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COLONIALISMO E DECOLONIZZAZIONE ETA’ GIOLITTIANA

ETA’ GIOLITTIANA:

Vittorio Emanuele III di Savoia sale al trono nel 1900.


In città i contadini iniziarono a ribellarsi con le rivolte e gli operai, non contenti delle loro condizioni di
lavoro, iniziarono a scioperare per far valere i propri diritti.
La classe dirigente liberale, molto attenta ai problemi del Paese, affidò il governo a Giovanni Giolitti che fu il
Presidente del Consiglio, con il compito di ascoltare anche le forze operaie.

Il periodo di governo di Giolitti fu dal 1903 al 1914 e fu chiamato età giolittiana.


Secondo Giolitti il diritto di sciopero era garantito dalla legge e quindi le forze dell'ordine non dovevano
intervenire contro gli operai che scioperavano per far valere i propri diritti in materia di lavoro, perché
altrimenti avrebbero causato il rafforzamento della classe imprenditoriale (nonché dei datori di lavoro) a
discapito della classe operaia (i lavoratori) che rappresentava la maggioranza della popolazione.
Giolitti aveva capito che il movimento degli operai e dei contadini faceva parte della società moderna e che
era importante ascoltare le voci dei lavoratori; soprattutto Giolitti capì che se i lavoratori ottenevano
migliori salari, potevano spendere di più all’interno del Paese e questo era positivo per l'intera economia
dello Stato italiano.

Giolitti fece approvare dal Parlamento diverse leggi che miglioravano la vecchia legislazione (insieme delle
vecchie leggi) in tema di lavoro andando a modificare alcuni aspetti per garantire ai lavoratori migliori
condizioni di lavoro. Queste nuove leggi andavano a regolare alcuni aspetti:
– Il lavoro notturno: furono stabiliti limiti di durata e il giusto compenso.
– L'orario normale di lavoro: passò a 10 ore giornaliere, mentre prima i lavoratori erano costretti a lavorare
molte più ore.
– Divieto del lavoro dei minori di 12 anni
– Aumento dei sussidi per malattia e invalidità
– Congedo di maternità per lavoratrici madri. Il congedo è un periodo di assenza dal posto di lavoro per la
nascita del figlio, che garantisce di mantenere il rapporto di lavoro. Le madri quindi non erano costrette a
perdere il proprio lavoro se dovevano assistere il figlio al momento della nascita ma avevano diritto ad un
periodo in cui potevano mantenere il posto di lavoro pur senza svolgere attività di lavoro.

In questo periodo, proprio per aumentare la tutela dei diritti dei lavoratori, nascono i sindacati, cioè
organizzazioni di persone che andavano a proteggere i lavoratori facendo da intermediari fra lavoratori e lo
Stato, di fronte all’insorgere di problemi inerenti al lavoro.
Sempre in questo periodo furono istituite le Camere del Lavoro che raggruppavano e rappresentavano i
lavoratori di ogni provincia.
Un'importante riforma giolittiana, oltre alla serie di riforme in materia di lavoro, fu l’introduzione del
suffragio universale maschile, nel 1912, cioè il diritto di voto di tutti i cittadini di sesso maschile con più di
21 anni (oppure 30 se analfabeti). Per la prima volta infatti tutti i cittadini in possesso di questi requisiti
poterono partecipare alle votazioni per decidere i propri rappresentanti. Fu questo un passo molto
importante.
Il partito socialista
fu un partito fondato nel 1892 da Filippo Turati che aveva molti consensi nel periodo Giolittiano, proprio
perché portava avanti ideali quali ad esempio
All’interno del partito si formarono due correnti differenti. Da un lato vi erano i riformisti, più moderati, che
affianco alla tutela dei diritti del popolo riconoscevano il potere della borghesia e che miravano ad una
cooperazione con la classe borghese; dall’altro lato invece vi erano i rivoluzionari, detti anche massimalisti,
cioè coloro che volevano realizzare l'abbattimento del potere della borghesia.
Nel periodo giolittiano nacque anche la CGDL, Confederazione generale del lavoro, cioè un sindacato
(gruppo di persone che rappresentano i lavoratori) con lo scopo di difendere i diritti di questi lavoratori.
Non esisteva ancora un partito cattolico perché Papa Pio IX aveva stabilito questo divieto. I cattolici però
sentivano l’esigenza di costituirsi con un proprio partito e così Papa Leone XIII con l'enciclica chiamata
“Rerum Novarum” del 1891, indicò il modo nel quale i cattolici potevano farsi sentire. Giolitti propose loro
di appoggiare una parte dei liberali (più precisamente coloro che non andavano contro a quanto diceva la
Chiesa) e così alle elezioni del 1913 i liberali vinsero le elezioni con l'appoggio che avevano ricevuto dai
cattolici.
Clientelismo: un aspetto negativo che si verificò in epoca giolittiana fu il clientelismo, nonché la corruzione
alle votazioni politiche, soprattutto in favore del socialismo. Questo fenomeno avveniva soprattutto al sud
dove venivano promessi dei vantaggi in cambio del proprio voto.

Durante il periodo giolittiano, accanto all'attività principale che era l'agricoltura, si rafforzò molto
l'industria, soprattutto al nord nelle città di Genova, Torino e Milano. L’industrializzazione fu quindi un
ulteriore aspetto positivo dei primi anni del 1900.
Una delle industrie principali fu l'industria siderurgica, cioè l'industria che si occupava della lavorazione dei
metalli e anche l'industria meccanica.
Molto importante fu l'industria FIAT a Torino che ancora oggi rappresenta un importante industria
nazionale e anche l'industria Ansaldo e Ilva.
L'Italia fu il Paese europeo con maggiore crescita economica anche se altri Paesi erano maggiormente
industrializzati. Per aumentare lo sviluppo dell’industria era necessario aumentare i collegamenti, ad
esempio le ferrovie, e potenziare i trasporti marittimi e terrestri. Così lo Stato, ben capendo questa
necessità, iniziò a potenziare questi collegamenti.
Al fine di favorire l’economia italiana, di pari passo all’industrializzazione, il Governo iniziò a applicare forti
dazi (tasse) sui prodotti importati dall'estero (cioè acquistati all'estero) e in questo modo le persone erano
obbligate ad acquistare all'interno del Paese italiano anziché negli altri Paesi, contribuendo allo sviluppo
economico interno.
Vi è da osservare però che in Italia c'erano molte differenze fra nord e sud, perché il nord era molto più
industrializzato e vi erano anche più lavoratori, mentre nelle regioni del sud c'era agricoltura estensiva con
tanti contadini che lavoravano nei campi con pochi diritti, condizioni di lavoro pessime e poco istruiti in
quanto la necessità di lavorare nei campi rendeva impossibile la frequentazione delle scuole e lo sviluppo
dell’istruzione e così le differenze fra nord e sud aumentavano ulteriormente. Fu proprio a causa di questa
situazione che molti italiani poveri quindi scelgono di emigrare in altri paesi. Il fenomeno dell'emigrazione
era già iniziato nell'ultimo periodo dell'800. I contadini delle zone più povere erano quelli che per primi
lasciarono la loro terra. Andavano verso il Canada, Argentina e Brasile. In epoca giolittiana si arrivò ad
un’emigrazione fino al 20% della popolazione. La destinazione principale fu l’America dove nacque anche
Little Italy, un piccolo quartiere italiano. Le campagne rimasero povere e un ulteriore aspetto negativo fu
l’indebolimento dei rapporti con i propri familiari. Tuttavia questa situazione contribuì al verificarsi anche di
aspetti positivi: stando lontane da casa, le persone impararono anche a leggere e scrivere per poter
comunicare con i propri familiari e inoltre i soldi guadagnati all'estero venivano mandati nel paese di origine
oltre al fatto che quando le persone tornavano in Italia portavano maggiori conoscenze, maggiore
istruzione ed esperienza lavorativa ed anche soldi da poter spendere all’interno del territorio italiano.

COLONIALISMO:

l'Italia partecipò alla conquista e alla divisione dell'Africa. Nel 1869 iniziò il viaggio degli italiani verso il mar
Rosso e l’Eritrea fu la prima colonia italiana, cui seguì la Somalia. Francesco Crispi fu l’italiano che volle
queste conquiste.
Con Giolitti riprese il colonialismo perché coloro che fabbricavano le armi avevano investito dei capitali in
Libia e quindi volevano che l’Italia conquistasse queste. Così partì una spedizione volta alla conquista della
Libia con la guerra che iniziò nel 1911. I villaggi della Libia furono protetti dalla Turchia e gli italiani
iniziarono a spostarsi verso la Grecia, con base nell’isola di Rodi. Ma nonostante questo la Turchia si dovette
arrendere con questo la Libia fu comunque conquistata.

LA CONQUISTA LIBICA:

Il pretesto che fece maturare in Giolitti la decisione di attuare la conquista della Libia , fu la crisi marocchina
che mise in contrasto Francia e Germania. Dopo il 1906 , la Francia aveva intensificato la penetrazione in
Marocco e nel 1911 ne aveva occupato la capitale Fez . La Germania che era garante dell’indipendenza del
Marocco, rispose all’azione francese inviando un incrociatore nelle acque di Agadir (1 luglio 1911). Questo
incidente fece apparire come una necessità per l’Italia risolvere la questione libica con una spedizione
militare anche perché l’occupazione francese del Marocco offriva l’opportunità di rendere operanti gli
accordi franco-italiani del 1902 , che lasciavano libertà d’azione all’Italia in Tripolitania. La Turchia inoltre
cercava di ostacolare gli interessi finanziari e commerciali italiani. La conquista italiana della Libia prese il
via tra il 4 e il 9 ottobre 1911 con gli sbarchi delle truppe italiane a Tobruk e Tripoli.

Giolitti riprese la politica coloniale per dimostrare il prestigio internazionale dell’Italia , per dare terre ai
braccianti del sud, trovare mercati per la produzione industriale e nuove destinazioni a tutti gli emigranti.
Non sembravano esserci ostacoli, perché la Libia era una delle pochissime terre rimaste libere dal
colonialismo europeo; inoltre Giolitti aveva il benestare di Francia e Inghilterra, godeva il favore dei gruppi
finanziari e industriali che già operavano a Tripoli , dei cattolici che percepivano la guerra come una crociata
contro l’Islam, dei nazionalisti secondo i quali alla lotta di classe , che indeboliva la nazione, andava
sostituita la lotta tra nazioni ( “guerra vittoriosa”) e anche di gruppi di intellettuali.

Liberali, cattolici e nazionalisti erano dunque favorevoli alla conquista della Libia per considerazioni di
politica internazionale, per motivi di prestigio nazionale , per interessi economici , per ragioni di politica
interna. Sembrava che la sua conquista avrebbe risolto il problema principale dell’economia italiana: cioè la
mancanza di materie prime e di risorse naturali. Oltre a questo la guerra libica suscitò una vasta ondata di
retorica patriottica (D’Annunzio, Pascoli) , fecero la comparsa persino canzonette che inneggiavano alla
“Tripoli italiana”.

I nazionalisti avevano orchestrato una rumorosa campagna di stampa per l’occupazione della Libia.
Secondo loro questo paese era fertilissimo e si adattava perfettamente come colonia. Era meno evidente
dove si sarebbero trovati i capitali da impiegare , Di certo in questa zona, il Banco di Roma e quelli del trust
siderurgico avevano vasti interessi.

Vengono inviati sotto il comando del Generale Carlo Caneva 100.000 uomini. L’occupazione del territorio
interno si rivelò molto difficoltosa a causa delle tribù libiche , tanto che alcune sconfitte costrinsero gli
italiani a restare sulla costa. Il governo italiane si aspettava che le popolazioni locali vedessero nei soldati
italiani dei liberatori , invece cercarono di resistere. Felici di venir liberati dal dominatore turco , non
sopportavano di finire in mano italiana da cui si sentivano diversi anche per fede religiosa. Venne
conquistata prima la fascia costiera, poi Rodi e altre isole controllando così le vie di rifornimento della
Turchia alla Libia. Le altre potenze europee si opposero con forza, a cominciare dall’Austria, la quale
dichiarò che l’occupazione delle isole dell’Egeo da parte italiana era contraria agli accordi della Triplice
Alleanza. La Turchia fu costretta a firmare il Trattato di Losanna (ottobre 1912) , l’Italia ottenne Libia e
Dodecaneso che non abbandonerà più fino alla fine della II Guerra Mondiale. I Turchi conservarono
un’autorità religiosa sulle popolazioni mussulmane.

Dal punto di vista economico la conquista della Libia si rivelò un pessimo affare . I costi della guerra furono
molto pesanti , le ricchezze naturali tanto favoleggiate si scoprirono scarse o inesistenti ( nessuno ancora
conosceva il petrolio!) ; la colonizzazione delle zone costiere non bastò ad assorbire tutti i lavoratori
emigrati. La conquista della Libia insomma , non fu sufficiente né a “salvare” l’Italia dai suoi problemi, né a
rendere più popolare Giolitti nell’ala più conservatrice del partito.
DECOLONIZZAZIONE:

La decolonizzazione è un processo storico che ha portato al dissolvimento degli imperi coloniali costituiti
dalle grandi potenze europee nel corso del XIX secolo.

Le cause della decolonizzazione sono:

Declino politico di Francia e Inghilterra (in quanto erano uscite dalla seconda guerra mondiale molto
deboli): emerge la potenza degli Stati Uniti e dell'Unione Sovietica, esigenza dei Paesi coloniali di acquisire
libertà e indipendenza, intervento significativo da parte dell'ONU e della Chiesa ed è per questo che si diede
vita alla decolonizzazione.

DECOLONIZZAZIONE MEDIO ORIENTE:


Qui la decolonizzazione è complessa, anche perché questa zona ha grande importanza economica, in
quanto assicura rifornimenti petroliferi a tutto il Mondo.
Dopo la prima guerra mondiale, alla Francia vengono affidate Siria e Libano, mentre alla GB spettano Iraq e
Palestina. In seguito alla seconda guerra mondiale, la Francia è costretta (a causa di gravi difficoltà portate
dall’invasione nazista) a dichiarare l'indipendenza di Siria e Libano.
Nel 1945 (2 marzo) viene costituita la Lega Araba, a cui aderiscono Libano, Siria, Iraq, Egitto, Arabia Saudita,
Transgiordania e Yemen, per favorire la nascita di un nuovo Stato arabo: la Palestina, sottraendola alla Gran
Bretagna.
Si sviluppa il sionismo, un movimento politico organizzato che prevede il ritorno dei figli d'Israele in
Palestina.
Nel 1947 l'ONU divide, la Palestina in due Stati, uno ebraico e uno arabo, con Gerusalemme come zona
internazionale. Un anno dopo la GB si ritira dalla Palestina.
Sempre nel 1948 (14 maggio) nasce lo Stato d'Israele e il Medio Oriente si trasforma in una delle aree più
critiche dei pianeta, infiammata dal conflitto arabo-israeliano e dalla questione palestinese. La prima guerra
arabo-israeliana (maggio 1948) vide un importante successo dell'esercito israeliano. Ben presto il conflitto
locale venne risucchiato nella logica della guerra fredda e del bipolarismo: Israele divenne il sostegno degli
Usa, mentre il nazionalismo arabo venne incoraggiato e armato dall'Urss in funzione anti-americana. Nel
1967 la fulminea e vittoriosa guerra dei sei giorni impose l'egemonia israeliana nell'area, aprendo la spinosa
questione dei profughi palestinesi. Da allora la resistenza palestinese cominciò a strutturarsi
nell'Organizzazione per la liberazione della Palestina, guidata da Arafat. Nel 1973 la crisi precipitò
nuovamente con l'aggressione di Egitto e Siria a Israele (guerra del Kíppur).

ISLAM:

Il nazionalismo arabo-isiamico accelerò la decomposizione dei colonialismo francese nel Maghreb, ma


mentre in Tunisia e Marocco il processo fu difficile ma non drammatico, in Algeria costò una sanguinosa
guerra. L’Algeria, infatti, era ritenuta parte integrante del territorio francese; per ragioni di prestigio
internazionale la Francia non poteva accettarne l'indipendenza. Guidata dal Fronte di liberazione nazionale
la lotta scivolò rapidamente nella guerra aperta: al terrorismo dei guerriglieri i francesi risposero con
ferocia. La pressione dell'opinione pubblica spinse infine De Gaulle nel 1962 a riconoscere l'indipendenza
dell'Algeria, in cui si instaurò un regime filosocialista schierato nel fronte dei non allineati.

EGITTO:

Sebbene il paese fosse formalmente indipendente dal 1922, l'influenza britannica cessò solo nel 1952,
quando un colpo di stato guidato dal giovane ufficiale Nasser impose un regime dai tratti autoritari ma ben
deciso a far rispettare la propria autonomia. La nazionalizzazione dei canale di Suez condusse alla guerra
contro una coalizione franco-anglo-israeliana, da cui Nasser usci sconfitto ma politicamente rafforzato,
avendo dimostrato la crisi del vecchio colonialismo. Avvicinatosi all'Urss, Nasser consolidò la politica di
sviluppo, facendo dell'Egitto il paese leader dei nazionalismo arabo.

DECOLONIZZAZIONE ASIA:

Nel 1947 l'India conquistò l'indipendenza. I maggiori problemi erano il conflitto religioso tra induisti e
musulmani e lo sviluppo economico. Gandhi sosteneva l'integrazione fra musulmani e induisti in uno stesso
stato e perciò fu assassinato nel 1948 da un induista che lo accusava di essere troppo morbido con la
minoranza musulmana. Infine prevalse la divisione: nacquero cosi traumaticamente l'Unione Indiana
(induista) e il Pakistan (musulmano), da cui in seguito si staccò il Bangladesh. Il successore di Gandhi, avviò
la modernizzazione socio-economica, facendo dell'India la più grande democrazia del mondo nonché una
promotrice dei movimento dei paesi non allineati. Sostenuto finanziariamente dagli Usa, eglli non disdegnò
di applicare elementi di socialismo nella vita produttiva, attraverso la programmazione economica e un
forte interventismo statale. Su questa linea si sono attestati i suoi successori, garantendo un robusto
sviluppo che pure non ha risolto i problemi dell'approvvigionamento alimentare.
Nel Sud-est asiatico il vuoto determinatosi con il crollo del Giappone fu colmato dagli anglo-americani, che
dovettero affrontare il nodo dei movimenti nazionalisti. L’area più critica fu quella dell'Indocina, dove la
dura colonizzazione francese aveva favorito lo sviluppo di un forte movimento comunista indipendentista,
guidato da Ho Chi Minh. Occupata dai giapponesi durante la guerra, l'Indocina conquistò la sua
indipendenza nel 1945, proclamando la Repubblica Democratica del Vietnam. Contro questa prospettiva De
Gaulle mobilitò l'esercito e cominciò una guerra, terminata solo nel 1954 con la vittoria vietnamita.
A Parigi si decise che il Vietnam rimanesse diviso in due parti, l'una controllata dai vietnamiti l'altra dai
francesi.

Ma questa soluzione diplomatica non pacificò la regione: ai francesi si sostituirono sempre più gli
americani, mentre il governo vietnamita sosteneva la guerriglia filocomunista dei vietcong. Giudicato un
tassello strategico nell'equilibrio mondiale, il Vietnam divenne il centro di una guerra terribile, che oppose i
vietcong al più potente esercito dei mondo. La guerra si concluse nel 1973 con la sconfitta statunitense e la
nascita della Repubblica Socialista del Vietnam.

DECOLONIZZAZIONE AFRICA:

Durante la seconda guerra mondiale crolla l'impero coloniale italiano, di conseguenza, la Libia, la Somalia,
l'Eritrea e l'Etiopia conseguono l'indipendenza.
La decolonizzazione del continente africano mostrò limiti strutturali, connaturati alla sua storia e allo
sfruttamento coloniale a cui fu sottoposto. A differenza del nazionalismo arabo, erede di civiltà millenarie,
l'Africa nera ignorava concetti come “patria”e “nazione” e soffriva ancora dei guasti provocati dallo
schiavismo e dalla distruzione delle antiche entità statuali. La matrice ideologica dei movimenti
indipendentisti fu il panafricanismo, tendente a realizzare l’unità di tutti i popoli africani. La Gran Bretagna
cercò di guidare tale processo controllando le classi dirigenti, la Francia integrando i nuovi stati in una
comunità franco-africana e il Portogallo combattendolo strenuamente.
La conquista dell'indipendenza si risolse o in una nuova forma di dipendenza economica e politica nei
confronti dei vecchi colonizzatori o nell'instaurazione di regimi marxisti-leninisti e nell’ingresso nella sfera
d'influenza sovietica.
L’indipendenza del Congo Belga rappresentò un caso emblematico, perché mostrò le conseguenze
devastanti di una politica coloniale spietata. L’insurrezione costrinse i belgi alla fuga e consentì la
dichiarazione dell'indipendenza (1960) sotto la guida dei leader socialista Lumumba. In seguito, la
secessione della ricca regione mineraria del Katanga, spinta dalle compagnie occidentali, e l'assassinio di
Lumumba, gettarono il paese in una sanguinosa guerra civile conclusa nel 1963 con l'instaurazione della
dittatura del generale Mobutu.
Nell'Africa meridionale le classi dirigenti bianche mantennero saldamente il potere, esercitando una vera e
propria oppressione razziale sulle popolazioni indigene. Solo negli anni ottanta nacquero lo Zimbabwe (ex
Rhodesia) e la Namibia (prima appartenente al Sudafrica), mentre continuava a resistere l'apartheid
sudafricano, ovvero un razzismo legalizzato in base al quale la minoranza bianca discriminava la
maggioranza nera.
Contro l'apartheid andò organizzandosi la resistenza nera, riunita sotto le bandiere dell'African National
Congress e dei suo leader Nelson Mandela. Costretto all’illegalità dal 1961, l'African National Congress
passò alla lotta armata, fino a quando all'inizio degli anni novanta la coraggiosa iniziativa del leader bianco
De Klerk consentì l'avviamento di trattative, sfociate nel superamento dell'apartheid, nel suffragio
universale e nell'elezione di Mandela a presidente della repubblica.

DECOLONIZZAZIONE IN AMERICA LATINA:

La seconda guerra mondiale fu per l'America latina un'occasione di sviluppo, favorendo le esportazioni e
assicurando i capitali necessari per liberarsi dalla dipendenza con l'Occidente. I processi di modernizzazione
che investirono il continente non riuscirono a superare i limiti strutturali della società latino-americana:
l'industria pesante rimase fragile e l'urbanizzazione ebbe più il carattere di fuga dalla miseria contadina che
di corsa verso il lavoro industriale.
Eccetto il Messico, dove la riforma agraria assicurò una parziale redistribuzione della terra, le campagne
continuarono a essere dominate dal grande latifondo, nelle mani delle antiche oligarchie terriere. I vecchi
ceti possidenti, uniti ora alle nuove ristrette borghesie industriali, continuarono a detenere buona parte
della ricchezza e a esercitare il potere.
Dal punto di vista politico il secondo dopoguerra fu segnato dall'affermazione di movimenti populistici,
caratterizzati da un forte leader (Perón in Argentina e Vargas in Brasile), da uno stile di governo autoritario,
dal nazionalismo, dall’interventismo statale in economia e dalla mobilitazione delle masse e dei sindacati
per ottenere il consenso. Nonostante per certi versi il populismo cavalcasse tenti tradizionalmente
appannaggio della sinistra, esso fu generalmente accettato dalle oligarchie possidenti come garanzia
d'ordine e stabilità.
La crisi economica causata dalla diminuzione dei prezzi delle materie prime sui mercati mondiali determinò
la crisi del populismo e l'insorgere di tensioni rivoluzionarie, a cui corrispose un'involuzione reazionaria e
l'instaurazione di numerose dittature militari. Negli anni settanta in Argentina, Cile, Uruguay ecc., i regimi
militari si macchiarono dei peggiori crimini, eliminando le opposizioni politiche e violando sistematicamente
i diritti umani. La crescita economica di questi anni fu in realtà una crescita drogata, finanziata con il ricorso
al debito estero, causa di una nuova e più insidiosa dipendenza con il nord del mondo.
Gli Usa ebbero un ruolo fondamentale nelle vicende politiche latino-americane degli anni sessanta-
settanta, appoggiando i regimi militari in funzione anticomunista. Esemplare fu il caso del Cile, la più antica
democrazia parlamentare del continente: Salvador Allende, salito al potere a capo di un governo di Unidad
Popular, fu rovesciato da un colpo di stato militare del generale Pinochet, sostenuto e incoraggiato dagli
Stati Uniti.

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