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"gli ebrei dei paesi islamici non emigrarono volontariamente

in Israele: per forzarli ad andarsene, ebrei uccisero altri


ebrei...Scrivo di ciò che il primo premier di Israele definì
'crudele sionismo'. Ne scrivo perchè ne ho fatto parte"

Naeim Giladi

1950 - 51: BOMBE SIONISTE


SUGLI EBREI DI BAGHDAD

come l'Haganah e il Mossad compirono attentati in Iraq


per forzare l'emigrazione in Israele
nota introduttiva

Naeim Giladi nacque nel 1929 da una prospera famiglia di ebrei


iracheni, residente da secoli nel paese. Nel 1941 perse diversi giovani
amici nel massacro di ebrei, fomentato dagli inglesi, che ebbe luogo a
Baghdad, e negli anni successivi aderì al movimento sionista
clandestino. Arrestato, torturato e condannato a morte dalle autorità
irachene, nel 1949 riuscì a fuggire in Iran e di lì arrivò nel neonato
Israele, nel maggio 1950.
In Israele subì in prima persona le discriminazioni esercitate dagli
ebrei europei ashkenaziti nei confronti degli ebrei dei paesi arabi come
lui. Vi si oppose attivamente, diventando anche membro delle cosiddette
Black Panthers israeliane negli anni '70. Nel 1982 il massacro dei
palestinesi di Sabra e Chatila lo convinse ad abbandonare
definitivamente lo stato sionista, rinunciando alla cittadinanza israeliana,
e a trasferirsi negli Stati Uniti.
Negli USA nel 1992 stampò a proprie spese Ben-Gurion's
Scandals: How the Haganah and the Mossad Eliminated Jews, sugli
attentati del 1950 – 51 compiuti a Baghdad dal movimento sionista per
forzare la comunità ebraica irachena a trasferirsi in Israele. Nel 1998
trovò finalmente una casa editrice, la Dandelion Books, disposta a farsi
carico di una prima pubblicazione effettiva del libro, al quale Giladi
aggiunse un capitolo iniziale, intitolato The Jews of Iraq.
Tale capitolo è tradotto quasi per intero nel presente opuscolo.
L'originale inglese del libro è liberamente scaricabile da internet.

Sul finire della Seconda Guerra Mondiale David Ben-Gurion aveva


in mente di ricorrere proprio agli ebrei orientali per reperire quel "milione
di ebrei" necessario a riempire la Palestina e "chiudere il conflitto con gli
arabi" (vedi anche l'opuscolo Israele e lo sfruttamento dell'Olocausto). Di
lì a poco però andò in Europa a visitare i campi dei sopravvissuti alla
Shoah, e si rese conto che era politicamente più opportuno puntare sul
trasferimento di quegli ebrei, per quanto meno numerosi e in condizioni
disastrate. Presentando Israele come nuova patria e "compensazione"
per le vittime della Shoah, sarebbe stato possibile vincere le resistenze
della comunità internazionale al via libera per la formazione dello stato
sionista.
Il trasferimento degli ebrei orientali fu quindi posticipato di alcuni
anni, dopo il ritiro degli inglesi e la cacciata dei palestinesi, nel 1948. In
particolare la numerosa e prospera comunità ebraica irachena fu
letteralmente sradicata dal proprio paese (dopo 2.500 anni di storia) nel
1950 – 51, con l'Operazione Ezra e Neemia, favorita da un'intensa
campagna di propaganda a favore della "Terra Promessa" e dai vari
attentati sulla cui responsabilità Naeim Giladi fornisce diverse e
convincenti prove.

Iraq e Palestina durante la Seconda guerra mondiale


1950 - 51: BOMBE SIONISTE
SUGLI EBREI DI BAGHDAD
(titolo originale: The Jews of Iraq, 1998)

Scrivo questo articolo per la stessa ragione per cui ho scritto il mio libro:
per dire al popolo americano, e in particolare agli ebrei americani, che gli ebrei
dei paesi islamici non emigrarono volontariamente in Israele; che, per forzarli
ad andarsene, ebrei uccisero altri ebrei; e che, per guadagnare il tempo di
confiscare ancor più terra araba, gli ebrei in numerose occasioni respinsero le
sincere iniziative di pace dei loro vicini arabi. Scrivo di ciò che il primo
Premier di Israele definì "crudele sionismo". Ne scrivo perchè ne ho fatto parte.

1.La mia storia


Ero giovane, idealista, e pronto a rischiare la vita per le mie convinzioni.
Era il 1947 e non avevo ancora 18 anni quando le autorità irachene mi
arrestarono per collaborazione all'espatrio clandestino di giovani ebrei iracheni
come me, verso l'Iran e di lì nella Terra Promessa, nel futuro Israele.
Ero un ebreo iracheno nel movimento sionista clandestino. I miei
carcerieri iracheni fecero tutto ciò che potevano per ottenere i nomi dei miei
compagni.
50 anni dopo sento ancora pungere il dito del piede destro – un ricordo del
giorno in cui i miei carcerieri usarono le pinze per strapparmi le unghie. In
un'altra occasione mi trascinarono sul tetto a terrazza della prigione, mi
denudarono completamente (era gennaio) e mi gettarono addosso un secchio di
acqua fredda. Mi lasciarono là per ore, incatenato alla ringhiera. Ma non pensai
neanche per un momento di dare loro le informazioni che volevano. Ero
davvero convinto.
La mia preoccupazione durante ciò che definisco i miei "due anni
all'inferno" fu legata alla sopravvivenza e alla fuga. Allora non mi curavo per
nulla della cancellazione della storia ebraica in Iraq, anche se la mia famiglia
era stata parte di essa fin dall'inizio. In origine eravamo Haroon, una numerosa
e importante famiglia della "Diaspora Babilonese". I miei antenati si erano
stabiliti in Iraq più di 2.600 anni fa – 600 anni prima del Cristianesimo, e 1.200
prima dell'Islam. Io discendo da ebrei che costruirono la tomba di Ezechiele, un
profeta ebraico dei tempi pre-biblici. La mia città, ove nacqui nel 1929, è
Hillah, non lontano dal sito originario di Babilonia.
Gli ebrei dell'antichità trovarono in Babilonia, nutrita dai fiumi Tigri ed
Eufrate, un terra di latte, miele, abbondanza e opportunità. Come ebrei, al pari
di altre minoranze in quello che divenne l'Iraq, vissero periodi di oppressione e
discriminazione a seconda dei governanti del momento, ma in generale nell'arco
di 2.500 anni la loro parabola fu verso l'alto. Durante l'ultimo periodo ottomano,
ad esempio, le istituzioni sociali e religiose ebraiche, le scuole e le strutture
mediche fiorirono senza interferenze esterne, e gli ebrei avevano ruoli
importanti nel governo e negli affari.
Sedendo nella mia cella, ignaro che presto mi sarebbe arrivata una
condanna a morte, non avrei potuto riferire di alcun problema che i miei
familiari potessero avere avuto nei confronti del governo, o della maggioranza
musulmana. La nostra famiglia si era trovata bene e aveva prosperato,
iniziando come agricoltori, con circa 50.000 acri dedicati a riso, datteri e cavalli
arabi. Poi, con gli Ottomani, compravamo e raffinavamo l'oro che giungeva per
mare a Istanbul per essere trasformato in moneta. I turchi cambiarono il nome
della nostra famiglia per rappresentare la nostra attività: diventammo Khalaschi,
che vuol dire "creatori di purezza".
Non rivelai di mia iniziativa a mio padre che mi ero unito al movimento
sionista clandestino. Egli lo scoprì pochi mesi prima del mio arresto, quando mi
vide scrivere in ebraico e usare parole ed espressioni a lui non familiari. Fu
ancora più sorpreso nell'apprendere che, sì, avevo deciso che presto me ne sarei
andato in Israele. Fu sprezzante. "Tornerai con la coda tra le gambe", predisse.
Tra la fine degli anni '40 e il 1952, circa 125.000 ebrei lasciarono l'Iraq
per Israele, la maggior parte ingannati e spaventati da quelle che in seguito
appresi essere bombe sioniste. Fisicamente non tornai mai più in Iraq – in ogni
caso avevo bruciato quel ponte – ma il mio cuore si è recato laggiù tante e tante
volte. Mio padre aveva ragione.
Fui imprigionato nel campo militare di Abu Ghraib, a circa 7 miglia da
Baghdad. Quando il tribunale militare mi comminò la sentenza di morte per
impiccagione, non avevo altro da perdere se non tentare la fuga che avevo
pianificato da molti mesi.
Una strana ricetta per un'evasione: un pezzetto di burro, una buccia
d'arancia, e un'uniforme militare che avevo chiesto a un amico di comprare per
me a un mercatino. Mangiai deliberatamente quanto più pane potevo per
ingrassare un pò prima di compiere i 18 anni, quando mi poterono accusare
formalmente di un crimine e quindi attaccare alla catena con la sfera di 50
libbre che spettava di regola a tutti prigionieri.
Poi, quando fui messo ai ferri, iniziai una dieta feroce per cui spesso non
riuscivo neanche ad alzarmi. Il pezzo di burro servì a lubrificare la mia gamba
alla scopo di sfilarla dall'anello di metallo. La buccia d'arancia la infilai nella
serratura della cella la notte in cui avevo programmato la fuga, dopo aver
studiato il modo in cui poteva essere posizionata in modo da impedirne la
chiusura.
Come i carcerieri se ne furono andati dopo avere chiuso la porta, misi la
vecchia uniforme, indistinguibile da quelle che indossavano loro – un lungo
soprabito verde e un berretto di lana che mi calai su buona parte del volto (era
inverno). Quindi aprii lentamente la porta e mi unii a un gruppo di soldati che
attraversavano l'atrio verso l'uscita. Salutai il guardiano di turno dicendo
"buonanotte" e me ne andai. Un amico mi attendeva con un auto, per portarmi
lontano.
In seguito feci il mio viaggio nello stato di Israele, arrivando nel maggio
1950. Il mio passaporto recava il nome in arabo e inglese, ma l'inglese non
poteva rendere il suono "kh", dunque c'era scritto semplicemente Klaski. Alla
frontiera, il personale dell'immigrazione segnò il termine inglese, che dava
l'idea di un cognome dell'Europa orientale, ashkenazita. Questo "errore" mi
avrebbe permesso di scoprire molto presto come funzionasse il sistema delle
caste israeliane.
Mi chiesero dove volessi andare e cosa volessi fare. Ero figlio di un
agricoltore, e conoscevo i segreti del mestiere, così mi offrii di andare a Dafna,
un kibbutz nell'alta Galilea.
Vi rimasi poche settimane. Ai nuovi immigrati davano le cose peggiori. Il
cibo era uguale per tutti, ma era l'unica cosa che avevamo in comune. Per il
resto, ai nuovi immigrati pessime sigarette, e persino un pessimo dentifricio.
Tutto. Me ne andai.
Quindi, tramite l'Agenzia Ebraica, mi fu consigliato di andare ad al-
Majdal (in seguito ribattezzata Ashkelon), una città araba a circa 9 miglia da
Gaza, sul Mediterraneo. Il governo israeliano aveva in programma di
trasformarla in una colonia agricola, perciò le mie competenze laggiù sarebbero
state utili.
Quando mi presentai all'ufficio di collocamento di al-Majdal, videro che
sapevo leggere e scrivere in arabo ed ebraico e dissero che potevo trovare un
buon impiego negli uffici del governatore militare. Gli arabi erano sotto
l'autorità di questo governatore militare israeliano.
Un impiegato mi consegnò un pacco di fogli in arabo ed ebraico. Ora
capii. Prima di creare la propria colonia agricola, Israele doveva liberare al-
Majdal dagli autoctoni palestinesi. I fogli erano petizioni agli ispettori delle
Nazioni Unite che chiedevano il trasferimento da Israele a Gaza, che era sotto
controllo egiziano.
Lessi la petizione. Firmandola, il palestinese dichiarava di essere
pienamente consapevole e di fare la richiesta di trasferimento libero di pressioni
o costrizioni. Ovviamente non c'era altro modo per mandarli via se non
costringendoli. Queste famiglie avevano abitato là per centinaia di anni, come
agricoltori, artigiani e tessitori. Il governatore militare proibì loro di
guadagnarsi da vivere – lì assediò finchè persero ogni speranza di poter
riprendere le precedenti attività. Ecco perchè firmavano per andarsene.
Ero là e sentivo i loro lamenti. "I nostri cuori sono gonfi di dolore quando
guardiamo gli aranci che abbiamo piantato con le nostre mani. Per favore
lasciateci, lasciateci bagnare quelle piante. Dio si arrabbierà con noi se
lasciamo le sue piante senza cura". Chiesi al governatore militare di
accontentarli, ma egli disse: "No, vogliamo che se ne vadano".
Non potevo più essere complice di questa oppressione e me ne andai.
Quei palestinesi che non firmarono per il trasferimento furono portati via con la
forza – caricati su camion e scaricati a Gaza. In un modo o nell'altro, circa
4.000 persone furono cacciate da al-Majdal. I pochi rimasti erano collaboratori
delle autorità israeliane.
Feci domande per un impiego governativo altrove, e ottenni subito molte
risposte e richieste di venire a colloquio. Allora scoprivano che il mio viso non
corrispondeva al mio nome polacco/ashkenazita. Chiedevano se parlassi yiddish
o polacco, e quando rispondevo di no mi chiedevano come mai avessi un nome
polacco. Nel disperato tentativo di ottenere un lavoro, di solito dicevo che
presumibilmente il mio bisnonno era polacco. Più e più volte mi congedarono
dicendo "le faremo sapere".
Alla fine, tre o quattro anni dopo il mio arrivo in Israele cambiai il nome
in Giladi, simile al nome in codice (Gilad) che avevo nel movimento sionista. Il
nome Klaski in ogni caso non mi portava nulla di buono, e i miei amici orientali
mi rimproveravano sempre per quel nome che nascondeva le mie origini di
ebreo iracheno.
Fui deluso da ciò che trovai nella Terra Promessa, deluso personalmente,
deluso dal razzismo istituzionale, deluso da ciò che stavo iniziando ad
apprendere sulle atrocità del sionismo. Il principale interesse di Israele per gli
ebrei dei paesi islamici era verso la loro manodopera a basso costo,
specialmente nel lavoro agricolo diretto dagli ebrei urbanizzati dell'Europa
dell'Est. Ben-Gurion aveva bisogno degli ebrei "orientali" per coltivare le
migliaia di acri di terra abbandonati dai palestinesi che furono cacciati dalle
forze israeliane nel 1948.
Iniziai a venire a conoscenza dei metodi barbari usati per liberare il
neonato stato da quanti più palestinesi possibile. Oggi il mondo inorridisce al
pensiero della guerra batteriologica, ma Israele probabilmente fu il primo a
metterla in pratica nel Medio Oriente. Nella guerra del 1948 le forze ebraiche
svuotarono i villaggi arabi dei loro abitanti, spesso con le minacce, talvolta
fucilando una mezza dozzina di arabi disarmati come esempio per gli altri. Per
essere sicuri che gli arabi non potessero ritornare per riprendere una nuova vita
in quei villaggi, gli israeliani misero i batteri di tifo e dissenteria nelle sorgenti
d'acqua.
Uri Mileshtin, uno storico ufficiale dell'Israeli Defense Force, ha scritto e
parlato dell'uso di armi batteriologiche 1. Secondo Mileshtin Moshe Dayan,
all'epoca comandante di divisione, nel 1948 diede ordine di cacciare gli arabi
dai loro villaggi, di abbattere le loro case e di rendere l'acqua inutilizzabile con i
batteri del tifo e della dissenteria.
Acri era in una posizione tale da poter essere difesa con un unico
cannone, perciò l'Haganah mise i batteri nell'acqua che riforniva la città. La
sorgente si chiamava Capri, e si trovava a nord, vicino a un kibbutz. L'Haganah
mise i batteri del tifo nell'acqua che fluiva verso Acri, gli abitanti si
ammalarono e le forze ebraiche occuparono la città. Poichè il trucco
funzionava, mandarono uomini dell'Haganah in abiti arabi a Gaza, dove c'erano
le forze egiziane, e gli egiziani li catturarono mentre versavano due taniche di
acqua contaminata da tifo e dissenteria nella rete idrica della città, senza alcun
riguardo per la popolazione civile. "In guerra i sentimenti non contano"
avrebbe detto uno degli uomini dell'Haganah fatti prigionieri.
Il mio attivismo in Israele iniziò poco dopo che ricevetti una lettera dal
partito sionista socialista che mi chiedeva di collaborare al suo giornale in
arabo. Quando mi presentai negli uffici della sede centrale di Tel Aviv, chiesi a
chi dovessi rivolgermi. Mostrai la lettera a un paio di persone e quelli, senza
neanche guardarla, mi congedarono con le parole "Stanza 8". Vedendo che non
leggevano per niente la lettera, chiesi ad altri.
Ma la risposta era sempre la stessa, "Stanza 8", senza uno sguardo sul
foglio posto di fronte a loro.
Così andai alla Stanza 8 e vidi che era il "Dipartimento degli ebrei dei
paesi islamici". Fui disgustato e irato. O sono un membro del partito oppure no.
Ho forse una ideologia o una politica differente perchè sono un ebreo arabo? E'
segregazione, pensai, proprio come un "dipartimento per i negri". Girai i tacchi
e uscii. Quello fu l'inizio delle mie proteste alla luce del sole. Quello stesso
anno organizzai una manifestazione ad Ashkelon contro le politiche razziste di
Ben-Gurion, alla quale parteciparono 10.000 persone.
Per noi cittadini di seconda classe non vi erano molte opportunità di farci
valere quando Israele era in guerra contro un nemico esterno. Dopo la guerra
del 1967 io stesso fui nell'esercito, di stanza nel Sinai dove vi erano continui
combattimenti lungo il Canale di Suez. Ma il cessate il fuoco del 1970 con
l'Egitto ci diede spazio. Scendemmo in strada e ci organizzammo politicamente
per chiedere l'uguaglianza dei diritti. Se era il nostro paese, nel quale ci
chiedevano di rischiare la vita in una guerra di confine, allora ci aspettavamo di
essere trattati alla pari.
1 Hadashot, 13 agosto 1993
Lottammo così tenacemente e ottenemmo una notorietà tale che i
governanti israeliani cercarono di screditare il nostro movimento chiamandoci
"Pantere Nere di Israele". Essi chiaramente pensavano in termini razzisti,
ritenendo che il pubblico israeliano avrebbe osteggiato un'organizzazione la cui
ideologia era comparabile a quella dei neri radicali negli Stati Uniti. Ma
vedevamo che le nostre azioni non erano diverse da quelle che i neri americani
compivano contro la segregazione, la discriminazione, i trattamenti ineguali.
Invece di rifiutare l'appellativo, lo adottammo orgogliosamente. Appesi nel mio
ufficio avevo poster di Martin Luther King, Malcolm X, Nelson Mandela e altri
attivisti per i diritti civili.
Con l'invasione del Libano e il massacro impunito di Sabra e Chatila, ne
ebbi abbastanza di Israele. Divenni cittadino americano e feci in modo di
cancellare la cittadinanza israeliana. Non avrei mai potuto scrivere e pubblicare
il mio libro in Israele, con la censura che vi avrebbero imposto.
Anche in America ebbi grandi difficoltà a trovare un editore, poichè molti
sono soggetti a pressioni di ogni tipo da parte di Israele e dei suoi amici. Alla
fine pagai di tasca mia 60.000 dollari per pubblicare Ben Gurion's Scandals:
How the Haganah and the Mossad Eliminated Jews, praticamente tutto il
ricavato della vendita della mia casa in Israele.
Temevo anche che la tipografia si ritirasse, o che fossero intentati
procedimenti legali per bloccare la pubblicazione, come il governo israeliano
fece nel tentativo di impedire che l'ex agente operativo del Mossad Victor
Ostrovsky pubblicasse il suo primo libro. Ben-Gurion's Scandals fu tradotto in
inglese da due lingue. Lo scrissi in ebraico quando ero in Israele e speravo di
pubblicare il libro laggiù, e poi lo completai in arabo dopo essere arrivato negli
Stati Uniti. Ma ero così preoccupato che qualcosa potesse bloccare la
pubblicazione, che dissi al tipografo di non attendere che le traduzioni fossero
rivedute e corrette. Ora mi rendo conto che una causa legale avrebbe soltanto
creato maggiore interesse per un libro controverso.
Mi sto affidando al caveau di una banca per conservare i preziosi
documenti che comprovano quanto ho scritto. Questi documenti, compresi
alcuni che ho copiato illegalmente dagli archivi dello Yad Vashem, confermano
ciò che vidi con i miei occhi, che mi fu detto da altri testimoni, e che autorevoli
storici hanno scritto riguardo agli attentati sionisti in Iraq, alle proposte arabe di
pace respinte, ai casi di violenze e uccisioni perpetrate da ebrei contro ebrei allo
scopo di creare Israele.
2. La rivolta del 1941
Se, come ho detto, la mia famiglia in Iraq non fu direttamente perseguitata
e in quanto membro della minoranza ebraica non soffrii alcuna privazione, cosa
mi portò a un passo dalla forca come membro del movimento sionista
clandestino? Per rispondere a questa domanda è necessario ricostruire il
contesto del massacro che ebbe luogo a Baghdad il 1 giugno del 1941, quando
alcune centinaia di ebrei iracheni furono uccisi in una rivolta che coinvolse
giovani ufficiali dell'esercito iracheno. Io avevo 12 anni e molti degli uccisi
erano miei amici. Ero arrabbiato e molto confuso.
Ciò che non sapevo all'epoca era che la rivolta molto probabilmente fu
fomentata dagli inglesi, in collaborazione con la leadership irachena filo-
inglese.
Con la caduta dell'Impero ottomano alla fine della Prima guerra mondiale,
l'Iraq finì sotto "tutela" inglese. Amin Faysal, figlio dello sceriffo Hussein che
aveva guidato la rivolta contro il Sultano ottomano, fu portato dalla Mecca
dagli inglesi per diventare re dell'Iraq nel 1921. Molti ebrei vennero posti in
ruoli amministrativi chiave, compreso quello di ministro dell'Economia.
L'Inghilterra deteneva l'ultima parola sulle questioni interne ed estere. Ma la
linea filo-sionista dell'Inghilterra in Palestina generò una crescente reazione
anti-sionista in Iraq, così come in tutti i paesi arabi. Alla fine del 1934 sir
Francis Humphreys, ambasciatore britannico a Baghdad, scrisse che mentre
prima della Grande Guerra gli ebrei avevano goduto della posizione più
favorevole rispetto a tutte le altre minoranze nel paese, da allora "il sionismo ha
seminato zizzania tra gli ebrei e gli arabi, e tra i due popoli si è sviluppata
un'acredine che prima non esisteva"2.
Re Faysal morì nel 1933. Gli successe il figlio Ghazi, che morì in un
incidente d'auto nel 1939. La corona allora passò al figlio di 4 anni di Ghazi,
Faysal II, il cui zio Abd al-Ilah fu nominato reggente. Abd al-Ilah scelse Nouri
el-Said come Primo ministro.
El-Said sosteneva gli inglesi e, quando l'odio verso i dominatori crebbe,
nel marzo 1940 fu scalzato da quattro alti ufficiali dell'esercito che invocavano
l'indipendenza dell'Iraq dall'Inghilterra. Autonominatisi "Quadrato d'Oro", gli
ufficiali costrinsero il reggente a nominare come Primo ministro Rashid al-
Kilani, leader del Partito della Fratellanza Nazionale.
Era il 1940 e l'Inghilterra stava vacillando sotto una forte offensiva
tedesca. Al-Kilani e il Quadrato d'Oro videro ciò come un'opportunità per
liberarsi degli inglesi una volta per tutte. Cautamente iniziarono a negoziare il
supporto tedesco, il che portò il reggente filo-inglese Abd al-Ilah a dismettere
al-Kilani nel gennaio 1941. Entro aprile, tuttavia, gli ufficiali del Quadrato

2 Marion Woolfson, Prophets in Babylon: Jews in the Arab World, 1980


d'Oro avevano reinsediato il Primo ministro.
Ciò spinse gli inglesi a inviare una forza militare a Bassora, il 12 aprile
1941. Bassora, la seconda città dell'Iraq, era abitata da 30.000 ebrei, la maggior
parte dei quali erano commercianti, cambiavalute, venditori al dettaglio, o
lavoravano in aeroporti, porti e ferrovie, o negli uffici governativi.
Lo stesso giorno, il 12 aprile, dei sostenitori del reggente filo-inglese
informarono i leader ebrei che il reggente voleva incontrarli. Questi ultimi,
come era loro abitudine, portarono dei fiori destinati al reggente.
Contrariamente al solito, le automobili che li portavano al luogo d'incontro si
fermarono nel punto ove erano concentrati i militari inglesi.
Il giorno dopo sui giornali apparvero le fotografie degli ebrei con il titolo
"GLI EBREI DI BASSORA ACCOLGONO CON FIORI LE TRUPPE
INGLESI". Quello stesso giorno, il 13 aprile, gruppi di giovani arabi infuriati
pianificarono vendette nei confronti degli ebrei. Alcuni notabili musulmani di
Bassora lo vennero a sapere, e calmarono gli animi. In seguito, si seppe che il
reggente non era in città e che si era trattato di una provocazione dei suoi
sostenitori filo-inglesi, per fomentare una guerra inter-etnica e dare all'esercito
inglese il pretesto per intervenire.
Gli inglesi continuarono a mandare militari a Bassora e dintorni. Il 7
maggio 1941 la loro brigata Gurkha, composta di soldati indiani dell'omonima
etnia, occupò il quartiere di el-Oshar, abitato da numerosi ebrei. Il soldati,
guidati da ufficiali inglesi, iniziarono il saccheggio. Molti negozi della zona
commerciale furono devastati, le case private violate. Si riportarono casi di
tentati rapimenti. I residenti, sia arabi che ebrei, si difesero con pistole e vecchi
fucili, ma le loro pallottole non poterono competere coi Tommy Gun dei soldati.
In seguito, si seppe che i soldati avevano agito col consenso, se non con
l'incitamento, dei comandanti inglesi. Occorre ricordare che i soldati indiani,
specialmente quelli della brigata Gurkha, erano noti per la loro disciplina, ed è
molto improbabile che avessero compiuto quei saccheggi senza ordini.
L'obiettivo inglese chiaramente fu creare il caos e offuscare l'immagine del
governo nazionalista a Baghdad, dando così alle forze inglesi il pretesto per
avanzare sulla capitale e rovesciare al-Kilani.
Baghdad cadde il 30 maggio. Al-Kilani fuggì in Iran, così come gli
ufficiali del Quadrato d'Oro. Le stazioni radio controllate dagli inglesi
riportarono che Abd al-Ilah stava tornando in città e che migliaia di ebrei si
preparavano ad accoglierlo. Ma chi fece maggiormente infuriare i giovani
iracheni nei confronti degli ebrei fu Yunas Bahri, speaker della radio tedesca
"Berlin", che riportò in arabo che gli ebrei di Palestina stavano combattendo al
fianco degli inglesi contro i soldati iracheni vicino alla città di Falluja. La
notizia era falsa.
Domenica 1 giugno a Baghdad scoppiò una rissa tra alcuni ebrei che
stavano ancora celebrando la festività del shavuot 3 e giovani iracheni che
pensavano che stessero festeggiando il ritorno del reggente filo-inglese. Quella
sera un gruppo di iracheni fermò un autobus, fece scendere i passeggeri ebrei,
ne uccise uno e ne ferì mortalmente un secondo.
Il mattino dopo alle 8,30 circa circa 30 uomini con uniformi di militari e
polizia aprirono il fuoco lungo el-Amin Street, una piccola via del centro le cui
gioiellerie, sartorie e drogherie erano di proprietà di ebrei. Verso le 11, una folla
di iracheni con coltelli e mazze attaccò le case ebraiche della zona.
La rivolta continuò per tutto il lunedi 2 giugno. Molti musulmani
intervennero in soccorso dei loro vicini ebrei, e diversi ebrei riuscirono a
difendersi con successo. Secondo un resoconto scritto da un inviato
dell'Agenzia Ebraica che si trovava in Iraq in quel periodo, ci furono 124 morti
e 400 feriti. Altre stime, forse meno affidabili, indicano un numero di vittime
più elevato, fino a 500, e da 650 a 2.000 feriti. Da 500 a 1.300 negozi e più di
1.000 case e appartamenti furono saccheggiati.
Chi c'era dietro la rivolta nel quartiere ebraico?
Yosef Meir, uno dei principali attivisti nel movimento sionista clandestino
in Iraq, allora conosciuto come Yehoshafat, afferma che c'erano gli inglesi.
Meir, che ora lavora per il ministero della Difesa israeliano, sostiene che gli
inglesi, allo scopo di far apparire il reggente come un salvatore che tornava per
ristabilire la legge e l'ordine, fomentarono la rivolta contro la parte più
vulnerabile e in vista della città, gli ebrei. Non a caso la rivolta terminò non
appena i soldati fedeli al reggente entrarono nella capitale4.
Le mie personali ricerche di giornalista mi portarono a ritenere che Meir
avesse ragione. Inoltre, ritengo che le sue affermazioni siano basate sui
documenti negli archivi del ministero della Difesa israeliano, l'ente che ha
pubblicato il suo libro. E, ancor prima dell'uscita del libro, ebbi una conferma
indipendente da un uomo che avevo incontrato in Iran nei tardi anni '40.
Il nome di costui, un armeno iracheno, era Michel Timosian. Quando lo
incontrai, lavorava come infermiere all'Anglo – Iranian Oil Company ad
Abadan, nel sud dell'Iran. Ma il 2 giugno 1941 egli si trovava all'ospedale di
Baghdad, dove furono portate molte vittime della rivolta. La maggior parte di
queste erano ebrei.
Timosian disse che due pazienti avevano particolarmente suscitato il suo
interesse, poichè il loro comportamento era insolito. Uno era stato colpito da
una pallottola alla spalla, e l'altro da una nel ginocchio destro. Dopo che il
dottore ebbe rimosso i proiettili, gli infermieri cercarono di cambiare loro gli
abiti insanguinati. Ma i due uomini respinsero quei tentativi e diedero a
intendere di essere muti, benchè fosse evidente che non erano sordi.
Per calmarli, il dottore iniettò loro un anestetico e, mentre dormivano,
3 Pentecoste.
4 Yosef Meir, Beyond the Desert: the Pioneering Underground in Iraq, 1973
Timosian cambiò i loro abiti. Scoprì che uno di loro aveva una piastra
identificativa del tipo in uso presso le truppe inglesi, mentre l'altro aveva sul
braccio destro tatuaggi con iscrizioni indiane e la spada caratteristica dei
Gurkha.
Il giorno successivo, quando Timosian tornò al lavoro, gli fu detto che un
funzionario inglese, il suo sergente e due soldati indiani Gurkha erano venuti
all'ospedale quel mattino presto. Membri del personale li udirono parlare coi
due feriti, che non erano affatto muti come avevano dato a intendere. I pazienti
salutarono i visitatori, si misero le scarpe e, senza firmare il necessario foglio di
dimissioni, lasciarono con loro l'ospedale.
Oggi in cuor mio non ho dubbi che la rivolta anti-ebraica del 1941 fu
orchestrata dagli inglesi a fini geopolitici. David Kimche è certamente un uomo
che si trovava nella condizione di conoscere la verità, ed egli ha parlato in
pubblico delle responsabilità inglesi. Kimche aveva fatto parte dell'intelligence
inglese durante il secondo conflitto mondiale e del Mossad dopo la guerra. In
seguito divenne direttore generale del ministero degli Esteri israeliano,
posizione che ricopriva nel 1982 quando intervenne a un convegno al British
Institute for International Affairs a Londra.
Rispondendo a domande ostili sull'invasione israeliana del Libano e sui
massacri nei campi di rifugiati a Beirut, Kimche replicò ricordando agli astanti
come vi fosse stato scarso interesse al Foreign Office quando le brigate dei
Gurkha inglesi parteciparono al massacro di 500 ebrei nelle strade di Baghdad
nel 1941.

3. Gli attentati del 1950 – 51


La rivolta anti-ebraica del 1941 non solo creò per gli inglesi il pretesto per
entrare a Baghdad e reinstallare il reggente filo-inglese e il suo Primo ministro,
Nouri el-Said. Essa diede anche ai sionisti in Palestina il pretesto per creare un
movimento sionista clandestino in Iraq, prima a Baghdad e poi in altre città
come Bassora, Amara, Hillah, Diwanyya, Erbil e Kirkuk.
Dopo la Seconda guerra mondiale, in Iraq si susseguirono diversi governi
di breve durata. La conquista sionista della Palestina, in particolare il massacro
dei palestinesi nel villaggio di Deir Yassin, rafforzarono il movimento iracheno
anti-inglese. Quando il governo di Baghdad nel febbraio 1948 siglò un nuovo
trattato di amicizia con Londra, scoppiarono tumulti in tutto il paese. Il trattato
fu rapidamente annullato e Baghdad chiese la rimozione del contingente
militare inglese che aveva controllato l'esercito iracheno per 27 anni.
Nel corso del 1948 l'Iraq mandò un distaccamento militare in Palestina
per combattere i sionisti, e quando Israele nel maggio dichiarò l'indipendenza
Baghdad chiuse l'oleodotto che portava il proprio petrolio alla raffineria di
Haifa. Ma Abd al-Ilah era ancora reggente, e il lacchè degli inglesi, Nouri el-
Said, era di nuovo Primo ministro. Io nel 1948 ero nella prigione di Abu
Ghraib, ove sarei rimasto fino alla mia fuga in Iran, nel settembre 1949.
Sei mesi dopo – la data esatta era il 19 marzo 1950 – una bomba esplose
all'American Cultural Center and Library di Baghdad, causando danni materiali
e ferendo diverse persone. Il centro era un luogo di ritrovo frequentato da
giovani ebrei.
La prima bomba lanciata direttamente contro ebrei esplose l'8 aprile 1950,
alle 21,15. Un'auto con tre giovani a bordo gettò la granata verso il caffè El-Dar
el-Bida, dove si stava celebrando la Pasqua ebraica.
Quattro persone furono seriamente ferite. Quella notte furono distribuiti
volantini che invitavano gli ebrei a lasciare immediatamente l'Iraq.
Il giorno dopo molti ebrei, la maggior parte poveri senza nulla da perdere,
affollarono gli uffici per l'emigrazione per rinunciare alla cittadinanza e
chiedere il permesso di partire per Israele. Lo fecero in numero tale che la
polizia dovette aprire degli uffici di registrazione in scuole ebraiche e
sinagoghe.
Il 10 maggio alle 3 del mattino una granata fu lanciata verso la vetrina
della Beit-Lawi Automobile Company, di proprietà ebraica, distruggendo parte
dell'edificio. Nessuno fu ferito.
Il 3 giugno 1950 un'altra granata fu gettata da un'auto in corsa nel
quartiere di el-Atawin a Baghdad, dove vivevano gli ebrei più ricchi e gli
iracheni della classe media. Nessuno fu colpito, ma dopo l'esplosione gli
attivisti sionisti inviarono telegrammi in Israele chiedendo che le quote per
l'immigrazione dall'Iraq fossero innalzate.
Il 5 giugno 1950 alle 2,30 del mattino una bomba esplose vicino
all'edificio della Stanley Shashua, di proprietà ebraica, facendo danni materiali
ma nessuna vittima.
Il 14 gennaio 1951 alle 7 del mattino una granata fu gettata contro un
gruppo di ebrei fuori dalla sinagoga Masouda Shem Tov. L'esplosione colpì un
cavo dell'alta tensione fulminando tre ebrei, di cui un ragazzo, Itzhak Elmacher,
e ferendone più di 30. A seguito dell'attacco, l'esodo degli ebrei balzò a una
quota di 600 – 700 al giorno.
Gli apologeti sionisti sostengono ancora che gli attentati in Iraq furono
perpetrati da iracheni antisemiti, che volevano che gli ebrei lasciassero il paese.
La terribile verità è che le granate che uccisero e mutilarono gli ebrei iracheni e
danneggiarono le loro proprietà furono gettate da ebrei sionisti.
Tra i più importanti documenti nella prima edizione del mio libro, credo,
vi sono le copie di due volantini diffusi dal movimento sionista clandestino che
invitavano gli ebrei a lasciare l'Iraq. Uno è datato 16 marzo 1950, l'altro 8 aprile
1950. La differenza tra i due sta nel fatto che entrambi recano la data di
pubblicazione, ma solo quello dell'8 aprile riporta un orario: le 16. Perchè l'ora?
Una tale precisazione era senza precedenti. Anche il giudice istruttore, Salaman
el-Beit, lo trovò sospetto. Chi scrisse "ore 16" voleva un alibi per un attentato
che sapeva sarebbe avvenuto cinque ore dopo? Se così, come sapeva
dell'attentato? Il giudice stabilì che lo sapeva poichè esisteva un legame tra il
movimento sionista clandestino e gli autori dell'attentato.
Questa fu anche la conclusione di Wilbur Crane Eveland, un ex veterano
della CIA, che ebbi l'opportunità di incontrare a New York nel 1988. Nel suo
libro, Corde di sabbia, la cui pubblicazione fu ostacolata dalla CIA, Eveland
scrive:

Nel tentativo di far passare gli iracheni come anti-americani e di terrorizzare gli
ebrei, i sionisti misero bombe alla biblioteca del Servizio Informazioni americano
e in alcune sinagoghe. Presto comparvero volantini che esortavano gli ebrei a
fuggire in Israele...La polizia irachena in seguito fornì alla nostra ambasciata
prove evidenti che gli attentati a biblioteca e sinagoghe, così come i volantini
anti-ebraici e anti-americani, erano stati opera di un'organizzazione clandestina
sionista, ma la maggior parte dell'opinione pubblica mondiale credette a chi
diceva che il terrorismo arabo aveva provocato la fuga degli ebrei iracheni, che i
sionisti avevano "salvato", in realtà allo scopo di accrescere la popolazione
ebraica di Israele.5

Eveland non dettaglia le prove che legano i sionisti agli attentati, ma nel
mio libro io lo faccio. Per esempio nel 1955 in Israele creai un gruppo di
procuratori ebrei di origine irachena per gestire le cause degli ebrei iracheni che
avevano ancora delle proprietà in Iraq. Un procuratore ben noto, che mi chiese
di non rivelare il suo nome, mi confidò che dei test di laboratorio in Iraq
avevano confermato che i volantini anti-americani trovati all'American Cultural
Center furono redatti con la stessa macchina da scrivere e duplicati con la stessa
stampatrice usate per i volantini distribuiti dal movimento sionista appena
prima dell'attentato dell'8 aprile.
Altri test mostrarono anche che l'esplosivo usato nell'attentato alla Beit-
Lawi recava tracce di materiale trovato nella valigia di un ebreo iracheno di
nome Yosef Basri. Basri, un giurista, insieme a un calzolaio di nome Shalom
Salih fu processato per gli attentati nel dicembre 1951, e giustiziato il mese
successivo. Entrambi erano membri dell'Hashura, il braccio militare del
movimento sionista clandestino in Iraq.
Salih alla fine confessò di aver compiuto gli attentati, con Basri e un terzo
uomo, Yosef Habaza.
All'epoca delle esecuzioni, nel gennaio 1952, solo 6.000 dei circa 125.000
ebrei iracheni non erano fuggiti in Israele. Inoltre, il fantoccio filo-inglese e
filo-sionista el-Said fece sì che tutte le loro proprietà fossero bloccate, inclusi i
depositi bancari. C'erano altri modi per portare fuori i dinari iracheni, ma
5 W.C. Eveland, Ropes of Sand: America's Failure in the Middle East, 1980
quando gli immigrati andarono a cambiarli in Israele scoprirono che il governo
israeliano tratteneva il 50% della valuta. Anche quegli ebrei iracheni che non si
erano registrati per l'emigrazione, ma per caso si trovavano all'estero,
rischiarono di perdere la cittadinanza se non fossero tornati entro breve tempo.
Una comunità antica, istruita, prospera è stata sradicata, e il suo popolo
trapiantato in un paese dominato dagli ebrei dell'Europa dell'est, la cui cultura
era non solo estranea per loro, ma anche ostile.

4. I peggiori criminali
a) I dirigenti sionisti.
Fin dall'inizio essi sapevano che per creare uno stato ebraico dovevano
espellere la popolazione indigena palestinese negli stati islamici confinanti, e
importare gli ebrei da quegli stessi stati. Theodor Herzl, l'architetto del
sionismo, pensava di farlo attraverso l'ingegneria sociale. Nel suo diario alla
pagina del 12 giugno 1895 scrisse che i coloni sionisti avrebbero dovuto
"incentivare la popolazione non abbiente a oltrepassare il confine, procurando
loro impieghi nei paesi di transito, e impedendo qualunque impiego nel nostro
paese"6.
Vladimir Jabotinsky, progenitore ideologico del Primo ministro
Netanyahu, ammise francamente che tale trasferimento di popolazioni poteva
compiersi soltanto con la forza.
David Ben Gurion, primo premier israeliano, disse a una conferenza
sionista del 1937 che qualunque ipotetico stato ebraico avrebbe dovuto
"trasferire le popolazioni arabe al di fuori della propria area, se possibile di
loro volontà, altrimenti con la coercizione"7. Dopo la cacciata di 750.000
palestinesi e la confisca delle loro terre nel 1948 – 49, Ben-Gurion dovette
volgersi ai paesi islamici per gli ebrei che riempissero il mercato del lavoro che
si era creato. In quei paesi furono mandati "emissari" per "convincere" gli ebrei
a partire, con l'inganno o con la paura.
Nel caso dell'Iraq, furono usati entrambi i metodi: agli ebrei poco istruiti
si raccontò di un'Israele messianica in cui i ciechi vedevano, gli storpi
camminavano e le cipolle crescevano grandi come meloni; agli ebrei istruiti si
tirarono le granate.
Pochi anni dopo gli attentati, nei primi anni '50 in Iraq uscì un libro in
arabo intitolato Veleno della vipera sionista. L'autore era uno di coloro che
indagarono sulle bombe del 1950 – 51. Nel suo libro egli chiama in causa gli
israeliani, in particolare uno degli emissari inviati in Iraq da Israele, Mordechai
Ben-Porat. Non appena il libro fu pubblicato, tutte le copie sparirono, anche
6 Theodor Hertzl, The Complete Diaries 1895 – 1904, ed. 1960 - 62
7 Resoconto del Congresso Mondiale di Poale Zion, 29 luglio – 7 agosto 1937
dalle biblioteche. Corse voce che agenti del Mossad, tramite l'ambasciata degli
Stati Uniti, comprarono tutte le copie e le distrussero. In tre diverse occasioni
provai a farmene mandare una in Israele, ma ogni volta la censura israeliana
bloccò la richiesta negli uffici postali.

b) I dirigenti inglesi.
L'Inghilterra agì sempre per il proprio migliore interesse coloniale. Per
tale interesse il ministro degli Esteri Arthur Balfour nel 1917 inviò la sua
famosa lettera a lord Rothschild, in cambio del sostegno sionista nella Prima
guerra mondiale. Durante la Seconda guerra mondiale gli inglesi furono
soprattutto attenti a tenere i propri stati vassalli nel campo occidentale, mentre i
sionisti badarono soprattutto all'emigrazione ebraica in Palestina, anche se
questo significò cooperare coi nazisti.
Dopo la guerra lo scacchiere mondiale vide i comunisti contro i
capitalisti. In molti paesi, incluso gli Stati Uniti e l'Iraq, gli ebrei erano una
grossa componente del partito comunista. In Iraq, l'intellighenzia ebraica
occupava centinaia di ruoli chiave nei partiti comunisti e socialisti.
Per tenere i suoi stati vassalli nel campo capitalista, l'Inghilterra doveva
fare sì che i loro governi fossero diretti da capi pro-inglesi. E se questi capi
fossero stati rovesciati, allora una o due rivolte anti-ebraiche avrebbero fornito
un pretesto utile per invadere la capitale e reinsediare il governo "giusto".
Inoltre, se vi era la possibilità di rimuovere l'influenza comunista dall'Iraq
trasferendo l'intera comunità ebraica in Israele, beh, perchè no? A maggior
ragione se i dirigenti israeliani e iracheni cospiravano a tale scopo.

c) I dirigenti iracheni
Sia il reggente Abd al-Ilah che il suo Primo ministro Nouri el-Said erano
diretti da Londra. Verso la fine del 1948 el-Said, che aveva già incontrato il neo
Primo ministro di Israele Ben-Gurion, iniziò a parlare coi suoi accoliti iracheni
e inglesi della necessità di uno scambio di popolazioni. L'Iraq avrebbe inviato
gli ebrei in Israele a bordo di camion militari attraverso la Giordania, e avrebbe
accolto alcuni dei palestinesi cacciati da Israele. La proposta includeva la
confisca delle proprietà da ambo le parti. Londra bocciò l'idea in quanto
eccessiva.
El-Said quindi avviò il suo "piano di riserva" e iniziò a creare le
condizioni per rendere la vita degli ebrei iracheni talmente difficile da indurli a
partire per Israele. Gli impiegati governativi ebrei furono licenziati; ai
commercianti ebrei furono negate le licenze di import/export; la polizia iniziò
ad arrestare ebrei per ragioni futili. Ma ancora gli ebrei che partivano non erano
molto numerosi.
Nel settembre 1949 Israele inviò in Iraq la spia Mordechai Ben-Porat,
quella menzionata in Veleno della vipera sionista. Una delle prime cose che
Ben-Porat fece fu avvicinare el-Said e promettergli incentivi finanziari se
avesse fatto una legge che privava gli ebrei della cittadinanza irachena.
Poco dopo, rappresentanti sionisti e iracheni iniziarono a formulare una
bozza della legge, basandosi su quanto ordinato da Israele attraverso i suoi
agenti a Baghdad. La legge fu approvata dal Parlamento iracheno nel marzo
1950. Essa permetteva al governo di rilasciare visti di espatrio "una tantum"
agli ebrei che volevano lasciare il paese. In marzo iniziarono gli attentati.
Sedici anni dopo la rivista israeliana Haolam Hazeh, pubblicata da Uri
Avnery, allora membro della Knesset, accusò Ben-Porat degli attentati di
Baghdad. Ben-Porat, in seguito a sua volta membro della Knesset, negò le
accuse ma non denunciò mai la rivista per diffamazione. E gli ebrei iracheni in
Israele lo chiamano ancora "Morad Abu al-Knabel", "Mordechai delle Bombe".
Come ho detto, tutto ciò andava al di là della comprensione di un giovane.
Io sapevo che degli ebrei erano uccisi e che esisteva un'organizzazione che ci
poteva portare nella Terra Promessa. Dunque contribuii all'esodo verso Israele.
In seguito, talvolta, in Israele mi imbattei in alcuni di questi ebrei iracheni. Più
di una volta mi esternarono l'idea di potermi uccidere per ciò che avevo fatto.
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