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L’Italia al tempo dell’Unità - riassunto

Dopo l’Italia classica della Roma antica e quella medioevale dei comuni, con l’unificazione del
1861 sorge la Terza Italia: era unita da un punto di vista territoriale, ma non politico ed
economico. In effetti i vari territori della penisola italiana non avevano più formato un’unica
formazione politica.

Il popolo → Milioni di abitanti ancora erano fuori dai confini nazionali, con un forte incremento
demografico dovuto all’alta natalità, ma con uno stato di salute fragile e un alto tasso di
analfabetizzazione. Vi era poi una notevole frammentazione linguistica, non esisteva
un’unica lingua nazionale. Anche l’urbanizzazione era molto bassa, con la mancanza di
formazione di grandi città .

L’industria → L’industrializzazione era molto bassa, con la mancanza di un’adeguata rete


ferroviaria. L’industria era concentrata in piccole aree (soprattutto a Nord) ed era piuttosto
arretrata. L’agricoltura era poco produttiva a causa della mancanza di innovazioni tecniche,
salvo quella praticata in alcune zone della pianura padana, ma per la maggior parte vigeva
ancora il latifondo, soprattutto nel centro-sud, nonostante fosse stato abolito agli inizi
dell’Ottocento.

Il debito → Vi era poi un enorme debito pubblico dovuto soprattutto alle spese sostenute dal
Piemonte nel corso della Prima e della Seconda guerra d’indipendenza. Infatti lo stato unitario
assorbì il debito degli stati preunitari. La destra storica decise che il debito pubblico del
Piemonte sarebbe stato a carico di tutte le altre regioni italiane, che pagarono un debito non
loro.

I problemi → La nascita del nuovo stato non avvenne nel migliore dei modi.
- Anzitutto non vi fu la costruzione di un nuovo ordinamento statale, cioè non si attuò
nessuna partecipazione politica dei diversi territori.
- L’unità non fu attuata attraverso una graduale ed equilibrata fusione che tenesse conto
delle molteplici esperienze avvenute nel corso della complessa storia italiana.
- La costruzione del nuovo stato si attuò nella forma di una progressiva annessione al
Piemonte, che si tradusse poi in una graduale piemontizzazione dell'Italia.

Il sud → Con la modifica del quadro politico-istituzionale non non si modificarono i rapporti
sociali, ossia non avvenne nessuna redistribuzione delle terre, come speravano le masse rurali.
Tutto ciò costò particolarmente caro al Sud, dove l’annessione avvenne senza alcuna riforma
agraria e in una sostanziale continuità rispetto agli assetti proprietari del periodo borbonico.
L’iniziale adesione delle masse contadine al moto risorgimentale fu dovuta alla speranza di
un cambiamento sociale, ma la riforma non si attuò . E questo va considerato come uno dei
problemi irrisolti di lungo periodo nel corso della storia italiana. L’unica forma di protesta
nei confronti del nuovo stato unitario fu il fenomeno del brigantaggio in seguito all’obbligo
della leva militare, duramente represso in quanto la destra storica non comprese il problema.

La questione romana → Vi era il problema del completamento dell’unificazione. Un’ipotesi


era conquistare Roma con la forza, l’altra era di tentare un’azione diplomatica. Questo problema
condizionò il rapporto fra mondo cattolico e stato unitario, che risultò molto difficile. Da qui
nacque un altro tema di lunga durata che caratterizzò la vita pubblica dell’Italia, ossia il
rapporto fra Stato e Chiesa, fonte di enormi difficoltà politiche. Si ottenne in seguito
l’annessione del Veneto e del Lazio.

Giolitti
Fu uno dei più importanti politici italiani, in particolare nell’Italia liberale, il primo che tentò di
farne una nazione simile alle altre potenze. Appartenne alla sinistra della sinistra sotrica e fu un
grande trasformista. Durante il governo presieduto da Zanardelli, Giolitti fu ministro degli
Interni e si profilò un nuovo corso della politica italiana. In seguito governò per un decennio,
costretto ad abbandonare la carica per delle crisi politiche, per poi ritornare. Egli commise un
grosso errore nel sottovalutare la potenza eversiva del partito fascista, stemperandolo proprio
come aveva fatto col partito socialista.

Trasformista → sostituzione del confronto aperto tra la maggioranza che governa e


l'opposizione che controlla, con la cooptazione nella maggioranza di elementi dell'opposizione.
In altre parole è una manovra politica che aggrega in una maggioranza elementi provenienti da
partiti diversi, anche di opposizione.

Depretis → primo presidente del consiglio della sinistra storica che organizzò intorno a sè
maggioranze fluide e di volta in volta variabili. Fu lui ad introdurre il trasformismo.

Quando Giolitti salì al governo, la grande depressione (creisi economica) era già finita e fu in
grado di approfittarne, dato che essa favorì l’industria italiana e un generale progresso
economico-sociale. Voleva rafforzare lo stato liberale in senso progressista, uno stato del tutto
nuovo, essendo che in italia fino ad allora c’erano state solo delle monarchie. Voleva realizzare
nella società una concreta trasformazione culturale, passando da uno stato frammentario ad
uno moderno. Ciò significava creare delle istituzioni burocratiche efficienti, introducendo
dovunque la burocrazia.

Giolitti fece dunque delle importanti riforme politiche senza scontentare i ceti dominanti e
mantenendo gli equilibri parlamentari: il suo obiettivo era quello di riuscire a trovare un
compromesso tra la borghesia liberale ed il socialismo riformista.
A seguito della seconda rivoluzione industriale, il partito operaio aveva fatto ingresso come
partito politico autonomo (il partito socialista), e Giolitti giunse alla conclusione che le richieste
degli operai erano del tutto legittime e soddisfarli gli avrebbe giovato. A tal fine era necessario
un atteggiamento non di scontro, ma di accordo col movimento operaio ed un ampliamento
della rappresentanza politica. Era una novità per la politica italiana che preoccupò la parte
conservatrice, ma ottenne l’appoggio della borghesia industriale.

La politica interna
Giolitti provò ad allargare democraticamente la partecipazione della popolazione. Si assisterà in
seguito alla prima vera elezione popolare, fino ad allora infatti, il diritto di voto era riservato a
pochi. Invece di creare una politica di contrapposizione, Giolitti prova a mediare.
Area massimalista → area meno collaborativa col governo

Giolitti riuscì ad imbrigliare le opposizioni, prima quella socialista, poi quella cattolica,
ampliando così le basi del consenso dello stato, riuscendo inoltre, ad isolare l’ala rivoluzionaria
del partito socialista.
Offrì a Filippo Turati (riformista) di entrare a far parte del governo nel 1906. Le proposte
politiche da egli esposte nel VI congresso a Roma furono semplici:suffragio universale, imposta
progressiva sui redditi, settimana lavorativa di 36 ore settimanali, indennità parlamentare,
affidamento delle terre incolte ai contadini. Turati rifiutò per non creare spaccature nel partito,
ma appoggiò costantemente l’azione giolittiana. Di questa tacita intesa si avvantaggiò il partito
operaio del nord, creando una spaccatura dalla vita contadina arretrata, che potè rafforzare i
suoi sindacati e avanzare le sue rivendicazioni. Lo stesso sindacalismo era difficile perchè molto
mal visto dagli industriali. Andando verso il suffragio universale e l’estensione del voto, si creò il
problema di controllare i partiti popolari: socialista, comunista e cattolico, (punti di riferimento
per il popolo). Il partito cattolico è il futuro partito popolare italiano, che assieme al comiunista,
saranno i protagonisti della seconda metà del novecento.

Anche per quanto riguarda il partito cattolico Giolitti privilegiò i rapporti con la parte moderata
del partito. Questi cattolici stavano all’opposizione a causa del Non expedit.
Non expedit → editto del pontefice dopo la presa di Roma che invitava i cattolici a non
assumere incarichi di alcun tipo nel nuovo stato italiano.

I cattolici erano pronti a sostenere la maggioranza parlamentare tutte le volte che era messa in
difficoltà dai socialisti. Dopo il 1912, di fronte al crescente pericolo che l’Italia fosse squassata
da tentativi rivoluzionari, Giolitti strinse un patto con Vincenzo Gentiloni (Patto Gentiloni).
Patto Gentiloni → stabilì un’alleanza tra il partito liberale e i cattolici, nel senso che i cattolici si
impegnavano a votare i candidati liberali alle elezioni, i quali, una volta eletti, si sarebbero
impegnati a difendere le scuole e le associazioni sindacali cattoliche e a contrastare
l’introduzione del divorzio in Italia.

Nella lotta tra il padronato e gli operai, Giolitti sostenne la neutralità dello stato che doveva
essere solo tutore delle leggi.

1901 → in occasione di una serie di scioperi scoppiati nel mantovano e nella Val Padana, Giolitti,
allora ministro dell’Interno del Governo Zanardelli, aveva proclamato la libertà di sciopero.

1904 → in occasione del primo grande sciopero generale della storia d’Italia, Giolitti non
impiegò la forza, lasciando esaurire lo sciopero, facendo indire al re nuove elezioni che
risultarono favorevoli alle forze moderate, anche per la partecipazione dei cattolici.

1907 / 1912-1913 → scoppiarono nuovi scioperi e gli industriali chiesero l’uso delle armi
contro gli scioperanti. Ancora una volta Giolitti non intervenne. Riteneva che lo stato non
dovesse intervenire e che maggiori profitti ai lavoratori e una ridistribuzione del reddito
avrebbero aiutato lo sviluppo dell’economia, perchè avrebbe comportato l’allargamento del
mercato interno e dei costumi, oltre che un più saldo consenso sociale.

Le riforme
1902-1904 → Legislazione per il sud
Sgravi fiscali per i ceti rurali, provvedimenti per l’industrializzazione di Napoli con la
costruzione del centro siderurgico di Bagnoli, legge per la costruzione dell’acquedotto pugliese e
provvedimenti per la Basilicata.

1905 → Nazionalizzazione delle principali linee ferroviarie


Lo stato si assunse il compito di pagare l’ampliamento delle ferrovie. Primo era stato compito
dei privati, che erano però presenti solo al nord e lo facevo per interesse personale
nell’economia.

1906 → Legislazione del lavoro


Obbligo del riposo festivo con la proibizione del lavoro notturno per donne e bambini.

1911 → Monopolio statale sulle assicurazioni sulla vita


Per salvaguardare i risparmiatori dalle condizioni di usura praticate dalle compagnie private.
Erano molto usate dai lavoratori per i pericoli che si correvano sul luogo di lavoro.

1912 → Legge elettorale / Suffragio universale maschile


Il diritto di voto venne esteso a tutti i maggiorenni che sapessero leggere e scrivere e agli
analfabeti che avessero prestato il servizio militare o che avessero compiuto 30 anni di età. Con
le elezioni del 1913 le masse entrarono per la prima volta nella vita politica.

Politica protezionista → Politica economica volta a proteggere la produzione nazionale dalla


concorrenza straniera, specialmente limitando le importazioni o imponendo alti tassi doganali
sulle merci importate. Viene adottata quando il liberismo economico mostra delle difficoltà .

Blocco economico → il sud continua a rimanere industrialmente arretrato.

POLITICA FINANZIARIA ED ECONOMICA:

a) Nel campo finanziario Giolitti mirò a salvaguardare il bilancio dello stato che fu mantenuto
sempre in pareggio e attivo, senza mai andare in deficit.
b) sul piano economico Giolitti cercò di stimolare la produzione industriale, sia proseguendo
la politica protezionistica, sia attraverso commesse statali, attivando molti lavori pubblici
specie le infrastrutture necessarie per lo sviluppo.
c) Tutto ciò consenti il decollo industriale italiano che fece aumentare del 30% il reddito pro
capite e migliorò la qualità della vita, ma i vantaggi toccarono solo al nord. Infatti ebbero
grande sviluppo il settore meccanico (Breda, Fiat), elettrico ( Edison), chimico ( Pirelli,
Montecatini) e siderurgico ( acciaierie di Terni) oltre al comparto alimentare ( zucchero in
Emilia e in Veneto). Rilevante anche l’industria tessile ( seta nel Comasco, lana e cotone in
Piemonte, Lombardia e Veneto).

d) ma a causa del blocco economico tra gli industriali del nord e dei latifondisti del sud,
l’arretratezza dell’economia del sud rimase invariata. Il sistema agrario del Mezzogiorno,
non si modernizzava e continuava a sfruttare il singolo contadino, Giolitti cercò di
migliorare le condizioni del sud ma il denaro fu disorganico e non sufficiente. Si può dire
anzi che nell’età giolittiana la questione meridionale si aggravò ulteriormente.

POLITICA ESTERA:
Benchè Giolitti non fosse personalmente un fautore del colonialismo promosse l’impresa di
Libia sollecitato sia dai gruppi politici e finanziari, sia dall’opinione pubblica.
C’è da dire che l’Italia dopo Crispi aveva abbandonato la politica tipicamente tripli cistica e si
era avvicinata alla Francia con un trattato commerciale che aveva posto fine alla guerra
doganale. Erano seguiti accordi commerciali con Inghilterra per la ripartizione di zone
d’influenza in Africa e con la Russia.

Fattori determinanti del’Impresa:


Finalità politiche: portare l’Italia nel novero delle grandi potenze e dirottare all’estero le
tensioni sociali.
a) volontà di compensi dopo il congresso di Berlino
b) crisi marocchina che preludeva al protettorato francese del Marocco;
c) interessi dei settori industriali ( industria pesante) e bancari: ad es. il banco di Roma legato
alla finanza vaticana aveva iniziato una politica di penetrazione in Libia;
d) propaganda imperialista dei nazionalisti
e) nuove possibilità per l’emigrazione italiana dato che si favoleggiava sulle grandi ricchezze
della regione.

Tra gli oppositori buona parte erano socialisti, ma espressero il loro dissenso anche parte dei
repubblicani e dei radicali, e intellettuali come Salvemini e Einaudi preoccupati per i costi della
guerra.
Nel settembre del 1911 l’esercito italiano occupò la Tripolitania e la Cirenaica e poi Rodi e le
isole del Dodecaneso, attaccando direttamente l’Impero ottomano ( di cui la Libia era parte).
100.000 uomini, ma l’impresa fu ardua e solo nel 1912 la Turchia sottoscrisse il Trattato di
Ouchy in cui l’Impero ottomano lasciava libera la Tripolitania e la Cirenaica in cambio del
Dodecaneso.
L’impresa comportò spese ingentissime e costò 3000 caduti. Sotto il profilo economico, a parte i
vantaggi alle banche agli armatori e all’industria pesante, la conquista di quello “ scatolone di
sabbia” ebbe un rilievo molto inferiore a quello propagandato dai nazionalisti.

CRISI DEL SISTEMA POLITICO DI GIOLITTI

Questa vittoria celava però una profonda crisi del sistema giolittiano determinato da un grave
passivo del bilancio pubblico e da sempre più aspri conflitti sindacali.

Il nazionalismo
Il nazionalismo fu un movimento culturale e politico che ebbe un peso decisivo sugli eventi e fu
una delle principali cause scatenanti della prima guerra mondiale per cui è importante capirne
le ragioni che lo alimentarono.
L’idea moderna di nazionalismo era nata nel ‘700 con Russeau, che aveva parlato dello Stato
come espressione di un popolo, un insieme di cittadini capaci di esprimere una realtà condivisa.

Questo concetto fu veicolato dalla Rivoluzione francese, arricchito dal romanticismo con il
recupero e la rivalutazione della storia e delle tradizioni di ciascuna etnia.
Nacque così il sentimento nazionale per cui tutti i popoli avevano diritto ad uno Stato che
esprimesse la nazione, una comunità di individui liberi con stesse radici storiche e culturali. La
nazione venne così intesa come basata sul nesso “terra” e “spirito”.

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