti: comunisti e socialisti rinnegano il socialfascismo e stringono un patto di unità
d’azione. Molti antifascisti italiani vanno a combattere come volontari in Spagna, ma invano, perché le
truppe di Franco sono molte di più. Due anni di combattimenti (1936-38) porteranno alla vittoria del
dittatore. Oltre a questi volontari, sono pochi i fascisti convinti che combattono per Franco: la guerra
spagnola non suscita alcun entusiasmo negli italiani, i quali sostengono il regime solo per le sue politiche
assistenziali e per la pace interna. Inoltre, essi capiscono che questo è stato un piccolo assaggio di ciò a cui
Hitler pensa. Infatti il regime sarà anche andato verso il popolo, ma rimane di base reazionario, pronto ad
allearsi con i potenti.

5.8
Il dissenso che inizia a germogliare è ancora troppo poco per essere significativo. Infatti Vaticano,
monarchia e mondo economico sono ancora fedeli al duce e sono favorevoli alla svolta totalitaria. Essa va
inscritta nell’alleanza con la Germania, perché si sta accelerando l’omologazione del fascismo al nazismo.
Infatti, se Hitler ha reso il nazismo subito Stato, Mussolini l’ha fatto dopo 15 anni, quando il suo potere era
ben saldo, ma senza comunque raggiungere la fascistizzazione integrale. Nel 1937 viene creato il
Minculpop, mentre nel 1939 Bottai pubblica la Carta della Scuola e si intensifica la battaglia contro
l’influenza straniera: questi provvedimenti servono per dare l’impronta fascista alla cultura e all’istruzione.
Pochi intellettuali si oppongono, come B. Croce che è intoccabile. Si abbatte anche la censura contro le
opere straniere e specialmente americane; ma prevale la tolleranza e infatti circolano molte traduzioni.
Per quanto riguarda gli industriali, essi accettano le nuove direttive culturali del regime, ma apprezzano
sempre meno l’autarchia, l’impresa etiopica e infine la politica estera filo-tedesca, che mina l’economia.
Il re invece si sente sempre più minacciato dalla svolta totalitaria, che contrasta con la diarchia in vigore.
L’edificio istituzionale monarchico non era stato ancora smantellato, ma svuotato di significato: infatti nel
1939 nasce la nuova Camera dei Fasci e delle Corporazioni. Il re accoglie anche le leggi razziali, il passo più
significativo dell’omologazione nazifascista. In Italia era diffuso un certo antisemitismo, ma non tale da
creare una vera questione semita, come invece accadeva in Germania, dove il razzismo era il fondamento
del nazismo. Anche se alcuni fascisti le condividono, perché l’uomo nuovo deve avere una coscienza
razziale, che lo renda consapevole della propria superiorità e purezza. Nel 1937 viene emesso un decreto in
difesa della razza per contrastare il meticciato in Etiopia; nel 1938 viene pubblicato il Manifesto degli
scienziati razzisti. La popolazione accetta passivamente, anche perché non capisce tutta questa
discriminazione verso gli ebrei e perché ha intuito che il duce ha solo voluto imitare Hitler. La differenza tra
fascismo e nazismo è che il primo si limita a discriminare, mentre il secondo perseguita. La Chiesa inoltre
condanna il razzismo, ma con cautela, perché è ancora presto per una resa dei conti; tra i due poteri inizia
ad esserci dell’astio, perché il Vaticano ostacola la svolta totalitaria.

CAP. 6: LA SECONDA GUERRA MONDIALE


6.1
Nell’ottobre 1938 Mussolini torna in Italia dalla Germania. Egli ha convinto Hitler a cercare un accordo con
la Cecoslovacchia. Così è stato, ma la Cecoslovacchia è costretta a cedere al Fuhrer i Sudeti. E’ solo un altro
costo dell’apeasement. Il duce è salutato come salvatore della pace e in questo momento il suo culto è al
culmine. Hitler comunque vuole la guerra, non si accontenta delle concessioni. Nel marz0 1939 invade
Praga e la Cecoslovacchia cessa di esistere; già pretende il corridoio di Danzica. Nessuno lo può più fermare,
ma Mussolini preferisce aspettare perché l’Italia è impreparata al conflitto.
Tuttavia egli marcia su Tirana pochi giorni dopo l’invasione ceca e Vittorio Emanuele è incoronato re
dell’Albania. L’impero si fa più grande a costo zero! Hitler vuole legare a sé ancor di più Mussolini, perciò
Ciano e Von Ribbentrop nel maggio 1939 firmano il patto d’acciaio, alleanza politica e militare tra i due
paesi, che devono intervenire in favore dell’altro in caso di conflitto e non solo per difesa. Ma il duce si
affretta a dire che l’Italia ha bisogno di tre anni per prepararsi, anche perché il furore bellico non è
corrisposto ad un vero riarmo. Infatti a momenti egli vorrebbe cambiare schieramento, ma dall’altro lato il
sogno dell’imperialismo è troppo forte. Al contempo l’economia italiana è ancora molto fragile. Ma la
guerra è sempre più vicina, e Hitler la farà anche senza Mussolini. Si capisce che egli è diventato una pedina
di secondo piano. Hitler firma con Stalin un patto di non aggressione (Molotov – von Ribbentrop), violando
il patto-anticomintern, che regola anche la spartizione della Polonia tra i due. Il 1° settembre le truppe
tedesche valicano il confine polacco, mentre il regime emana la non belligeranza. La seconda guerra
mondiale è cominciata.

6.2
E’ forse la decisione più spiacevole presa dal duce, perché non è riuscito a mantenere i suoi propositi di
Grande Italia erede della Roma imperiale, e nemmeno gli italiani sono favorevoli al conflitto. Infatti
iniziano i primi dissapori nei confronti del regime, anche all’interno dello stesso, perché i gerarchi si
dividono in due correnti: i moderati, per la continuità con il stato prefascista, e gli intransigenti che vogliono
compiere la vera rivoluzione fascista; oltre che nel partito antitedesco (Grandi, Ciano) e filonazista
(Farinacci). Anche il re sostiene la neutralità, perché 1 dopo la svolta totalitaria si è chiuso in sé 2 la vittoria
dell’Asse significherebbe la fine della monarchia. Ma quando Mussolini si muove verso l’intervento, egli
non lo ferma. Si muoverà solo il 25 luglio 1943. Nei primi mesi del 1940 infatti la neutralità appare
pericolosa in quanto significherebbe 1 retrocessione a paese di serie B 2 vendetta di Hitler. Il 18 marzo i due
dittatori decidono per l’entrata in guerra, perché il nazista era sicuro delle sue ultime vittorie (Norvegia,
Danimarca, Francia, Olanda, Lussemburgo) e quindi ha convinto il duce. Gli italiani si scoprono
interventisti e vogliosi di recuperare gli allori della grande potenza. Il 10 giugno Mussolini dichiara guerra a
FR e UK dal balcone di Piazza Venezia.

6.3
La fiammata interventista si esaurisce in pochi giorni perché non è come la Grande Guerra, che è stata
culmine del Risorgimento. Nei primi mesi di guerra il nemico sembra scomparso, ma Mussolini ha bisogno
di combattere per riacquistare credibilità. Allora progetta una guerra parallela italiana per accrescere
l’impero, sia in Africa sia in Europa; nei Balcani si sta già muovendo Hitler e infatti molti paesi diventano
filonazisti. Mussolini invade la Grecia di nascosto, ma la guerra parallela si rivela un fallimento e devono
intervenire le truppe tedesche. Da questo momento l’Italia si limiterà a combattere la guerra del Fuhrer, un
vassallo meno potente del nuovo alleato (9-1940), il Giappone, egemone quanto la DL in Asia. Il duce è
arrabbiato con i militari e infatti liquida Badoglio, inoltre mobilita tutto il PNF, che era egemonizzato dai
filomonarchici e antitedeschi disfattisti: vuole fare capire a tutti che la guerra fascista non si diserta. E’
un’altra crisi di fiducia che non si traduce in aperto dissenso. I successi militari sono altalenanti (Slovacchia,
Dalmazia, Montenegro e Croazia). Ciononostante gli italiani non sono ancora entusiasti perché la guerra è
diventata mondiale a seguito dell’intervento di USA e Giappone, quindi la tensione sale. Hitler decide di
attaccare l’URSS e Mussolini, nonostante non fosse richiesto, invia l’ARMIR. Ma la situazione è mutata: UK
ha trovato un alleato in Stalin (1941) e nessuno dei due vuole patteggiare con il Fuhrer. Tuttavia l’ARMIR
serve per rilanciare la lotta al comunismo in Italia, filo rosso di tutti i regimi filofascisti. Nemmeno questo
smuove il papa che ormai non sostiene più il regime, anzi preferisce schierarsi con gli Alleati che
promettono poco a livello religioso, ma che scacceranno il nemico ateo e razzista nazifascista. Il 7
dicembre 1941 i giapponesi attaccano Pearl Harbour prima della dichiarazione di guerra; l’11 dicembre DL
e IT dichiarano guerra agli USA.

6.4
Nel 1941 la situazione in Italia è disastrosa: pane razionato, mercato nero, 80 miliardi di spese belliche,
poca produzione industriale, che induce molti operai a cercare lavoro nelle fabbriche belliche tedesche.
Qui il clima però è molto teso perché gli italiani sono discriminati; inoltre sentono per la prima volta parlare
dei campi di concentramento. Quando il duce presenta il rapporto sui morti (40mila soldati, 2mila civili,
37mila dispersi, 232mila prigionieri), la reazione è di odio e il popolo inizia a sperare nella liberazione. A
fomentare ciò sono le frequente di Radio Londra, che ha una redazione italiana antifascista. Ascoltarla
diventa quasi un rito, nonostante sia illegale. Qui vengono diffuse notizie vere; gli inglesi si dichiarano
amici degli italiani che hanno subito il fascismo, vero nemico degli alleati. Ormai tutti sono convinti che per
far terminare la guerra sia necessario liberarsi del dittatore. Addirittura nel marzo 1943 viene rotta la
legalità fascista poiché vengono effettuati degli scioperi di 30-40mila operai, fieri e spinti dal successo
militare di Stalin a Stalingrado (1942). Anche gli oppositori del regime sono usciti dall’oblio: non c’è nulla
che il duce possa fare.

6.5
Sono stati anni difficili per gli antifascisti perché non c’erano più rifugi sicuri per loro nell’Europa
nazifascista. Inoltre il patto tra Hitler e Stalin aveva causato una crisi nei comunisti, ai quali le due dittature
appaiono ormai simili. Eppure gli italiani si mantengono fedeli all’URSS e ai suoi disegni. Nel 1941 Stalin e
Churchill firmano un accordo di alleanza contro il comune nemico nazista; di conseguenza anche tutti gli
antifascisti possono combattere insieme il fascismo. Ormai la lotta antifascista è internazionale.
Nell’ottobre esponenti di PCDI, PSI e GL danno vita al Comitato unitario per la lotta in Italia perché ormai il
terreno è favorevole, in quanto la propaganda riesce ad arrivare a tutta la popolazione, con ampio spazio
per i cattolici. Ci sono anche i giovani cresciuti nelle scuole fasciste che però approdano dall’altra parte. Nel
1942-43 l’antifascismo è in ebollizione: si espande la rete clandestina e rinascono i partiti, come il PSIUP, il
PDA e la DC. Il re è preoccupatissimo perché, oltre alla paura dei fascisti, si aggiunge l’antica paura del
comunismo a seguito del risvegliarsi delle fabbriche. Ma non può più tacere, perché significherebbe morte
della monarchia. Alla fine Vittorio Emanuele decide di abbandonare il fascismo. Nel frattempo si consuma
la sconfitta dell’Italia, sia in Africa sia in Russia. Gli alleati si stanno preparando a sbarcare nella penisola,
dopo massicci bombardamenti iniziati nel 1942, dal Maghreb. Il sud è martoriato; per scappare dalle
bombe c’è un esodo nelle campagne. Gli alleati vorrebbero esasperare gli italiani per portarli alla rivolta,
ma l’organizzazione è ancora troppo debole e nemmeno il re sa cosa fare. Il re sta cercando di separare
l’Italia dalla Germania, cautamente. Egli ha l’appoggio di Bonomi e dei gerarchi antitedeschi guidati da
Grandi. A quest’ultimo toccherà di liquidare il duce. Luglio è cruciale: il 9 gli americani di Patton arrivano in
Sicilia, il 19 Roma viene bombardata; il 24 luglio inizia la seduta del Gran Consiglio dove verrà firmata la
congiura: Mussolini deve rimettere tutti i suoi poteri nelle mani del re. Dopodiché il duce viene arrestato. Il
maresciallo Badoglio è nominato presidente del Consiglio. Quando la sera la radio trasmette la notizia
delle dimissioni di Mussolini la piazza è in festa e si scatena, ma viene anche duramente repressa.
6.6
Il re continua ad essere preoccupato perché forse gli italiani non hanno capito che la guerra continua, è
solo crollato il regime. Egli vorrebbe aspettare che gli alleati arrivino a Roma per proteggersi dalla vendetta
nazista, che è imminente in quanto Hitler aveva già preparato delle truppe da inviare in Italia in vista del
golpe del sovrano. Egli non punì Vittorio Emanuele, ma anzi facendo finta che i due paesi fossero ancora
uniti, manda le sue armate naziste ad occupare il paese per limitare l’avanzata angloamericana.
L’armistizio si fa più lontano, anche perché gli alleati vogliono una resa incondizionata dell’Italia. Sul piano
interno, la situazione sfugge di mano al re e lo stesso Badoglio è costretto a liberare i prigionieri politici
perché l’antifascismo è sempre più forte, non può essere ignorato. Il 3 settembre a Cassibile il generale
Castellano e Eisenhower firmano l’armistizio, che sarà mantenuto segreto fino all’8. Nella notte gli alleati
sbarcano a Salerno mentre il re e Badoglio fuggono a Brindisi. La situazione è fuori controllo, non c’è più
alcun potere legittimo e neanche l’unità territoriale: al sud ci sono gli inglesi e gli americani (AMGOT), al
nord e al centro i tedeschi, che hanno assicurato un nuovo governo fascista di Mussolini, la Repubblica
Sociale Italiana. I tedeschi preferiscono braccia da lavoro italiane, piuttosto che soldati: iniziano i
rastrellamenti, che gettano nel terrore la popolazione. Dal ghetto di Roma vengono deportati 1000+ ebrei
verso i campi di sterminio, altri vengono detenuti a San Sabba. A garantire lo svolgimento sono gli uomini
della Guardia nazionale repubblicana. E’ una ripugnante resurrezione del fascismo, guidata per lo più da
giovani martellati dalla propaganda ventennale; essi vogliono difendere l’onore tradito dal re e anche
vendicarsi dei gerarchi moderati, che vengono tutti uccisi. I repubblichini però sanno di non avere molto
futuro. Lo avranno invece i partigiani che hanno scelto la lotta armata e i capi dell’antifascismo unitisi nel
Comitato di liberazione nazionale. Bisogna combattere anche se è difficile senza esercito e comunque
l’apporto partigiano sarà minimo rispetto all’intervento degli alleati. Bisogna far capire loro che la guerra
non era degli italiani ma del fascismo, e per convincerli il re dichiara guerra alla Germania. Ma l’Italia sarà
solo cobelligerante: per gli alleati, essa rimane un paese vinto che sta saldando il suo debito. Il re ha già
dimenticato i vent’anni di dittatura, mentre il popolo porta con sé tutto il dolore che essa ha causato.
Bisogna quindi eliminare lo stato fascista e quello prefascista, che ha portato al regime. Gli italiani si
dibattono in un vuoto e per svegliarli ci vuole appunto la lotta armata: la moralità della guerra civile sta nello
scontro tra fascisti e antifascisti al fine di creare un nuovo contratto sociale. Vittorio Emanuele riconosce
l’importanza del CLN e vorrebbe dargli il ruolo di classe dirigente, che necessita del marchio antifascista. Ma
il CLN non ci sta e vota una mozione, nel 1944, per l’abdicazione del re tramite un referendum a guerra
finita.

6.7
La guerra civile è iniziata in segreto dall’iniziativa di piccoli gruppi armati nelle montagne e nei boschi. Ma
manca la coordinazione tra loro. Tuttavia, la popolazione non combattente deve decidere: stare dalla parte
dei partigiani o dei nazisti. Non si lotta solo nelle montagne ma anche nelle città, dove si sono organizzati i
GAP, che attuano una guerriglia urbana che purtroppo porterà anche al triste episodio delle Fosse
Ardeatine (1944): un ordigno esplode uccidendo 33 nazisti, i quali decidono i fucilare 10 italiani per ogni
tedesco ucciso. Ciononostante le bande iniziano ad ingrossarsi (anche disertori della RSI) quando gli alleati
non sono più bloccati a Cassino. L’antifascismo si diffonde tra i proletari che equiparano lotta partigiana a
lotta di classe. Le camicie nere si scatenano ancora di più che nel 1920-22, e altrettanto dura è la risposta
partigiana. Nel 1944 aumentano gli scioperi.
Sono in crisi gli equilibri del CLN perché per ogni componente corrisponde una visione dell’antifascismo: 1
la guerra patriottica, spinta dai moderati per influenzare i ceti medi, che però rimangono freddi perché per
loro la Resistenza corrisponde a sovversione di sinistra; 2 guerra di classe, per i proletari che mirano ancora
alla rivoluzione bolscevica (brigate Matteotti e Garibaldi); 3 guerra civile sostenuta dal Partito d’Azione,
che la vede come un dovere per riscattare gli italiani da quanto sono responsabili. Il messaggio azionista
non piace perché la maggioranza si sente innocente; inoltre la dittatura ha lasciato un vuoto di senso
civico, dove prolifera l’indifferenza. La mobilitazione politica voluta dal fascismo ha portato al contrario ad
una spoliticizzazione degli italiani. Anche la DC è in difficoltà, perché il papa voleva un governo autoritario e
invece si rende conto che la resistenza gioverà alle sinistre e alla minaccia comunista. Ciononostante egli
appoggia i cattolici che comunque rappresentano una fetta di antifascismo. Il partito è utile alla Chiesa che
ne è l’emissario nel nuovo mondo politico. I cattolici non combattono, sono una minoranza nella
resistenza, ma sono i consensi che valgono a livello politico. Nel 1944 Togliatti torna in Italia e comunica ai
militanti che la rivoluzione dovrà attendere, perché è più importante la costruzione dello stato
democratico. Questo perché nel paese sono sbarcati gli angloamericani che imporranno la loro visione
politica. Allora Togliatti preferisce legittimarsi nel nuovo sistema. L’occasione è la creazione del 1° governo
antifascista presieduto da Badoglio, riconosciuto subito da Stalin. Il maresciallo verrà poi sostituito da
Bonomi. In questo modo sono soddisfatti sia i moderati sia i comunisti. Gli alleati non guardano molto
bene alla resistenza perché troppo rossa, infatti quando si fermano sulla Linea Gotica proclamano la
smobilitazione. Ciononostante, i partigiani sono spinti dalla speranza della liberazione imminente e quindi
hanno un successo dietro l’altro, poi si organizzano in repubbliche partigiane, sotto la giurisdizione del CLN.
Viene fondato il CLNAI, che viene riconosciuto dagli alleati come organo dei partiti antifascisti, con il
compito di combattere contro i tedeschi, ma in cambio dovranno consegnare le armi. I fascisti vedono
avvicinarsi la resa dei conti: i padroni ormai sono i nazisti che si scatenano con violenze. Nel marzo 1945
Mussolini offre la capitolazione: gli alleati non ci stanno e vogliono la resa incondizionata. I capi del CLNAI
gli danno 2 ore per arrendersi. E’ il 25 aprile: gli alleati sono arrivati oltre il Po e le grandi città insorgono. Il
27 aprile il duce e altri gerarchi vengono fermati e condannati a morte il giorno dopo. Il 29 i cadaveri
vengono appesi in Piazzale Loreto a Milano.

CAP. 7: LA RICOSTRUZIONE

7.1
al momento dello sbarco in Sicilia, nel luglio 1943, la popolazione accoglie gli alleati, arrivati per liberarla
dal fascismo. Nonostante l’isola sia stata massacrata dai bombardamenti, è così forte la rottura tra Stato e
regime da perdonarli, anche perché al sud il fascismo non è mai stato radicato. Infatti, il potere dei notabili
era così forte che nemmeno il duce poteva contrastarlo. Gli angloamericani significano la pace, e per
velocizzarla i napoletani si ribellano ai tedeschi nel settembre 1943. L’incubo sta per finire, ma la guerra
non è conclusa. L’Italia inoltre è il primo paese dell’Asse a cadere in mano agli Alleati. Se gli inglesi non
vogliono interferire con gli affari interni italiani, gli americani vogliono assicurarsi la collaborazione dei civili
e per farlo si dotano di una rete locale formata da esponenti delle comunità italo-americane, collusi con la
mafia. Se il fascismo era riuscito a contrastare la criminalità organizzata, gli americani la rifocillano, con
conseguenze disastrose per il sud perché ricomincia il connubio mafia-potere politico. Infatti, i problemi del
sud sono così tanti che l’AMGOT vuole sbarazzarsene nel modo più indolore. I primi aiuti in merci arrivati
tra il 1944-45 corrispondono a 450 milioni di dollari. Vengono emesse le amlire, una valuta militare che
porta alle stelle i prezzi (400 lire = 1 dollaro), ma che inizialmente sembrava far aumentare i consumi
I ceti piccolo borghesi rinforzano i partiti moderati del CLN, perché vogliono mantenere l’ordine, e
incoraggiano i monarchici e i neofascisti, che però non osano ancora venire allo scoperto. L’occasione per
farsi sentire è il bando di leva emanato nel 1944 per combattere a favore degli alleati. I cittadini non ci
stanno e rompono le cartoline, i fascisti organizzano una renitenza alla leva. E’ una sorta di resistenza alla
rovescia. Prima del 1946, quando nascerà il MSI, i neofascisti si nascondono dietro l’Uomo Qualunque,
movimento creato da Giannini. Egli non è fascista ma percepisce lo stato d’animo della borghesia
meridionale. Si scaglia contro la partitocrazia, che vuole introdurre una nuova ideologia, ma la stessa logica
di dominio (governanti vs governati). Il ceto medio infatti è disorientato perché sta scendendo la scala
sociale, mentre i proletari sono protetti. L’odio di classe diventa odio verso la partitocrazia.
Si avvia l’epurazione: nasce l’Alto Commissariato per la punizione dei delitti e degli illeciti del fascismo, che
deve allontanare dall’amministrazione pubblica i fascisti. Questo per creare nuove istituzioni democratiche
antitetiche ai valori del fascismo. Sarà molto difficile e incontrerà forti resistenze: l’antifascismo moderato
infatti sostiene che le sinistre vogliano usare questa epurazione per colpire gli industriali che, secondo
l’interpretazione marxista, sono i veri colpevoli del fascismo, loro braccio destro. Secondo l’opinione
pubblica invece, l’Alto Commissariato vuole accusare l’intero popolo italiano ad esclusione dei proletari,
che non possono assolutamente essere stati complici del regime. L’epurazione quindi fa aumentare la
frattura di classe e allarma l’intero antifascismo, perché per costruire un nuovo contratto sociale c’è
bisogno di un popolo unito.

7.2
Nell’aprile 1945 la popolazione acclama i partigiani che sfilano nelle città del nord, pieni di orgoglio. Infatti
loro sono stati protagonisti della vicenda, hanno portato la pace. Non bisogna sottovalutare l’intervento
degli angloamericani che corrispose a quello partigiano, ma è il valore simbolico che conta. Non ci sono
solo quelli che hanno sparato, ma anche chi nelle retrovie li ha aiutati. Le regioni settentrionali liberate
vengono prese in mano dai capi antifascisti; questo vento del nord colpisce anche il CLN perché Bonomi dà
le dimissioni a favore dell’azionista Ferruccio Parri. Rimane il problema dell’ordine pubblico, perché non
tutti i partigiani consegnano le armi. I comunisti devono convincere i partigiani rossi che la rivoluzione
sognata non è all’ordine del giorno. Ma riportare alla disciplina non è facile: i processi di epurazione al nord
non sono ancora arrivati e i partigiani si scatenano facendo esecuzioni per le strade. E’ l’ombra nera della
resistenza, che costerà le dimissioni di Parri a favore di De Gasperi. Inizia il processo alla resistenza, che
alimenterà lo scontro politico: la vendetta partigiana si deve iscrivere nella lotta classista e nella tentata
rivoluzione, ma anche nel crollo di valori morali dopo venti anni di regime fascista. Sembra impossibile
trasformare l’Italia in una moderna democrazia, come vogliono gli antifascisti ma anche gli
angloamericani. Poiché dove sono arrivati, lì deve prevalere l’Occidente capitalistico (spartizione).
7.3
I grandi partiti di massa si fanno garanti del nuovo edificio democratico quando avranno pieno controllo su
tutta la penisola. Essi non vanno sempre d’accordo perché i problemi da risolvere sono infiniti e le idee
sono tante. Dopo vent’anni gli italiani e le italiane sono chiamat* al voto per eleggere le amministrazioni
locali e i membri dell’Assemblea Costituente. Vota l’89,9% degli elettori, che premiano i partiti di massa:
DC (35,5), PSIUP (20,7%), PCI (18,9%). Le altre forze hanno percentuali irrisorie. Questo scardina gli
equilibri ciellenistici, basati sullo stesso peso di tutti i partiti. La fine degli esecutivi allargati non significa
termine dell’unità antifascista garantita dall’accordo tra i tre partiti maggioritari. E’ l’eccezionalità del
momento storico a consentire la coabitazione di cattolici e marxisti. I padri fondatori della Costituente
invece rimangono estranei al dibattito politico. Solo quando la Costituente sarà sciolta, verrà meno il
vincolo antifascista che comunque alterava la dinamica democratica. Ciononostante, la Costituzione è
frutto di un incontro tra le anime cattolica, marxista e liberale, che erano comuni a tutta l’Europa, in
particolare su ciò che era stato compromesso dal fascismo: libertà civili, sovranità popolare e
parlamentarismo. Il PCI è d’accordo: dal 1944 Togliatti ha indicato ai militanti la nuova strategia del
partito, ovvero essere integrazione di massa: sarà la forza dei numeri, tramite lo strumento democratico, a
portare al potere il PCI e quindi a compiere la rivoluzione. E’ una politica in due tempi, che è valsa molte
critiche di doppiezza a Togliatti. Egli è rimasto fedele all’URSS, ma non vuole rimanere isolato nella politica
italiana. Infatti l’Europa è stata spartita tra le due superpotenze USA e URSS: i paesi sotto la rispettiva
sfera di influenza sono solo satelliti, con gravi conseguenze per la dinamica politica degli stessi. Per le
masse proletarie si tratta di uno scontro tra dittatura proletaria e dittatura borghese. Ma Togliatti li frena:
bisogna parlare di democrazia. Anche perché un debole stato democratico potrebbe portare ancora
all’autoritarismo. Per questo motivo la DC abbandona a se stessa la monarchia, nel momento del
referendum istituzionale. Se in Parlamento era forte l’appoggio ai Savoia, il popolo il 2 giugno è a favore
della repubblica. Inizialmente il Papa preferiva uno stato autoritario, ma poi capisce che un governo di
cattolici in un paese cattolico era la scelta migliore. A De Gasperi spetta anche l’inserimento dell’Italia nella
sfera di influenza americana. Gli USA non capiscono la pluralità di forze politiche italiane. I socialisti si
spaccano perciò non riusciranno mai a creare una forte socialdemocrazia che possa sostituirsi alla DC
durante la guerra fredda. Nonostante Nenni voglia mantenersi neutrale e creare un’Europa socialista, tutti
sono costretti a fare delle scelte: egli si schiera con l’URSS mentre Saragat con gli Stati Uniti.

7.4
Nel 1947 lo PSIUP diventa PSI (Nenni) e PSDI (Saragat). Si capisce che l’unità antifascista sta per finire. Alla
conferenza di Parigi si discute il futuro dell’Italia: essa viene privata delle colonie africane, dell’Albania e di
Trieste, che viene divisa in due zone, una controllata da Tito e una dagli Alleati. Ancora irrisolta la
questione del Trentino.
Sempre nel 1947, gli USA propongono aiuti finanziari agli stati europei che lotteranno contro l’avanzata del
comunismo. L’Italia è una pedina importante perché il PCI è un forte alleato dei sovietici, ancora più stretto
dopo il COMINTERN. Allora gli USA premono su De Gasperi affinché allenti l’alleanza con il PCI; fallita la
carta socialdemocratica, si investe sui cattolici. E’ uno scambio dare-avere. De Gasperi quindi rompe
l’esecutivo di coalizione che stava danneggiando la DC, perché al sud le destre si erano rafforzate in quanto
l’alleanza con le sinistre non era credibile (Sicilia). Nel 1947 De Gasperi vara un monocolore DC sostenuto
dalla destra, ma appena ha la disponibilità di PRI, PLI e PSDI egli vara un quadripartito, che durerà 15 anni.
Al sud invece continueranno a governare i monarchici e poi i neofascisti. De Gasperi infatti vuole frenare il
rinnovamento del paese partendo dal sud: la DC vuole una democrazia, ma una vera democrazia è troppo
pericolosa in quanto favorirebbe le sinistre e la modernizzazione. Infatti la Costituzione viene congelata
con la svolta moderata del 47. E’ più facile controllare un paese in stato di minorità dove sono ancora in
vigore le leggi fasciste, anche perché le sinistre sobillano subito le masse durante la campagna elettorale,
vista come una resa dei conti tra comunisti e anticomunisti. Ciò non lascia spazio alle voci intermedie. Il 18
aprile 1948 la DC ottiene il 48,8% dei voti, grazie all’influenza della chiesa e dell’immagine degli americani
come mondo di benessere e prosperità (=/= Unione Sovietica, povertà). Infatti i milioni arrivati dagli USA
rischiavano di andare in fumo se avesse vinto il Fronte democratico popolare di PSI e PCI.

7.5
Il partito cattolico non è per definizione il partito del capitale, infatti gli industriali si erano sempre
rispecchiati nei liberali, che però erano collusi con il fascismo e dopo il crollo del regime non erano riusciti a
rilanciarsi. Ma la DC si era subito dimostrata favorevole alla Confindustria che però solo dopo la vittoria del
1948 ricambierà. L’Italia è ancora tutta da ricostruire e sul ruolo dello stato nell’economia si apre un
dibattito: c’è chi sostiene un intervento diretto (R. Lombardi), chi preferisce il liberismo. A favore di
quest’ultimo c’è un fattore psicologico: il controllo dello stato nell’economia ricorda il fascismo e quindi è
assolutamente da evitare. Sono d’accordo anche gli industriali che avevano sempre fatto affidamento
sull’intervento dello stato fascista.
Nel 1947 Luigi Einaudi aveva iniziato il processo per la stabilità monetaria e i tassi di cambio, indispensabile
per accedere agli aiuti ERP. Ma ciò causa una depressione nell’economia, che si prolunga perché la DC non
vuole erogare subito tutti i fondi. Infatti la produzione industriale ristagna. Ma i democristiani stanno
cercando il consenso dei ceti medi; la loro unione sarà sancita dalla svolta moderata del 18 aprile. Possono
farla pagare ai comunisti: migliaia di operai perdono il lavoro e vengono epurati elementi potenzialmente
pericolosi. Scelba li tiene sotto controllo ferreamente anche grazie ai reparti Celere, dove sono confluite
molte camicie nere che agiscono per bloccare la rivoluzione comunista. E’ una minaccia credibile perché,
ancora una volta, l’Italia sembra sul punto di esplodere. L’attentato di un neofascista a Togliatti segna l’ora
X e i comunisti sono pronti per la mobilitazione. Ma la rivoluzione non è ancora possibile, perché
causerebbe la messa fuori legge del PCI. Ad indebolire la sinistra interviene la rottura dell’unità sindacale
nelle tre anime, così come si era rotto il vincolo antifascista. Ne esce avvantaggiata la CISL perché i padroni
sono contenti di cederle quanto negano alla CGL.

7.6
Nel 1953 le famiglie italiane misere sono l’11%, mentre quelle modeste sono il 65%. E’ soprattutto il sud ad
essere povero, ma anche alcune zone agrarie del nord. Sono moltissimi gli intellettuali che si interessano
alle condizioni di vita dei meno fortunati. Il loro riscatto corrisponde a quello del paese dalla piaga
dell’analfabetismo e della miseria. E’ la corrente neorealista; inoltre negli anni 50 si rivitalizza la produzione
libraria, non solo italiana ma anche straniera. La cappa clericale inizia a pesare, ma sia il PCI sia la DC si
muovono lentamente verso la modernità, perché per mantenere la loro egemonia serve l’arretratezza
politica delle masse. Infatti i due riferimenti per i due partiti sono l’URSS e la Chiesa, perciò non c’è spazio
per il “mito” americano.

7.7
L’american way of style finirà comunque per diffondersi attraverso il benessere economico. Ma nel 1945-50
la povertà delle regioni meridionali è tale da causare forte disordine e tensione: si rischia di rallentare lo
sviluppo dell’intero paese. La politicizzazione delle masse del sud è stata presa in carico dal PCI, perciò la
DC non può essere da meno. Insieme si propongono di varare una riforma agraria, restii ad
un’industrializzazione accelerata che sarebbe impossibile. Meglio una trasformazione senza traumi.
Vengono espropriati i grandi latifondi, trasformati in piccoli lotti ridistribuiti ai contadini. Nel 1950 nasce la
Cassa per il Mezzogiorno. Comunque il sud non è isolato e anche qui sono arrivati i mezzi di comunicazione.
Infatti, se i padri gioiscono all’idea di avere la terra, i figli sognano la città e la libertà. Dal 1950 al 1960 si
verifica un esodo di massa (quasi 1 milione) dalle campagne, lasciando al declino il mondo agricolo. Molti
vanno a lavorare nell’edilizia perché Fanfani ha varato il piano casa, volto alla ricostruzione. Ma entra in
gioco la criminalità organizzata che ci mette le mani. Non vi erano piani regolatori.

7.8
Nel 1949 l’Italia è entrata a fare parte dell’Alleanza Atlantica e della NATO, contro l’aggressione sovietica.
Ciò comporta dei costi alti che non piacciono agli italiani. Nel 1948 la maggioranza della popolazione
pensava che fosse imminente la terza guerra mondiale, ma è proprio l’equilibrio del terrore basato sulla
minaccia atomica a mantenere fredda la guerra. Perciò prevale un certo ottimismo e fiducia nella DC che
ha garantito la democrazia. A preoccupare i democristiani è il cedimento dei suoi alleati, che garantivano
loro la stabilità al centro del sistema su tre poli. Alle amministrative 1951-52 il quadripartito perde voti, ma
il risultato del 1948 era frutto della straordinarietà della situazione. Si ingrossano le sinistre e le destre, che
per motivi diversi rappresentano una minaccia alla repubblica. Per mantenere il timone al centro, Scelba
presenta una riforma della legge elettorale in senso maggioritario: un premio del 65% dei seggi al partito o
coalizione che raggiunga il 50% + 1 dei voti. Viene definita una legge truffa, affine alla legge Acerbo, che fa
esplodere numerose proteste. Ma nel 1953 gli italiani vanno a votare: per una manciata di voti le liste del
quadripartito non raggiungono il 50% e quindi non ottengono il premio di maggioranza. La legge elettorale
sarà abolita per ritornare al proporzionale. La maggioranza centrista è però a rischio.

CAP. 8: LA GRANDE TRASFORMAZIONE

8.1
La 1° legislatura si chiude ancora con lo scontro comunismo-anticomunismo che l’aveva avviata. Alla Casa
Bianca siede il repubblicano Eisenhower; la destra americana è guidata da McCarthy che inizia una caccia
alle streghe verso coloro che erano sospettati di simpatie per i sovietici. Questo clima (maccartismo) viene
avvertito anche in Italia, dove la CIA sorveglia gli affari interni e avvia una politica parallela sotterranea, per
la difesa del paese ma anche degli stessi USA, perché essendo il PCI ben organizzato, potrebbe
fiancheggiare un eventuale attacco dell’URSS in Occidente. Per contrastarlo sono numerose le trame
ordite dall’esercito e dal ministero dell’Interno, come il piano Solo e il piano Gladio. Questi eventi non si
verificheranno mai, ma il timore serve per ingrossare la paura del comunismo e le liste della DC. Nel paese
si respira troppa libertà, e se i democristiani non vogliono fermare ciò, ci sono altre forze disposte come i
monarchici e i missini, che stanno crescendo. Il MSI aveva suscitato molte polemiche sin dalla sua
creazione nel 1946, ma non fu fatto nulla per scioglierlo: serviva infatti alla DC per mantenersi al centro del
sistema politico. Comunque non è nascosto il desiderio di PNM e MSI di creare una forte destra autoritaria,
ancora una volta in divisa e in doppio petto. Essi però vogliono appoggiare la DC, e trovano anche il
sostegno del papa. Ma i democristiani non sono d’accordo perché trovano rischioso un accordo con
l’estrema destra, inoltre sono ancora in grado di mantenersi forti. Tuttavia la destra non si arrende:
l’armatore Achille Lauro vuole guidarla e parte dal Sud, dove i monarchici governano molte città, con MSI e
DC. Egli però non riuscirà ad arrivare a Roma perché la DC non vuole diffondere questo modello. Anzi, i
democristiani lo appoggiano al sud affinché egli non interferisca nel resto d’Italia. Lauro va comunque a
Milano dai rappresentanti della Confindustria a dare il suo sostegno, ma essi lo rifiutano. E’ grazie a loro
che svanisce il sogno di una grande destra.

8.2
Nonostante il Nord stia decollando con la grande industria (FIAT di Torino), al Sud il tessuto civile è
degradato e per questo è possibile lo sviluppo della destra. Dal meridione si erano trasferiti molti lavoratori
nei grandi centri del Nord per lavorare nelle fabbriche; nonostante la disoccupazione sia quasi sparita, gli
operai continuano con le rivendicazioni, perché i grandi risultati economici sono dovuti a ritmi massacranti
e salari bassissimi. Quindi gli imprenditori vorrebbero avere una guida autoritaria. Molti però hanno un
atteggiamento di paternalismo, che si traduce in migliori condizioni di lavoro. La repressione non era più
accettabile in un paese che stava percorrendo la via democratica (Olivetti). Inoltre l’Italia si sta integrando
a livello europeo: cominciando dalla CECA (1952), poi la CEE e EURATOM (1957) e infine il MEC (1959). Il
sogno di un’unione europea aveva affascinato molti intellettuali che sognavano un futuro di pace per il
continente.
Nelle fabbriche avevano più vantaggi i lavoratori iscritti alla CISL, sindacato cattolico, rispetto a quelli della
CGIL; la prima cresce molto perché attrae la massa di lavoratori meridionali arrivati al nord. Corrisponde
una crescita di tutta la sinistra cattolica (Dossetti), orientata verso il cristianesimo sociale, teoria che cozza
con le riforme di De Gasperi gradite alla Confindustria. Al contrario i professorini vorrebbero un maggiore
intervento dello stato nell’economia. Un dossettiano, Amintore Fanfani, diventa segretario della DC alla
morte di De Gasperi nel 1954: egli inizia la programmazione economica, trasformando lo Stato in
imprenditore. Simbolo è l’ENI, che controlla diverse industrie pubbliche, grazie ad Enrico Mattei. Le
industrie private la vedono come un pericolo, ma in realtà ne gioveranno perché il petrolio sarà a prezzi
accessibili, così come l’energia erogata dall’ENEL. Ma nell’espansione del pubblico si annida anche la
corruzione, perché il partito di maggioranza fa lauti guadagni tramite rapporti clientelari. L’identificazione
tra partito e stato non è sana. Ma la partitocrazia sembra indifferente, perché con questa identità è nata la
democrazia italiana, per volontà loro.

8.3
Il PSI e la sinistra democristiana vorrebbero collaborare perché il centrismo è a rischio e Fanfani non vuole
l’ennesimo appoggio da parte delle destre. Bisogna quindi allargare il quadripartito, formato da DC, PLI,
PRI e PSDI, al PSI (ovviamente non al PCI). La cornice internazionale favorisce il dialogo tra cattolici e
socialisti perché, dopo la morte di Stalin (1953), la situazione è più distesa (conferenza di Ginevra). Tra i due
blocchi si è instaurato un equilibrio del terrore a causa della presenza delle armi atomiche. Il problema del
PSI è di identità perché è ancora legato al PCI tanto da non distinguere i due partiti (socialcomunismo),
allora ha bisogno di maggiore autonomia e l’occasione gli viene offerta dalla sinistra DC. Nenni riconosce
innanzitutto la NATO e quindi l’inserimento dell’Italia nel blocco occidentale. Ma Fanfani vuole comunque
procedere con calma, anche perché il papa non vuole accelerare la laicizzazione del paese e anzi, sostiene
un’alleanza di centrodestra. Il nulla osta pontificio è necessario per la DC.

8.4
Inizialmente il PCI sembra favorevole all’alleanza DC-PSI perché ciò rimescolerebbe gli equilibri da troppo
tempo fermi, inoltre il PSI ha più spazio di manovra del PCI. Dopo la destalinizzazione, iniziata nel 1956,
Togliatti si muove con molta calma. Ma non pensa ad un distacco dall’URSS: essa legittima il PCI, come la
Chiesa la DC. Gli attacchi sovietici in Polonia e Ungheria mettono a rischio il blocco orientale, ma sono
operai che chiedono maggiore libertà. In Italia però sono pochi i comunisti che si schierano a favore dei
ribelli (credevano nelle promesse di Kruscev): la maggioranza è contenta dell’intervento dei carri armati
che hanno salvato il comunismo. Ci si domanda perché si debba parlare ancora di rivoluzione quando il PCI
protegge le istituzioni democratiche. Si può rimanere fedeli al marxismo, ma il modello sovietico non si
può esportare in Italia, perciò bisogna trovare una nuova strada per crescere nella società italiana. La
direzione è quella indicata dai dissidenti del PCI: prendere le distanze dall’URSS. Il partito viene svecchiato
e alle nuove leve viene chiesto di seguire la via italiana al comunismo. Togliatti avvia la revisione,
teorizzando un comunismo policentrico, ovvero che ogni PC deve raggiungere i fini con gli strumenti adatti
al proprio paese. Nel caso italiano, con il metodo democratico. Un comunismo democratico è però
un’illusione, destinata a durare per tutta l’esistenza del partito. La contraddizione è ben visibile ai socialisti
che mettono in discussione l’alleanza con i comunisti e l’aderenza al leninismo. Il PCI risponde definendo
questi cambiamenti come una strumentalizzazione finalizzata all’entrata nel governo con la DC, ma è
anche il timore di rimanere isolati all’opposizione. Invece è un grande passo avanti che prelude anche alla
riconciliazione di PSI e PSIUP. I filocomunisti del PSI però riescono a fermare Nenni e il centrosinistra
rimane in standby fino al 1962. Nel frattempo si alternano maggioranze fragilissime.

8.5
In Italia però non si ferma il progresso e la corsa verso il benessere. Si sta diffondendo l’american way of life,
nonostante rimanga forte un certo antiamericanismo, perché i valori consumistici, conseguenza del
benessere, sono estranei sia alla cultura cattolica sia a quella comunista. I mezzi di informazione e
divertimento aumentano, nasce la televisione (1954). Proprio chi lavora nella televisione, intellettuali
funzionari, portano in Italia lo stile di vita americano, che soppianta Dio, patria e famiglia. Il nuovo mercato
riguarda soprattutto i giovani, attratti dalle nuove mode.
Le numerose nuove costruzioni di case portano con sé speculazione e corruzione in assenza di piani
regolatori.

8.6
Al centrosinistra si arriva con fatica, ma questa alleanza è spinta anche dalla modernizzazione. Gli italiani
infatti chiedono maggiore giustizia sociale, per abbattere la società classista, quindi più democrazia.
La battaglia per il centrosinistra è dura sia nel PSI, dove Nenni deve mettere a tacere i filocomunisti, sia
nella DC, tanto che Fanfani deve dimettersi e lasciare il posto a Aldo Moro, che porterà a termine
l’alleanza. Inoltre, tra il 1956-57 viene scongelata la Costituzione, perché le leggi fasciste ancora in vigore
per meglio governare le masse erano ormai considerate intollerabili. Ora il sostegno arriva anche dalla
Chiesa perché il nuovo papa Giovanni XXIII ha idee ben diverse da Pio XII: egli, con il Concilio Vaticano II,
rivoluziona la comunità cristiana mettendola a confronto con la modernità. Egli sostiene che i partiti
politici debbano unirsi per riscattare i deboli e favorire le masse lavoratrici, e in questo caso si riferisce ai
cattolici e ai socialisti. Un ulteriore acceleratore è la nomina alla Casa Bianca di John Fitzgerald Kennedy,
che conquista tutti, anche i comunisti, nonostante egli non li legittimi assolutamente. Infatti il pericolo
comunista è alle porte con la rivoluzione cubana e il muro di Berlino; inoltre c’è la guerra in Vietnam e
Kennedy vuole fedeltà da parte dei suoi alleati. L’Italia del 1960 però è diversa, più autonoma rispetto agli
USA.
Infine, nel 1960 avviene un pronunciamento popolare a favore della svolta a sinistra e contro il governo di
Tambroni, sostenuto in Parlamento da MSI e PNM. Egli concede infatti ai missini di fare un congresso a
Genova, città simbolo della Resistenza. Genova si ribella e ci sono anche 5 morti. E’ uno scontro tra
neofascisti e antifascisti che viene sentito soprattutto dal nuovo soggetto politico, i giovani. Si rafforza una
rappresentazione ufficiale del mito resistenziale come lotta di liberazione, che unifica il paese, ma viene
meno l’aspetto rivoluzionario, caro alla sinistra. Infatti in questo periodo si fa strada l’idea della rivoluzione
tradita che scoppierà nel 1968.
Dopo i fatti di Genova, Tambroni si dimette e gli succede un esecutivo centrista guidato da Fanfani,
sostenuto dall’astensione dei socialisti. E’ la prima tappa del centrosinistra, mentre nel 1962 il PSI sostiene
dall’esterno Fanfani e infine entra a far parte della compagine governativa nel 1963.

8.7
L’aggettivo riformista si addice al centrosinistra, anche se ogni gruppo lo intende a modo suo. I cattolici
vogliono un riformismo cattolico per creare un vero Stato sociale, mentre i socialisti/laici vogliono un
riformismo rivoluzionario o una convivenza tra socialismo e capitalismo (i socialdemocratici). Infine i
repubblicani vogliono ridistribuire le ricchezze e produrre meglio. Il punto di incontro si trova nella riforma
della scuola/università, creazione delle Regioni, nazionalizzazione delle imprese elettriche e nella
programmazione economica. I comunisti si sentono tagliati fuori perché rispondono ancora alle parole
d’ordine il capitalismo si abbatte. Tuttavia nel 1962 si apre un congresso in cui i comunisti capiscono che il
capitalismo non è agonizzante; ci sono due anime: a favore del riformismo del PSI e critica verso i socialisti,
funzionali al neocapitalismo. Togliatti cerca di mediare e propone opposizione dura nelle piazze, morbida in
Parlamento. In questo modo il PCI rimane in corsa al governo perché vuole sostenere il welfare state, il
quale va anche a favore dei lavoratori. Non vuole rinunciare all’aggettivo rivoluzionario, perciò viaggia su
due binari, ovvero il riformismo, ma senza dimenticare l’identità storica. Solo poche riforme preparate
verranno eseguite nell’immediato. Inoltre tredici anni di riforme non valgono al PSI nuovi voti in quanto
arretra, mentre avanza il PCI. Questo perché il PSI non è unito e il popolo non si riconosce in esso, ma nel
PCI, e la stessa DC cerca di ammorbidire ogni riforma incisiva per non accelerare troppo lo sviluppo. In
questo modo, la destra DC e la chiesa sono accontentate, e il PSI diventa più dipendente dai cattolici. Una
forte socialdemocrazia avrebbe spostato la DC sulla destra.
Le fasce piccolo-borghesi invece sono tagliate fuori dal progresso e vorrebbero tornare indietro. Nel 1964
avviene un primo tentativo golpista (caso SIFAR), i cui organizzatori hanno a che fare con i fuoriusciti dal
MSI, ma anche con i servizi segreti e il ministero della Difesa, nel quale lavorano ancora i fascisti. L’entrata
nel governo del PSI sembra il momento giusto per il golpe, ma rimarrà solo una minaccia. Dopo le elezioni
del 1963, in cui arretrano Dc e PSI, sembra difficile recuperare il centrosinistra, ma Nenni e Moro sono
decisi. La sinistra PSI si stacca e fonda il PSIUP. Dopo poco tempo Moro si dimette e rientrano in gioco i
militari, guidati dal generale De Lorenzo, che vogliono persuadere le massime cariche a liquidare i
socialisti; hanno già un piano. La DC dice di no, ma subito fa cadere nel silenzio questo tentato golpe che fa
capire quanto sia forte il ricatto eversivo.

8.8
Il 1964 fa avanzare con ancora maggiore cautela la DC sulla strada delle riforme, a danno della capacità
delle stesse. Ciononostante, non si fermano i mutamenti innescati dal boom economico. Infatti il PIL
aumenta in tutti i settori, come le esportazioni e ovviamente i consumi. Si inaugura una trasformazione del
costume guidata dai giovani, i nati durante il baby boom, che si ribellano ai padri e che captano le
contraddizioni nate da uno sviluppo così accelerato. Viene data la colpa al centrosinistra che ha
annacquato le riforme impedendo una vera guida dello sviluppo del paese. Si finisce così per credere che il
governo sia in balia della piazza e per questo viene messa nuovamente mano alle riforme.
Nel mondo operaio le proteste iniziano nel 1962, con lo sciopero delle maestranze FIAT a Torino che finirà
con gravi incidenti. I sindacati allora capiscono quanto sia profonda la rabbia dei giovani e ragionevoli le
loro richieste (migliore qualità di vita, non più solo salari alti ecc). Se i sindacati non lo capiscono, si può
fare a meno di loro. Nascono infatti i Comitati Unitari di Base, dove si riuniscono i nuovi operai già molto
politicizzati e radicali. I sindacati capiscono l’allarme e iniziano a darsi una struttura confederata
(pansindacalismo), che fa sì che si riducano le frange estremiste e permette di sostituirsi
momentaneamente ai partiti, in difficoltà di fronte alla montante protesta contro di loro. Ci vuole il 68 per
scuoterli. La scintilla è l’inadeguatezza delle strutture scolastiche e universitarie, dove si riversano
numerosi giovani che le trovano appunto anacronistiche. La riforma della scuola era già pronta ma mai
attuata, insensatamente anche perché dal 1962 c’era l’obbligo scolastico. Perciò la rivoluzione esplode
negli atenei che erano ancora elitari, dando vita ad un rinnovamento del costume, culmine del processo in
atto dagli anni 50. La prima tappa significativa corrisponde alle occupazioni del 1966, sia delle università
sia dei licei. Nascono le comuni, gli hippie che creano una controcultura alternativa. E’ un magma di idee
anche contraddittorie ma dotate di autonomia: lo slogan più importante è l’immaginazione al potere,
simbolo di quel Sessantotto romantico, che si trasformerà in politico.

CAP. 9: GLI ANNI DI PIOMBO

9.1
Il termine nuova sinistra viene dall’America, dove però indica una certa simpatia per il comunismo. In Italia
invece è una tendenza più marcata. La rivolta politica degli studenti si alimenta ancora della rivoluzione
d’ottobre e con teorie passate pretende di interpretare il presente. Per questo il 68 viene definito
antimoderno, ma è anche una conseguenza della ricerca dei giovani di nuovi punti di riferimento. La
revisione ideologica del PCI lascia un vuoto, quello della rivoluzione tradita. Inoltre vengono prese di mira
le riforme del centrosinistra che avevano causato le prime occupazioni negli atenei, dove si erano costruiti
dei parlamentini speculari a quello vero. Il dissenso studentesco nasce nell’ambiente cattolico, attratto
dalla liberazione latino-americana. La rivoluzione di Che Guevara, Mao e Fidel diventa simbolo della
sinistra sessantottina, oltre che la guerra in Vietnam che ispirò una rivolta antiamericana. I leader
studenteschi iniziano a prendere molto sul serio la politica e si basano sull’ideologia marxista-leninista e su
Mao; invitano i figli dei borghesi a servire il popolo, ad uscire dalle università per unirsi alla protesta
operaia, la vera lotta di classe. L’identità riformista termina. Naufraga il dialogo con la sinistra tradizionale,
specialmente con il PSI colluso con la DC in un regime clerico-fascista. Dopo gli scontri tra studenti e polizia
di Valle Giulia del 1968, si è ad un punto di non ritorno, che nemmeno il PCI può fermare. E’ l’inizio di un
progetto politico antagonista, mentre permane un certo rispetto verso i sindacati, rappresentanti del
mondo operaio. A partire dall’estate 1968 la protesta delle università si sgonfia perché chiudono, per poi
riprendere nell’autunno 1969. Nel frattempo i gruppi politici nati nelle facoltà occupate si danno un
assetto: sono Lotta Continua, Potere Operaio,… Ma non saranno mai il partito della rivoluzione. Mentre
molti laureati o studenti iniziano a lavorare e quindi hanno una vita normale, i capi non vogliono integrarsi.

9.2
Uscire dalle università porta all’aumentare della violenza, allo scontro con la polizia. Fino al 1967 episodi
del genere sono marginali, ma dopo Valle Giulia la violenza è inarrestabile. Quando le forze dell’ordine
rispondono con maggiore forza, nasce l’idea di un’autodifesa militare, preludio alla formazione dei gruppi
terroristici. Secondo alcuni, la violenza inizia nel 1969 con la strage di Piazza Fontana (Milano): è il debutto
della strategia della tensione. Si scopre che era di mano fascista. Proprio l’azione fascista di usare le bombe
diventa un alibi per la sinistra, ovvero fermare l’avanzata autoritaria. Infatti poco tempo prima era emerso
il caso SIFAR, un tentativo golpista spalleggiato dal ministero della Difesa e dai servizi segreti, collegati
anche alla strage di Milano. Infatti in Italia il disordine era alto, poiché oltre alle proteste studentesche del
68 ci fu l’autunno caldo 69. Il ceto medio era preoccupato e quindi era terreno fertile per svolte autoritarie
guidate dalla destra eversiva: far salire al massimo la tensione tramite le bombe e offrire un governo forte.
Infatti quelle di Piazza Fontana furono inizialmente attribuite all’estrema sinistra. Non importa se i
responsabili non erano loro. Nel 1970 Junio Valerio Borghese, ex comandante repubblichino, aveva cercato
di occupare il ministero dell’Interno. E’ il secondo colpo di stato. La DC subito lo sminuì, ma la minaccia alla
democrazia era ormai palese. Nel 1972 la nuova sinistra partecipa alle elezioni, ma subisce una sconfitta.
Se alcuni militanti rientrano nella sinistra tradizionale e sostengono le riforme che aiutano la classe
operaia, altri non rinunciano alla rivoluzione. Per loro rimane la via dell’estremismo.

9.3
Iniziano gli omicidi e i sequestri. Alcuni credono che dietro le Brigate Rosse ci siano neofascisti o agenti
segreti. Gian Giacomo Feltrinelli muore a causa di un ordigno esplosivo da lui medesimo progettato perché
faceva parte dei GAP, un’organizzazione clandestina che si propone di abbattere lo stato democratico, un
SIM stato imperialista delle multinazionali. Ma diversamente dagli stragisti neri, le BR colpiscono obiettivi
precisi coerentemente con la loro lotta: dirigenti, industriali, politici, servi dello stato. Ma non tutti i violenti
sono terroristi: l’ideologia è uno strato che copre uno stato di malessere dei giovani. Infatti Pasolini
definisce i nuovi fascisti e antifascisti come la stessa cosa. A coprire i neofascisti oltre ai servizi segreti c’è la
P2 di Licio Gelli, una loggia massonica. Egli ha contatti con i settori chiave della società civile e politica. Nel
1974 inizia la lotta al terrorismo da parte dello stato, ma si alza anche la spirale della violenza perché nel
1974-75 le BR iniziano a gambizzare.
9.4
Un’ondata di illegalità del genere si era verificata in Italia solo nel biennio rosso 1919-22. Negli anni 70 la
società e gli stessi imprenditori erano mutati, più benevoli verso i loro impiegati. Questa freschezza porta
ad una maggiore partecipazione civile per abbattere le leggi fasciste ancora in vigore. Importante è anche
la rivoluzione delle donne: il femminismo esplode in Italia all’inizio degli anni 70, ma già da dieci anni le
donne erano in fermento. Sono colpiti i rapporti tra i sessi e la sfera della sessualità, verso la strada della
liberazione sessuale. Il femminismo vuole la parità dei diritti tra uomo e donna, infatti la rivoluzione
anticapitalistica per le donne è principalmente rivoluzione contro il dominio maschile, partendo dal privato
fino a cambiare l’intera società. La protesta riguarda anche il controllo del corpo ovvero l’uso di
anticoncezionali e l’aborto. Un referendum fu proposto dai radicali e fu vinto (1978). Il percorso è impervio
a causa delle resistenze del mondo cattolico, moralista; infatti esso aumenta la censura in tutti gli ambiti. Il
PCI non riesce ad incanalare questi fermenti di protesta perché i diritti civili erano estranei alla cultura
marxista. Infatti i promotori del referendum sul divorzio (1974) saranno del PLI e del PSI, sostenuti dai
movimenti femministi e dalla stessa società civile. Il risultato (no) sarà sottovalutato dalla DC.

9.5
Ciò significa che l’estremismo politico fa paura, i diritti civili no. Viene messo un freno alla destra che però
sta per esplodere. Un esempio è costituito dai fatti di Reggio Calabria del 1970: manifestanti e polizia si
scontrano per giorni e, quando la protesta sembra scemare, ci pensa il MSI a rinnovarla. E avrà risultati: le
liste missine si gonfiano, ma sull’onda della maggioranza silenziosa. E’ un movimento moderato
caratterizzato dalla preoccupazione per la situazione in atto. Il MSI vuole dare risalto a questa
maggioranza, ma quando introducono la violenza nei cortei, il movimento si sgonfia. E’ lo stesso segretario
Giorgio Almirante che mette un freno alla violenza, perché vuole trasformare il movimento in una destra
per bene e legittimata; ma al contempo sa che per riportare l’ordine non si può limitare al parlamento, dato
che la vera battaglia politica si combatte specialmente al di fuori. Ma la doppia anima in doppio petto e in
divisa non convince. Infatti il vero vincitore di questa stagione di tensione è il PCI.

9.6 – 9.7
Alle fortune elettorali del PCI contribuisce il discredito dei partiti di governo, perché non essendo mai stato
coinvolto nella maggioranza è indenne da scandali. Il PSI perdono consensi e la DC inizia un trend
discendente negli anni 70, causato dal suo malcostume e dalla sicurezza immutabile di mantenere per
sempre il potere. Nemmeno l’entrata del PSI nel governo frena ciò, anzi viene allargato ai socialisti: la
lottizzazione delle cariche viene enunciata dal manuale Cencelli. Tutto a danno della trasparenza e del
corretto funzionamento del sistema politico. L’obiettivo più ambito sono i voti e per questo continua a
proliferare il clientelismo. Si diffonde anche la criminalità organizzata: mafia, camorra, ndrangheta
aumentano il loro giro di affari specialmente per canali legali. Solo negli anni 80 lo stato dichiarerà guerra
alla mafia.
Il PCI quindi si propone come partito degli onesti, inoltre fa meno paura di anni prima perché Enrico
Berlinguer, dal 1972, ha iniziato la socialdemocratizzazione del partito, con strappi da Mosca e accettando
la presenza dell’Italia nel blocco occidentale. Ovviamente gli estremisti lo ripudiano, ma sono pochi
rispetto alla massa di operai e di ceto medio che sostengono il PCI.

9.7
Negli anni 70 inoltre la crescita economica rallenta, perché i paesi arabi produttori di petrolio diminuiscono
la produzione e alzano i costi, causando l’aumento dell’inflazione e problemi in Italia, che non ha risorse
proprie. La grande industria risente della crisi, mentre fiorisce la piccola impresa. Tra il 1974-76 c’è la
stangata, ovvero aumenti di tariffe, oltre che l’austerità, ma non riescono a fermare il crollo della lira. Ai
consumi e al benessere nessuno vuole rinunciare; durante gli espropri proletari nei grandi magazzini i gruppi
di autonomi fanno razzia di tutto. Essi costituiscono un nuovo movimento nato tra 1976-77 e sono molto
diversi dai giovani del 1968. Essi, a causa della crisi economica, non hanno la prospettiva di un futuro.
Sempre per gli stessi motivi aumenta anche il sommerso, cioè l’evasione fiscale.

9.8
Perciò crisi economica e terrorismo potrebbero essere letali per il sistema politico. Alle amministrative
1973 lo schieramento di sinistra si è posizionato bene e potrebbe proporsi anche a livello nazionale, dove il
centrosinistra è a pezzi. Ma nel 1976 viene varato un monocolore democristiano guidato da Giulio
Andreotti. La novità è che egli si regge sull’astensione delle altre forze politiche. Si chiama governo di
solidarietà nazionale, in cui i partiti si propongono di collaborare per riportare la pace nel paese, similmente
ai governi di unità antifascista. Nel 1976 il PCI raggiunge il 34,3%, ma il blocco del sistema politico dovuto
alla guerra fredda non permette il ricambio. E lo stesso Berlinguer si muove con cautela, anche perché
un’entrata nel governo del PCI potrebbe scatenare i sovversivi di destra, come successo in Cile nel 1973.
Nonostante ciò il PCI è diventato un modello per tutti i PC europei, avendo introdotto l’eurocomunismo,
ovvero un comunismo europeista staccato da Mosca. Berlinguer mostra di volersi avvicinare alla
maggioranza di governo e per questo propone il compromesso storico: tutti i partiti devono sforzarsi per
combattere le due emergenze in atto, ma in cambio la legittimazione del PCI come forza di governo, anche
gradualmente. Non è una proposta azzardata perché tra cattolici e comunisti c’è sempre stato un tacito
accordo a favore dei primi in parlamento, ed è proprio così che fino al 1976 si mantiene in vita il
centrosinistra. La maggioranza della DC si fa convincere da Berlinguer e specialmente Moro, leader della
sinistra; entrambi sono pronti a patteggiare. Ma quando, il 16 marzo 1978, i partiti si apprestano a
discutere la fiducia, le BR colpiscono: rapiscono Moro. E’ l’attacco al cuore dello stato; dopo 55 giorni egli
viene ritrovato morto a Roma. Il PCI si pone in difesa dello stato, contro ogni patteggiamento con i
terroristi. Anche nella DC però Moro è considerato scomodo. La spirale della violenza aumenta ancora di
più, ma anche la repressione della polizia e della giustizia. Dal 1978 al 1980 ogni giorno c’è un morto. Il
terrorismo è un capitolo aperto fino a metà anni 80, ma già a fine 70 si intravede la vittoria dello stato. La
normalizzazione quindi leva terreno al PCI e dà voti alla DC, sull’onda della solidarietà. E’ la fine del
compromesso storico e Berlinguer non ha alternative, se non tornare all’opposizione. Egli ha scontentato
tutti: gli estremisti, ma anche il ceto medio che si sente tradito dall’accordo con la DC.

CAP. 10: LA CRISI DI FINE SECOLO

10.1
Negli anni 80 gli italiani sembrano provare orrore nei confronti della politica. Infatti nel 1980 è avvenuta la
strage della Stazione di Bologna. Gli stessi terroristi si rendono conto di ciò che hanno causato al paese. Ma
ciò non significa che vengo meno l’impegno civile; al contrario nascono molti movimenti come quello
ecologista. La coscienza ambientalista si era sviluppata in Italia al fine di salvaguardare il paesaggio ormai
in gran parte deturpato. Nel 1974 era nato il Ministero per i Beni Culturali ed Ambientali. La battaglia
ecologista interessa anche la sinistra extraparlamentare, perché accusava la grande industria, però viene
epurata della violenza. Ma questo è un movimento di massa, inoltre la critica marxista ha perso di valore
dopo gli anni 70. I verdi sono l’unica novità nella politica italiana dopo la morte di Moro (1978). Infatti i
comunisti rinnegano il compromesso storico per proporsi come alternativa democratica; il PSI decide di
ritornare al governo con la DC. Craxi è ormai sovrano nel partito, che con il 9% è l’ago della bilancia. Egli
pretende dai cattolici il 50% delle cariche (=/= manuale Cencelli). Ciò fa capire quanto il sistema politico, a
causa dell’esclusione apriori del PCI, fosse paralizzato, in quanto sempre gli stessi partiti potevano
governare. Si passa però ad un pentapartito, con l’ingresso del PLI, ma è marginale. Inoltre, proprio
l’esaurirsi della tempesta aveva portato ai vecchi equilibri. Accanto a ciò, c’è un secondo miracolo
economico.

10.2
Tutta l’Europa occidentale gode di una fase di crescita. In Italia il reddito cresce del 45%, il consumo delle
famiglie del 61%. Gli italiani investono in titoli azionari, mentre gli impiegati nelle imprese diminuiscono a
causa dell’informatizzazione. Le grandi industrie non crescono più, e il pr0blema è la gestione delle
imprese pubbliche. Lo Stato poi mette le mani sulla Montedison; in questo affare è presente la madre di
tutte le tangenti. L’intreccio tra politica e potere economico porta con sé corruzione e affarismo, che
saranno scoperti dall’inchiesta Tangentopoli. Mentre negli anni 90 sarà avviata la privatizzazione delle
imprese pubbliche.
La crisi del settore pubblico si fa sentire specialmente al sud, perché un minimo di sviluppo era stato
consentito dalla spesa pubblica, ma non tramite servizi, bensì tramite posti di lavoro ad personam o
pensioni di invalidità non necessarie. Però la Cassa per il Mezzogiorno sarà chiusa a causa del profondo
rosso dei conti statali. Si fa strada il settore del made in Italy, il quale colma le carenze degli altri settori,
come il finanziario, ingegneria e informatica. Cresce invece l’informazione, con la diffusione delle
televisioni private come Telemilano, la piccola emittente di Silvio Berlusconi. Dal 1974 la Fininvest
diventerà un impero, insieme a Publitalia, per la pubblicità.

10.3
La società italiana quindi è diventata post-moderna, una nuova cultura di massa: c’è Internet che accorcia le
distanze e aumenta l’immaginazione. Accanto ad una tendenza all’individualismo, la società diventa
globale e interdipendente, ciò significa che il concetto di cittadinanza si dilata. Le grandi ideologie stanno
lentamente decadendo, sostituite da un pluralismo libero.

10.4
Bettino Craxi rilancia il PSI, che cambia logo e ridefinisce l’ideologia, con il distacco dal marxismo; il PCI
annaspa in una crisi di identità accelerata anche dal crollo del blocco sovietico. Ma nei primi anni 80 le cose
sono ribaltate: gli scandali di corruzione che riguardano il PSI danno molti consensi al PCI, infatti si parlerà
di complotto delle toghe rosse verso i socialisti. Tuttavia nel 1983 sono i voti clientelari del sud (in cambio di
benefici) che permettono a Craxi di diventare presidente del Consiglio, oltre che alla sua roccaforte di
Milano. Per questo nessuno vuole mettere mano alla spesa pubblica! Infatti inflazione e indebitamente
aumentano, decretando il fallimento dello stato, dovuto alle baby pensioni e al costo della sanità. Ma
appunto la classe politica non fa nulla, non governa, sperando di mantenere il proprio potere.
Specialmente la DC, un partito logorato. L’allarme per i cattolici arriva nel 1981 quando il presidente del
Consiglio è il repubblicano Spadolini, nominato dal capo dello Stato Pertini. Il secondo passo indietro sarà
appunto nel 1983. La DC non ha più presa sulla società italiana, anche a causa della laicizzazione. Nel 1987
viene stretto il patto CAF, tra Craxi, Andreotti e Forlani, per garantire la continuità del potere. Ma De Mita
e la sinistra cattolica non sono d’accordo, ma lo stallo del sistema politico permette a Craxi di contrattare.
De Mita viene oscurato dal suo stesso partito, ed è più facile perché sta fallendo anche il PCI con cui
dialogava.

10.5
I comunisti, dopo il compromesso storico, non hanno una politica di ricambio, in più la storia inizia a
diventare troppo pesante. Già Berlinguer aveva detto che la rivoluzione bolscevica aveva perso la sua
capacità propulsiva. Ci sono una serie di sconfitte che fanno capire al PCI che bisogna rinnovarsi: la
sconfitta elettorale del 1987, la marcia dei quarantamila (non operai) e la perdita del referendum sulla scala
mobile del 1985. Insomma la dottrina marxista non è in più in grado di comprendere la società italiana, la
cui classe operaia è cambiata. (cfr testo di Ignazi)

10.6
L’Italia degli anni 80-90 è un paese che è entrato tra le grandi potenze, ma che conserva tratti da terzo
mondo, come l’elevata corruzione e criminalità organizzata. La protesta a riguardo si diffonde all’inizio
nell’ambiente intellettuale-elitario. Qui si diffonde il movimento referendario di Segni, oltre che i numerosi
referendum chiesti dai Radicali, a favore di un sistema elettorale proporzionale; la mobilitazione antimafia;
la Sinistra dei club che si propone di creare un nuovo partito, il Partito democratico della sinistra. Al
contempo si sviluppano le leghe, che hanno una larga base di massa, soprattutto nei ceti agricoli e operai.
La Liga Veneta viene fondata da Umberto Bossi, un autonomista. Egli ha degli atteggiamenti violenti e
scorretti contro i terroni prima e gli extracomunitari poi; l’Italia non era ancora pronta a diventare
multietnica. E’ una novità nel paese, dove comunque il localismo era diffuso. I partiti non fanno caso a
questo fenomeno, che però attinge dove essi falliscono. Infatti nel 1985 il rapporto costi-benefici della
politica non era più in pareggio, quindi dilaga il malcontento. La paura della bancarotta e la stessa
partitocrazia mettono in pericolo il futuro del Nord, perciò Bossi propone di staccarsi dall’Italia. Molti
condividono il suo appello e ci si domanda se ci sia stata una effettiva nazionalizzazione delle masse. Le
numerose leghe si stanno aggregando e alle politiche del 1987 hanno il 8,1%, ma nel 1989 diventano il
quarto partito in Lombardia. Bossi allora accelera e fonda la Lega Nord nel 1989, che nelle amministrative
1990 fa il pieno di voti. In pratica fa saltare tutti gli equilibri politici e induce altri portatori di protesta a farsi
avanti. Il primo è Achille Occhetto, che con la sua Cosa, vuole collegarsi alla battaglia contro i partiti.

10.7
I partiti di governo sono quasi all’abisso, ma non colgono nemmeno il pericolo delle leghe e della fine della
guerra fredda, che potrebbe finalmente alterare gli equilibri. L’Italia infatti è disorientata nel 1990, allo
scoppiare della guerra del Golfo Persico e poi dei conflitti in Jugoslavia. L’Italia è sempre stata defilata in
politica estera, ma sempre fedele al patto Atlantico. I primi problemi ci furono nel 1985 con l’incidente alla
base NATO di Sigonella. Dopodiché in Italia esplode la protesta pacifista e gli alleati dubitano dell’ingresso
del paese contro Saddam. Infine il governo non si sottrae ai suoi impegni internazionali.
Nel 1989 Andreotti è presidente del Consiglio. La protesta anti-partiti culmina con la vittoria dei
referendari di Segni (95,5% di sì). Ma la DC si sta per scindere, infatti Leoluca Orlando (DC) fonda un
partito antagonista ai cattolici, La Rete, coagulo del dissenso cattolico animato da Francesco Cossiga. La
stessa Chiesa sta pensando di abbandonare al suo destino i democristiani che ormai non rappresentano più
i valori cristiani. Al contrario nel PSI non c’è dissenso, perché il potere acquisito si pensa che possa sbarrare
la strada ai magistrati impegnati nella lotta alla corruzione politica. Essi partono dai dirigenti periferici per
arrivare al cuore del potere. Così inizia Tangentopoli, partendo da un’inchiesta su Mario Chiesa a Milano. A
condurla è Antonio di Pietro, che riesce poi a slegare la matassa. Nel 1992 scatta l’allarme tra i socialisti.
Alle elezioni la vera vincitrice è la Lega Nord. La crisi è irreversibile. Il presidente del Consiglio diventa
Giuliano Amato. Neanche il PDS è indenne da mani pulite. Nel frattempo viene ucciso Giovanni Falcone
dalla mafia. Ma la vittima non è solo la partitocrazia, bensì anche il potere economico che ha tratto
vantaggi dalle tangenti: pagare dall’1 al 10% di ogni commessa voleva dire entrare nel giro degli appalti. In
Parlamento piovono avvisi di garanzia. Tra il 1992 e il 1993 i partiti della maggioranza si dissolvono, senza
lasciare traccia.

10.8
L’Italia, nel 1999, entra nella moneta unica, ma a costo di grandi sacrifici, per esempio il taglio alla spesa
pubblica, un obiettivo che sembra impossibile, oltre a misure di austerità. Sono impopolari, ma servono
per entrare nell’unione monetaria, a cui nessun partito vuole rinunciare. Ma nel 1992 la lira esce dallo SME,
troppo svalutata. La guida degli esecutivi passa nelle mani dei tecnici, poiché i partiti non sono in grado. Il
governo Amato del 1992 è retto da una maggioranza, ma ha molti tratti da tecnico, come la sua autonomia
di manovra. La sua prima manovra è una patrimoniale di 30mila miliardi, oltre che la privatizzazione dei
giganti pubblici. La sua seconda operazione è una patrimoniale da 93 mila miliardi. Il successore nel 1993,
Carlo Azeglio Ciampi, si muove similarmente. E’ sostenuto dal quadripartito, si astengono altri e votano
contro MSI e Rifondazione comunista, il partito creato dall’ala comunista scissasi dal PDS. L’Italia sta
vivendo una recessione economica.

10.9
I partiti sono vogliosi di riprendere in mano il potere, specialmente la sinistra, rafforzatasi sulle debolezze
degli altri. Occhetto infatti alle amministrative ha successo, ma ciò non si può replicare a livello nazionale.
Egli inoltre sottovaluta la discesa in campo di Berlusconi, che ha creato il nuovo partito Forza Italia. E’ un
partito-azienda che fa crescere i suoi consensi tramite le televisioni e il Milan. Però nel 1994 Berlusconi
travolge lo schieramento del PDS, perché i moderati rimasti senza guida si rivolgono a lui. Essi credono alle
promesse del Cavaliere di un milione di posti di lavoro e meno tasse. Egli si schiera con Gianfranco Fini
(MSI), alle prese con il rinnovamento del partito per legittimarlo, al centro-sud (Polo del buon governo),
mentre al nord con la Lega Nord (Polo delle libertà). Le due coalizioni vincono, favorite dal sistema
uninominale. Ma il successo dura un anno perché Bossi si ritira dallo schieramento, timoroso che Forza
Italia gli rubi gli elettori. Inoltre Berlusconi si ritrova coinvolto in mani pulite: l’imprenditore si scontra con il
politico. Allora nel 1995 sale al governo il tecnico Lamberto Dini, perché i partiti non sono in grado di darsi
un assetto. Ancora una volta i gruppetti democristiani si pongono come una cerniera tra la destra di Forza
Italia e la sinistra del PDS. Nel 1996 segue Romano Prodi, vincitore alle elezioni con il cartello dell’Ulivo,
che riunisce la sinistra senza Rifondazione. Tutta la sinistra va per la prima volta al governo. Ma avendo una
percentuale minima di differenza con FI, Prodi necessita di RC. Non è facile trovare un accordo e nel 1998
Fausto Bertinotti toglie l’appoggio a Prodi. Nel 1999 sale al governo Massimo D’Alema, leader dei DS
(senza P). Egli festeggia la nascita della nuova Europa, oltre che di un paese che, alle soglie del 2000, si è
lasciato alle spalle secoli di civiltà contadina.

Potrebbero piacerti anche