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GIOLITTI

Giolitti nasce a Mondovì, in Piemonte, nel 1842, era un liberale democratico.

Giolitti nell’Ottocento
Giolitti entrò in Parlamento come deputato nel 1882 eletto nel collegio di Dronero. Ministro del
Tesoro con il governo Crispi, fu presidente del consiglio nel 1892. Il nuovo presidente del consiglio
dovette fronteggiare una vera e propria ondata di scioperi e proteste che attraversavano le
campagne. Particolarmente grave era la situazione in Sicilia dove esplose la rivolta dei fasci siciliani
(movimento fondato da borghesi radicali, socialisti e anarchici, ma nel quale confluirono operai,
minatori delle zolfare, contadini che chiedevano la revisione dei patti agrari, la diminuzione delle
imposte e l'abolizione dei dazi) di fronte alla violenta protesta dei fasci, Giolitti rifiutò di fare
ricorso a misure eccezionali, come richiedeva la classe dirigente e parte dell'opinione pubblica.
Questo atteggiamento morbido mise in crisi la credibilità di Giolitti, ma a travolgerlo fu il suo
coinvolgimento nello scandalo della banca di Roma. La Banca di Roma era uno dei sei istituti
bancari autorizzati a emettere carta moneta, per coprire ammanchi dovuti a falliti investimenti nel
settore edilizio aveva stampato clandestinamente e fatto circolare molti milioni di lire. Per questo
fu accusato di aver coperto le irregolarità e dovette dimettersi di fronte a un Parlamento
tumultuante.
Giolitti fu di nuovo protagonista della scena italiana nel 1903, infatti il periodo compreso tra l'inizio
del 900 e lo scoppio della Prima guerra mondiale viene considerata l'età giolittiana, durante il
quale Giolitti fu più volte presidente del consiglio.

Giolitti presidente del consiglio


Nel tentativo di stemperare le tensioni, Vittorio Emanuele III decise di abbandonare la politica
autoritaria del padre. Perciò affidò la Presidenza del consiglio a Giuseppe Zanardelli e l'incarico
degli interni fu attribuito a Giovanni Giolitti.
Nel novembre del 1903 Giolitti subentrò a Zanardelli, diventando così egli presidente del consiglio.
Giolitti mirò ad allargare la base del consenso popolare allo stato liberale e fare del governo il
motore della pacificazione e della modernizzazione del paese. Questo obiettivo fu raggiunto da
Giolitti non sulla base di un programma ma solamente muovendosi pragmaticamente per ottenere
il migliore risultato possibile in ogni circostanza. In campo parlamentare ciò significava portare il
centro liberale, da lui guidato, ad appoggiarsi o alla destra o alla sinistra, a secondo della
convenienza. Questa abitudine lo espose all’accusa di trasformismo e di clientelismo.
I tre principali problemi con cui Giolitti dovette misurarsi nella prima decade del 900 erano:
-questione sociale
-questione cattolica
-questione meridionale

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Questione sociale
Il primo campo nel quale Giolitti si mosse con abilità e decisione, già da ministro degli interni, fu
quello sociale. Negli ultimi decenni dell'Ottocento infatti, sotto i governi della sinistra storica la
forza del movimento dei lavoratori era enormemente cresciuta. I motivi di tale sviluppo erano
legati alle condizioni generali del paese:
-l’istruzione elementare obbligatoria e gratuita;
-l’allargamento del diritto di voto, esteso il suffragio a operai specializzati e artigiani;
-l’incremento demografico;
lo sviluppo è dovuto anche per le notevoli capacità di auto-organizzazione dei salariati.
Giolitti ebbe il merito di riconoscere che una simile evoluzione della società non poteva essere più
arginata né tantomeno impedita con la forza, ma era necessario controllarla e guidarla su binari
specifici. Giolitti si accorse che gli operai erano divenuti una forza di primo piano della vita
politica, perciò decise di garantire maggiore libertà di azione ai lavoratori e di promuovere una
legislazione assistenziale e previdenziale adeguata.
Nel 1901-1902, l'Italia fu investita da una pesante ondata di scioperi, Giolitti da ministro
dell'Interno, impegnò il governo a garantire l'ordine pubblico, ma per il resto si mantenne
neutrale, lasciando che il conflitto tra padroni e operai fosse risolto dalle parti in causa, favorendo
la trattativa. Furono emanate diverse leggi favorevoli ai lavoratori, che esprimevano un'apertura
del governo alle richieste dei socialisti: la nascita del consiglio superiore del lavoro; le norme che
limitavano il lavoro anche notturno, femminile e minorile ; l'assicurazione obbligatoria per gli
infortuni; i pacchetto di leggi per il Sud ; l'istituzione delle aziende municipalizzate. Giolitti invitò
Turati a portare i socialisti nell'esecutivo, ma per la forte opposizione all'interno del suo stesso
partito, rifiuto. Nell'aprile del 1904 Giolitti perse l'appoggio parlamentare, non si fece però sviare
la strada intrapresa. Nello stesso anno ci fu uno sciopero generale, anche in questa occasione
Giolitti non ricorse alla forza, e attese che lo sciopero si esaurisse; poi chiese lo scioglimento della
Camera dei deputati. L'anno successivo il governo non fu nelle mani di Giolitti, che ritornò in carica
nel 1906, sostenuto a sinistra dai riformisti poté, riprendere la sua politica di conciliazione e attuò
alcune riforme:
-la nazionalizzazione delle principali reti ferroviarie
-la conversione della rendita dei titoli pubblici (abbassamenti degli interessi pagati dallo Stato ai
possessori di titoli pubblici)
-la nascita del monopolio statale delle assicurazioni sulla vita

Questione cattolica
Giolitti, cercò un'intesa con i cattolici, alla quale non si oppose Il Papa Pio X, che allentò di fatto il
non expedit. Giolitti, infatti, garantì che il suo esecutivo avrebbe rinunciato agli atteggiamenti
laicisti e anticlericali tipici dei governi precedenti. Grazie all'appoggio cattolico, Giolitti riuscì a
bloccare l'avanzata delle forze politiche estreme. In tale occasione approdarono alla camera i primi
cattolici deputati. L’introduzione del suffragio universale maschile suscitò nell'opinione pubblica
cattolica e nella chiesa il timore di un'avanzata impetuosa della sinistra. Giolitti, sfruttò questo
timore per ampliare ulteriormente la base del consenso allo stato liberale e alla sua politica:

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strinse l'accordo con il Conte Vincenzo Ottorino Gentiloni, il patto Gentiloni. Con il Patto Gentiloni,
Giolitti conseguì due importanti risultati:
il primo: fu il recupero quasi integrale alla vita pubblica italiana dei cattolici,
il secondo: fu la vittoria alle elezioni virgola che favorì l'ingresso di oltre 200 deputati cattolici nella
maggioranza giolittiana. I cattolici condizionarono in modo evidente la libertà d'azione del
presidente del consiglio.

Questione meridionale: la politica di Giolitti per il sud


I meridionalisti richiedevano a gran voce che il governo riformasse l'agricoltura del Mezzogiorno,
permettendole di diventare competitiva sia sul mercato interno sia all'estero. Giolitti optò invece
per una politica differente: egli intese favorevole lo sviluppo industriale del meridione con gli
strumenti già utilizzati al Nord nei decenni precedenti: l'intervento diretto dello Stato volto alla
creazione di grandi industrie, all'allargamento del credito bancario unito ad agevolazioni fiscali
costruzione di infrastrutture. Per attuare questo programma, il presidente del consiglio si servì
principalmente di leggi speciali, provvedimenti diversi tra loro destinati a territori specifici. Gli
interventi del governo si rilevarono largamente inefficaci e incapaci di agire sul piano sull’arretrato
territorio del mezzogiorno. Anche se Giolitti non riuscì a migliorare la situazione del meridione, da
quest'area trasse il sostegno necessario per i suoi governi. Infatti, egli si appoggiava ai ceti
dominanti tradizionali, che garantivano una riserva di voti grazie al clientelismo e alla corruzione
anche elettorale. Da qui l'accusa pesantissima rivolta a Giolitti di agire come ministro della
malavita.

Guerra in Libia
Quando Giolitti diviene Primo ministro l'Italia è schierata a fianco di Germania e Austria nella
Triplice alleanza (1882), ma cerca accordi con Regno Unito e Francia per ottenere sbocchi in Africa.
Dopo il fallimento della campagna d'Etiopia, i nazionalisti chiedono una ripresa della politica
coloniale, sostenendo che la conquista di nuovi territori possa servire a dare terre ai contadini
meridionali. Giolitti trova quindi un'intesa con Regno Unito e Francia per annettere la Libia. Nel
settembre 1911 l'Italia dichiara guerra alla Turchia; con la Pace di Londra (ottobre 1912) l'Italia
ottiene la Libia e le isole del Dodecaneso.

Da Giolitti a Salandra
Nel 1912 Giolitti vara una riforma elettorale che introduce il suffragio universale maschile. Grazie
al patto Gentiloni, alle elezioni dell'autunno 1913 i liberali ottengono una maggioranza schiacciante,
ma la politica del governo è condizionata dai cattolici. Nel marzo 1914 Giolitti decide di dimettersi,
lasciando un Paese più moderno e industrializzato, su cui però pesano forti elementi di arretratezza
e una forte tensione sociale. Gli succede il conservatore Salandra.

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Giolitti nell’Italia post guerra
Nel 1920, Nitti dovette dimettersi, al suo posto subentrò Giovanni Giolitti.
Con egli si registrarono due importanti successi, uno in politica estera e uno in politica interna. in
politica estera, fu firmato il trattato di Rapallo, che garantiva la Dalmazia alla Jugoslavia ma dava
Zara all'Italia e faceva di Fiume una città libera. In politica interna Giolitti si trovò ad affrontare gli
ultimi anni del biennio rosso ci furono varie occupazioni delle fabbriche e Giolitti impiegò gli stessi
metodi utilizzati nel 1904 nei confronti degli scioperati, limitandosi a mantenere l'ordine pubblico
nella convinzione che la protesta operaia potesse alleviarsi, già indebolita dalle divisioni tra
socialisti e Cgl. In questi anni ci furono le violente spedizioni delle camicie nere, e Giolitti si
convinse che la violenza fascista potesse rivelarsi utile ai suoi scopi: era certo di poterla sfruttare
per contenere le proteste proletarie, e facendo leva sul clima generalizzato di violenza, convincere
i deputati i moderati presenti nelle camere a sostenere gli instabili esecutivi liberali. Questa
convinzione si rivelò fasulla, infatti, le forze liberali non seppero frenare l'avanzata di Mussolini e
dei suoi seguaci.
Nelle elezioni del 1921 Giolitti intraprese la campagna elettorale con la strategia del cosiddetto
blocco nazionale cioè l'alleanza dei liberali con i nazionalisti e i fascisti. Fu un gesto di suicidio dello
Stato liberale.

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