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contro il sionismo

per l’autonomia nazional culturale dei popoli


per la rivoluzione socialista internazionale

il Bund ebraico
in Russia

dalle origini al 1905


Immagine in copertina:
membri del Bund con i corpi di alcuni compagni uccisi durante il pogrom di Odessa,
nel novembre 1905

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la Zona di Insediamento intorno al 1900

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nota introduttiva

A 120 anni (ottobre 1897) dalla nascita dell’Unione generale dei Lavoratori Ebrei di Lituania,
Polonia e Russia, storicamente nota come Bund, è disponibile la traduzione pressoché integrale in
italiano della ricerca di Henry Tobias The Jewish Bund in Russia: from its Origins to 1905, pubblicato
dalla Stanford University Press nel 1972 e mai edito in Italia. Non è un caso che questo libro non sia
mai stato tradotto: a quanto risulta infatti nel nostro paese sono quasi inesistenti le ricerche sul Bund,
come sugli altri partiti rivoluzionari russi che non siano quello bolscevico.
Questo testo può essere utile da tre punti di vista:
1. Contro il sionismo. E’ importante richiamare alla memoria come il sionismo, in quanto ideologia
nazionalista e coloniale, sia stato fortemente minoritario e fortemente avversato nel mondo ebraico
all’inizio del Novecento. In particolare dai fatti presentati emerge chiaramente il sionismo, in tutte le
sue varianti compresa quella socialista, fu anche uno strumento nelle mani della polizia zarista, che se
ne serviva per distogliere i lavoratori ebrei dalla lotta contro l’autocrazia, orientandoli verso un futuro
indefinito in una patria lontana.
2. Per l’autonomia nazional culturale dei popoli. Nell’epoca odierna di neocolonialismo e contesa
tra grandi potenze, in cui le aspirazioni di molti popoli sono strumentalizzate per portare avanti guerre
per procura, è utile riconsiderare il percorso di quelle organizzazioni rivoluzionarie, come il Bund, che
portarono avanti la linea dell’autonomia nazional culturale, ovvero l’emancipazione di un popolo non
attraverso l’indipendenza territoriale ma attraverso la conquista dei diritti nazionali (libertà di lingua,
religione, cultura etc.) all’interno di una federazione di nazioni libere, eguali ed eventualmente
mescolate tra loro. Il libro si sofferma molto su questo tema fondamentale per il popolo ebraico,
sparso in vari paesi del mondo, e sulla polemica con i marxisti “territorialisti” dell’Iskra, in particolare
Martov e Lenin.
3. La rivoluzione socialista. Il Bund non fu solo il partito degli ebrei socialisti della Russia del
primo Novecento, ma ebbe anche un ruolo fondamentale nel movimento rivoluzionario dell’epoca.
Nacque alcuni anni prima dei partiti rivoluzionari russi più noti, e fu la forza trainante nella prima fase
della strutturazione del POSDR, il partito di Martov e Lenin. Il Bund, rappresentando i milioni di
lavoratori ebrei residenti nella Russia zarista nel primo Novecento, ebbe un ruolo fondamentale nella
Rivoluzione del 1905 e rilevante in quella del 1917. La conoscenza della storia di questa
organizzazione deve essere padroneggiata da chiunque voglia fare un bilancio obiettivo della
Rivoluzione russa, senza prendere per buona la vulgata dominante secondo la quale il partito
bolscevico ne fu l’unico o il principale, infallibile artefice.
Il testo di Tobias analizza in maniera esauriente i fatti fino all’ottobre del 1905, mentre nel capitolo
finale si limita ad alcune indicazioni sul prosieguo e l’esito della Rivoluzione di quell’anno.
Delle circa 1600 note a piè di pagina presenti nel testo originale, sono state mantenute soltanto
quelle utili all’analisi dei fatti (con alcune aggiunte) e le citazioni tra virgolette, mentre le altre sono
state omesse, considerando anche il fatto che si tratta quasi sempre di fonti in lingua russa o yiddish,
di difficile comprensione e reperimento. In alcuni casi la fonte originale è semplicemente indicata
come “Archivio del Bund”. Per maggiori informazioni da questo punto di vista si rimanda al testo
orginale.
Rispetto all’originale, ogni capitolo è stato suddiviso in paragrafi intitolati.
Per uniformità storica gli avvenimenti sono riportati con la datazione del calendario gregoriano
occidentale, anche se all’epoca in Russia era in vigore il calendario giuliano, 13 giorni più indietro.

Ottobre 2017

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indice

Cronologia essenziale…p.7

Attivisti del Bund / L’Archivio del Bund / Periodici del Bund…p.11

Principali partiti socialisti e sigle di riferimento…p.14

1. IL RETROTERRA STORICO…p.15
Gli ebrei nell’Impero russo: la Zona / Ebrei e cristiani nella società russa / Le trasformazioni di
fine Ottocento

2. PRIMI ELEMENTI SOCIALI E IDEOLOGICI…p.21


I primi intellettuali – pionieri / I circoli: populismo e marxismo / I programmi di studio / Questione
ebraica e assimilazione / La proletarizzazione e i lavoratori – pionieri

3. VERSO IL MOVIMENTO DI MASSA, 1890 – 94…p.28


Il Gruppo di Vilna / Influenza dei socialisti russi e polacchi / Primi passi tra il proletariato ebraico
/ 1894: il varo della linea dell’agitazione / L’Opposizione agli intellettuali / L’identità ebraica:
l’yiddish e i semi-intellettuali

4. LA CRESCITA DEL MOVIMENTO DI MASSA, 1894 – 97…p.36


Kase, skhodka e comitati / Sviluppo del movimento / “Colonizzazione” e Conferenza di Minsk /
Reazioni allo sviluppo del movimento / Nuovi stili di vita / La propaganda: nascita dei periodici

5. IL PRIMO STADIO DEL MOVIMENTO POLITICO…p.45


Lotta economica e lotta politica / L’internazionalismo dei pionieri / Discussioni coi socialisti
polacchi / La comparsa del sionismo / Il Gruppo di Vilna e la questione nazionale / Il discorso di
Martov del Primo Maggio 1895

6. LA FONDAZIONE DEL BUND…p.52


Il cammino verso la fondazione / Il Primo Congresso / La scelta del nome

7. IL PRIMO COMITATO CENTRALE E LA FONDAZIONE DEL POSDR…p.58


La propaganda clandestina / La polemica con il PPS / Verso la fondazione del POSDR / Il
Primo Congresso del POSDR / L’ondata di arresti del 1898

8. LA RICOSTRUZIONE DEL CENTRO DOPO GLI ARRESTI DEL LUGLIO 1898…p.67


I lavoratori prendono il testimone / Il Secondo Congresso del Bund / La ripresa dell’attività / La
nascita del Centro Estero

9. LE ORGANIZZAZIONI LOCALI, 1897 – 99…p.73


Rapporti tra centro e periferia / Sviluppo della lotta economica / Repressione padronale

10. LA QUESTIONE NAZIONALE, L’ECONOMISMO, IL TERZO CONGRESSO…p.79


Il dibattito sulla questione nazionale / Il dibattito sull’economismo

11. IL PERIODO DI TRANSIZIONE, 1900 – 1901…p.85


Espansione verso sud / Portnoy e l’enfasi sulla lotta politica / L’offensiva di Zubatov e la risposta
del Bund / Primi contrasti coi sionisti / Il dibattito coi socialisti russi all’estero / Nuovi interventi
sulla questione nazionale

12. LA POLITICIZZAZIONE DEL BUND, 1901 – 1903…p.99


Gli scioperi di difesa / Lo YUAP e i sionisti infiltrati dalla polizia / Il dibattito sulla violenza politica
/ Hirsh Lekert: la violenza come resistenza / La Conferenza di Berdichev / Riorganizzazione e
centralizzazione

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13. LA DEFINIZIONE DELLA QUESTIONE NAZIONALE, 1901 – 1903…p.113
Il dibattito al Quarto Congresso / Le risoluzioni approvate / Il dibattito all’estero / Il dibattito al
Quinto Congresso / Il dibattito con gli iskristi / Il dibattito coi sionisti

14. IL BUND E L’ISKRA: PRIMI CONTRASTI…p.124


La disputa con Martov / Tentativi di dialogo all’estero / Accordi e disaccordi in Russia / La
Conferenza di Bialystok / Verso il Congresso del POSDR: le manovre di Lenin

15. IL BUND E L’ISKRA: LA CONCEZIONE DEL PARTITO…p.132


La polemica tra gli iskristi e Kosovsky / Iskristi e bundisti nel Comitato Organizzatore / La
discussione interna al Bund / La risoluzione del Quinto Congresso e lo “statuto minimo”

16. IL SECONDO CONGRESSO DEL POSDR…p.142


Schermaglie preliminari / Il dibattito sull’autonomia del Bund / Il dibattito sull’organizzazione / Il
confronto finale a l’abbandono del Bund / Il dibattito sull’autodeterminazione nazionale / La
scissione tra bolscevichi e menscevichi

17. IL BUND E L’AUTOCRAZIA, 1903 – 1905…p.151


Il pogrom di Czestochowa / Il pogrom di Kishinev / Autodifesa proletaria armata: le squadre di
combattimento / La battaglia di Gomel / Lo scontro si acuisce / L’opposizione alla guerra russo
– giapponese / L’uccisione di Plehve e la “primavera” di Mirskij

18. IL BUND E LA SOCIETA’ EBRAICA, 1903 – 1905…p.160


Il movimento giovanile / Sviluppo dell’organizzazione / L’autofinanziamento / Coesione e
composizione interna / Limiti di efficacia / Lo scontro con i sionisti / Il Bund e gli ebrei liberali / Il
Bund e gli ebrei religiosi

19. IL CONFRONTO TRA LE FORZE RIVOLUZIONARIE, 1903 – 1905…p.174


Reazioni al distacco del Bund dal POSDR / Il Bund e il POSDR nella Zona / Bundisti,
bolscevichi e menscevichi / Il contributo di Medem alla questione nazionale / Il Congresso
dell’Internazionale ad Amsterdam / Tentativi di convergenza / L’alleanza coi socialdemocratici
lettoni / Rapporti con il PSR / Rapporti coi partiti polacchi

20. LA RIVOLUZIONE DEL 1905…p.193


L’ondata rivoluzionaria di gennaio / Bilancio della prima fase della Rivoluzione / Il rescritto del 3
marzo e le reazioni socialdemocratiche / La ripresa delle agitazioni / L’ondata rivoluzionaria di
ottobre / Controrivoluzione zarista: le Centurie Nere / Estensione dell’autodifesa armata /
Propaganda disfattista tra i soldati / Bundisti ed ebrei liberali nella Rivoluzione / Bundisti e
sionisti nella Rivoluzione / Bundisti e POSDR nella Rivoluzione / I bundisti e gli altri partiti
rivoluzionari / Il Sesto Congresso del Bund

21. EPILOGO…p.216
Il Manifesto di Ottobre e le sue conseguenze / L’ultima ondata rivoluzionaria / Le Dume /
Valutazione finale

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cronologia essenziale

1861
L’abolizione della servitù della gleba in Russia segna l’inizio di un processo di industrializzazione e di
mutamento sociale nel paese.

1881
La Narodnaja Volja (Volontà del Popolo) uccide lo Zar Alessandro II. Si scatena un’ondata di pogrom
contro gli ebrei, in particolare nelle regioni meridionali della Zona di Residenza.

1882
15 maggio. Le autorità zariste varano le cosiddette “Leggi Temporanee” contro gli ebrei, che
dureranno fino al 1917.

1883
Fondazione a Ginevra del primo gruppo marxista russo, il Gruppo per l’Emancipazione del Lavoro, da
parte di ex membri della Narodnaja Volja guidati da Georgij Plechanov.

1890
Fondazione del Gruppo Social Democratico Ebraico, o Gruppo di Vilna, precursore del Bund.
Varsavia è tra le città d’Europa in cui si celebra il Primo Maggio, ricorrenza introdotta l’anno prima
dalla neonata Seconda Internazionale.

1891
A Pietrogrado si celebra per la prima volta il Primo Maggio.

1892
Nasce a Varsavia il Partito Socialista Polacco (PPS).
Anche a Vilna per la prima volta si celebra il Primo Maggio, con un incontro clandestino in un bosco
fuori città.
Dalla Svizzera Plechanov esorta i socialdemocratici russi a passare dall’attività teorico-educativa
all’agitazione di massa.

1893
Nasce il Partito Social Democratico Polacco (SDKP), da una scissione dal PPS.

1894
Gli opuscoli Lettera agli agitatori di Gozhansky e Sull’agitazione di Kremer sono di fondamentale
importanza per indirizzare l’agitazione di massa tra i lavoratori ebrei. Conseguentemente nella
propaganda il Gruppo di Vilna passa dal russo all’uso della lingua yiddish.
Agosto. Il Gruppo di Vilna prende la decisione di estendere la propria attività in altre città. Prime
discussioni sulla questione nazionale.
Dicembre. In Svizzera nasce l’Unione dei Social Democratici Russi all’Estero.

1895
Maggio. Il rivoluzionario russo Martov, esule a Vilna, in un discorso dopo il Primo Maggio coglie le
tendenze in corso e indica la necessità di costituire un’organizzazione socialdemocratica di tutti i
lavoratori ebrei.
Giugno. Ha luogo la “Conferenza di Minsk” tra i socialdemocratici ebrei di quella città e quelli di Vilna.
A Pietrogrado nasce l’Unione di Lotta per la Liberazione della Classe Operaia, cui partecipano Martov
e Lenin.

1896
Dicembre. Fondazione di Der Yiddisher Arbeter (Il lavoratore ebreo), primo periodico operaio in
yiddish, che poi diventerà organo del Centro Estero del Bund.

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1897
Agosto. Primo Congresso Sionista mondiale a Basilea.
Alcuni operai a Vilna fondano Di Arbeter Shtime (La Voce Operaia): diventerà organo del Bund fino al
1905.
7-9 ottobre. Primo Congresso del Bund a Vilna.

1898
1-3 marzo. Congresso di fondazione del Partito Operaio Social Democratico pan-Russo (POSDR). Il
Bund vi partecipa e il suo militante più in vista, Arkady Kremer, entra nel Comitato Centrale.
26 luglio. Grande retata contro il Bund: almeno 55 arresti, tra cui i tre membri del Comitato Centrale.
Settembre. Secondo Congresso del Bund. I semi-intellettuali si prendono sulle spalle la
ricostruzione dell’organizzazione.
Dicembre. Inizia ad operare un Centro Estero del Bund.

1899
1 maggio. A Vilna si tiene la prima manifestazione politica pubblica nella storia del movimento operaio
ebraico.
Settembre. Al Congresso di Brunn i socialdemocratici austriaci approvano la linea dell’autonomia
nazional culturale, una scelta che influenzerà profondamente il Bund.
Dicembre. Terzo Congresso del Bund, affronta i temi della questione nazionale e dell’economismo.
Alcuni socialdemocratici lituani guidati da Felix Dzerzinskij si uniscono al SDKP, formando il Partito
Socialdemocratico di Polonia e Lituania (SDKPiL, o più semplicemente PSD).

1900
In Polonia da una scissione del PPS nasce il partito Proletariat, più vicino al Bund su alcuni
orientamenti. Sarà attivo fino al 1909.
Primavera. Alcuni importanti rivoluzionari russi, tra cui Lenin, Martov e Potresov, rientrano dall’esilio in
Siberia, si recano in Svizzera e concordano con Plechanov l’unificazione, sotto la direzione di un
organo di partito, del movimento russo.
Settembre. Congresso dell’Internazionale Socialista a Parigi: il gruppo dei bundisti è il più numeroso
(11) all’interno della delegazione russa.
Dicembre. L’Iskra, “giornale socialdemocratico per tutta la Russia”, inizia le sue pubblicazioni a
Ginevra, con una redazione composta dal cosiddetto Triumvirato promotore (Lenin, Martov, Potresov)
e dai principali membri del Gruppo per l’Emancipazione del Lavoro (Plechanov, Akselrod, Vera
Zasulich).

1901
Febbraio. A Pietrogrado lo studente Piotr Karpovic uccide il ministro zarista dell’Istruzione Bogolepov.
Aprile. Quarto Congresso del Bund. Risoluzioni sull’autonomia nazionale, sulla lotta politica, sulla
violenza e contro il sionismo.
Giugno. A Ginevra ha luogo il primo di alcuni tentativi di intesa tra l’Iskra, il Bund e altre fazioni
socialdemocratiche, ma nessuno ha successo e si dovrà attendere il Congresso del POSDR del 1903.
Luglio. A Minsk viene fondato il Partito Operaio Ebraico Indipendente (YUAP), fautore della corrente
economista e infiltrato da agenti di Zubatov, celebre funzionario della polizia zarista. Il partito esprime
il dichiarato intento di indebolire il Bund. La sua piattaforma è redatta dal sionista laburista Joseph
Goldberg.
Novembre. A Minsk si tiene un incontro di sionisti laburisti, concesso dalla polizia e al quale partecipa
l’infiltrata Mania Wilbushevich. Viene deciso di combattere il Bund per le sue posizioni antisioniste.

1902
15 aprile. A Pietrogrado il socialista rivoluzionario Balmasev uccide il ministro dell’Interno Sipjagin.
1 maggio. A Vilna la polizia del governatore Wahl disperde le manifestazioni del Primo Maggio e fa
frustare 20 dimostranti ebrei e 6 polacchi, suscitando l’indignazione della popolazione.
18 maggio. A Vilna il bundista Hirsh Lekert ferisce il governatore Wahl. Catturato, viene impiccato
dieci giorni dopo, diventando un eroe popolare.
Agosto. A Minsk si tiene il primo incontro dei sionisti di tutta la Russia, concesso direttamente dal
ministro dell’Interno Plehve. Nel contempo alla Conferenza di Berdichev il Bund approva una
risoluzione che ammette la vendetta contro la violenza dello stato.
11 agosto. Il pogrom antiebraico nella cittadina polacca Czestochowa induce il Bund a dedicarsi
seriamente all’autodifesa.
Novembre. A Pskov di forma un Comitato Organizzatore del Secondo Congresso del POSDR,
egemonizzato dagli iskristi.

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1903
Aprile. Il Pogrom di Kishinev e le agitazioni di Odessa segnano un netto arretramento della linea
collaborazionista della polizia, e l’aumento della ferocia repressiva da parte del regime zarista e della
disponibilità rivoluzionaria da parte delle masse ebraiche. Il Bund ufficializza la linea dell’autodifesa
armata.
Giugno. Quinto Congresso del Bund a Zurigo, approfondisce la questione nazionale e definisce la
linea da tenere all’imminente Secondo Congresso del POSDR.
Luglio. Lo YUAP si scioglie definitivamente in seguito al venire meno dell’appoggio poliziesco. Il Bund
e in parte anche il sionismo ne traggono vantaggio.
30 luglio – 23 agosto. Secondo Congresso del POSDR. Al termine di accese discussioni il Bund esce
dal POSDR e quest’ultimo si divide nelle fazioni bolscevica (Lenin) e menscevica (Martov).
Agosto. Sesto Congresso Sionista Mondiale a Basilea: accesa discussione tra i sionisti socialisti,
alcuni dei quali (i cosiddetti “territorialisti”) si esprimono per la rinuncia alla Palestina come luogo di
costruzione dello stato ebraico.
29 agosto – 1 settembre. Pogrom antiebraico a Gomel, le forze di autodifesa si battono con efficacia.
Novembre. Lenin lascia la redazione dell’Iskra, che diventa organo della corrente menscevica del
POSDR.

1904
8 febbraio. Inizia la guerra tra Russia e Giappone per la supremazia sulla penisola coreana.
Maggio. I bundisti, agendo di concerto con i Social Democratici Lettoni, invitano il POSDR, il PSD, il
PPS, Proletariat, i Social Democratici Lituani, l’Organizzazione Operaia Social Democratica Armena e
il Partito Rivoluzionario Ucraino a un incontro per parlare di azioni congiunte.
15 luglio. I socialisti rivoluzionari uccidono il dispotico ministro dell’Interno Plehve. Gli succede il più
moderato Svjatopolk-Mirskij.
Settembre. Congresso della Seconda Internazionale ad Amsterdam. Il Bund partecipa senza poter
usufruire di nessuno dei due voti riservati ai partiti russi, che vanno rispettivamente a POSDR e PSR.
Comunque svolge un ruolo significativo al Congresso.

1905
22 gennaio. La Domenica di Sangue di Pietrogrado dà il via alla prima fase della Rivoluzione.
Gennaio. Conferenza di Riga tra Bund, POSDR, socialdemocratici lettoni e Partito Rivoluzionario
Ucraino.
28 gennaio. Dimissioni del ministro dell’Interno Sviatopolk-Mirsky, sostituito da Bulygin.
17 febbraio. I socialisti rivoluzionari uccidono il governatore di Mosca Sergej Romanov, membro della
famiglia reale.
Febbraio. I sionisti territorialisti si strutturano formalmente nel Partito Operaio Sionista Socialista.
24 febbraio – 2 marzo. Sesta Conferenza del Bund, convocata per definire la linea da seguire durante
la Rivoluzione.
3 marzo. Rescritto dello Zar incarica Bulygin di studiare forme di partecipazione del popolo alle leggi.
Marzo. Sionisti e liberali del Gruppo Democratico Ebraico formano la Lega per i Diritti del Popolo
Ebraico, di orientamento moderato.
25 aprile – 12 maggio. Terzo Congresso del POSDR a Londra, vi partecipano solo i bolscevichi.
7-8 maggio. Pogrom antiebraico a Zhitomir condotto dai Centoneri, milizie filomonarchiche assoldate
dallo Zar e dall’aristocrazia. Nonostante l’autodifesa le vittime ebree sono una trentina, tra cui diversi
combattenti inviati appositamente da fuori per sostenere lo scontro.
Fine luglio. Settimo Congresso Sionista Mondiale, di nuovo a Basilea: i territorialisti lasciano il
movimento avvicinandosi alle tendenze rivoluzionarie, mentre altre fazioni sioniste laburiste vanno
verso la strutturazione in partito.
19 agosto. Il ministro dell’Interno Bulygin annuncia un manifesto per le elezioni di una Duma
(Parlamento).
5 settembre. Il Trattato di Portsmouth pone fine alla guerra tra Russia e Giappone.
17 ottobre. Riprendono con vigore gli scioperi a Pietrogrado.
20 ottobre. Sotto la spinta dei ferrovieri le agitazioni si estendono a tutto il Paese, e presto si arriva
allo sciopero generale panrusso. Sono le grandiose giornate dell’Ottobre 1905. proprio in quei giorni si
svolge a Zurigo il Sesto Congresso del Bund, i cui lavori si concludono rapidamente per l’incalzare
degli eventi.
26 ottobre. Nella notte il primo soviet (consiglio) dei deputati operai di Pietrogrado si riunisce in una
sala dell'Istituto Tecnologico. Vi prende parte anche il socialdemocratico Lev Trockij, rientrato

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appositamente dall’esilio a Londra. Da comitato di sciopero, il soviet di Pietroburgo si trasforma in
breve in organo politico e rivoluzionario del proletariato cittadino.
30 ottobre. Lo Zar fa promulgare un nuovo Manifesto preparato dal conte moderato Sergej Witte,
contenente tre promesse essenziali: 1. La concessione delle libertà fondamentali, ossia l'inviolabilità
della persona e le libertà di coscienza, di parola, di riunione e di associazione; 2. La partecipazione
alle elezioni della Duma delle « classi della popolazione attualmente private di ogni diritto elettorale »,
in attesa di una prossima legge che stabilisca il principio del suffragio universale; 3. «Stabilire come
regola immutabile che nessuna legge potrà entrare in vigore senza l'approvazione della Duma di
Stato». E’ il punto più alto raggiunto dalla Rivoluzione.
Novembre. La controrivoluzione zarista è affidata ai Centoneri, che imperversano in tutto il paese
uccidendo e torturando i dimostranti. In tre settimane il bilancio è circa di 5.000 vittime. A Odessa,
Ekaterinoslav e in altre città si contano centinaia di vittime ebree.
3 novembre. Il soviet di Pietroburgo, considerando la profonda stanchezza delle masse operaie,
delibera di sospendere lo sciopero generale.
4 dicembre. Si riunisce per la prima volta il soviet di Mosca, con un’assemblea di 180 deputati in
rappresentanza di 80.000 operai.
8 dicembre. A Pietroburgo in seguito all’arresto del presidente del soviet, Chrustalev-Nosar, Trockij
viene eletto al suo posto.
16 dicembre. Il governo fa circondare il palazzo della Società di Economia e arresta tutti i 267 deputati
del soviet di Pietroburgo presenti alla riunione al suo interno, compreso Trockij. Un nuovo soviet
clandestino si riforma, presieduto dal socialdemocratico Alexander Helfand (più noto con lo
pseudonimo di Parvus), allora stretto collaboratore di Trockij.
20 dicembre. Il soviet dei deputati operai di Mosca, il POSDR e il Partito Socialista Rivoluzionario
indicono uno sciopero politico generale con il dichiarato intento di trasformarlo in insurrezione armata.
23 dicembre. Le periferie sono ricoperte di barricate ma il centro della città rimane nelle mani del
governatore Dubasov, che organizza la repressione con l’arrivo di truppe da Pietrogrado.
29 dicembre. Il soviet di Mosca proclama la cessazione dello sciopero a partire dal 1 gennaio 1906. Le
truppe zariste continuano nella repressione, piegando il quartiere Prestja solo il giorno 31. Il bilancio
dell’insurrezione di Mosca è di circa 1.000 morti tra i rivoltosi e 70 tra i militari.

1906
L’anno si apre con migliaia di arresti e deportazioni.
Marzo - aprile. Settima Conferenza del Bund.
Aprile. Nel corso del mese si svolgono le elezioni della prima Duma. Definendo quest’ultima « una
miserabile parodia di rappresentanza popolare » bolscevichi, SR, Bund e i socialisti polacchi e lettoni
decidono il boicottaggio delle elezioni. I menscevichi, pur dando analogo giudizio della Duma,
decidono di partecipare alle elezioni come tutte le altre forze politiche, dai liberali all'estrema destra
zarista. I risultati danno la maggioranza relativa al neonato Partito Liberal Democratico ( i “cadetti”,
che prendono il 38%, con 183 deputati su 484), seguito dai trudoviki (laburisti, al 19.5% con 95
deputati). Diciassette sono i menscevichi (eletti soprattutto nelle regioni del Caucaso), dodici gli ebrei.
Nessun seggio all'estrema destra.
23 aprile – 8 maggio. Quarto Congresso del POSDR a Stoccolma. Formalmente è il congresso della
riunificazione. Con l’appoggio dei menscevichi il Bund rientra nel partito, ma di fatto si mantengono
linee di separazione organizzativa e etnica, soprattutto coi bolscevichi.
21 luglio. All’indomani dell’ennesima contrapposizione, lo Zar con un decreto scioglie la Duma. Segue
una nuova serie di scioperi e insurrezioni, duramente e rapidamente represse. L’inflessibile Piotr
Stolypin è il nuovo Primo ministro.
13 agosto. La socialista rivoluzionaria Zinaida Konopljannikova uccide a Pietroburgo il generale Min,
uno dei responsabili del soffocamento della rivolta di Mosca. Condannata a morte per impiccagione.
25 agosto. Un attentato dinamitardo demolisce la villa del primo ministro Stolypin, che rimane illeso.
1 settembre. Vengono istituite corti marziali a porte chiuse per giudicare i rivoluzionari. Esse
commineranno circa un migliaio di condanne a morte nelle settimane successive.
Settimo Congresso del Bund a Lvov. Decide la partecipazione alla Seconda Duma, di concerto con
le altre fazioni socialdemocratiche.

1907
5 marzo. Si riunisce la seconda Duma, alla quale partecipano anche i socialdemocratici in un fronte
unico.
16 giugno. Colpo di mano zarista e scioglimento della seconda Duma. Il Bund rientra in piena
clandestinità. Si chiude la fase rivoluzionaria, che pure lascia un segno indelebile nel corpo delle
masse popolari dell’Impero. Dieci anni dopo, infatti, l’autocrazia zarista vedrà la propria fine.

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attivisti del Bund

Yidel Abramov. Delegato di Vitebsk al Congresso di fondazione del Bund.


Raphael Abramovich (1880 – 1963). Membro del Soviet di Pietrogrado nel 1905, candidato del
POSDR alla Seconda Duma nel 1906. Esiliato nel 1910, fuggì dall’esilio e riparò in Europa. Ritornò in
Russia nel 1917 come esponente del Bund e dei menscevichi internazionalisti. Nel 1920 con la
dittatura bolscevica si trasferì a Berlino, collaborando all’organo menscevico Sotsialisticheskii Vestnik
fondato da Martov. Dal 1940 si trasferì negli USA.
Boris Banevur (1872 - ?). Grazie all’attività di commerciante che lo costringeva a lunghi viaggi,
svolse il ruolo di corriere, distribuendo la stampa clandestina del Bund. Dopo il 1905 collaborò
economicamente a mantenere in vita l’organizzazione. Apparentemente lasciò l’attività politica dopo la
Prima guerra mondiale.
Laibechke Berman (1882 – 1960). Vero nome Laib Libkind. Membro dei gruppi di autodifesa del
Bund nei primi anni del Novecento. Membro del Comitato Centrale nel 1917. Si trasferì in Polonia nel
1922 e in seguito negli USA, ove rimase sempre attivo nel Bund.
Pavel Berman (1873 – 1922). Nel 1903 si trasferì in Germania per completare gli studi scientifici.
Rientrò in Russia dopo la Rivoluzione del 1905 ma senza svolgere attività politica. Nel 1917 contribuì
alla nascita di un sindacato di metallurgici a Pietrogrado.
Leon Bernstein (1877 – 1962). Membro del Centro Estero del Bund in Svizzera, rimase all’estero
anche durante la Rivoluzione del 1905. In seguito si trafserì in Francia, continuando a sostenere i
gruppi del Bund all’estero. Attivo nella Resistenza francese durante la Seconda guerra mondiale.
Laib Blekhman (1874 – 1962). Nel 1910 si trasferì negli USA. Rientrò in Russia nel 1917 lavorando
per breve tempo nel Bund, quindi fece ritorno negli USA con l’ascesa al potere dei bolscevichi. Ancora
attivo nelle organizzazioni americane del Bund dopo la Seconda guerra mondiale.
Alexander Chemerisky (c. 1880 - ?). Giovane molto attivo, arrestato a Minsk dalla polizia zarista si
lasciò corrompere dalla linea economista di Zubatov e una volta rilasciato svolse propaganda contro il
Bund. Riprese contatto con il Bund nel 1910, dopo un periodo di esilio in Siberia. Dopo il 1917 aderì al
Partito Comunista Russo, diventando segretario della Sezione Ebraica del partito. Nel 1930 venne
arrestato per l’attività pro-Zubatov precedente al 1905 e condannato a vita. Destino sconosciuto.
Mendel Daich (1885 - ?). Dirigente dei gruppi di autodifesa del Bund nei primi anni del Novecento,
dopo il 1917 entrò nel Partito Comunista Russo e nella Ceka. Arrestato durante le purghe del 1937 –
38. Destino sconosciuto.
Boris Frumkin (1872 - ?). Attivo nella propaganda clandestina del Bund. Lasciò la Russia nel 1907,
andando a lavorare per il Centro Estero. Collaborò con Franz Kursky a una raccolta di documenti sul
Bund e la Rivoluzione del 1905, che fu pubblicata nel 1913. Dopo la presa del potere bolscevico si unì
al Partito Comunista Russo. Visse a Mosca fino agli anni ’30.
Abram Gordon. Esponente dell’Opposizione agli intellettuali negli ultimi anni dell’Ottocento, poco
prima della fondazione del Bund.
Shmuel Gozhansky (1867 - ?). Pioniere del Bund, uno dei promotori della linea dell’agitazione di
massa nei primi anni ’90 dell’Ottocento. Inattivo tra il 1905 e il 1917, in seguito si unì al Partito
Comunista Russo, lavorando nel comitato editoriale delle opere di Lenin in yiddish. Apparentemente
arrestato ed esiliato durante le purghe staliniane, non se ne seppe più nulla.
Rosa Gruenblat. Delegata di Bialystok al Congresso di fondazione del Bund.
Evgenija Gurvich (1861 – 1940). Diminutivo Tsenia. La più anziana pioniera del Bund, in seguito
lavorò per il POSDR senza mai rompere i legami con il partito ebraico. Eletta nel Soviet di Minsk nel
1917. Arrestata nel 1922 per appartenenza al Bund ma rilasciata su intercessione di David Rjazanov.
Lavorò al Marx – Engels – Lenin Institute di Mosca, probabilmente fino al 1931 quando Rjazanov, a
capo dell’istituto, fu accusato di mescevismo. Morì a Mosca.
Isaac Gurvich. Pioniere del Bund, fratello di Tsenia Gurvich.
Anna Heller (1872 - ?). Pioniera del Bund insieme al marito Pinai Rosenthal. Dopo la Rivoluzione del
1905 fu membro del Comitato di Vilna, e nel 1917 della segreteria del Comitato Centrale del Bund.
Continuò ad operare a Vilna anche dopo la morte del marito, nel 1924. Arrestata dalla polizia politica,
mortì in prigione.
Benzion Hofman (1874 – 1954). Pubblicista del Bund nei primi anni del Novecento. Si trasferì negli
USA nel 1908. Vicino al Partito Comunista Russo dal 1917 al 1922, in seguito appoggiò le
organizzazioni vicine al Bund, svolgendo attività editoriale.
Tsivia Hurvich (1874 - ?). Pioniera - lavoratrice del Bund. Arrestata più volte dopo il 1905, rientrò in
Russia lavorando per il POSDR a Vilna e Pietrogrado, e diventando segretaria della frazione

11
socialdemocratica alla Duma. Nel 1917 nella corrente dei menscevichi internazionalisti. Destino
sconosciuto.
Isaiah Izenshtat (1867 – 1937). Pioniere - intellettuale del Bund. Tenne i rapporti con il gruppo
dell’Iskra durante i primi anni del Novecento. Ebbe un ruolo organizzativo molto importante dopo
l’arresto di Portnoy nel 1905. Membro del Comitato Centrale del Bund nel 1917. Oppositore dei
bolscevichi, fu arrestato nel 1921 ma nel 1922 potè lasciare la Russia, per trasferirsi a Berlino dove
divenne membro del Centro Estero menscevico, pur continuando a lavorare per il Bund. Morì a Parigi.
Baruch Kahan (1883 – 1936). Attivista del Bund all’inizio del Novecento, in particolare nel Comitato di
Vilna. Delegato del Bund nel Soviet di Pietrogrado nel 1917. Negli anni ’20 lavorò all’istituzione di un
sistema scolastico yiddish, e contribuì alla fondazione dell’Istituto Scientifico Yiddish di Vilna.
Israel Kaplinsky (? – 1919). Tipografo per il Bund e altre organizzazioni, nel 1909 fu scoperta la sua
attività di spia. Apparentemente si trasferì a Saratov, e in seguito fu giustiziato dalle autorità sovietiche
per la sua collaborazione con la polizia zarista.
David Katz (1876 - ?). Pioniere - lavoratore del Bund, fu il principale artefice della ricostruzione
dell’organizzazione dopo l’ondata di arresti del 1898. Continuò l’attività nel Bund fino al 1909, quindi si
trasferì nel Caucaso. Alla fine degli anni ’20 viveva a Mosca con la moglie Maria Zhaludsky. Destino
sconosciuto.
Hillel Katz (1863 – 1943). Pseudonimo “Blum”. Pioniere del Bund, delegato di Bialystok al Congresso
di fondazione. Dal 1904 si trasferì negli USA, e là collaborò attivamente al movimento socialista.
Abraham Kisin (? – 1905). Ucciso durante una manifestazione nel 1905.
Yoina Koigan (c. 1870 – 1923). Attivista del Bund nella Russia meridionale. Nel Comitato Centrale
fino al 1910. Più di una volta delegato del Bund alla Seconda Internazionale. Nel 1910 si ammalò di
tubercolosi e si trasferì a Ginevra. Rientrò in Russia nel 1917 e nel 1918 aderì al Partito Comunista.
Tsemakh Kopelson (1869 – 1933). Pioniere del Bund, dapprima in Russia e poi in Svizzera per il
Centro Estero. Lavorò per la casa editrice del Bund. Nel 1917 rientrò in Russia e nel 1918 aderì al
Partito Comunista. Morì in un incidente automobilistico.
Vladimir Kosovsky (1867 – 1941). Vero nome Nahum Levinson. Pioniere del Bund e uno dei
principali ideologi e redattori dell’organizzazione. Dal 1900 al Centro Estero. Non rientrò in Russia nel
1917. Visse a Berlino tra il 1920 e il 1930 e in seguito lavorò con il Bund polacco a Varsavia. Nel 1941
riparò negli USA, ove morì di lì a poco.
Arkady Kremer (1865 – 1935). Leader del Gruppo di Vilna e in seguito “Padre del Bund”, membro del
primo Comitato Centrale e del primo Comitato Centrale del POSDR. Autore dell’opuscolo
Sull’agitazione, che nel 1894 dettò la linea dell’agitazione di massa.
Hirsh Lekert (1879 – 1902). Giovane calzolaio analfabeta, fu attivo nel Bund sin dagli inizi, animando
i primi gruppi di autodifesa. Nel 1900 guidò l’assalto a una stazione di polizia per liberare tre compagni
arrestati. Catturato ed esiliato, ritornò a Vilna nel 1902. Qui il 18 maggio tentò di uccidere il
governatore della città per vendicare la fustigazione di alcuni lavoratori, e fu condannato
all’impiccagione diventando un eroe popolare.
Liuba Levinson (1866 – 1903). Pioniera del Bund, moglie di Izenshtat. Studiò a Ginevra e sin dal
1889 entrò a far parte dei circoli socialdemocratici di Vilna.
Mark Liber (1880 – 1937). Vero nome Mikhel Goldman. Uno dei più importanti dirigenti della
“seconda generazione” del Bund, guidò l’organizzazione nei primi anni del Novecento. Nel Comitato
Centrale dall’ottobre 1905, membro del Soviet di Pietrogrado, rappresentante del Bund nel POSDR
dall’agosto 1906. Arrestato ed esiliato due volte, rientrò in Russia nel 1917 divenendo membro del
Soviet di Pietrogrado e sostenitore del Governo Provvisorio. Attivo nella fazione menscevica
clandestina negli anni 1922 – 23, in seguito arrestato e giustiziato dalle autorità sovietiche.
A. Litvak (1874 – 1932). Vero nome Chaim Helfand. Semi – intellettuale, attivista e pubblicista del
Bund fin dai primi anni. Arrestato nel 1907, si trasferì in Europa e poi negli USA. Rientrò in Russia nel
1917 e riprese l’attività editoriale per il Bund, in particolare nella parte meridionale del paese. Dal 1925
si trasferì definitivamente negli USA.
Vladimir Medem (1879 – 1923). Uno dei principali esponenti della “seconda generazione” del Bund,
guidò ideologicamente l’organizzazione a partire dall’inizio del Novecento. Fautore della linea
dell’unità tra le fazioni del POSDR. Scrisse molto sulla questione nazionale ebraica. Durante la guerra
lavorò per il Bund nella Polonia occupata dai tedeschi. Nel 1921 si trasferì negli USA, ove morì poco
tempo dopo.
Bainish Mikhalevich (1876 – 1928). Vero nome Joseph Izbitzky. Arrestato ed esiliato nel 1905, riuscì
a fuggire e a rientrare in Russia. Delegato al Congresso del POSDR a Londra nel 1907. Attivo a Vilna
fino al 1917 e poi nel Bund polacco.
Joseph Mill (1870 – 1952). Uno dei pionieri del Bund, proveniente dalla scuola politecnica. Operò a
Varsavia negli anni ’90 e partecipò al Congresso di fondazione. Fondamentale la sua attività all’estero
a partire dal 1898 fino al 1915, quando si trasferì negli USA, ove continuò a sostenere il Bund fino alla
morte.

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Abram Mutnikovich (1868 – 1930). Pioniere del Bund, ricoprì ruoli di rilievo sia all’estero che in
Russia dopo il 1906. Lasciò l’attività politica per alcuni anni, trasferendosi in Svezia, e rientrò in Russia
nel 1917. Dopo la guerra visse a Berlino fino alla morte, rimanendo in contatto con l’attività del Bund
Taibechke Oshmiansky. Semi-intellettuale, moglie di Sendor Zeldov.
Noah Portnoy (1872 – 1941). Vero nome Yekutiel Portnoy. Responsabile organizzativo del Bund in
Russia negli anni dal 1900 al 1905. Arrestato nel 1905 e poi rilasciato, ritornò nel Comitato Centrale.
Dal 1914 operò per il Bund nella Polonia occupata dai tedeschi, e in seguito divenne presidente del
Comitato Centrale del Bund polacco. Nel 1941 via URSS e Giappone riparò negli USA, ove morì poco
dopo.
Moshe Rafes (1883 – 1942). Protagonista della Rivoluzione del 1905, in seguito continuò a lavorare
per il Bund. Nel 1917 segretario del Comitato Centrale del Bund e membro del Comitato Esecutivo del
Soviet di Pietrogrado. Nel 1919 aderì al Bund Comunista e in seguito al Partito Comunista Russo.
Pinai (Pavel) Rosenthal (1872 – 1924). Medico, pioniere del Bund a Vilna. Arrestato nel 1905 e
rilasciato con l’amnistia di ottobre. Membro del comitato editoriale del periodico legale del Bund, Der
Veker. Patecipò alla Prima guerra mondiale, rientrò nel Bund nel 1917 e fu arruolato nell’Armata
Rossa nel 1919. Dal 1921 di nuovo nel Bund a Vilna.
Ezra Rozen. Vero nome Alter Lapserdak. Svolse un ruolo importante nel Bund di Varsavia fino al
1906. Quindi lavorò nel Bund di Odessa, e dal 1908 si trasferì a Pietrogrado. Dopo la Rivoluzione del
1917 entrò nelle istituzioni economiche sovietiche, e per un periodo lavorò alla Banca Sovietica di
Parigi. Destino sconosciuto.
Albert Sapotinsky (? – 1908). Attivista del Bund in Lettonia, a Riga, figlio di una famiglia molto ricca.
Alla fine del 1905 si trasferì a Pietrogrado. Studente universitario e agitatore socialdemocratico tra i
soldati zaristi. Fu arrestato nell’estate del 1907 e condannato a quattro anni di lavori forzati. Si suicidò
in carcere per i brutali trattamenti subiti.
Victor Shulman (1876 – 1951). Vero nome Israel Shadovsky. Lavorò per il Comitato Centrale.
Arrestato ed esiliato più volte, riparò all’estero dal 1909. Nel 1914 ritornò a Varsavia, e dopo la guerra
fu dirigente del Bund in Polonia. Riparò negli USA nel 1941.
Hirsch Soroka (1873 – 1909). Pioniere – lavoratore di Vilna, partecipò al Congresso di fondazione del
Bund ed ebbe un ruolo importante nel sopperire all’ondata di arresti dell’anno successivo.
Matle Srednitsky (1867 – 1943). Esponente di spicco del Gruppo di Vilna e fondatrice del Bund.
Moglie di Arkady Kremer.
Aaron Weinstein (1877 – 1938). Membro del Comitato Centrale dopo il 1905 e delegato del Bund al
POSDR. Arrestato ed esiliato in Siberia nel 1915, rientrò nel 1917, nel Soviet di Minsk. Nel 1919
traghettò una cospicua fazione bundista nel Partito Comunista Russo. Arrestato nel 1937, morì in
prigione.
David Zaslavsky (1879 – 1965). Redattore e oratore del Bund. Partecipò alla Rivoluzione del 1905.
Nel 1917 fu eletto al Soviet di Pietrogrado. Nel 1925 aderì al Partito Comunista Russo.
Sendor Zeldov (1873 – 1924). Vero nome Sergej Nemansky. Semi – intellettuale, uno dei
protagonisti della ricostruzione dopo gli arresti del 1898. Collaborò con i gruppi all’estero fino al 1906,
quando ritornò a Vilna.
Maria Zhaludsky (1875 - ?). Pioniera – lavoratrice del Bund, delegata di Varsavia al Congresso di
fondazione del Bund, ebbe un ruolo importante a fianco del marito David Katz dopo l’ondata di arresti
del 1898. Politicamente inattiva dal 1908.

l’archivio del Bund

L’Archivio del Bund nacque nel 1899 a Ginevra su iniziativa del neonato Centro Estero
dell’organizzazione, allo scopo di raccogliere e conservare testimonianze e documenti. Nel 1919
l’Archivio fu trasferito a Berlino, nell’edificio che ospitava la sede del Partito Socialdemocratico
Tedesco. Nel 1933, con l’avvento del nazismo, fu trasferito a Parigi. Nel 1944 i nazisti presero
possesso del materiale, ma lo abbandonarono una volta costretti a lasciare Parigi. Nel 1951 infine
l’Archivio del Bund fu spostato a New York, e dal 1992 è stato accorpato all’Yivo Institute, Istituto per
la ricerca sulla cultura ebraica fondato a Vilna nel 1925 e a sua volta spostato a New York nel 1940.

13
periodici del Bund
Di seguito i periodici del Bund editi a livello centrale nel periodo preso in esame. Ad essi vanno
aggiunti i numerosi periodici locali.

Di Arbeter Shtime (La Voce del Lavoratore). Organo del Comitato Centrale dal 1897 al 1905.
Abbreviato DAS.

Der Yidisher Arbeter (Il Lavoratore Ebreo). Fondato nel 1896, organo del Centro Estero dal 1898 al
1904. Abbreviato DYA.

Der Bund (Il Bund). Edito dal 1904 al 1905.

Posledniia Izvestiia (Ultime Notizie). Edito dal Centro Estero dal 1901 al 1906.

Der Veker (Il Risveglio). Primo giornale legale del Bund, edito negli anni 1905 – 06.

principali partiti socialisti e sigle di riferimento


Bund. Unione Generale dei Lavoratori Ebrei (Algemeyner Yidisher Arbeter Bund).

Gruppo per l’Emancipazione del Lavoro. Primo gruppo marxista russo, fondato nel 1883 a Ginevra
da ex populisti sotto la guida da Georgij Plechanov.

Partito Operaio Ebraico Indipendente (YUAP, Yidisher Unabhengige Arbeiter Partie), partito ebraico
di orientamento economicista, nato con il dichiarato intento di contrastare il Bund, e infiltrato dalla
polizia. Attivo dal 1901 al 1903.

Partito Operaio Social Democratico pan-Russo (POSDR). Partito marxista russo formato nel 1898
dal Bund insieme ad altri raggruppamenti. Nel 1903 il Bund fu estromesso e il POSDR si divise nelle
correnti bolscevica e menscevica.

Partito Socialista Polacco (PPS, Polska Partija Socialistyczna). Fondato nel 1892, di orientamento
socialista nazionale.

Partito Social Democratico Polacco (SDKP, Socjal Democracja Krolestwa Polskiego). Socialisti
internazionalisti, nato nel 1893 da una scissione del PPS. Dal 1899 SDKPiL (i Litwy) con l’ingresso
dei socialdemocratici lituani. Abbreviato PSD (Polska Socjal Democracja).

Proletariat. Scissione dal PPS avvenuta nel 1900, attivo fino al 1909.

Partito Socialista Rivoluzionario (PSR). Nato nel 1901 dalla fusione di vari gruppi rivoluzionari, il più
grosso partito socialista russo dell’epoca, di orientamento prevalentemente populista e contadino,
quindi meno presente nei centri urbani.

Unione dei Social Democratici Russi all’Estero. Fondata a Ginevra nel 1894 su iniziativa del
Gruppo per l’Emancipazione del Lavoro, nel corso degli anni si orientò verso l’economismo, e nel
1900 i seguaci di Plechanov e Lenin se ne separarono.

Unione di Lotta per l’Emancipazione del Lavoro. Gruppo marxista fondato a Pietrogrado nel 1895
da Lenin e Martov. Contribuì alla fondazione del POSDR nel 1898. In quegli anni, senza Lenin e
Martov esiliati in Siberia, si orientò verso l’economismo, fondendosi nel 1900 con l’Organizzazione
Operaia di Pietrogrado.

14
1. IL RETROTERRA STORICO

Gli ebrei nell’Impero russo: la Zona. Verso la fine del XIX secolo, gli Zar grazie ai
successi militari arrivarono a occupare territori largamente abitati da popolazioni molto diverse, per
cultura e religione, dal nucleo “grande russo” dell’Impero. Attraverso le Partizioni della Polonia, una
serie di drammatiche avanzate nell’espansione verso ovest della frontiera russa, la più ampia
comunità ebraica del mondo fu assoggettata agli Zar cristiani ortodossi. Per questi ebrei ciò non
significò la dispersione in nuovi territori, come già capitato molte volte nella Diaspora precedente,
bensì l’incorporazione forzata in un impero alieno.
L’inclusione di popolazioni eterogenee nell’Impero creò agli Zar problemi non facili da
risolvere. Le politiche da essi attuate in precedenza contro i nemici politici esterni e i gruppi
stranieri ora dovettero essere riviste alla luce dei cambiamenti interni. La rapida assimilazione o la
totale sottomissione di un così vasto numero di nuovi sudditi si dimostrò impossibile, e i problemi di
un Impero multinazionale rimasero motivo di grande preoccupazione per il regime fino alla sua
caduta. Nel contesto di una generale situazione di insoddisfazione tra le minoranze nazionali, la
questione ebraica occupò un posto unico e importante.
Nel secolo intercorso tra l’ultima Partizione della Polonia, nel 1795, e la creazione del Bund
nel 1897, le politiche degli Zar verso i loro sudditi ebrei denotarono una chiara uniformità di scopi. Il
principale, più persistente e aspro provvedimento fu il confino degli ebrei nella Zona di
Insediamento. La Zona era un ghetto; solo pochi ebrei, grazie alla ricchezza, l’educazione, il lavoro
o il servizio militare, potevano vivere al di fuori di essa. Inoltre, anche all’interno della Zona gli ebrei
avevano una serie di restrizioni, che il governo modificava di volta in volta. I confini della Zona non
rimasero costanti, ma nel periodo del Bund essa coincise stabilmente con un’ampia striscia tra la
costa baltica e il Mar Nero, suddivisa nelle province nordoccidentali, sudoccidentali e meridionali.
Gli ebrei inoltre continuarono a vivere nelle province polacche1.
Alla base della creazione della Zona vi sono le differenze storiche tra ebrei e russi, non solo
di religione ma anche di cultura, status civile e attività lavorative (con l’aggiunta dell’elemento della
competizione economica). Il regime definì senza mezze misure la propria linea verso gli ebrei. Nel
1835 la maggioranza del Consiglio di Stato dello Zar Nicola I, discutendo del diritto dei mercanti
ebrei a vivere nelle zone interne dell’Impero, stabilì che una tale intrusione “produrrebbe
un’impressione molto negativa sul nostro popolo, il quale a causa della sua concezione religiosa e
del suo giudizio sulle peculiarità morali degli ebrei ha assunto la consuetudine di evitarli e di
disprezzarli”. Nicola aggiunse: “La questione è stata così definita da Pietro il Grande. Non intendo
modificarla”2. I due pilastri della religione e della tradizione gli fornirono la giustificazione per tenere
ebrei e russi separati: il mantenimento della Zona era un sacro dovere. Gli Zar emanarono anche
delle leggi che differenziavano gli ebrei dagli altri non russi nell’Impero – anche quelli che vivevano
insieme a loro nella Zona. Introdussero tasse speciali per gli ebrei; vietarono loro alcune
occupazioni e ne limitarono l’accesso ad altre; a volte limitarono le loro opportunità educative; e
periodicamente li espellevano dalle aree rurali in cui vivevano all’interno alla Zona.
Paradossalmente, mentre lo stato faceva grandi tentativi per separare gli ebrei dai russi,
cercò anche di cancellare l’identità tradizionale degli ebrei. Gli Zar Alessandro I (1801 – 25) e
Nicola I (1825 – 55), per esempio, cercarono di spingere gli ebrei a nuove occupazioni e al di fuori
della Zona, creando delle colonie agricole nei nuovi territori di frontiera della Russia meridionale e
anche in Siberia. Altri provvedimenti mirarono a creare un certo grado di assimilazione. Sotto
Nicola I, gli abiti e le pettinature ebraiche subirono restrizioni – un’azione che ricorda le politiche di
Pietro il Grande verso i Vecchi Credenti3. Sempre sotto Nicola I fu forse varato il più brutale
provvedimento per attaccare l’identità della comunità ebraica: la coscrizione sotto le armi di ragazzi
sotto i diciotto anni, fino all’età di dodici, allo scopo di allontanarli dalla fede e dalle usanze dei

1
All’epoca della fondazione del Bund la Zona di Insediamento comprendeva le seguenti province (governatorati): a) Al
Nordovest Vilna, Kovno, Grodno, Minsk, Vitebsk e Mogilev b) Al Sudovest Volinia, Podolia, Kiev, Chernigov e
Poltava c) Al Sud Bessarabia, Kherson, Ekaterinoslav e Tauride, più d) dieci province nel territorio polacco.
2
Semen Dubnov, History of the Jews in Russia and Poland, 3 voll., 1916 - 20
3
Movimento religioso ortodosso sorto nel XVII secolo come reazione alle riforme centralizzatrici della Chiesa russa.

15
genitori. Infine nel 1844, nel tentativo di rompere l’autonomia degli ebrei, Nicola abolì il kahal, la
tradizionale istituzione che governava la comunità ebraica, che aveva mantenuto alcune funzioni
legali sotto il controllo russo. Successivamente Alessandro II (1855 – 81), con un approccio molto
più conciliante, cercò di spingere gli ebrei all’assimilazione aprendo loro le scuole russe e
permettendo che i più istruiti entrassero alle dipendenze del governo. Gli Zar applicarono questi
meccanismi in maniera sporadica e arbitraria, emettendo, cancellando, modificando leggi in un
modo che all’epoca scontentò sia la burocrazia che la popolazione in generale, al pari degli stessi
ebrei.
Gli ebrei, con le loro pratiche religiose, le istituzioni sociali e il modo di vivere economico,
erano considerati generalmente un elemento dannoso nell’Impero russo. Questa conclusione fece
sì che il regime enfatizzasse la condizione speciale applicata alla propria popolazione ebraica,
rimarcando le linee che separavano gli ebrei dagli altri popoli dell’Impero. Esso li considerava
come un gruppo religioso – economico – culturale, senza i requisiti per un reale status nazionale
nell’Impero quali quelli dei polacchi o dei finlandesi. Gli ebrei erano considerati un popolo senza
radici. Incerto sul da farsi con loro, il regime nella sua veste più benevola permise a una quota di
loro, attentamente selezionata, di vivere all’interno della Russia, frequentare le scuole russe, avere
incarichi governativi di rango inferiore, e assimilarsi pacificamente. Nella sua veste più perversa
esso permise e spalleggiò le violenze, praticò la calunnia e la discriminazione, e dirottò sugli ebrei
ogni vessazione alla quale un ospite indesiderato e inutile potesse essere sottoposto.
La comunità ebraica rispose allo stato russo attraverso le risorse della propria tradizione
storica. La grande maggioranza degli ebrei, da quando si ritrovarono sotto il dominio russo fino alla
caduta dei Romanov nel 1917, mantennero la propria identità culturale, in tal modo contrastando
gli obiettivi del regime. Coloro che non cercavano di adattarsi mantenevano uno stretto controllo
sulla propria vita quotidiana e il proprio sistema educativo. La loro radicata comunità forniva le
difese interne e le risorse autonome rispetto all’ambiente esterno. Il regime non avrebbe potuto
infrangere queste barriere se non ricorrendo alla forza bruta o offrendo delle opportunità più
convincenti della fede e della cultura tradizionali. Ma non volle praticare la prima soluzione, e non
aveva alternative soddisfacenti per la seconda. Nello stesso tempo gli ebrei necessitavano di
partecipare alla vita economica del paese e forzatamente dovettero uscire dal proprio ambiente
comunitario. Qui si trovarono in condizioni molto peggiori rispetto a quelle del proprio contesto
religioso e culturale a causa delle restrizioni imposte loro dallo stato. Non avevano il potere per
modificare le condizioni politiche che limitavano la loro situazione economica, e i mezzi per
resistere alle limitazioni erano pochi e deboli. La presentazione di petizioni si rivelò spesso inutile,
e la corruzione un espediente costoso e umiliante. In verità molti ebrei emigrarono; ma le pesanti
restrizioni continuarono a vessare la grande maggioranza fino alla caduta dei Romanov. Le
posizioni della maggioranza degli ebrei e del governo furono di fatto per lo più agli antipodi:
quando gli ebrei desideravano mantenere del loro stile di vita tradizionale, il regime voleva
distruggerlo, e quando gli ebrei volevano andare oltre i limiti della propria comunità, il regime li
ostacolava limitando il campo delle loro opportunità.

Ebrei e cristiani nella società russa. La storia degli ebrei e dei loro vicini cristiani
nell’Impero russo differiva profondamente. Segnati dal marchio delle peregrinazioni, gli ebrei non
avevano un paese di appartenenza in Europa e divenendo sudditi degli Zar non persero uno status
territoriale indipendente. A differenza dei polacchi e dei finlandesi, che cercavano di essere
padroni della loro casa nazionale, essi non erano uniti da un nazionalismo territoriale. La pratica
religiosa dava loro le stesse abitudini, precetti alimentari, festività e tradizioni educative, compreso
il sabato. Il principale di questi tratti distintivi era l’uso di una lingua differente: nelle aree di grande
concentrazione ebraica gli ebrei parlavano l’yiddish, eredità dei loro secoli di permanenza
nell’Europa germanica. In realtà se necessario usavano la lingua dei popoli in mezzo ai quali
vivevano – il polacco o il russo. Comunque la barriera linguistica era un’altra parete che li isolava
dai loro vicini non ebrei.
Le grandi differenze culturali tuttavia non impedirono agli ebrei e ai cristiani di condividere
in maniera significativa alcuni aspetti della vita economica e sociale. Nel quotidiano essi
dipendevano l’uno dall’altro per beni e servizi. All’epoca questa interdipendenza si dimostrò anche
abbastanza forte da far fronte alla mano dello stato levata contro gli ebrei. Una volta Nicola I
dovette constatare che sarebbe stato impossibile rimuovere gli ebrei da una striscia di territorio di

16
cinquanta verste4 lungo la frontiera senza arrecare danno a intere città e anche alle finanze del
governo. In un’altra occasione il Principe M.S. Vorontsov, governatore generale della Novorossija,
difese gli ebrei dalla frequente accusa di parassitismo cui dovevano far fronte. “Non serve a nulla
domandarsi quanto questi numerosi venditori siano inutili” dichiarò “se si tiene presente che con i
loro piccoli e spesso oscuri impieghi essi rivitalizzano non solo la vita rurale ma anche quella
commerciale”. La sua conclusione fu che “Non c’è la possibilità, e non ci sarà per lungo tempo, di
rimpiazzarli”5. Comunque questa interdipendenza non impedì a ciascun gruppo di condurre
esistenze separate lontano dalla vista l’uno dell’altro. L’interazione aveva luogo solo della piazza
del mercato o per la strada, non nelle abitazioni.
Gli ebrei differivano marcatamente dai loro vicini anche per la struttura economica della
comunità, e soprattutto per la loro relazione con il territorio. Praticamente nessun ebreo conduceva
vita di campagna – sia per la legislazione che per le abitudini – e di conseguenza la loro
concentrazione nelle città era elevata in rapporto agli altri popoli dell’Impero. In un paese dove la
terra e coloro che la lavoravano o la possedevano erano assai ben visti e avevano un posto
preminente nell’economia, gli ebrei erano in un mondo a parte; al massimo potevano svolgere
soltanto un ruolo secondario.
Fino alla fondazione del Bund, i latifondisti e i contadini rappresentarono ancora le principali
categorie socioeconomiche dell’Impero, e gli ebrei erano al di fuori di entrambi i gruppi. Essi
invece, come il Granduca Nicola (futuro Nicola I) notò nel suo diario nel 1816, “erano dappertutto,
come mercanti, appaltatori, gestori di locande, filandieri, proprietari di battelli, artigiani”6. Sebbene
gli ebrei persero il diritto di impiegarsi in alcune di queste occupazioni e passarono ad altre
nell’arco del secolo, il loro ambito professionale rimase per lo più il medesimo. La tabella 1 mostra
la distribuzione occupazionale della popolazione ebraica confrontata con la popolazione totale in
Russia nel 1897, l’anno di fondazione del Bund.

Tab. 1. Percentuali degli occupati in Russia nel 1897


Occupazione popolazione popolazione
totale ebraica
Agricoltura 74,31 3,55
Commercio 3,77 38,65
Manifattura 10,25 35,43
Lavoro a giornata, servitù
Dipendenti pubblici e liberi 2,04 5,22
professionisti
Trasporti 1,55 3,98
Esercito 0,99 1,07
Indefiniti 2,48 5,49
Fonte: B.D. Brutskus, Professional’nyi sostav yevreiskago nase, 1908

In generale, gli ebrei affrontavano rischi più grandi rispetto ai cristiani nelle loro attività
economiche, sia per le restrizioni legali che per lo status precario di minoranza straniera. Quando
mercanti, operai della manifattura o artigiani ebrei e cristiani venivano a contatto, spesso
entravano in gioco elementi di competizione – per lo più a danno degli ebrei. I cristiani invocavano
e spesso ricevevano l’appoggio del governo. In effetti la Zona di Insediamento sembra essere
stata costituita almeno in parte a causa delle proteste dei concorrenti russi di Mosca e Smolensk,
che chiesero allo stato di confinare le attività ebraiche in aree già abitate da ebrei.
L’ostilità generata dalla competizione economica non fu l’unico problema tra ebrei e
cristiani. L’ottuso contadino russo all’epoca faceva del commerciante o dell’oste ebreo, o anche
dell’intera popolazione ebraica locale, l’oggetto della propria rabbia. In particolare negli ultimi
decenni dell’Impero i suoi funzionari, antisemiti dichiarati, e anche membri di gruppi rivoluzionari a
volte giustificarono la grande violenza dei pogrom sulla base del fatto che gli ebrei erano degli
sfruttatori e responsabili delle sofferenze del popolo.
In sintesi, la comunità ebraica fu in rapporti non facili con l’ambiente socioeconomico che la
circondava. Legati alla struttura sociale dominante ma ancora separati da essa, gli ebrei potevano

4
Una versta era pari a 1066,8 metri. Una versta di confine era pari al doppio, 2133,2 metri.
5
Semen Dubnov, History of the Jews in Russia and Poland, 3 voll., 1916 - 20
6
Ibidem. Nicola si riferisce al territorio bielorusso.

17
apparire o necessari o dannosi agli occhi dei non ebrei, a seconda delle condizioni generali al di
fuori della comunità ebraica. Per gli ebrei i gruppi circostanti potevano a loro volta essere visti
come necessari o ostili o anche, nella maggior parte dei casi, potenzialmente pericolosi. La
comunità ebraica mantenne la continuità storica attraverso la propria struttura sociale interna. I
principali criteri di distinzione nella comunità erano la ricchezza, la formazione religiosa e l’yikhus
(uno status acquisito soprattutto per gli averi e i saperi del passato). Il potere politico, per quello
che esisteva, risiedeva nelle mani dell’ebreo ricco e istruito, che aveva più possibilità di farsi
ascoltare dai funzionari governativi rispetto ai poveri o agli ignoranti. Il potere esercitato dai
dirigenti ebraici sulla comunità era più forte se sostenuto dallo stato; ma essi non potevano uscire
dalla condizione di supplici in confronto ai loro vicini non ebrei o alla burocrazia dominante. La
coesione sociale della comunità ebraica era una forza molto più potente del controllo politico
esercitato dai dirigenti ebraici. Gli ebrei avevano diverse istituzioni con funzioni religiose,
assistenziali, economiche e caritatevoli, che operavano indipendentemente dal contesto non
ebraico. Le khevrat, associazioni basate sulle professioni che somigliavano alle gilde medievali,
erano gli strumenti per espletare queste funzioni. Le khevrat esemplificano la coesione di ampie
porzioni della comunità ebraica.

Le trasformazioni di fine Ottocento. Le tre dimensioni che formavano la matrice da cui si


sviluppò il Bund – lo stato, la comunità ebraica, e la popolazione non ebraica circostante – non
produssero il Bund automaticamente. La necessaria sintesi avvenne quando le dinamiche in
Russia causarono la rottura delle vecchie relazioni, spingendo alla ricerca di nuove risposte e
aprendo nuovi orizzonti di sviluppo.
Una delle dinamiche più importanti e foriere di conseguenze fu l’industrializzazione.
L’inarrestabile civilizzazione dell’industria moderna, che aveva già cambiato il volto dell’Europa
occidentale, nella seconda metà del XIX secolo iniziò a farsi sentire in ogni parte e a ogni livello
dell’Impero. Ai cambiamenti economici seguirono cambiamenti sociali di natura profonda. Nel 1861
lo Zar Alessandro II abolì la servitù della gleba, mettendo in moto ciò che sarebbe stato un
profondo processo di scorrimento sociale. Questo atto e la riforma legislativa che ne seguì fecero
degli anni ’60 uno spartiacque nella storia russa, disegnando l’inizio di una nuova era dal punto di
vista sociale ed economico.
Questi cambiamenti agirono come un forte corrosivo sulle vecchie istituzioni dell’Impero,
inducendo la nascita di altre strutture. I moderni sistemi industriali, con la loro incredibile efficienza,
gradualmente misero ai margini gli artigiani (indebolendo ma non spodestando tale classe), e
l’accresciuta capacità produttiva dei macchinari spinse i proprietari delle manifatture a cercare
mercati più ampi. Le imprese che furono in grado di adattarsi alla situazione in mutamento o di
adottare i nuovi sistemi si arricchirono e rafforzarono; le restanti andarono avanti zoppicando o
chiusero i battenti. Nella misura in cui iniziò a emergere una classe operaia moderna, urbana e
industriale, le relazioni tra capitalisti e salariati cambiarono – ma in modo più profondo rispetto alle
semplici abitudini lavorative; cambiarono anche le aspettative. Infine, l’abolizione della servitù della
gleba aveva dissolto la relazione tradizionale tra nobili e contadini, e ciò portò allo sparpagliamento
di questi ultimi tra gli ebrei che vivevano nei piccoli centri o facevano da intermediari dei nobili.
Complessivamente, questi cambiamenti sociali ed economici non ebbero luogo
semplicemente in base alle circostanze. Lo stato era nella condizione di promuovere, favorire o
impedire certe dinamiche a detrimento o beneficio di determinate porzioni della società. Dagli anni
’60 in poi le sue azioni ebbero notevoli effetti sulla popolazione ebraica. Le misure di Alessandro II,
il più mite di tutti gli Zar nella politica ebraica, non permisero un aggiustamento di massa ai
profondi cambiamenti in corso nella società ma, rimuovendo alcune barriere educative e
allentando le restrizioni alla residenza di gruppi selezionati, permisero a un numero limitato di ebrei
di cogliere alcune opportunità economiche e sociali.
Per quanto limitato fosse il programma ebraico di Alessandro II, esso fu liberale in
confronto a quello del suo successore, Alessandro III (1881 – 94), le cui politiche vessatorie si
abbatterono su quasi tutti gli ebrei di Russia. Con le Leggi Temporanee del 18827, varate dopo
l’ondata di pogrom che seguirono la sua ascesa al trono, agli ebrei fu vietato di risiedere al di fuori
di città e centri urbani, anche entro la Zona di Insediamento. Queste leggi divennero più stringenti

7
Promulgate il 15 maggio 1882, le Leggi Temporanee o Leggi di Maggio, annunciate appunto come temporanee,
rimasero in vigore fino alla caduta dello Zar nel 1917, e negli anni successivi alcune restrizioni furono accresciute.

18
negli anni successivi, culminando con l’espulsione di tutti gli ebrei da Mosca nel 1891. Anche nel
regno dell’ultimo Zar, Nicola II, lo stato impose il monopolio sui liquori, privando così alcune
centinaia di migliaia di ebrei della loro fonte di reddito. Per di più Nicola II, come Alessandro III
prima di lui, aumentò le restrizioni al numero di ebrei che potevano svolgere certe occupazioni o
accedere a livelli superiori di istruzione.
Queste misure repressive furono attuate in un contesto di crescita demografica e urbana.
Tra il 1847 e il 1897 l’incremento naturale da solo fece triplicare la popolazione ebraica. Anche tra
il 1881 e il 1897, quando l’aspra legislazione portò a un’ondata di emigrazione, l’incremento netto
di popolazione fu del 22%. Questo aumento di popolazione coincise con un forte movimento
generale verso città e centri urbani. Il numero dei cittadini nell’Impero quasi raddoppiò tra il 1863 e
il 1897, arrivando a quasi il 13% della popolazione totale nel 1897. Anche se i dati sono
frammentari, in Polonia, dove viveva circa un quarto della popolazione ebraica dell’Impero, circa
l’11% degli ebrei vivevano in comunità di 10.000 persone o più nel periodo 1855 – 60; alla fine
degli anni ’90 questo dato era salito al 24%. Similmente, mentre negli anni 1855 – 60 solo il 6,5%
degli ebrei polacchi vivevano in comunità di 20.000 o più abitanti, alla fine degli anni ’90 il dato era
salito a più del 20%. Così, quasi metà degli ebrei polacchi erano diventati residenti nelle città
quando il Bund tenne il suo congresso di fondazione.
Ma anche questi dati non riflettono pienamente il manifestarsi dei problemi di una rapida
crescita della popolazione ebraica urbana e degli effetti negativi del sovraffollamento delle città.
Per un quadro più veritiero, si può considerare la distribuzione della popolazione ebraica entro la
Zona. Nell’area meno densamente popolata, le province meridionali (Bessarabia, Kherson,
Ekaterinoslav e Tauride), nel 1897 gli ebrei costituivano soltanto il 26,3% della popolazione
urbana. Nelle maggiormente abitate province sudoccidentali (Volinia, Podolia, Kiev, Chernigov e
Poltava) il dato saliva al 38,1%; e nell’area più densamente abitata, le province nordoccidentali
(Vilna, Grodno, Minsk, Vitebsk, Kovno e Mogilev), che furono con la Polonia i luoghi di maggiore
radicamento del Bund, la concentrazione degli ebrei nelle città era estremamente alta, arrivando al
57,9% della popolazione urbana totale. Ciò in un’epoca in cui gli ebrei rappresentavano soltanto il
4 – 5 % della popolazione totale dell’Impero. Date queste cifre, non possono essere stati i
provvedimenti statali la causa di tutti i danni economici patiti dagli ebrei. Piuttosto, il governo
peggiorò una situazione resa difficile dai processi di industrializzazione.
I cambiamenti sociali ed economici condizionarono anche la relazione tra gli ebrei e i loro
vicini cristiani. Anche i cristiani negli ultimi due decenni del XIX secolo iniziarono a migrare nelle
città in numero crescente, e a entrare in fabbriche e officine. Mentre i membri delle classi medie
ebrea e cristiana si erano incontrati per lo più come concorrenti, e continuassero a farlo ora, nuovi
segmenti di entrambe le comunità iniziarono a comunicare su una base parzialmente mutata: in
quanto membri di un’unica categoria, la classe operaia. I lavoratori ebrei urbani, per lo più artigiani,
continuarono ad avere il sopravvento in alcune attività tradizionali come sartorie, calzaturifici e
fornerie. Ma si trasferirono anche nelle fabbriche, ad esempio di sigarette, di spazzole, conciarie e
tessili. Allo stesso tempo lavoratori non ebrei cominciarono a inserirsi in numero crescente nelle
fabbriche più grandi e moderne. Le due forze lavoro rimasero largamente isolate l’una dall’altra,
ma ora almeno condividevano lo spazio urbano. La distanza tra città e campagna, tra artigiano e
contadino, era colmata. Ciò che restava era l’isolamento dato da culture differenti, tradizioni
occupazionali e collocazione fisica dei luoghi di lavoro.
I cambiamenti che portarono all’unione di pezzi di comunità ebraiche e cristiana crearono
anche casi di nuova competizione. Gli ebrei, la cui vita mutava in questo periodo di rapida crescita
urbana e industriale, furono spinti a guardare a nuove opportunità di impiego. Qui dovettero far
fronte alle discriminazioni sia da parte dei padroni che dei lavoratori. Molti datori di lavoro
consideravano gli ebrei inadatti all’occupazione; molti lavoratori cristiani semplicemente non li
accettavano come colleghi. Inevitabilmente vi furono conflitti tra i lavoratori delle due comunità,
sebbene non su larga scala.
Anche la coesione interna della comunità ebraica venne meno sotto la pressione dei
profondi cambiamenti. In realtà ancor prima che gli effetti della rapida modernizzazione si
facessero sentire in Russia, nella comunità era sorto un movimento innovatore. Si trattava
dell’Haskalah, o Illuminismo, che aveva fatto la sua comparsa in Europa occidentale nel XVIII
secolo, con Moses Mendelssohn come suo principale portavoce.
A metà del XIX secolo l’Haskalah trovò degli aderenti tra gli ebrei russi, ma la sua diffusione
non fu cosa facile. Esso incontrò forte resistenza, non solo da parte dei tradizionalisti ma anche dei

19
chassidim8, con la loro grande enfasi sul misticismo e le emozioni, la fede e la gioia. Ciò che gli
oppositori dell’Haskalah contestavano era soprattutto l’attenzione alle correnti di pensiero esterne
alla comunità. Tale attenzione secondo i chassidim avrebbe condotto all’eresia e alla conversione.
La critica non era infondata, in quanto l’Haskalah sviluppò tendenze secolariste e assimilatorie, un
fatto importante nella vita ebraica dell’Europa ottocentesca.
Le politiche relativamente liberali di Alessandro II arrivarono in un momento cruciale:
l’apertura delle porte del mondo esterno coincideva con le tendenze modernizzatrici del movimento
dell’Haskalah. Beneficiando dell’opportunità di mettere in pratica le proprie idee, alcuni esponenti
dell’Haskalah entrarono nelle scuole russe e si aprirono alla società. Sebbene la grande
maggioranza degli ebrei rimanesse insensibile a questi profondi cambiamenti, l’incontro tra
l’Haskalah e il modernismo russo formò un ponte per colmare il divario tra il mondo ebraico e
quello russo; una volta costruito, esso non poteva essere distrutto.
Sempre più ebrei iniziarono ad aspirare a un’educazione laica e a un posto nella società,
andando incontro alla repressione di Alessandro III. Fu in questa atmosfera di aspettative crescenti
e speranze troncate che nacque e crebbe la prima generazione di bundisti. Quella parte di
gioventù ebraica incline all’abbattimento delle barriere ora si ritrovò a confrontarsi non solo con le
forze tradizionaliste nella comunità ebraica, ma anche con lo stato.
Nel frattempo, i grandi cambiamenti sociali ed economici avevano profondi effetti sulla
comunità ebraica. La rapida crescita urbana portò coloro che cercavano un impiego di fronte a
un’aspra concorrenza. La Commissione Palen, che fu creata per esaminare la legislazione
ebraica, riportò al Consiglio di Stato nel 1888 che “circa il 90% della popolazione ebraica…si sta
proletarizzando”9. La pauperizzazione, misurata dal numero di persone che al tempo della Pasqua
ebraica cercavano pubblica assistenza, crebbe rapidamente. Alla fine del 1890 circa il 20% della
popolazione ebraica aveva raggiunto questa condizione. Lo strangolamento economico condusse
a scelte disperate, e l’emigrazione su vasta scala divenne una prospettiva costante, sebbene le
partenze non risolvessero il problema della miseria.
L’ordine sociale interno alla comunità ebraica cominciò a trasformarsi. Fino ad allora la
maggior parte dei lavoratori ebrei erano stati impiegati nei negozi dei loro correligionari, sia per le
restrizioni che per consuetudine. Il fatto di rispettare il sabato ebraico, per esempio, portava molti
lavoratori ebrei nelle imprese gestite da ebrei. La maggioranza di queste imprese erano di scala
ridotta, e tra padrone e salariato la differenza socioeconomica era limitata. Con l’aumento
dell’industrializzazione, tuttavia, questa dinamica patriarcale tradizionale iniziò a interrompersi,
specialmente nelle città più grandi in quelle industrie ove erano richiesti macchinari complessi e
costosi. La distanza sociale tra padrone e salariato crebbe, e i progetti di indipendenza del
proletario ebreo tramontarono. Quando la sua condizione divenne permanente, nuove tensioni
sostituirono la vecchia armonia, aprendo la strada a un conflitto di classe entro la comunità
ebraica.
Le disastrose condizioni in Russia, in particolare dopo il 1881, spinsero gli ebrei a
riconsiderare la propria sorte. La pressione rafforzò e accelerò delle tendenze già esistenti.
L’insicurezza della vita e del reddito, e il pessimismo verso il futuro, produssero la ben nota
emigrazione di massa verso Occidente. Altri ebrei guardarono a loro volta oltre le frontiere della
Russia, ma vedevano una patria ebraica e non l’Occidente come soluzione dei loro problemi e
unica speranza di riscatto. La grande maggioranza degli ebrei, tuttavia, rimase dov’era e cercò di
adattarsi come meglio poteva. Ma tra coloro che non avevano intenzione di andarsene, e in
particolare tra i giovani ebrei decisi a rompere con la tradizione, iniziò a crescere uno spirito di
resistenza. Fu da quello spirito che nacque il Bund.

8
Seguaci del chassidismo, movimento religioso di massa sorto in Polonia nel XVII secolo, basato sul rinnovamento
spirituale e sulla popolarizzazione dell’ebraismo ortodosso.
9
Semen Dubnov, History of the Jews in Russia and Poland, 3 voll., 1916 - 20

20
2. PRIMI ELEMENTI SOCIALI E IDEOLOGICI

I primi intellettuali – pionieri. I primi “pionieri” (termine per indicare chi fece parte del
movimento che portò alla creazione del Bund) furono intellettuali: giovani ebrei che avevano
conseguito titoli di studio nelle scuole superiori laiche russe e che, intorno al 1890, costituirono
formalmente il Gruppo Social Democratico Ebraico, chiamato anche Gruppo di Vilna, il diretto
antecedente del Bund.
Questo gruppo formatosi a Vilna, la città sede di attività del Bund delle origini,
comprendeva Arkady Kremer, considerato il “padre del Bund”; la sua futura moglie Matle
Srednitsky (detta “Pati”); Isaiah Izenshtat, figlio di un commerciante, che aveva già subito la
carcerazione per attività radicale al Liceo Giuridico di Yaroslav; Liuba Levinson, poi moglie di
Izenshtat; Tsemakh Kopelson (pseudonimi Timofei, Grishin), studente ginnasiale a Vilna; Shmuel
Gozhansky (Lonu), diplomato all’Istituto Magistrale della città; e Joseph Mill, studente alla Scuola
Reale, il politecnico.
In capo a pochi anni il gruppo si estese includendo il giovane e taciturno ideologo Vladimir
Kosovsky (vero nome Nahum Levinson), Abram Mutnikovich (Gleb, Mutnik), Noah Portnoy, Pinai
Rosenthal (Pavel, An-man), tutti studenti; Anna Heller, futura moglie di Rosenthal; e Pavel
Berman, amico di Mill dagli anni della Scuola Reale. L’importanza del Gruppo di Vilna per il Bund è
incommensurabile: del Gruppo fecero parte i principali organizzatori, editori e polemisti della “prima
generazione” di bundisti, e sei dei suoi membri furono membri una volta o l’altra del Comitato
Centrale del Bund prima del 1905.
La somiglianza del retroterra dei primi intellettuali-pionieri è notevole. Tutti venivano da
famiglie della classe media o medio-bassa; tutti furono fortemente influenzati dal movimento
Haskalah, una sorta di ponte intellettuale per l’adattamento alla modernità; e tutti furono educati in
scuole laiche russe. I futuri bundisti ricevettero al massimo un’infarinatura di insegnamento delle
tradizioni ebraiche, così limitata che solo pochi di essi erano in grado, nei primi anni ’90, di scrivere
in yiddish in modo intellegibile. Anche Gozhansky, il più competente tra loro, confessò
modestamente di avere all’epoca poca padronanza della lingua scritta.
Tutti gli intellettuali pionieri di Vilna nacquero tra il 1865 e il 1873. Essi crebbero nelle
province nordoccidentali e quindi non subirono direttamente i pogrom dei primi anni ’80. Non
furono ignari, tuttavia, del forte sentimento antisemita in Russia, o della espressione formale di
quest’ultimo attraverso leggi e decreti nel decennio della loro adolescenza e giovinezza. Mill
ricorda il numero chiuso ufficioso esistente alla Scuola Reale e di come il direttore della sua scuola
media parlò di “assurde fantasie” quando apprese del desiderio del suo allievo di entrarvi; e Pati
Kremer descrive l’odio di suo suocero nei confronti dello stato, un sentimento che il figlio Arkady
presto fece proprio. Anche Pavel Rosenthal provò il peso delle leggi anti-ebraiche che bloccavano
la strada all’istruzione superiore, anche se fu abbastanza fortunato a intraprendere gli studi di
medicina. Anche coloro che non ne furono direttamente colpiti erano ben consci delle difficoltà
incontrate dagli altri; virtualmente non vi era modo per un giovane ebreo di evitare di venire a
contatto con gli impedimenti civili legati all’ebraicità, o di evitare il senso di indignazione.
Indubbiamente le reazioni di quei giovani ai dolorosi episodi vissuti influenzarono non poco il loro
volgersi ai problemi sociali e ai cambiamenti rivoluzionari.
Estranei al proprio contesto religioso tradizionale, questi giovani ebrei si aprirono a nuove
sfide intellettuali. Essi esplorarono avidamente i panorami che si presentavano dinanzi a loro
attraverso la stampa russa, spingendo la propria curiosità oltre le vie percorse dai loro genitori.
Affascinati dai testi russi, celebrarono e mitizzarono il mondo oltre la Zona, in cui germogliava la
vivace cultura russa ottocentesca e cresceva la sete di libertà. Non fu solo Mutnikovich a
descrivere come fu inebriato dal pensiero profondo della Madre Russia: “la Russia, il meraviglioso
paese…la Russia, che regalò all’umanità un poeta geniale come Puskin. La terra di Tolstoj…Il
paese con una tanto eroica generazione di studenti”10.
Attraverso la cultura russa i futuri bundisti divennero sempre più consapevoli delle possibili
alternative alle restrizioni che subivano. Ma la Russia degli anni ’80 non era quella degli anni ’60.

10
Abram Mutnikovich, Bletlekh fun main leben, 1933

21
Laddove i loro genitori avevano cercato di adattarsi pacificamente in quanto ebrei all’ordine
vigente, la nuova generazione sentiva l’esigenza di risposte più radicali. L’ottimismo degli anni ’60
e le speranze riposte nella benevolenza del regime di Alessandro II erano sparite. Inoltre la nuova
gioventù ebraica ora percepiva i propri problemi come problemi dell’intera società russa, se non
dell’umanità in generale, e riteneva che le soluzioni non potessero essere reperite entro l’ordine
sociale e politico vigente.
Alle scuole superiori e all’università gli intellettuali pionieri furono attratti dai circoli radicali,
ove la letteratura vietata era letta e discussa. Alcuni di loro pagarono un prezzo per questa attività.
Izenshtat, Srednitsky e Kremer ebbero tutti le prime esperienze nelle carceri zariste quando erano
ancora studenti, e almeno sei dei tredici membri del Gruppo di Vilna furono temporaneamente
espulsi a causa delle loro attività illegali. Mill afferma che non fu ammesso alle scuole superiori a
causa di un saggio da lui scritto in cui lodava i radicali Dimitri Pisarev e Nicholas Dobroliubov, finito
nelle mani di un ispettore scolastico; dopo molte domande da parte delle autorità, la sua richiesta
di iscrizione fu respinta senza motivazioni11. La maggioranza dei membri del Gruppo non riuscì a
intraprendere la carriera professionale, ciò che sarebbe stato logico per persone con tale retroterra
e aspirazioni. Nei primi anni solo Gozhansky, Portnoy e Rosenthal riuscirono a completare gli studi
e a specializzarsi nei primi anni. In tali circostanze, per quei giovani uomini e donne vi fu tempo e
opportunità di dedicarsi in primo luogo all’attivismo radicale.

I circoli: populismo e marxismo. La principale forma organizzativa del radicalismo russo


negli anni ’80 fu il circolo, un piccolo gruppo di lettura e discussione costituito da intellettuali uniti
da comuni interessi, talvolta insieme ad alcuni lavoratori. Il circolo senza dubbio non un era
fenomeno nuovo nella storia sociale e intellettuale russa; esso era sempre stato lo strumento per
le discussioni radicali ovunque dei giovani intellettuali si riunissero, nonostante l’incostanza e la
rotazione dei partecipanti dovuta alla repressione, all’esilio, e anche alle vacanze degli studenti.
Molti dei pionieri prima degli anni ‘90 avevano fatto esperienza di gestione delle attività di
circolo. Kopelson da questo punto di vista era un veterano fin dalla metà degli anni ’80. Egli
frequentò la Scuola Reale a Ponevez (dove conobbe Mill, poiché viveva dai nonni di quest’ultimo)
e là organizzò il proprio circolo. L’attività di Kremer a Riga, della Srednitsky a Pietrogrado e di
Izenshtat a Vilna e Yaroslav testimoniano il proliferare del movimento dei circoli in Russia e il
bagaglio di esperienza che i pionieri poterono poi portare a Vilna.
Due forze principali informavano l’ideologia radicale alla metà degli anni ’80: il populismo
(narodnichestvo), un movimento che aveva conosciuto una considerevole espansione nel
decennio precedente, e più recentemente la Volontà del Popolo (Narodnaja Volja), un gruppo
rivoluzionario. Il populismo portava con sé un’accesa ostilità verso il regime zarista e le sue
ingiustizie, e cercava la rigenerazione della società attraverso il socialismo. La sua inclinazione era
per lo più verso il mondo agrario. I populisti credevano della perfettibilità dell’essere umano e
dunque ponevano grande fiducia nell’educazione come mezzo di riforma sociale;
l’autoemancipazione attraverso lo studio e l’insegnamento agli altri furono temi portanti nei circoli
degli anni ’80.
La Volontà del Popolo fu un’organizzazione politica, piuttosto che un movimento vero e
proprio. Prodotto del populismo, nacque in parte come reazione al mancato raggiungimento di
obiettivi concreti da parte di quest’ultimo. I suoi aderenti invocavano l’azione diretta per ottenere la
rivoluzione sociale, e giustificavano e propagandavano il terrorismo. L’apice della loro attività fu
l’uccisione dello Zar Alessandro II nel 1881. Come i populisti, i membri della Volontà del Popolo
insistevano sull’importanza dell’educazione, ma con la significativa differenza che essi si
rivolgevano all’intera opinione pubblica invece di attribuire un ruolo particolare ai contadini.
I circoli nella metà degli anni ’80 riflettevano entrambe queste tendenze, e sebbene tutti i
membri dei circoli di Vilna e Minsk (l’altro centro di grande importanza per lo sviluppo del Bund) si
considerassero narodovolsky, cioè seguaci della Volontà del Popolo, la complessità del loro
sviluppo non si può ridurre a quest’unica dimensione. Il livello di studio individuale e il ruolo dei
singoli temperamenti lasciava spazio a considerevoli differenze tra un circolo e l’altro. Il gruppo di
studio formato da Kopelson a Ponevez, i cui membri si limitavano a leggere letteratura vietata, non
può essere paragonato ai circoli rivoluzionari di Minsk della metà degli anni ’80, che avevano

11
Joseph Mill, Pionern un boier, 2 voll., 1946 – 49. Alla fine Mill riuscì a entrare alla Scuola Reale di Ponevez, la sua
città natale, e completò il ciclo di studi frequentando l’ultimo anno a Vilna.

22
un’attività ben sviluppata. E questi a loro volta erano ben distanti dal livello dei circoli di Vilna, che
includevano propagandisti del terrorismo e anche partecipanti al tentativo di uccisione dello Zar
Alessandro III nel 1887.
Nonostante l’ammirazione per i membri della Volontà del Popolo, che suscitavano sogni di
eroismo e sacrificio, i pionieri giunsero faticosamente a svolgere la duplice funzione di insegnanti e
studenti. Infatti fu solo relativamente tardi, nella loro carriera rivoluzionaria, che intrapresero il
lavoro pratico di recupero e distribuzione di letteratura illegale, formando biblioteche clandestine e
così rendendo i loro circoli qualcosa di più che dei salotti privati. Quando si unirono nel 1890, essi
erano ancora fortemente influenzati nelle pratiche dal proprio retroterra e dalla propria formazione
specifica.
I pionieri erano ancora giovani, al massimo ventenni, quando una nuova Weltanschaung, il
marxismo, prese piede in Russia. Il loro cammino verso la maturità politica dunque coincise con la
diffusione di massa della dottrina che essi avrebbero presto assunto come propria. Questo
percorso fu accelerato dall’opera di Georgij Plechanov, comunemente indicato come il “padre del
marxismo russo”, ex populista, che applicò il marxismo alle condzioni russe dei primi anni ’80. Emil
Abramovich, probabilmente il primo diffusore delle idee di Plechanov tra gli ebrei russi, giunse a
Minsk da Parigi nel 1884. Là egli formò dei circoli e dedicò intere estati a divulgare la nuova
dottrina. Fu lui a divulgare lo scritto di Plechanov Nashi raznoglasija (Le nostre differenze) a Minsk
e poi, nel 1886 o nel 1887, a Vilna12.
Il marxismo nei suoi capisaldi contraddiceva alcuni principi e metodi delle precedenti
dottrine russe, soprattutto in quanto prevedeva lo sviluppo storico in Russia di una società urbana
e industrializzata. Secondo il marxismo non sarebbero stati i contadini, come teorizzato dai
populisti, bensì il proletariato industriale urbano, inevitabile prodotto dell’industrializzazione
capitalistica, a portare alla rivoluzione. Mettendo il futuro nelle mani delle masse operaie (“Il
movimento rivoluzionario in Russia avrà successo soltanto in quanto movimento operaio” era la
ricorrente massima di Plechanov), i marxisti vedevano il terrorismo come un’attività eroica ma non
scientifica ed essenzialmente futile, che poteva seriamente indebolire il movimento. Molto più
importante per il successo della rivoluzione era il ruolo dell’insegnamento, l’intellettuale che
comprendeva il corso dello sviluppo storico e riusciva mostrare ai lavoratori il loro posto in quel
processo. Il compito dell’intellighenzia rivoluzionaria era instillare coscienza tra i lavoratori e aprire
la strada alla loro autoemancipazione.
Alcuni fattori spinsero i pionieri verso il marxismo. Sebbene essi ammirassero gli eroi della
Volontà del Popolo e la dedizione e lo spirito democratico dei populisti, tuttavia non avevano
altrettanta passione per le masse russe o i contadini. Questi ultimi, dopotutto, non erano stati
convinti dalla propaganda populista. La più anziana dei pionieri, Evgenija (Zhenia) Gurvich, che
lavorò a Minsk e la cui carriera si estese anche ai tardi anni ’70, espresse implicitamente la propria
disillusione nei confronti del contadini quando notò che il lavoratore urbano era “più facile da
organizzare e più incline all’agitazione e alla propaganda”13. Il marxismo è affine alla vita delle
città, e i pionieri erano abitanti dei centri urbani. Inoltre era più cosmopolita delle precedenti
dottrine russe, una grande virtù agli occhi dei pionieri. Il marxismo non attribuiva meriti speciali né
ai contadini russi né al popolo russo; predicava l’uguaglianza soltanto su una base di classe e fornì
ai pionieri l’opportunità di fare propria una dottrina che non aveva un contenuto nazionale, una
dottrina che non richiedeva loro di fare riferimento a un passato o a un futuro all’interno di un’idea
di “nazione russa”.
Anche il carattere e la pretesa scientifica del marxismo rappresentarono un’attrattiva per i
pionieri. La scienza aveva una forte presa sui giovani radicali fortemente in cerca di verità stabili in
un mondo in rapido cambiamento. I circoli degli anni ’80 erano dediti allo studio delle scienze
naturali, e molti dei pionieri erano stati istruiti in qualche disciplina scientifica. Otto dei tredici
pionieri che formarono il primo gruppo dirigente del Bund coltivarono studi scientifici e tecnologici
di un certo livello.
Nonostante le aspre controversie tra i principali portavoce delle varie dottrine rivoluzionarie,
le linee ideologiche a Minsk e Vilna non erano ben definite. Molti dei rivoluzionari laggiù
integravano il vecchio e il nuovo. Zhenia Gurvich confessa che il marxismo del suo circolo a Minsk
nel 1885 conteneva “una forte dose di populismo”. Suo fratello Isaac esprime lo stesso pensiero,

12
Isaac Gurvich, Pervye yevreiskie rabochie kruzhki, 1907. Isaac Gurvich era membro dei circoli di Minsk.
13
Cit. Evgenija Gurvich, in Semyon Dimanstein, Revolutsionne dvizhenie sredi yevreev, 1930

23
scrivendo che in quegli anni il proprio marxismo “aveva ancora un forte sapore populista”14. Ancora
nel 1887 Zhenia guardava alla campagna come al centro della gravità rivoluzionaria. Anche la
questione del terrorismo e della tattica non divennero elementi di divisione netta.
La situazione a Vilna era pressoché la stessa, sebbene qui le discussioni sulla tattica
fossero più accese. I narodovoltsy cercavano di coinvolgere i membri più promettenti del circolo
sulle proprie posizioni a favore del terrorismo, i marxisti di persuaderli che quella tattica avrebbe
portato a trascurare l’agitazione e la propaganda e a sottovalutare l’azione di massa della classe
operaia. Tuttavia il conflitto rimase tanto lieve da consentire la prosecuzione congiunta dell’attività
rivoluzionaria.
In ogni caso la questione maggiore – il ruolo dei contadini – in questo contesto urbano
aveva poco peso, e le differenze teoriche avevano poche conseguenze pratiche. Fino alla fine
degli anni ’80, i circoli di Minsk e Vilna operarono di fatto in isolamento dal resto della società. Il
vincolo della clandestinità li limitava, e il lavoro di educazione rimase la loro principale forma di
attività.
Con l’inizio della diffusione del marxismo l’influenza delle posizioni terroristiche iniziò a
scemare. La scoperta del complotto per uccidere Alessandro III nel 1887 portò all’arresto dei più
anziani ed esperti fautori del terrorismo a Vilna, Isaac Dembo e Anton Gnatovsky. Non tutte le
nuove leve tra i giovani rivoluzionari di Vilna erano marxisti, naturalmente; né il lavoro dei circoli
assunse immediatamente una forma diversa dopo gli arresti. Ciononostante, con la decimazione
della fazione terroristica, il campo per i marxisti fu lasciato libero come mai prima.
I programmi di studio. Una delle occupazioni maggiori degli intellettuali fu la propaganda
del socialismo tra i lavoratori. Il circolo era il loro principale legame con la società, il mezzo col
quale estendevano la nuova dottrina. L’obbligo auto-imposto di difendere gli sfruttati aveva una
lunga tradizione tra gli intellettuali russi, molti dei quali erano fermamente convinti, come Isaac
Gurvich, di avere un “debito storico verso il popolo”15. Ma non ci si limitava a reclutare nuovi
membri alla causa: una volta coinvolti, per i neofiti si trattava di portare il messaggio ai loro fratelli
lavoratori. In questo senso gli intellettuali andarono oltre la teoria scendendo nel campo della
pratica, e articolando le proprie idee al di fuori dei limiti dei piccoli circoli.
Gli intellettuali concentrarono i propri sforzi nel reclutamento tra le masse di coloro che
sembravano avere i requisiti adatti allo studio. A Minsk l’iniziazione del lavoratore passava
attraverso tre stadi di istruzione. Questi prima doveva imparare a leggere e scrivere in russo, poi
studiare le scienze naturali. Solo dopo aver completato questi cicli poteva volgersi al socialismo.
Anche allora, lo studio del socialismo era limitato a un’analisi delle basi economiche del
capitalismo e a una panoramica delle idee socialiste; le questioni politiche ricevevano scarsa
attenzione.
Il programma di studio era pressoché lo stesso nel circolo di Kopelson. Come a Minsk,
anche a Vilna l’attenzione era sulle scienze naturali e sulle origini della società capitalistica. Lev
Jogiches, la figura più importante in questo circolo alla fine degli anni ’80 (poi leader dei
socialdemocratici polacchi e tedeschi), teneva lezioni di anatomia. Anche qui il livello più alto dello
studio era rappresentato dal socialismo scientifico e dalla storia del movimento rivoluzionario
russo.
Fino alla fine degli anni ’80 le idee degli intellettuali erano tutte rivolte alla società russa, la
cui cultura li aveva così profondamente influenzati. “Allora il nostro compito” afferma Kopelson “era
formare quadri per il movimento rivoluzionario russo, mettendoli a conoscenza della cultura
russa”16. Sul medesimo argomento Kremer scrive: “I primi fondatori dei circoli operai a
Vilna…volevano soltanto educare i singoli lavoratori più istruiti, portarli alla coscienza socialista e
formarli come agitatori per la Russia – per i centri industriali, per la classe operaia russa”17. In
breve, gli intellettuali russofili dell’epoca ignoravano i problemi sociali e politici nelle loro immediate
vicinanze.
Ma gli intellettuali di Minsk e Vilna incontrarono difficoltà inattese nel tentativo di
organizzare le masse operaie. Nei loro studi e attività radicali, essi avevano per lo più lavorato
insieme a gentili simili a loro. In Russia e all’estero la mescolanza di religioni e nazionalità tra gli

14
Isaac Gurvich, Pervye yevreiskie rabochie kruzhki, 1907
15
ibidem
16
Cit. Kopelson in Semyon Dimanstein, Revolutsionne dvizhenie sredi yevreev, 1930
17
Arkady Kremer, Arkady: Zamlbukh tsum andenk fun Arkady Kremer, 1942

24
studenti era frequente. Nel reclutamento di operai per i circoli, tuttavia, gli intellettuali si trovarono a
che fare con le differenze tra le nazionalità. Poiché nelle province nordoccidentali vigeva la
segregazione tra i lavoratori in base alla nazionalità, i lavoratori ebrei dovevano essere coinvolti
dagli intellettuali ebrei. Le differenze di lingua imposero questa condotta a tutti i partiti.
Questione ebraica e assimilazione. La presenza di lavoratori ebrei nei circoli non
condusse ancora a uno specifico interesse per la questione ebraica tra gli intellettuali. Quando
emergevano temi di questo tipo, dice Zhenia Gurvich, “noi riponevamo tutte le nostre speranze
nella futura rivoluzione, che affronta e risolve tutti i problemi”18. E nel 1886 troviamo un membro di
Volontà del Popolo che scrive: “Solo la rivoluzione russa può dare agli ebrei i diritti civili che li
metteranno alla pari nelle relazioni con gli altri elementi della popolazione russa…la rivoluzione
russa, in quanto concretizzazione di tutte le aspirazioni di progresso della società, porta con sé
tutte le premesse per la salvezza degli ebrei”19. Izenshtat assunse ancora questa posizione
discutendo con dei sionisti all’inizio degli anni ’90.
Sulla questione del futuro del popolo ebraico, alla fine degli anni ’80 vi era un ampio
ventaglio di opinioni tra i rivoluzionari ebrei. Il punto di vista prevalente rifletteva un estraniamento
dalla cultura madre. Lev Deutsch, ebreo e veterano rivoluzionario la cui carriera risaliva agli anni
’70, descrive il suo approccio iniziale verso le questioni ebraiche: “Volevamo che le masse
ebraiche si assimilassero il più velocemente possibile; tutto ciò che sapeva di ebraismo suscitava
in noi un sentimento di disprezzo, se non di più…Tutti eravamo profondamente convinti che quanto
prima gli ebrei avessero iniziato a parlare russo, tanto prima essi come noi sarebbero diventati
‘popolo in generale’, ‘cosmopoliti’”20. Alcuni intellettuali erano arrivati a convertirsi al cristianesimo.
In realtà, l’idea che gli ebrei dovessero essere inclusi nel movimento in quanto ebrei aveva i
suoi fautori, sebbene non numerosi né molto ascoltati. Il più noto di costoro fu Aaron Lieberman,
studente dell’Istituto Rabbinico di Vilna alla metà degli anni ’70, che usava l’ebraico per
coinvolgere gli studenti delle yeshiva21 (Deutsch lo indica un po’ inappropriatamente come “il primo
bundista”). Della stessa idea fu il cosiddetto Gruppo dei Socialisti Ebrei, organizzazione formatasi
nel 1880 su influenza di un nazionalista ucraino, M.P. Dragomanov. Il Gruppo fece un documento
in cui criticava i socialisti ebrei che non lavoravano tra il loro popolo e affermava che l’yiddish era il
linguaggio adeguato alla propaganda tra gli ebrei. Il gruppo ebbe poco successo.
I pionieri-intellettuali si collocarono in varie posizioni tra Deutsch e Dragomanov. Essi
denotavano chiaramente tendenze assimilazioniste; e la loro formazione e istruzione permettevano
loro l’utilizzo della lingua russa. Alcuni insistevano ancora alla fine degli anni ’80 che i loro sforzi
nella Zona erano temporanei, “una sorta di preparazione all’avvento del ‘vero’ lavoro rivoluzionario
tra le masse russe”22. “In pratica” dice Kopelson “quasi tutti noi eravamo definiti ‘assimilazionisti’”23.
Ciononostante, i pionieri erano lungi dal propagandare l’assimilazione deliberata proposta da
Deutsch. Il fatto che avessero oltrepassato certe barriere non impediva loro di lavorare con gli
operai ebrei nei circoli, né trovavano la vita nella Zona particolarmente odiosa. Non vedevano Vilna
come un luogo di attività temporanea, come diversi altri ebrei assimilati invece facevano. Inoltre,
quando insegnavano il russo agli operai ebrei, lo facevano solo per necessità: il russo era
semplicemente un mezzo per l’istruzione. Isaac Gurvich afferma che l’uso del russo nel suo circolo
“era definito non una tendenza assimilatoria o russificatoria, come fu poi affermato, ma una
necessità per dare al futuro operaio propagandista la possibilità di accesso alla letteratura
socialista”24; in ciò è sostenuto dalla sorella Zhenia. Kopelson significativamente non trovò strano
reagire con una certa emozione all’arrivo a Vilna dei primi pamphlet in yiddish: “Fui preso
dall’entusiasmo vedendoli” pare che abbia detto “e li baciai come qualcosa di sacro”25.
Dunque, a parte Deutsch, i pionieri nella pratica non furono propensi a spingere per
l’assimilazione come soluzione della questione ebraica. Piuttosto, semplicemente cercavano
attraverso l’insegnamento del russo di introdurre singoli lavoratori nel movimento rivoluzionario. Al
massimo l’assimilazione fu semplicemente un sottoprodotto delle loro idee rivoluzionarie. Il fatto

18
Cit. Evgenija Gurvich, in Semyon Dimanstein, Revolutsionne dvizhenie sredi yevreev, 1930
19
Ilia Iliashevich, Chto delat’ yevreiam v Rossij?, 1886
20
Lev Deutsch, Der ershter yidisher-sotsialistisher propagandist, 1916
21
Scuole ebraiche, gestite per lo più da rabbini.
22
Jacob Peskin, Di Grupe Yidishe Sostsial-Demokraten’ in Rusland un Arkady Kremer, YHS 1939
23
Tsemakh Kopelson, Di ershte shprotsungen (zikhroinos fun di yorn 1887 – 1890), 1922
24
Isaac Gurvich, Pervye yevreiskie rabochie kruzhki, 1907
25
Tsemakh Kopelson, Di ershte shprotsungen (zikhroinos fun di yorn 1887 – 1890), 1922

25
che non avessero forti risposte a priori ai problemi della comunità ebraica può averli indotti a non
soffermarsi su particolari questioni o a non cercare vie d’uscita alternative per i lavoratori ebrei.

La proletarizzazione e i lavoratori – pionieri. Con l’impatto dell’industrializzazione, le


istituzioni che avevano provveduto ai bisogni occupazionali, assistenziali e anche religiosi dei
lavoratori ebrei cominciarono a disintegrarsi. Le associazioni artigiane, i tradizionali khevrat,
iniziarono a perdere la loro coesione sociale con l’aumento delle disuguaglianze economiche tra
datori di lavoro e dipendenti. In altri tempi i padroni e i salariati si erano spesso uniti in organismi
congiunti ma ora, con la creazione di imprese più grandi e fortemente capitalizzate, le linee di
classe divennero molto più marcate, in particolare nelle grandi città. I proprietari d’impresa non
volevano più appartenere alle stesse organizzazioni dei dipendenti; e i lavoratori, da parte loro, si
opponevano alla direzione dei khevrat da parte dei padroni. A partire dalla metà degli anni ’90 i
lavoratori andavano formando le proprie organizzazioni, cercando di costituirsi come gruppo
socialmente ed economicamente autonomo, senza ricorrere ai benefici di cui godevano nelle
vecchie associazioni.
Negli anni ’70 i conflitti tra datori di lavoro e dipendenti aumentarono. I salariati scoprirono
una nuova arma, lo sciopero, e uno dei primi ebbe luogo nel 1870 a Bialystok. Tuttavia i mezzi
tradizionali per la soluzione delle dispute continuarono ad avere importanza (per esempio alla fine
del 1870 troviamo un rabbino a fare da mediatore durante uno sciopero a Varsavia), e vecchie
forme di protesta rimasero ancora in uso. La pratica da parte dei lavoratori di impedire la lettura
della Torah in sinagoga finchè le loro rivendicazioni non fossero soddisfatte non solo si mantenne,
ma con alcuni adattamenti venne attuata negli anni successivi dal Bund.
In particolare sembra che le industrie tessili e del tabacco furono luogo di maturazione della
coscienza di classe a partire dagli anni ’80. Grazie alla consuetudine di pagare delle quote, pratica
di lunga data nei khevrat, i lavoratori riuscirono a sostenere le proprie lotte. Vi è anche prova che i
lavoratori ricevessero aiuti dai simpatizzanti all’esterno, e che a quell’epoca gli scioperi fossero
limitati soltanto ad alcune fabbriche cosicchè le altre potessero sostenere coloro che si astenevano
dal lavoro. Ciò indica chiaramente che le tradizioni di mutuo aiuto vennero trasferite in forme di
azione più nuove.
Ma dire che i lavoratori ebrei avessero una coscienza di classe a partire dagli anni ’80 non
vuol dire che vi fosse un movimento operaio ampio o organizzato. Piuttosto, la Zona di
Insediamento vide la coesistenza del vecchio paternalismo con la nuova militanza. Per di più, il
nascente movimento operaio per un po’ di anni fece ben poca impressione presso gli intellettuali
dei circoli. A Minsk e Vilna questi ultimi erano certamente al corrente degli scioperi intorno a loro,
ma ancora alla metà degli anni ’80 gli intellettuali come gruppo non furono direttamente coinvolti
nelle agitazioni, né vi mostrarono grande interesse, anche se in alcune occasioni fecero donazioni
in denaro. Il contesto largamente ripiegato su se stesso dei circoli, con i loro problemi di sicurezza,
gli obiettivi strettamente rivolti all’educazione dei singoli, l’enfasi sulla teoria, l’orientamento
prevalentemente russo, e l’alienazione culturale dalle masse ebraiche, contribuirono a isolare gli
intellettuali dal nascente movimento operaio.
Ciononostante, fu attraverso il circolo che nacquero i primi legami tra gli intellettuali e i
lavoratori ebrei. Gli elementi fondamentali furono i membri operai dei circoli. I primi di costoro non
divennero bundisti, ma ne condivisero alcune caratteristiche. Per molti, la vecchia fede non era più
sufficiente. “Non incontrai un singolo lavoratore religioso”26, dichiara Zhenia Gurvich scrivendo
della sua esperienza a quell’epoca. Il circolo non soltanto offriva opportunità uniche ai membri
lavoratori, ma li metteva in contatto con teorie nuove che risultavano più soddisfacenti di quelle
passate. Dagli anni ’80 il pensiero dell’Haskalah, che aveva avuto un così grande impatto sulla
classe media, iniziò a diffondersi tra le masse operaie, con effetti analoghi. Per i convertiti alla
nuova fede, o almeno per coloro che erano scettici sulla vecchia, il circolo offriva l’opportunità di
allontanarsi dalla tradizione e di studiare il mondo in termini scientifici e secolari.
La carriera rivoluzionaria di Hillel Katz (Blum), uno dei primi lavoratori-pionieri del Bund,
fornisce un esempio quasi paradigmatico della transizione da normale lavoratore a membro di un
circolo (anche se questo caso è anacronistico, poiché egli aderì ai circoli di Vilna soltanto nei primi
anni ’90). Blum era nato a Kovno nel 1868. Suo padre, un sarto, era un uomo profondamente
religioso, e il figlio ricevette un’educazione tradizionale, arrivando alla yeshiva, il livello più alto del

26
Cit. Evgenija Gurvich, in Semyon Dimanstein, Revolutsionnoe dvizhenie sredi yevreev, 1930

26
sistema educativo ebraico. Qui egli iniziò a leggere di nascosto gli autori dell’Haskalah. “Il virus del
dubbio mi stava già contagiando” ci dice “e ciò mi fece andare incontro a molti giorni e notti
difficili”27. Non volendo rispettare la volontà paterna di diventare un insegnante di religione, Blum
sognava di imparare un mestiere. La povertà attorno a lui lo spinse ad allontanarsi da casa il prima
possibile, per non essere un fardello per i genitori.
Nel 1892, dopo aver finito il servizio militare, Blum si recò a Vilna, e qui alcuni colleghi di
lavoro lo misero in contatto con i circoli. All’inizio egli considerò l’istruzione ricevuta come “una
sorta di liberalismo o filantropia: giovani studenti si dedicavano a insegnare agli operai poveri a
leggere e scrivere in russo”28. Ma in seguito, quando i suoi insegnanti gli fecero compiere studi
legati alle questioni operaie, fu entusiasta; in tutto il periodo precedente non aveva ancora trovato
una soluzione ai problemi dei poveri.
La nuova educazione di Blum gli costava la maggior parte del tempo libero – lo shabbat e il
poco riposo a disposizione dopo una giornata lavorativa di dodici ore. Trovando lo studio formale
del russo troppo dispendioso dal punto di vista temporale, egli scelse di seguire le lezioni di
economia politica e scienze naturali, e di imparare il russo per conto proprio. I suoi gusti letterari
erano eclettici, e variavano da Hugo a Turgenev a Dmitri Pisarev, Henry Thomas Buckle, Darwin e
Plekhanov. Ciò che apprese negli studi sistematici provenne dal suo primo maestro nei circoli,
Arkady Kremer.
Gli studi condussero Blum al socialismo, ove alla fine trovò “una base forte”, come scrisse.
Improvvisamente “ebbe un senso vivere e soffrire, combattere e morire per un’idea, per un
movimento di liberazione”29. Egli esperì qualcosa di simile a una conversione religiosa, con una
profondità di sentimenti che vedeva in centinaia di lavoratori in quegli anni, e accettò di buon grado
gli obblighi derivanti dalla nuova fede. “Ci si sentiva in dovere di imparare, di studiare le nuove idee
allo scopo di non commettere errori nel lavoro sociale, proprio come un dottore si preoccupa in
quanto ha a che fare con persone vive e senzienti”30. Blum rimase nel movimento per molti anni.
Ma non tutti i lavoratori si trovarono a proprio agio nel contesto dei circoli, specialmente
quelli delle imprese qualificate. L’educazione talvolta portava all’isolamento dai vecchi amici e
conoscenti, e anche a disdegnare i non membri; e le nuove opportunità spesso parevano soltanto
per migliorare la posizione personale di qualcuno. I lavoratori non sempre accettarono l’obbligo di
insegnare come era stato fatto a loro. Ciò condusse poi a un serio conflitto con gli intellettuali, nel
corso degli anni ’90.
Comunque, molti dei lavoratori educati nel circoli svolsero i compiti loro assegnati e in
maniera crescente, fino alla fine degli anni ’80. Uno dei loro principali risultati fu il rafforzamento e
l’espansione dei kase, organizzazioni create nei primi anni del decennio per sostenere
economicamente gli scioperi. Sviluppandosi tra i lavoratori al posto dei khevrat corporativi, i kase di
fatto furono dei sindacati in embrione. Alla fine degli anni ’80 essi erano altamente diffusi e
fortemente radicati a Vilna.
Nell’organizzazione dei kase i lavoratori, i lavoratori-propagandisti e gli intellettuali
operarono insieme per la prima volta nel vero senso della parola. Ciò non significa che i lavoratori
e gli intellettuali ebrei fossero a questo punto veramente uniti; di fatto i contatti tra i due gruppi
erano ancora limitati. Il circolo e il lavoro del circolo erano ancora la principale preoccupazione
degli intellettuali, e il loro linguaggio continuava a rappresentare una barriera tra i due gruppi. In
più, il vincolo della clandestinità manteneva il numero dei membri del circolo e il reclutamento a un
livello minimo.
Ciononostante, alla fine del decennio i principali elementi necessari a quello che sarebbe
diventato un movimento di massa stavano chiaramente iniziando a coagularsi. In realtà gli
intellettuali pionieri non avevano ancora iniziato a identificarsi strettamente con gli attivisti operai o
le masse ebraiche. Ma erano riusciti a coinvolgere un certo numero di lavoratori nei circoli; e grazie
a quel risultato stavano iniziando a guardare al movimento operaio come a un campo di battaglia.

27
Hillel Katz, Zikhroinos fun a Bundist, 1940
28
ibidem
29
ibidem
30
ibidem

27
3. VERSO IL MOVIMENTO DI MASSA
(1890 – 94)

Il Gruppo di Vilna. Il Gruppo Social Democratico Ebraico, più comunemente noto come
Gruppo di Vilna, fu l’immediato predecessore del Bund. Non sappiamo esattamente quando fu
fondato, forse nel 1889 o più probabilmente nel 1890. Ciò che sappiamo è che fu la base
organizzativa degli intellettuali-pionieri e dei lavoratori che formarono il Bund, che introdusse nel
movimento rivoluzionario un formalismo e una disciplina prima sconosciute, e che determinò le
scelte tattiche per molti anni a venire.
La mancanza di informazioni precise sulla data di nascita del gruppo suggerisce che non si
trattò di un evento innaturale, in quanto i tentativi di strutturazione si susseguivano. Grazie a
Kopelson sappiamo che vi furono almeno altri due gruppi organizzati precedentemente, nel 1887.
Uno, un’associazione completa di regolamento, programma e doveri di partito, fu creata
nell’agosto di quell’anno, ma faticò a prendere piede, poiché era composta da studenti che presto
dovettero ritornare a scuola. L’altro gruppo ebbe maggior fortuna. Si tratta dell’Organizzazione
Centrale di Vilna, che fu guidata da Leo Jogiches, con Kopelson come vice. Date le relazioni
personali tra i due leader (che non andavano molto d’accordo) e la necessità di un buon clima per
portare avanti il lavoro di circolo, è difficile credere che da quell’esperienza possa essere scaturita
un’organizzazione disciplinata. In ogni caso l’Organizzazione Generale di Vilna fu sciolta alla metà
del 1888, e l’anno successivo Jogiches lasciò la città.
Vi furono dei mutamenti tra le organizzazioni precedenti e il Gruppo di Vilna. Innanzitutto
cambiarono le persone. Kopelson fu il solo membro anziano. Gli altri principali esponenti – Kremer,
Mill, Izenshtat, Srednitsky, Gozhansky, e Liuba Levinson – giunsero tutti a Vilna nello stesso
periodo, una felice coincidenza di tempo e di luogo, che condusse poi alla nascita del Bund. Ma vi
fu una differenza ancora più grande: uno spirito di cooperazione e attivismo che era mancato sino
ad allora. Le qualità di direzione di Kremer sono indubbie, ma l’elemento di forza fu l’azione
combinata di tutto il Gruppo. Mill nelle sue memorie descrive quel momento a lui così caro (quasi
sacro):

Sembrava che nuove forze si fossero sprigionate insieme, impercettibilmente, lentamente,


calando dal cielo…Il materiale in potenza c’era già, ma sino ad allora era mancato un collettivo
disciplinato, centralizzato e organizzato, capace di dare a questa materia una forma, un
contenuto e una direzione ben definita e ponderata. E’ per questa ragione che un osservatore
esterno non poteva neanche notare che ci fosse il materiale 31.

Il significato della stessa città di Vilna come fattore di stabilità del Gruppo non è da
sottovalutare. Chiamata talvolta la “Gerusalemme della Lituania”, Vilna era un importante centro
culturale per gli ebrei delle province nordoccidentali. Sebbene all’epoca non avesse più
un’università, vi si trovavano diversi ginnasi e scuole commerciali, una Scuola Reale e l’Istituto
Magistrale (quest’ultimo, che preparava gli studenti ebrei a insegnare nelle sistema scolastico
statale, aveva una lunga tradizione di attivismo radicale). Attirando giovani a Vilna, queste
istituzioni educative furono il canale attraverso cui molti studenti si avvicinarono al movimento
rivoluzionario. Sei dei tredici intellettuali-pionieri erano nativi di Vilna e almeno otto su tredici
frequentarono le sue scuole. La pratica della polizia zarista di bandire le minoranze politiche di
opposizione dalle città universitarie e dotate di grandi industrie, fece sì che molte giovani forze
radicali raggiungessero Vilna.
Anche la posizione geografica ebbe un ruolo nel fare di Vilna un centro del lavoro
rivoluzionario. Situata sulla linea ferroviaria tra Pietrogrado e l’Occidente, la città fu un importante
crocevia per il movimento rivoluzionario di diverse generazioni di studenti – un punto di passaggio
per i viaggi da e per la Russia, un luogo in cui erano mantenuti i legami tra gli studenti rivoluzionari
e se ne creavano con altri elementi radicali. Grazie a questo andirivieni, Vilna non fu una città

31
Joseph Mill, Pionern un boier, 2 voll., 1946 - 49

28
provinciale isolata, ma un centro cosmopolita, sempre aggiornato rispetto agli avvenimenti del
mondo circostante. Dunque il Gruppo di Vilna beneficiò di una serie di particolari e fortunate
circostanze32.
Influenza dei socialisti russi e polacchi. I primi anni del decennio furono di assestamento
della nuova organizzazione. Sebbene pressoché tutti gli intellettuali-pionieri si fossero considerati
marxisti negli anni precedenti, non avevano fatto molto per distinguere le proprie attività da quelle
dei loro avversari non marxisti. L’adesione al marxismo non indicò loro automaticamente dove e
come muoversi, nè la loro percezione del mondo o le loro abitudini cambiarono rapidamente.
Tuttavia man mano che i pionieri si addentravano nella letteratura marxista i lavori di Plekhanov
iniziarono ad avere una crescente influenza sul loro pensiero. Gozhansky, che svolse un ruolo
importante nel definire le tattiche del Gruppo nei primi anni, considerava Plekhanov la principale
fonte di ispirazione per il lavoro pratico degli intellettuali. Nel suo Le nostre differenze quest’ultimo
aveva convinto gli attivisti degli anni ’80 della necessità di creare gruppi di lavoratori istruiti per
guidare il futuro movimento rivoluzionario; quando cambiò linea nel 1892 con Sui compiti dei
socialisti nella lotta contro la carestia in Russia, chiamando invece all’agitazione tra le masse, il
Gruppo ascoltò le sue parole.
Sebbene il pensiero dei marxisti russi indubbiamente fornì il maggior contributo ideologico
agli intellettuali, anche il lavoro e le idee dei rivoluzionari polacchi ebbero un’importante influenza.
Il movimento rivoluzionario polacco era di vecchia data, e di una certa vitalità nonostante le battute
d’arresto. E il suo impatto fu subito riconosciuto dagli intellettuali-pionieri. Mill, i cui legami con i
polacchi risalgono agli anni della scuola, scrive: “Nell’intellighenzia radicale lituano-polacca di
Ponevez trovai non solo un sostegno alla mia ricerca della verità, non solo dei ‘compagni in armi’,
ma anche qualcosa che altri gruppi nazionalisti radicali non avrebbero potuto darmi: la
comprensione della speciale concezione polacca dei problemi e obiettivi politici dell’epoca”33.
E’ difficile stabilire a quale grado i pionieri imitassero il lavoro dei rivoluzionari polacchi.
L’attività di organizzazioni come l’Unione dei Lavoratori Polacchi, che alla fine degli anni ’80 e
inizio degli anni ’90 cercava di suscitare e finanziare degli scioperi, indubbiamente influenzò il loro
orientamento. Appresero l’importanza della pratica. Gozhansky lo disse chiaramente molti anni
dopo: “La nostra conoscenza del movimento operaio polacco ci mostrò che un reale movimento
rivoluzionario deve avere le sue radici…nel proprio ambiente”34. Come lezione oggettiva, questa è
tra le più importanti che i pionieri fecero propria. Ciò che non è chiaro è quanto questa lezione
venne dall’esperienza polacca e quanto dai khevrat locali dei lavoratori ebrei, o dalle precedenti
forme di mutuo aiuto.
Primi passi tra il proletariato ebraico. In ogni caso, il movimento polacco e l’ideologia
marxista insieme spinsero il Gruppo ad occuparsi sempre più dei lavoratori intorno a sé. Il
marxismo fece di più che dare agli intellettuali-pionieri l’opportunità di oltrepassare l’angusta
prospettiva populista russa; permise loro di vedere ciò che avevano davanti agli occhi. Essi
iniziarono a toccare con mano gli antagonismi di classe e il controllo dei mezzi di produzione
vigenti nella vita economica della loro comunità. E inoltre il marxismo non poneva ostacoli alla
crescita di un movimento proletario tra gli ebrei.
Man mano che il lavoro del Gruppo divenne più organizzato, il movimento rivoluzionario
divenne più strutturato, con un nucleo propulsore al centro e una “periferia” di intellettuali che
insegnavano, si procuravano i libri e raccoglievano fondi per il movimento per conto del centro.
(Alcuni componenti della periferia in seguito divennero elementi importanti del Bund.
Semplicemente erano troppo impegnati in varie attività per essere inclusi nel centro.) All’epoca fu
creato un centro separato costituito da lavoratori, essenzialmente per motivi di sicurezza. I pionieri-
intellettuali si incontravano settimanalmente, ma i due gruppi si ritrovavano insieme solo quando
sorgevano questioni particolari, perché era difficile per dei lavoratori e degli intellettuali riunirsi
congiuntamente senza destare sospetti.
La partecipazione in questo periodo dimostra la vitalità della nuova organizzazione. Nel
1889 secondo Kopelson solo 50 o 60 persone parteciparono a un incontro di commemorazione per

32
La città era importante anche per altri gruppi rivoluzionari. I polacchi, ad esempio, consideravano Vilna un
fondamentale centro di attività. Già nel 1883 troviamo K. P. Pobedonotsev, mentore di Alessandro III, scrivere a D.A.
Tolstoy, ministro degli Interni: “Molti sono convinti, e non senza ragione a mio parere, che è Vilna e non Varsavia il
centro principale del nazionalismo polacco”.
33
Joseph Mill, Pionern un boier, 2 voll., 1946 - 49
34
Shmuel Gozhansky, Di Ershte Propagandistishe Kraizlekh, 1917

29
la morte di un compagno; mentre all’inizio degli anni ’90 egli stima che nei circoli non vi fossero
soltanto 60 o 70 intellettuali, ma almeno 150 lavoratori. Nell’arco di pochi anni l’attività a Vilna si
stava mostrando foriera di buone prospettive per il futuro.
A partire dal 1892 il lavoratore ebreo era diventato la principale preoccupazione del
movimento di Vilna, e il kase e lo sciopero i principali strumenti per l’attività radicale. A dire il vero
gli intellettuali alla fine degli anni ’80 avevano già compiuto dei passi in questa direzione. Jogiches,
per esempio, aveva cercato di indurre i lavoratori a protestare contro i loro padroni e il governo. Ma
quando alcuni kase si trasformarono in organismi permanenti dei lavoratori, dedicati innanzitutto
alla lotta economica e allo sciopero come mezzo per sostenere tale lotta, allora gli intellettuali si
resero gradualmente conto del potenziale rivoluzionario del movimento operaio. Dal 1888 in poi gli
intellettuali tramite i lavoratori dei circolo furono in diretto contatto con diversi kase, soprattutto tra i
calzolai, i tipografi, i fabbri e i sarti.
Il kase si rivelò il magnete che spinse gli intellettuali e i lavoratori da essi istruiti verso le
masse, lo strumento di collegamento tra le organizzazioni per gli scioperi operai e gli intellettuali
ansiosi di trasformare la teoria in azione. “Non importa quanto questo movimento fosse primitivo”
scrive un pioniere “esso doveva attirare l’attenzione dei rivoluzionari e specialmente
dell’intellighenzia marxista, e condurli sul terreno, alla vita reale del lavoratore ebreo”35. Il kase
inoltre offriva un nuovo campo azione, che non esisteva all’epoca in cui lo studio rappresentava la
maggiore forma di espressione e la teoria aveva indicato la popolazione urbana russa quale centro
dell’attività rivoluzionaria.
E’ da Mill che apprendiamo come il Gruppo si relazionasse con i lavoratori in quegli anni:

Io guidavo alcuni circoli di lavoratori composti da 8 – 10 persone ciascuno. Solo uno era
uniforme, in quanto composto totalmente da sarte; gli altri erano formati indistintamente da
maschi o femmine appartenenti a varie categorie. Ciò rendeva più facile apprendere che cosa
accadeva in singoli negozi o fabbriche, e dava l’opportunità di discutere la condizione dei
lavoratori allo scopo di trovare la via e i mezzi per migliorarla. La propaganda teorica e
l’istruzione, in questo modo, andavano di pari passo con la preparazione di un’attività politica
pratica tra gli operai.36

E’ evidente il contrasto tra questa descrizione e quella della Gurvich dell’attività svolta a
metà degli anni ’80. Gli intellettuali di Vilna si erano orientati verso le preoccupazioni quotidiane del
lavoratore, ponendo l’accento sul miglioramento delle sue condizioni di vita. Essi tuttavia non
avevano ancora abbandonato l’idea di portare il lavoratore nel proprio ambito, e i membri dei circoli
continuavano a reclutare e istruire operai.
Il Gruppo e i suoi sostenitori provarono anche a elevare la coscienza politica dei lavoratori
promuovendo l’idea di un movimento operaio internazionale. La commemorazione delle giornate
storiche era una vecchia consuetudine dei circoli (la rivolta decabrista del 1925, l’uccisione di
Alessandro II, la Rivoluzione francese e le rivoluzioni del 1848 erano tra gli avvenimenti che
ricevevano attenzione); ma la proposta di celebrare il Primo Maggio come giornata di solidarietà
internazionale dei lavoratori, nata al primo congresso della Seconda Internazionale, incontrò in
particolare la disponibilità dei marxisti russi. La giornata fu celebrata a Varsavia nel 1890 e a
Pietrogrado nel 1891; nel 1892 la tradizione si era estesa a Lodz, Tula e Vilna. Per la prima
celebrazione a Vilna, circa 100 lavoratori furono invitati a incontrare due intellettuali del Gruppo
(non di più per ragioni di sicurezza) a un meeting segreto in mezzo ai boschi. Una volta riunitasi,
l’assemblea fu dapprima arringata dai membri del Gruppo, Kremer e Mill, e poi da quattro
lavoratori, che parlarono agli astanti in yiddish e russo.
Il fatto che gli intellettuali diedero voce ai lavoratori in occasione della commemorazione è
indice di fiducia e orgoglio nei loro confronti. Entusiasti delle performance dei loro pupilli, gli
intellettuali insistettero affinchè i discorsi di quel Primo Maggio fossero pubblicati. Jogiches, che
allora viveva all’estero, si assunse il compito, e in breve tempo apparve un opuscolo contenente i
discorsi e un’introduzione (probabilmente redatta da Boris Krichevsky, un importante
socialdemocratico). Questi interventi ci dicono molto sull’impatto della propaganda marxista sui
lavoratori all’epoca. Vi troviamo non solo l’urgenza di identificarsi con i lavoratori di tutti i paesi e un
forte interesse al miglioramento della condizione operaia, ma anche la fiducia nella vittoria finale

35
Jacob Peskin, Di Grupe Yidishe Sotsial-Demokraten in Rusland un Arkady Kremer, 1939
36
Joseph Mill, Pionern un boier, 2 voll., 1946 - 49

30
della classe operaia. Più specificamente, vediamo la consapevolezza dei lavoratori dei compiti
immediati di fronte a loro: la propaganda e l’agitazione presso i loro compagni.
L’accresciuta consapevolezza da parte degli intellettuali del conflitto di classe intorno a loro
iniziò a produrre risultati pratici a partire dal 1892. Gozhansky scoprì una legge risalente al regno
di Caterina II che limitava il massimo della giornata lavorativa (incluse le pause per i pasti) a dodici
ore – in un’epoca in cui la giornata di sedici ore era frequente. Fu una scoperta importante. Ecco
un tema che poteva subito spingere i lavoratori a sfidare i padroni, impartendo loro un’importante
lezione politica. Inoltre i lavoratori avrebbero potuto prendere atto del vantaggio di avere gli
intellettuali al loro fianco.
E gli intellettuali avevano scelto bene. Come risultato di questa che fu la loro prima forma di
agitazione tra gli operai, gli scioperi ebbero un aumento considerevole, e rafforzarono la loro
convinzione che l’agitazione tra i lavoratori sulla base dei bisogni quotidiani fosse una componente
necessaria del programma del Gruppo.
1894: il varo della linea dell’agitazione. La celebrazione del Primo Maggio 1892 e
l’appello per la giornata lavorativa di dodici ore rappresentarono uno spartiacque per le tattiche
degli intellettuali-pionieri. Nei due anni successivi l’agitazione di massa tra i lavoratori ebrei iniziò a
crescere. Tuttavia fu soltanto all’inizio del 1894, e soltanto dopo considerevoli e accese
discussioni, che il mutamento tattico fu ufficializzato. Quell’anno apparvero due brevi lavori: Lettera
agli agitatori, scritta da Gozhansky, e Sull’agitazione, scritto da Kremer con l’aiuto di Julij Martov,
futuro leader menscevico, che aveva deciso di vivere a Vilna durante un periodo di esilio
amministrativo. Questi scritti ebbero un’enorme influenza, in particolare Sull’agitazione, il cui
impatto si fece sentire nei principali centri dell’attività rivoluzionaria in Russia. Essi riassumevano le
esperienze dei primi anni ’90, formulavano le spiegazioni teoriche dei nuovi sviluppi e indicavano la
via per il futuro.
La Lettera di Gozhansky (indirizzata specificamente all’ambiente di Vilna, ma valida per
molte altre città della Zona) cercò di risolvere l’aspro conflitto all’interno del movimento a proposito
del cambiamento dei metodi di lavoro. Che il successo del movimento fosse condizionato
dall’esistenza di una coscienza rivoluzionaria e di classe era un assunto accettato a priori da tutti
gli attivisti. Ma come arrivare a sviluppare questa coscienza nelle masse lavoratrici era oggetto di
un acceso dibattito. Gozhansky affermò che i lavoratori ebrei non potevano ottenere da soli dei
diritti che erano preclusi su tutto il territorio dell’Impero; di conseguenza, era compito delle
organizzazioni socialdemocratiche elevare il livello politico dei lavoratori ebrei, cosicchè essi
potessero unirsi alla lotta generale per le libertà politiche.
La strada per raggiungere il lavoratore, diceva Gozhansky, era collegare la lotta con la sua
esperienza diretta. Al lavoratore occorreva mostrare ciò di cui aveva bisogno – un percorso che
egli fino a quel momento compiva a fatica. I rivoluzionari dovevano lasciarsi coinvolgere nelle
questioni quotidiane dei lavoratori, per mostrare loro cosa fare e come farlo, e quindi per insegnare
loro dove avrebbe avuto luogo la lotta decisiva. Gli studi teorici non avrebbero fatto sentire ai
lavoratori la necessità del cambiamento al pari del coinvolgimento pratico. “Le masse possono
comprendere soltanto quei principi teorici coi quali sono a diretto contatto” scrisse Gozhansky “e,
come sappiamo, la loro intera vita dipende interamente dalle loro condizioni economiche”37.
La differenza tra la Lettera di Gozhansky e Sull’agitazione di Kremer è più di forma che di
sostanza. Kremer volle rivolgere il suo scritto a un pubblico più ampio, come una sorta di manifesto
strategico socialdemocratico, dunque espose dei punti onnicomprensivi. Facendo propria
l’asserzione di Plechanov che “la conquista del potere politico è l’obiettivo principale della lotta del
proletariato” Kremer affermò che soltanto attraverso la lotta economica il proletariato poteva
essere portato a vedere la necessità della lotta politica. Il lavoratore avrebbe constatato
“l’impossibilità di migliorare la propria situazione nelle condizioni politiche vigenti” e una volta in
diretto contrasto con il regime “la lotta si sarebbe trasformata in una lotta politica consapevole”38.
Molti membri dei circoli si erano già resi conto che, mantenendo una cerchia piccola e
segreta e facendo dell’educazione il proprio principale obiettivo, non erano riusciti ad attrarre le
masse, come avevano fatto i polacchi e come Plechanov raccomandava. Ma ora, con la comparsa
degli scritti di Gozhansky e Kremer, le attività dei circoli furono sottoposte a profonda revisione e
critica. I fautori del cambiamento sottolinearono che coi vecchi metodi il movimento era rimasto

37
Shmuel Gozhansky, Lettera agli agitatori, 1894
38
Arkady Kremer, Sull’agitazione, 1894

31
isolato, e che l’istruzione dei lavoratori nei circoli era un sistema costoso e inutile per raggiungere
le masse, che ora erano la principale preoccupazione.
Un nuovo obiettivo richiedeva un nuovo approccio. Il Gruppo iniziò a fare appello ai
lavoratori-agitatori, uomini che erano in diretto e quotidiano contatto con le masse, affinchè si
impegnassero per lo sviluppo di una genuina coscienza di classe. Su di essi ricadeva il duplice
compito di organizzare incontri nei quali i lavoratori discutessero quali conquiste ritenevano
necessarie, e quindi stabilissero quali di queste potevano rappresentare dei buoni elementi di
aggregazione. Gli intellettuali non negavano l’importanza degli studi teorici, ma ora insistevano che
“il tema principale degli incontri del sabato deve essere la questione dell’agitazione”. E coniarono
una nuova massima: “l’agitazione è alla base del programma socialdemocratico”. Verso coloro che
non erano d’accordo, la risposta fu inequivoca: semplicemente essi non erano membri del Gruppo
Social Democratico. Il Gruppo di Vilna aveva attraversato un Rubicone strategico e tattico sulla via
del movimento di massa.
Una conseguenza immediata del mutamento nella tattica fu la variazione del programma di
formazione dei circoli. Non solo vi fu un allontanamento dallo studio del russo e dall’educazione
teorica, ma la lingua yiddish, che fino ad allora era usata solo in caso di necessità, divenne un
elemento cardine. Il nuovo obiettivo dopotutto era di andare direttamente alle masse ebraiche, e il
nuovo scopo dei programmi di formazione era preparare dei leader delle organizzazioni operaie. In
una parola, mentre prima l’attenzione era verso un programma individuale e relativamente passivo,
ora veniva spostata decisamente verso l’azione di massa.
Il programma per i lavoratori-agitatori sollevò comunque una nuova serie di problemi. In
realtà la questione dell’agitazione non era una novità, ma nel 1893 gli scioperi furono così
numerosi che i padroni si apprestarono a coalizzarsi per licenziare i presunti leader delle
agitazioni. Nei circoli sorse un’opposizione al cambiamento di tattica, soprattutto da parte dei
membri lavoratori, molti dei quali non volevano variazioni. Alla fine la maggior parte di essi si
adeguarono poiché, secondo Blum (uno degli oppositori per un certo periodo), approfondendo la
letteratura socialdemocratica riconobbero la “oggettività” dell’idea che il socialismo doveva
scaturire dalle necessità economiche, e furono riammessi nel Gruppo e nelle organizzazioni
operaie.

L’Opposizione agli intellettuali. Stante il fatto che i timori dei membri lavoratori rispetto
alla repressione erano reali, la loro opposizione ai piani degli intellettuali aveva altre solide
motivazioni. Il circolo, in quanto tale, consentiva loro di elevare il proprio livello sociale, fino ad
acquisire un posto nell’intellighenzia, che aveva uno status molto speciale nella società ebraica e
russa. Alcuni lavoratori nei circoli cercavano anche di imitare gli abiti e le maniere degli intellettuali.
Per operai ambiziosi ma intellettualmente ristretti come Blum (che descrive la propria
soddisfazione nella lettura di un libro “per intellettuali”, grazie alla quale era considerato membro di
quell’elite) essere anche solo a contatto con gli intellettuali pareva cosa vantaggiosa.
Per rendersi conto di quanto fosse difficile per i lavoratori ebrei migliorare la loro posizione
economica e sociale, basta considerare le loro limitate opportunità di ricevere un’educazione laica.
Per di più, le possibilità per un ragazzino ebreo della classe operaia di accedere alla scuola
secondaria peggiorarono dopo il 1887, quando le quote furono ridotte. Così, mentre il periodo 1882
– 86 vide l’iscrizione di 1378 ebrei nel distretto scolastico di Vilna, nel successivo quinquennio
1887 – 1891 il numero scese a 798, con un calo del 42%. In queste circostanze è comprensibile
che il lavoratore ebreo guardasse al circolo come una via d’uscita dalla propria situazione.
Sotto la guida di un lavoratore dei circoli di Vilna di nome Abram Gordon (Rezchik), la sfida
agli intellettuali divenne così aperta e determinata da essere definita semplicemente come la
Opposizione. Gordon, uomo di indubbia intelligenza, aveva manifestato le sue critiche fin dal 1891
(e anche prima, poiché sono note le sue rimostranze quando apparteneva a uno dei circoli di
Jogiches negli anni ’80). Ma fu nel 1892 che le sue opinioni divennero ben note: alla celebrazione
del Primo Maggio di Vilna egli suscitò, a detta di Mill, “una sensazione negativa” quando fece un
intervento non previsto attaccando gli intellettuali e la loro tattica di propaganda e agitazione. Nel
1893 la posizione di Gordon era divenuta un tema scottante, che sottraeva non poche energie sia
agli intellettuali che ai propagandisti operai. La maggioranza degli intellettuali-operai (operai
aristocratici, come Mill li chiamava) erano dalla parte di Gordon. Lo consideravano a tal punto che
quando nel 1893 la polizia venne per arrestarlo i lavoratori si riunirono intorno alla sua casa e
minacciarono i gendarmi – un atto quasi mai visto e una prova della sua popolarità.

32
La preoccupazione principale di Gordon fu definire la relazione tra l’intellettuale e il
lavoratore. Il vero ruolo dell’intellettuale, a suo parere, era di aiutare il lavoratore a ottenere la
propria libertà attraverso l’educazione. O, come affermò nel 1892: gli intellettuali devono “guidare il
movimento in modo tale da rendere i lavoratori consapevoli e autonomi rispetto al corso delle cose,
poiché solo allora essi saranno in grado di sviluppare una grande forza”39. Con la tattica
dell’agitazione di massa, diceva Gordon, che non chiedeva al lavoratore di avere una formazione
di base, gli intellettuali agivano soltanto come i leader di altri movimenti che avevano ingannato il
popolo. Essi strappavano il lavoratore al suo ambiente e, quando non era ancora pronto,
insistevano che agisse per conto dell’intellighenzia, accettando le decisioni di quest’ultima su cosa
si doveva fare e cosa no. Grazie al “fascino rivoluzionario” del movimento e alla comprensione
degli interessi dei lavoratori da parte degli intellettuali, i lavoratori finivano per idolatrare gli
intellettuali, e adottando la nuova tattica il Gruppo non faceva nulla per evitare ciò. Alla fine,
secondo Gordon, accadeva che gli intellettuali si considerassero al di sopra dei lavoratori. Vi era
soltanto una soluzione per lui, ovvero che i lavoratori dovessero diventare istruiti. Ovvero, i vecchi
circoli dovevano continuare a operare come prima. Gordon fece suo lo slogan: “La liberazione del
lavoratore è un processo indipendente e consapevole del lavoratore stesso”.
Le posizioni dell’Opposizione riflettevano le differenze sociali ancora esistenti all’interno del
movimento. I sostenitori di Gordon erano appassionatamente di parte, ed esprimevano un fervore
nato dalla sopportazione di anni di ingiustizie sociali. Gli intellettuali, secondo loro, stavano
sottraendo il movimento ai lavoratori e ai leader operai, ai quali esso apparteneva di diritto.
L’Opposizione aveva i suoi elementi populisti, ma con un rovesciamento dal punto di vista sociale.
Ora erano i lavoratori all’opposizione a insistere sull’importanza dell’educazione e sui doveri
dell’intellighenzia. Al posto della “andata al popolo” degli intellettuali, l’Opposizione voleva “andare
agli intellettuali”, il cui dovere era di servire le masse.
Per quanto meritevole, il programma di Gordon era condannato quasi certamente alla
sconfitta. Esso era frammentario, isolazionista, invocava il lavoro individuale in un’epoca in cui le
masse erano pronte a sviluppare chiare rivendicazioni economiche e ad accettare slogan
rivoluzionari. Il movimento era andato troppo avanti per permettere l’utilizzo dei circoli nella vecchia
maniera. Gordon si trovò di fronte a un dilemma: come potevano i lavoratori essere consapevoli e
autonomi, se la coscienza era condizionata da un’educazione che soltanto gli intellettuali potevano
fornire? Gordon aveva bisogno degli intellettuali, anche se non voleva assegnare loro un ruolo di
leadership. Aveva avuto buon gioco nel sollevare la questione della relazione tra leader e masse;
ma la censura degli intellettuali non era la soluzione. Comunque nel 1894 gli intellettuali vinsero
una battaglia, ma non la guerra. Il conflitto sulla tattica riemerse più e più volte in molte forme, sia
entro la Zona che al di fuori.
A dire il vero, la sconfitta definitiva dell’Opposizione non è da attribuire interamente alle
carenze ideologiche della posizione di Gordon. La capacità del movimento di Vilna di adattarsi alla
circostanze in mutamento fornì una solida base per la vittoria. L’esperienza aveva convinto gli
intellettuali che la crescita del movimento di massa necessitasse di qualcosa di più degli “individui
pensanti criticamente”, il modello che Gordon prendeva dai teorici populisti russi Piotr Lavrov e
Nikolaj Mikhailovsky. La più importante lezione ricavata dagli intellettuali-pionieri fu che lo spazio
per il lavoro attivo era a portata di mano, e che i nuovi approcci promettevano di essere più efficaci
di quelli vecchi. Essi si erano anche resi conto che entrando in questo spazio e raggiungendo le
masse, l’yiddish sarebbe stato il loro mezzo di comunicazione. La vittoria si basava sull’appoggio
da parte dei lavoratori-quadri che potevano guidare il movimento.

L’identità ebraica: l’yiddish e i semi - intellettuali. Il momento esatto in cui gli


intellettuali-pionieri scelsero di relazionarsi con il lavoratore ebreo è difficile da stabilire, ma una
cosa è chiara: dall’anno 1894 la questione era stata definita. Il primo segno che abbiamo della
consapevolezza e accettazione dell’identità ebraica da parte dei pionieri è la scelta da parte loro
del nome dell’organizzazione: Gruppo Social Democratico Ebraico. Ma non vi è alcun segno che
fin dall’inizio vi fosse l’intenzione di creare un movimento di massa ebraico. Prima di giungere a
Vilna, gli intellettuali pionieri avevano lavorato in un contesto non ebraico, o misto. Forse decisero
di aggiungere la parola “ebraico” solo per distinguersi da altri gruppi rivoluzionari. Più
probabilmente, essi la scelsero tenendo conto della composizione etnica della popolazione

39
In Abram Gordon, In Friling fun Vilner Yidisher Arbeter – Bewegung, 1926

33
circostante. Una tale identificazione era destinata ad avere un’importanza nel loro lavoro, poiché
era un dato di fatto della vita di Vilna che gli intellettuali ebrei operassero tra i lavoratori ebrei. Le
altre nazionalità laggiù continuavano ad essere “divise da un muro impenetrabile; ogni nazionalità
viveva una vita separata e non aveva alcun contatto con le altre”40.
Per molti intellettuali, l’adozione del termine “ebraico” fu dovuta soltanto alla constatazione
di operare in quel contesto. Ma per almeno uno dei pionieri, essa significò di più. Fin dall’inizio, Mill
fu convinto che i lavoratori ebrei meritassero attenzione non solo perché popolavano quei luoghi,
ma perché avevano un valore in sé e per sé. Egli pensava che molti esponenti del Gruppo
avessero la stessa percezione, tanto che “di solito reagivano con profondo dolore in ogni
occasione in cui uno o l’altro attivista lasciava un contesto ebraico per andare a lavorare tra i
russi”41.
La questione dell’identità ebraica emerse a un livello più consistente in occasione della
celebrazione del Primo Maggio 1892. Come era logico attendersi, il tema principale degli oratori fu
l’unità della causa dei lavoratori ovunque fossero; ma alcuni oratori parlarono anche nello specifico
del lavoratore ebreo. Un lavoratore nel suo discorso suscitò un’impressione negativa quando disse
che i lavoratori ebrei avrebbero dovuto rinunciare alle proprie festività e avere fede nelle verità
della scienza piuttosto che nella venuta del Messia. Ma un secondo oratore non si accontentò di
identificare la causa del lavoratore ebreo con quella di tutti gli altri; affermò che gli ebrei avrebbero
dovuto essere orgogliosi del loro particolare destino. Certo, gli ebrei avevano un obiettivo comune
a quello degli altri lavoratori, ovvero la liberazione dallo sfruttamento. Ma, egli disse “noi ebrei non
abbiamo motivo di essere abbattuti o di vergognarci per la nostra appartenenza alla disonorata
‘razza ebraica’. La storia degli ebrei ci rende ragione”. Dal 1892, dunque, l’identificazione etnica
era giunta a un punto in cui si poteva rivendicare la propria lotta in quanto ebrei al pari delle altre
nazionalità – e di questo gli intellettuali intendevano tenere conto.
Una volta presa la decisione di fare dell’yiddish la lingua della propaganda e dell’agitazione,
divenne chiaro che la mancanza di materiale scritto sarebbe stata un grosso problema. In ogni
caso la comunicazione coi lavoratori ebrei era stata sempre un problema per gli intellettuali-pionieri
russificati. Negli anni ’80 secondo Kopelson essi erano stati costretti a tornare indietro a una sorta
di russo-yiddish; e nei circoli più arretrati gli scritti russi dovettero essere tradotti in yiddish. Fu solo
nel 1889 che i primi scritti in yiddish iniziarono ad arrivare a Vilna. Il primo fu probabilmente il
popolare pamphlet di Shmuel Dickstein Chi vive con cosa?, uno scritto pieno di termini economici
marxisti.
Oltre alla grande scarsità di testi in yiddish, un altro ostacolo rallentò il nuovo programma
degli intellettuali. Semplicemente, molti lavoratori nei circoli volevano imparare il russo, che
dopotutto era la lingua dell’emancipazione dal ghetto. Basti ricordare quanto aspramente
l’Opposizione contrastò l’uso dell’yiddish, anche dopo che fu formalmente adottato come lingua
dell’agitazione. Secondo Mill, la mancanza di un corpus di testi in yiddish negli anni 1893 – 94
rafforzò la linea dell’Opposizione per il mantenimento della lingua russa.
Il Gruppo cercò di risolvere il problema. Una via fu reclutare nuovi membri che parlassero
bene l’yiddish e fossero in grado di scrivere testi facilmente comprensibili dal lavoratore medio. In
questo caso gli intellettuali furono fortunati nell’avere un’ampia scelta tra i numerosi studenti ed ex
studenti delle yeshiva di Vilna. Altre nuove reclute arrivarono dai cosiddetti auto-didatti. Tutti questi
nuovi membri ricevettero l’appellativo di semi-intellettuali, un termine apparentemente concepito
dagli intellettuali. Oltre alla capacità linguistica, il semi-intellettuale doveva anche conoscere e
muoversi facilmente nell’ambiente della classe operaia, essendo a conti fatti il tramite culturale
diretto tra gli intellettuali e le masse.
I semi-intellettuali furono una categoria molto particolare, allo stesso tempo traduttori,
oratori e scrittori. In quegli anni si distinsero in particolare A.Litvak (vero nome Chaim Yankel
Helfand), Sendor Zeldov e la moglie di quest’ultimo, Taibechke Oshmiansky. Litvak, un tipico
esempio di semi-intellettuale, entrò nel movimento nell’inverno 1893. Il suo primo contatto avvenne
tramite amici, che gli dissero che gli intellettuali volevano incontrare giovani che avessero una
buona conoscenza dell’yiddish. La sua formazione fu caratterizzata dalla lettura di alcuni libri, dalla
discussione dei contenuti con gli intellettuali e infine dalla stesura di scritti su determinati argomenti
sotto la supervisione dei suoi mentori.

40
In Semyon Dimanstein, Revolutsionnoe dvizhenie sredi yevreev, 1930
41
Joseph Mill, Pionern un boier, 2 voll., 1946 - 49

34
I semi-intellettuali giovarono agli obiettivi del Gruppo, tuttavia sorsero degli inconvenienti
poiché le nuove reclute portavano con sé atteggiamenti che erano spesso estranei, se non in
contrasto, con le idee degli intellettuali-pionieri. La passione di Litvak per l’yiddish, ad esempio, lo
spinse a promuovere l’uso di quella lingua ben di più rispetto a quanto ipotizzato dagli intellettuali,
per i quali quella lingua era un mezzo di propaganda e nulla più. Litvak creò biblioteche di testi
yiddish e cercò di avvicinare i lavoratori ebrei alla letteratura del XIX secolo, specialmente ai testi
di protesta sociale e agli scritti di Isaac Leib Peretz o David Pinsky, che iniziavano a fare dei
lavoratori ebrei i protagonisti delle loro storie. Litvak ritenne che gli intellettuali probabilmente
sottovalutassero l’importanza di questa letteratura “proletaria”, vedendola solo come un mezzo per
ottenere i loro scopi, mentre egli e gli altri giovani semi-intellettuali, “pervasi dall’ebraismo”,
consideravano sacri i nomi di Peretz e Pinsky. Per Litvak non vi era possibilità di separare la lingua
e la letteratura yiddish dai problemi dei lavoratori ebrei; era questione di legami culturali, non di
necessità tattiche. L’attività dei semi-intellettuali produsse un legame emotivo che sarebbe arrivato
al cuore del movimento, un orgoglio per la cultura popolare yiddish sconosciuto agli intellettuali
russificati. Probabilmente gli intellettuali non intuirono le enormi conseguenze della loro decisione
di fare dell’yiddish la lingua della rivoluzione: l’uso dell’yiddish avrebbe aperto la strada a un
insieme di attività in più oltre al ristretto ambito che loro controllavano, e nel lungo periodo il loro
movimento non solo avrebbe avuto una base sociale più ampia ma avrebbe anche sviluppato
componenti emotive e letterarie.

Gli eventi del 1893 – 94 sono sintomo di quanto il movimento fosse cambiato nel giro di
pochi anni. Basta la lotta contro l’Opposizione a indicare il nuovo livello di disciplina e
organizzazione raggiunto negli anni ’90, altrimenti come si spiegano la gestione del conflitto e il
successo finale degli intellettuali-pionieri? Quegli anni videro il Gruppo prendere due decisioni
cruciali. Dapprima venne la risoluzione a lavorare con il materiale umano a portata di mano,
ponendo fine al precedente approccio isolazionista. Poi venne la decisione di andare direttamente
dalle masse, una scelta di grande importanza per il futuro del movimento operaio ebraico e il futuro
del Bund.
Nel contempo queste decisioni ebbero un considerevole impatto sugli intellettuali stessi.
Con le scelte intraprese, essi si mossero sempre più dalla centralità del movimento russo alla
centralità della sorte dei lavoratori ebrei intorno a loro. E come prevedibile questo significò un
parziale distacco dai grandi temi teorici per andare a ricercare la soluzione ai problemi crudi e reali
della classe operaia.
Il movimento di Vilna era chiaramente in crescita, ma lungi dall’essere solidamente unito.
Esso era ancora composto da elementi separati: circoli intellettuali, propagandisti-operai, semi-
intellettuali e kase piccoli ma a base di massa. Questi elementi erano legati, ma vi erano ancora
difficoltà – il problema di disciplinare rigorosamente i kase, problemi tra gli stessi lavoratori. E non
vi era ancora stata un’analisi esplicita dei problemi ebraici in quanto tali. Ciononostante, il
principale accorgimento tattico – la discesa tra le masse – fu compiuto nel 1894. La strada da
percorrere per arrivare a una più completa transizione al lavoro di massa non era lunga.

35
4. LA CRESCITA DEL MOVIMENTO DI MASSA
(1894 – 97)

Kase, skhodka e comitati. Tra il 1894 e il 1897 il numero dei lavoratori ebrei con
coscienza di classe crebbe rapidamente, e in tutta la Zona sorsero delle organizzazioni
socialdemocratiche ebraiche. Con l’espansione del movimento si venne sviluppando una struttura
organizzativa più o meno formale che collegava i socialdemocratici e i lavoratori. Alla base di
questa struttura verticale vi erano i kase. Nati inizialmente soltanto per raccogliere fondi per gli
scioperi, negli anni ’90 i kase divennero sempre più attivi nella lotta per i diritti dei lavoratori. Una
lettura del regolamento dei kase del 1894 mostra che i leader operai avevano una buona
comprensione del significato della lotta di classe all’epoca. I kase continuarono ad essere
organizzati in base alle categorie professionali, sebbene accettassero anche altri lavoratori fino a
che questi non avessero costituito la propria organizzazione.
Al di sopra del kase stava la skhodka, un consiglio formato dai rappresentanti dei kase e
dagli agitatori che fungeva da vero e proprio intermediario tra i socialdemocratici al vertice e i kase
alla base. La skhodka aveva il compito di illustrare e discutere la situazione dei lavoratori, sebbene
molti membri dei kase non fossero del tutto al corrente della sua esistenza. La skhodka inoltre
organizzava circoli e distribuiva testi scritti.
Blum descrive il modo in cui la skhodka a Vilna era collegata al livello più alto della
gerarchia, al comitato:

Gli incontri si svolgevano in tre luoghi distinti della città, ciascuno con 10 – 12 partecipanti. I
partecipanti a questi incontri, circa 30 tra agitatori e delegati operai, erano il cuore del
movimento…Non si facevano verbali…i tre consigli si riunivano insieme in casi eccezionali o
quando era necessario eleggere il Comitato. Questi incontri erano tenuti all’insaputa del resto
del movimento, e il Comitato era eletto con voto segreto. Esso era una sorta di sancta
sanctorum del movimento. Ufficialmente nessuno sapeva chi ne facesse parte. Solo una
persona faceva da tramite tra le assemblee e il Comitato, e questa persona era Alexander42. I
compiti del Comitato erano fornire propagandisti per il lavoro dei circoli, procurare testi, stabilire
contatti con altre città o anche con l’estero, e reperire fondi. Esso aveva il diritto di cooptare
chiunque fosse ritenuto utile, senza chiedere il permesso alla skhodka. 43

Ciò di cui parla Blum era ovviamente solo il sistema di una città. Tuttavia la sua descrizione
può essere presa come esempio plausibile del sistema che alla metà degli anni ’90 si applicava
ovunque i socialdemocratici fossero sufficientemente organizzati.
Nel movimento non tutti furono particolarmente contenti della nuova forma gerarchica di
organizzazione. La forte prevalenza degli intellettuali al vertice, eredità della storia sociale
rivoluzionaria russa, fu prodotto più delle circostanze che di una scelta, e da ciò non derivò
un’impostazione intellettuale da parte di chi si atteneva strettamente all’ideologia marxista: erano i
lavoratori, e non gli intellettuali, i protagonisti del futuro. In varie occasioni lavoratori di Minsk,
Kovno e anche Vilna sfidarono il “dispotismo” degli intellettuali in nome della democrazia
organizzativa e nel senso dell’obbligo da parte degli intellettuali di educare la classe operaia.
Né queste posizioni furono considerate erronee dagli intellettuali. Kremer, per esempio,
chiedeva maggiore rappresentatività nei comitati. Dopotutto erano gli agitatori-operai che
dovevano “sentire l’umore delle masse”. Parimenti Kopelson sosteneva che la teoria ponesse i
lavoratori al vertice del movimento; era solo perché gli intellettuali si erano organizzati per primi
che avevano la direzione dell’attività. In ogni caso, nel corso degli anni sempre più lavoratori
entrarono nei comitati e in altri ruoli di responsabilità del movimento.

42
Kremer
43
Hillel Katz, Zikhroinos fun a Bundist, 1901

36
Vari gruppi e singoli al di fuori della struttura ne supportavano le attività. Le biblioteche
private come quella di Litvak furono mantenute a lungo, per l’educazione dei lavoratori e dei semi-
intellettuali; e anche molti kase allestirono delle biblioteche per i propri membri. Tuttavia, quando
comparvero i lavori in yiddish di Peretz, Pinsky e altri scrittori di temi operai, il movimento dovette
cambiare i propri metodi di divulgazione. Spesso ai margini della legalità, questi testi dovevano
essere diffusi rapidamente. Questo divenne il compito di determinati gruppi di lavoratori, che
gestivano personalmente il materiale scritto e la distribuzione invece di affidarsi ai venditori
ambulanti di libri.
Una delle più note di queste organizzazioni periferiche fu il Comitato per il Dialetto, creato a
Vilna nel 1895 per “diffondere buona letteratura tra i lavoratori ebrei, reperire biblioteche operaie
per gli ebrei delle province, e far circolare libri scientifici popolari e lavori letterari in lingua
yiddish”44. Il Comitato aveva sezioni a Minsk, Bialystok e altre città. Alcuni dei più importanti
pionieri parteciparono alle sue attività, tra cui Rosenthal, Kremer, Izenshtat, Kopelson e Tsila Kils,
che più tardi divenne moglie di Gozhansky. Anche Litvak e altri semi-intellettuali vi presero parte.
Una delle maggiori attività del comitato fu la pubblicazione di libri legali. All’inizio essi furono
stampati a Varsavia nella tipografia di proprietà di Abraham Kotik, socialista di vecchia data. In
seguito parte del lavoro di edizione fu compiuto a Berlino. Il Comitato per il Dialetto svolse
un’importante funzione nel movimento fino al 1898, quando i socialdemocratici trovarono un
sistema migliore per conseguire i propri scopi. In più, esso contribuì a creare un ambiente
indipendente per il movimento.

Sviluppo del movimento. La decisione dei pionieri di collegarsi alle lotte economiche fu
una scelta felice per la crescita e lo sviluppo del Bund. Da allora gli interessi dei lavoratori e gli
interessi del movimento rivoluzionario furono visti come un tutt’uno. L’attenzione ora fu rivolta ai
bisogni pratici e immediati dei lavoratori. La Lettera agli agitatori di Gozhansky aveva già
puntualizzato le richieste che i lavoratori avrebbero meglio compreso: riduzione di orario, aumento
di salario, puntualità e precisione nei pagamenti, migliori condizioni igieniche sul lavoro, botteghe
riscaldate d’inverno, pasti migliori per gli apprendisti e un migliore trattamento da parte degli
imprenditori. Gozhansky suggerì che il coinvolgimento su piccole conquiste sarebbe stata la via
migliore. I lavoratori sapevano cosa non andava nella loro situazione, anche se non erano in grado
di articolare le proprie rivendicazioni, e avrebbero considerato come ragionevole la protesta per un
obiettivo minimo. Il segno distintivo della richiesta della giornata di dodici ore, che aveva così
coinvolto i lavoratori di Vilna (e successivamente di altre città), fu la sua completa legalità; essa
non richiese da parte dei lavoratori una rottura traumatica nella tradizionale abitudine di obbedire
alle leggi. Per di più sembrava esservi una scarsa dose di rischio per il singolo lavoratore nel
chiedere un qualcosa già stabilito per legge. Alla fine, se non altro, la mancata applicazione della
legge avrebbe trasmesso ai lavoratori una preziosa lezione: l’unità di intenti tra governo e padroni.
Per lo più sulla base di tali rivendicazioni parziali, tra il 1894 e il 1897 il movimento operaio
ebraico organizzato crebbe costantemente. Gli incrementi più consistenti si ebbero a Vilna e
Minsk, ove la socialdemocrazia compì il percorso più ampio tra i lavoratori ebrei prima della
fondazione del Bund. Sebbene i dati a nostra disposizione per quelle città non siano completi,
tuttavia abbiamo degli elementi indicativi sulla crescita dei kase laggiù:

tab.2: numero delle attività professionali organizzate e dei lavoratori organizzati


Anno Vilna Minsk
1894 11 - 4 220
1895 16 500 15 870
1896 27 962 21 912
1897 - 1.500 - 1.000
fonte: Arkady Kremer, Arkady: Zamlbukh tsum andenk fun Arkady Kremer, 1942

Il movimento operaio organizzato sotto la guida socialdemocratica ottenne incrementi


anche altrove, invero meno consistenti ma ciononostante significativi. Secondo statistiche
presentate al Congresso di Londra dell’Internazionale, nel 1896, Varsavia e Smorgon videro a loro
volta una crescita elevata; i quattro gruppi ebraici insieme affermarono di assommare a 3.000

44
A. Litvak, Di Zhargonishe Komitetn, 1921

37
membri circa. Il primo congresso del Bund l’anno successivo incluse delegati di Bialystok e
Vitebsk, e le loro organizzazioni erano considerate importanti.
I socialdemocratici ebrei ebbero particolare successo nell’organizzare i lavoratori delle
fabbriche di spazzole e delle concerie, che erano per lo più imprese di piccola scala con meno di
50 addetti. Città come Volkovyshky, Krinki, Kreslavka e Smorgon, dove queste manifatture erano
diffuse, divennero centri di attività socialdemocratica alla metà degli anni ’90. L’attività
organizzativa in queste città si svolgeva tendenzialmente su tutto il tessuto industriale, invece che
sulla singola fabbrica come nelle città più grandi.
Nonostante tutto, la crescita dell’attività operaia non può essere attribuita soltanto ai
sociademocratici. A Bialystok, per esempio, i lavoratori ebrei delle fabbriche avevano combattuto i
loro padroni ancor prima della presenza di organizzazioni socialdemocratiche in città. Ad esempio,
circa 3.000 ebrei si erano uniti a migliaia di altri lavoratori del settore tessile in uno sciopero del
1895, ma secondo le stime di Mill due anni dopo vi erano ancora soltanto 1.000 persone nel
movimento organizzato di Bialystok. In questo caso furono i lavoratori a spingere i
socialdemocratici all’azione, piuttosto che il contrario. Né questo fu un caso isolato. Nelle concerie
e nelle fabbriche di spazzole il movimento operaio fu creato in larga parte dai lavoratori stessi.
Lo sciopero continuò ad essere l’arma principale dei lavoratori nella lotta economica. Nei
settori organizzati, quando un kase diventava forte abbastanza i lavoratori presentavano le proprie
richieste al padrone e se questi non le accoglieva scendevano in sciopero. A metà del decennio gli
scioperi si susseguirono numerosi. Tra il 1894 e il 1897 a Minsk vi furono almeno 54 scioperi. Vilna
fu teatro di un conflitto ancora più accentuato, con 56 scioperi nell’arco di un biennio (1895 – 96).
Vi furono anche numerosi scioperi nelle città ove la fabbricazione delle spazzole era un’attività
importante. A parte alcuni brevi periodi di pausa, essi aumentarono durante tutto il triennio.
Il movimento di massa si dimostrò molto efficace nel raggiungere alcune conquiste
economiche. Dal 1896 la giornata lavorativa era stata diminuita in alcuni settori di un lasso di
tempo variabile da una a tre ore. I livelli salariali crebbero considerevolmente tra il 1894 e il 1897, a
volte raddoppiando nel triennio. La maggior parte degli scioperi erano per la riduzione di orario e
l’aumento di salario, ma i lavoratori erano disposti a protestare anche per questioni minori, come il
comportamento offensivo e violento dei padroni o le condizioni igieniche. I nostri dati sul numero
delle agitazioni effettivamente svoltesi nel periodo sono incompleti, ma da quel che sappiamo i
lavoratori ebrei sembra che abbiano vinto circa il 75% degli scioperi. Tuttavia queste conquiste non
furono tutte definitive; in molti casi ai risultati faticosamente ottenuti seguirono tempi più difficili.
In questa atmosfera di crescente attivismo operaio i lavoratori divennero sempre più
consapevoli dei propri problemi e bisogni comuni, e dalla metà degli anni ’90 il movimento di
massa iniziò a sembrare qualcosa di più di una formula teorica. I gruppi socialdemocratici ebbero
un ruolo molto importante nel promuovere la crescita del senso di solidarietà tra i lavoratori. A
Minsk per esempio, dove i lavoratori più consapevoli facevano parte della skhodka centrale, nei
settori non organizzati furono inviati degli agitatori, per promuovere il percorso dell’unità. Ove era
possibile le organizzazioni si aiutavano reciprocamente, sia dentro la stessa città che da una città
all’altra. A Vilna quasi la metà dei 500 rubli spesi dai kase negli scioperi del 1895 – 96 furono
impiegati per sostenere scioperi di altri settori lavorativi. Nel 1897 gli scioperanti di Krinki chiesero
e ricevettero aiuto dall’organizzazione di Bialystok.
Quando i lavoratori di Vilna e Minsk scioperarono a sostegno di loro compagni licenziati
perché appartenenti ai kase o per essersi a loro volta astenuti dal lavoro, dimostrarono la
comprensione del significato della lotta unitaria, e la volontà di pensare al di là dei propri benefici
immediati. Per scioperare sevivano disciplina e convinzione, poiché molti lavoratori vivevano al di
sotto del livello di sussistenza, e in linea di massima i kase non potevano compensare il salario
perduto durante gli scioperi.
Incoraggiati dal successo delle loro azioni, i socialdemocratici decisero di estendere il
lavoro al di fuori della città e dei suoi dintorni. In realtà il movimento si stava già espandendo nella
misura in cui i lavoratori erano ricollocati in altre città. Ma ora membri del movimento vennero
inviati in altre zone con il preciso intento di diffondere il messaggio rivoluzionario.
“Colonizzazione” e Conferenza di Minsk. Questa decisione fu presa a un incontro
nell’agosto 1894 tra i principali esponenti del Gruppo, nel quale fu stabilito che la “cooperazione
più stretta con organizzazioni operaie ebraiche di altre città” era il “passo logico successivo”. Di lì a
poco alcuni pionieri di Vilna, sia lavoratori che intellettuali, lasciarono la città per andare a formare
organizzazioni operaie altrove, un processo che prese il nome di “colonizzazione”. Mill, Tsivia

38
Hurvich (un’operaia molto attiva) e Leon Goldman (membro di un’intera famiglia di rivoluzionari)
andarono a Varsavia e divennero dirigenti di spicco di quel gruppo locale. Furono attivisti di Vilna a
fondare l’organizzazione socialdemocratica a Bialystok, tra essi Blum e Gozhansky. Altri lavoratori
di Vilna che parteciparono all’organizzazione dell’attività a Bialystok furono Abraham Baskin, Albert
Zalkind e Shaine Raizel Segal. Pavel Berman contribuì alla ripresa dell’attività a Minsk, ove
all’inizio degli anni ’90 vi era stata una flessione. Molte altre città poterono usufruire sul contributo
all’attività rivoluzionaria da parte di nuove leve provenienti da Vilna negli anni 1894 – 96. La
colonizzazione pose di fatto l’organizzazione di Vilna a capo della socialdemocrazia ebraica nelle
province nordoccidentali della Zona e in Polonia. Nessun altra organizzazione era attrezzata come
il Gruppo di Vilna in quanto a contatti personali e comune visione del lavoro da svolgere.
Nel giugno del 1895 dei delegati di Vilna e Minsk si incontrarono a Minsk, e qui fu compiuto
il primo passo per una linea di azione comune verso i problemi sul campo e il modo di affrontarli.
Questo incontro, noto come Conferenza di Minsk, fu uno dei primi passaggi dell’elaborazione
sull’ampliamento del movimento e sul ruolo svolto dai coloni di Vilna in quel tentativo. Sebbene i
delegati di Minsk iniziassero l’incontro parlando del blocco degli scioperi nella loro città, le
discussioni non si limitarono a questo singolo tema. Pavel Berman, uno dei dirigenti
socialdemocratici nella città, fece parte della delegazione di Minsk alla conferenza.
Il tentativo di sviluppare un approccio unitario al movimento di massa è degno di nota da
due punti di vista: in primo luogo perché fu il primo passo in quella direzione, e in secondo luogo
perché la coordinazione non fu raggiunta attraverso una procedura amministrativa o un autorità
centralizzata bensì attraverso l’unità di intenti. Il Gruppo di Vilna ebbe buon gioco nel creare una
rete di nuclei socialdemocratici che avrebbero lavorato bene insieme perché erano guidati da
uomini e donne che si conoscevano e avevano fiducia reciproca. Per comprendere il carattere e la
vitalità del Bund, è necessario tenere presente l’importanza di questa tappa intermedia.

Reazioni allo sviluppo del movimento. Mentre il movimento operaio ebraico cresceva e
si rafforzava negli anni ’90, altrettanto fece l’opposizione ad esso. Le attività delle nuove
organizzazioni accentuarono le tensioni sociali entro la comunità ebraica e ne generarono di
nuove. Non solo i gruppi di lavoratori incontrarono la resistenza da parte dei poteri costituiti della
comunità, ma anche molti operai si mostrarono ostili. E anche lo stato mostrò una crescente
preoccupazione man mano che il movimento diventava sempre più visibile.
I socialdemocratici ebrei introdussero nei lavoratori ebrei un nuovo modo di pensare. Il tono
aggressivo, il contenuto laico, e gli obiettivi economici del marxismo rappresentavano una sfida ai
fondamenti della comunità ebraica – religiosi, economici e sociali. In realtà, le vecchie istituzioni
ebraiche erano state già scosse seriamente nei decenni immediatamente precedenti, e lo stile di
vita degli ebrei stava chiaramente mutando. Ma il cambiamento era lungi dall’essere completo a
metà degli anni ’90, e molti non volevano che procedesse oltre. Anche chi era disposto ad
accettare delle modifiche alle tradizioni si oppose decisamente alle soluzioni radicali dei
socialdemocratici.
Il cambiamento in corso nella relazione economica tra datore di lavoro e salariato rese
difficile il mantenimento del contesto della giustizia tradizionale. I lavoratori ora combattevano i
padroni con intensità, con le armi, e su una scala sinora sconosciuta alla comunità. Da un punto di
vista soltanto economico, i nuovi metodi e scopi del movimento organizzato resero impossibile il
mantenimento dell’unità sociale degli ebrei. Gli imprenditori cominciarono a guardare allo stato per
avere appoggio o cercarono di ottenere i favori per sè e la condanna nei confronti dei lavoratori da
parte dei leader religiosi. Laddove una volta vi erano state soltanto tensioni sporadiche nella
comunità, ora vi era un crescente e aspro scontro lungo linee di classe.
Puntando sulla crescita della coscienza di classe rivoluzionaria, i socialdemocratici fecero
quanto potevano per approfondire queste divisioni. Inevitabilmente la loro dottrina della lotta di
classe si scontrò coi dogmi dei rabbini, i reali depositari dell’ordine costituito. I socialdemocratici
sfidarono l’autorità dei leader religiosi, accusandoli di supportare i nemici di classe dei lavoratori,
ovvero i padroni.
Un famoso episodio illustra l’aperto conflitto tra il vecchio ordine e il nuovo. Il problema si
manifestò in occasione di uno sciopero in una fabbrica di tabacco di Vilna nel 1895. La polizia,
apparentemente cercando una via d’uscita pacifica, spinse un predicatore a parlare agli
scioperanti. Egli obbedì, ma invece di porre fine alla protesta peggiorò la situazione criticando
apertamente i lavoratori nella sinagoga. Non solo stavano infrangendo la legge, disse loro; stavano

39
anche arrecando un danno al popolo ebraico nel suo complesso. A causa loro, il governo ora
avrebbe considerato tutti gli ebrei come sovversivi. Se fossero tornati al lavoro, concluse, egli
poteva promettere che non sarebbero stati licenziati. Dire che i lavoratori non presero bene la
predica è un eufemismo: essi reagirono zittendo il predicatore, un fatto inedito che produsse
grande clamore in città.
Il Gruppo di Vilna considerò questo fatto tanto rilevante che impiegò le proprie scarse
risorse per dare alle stampe uno speciale opuscolo sull’accaduto: Il predicatore della città (Der
shtot magid)45. Secondo il punto di vista del Gruppo, i leader religiosi avevano suscitato il
disappunto dei lavoratori. Era “un’umiliazione per il tempio” lasciarsi coinvolgere dalla parte dei
padroni. Per di più:

Se è un diritto per coloro che sono stati scelti dalla comunità portare la lotta dei capitalisti
contro i lavoratori dentro al tempio, per favorire i padroni, dovrebbero dunque tacere i
lavoratori?...Non c’è più un singolo popolo ebraico…Il grande popolo ebraico è diviso in due
classi la cui inimicizia è tale che non cessa per rispetto dei luoghi sacri…e neanche nonostante
la forza e la crudeltà dell’onnipotente polizia zarista. 46

Chiaramente il vecchio ordine non era più al sicuro.


Gradualmente la comunità ebraica nel suo complesso giunse a conoscere il movimento, e
ad opporvisi. A giudicare dai termini usati (“filosofi” a Vilna, “patrioti tessitori” a Bialystok,
“caritatevoli” a Brest) l’atteggiamento prevalente verso di loro fu di mite e beffarda
condiscendenza. Ma vi furono critiche più aspre e nomignoli meno amichevoli, come “scapestrati”.
In alcuni casi la reazione andò oltre il semplice appellativo. In una località, ad esempio, alcuni
attivisti che erano in ritardo per lo shabbat a causa di una riunione fuori città furono presi a sassate
da alcuni abitanti infuriati.
I padroni reagirono alla militanza operaia licenziando i lavoratori in sciopero, che erano
facilmente rimpiazzati in quel periodo di forte inurbamento. Se la forza lavoro locale terminava,
dovevano soltanto rivolgersi alle aree esterne alla città. I padroni a loro volta svilupparono una
propria forma di solidarietà reciproca, aiutandosi finanziariamente, condividendo le informazioni
sugli scioperanti e preparando elenchi di quelli conosciuti. Ma avevano anche altre e più potenti
armi a loro disposizione: il sostegno ufficiale della polizia, con la sua ufficiale violenza. A volte essi
ricorsero anche al terrore, assoldando teppisti per attaccare i lavoratori.
Nel frattempo, l’atteggiamento del governo verso il crescente conflitto economico stava
cambiando. All’inizio i lavoratori cercavano di ottenere i loro scopi attraverso mezzi legali, come
quando si erano rivolti alle autorità per l’applicazione della legge sulla giornata lavorativa di dodici
ore. Nella maggior parte dei casi queste richieste non venivano accolte, anche se alcuni funzionari
si mostravano aperti. La polizia di Grodno, per esempio, diramò un rapporto nel 1897 nel quale
riportava le richieste dei lavoratori ebrei, e arrivava a criticare i padroni perché questi ultimi a ogni
protesta contro lo sfruttamento davano un colore politico. Ma anche quando le autorità
intervennero a sostegno dei lavoratori, l’appoggio che essi ottennero non fu né solido né durevole.
In ogni caso l’intervento della polizia fu per lo più contro i lavoratori che contro i padroni, anche
nelle prime fasi delle mobilitazioni. Le minacce di arresto o l’effettiva detenzione degli scioperanti
per alcuni giorni erano un fatto comune. Una punizione più severa era il bando dei lavoratori dalle
loro città natali.
Quando il movimento cominciò a crescere in dimensioni e a riflettere l’influenza e
l’organizzazione socialdemocratica, l’opposizione della polizia locale e dei rappresentanti industriali
si fece più dura. Dal 1895 ogni singolo sciopero a Minsk fu perseguito. Nel 1896 e 1897 il numero
degli arresti crebbe notevolmente. L’uso di spie per individuare gli agitatori e i membri in vista del
movimento divenne pratica comune. Tuttavia le spie erano riconosciute come tali dai lavoratori-
attivisti. Una spia di Vitebsk era nota a membri del movimento come “un ladro di professione,
specializzato nel furto dei cavalli”. Rispetto all’inizio, quando le agitazioni operaie provocavano

45
L’opuscolo originale fu ciclostilato. Una versione a stampa fu pubblicata due anni dopo, nel 1897. Agursky crede che
l’opuscolo sia opera di Martov, il quale nello stesso periodo scrisse un articolo sul medesimo sciopero. Ma io concordo
con Cherikover, che ritiene che il linguaggio e l’argomento lascino pochi dubbi sul fatto che l’autore sia Gozhansky;
egli conosceva la lingua e la cultura yiddish, mentre Martov no. Cherikover ritiene anche che l’opuscolo fu quasi
interamente tradotto dall’yiddish al russo.
46
In Sh. Agursky, Di sotsialistische literatur oif yidish in 1875 – 1917, 1935

40
soltanto una repressione sporadica, il regime ora vedeva gli scioperi non soltanto come
espressione di semplici dispute tra padroni e salariati.
I rapporti di polizia dove i pionieri del Bund operavano indicano che il governo era venuto a
conoscenza dell’esistenza di un movimento organizzato. Da Vilna, Minsk, Grodno e altre province
provenivano resoconti sulla struttura dei partiti rivoluzionari e le loro tattiche. Alla polizia non sfuggì
il passaggio dagli scioperi isolati, “convocati autonomamente l’uno dall’altro”, a uno sforzo collettivo
reso evidente dal lavoro degli agitatori e dagli opuscoli, dalle minacce rivolte ai padroni e dai
tentativi di organizzare settori non ancora coinvolti. Da Grodno il Governatore Batiushkov si affrettò
a sottolineare: “Sono costretto ad affermare che i disordini tra i lavoratori delle fabbriche
avvengono in particolar modo per quanto riguarda gli ebrei”47. Non ci poteva attendere che lo stato
assistesse a questi sviluppi senza reagire.
Dal 1897 il movimento degli scioperi nella Zona, come in tutta la Russia, aveva attirato
l’attenzione dei più alti livelli del governo. Il ministro degli Interni Goremykin vide nella crescita e
nuova disciplina degli scioperi il lavoro di “società rivoluzionarie segrete”. Una circolare ministeriale
diffusa il 12 agosto di quell’anno descrisse il movimento e si raccomandò che la polizia e le altre
forze armate governative lavorassero a stretto contatto ovunque vi fosse evidenza di agitazioni
operaie. Particolare attenzione, diceva il documento, andava posta ove degli intellettuali fossero in
contatto coi lavoratori. Lo stato, rendendosi conto di fronteggiare un movimento in crescita e
disciplinato, iniziava a preparare un assalto coordinato contro la nuova minaccia.

Nuovi stili di vita. I giovani rivoluzionari ebrei adottarono un nuovo stile di vita, conforme
alle loro nuove aspirazioni. Il risultato fu un ulteriore scossone alla struttura della comunità ebraica.
I legami familiari si indebolirono, e la gerarchia occupazionale consolidata, una tempo decisiva per
lo status nella comunità, venne meno. La rottura con il passato tuttavia non fu totale: come la
khevrat aveva avuto un ruolo nella formazione del kase, così le tradizioni religiose e sociali
trovarono nuove forme di espressione nel movimento rivoluzionario, forme provenienti tanto dalle
masse che dagli intellettuali.
A parte gli intellettuali-pionieri, con la loro sete di conoscenza, molti ebrei soprattutto di
bassa estrazione economica e scolastica non avevano interesse per l’insegnamento laico. Per loro
l’educazione tradizionale, che conducesse se possibile al prestigioso ruolo di tutore, maestro o
anche rabbino, era al di sopra di tutto. Così il desiderio di scoprire il mondo esterno incontrò una
forte resistenza intrafamiliare. Lo scontro generazionale causò spesso forte sofferenza sia nei figli
che nei genitori. Il caso di Blum fu quasi emblematico. Quando egli disse ai genitori che voleva
dedicarsi a una professione e non diventare melamed (insegnante di religione) come era stato
programmato, suo padre reagì aspramente: “Vuoi fare il sarto? Altrove, non a casa mia!”. Tuttavia
ciò che per una generazione sembrava una tragedia, per un’altra rappresentò una liberazione.
Un’altra rottura anche più drammatica con la tradizione fu l’adesione delle donne al
movimento. Le donne formarono una componente fondamentale sia dell’intellighenzia che della
forza lavoro organizzata nei kase. In una società dove l’autorità paterna era forte, le donne
vivevano sotto maggiori regole e ristrettezze rispetto agli uomini. Non era infrequente che le figlie
della borghesia assimilata frequentassero scuole statali e università. Ma tra le famiglie ebraiche
delle classi subalterne la sola idea di educare la donna più del necessario alla preghiera era fuori
questione. In queste famiglie la rottura con la vecchia generazione fu decisiva. E’ facile
immaginare lo shock dei genitori nell’apprendere che le loro figlie partecipassero a riunioni
clandestine di notte o al sabato. La vita domestica era probabilmente difficile per una giovane
donne che si unisse al movimento. Qualora fosse stata scoperta, sarebbero seguiti i rimproveri, se
non le percosse. Il passaggio graduale verso l’emancipazione delle donne fu un vero trauma per la
vita sociale ebraica.
Alienate dalle loro case, le giovani rivoluzionarie trovarono una nuova famiglia nel
movimento stesso. La fratellanza tra compagne sostituì l’amore filiale, e la nuova fede quelle
vecchie. La solidarietà delle militanti più anziane accoglieva le nuove leve, dando loro forza e a
volte anche aiuto economico.
Tra le attiviste si sviluppò una particolare moralità. Le giovani donne cercavano
l’uguaglianza nel movimento rivoluzionario. Molte iniziarono a considerare gli apprezzamenti
sull’aspetto fisico come fuori luogo e frivoli, e le considerazioni sulla sicurezza come più importanti

47
ibidem

41
di quelle emotive e personali. L’idealismo dei nuovi adepti e il modo quasi religioso col quale si
approcciavano al lavoro portarono a una sorta di purezza – sia nel linguaggio che nell’aspetto che
nelle relazioni interpersonali. Quando qualcuno del movimento si sposava, racconta Blum, “era
guardato come un ex-rivoluzionario”. Gli intellettuali non avevano questi scrupoli: i matrimoni tra
compagni erano frequenti e non destavano alcun problema.
Il senso di appartenenza fu rafforzato dall’uso di una sorta di appellativo: bekante
(conoscente) nei primi anni, khaver (compagno) in seguito. Alle celebrazioni del Primo Maggio i
giovani rivoluzionari iniziarono a usare il colore distintivo della rivoluzione, ostentando
orgogliosamente il rosso delle loro camicie, dei loro fiori, delle loro bandiere.
Molti aspetti della vita tradizionale ebraica si rimescolarono nel movimento rivoluzionario. Il
calendario delle festività ebraiche, per esempio, rimase in vigore durante il periodo del Bund. Il
canto, una parte importante del rituale religioso ebraico, divenne un’importante momento
cerimoniale anche nel movimento di massa. Nel 1896 i semi-intellettuali crearono quello che è
considerato il primo inno rivoluzionario ebraico moderno, Il giuramento. Il più famoso inno del
Bund, anch’esso chiamato Il giuramento, fu composto nel 1902 da Shlomo Ansky (vero nome
Shlomo Zanvil Rappoport), uno scrittore ebreo russo che una volta era segretario di Piotr Lavrov. I
vecchi circoli rivoluzionari avevano i loro canti, ovviamente; ma ora l’esecuzione de Il giuramento
divenne un vero e proprio cerimoniale, più simile al rituale religioso ebraico. Si trattava di un
importante elemento di disciplina interna. Per i lavoratori, cantare l’inno era un momento solenne,
da compiere a mani unite e a volte anche con il siddur48 o il tallèd49. Per loro una semplice
descrizione della lotta di classe non poteva sostituire una dichiarazione di fede.
Come ci si può attendere, il vecchio e il nuovo non sempre si mescolarono facilmente,
soprattutto alla base del movimento. Le vecchie abitudini erano dure a morire nei kase. Gli uomini
non volevano avere a che fare con le donne, per ragioni economiche50 e anche sociali. Occorre
tenere presente l’intero insieme delle relazioni esistenti nei luoghi di lavoro con la crescita dei kase
per gli scioperi. Le condizioni nei luoghi piccoli erano particolari e complesse. Non solo vi erano
questioni come l’apprendistato, il cottimo, il lavoro stagionale, il lavoro domestico, la competizione
tra i lavoratori e la situazione finanziaria dei padroni, dice Kremer: “vi era anche il problema delle
donne che lavoravano nelle sartorie dove erano cuciti gli abiti femminili – in quei luoghi le donne
erano assistenti degli uomini, e le relazioni reciproche erano cattive”51. Questi problemi di
competizione e status si risolsero a rilento, anche laddove il movimento si era affermato.

La propaganda: nascita dei periodici. Gli intellettuali naturalmente miravano a fare di più
che migliorare le condizioni dei lavoratori; volevano convertirli alla propria visione marxista del
mondo. Ma divenne presto chiaro che i loro sforzi di educare le masse sarebbero stati vanificati
dalla mancanza di materiale di propaganda in yiddish. La produzione di questo materiale divenne
una priorità. All’inizio il Gruppo dipese largamente dalla crescente quantità di scritti di alcuni autori
yiddish impegnati, e dagli sforzi di un pugno di semi-intellettuali e di intellettuali. Gozhansky, in uno
dei suoi primi scritti intitolato Una disputa sulla fortuna (A vikuak vegn mazel) si soffermò sulla
barriera psicologica della rassegnazione che portava alla passività del lavoratore ebreo. L’eroe di
Gozhansky controbatte agli argomenti del fatalista (“Siamo poveri e quindi resteremo poveri…Chi
ha fortuna non ha bisogno di qualità e, al contrario, chi è destinato a essere sfortunato non può
farci nulla”) con una spiegazione dei rapporti di causa e effetto in economia, e insiste sul potere del
lavoratore di cambiare la propria vita. In un altro lavoro, Memorie di un fabbricante di sigarette
(Erinerungen fun a papirosen-malherke), Gozhansky trattò una vicenda di fabbrica e alcuni
pungenti problemi come il crumiraggio. I generi attraverso i quali i socialdemocratici comunicavano
i loro messaggi divennero assai vari.
A causa dell’urgente necessità di testi, i socialdemocratici furono costretti a tornare a fonti
non marxiane e non di movimento, proponendo ai lavoratori i più diffusi prodotti letterari yiddish.
Libri come Ferie di festa (Yomtov bletlakh) di Peretz davano ai lavoratori almeno un’idea della
propria condizione. Le opere letterarie in yiddish erano molto popolari e rappresentavano

48
Il libro delle preghiere quotidiane degli ebrei.
49
Definito anche “scialle di preghiera”, una specie di mantello rettangolare, solitamente di lana, seta, lino o cotone, di
varie grandezze, più o meno decorato e dotato obbligatoriamente di frange ai quattro angoli e solitamente anche sui due
lati più corti.
50
Le donne erano sottopagate e gli uomini temevano di vedere a loro volta diminuito il proprio salario.
51
Arkady Kremer, Arkady: Zamlbukh tsum andenk fun Arkady Kremer, 1942

42
un’importante fonte di materiale propagandistico (nonostante certe riserve da parte degli
intellettuali-pionieri sul socialismo di Peretz, che essi consideravano troppo vago e troppo diverso
dal loro).
Non molto prima il Gruppo di Vilna aveva iniziato a considerare l’idea di creare giornali e
organi di stampa. I delegati alla Conferenza di Minsk del 1895 discussero la possibilità di
modificare le pubblicazioni locali e del bisogno di un organo scritto – un segno molto importante
verso un’impostazione rivoluzionaria. Tuttavia una prevista riunione di lancio non fu mai convocata.
Il primo timido tentativo di una diffusione regolare di informazioni a Vilna fu nel 1894, quando un
foglio scritto a mano intitolato Naies fun Rusland (Notizie dalla Russia) apparve per breve tempo.
Sembra che il progetto fu abbandonato dopo il quinto numero. Un tentativo più concreto fu il
Arbeter bletl (Foglio operaio) di Minsk, un foglio ciclostilato che apparve nel 1897; furono pubblicati
nove numeri, in una quantità tra le 50 e le 80 copie ciascuno. Anche se non molto positivi, questi
primi tentativi diedero agli attivisti quella competenza che in seguito avrebbe loro permesso grandi
risultati.
Il Gruppo di Vilna iniziò a diffondere opuscoli a stampa nel 1895. Tramite Joseph Pilsudski,
futuro capo dello stato polacco, gli attivisti di Vilna presero contatto coi socialdemocratici ebrei
galiziani a Lemberg e fecero in modo che i loro primi materiali venissero stampati laggiù. Altri testi
erano stampati in Svizzera o Germania grazie alla collaborazione dei socialdemocratici russi in
quei paesi. Una volta che furono presi gli accordi un buon numero di opuscoli, sia traduzioni che
lavori originali, iniziarono a diffondersi nella Zona.
Nel dicembre 1896 comparve il primo numero de Il lavoratore ebreo (Der Yidisher Arbeter).
Stampato all’estero in quantità di 1.000 copie, era scritto a Vilna e distribuito da là. Vladimir
Kosovsky svolse buona parte del lavoro di redazione e edizione nei primissimi anni. Due anni dopo
il giornale divenne l’organo del Centro Estero del Bund e fu pubblicato fino al 1904.
La comparsa di Der Yidisher Arbeter segnò l’inizio di un’organizzazione altamente
coordinata per gli standard russi. Come spiegato nell’editoriale di presentazione, i
socialdemocratici di Vilna ora riconoscevano che il movimento si era sviluppato oltre il livello locale
e i bisogni di pochi gruppi isolati. Essi intendevano educare i lavoratori, diceva l’editoriale; mostrare
loro che i kase erano un esempio di forza proletaria e spiegare le necessità e gli obiettivi politici del
movimento – il tutto in contrasto all’approccio quotidiano, di breve periodo, “finchè i singoli gruppi
di militanti separati del proletariato ebraico non si uniranno in un’unica organizzazione socialista
dei lavoratori”.
Uno dei più notevoli risultati in questi anni fu la creazione de La voce dei lavoratori (Die
Arbeter Shtime) nell’agosto 1897. Opera di lavoratori e semi-intellettuali, il giornale dava prova non
solo del loro entusiasmo per la causa ma anche della loro ingenuità, in quanto venne stampato in
Russia, sotto il naso degli ignari intellettuali-pionieri, in una tipografia clandestina allestita da Israel
Mikhel Kaplinsky52. Gli intellettuali presto si impadronirono del giornale facendone l’organo del
Comitato Centrale del Bund al congresso di fondazione; esso mantenne tale funzione fino al 1905,
quando la pubblicazione fu interrotta.

A partire dal 1897 il movimento di massa non era più solamente un sogno degli intellettuali;
era una forza con la quale confrontarsi. Migliaia di lavoratori ebrei si erano uniti ai kase o avevano
simpatia nei loro confronti. Migliaia erano almeno diventati consapevoli delle questioni della loro
classe attraverso gli scioperi o la letteratura di movimento. Si era chiaramente radicato un senso di
disciplina e coscienza operaia.
Ma se il movimento di massa era tale da un punto di vista economico, esso risultava ancora
diviso e disorganizzato. La segretezza rimaneva importante e l’appartenenza ai kase era limitata.
Ciononostante l’organizzazione in quanto tale per l’epoca era efficiente. Il movimento poteva
guardare avanti e continuare a crescere – reclutando nuovi lavoratori nei kase, organizzando
nuove professioni, raggiungendo nuove conquiste economiche coi vecchi metodi o trovando nuovi
metodi per far fronte a nuove condizioni in altre città e villaggi.
Di certo gli intellettuali-pionieri potevano essere molto contenti delle loro nuove tattiche.
Erano riusciti a catturare l’immaginazione dei lavoratori e a prospettare loro la possibilità di un

52
Sendor Zeldov, che in seguito descrisse la fondazione del giornale, scrisse la maggior parte del primo numero.
Kaplinsky in seguito lavorò per la polizia zarista e divenne il più celebre provocatore della storia del Bund. Durante il
periodo in esame allestì diverse tipografie clandestine, per il Bund e per altre organizzazioni.

43
cambiamento. La loro visione andava oltre i risultati economici immediati: il movimento da loro
creato era soltanto uno stadio e un veicolo per obiettivi politici più elevati, fino all’eventuale vittoria
rivoluzionaria.
Di tutti gli importanti sviluppi del periodo 1894 – 97, il più significativo per la storia del Bund
fu il consolidamento dell’alleanza intellettuali-lavoratori. Lo spirito di solidarietà tra i lavoratori
organizzati e la direzione, educazione e accresciuta sensibilità degli intellettuali verso i bisogni e le
tradizioni operaie avevano creato qualcosa di oltremodo nuovo: masse di lavoratori disposte a
lottare non solo per il miglioramento della propria condizione ma per il riconoscimento e i diritti ad
essi dovuti come classe. Gli intellettuali erano soddisfatti del fatto di avere una solida base per
espandersi.
Ricordando l’atteggiamento dello stato alla fine degli anni ’80, Shmuel Rabinovich dichiarò
che se avesse detto alla polizia della futura traduzione in yiddish il suo lavoro Chi vive con cosa?,
“essi si sarebbero messi a ridere per la mia immaginazione”53. Possiamo star certi che dopo il
1895 il governo non fosse divertito dalla militanza degli ebrei. Né la comunità ebraica prendeva più
con mite leggerezza la nuova corrente. Le forze sociali e politiche della regione nordoccidentale
della Zona si erano finalmente accorte della presenza del nuovo movimento rivoluzionario.

53
Shmuel Rabinovich, Mit 50 Yor Tsurik, 1939

44
5. IL PRIMO STADIO DEL MOVIMENTO POLITICO

Lotta economica e lotta politica. La mobilitazione politica nella Zona andò molto più a
rilento rispetto a quella economica. E non poteva essere che così, poiché nel lavoro politico non vi
era intermediazione tra i rivoluzionari e lo stato. L’azione politica significava confronto diretto;
nessuno strumento opportuno come la legittima richiesta per una giornata lavorativa di dodici ore
era utilizzabile per tutelare coloro che invocavano la rivoluzione politica. Così, in un’epoca in cui la
lotta economica era pubblica e coinvolgeva un crescente numero di lavoratori, il lavoro politico
rimase clandestino e largamente confinato allo studio e all’istruzione, come quelli praticati nei
circoli alla fine degli anni ’80. Le celebrazioni annuali del Primo Maggio furono certamente atti
politici, ma compiuti clandestinamente e aperti soltanto ai membri del movimento maggiormente
degni di fiducia. In ogni caso, le prime celebrazioni del Primo Maggio furono atti politici assai miti, e
non rappresentarono una sfida aperta al regime.
Dal punto di vista dei socialdemocratici ebrei, le circostanze richiedevano che l’azione
politica fosse intrapresa in un secondo momento. Nonostante l’affermazione di Kremer in
Sull’agitazione che “la conquista del potere politico è l’obiettivo principale del proletariato in lotta”54,
gli intellettuali ritenevano che al proletariato in primo luogo si dovesse insegnare per che cosa
dovesse battersi. Poiché il movimento apparteneva ai lavoratori, a loro si doveva far vedere che la
lotta politica era vitale per i loro interessi. Questa consapevolezza si sarebbe sviluppata
naturalmente, secondo Kremer: “Le idee del socialismo si possono sviluppare solo sulla base della
struttura capitalistica e a un certo livello di sviluppo”55. I lavoratori stavano iniziando a comprendere
la lotta economica, e quella lotta li avrebbe portati inevitabilmente in conflitto con lo stato, poiché
quest’ultimo prima o poi si sarebbe schierato coi padroni, dimostrando la propria ostilità verso la
classe operaia. In sintesi, Sull’agitazione affermava che, data l’immaturità del capitalismo
dell’epoca e la coscienza relativamente limitata dei lavoratori, non era ancora arrivato il momento
storico di fare della lotta politica “l’obiettivo principale”.
Ciononostante i socialdemocratici non potevano astenersi dal pensare ai compiti politici e
alla teoria politica. Dopotutto, i leader consideravano il proprio ruolo a lungo termine come politico,
e il proprio fine ultimo l’educazione e l’organizzazione dei lavoratori per il giorno in cui sarebbero
stati condotti alla lotta politica. Per di più, in quel periodo vi era un certo fermento politico
dell’Impero, e tra i gruppi rivoluzionari e intellettuali circolavano nuovi concetti e idee sul futuro
politico della Russia. Nel considerare tali prospettive, i circoli puramente russi non erano
particolarmente concentrati sui problemi dei vari gruppi etnici del paese. Spettò ai pionieri-
intellettuali focalizzarsi sui problemi specifici della propria comunità, cercando di risolverli e di
spiegarli ai lavoratori ebrei.

L’internazionalismo dei pionieri. Nei primi anni ’90 i socialdemocratici di Vilna erano
internazionalisti; la loro inclinazione politica non era verso la comunità ebraica in quanto tale ma
verso il marxismo in generale, e il marxismo russo in particolare. Quando essi volsero la loro
attenzione verso il lavoratore ebreo, fu per persuaderlo che i suoi interessi erano quelli di tutti i
proletari. “Noi ebrei rinunciamo alle nostre festività e alle nostre credenze, che sono inutili alla
società umana” affermò uno degli oratori alla celebrazione del Primo Maggio 1892 “ci stiamo
unendo ai ranghi dei socialisti, e seguiamo le loro ricorrenze”56. L’introduzione all’opuscolo
contenente i discorsi esortava i lavoratori ebrei a porre l’unità di classe al di sopra della razza e
della fede. Il riferimento a quell’unità e al suo significato per la lotta politica rimasero pietre angolari
dell’ideologia dei socialdemocratici ebrei.
Nonostante l’universalismo, però, la questione dell’identità ebraica doveva essere
affrontata. Nello specifico, quale ruolo doveva giocare il lavoratore ebreo nella lotta generale?
Questa è una questione alla quale alcuni dei lavoratori che parlarono a quel primo Primo Maggio

54
Arkady Kremer, Sull’agitazione, 1894
55
ibidem
56
Pervoe Maia 1892 goda: Chetyre rechi yevreskikh rabochikh s predisloviem, Ginevra 1893

45
attendevano una risposta. Uno chiese: “Se la lotta è imminente, per il lavoratore ebreo come per
tutti gli altri, chi combatterà per lui se egli non combatte per se stesso?”57. Insistendo sulla unità di
classe di tutti i lavoratori, i socialdemocratici ebrei inevitabilmente dovettero confrontarsi con
un’altra questione: la evidente inferiorità sociale e legale degli ebrei. I pionieri semplicemente non
potevano evitare il tema dei diritti politici ebraici. Essi comunque provarono a metterli in secondo
piano, a enfatizzare invece i comuni diritti economici e i problemi politici di classe collegati a questi
ultimi. La “lotta politica nazionale ebraica” scrisse Gozhansky nella Lettera agli agitatori, non era
una lotta esclusivamente ebraica ma una lotta generale di tutti i lavoratori nel corso della quale gli
ebrei avrebbero conquistato i propri diritti58.
Il punto di vista di Gozhansky sembra fosse condiviso dalla maggior parte dei pionieri-
intellettuali, sebbene non avessero una posizione teorica sulla questione nazionale. Comunque la
discussione sull’argomento fu sporadica. Possiamo supporre che Izenshtat espresse l’opinione
della maggioranza del Gruppo quando, in una disputa con dei sionisti locali nel 1892, replicò ai loro
argomenti sulla rinascita nazionale con quelli di Iliashevich delineati pochi anni prima in un ben
noto articolo59.
“L’essenza della storia contemporanea” aveva affermato Iliashevich “non è la lotta
nazionale, ma la lotta di classe”. Erano il sistema economico della Russia e il regime che lo
sosteneva i responsabili delle cattive condizioni del lavoratore ebreo. Il destino del lavoratore
ebreo era legato alla rivoluzione russa; la vittoria di questa sarebbe stata la sua vittoria. Era quindi
compito dei giovani ebrei organizzare il movimento tra gli ebrei e prepararli a combattere un
governo che era disposto a sacrificarli alla rabbia delle masse per salvare se stesso. La gioventù
rivoluzionaria doveva educare gli ebrei, così questi ultimi non sarebbero stati confusi dalle
“dimostrazioni ostili” delle masse russe o dai pregiudizi nazionali di alcuni intellettuali.

Discussioni coi socialisti polacchi. Il cosmopolitismo dei leader socialdemocratici non fu


esente da critiche. Fu inevitabile, data la concentrazione di ebrei in Polonia e Lituania, che
sorgesse la questione dei rapporti politici con i rivoluzionari polacchi, e con essa il tema del
nazionalismo. I polacchi, molto coinvolti nella lotta per i diritti nazionali e desiderosi di avvicinare
altri alla loro causa, fecero molti tentativi di coinvolgere i socialdemocratici. Le questioni che
sollevarono erano complesse – e imbarazzanti. Gozhansky, per esempio, ci racconta come fu per
lui difficile rispondere quando due compagni polacchi gli chiesero di confrontare l’insegnamento del
russo con l’organizzazione dei lavoratori ebrei. Perché, volevano sapere, i lavoratori ebrei avevano
bisogno del russo? Egli era a disagio con una teoria che insisteva su un movimento operaio
internazionale e una realtà che confinava i lavoratori ebrei in un ambiente nazionale. I polacchi
sfruttarono questa difficoltà del Gruppo di Vilna e con le loro questioni evidenziarono la distanza tra
il cosmopolitismo del Gruppo e la specificità culturale dei lavoratori ebrei.
Il pensiero rivoluzionario polacco, almeno come espresso dal programma del Partito
Socialista Polacco (Polska Partija Socjalistyczna o PPS, formatosi nel 1892), fu innanzitutto e
soprattutto nazionalista. Una repubblica polacca indipendente e democratica era uno dei principali
obiettivi del partito. Partendo dai propri assunti e punti di vista, i polacchi vedevano i rivoluzionari
ebrei come minimo in errore. Uno dei critici più diretti fu Josef Pilsudski, figura preminente nel
PPS. Pilsudski deplorò la tendenza del proletariato ebraico “a evitare le questioni politiche in
generale e quelle del movimento socialista polacco-lituano in particolare”60. Questa tendenza
secondo Pilsudski era un grave errore in ogni caso, ma lo era ancor di più a causa delle condizioni
dell’Impero russo. Nel seguire una politica di russificazione, i socialdemocratici ebrei isolavano
completamente il loro movimento dagli altri movimenti locali, rendendo difficile la cooperazione. In
un paese in cui le politiche di russificazione causavano tante sofferenze, dove l’oppressione e le
restrizioni erano usate per rafforzare le prerogative dello stato, nessun socialista aveva il diritto di
rimanere neutrale: “egli non dovrebbe in alcun modo, anche indirettamente, supportare le
aspirazioni reazionarie dell’amministrazione”61. La consapevole russificazione del movimento

57
ibidem
58
Shmuel Gozhansky, Lettera agli agitatori, 1894
59
Ilya Iliashevich, Chto delat’ yevreiam v Rossij? (Cosa dovrebbero fare gli ebrei russi?), 1886. L’autore, meglio noto
come Ilya Rubanovich (1859 – 1920) fu uno dei principali esponenti della Volontà del Popolo (vedi anche cap.2).
60
Przedswit n.4, aprile 1893
61
ibidem

46
ebraico, che Pilsudski considerava rappresentativo dell’intera comunità ebraica, dava aiuto e
conforto al nemico.
Fu poco dopo questo attacco, compiuto nell’aprile 1893, che il Gruppo di Vilna decise di
volgersi all’yiddish per la propria propaganda. Tuttavia, gli assunti su cui Pilsudski basò la sua
critica avrebbero complicato le relazioni tra il PPS e il movimento ebraico per molti anni. Dal suo
punto di vista, ogni abitante della Polonia che giudicava con magnanimità il trattamento subito dai
polacchi nelle mani dei russi era, se non un nemico, almeno da essere disprezzato. Il programma
di russificazione degli Zar in Polonia era non solo politico ma anche culturale, e ogni persona che
in territorio polacco fosse in qualche modo associata con la cultura russa tradiva sia il proprio
paese che il movimento rivoluzionario.
I socialdemocratici ebrei, prodotto del sistema educativo russo e, cosa più importante, del
movimento rivoluzionario russo, vedevano la questione in maniera diversa. Molti di loro, in
particolare gli intellettuali di Vilna, si erano allontanati dal proprio ristretto ambiente ebraico verso la
più ampia società russa. Dunque la loro visione della cultura russa era in termini internazionali e
non nazionali. E inserirono facilmente la cultura russa in questa visione cosmopolita, poiché a
differenza del PPS non vedevano la cultura russa come estensione e strumento della politica
nazionalista degli Zar, bensì come un strumento di accesso al mondo in generale. Mill, che tra i
primi intellettuali-pionieri ebbe più di ogni altro contatti personali coi rivoluzionari polacchi, dice
delle relazioni tra i due gruppi:

I nostri rapporti col PPS furono negativi fin dall’inizio. Non tanto per il loro progetto di
indipendenza della Polonia quanto per i motivi che vi stavano dietro. Noi che guardavamo alla
lotta comune di tutte le organizzazioni socialiste e rivoluzionarie contro lo Zar come alla cosa
più importante…non potevamo facilmente accettare la sfiducia del PPS nei socialisti russi, i loro
dubbi infondati sulla possibilità di una rivoluzione in Russia, il loro linguaggio sciovinista, così
estraneo ai circoli rivoluzionari sino ad allora 62.

In breve, i socialdemocratici ebrei consideravano l’atteggiamento del PPS nazionalista e


divisivo. Da sempre universalisti, essi non volevano essere coinvolti in questo nuovo
campanilismo. Non erano forse la prima generazione in grado di rompere con una delle più chiuse
comunità religiose allora conosciute? Dovevano abbandonare tutto ciò che avevano guadagnato
per una nuova dottrina nazionale, sebbene adornata di elementi socialisti e democratici?
Vi era naturalmente una certa legittimità nella critica di Pilsudski che la neutralità del
movimento ebraico sulla questione polacca fosse sintomo di una mancanza di orientamento
politico. Facendo riferimento a un movimento rivoluzionario russo cosmopolita, i socialdemocratici
ebrei trascuravano la composizione etnica della Polonia e delle province nordoccidentali della
Zona. Il semplice fatto è che, avendo rotto con un tipo di identità nazionale, i pionieri di Vilna
difficilmente potevano avvicinarsi ai polacchi. Accettare il punto di vista polacco sollevava questioni
ancora più complesse. Perché la richiesta di una Polonia indipendente per il proletariato ebraico
era meglio della richiesta di indipendenza ed uguaglianza per tutti gli abitanti dell’Impero russo?
Quale effetto la separazione della Polonia dall’Impero avrebbe avuto sul proletariato ebraico
sparpagliato nelle province della Zona russa? Soprattutto, poteva e doveva un programma polacco
diventare il tema prevalente di un movimento basato sul proletariato ebraico? Alla fine, la risposta
di Mill fu la risposta del Gruppo: la liberazione delle masse ebraiche non risiedeva in una vittoria
polacca, ma solo nella “vittoria delle forze rivoluzionarie e socialiste unite di tutta la Russia,
compresa la Polonia”63.

La comparsa del sionismo. La socialdemocrazia fu solo una delle vie con cui gli ebrei russi
risposero ai pogrom e alle leggi restrittive dei primi anni ’80. Molti erano convinti che non
avrebbero mai potuto vivere in pace e dignitosamente in un paese “straniero”. Come Leon Pinsker
affermò nel 1882, gli ebrei erano “ovunque ospiti e da nessuna parte a casa propria”. Poiché le
altre nazioni non avrebbero mai voluto avere a che fare con una nazione ebraica, ma solo con
singoli ebrei, dichiarò Pinsker, la soluzione era “cercare il nostro onore e la nostra salvezza…nella
restaurazione di un legame unitario nazionale. Dobbiamo stabilire…quale paese ci è accessibile e

62
Joseph Mill, Pionern un boier, 2 voll., 1946 - 49
63
ibidem

47
anche in grado di offrire agli ebrei di tutti i paesi…un sicuro e indiscusso rifugio”64. A metà degli
anni ’90 Asher Ginsberg (noto con lo pseudonimo Ahad Haam), celebre esponente della nuova
letteratura ebraica, sottolineò il bisogno di una nuova rigenerazione spirituale ebraica come
preparazione per uno stato ebraico.
Agli occhi dei socialdemocratici ebrei i sionisti, con la loro idea di indipendenza nazionale
senza socialismo, apparvero ancora più lontani del PPS dalla via della vera liberazione. Almeno i
polacchi erano rivoluzionari, decisi a rovesciare il regime zarista. Dal punto di vista di classe dei
pionieri, c’era da attendersi che una Palestina borghese avrebbe sfruttato il lavoratore ebreo
proprio come la Russia. Sebbene vi furono occasionali discussioni tra i due gruppi, gli scopi dei
sionisti sembravano così utopici e così lontani da quelli dei socialdemocratici che vi fu ben poco
terreno di confronto, e il rifiuto reciproco fu cosa facile65. Inoltre, poiché i sionisti e i
socialdemocratici all’epoca non erano ancora in concorrenza (i sionisti non agivano apertamente
tra le masse e avevano poca influenza tra i lavoratori), sembra che la polemica tra i due gruppi sia
stata limitata.

Il Gruppo di Vilna e la questione nazionale. Comunque ai socialdemocratici ebrei


difficilmente potevano sfuggire le implicazioni del nazionalismo che condussero alla nascita del
sionismo e alla crescita del PPS. La nazionalità stava diventando un fattore politico importante
nelle province occidentali. Questo fatto divenne più chiaro quando uscirono dall’ambito della
comunità ebraica, dove queste forze erano già al lavoro. Inevitabilmente, seppure poco alla volta,
essi dovettero confrontarsi con la nuova realtà e formulare degli obiettivi specificamente ebraici.
I primi pionieri come Kremer, Gozhansky e Kopelson avevano infatti già cambiato più volte
opinione sul ruolo del lavoratore ebreo. Dapprima avevano visto la recluta ebrea del circolo
semplicemente come un membro del proletariato da preparare per una rivoluzione in tutto l’Impero.
Implicita in questa visione era la negazione di uno specifico ruolo ebraico. Il primo cambiamento di
opinione venne quando i pionieri di Vilna spostarono la loro attenzione verso le immediate
vicinanze. Fu solo un piccolo passo, dal riconoscimento che il lavoratore ebreo potesse essere
mobilitato per obiettivi economici (di qui la tattica dell’agitazione di massa) al riconoscimento che
egli potesse anche mobilitato politicamente. Sull’agitazione aveva affermato questo. Così aveva
fatto Gozhansky nella Lettera agli agitatori dicendo che i lavoratori ebrei dovevano organizzarsi
nell’ottica di prendere parte alla lotta politica. Alcuni anni dopo Vladimir Kosovsky criticò
Gozhansky per non essere stato chiaro su questo aspetto. In quale forma, chiedeva Kosovsky, il
proletariato ebraico doveva costruire questa forza? La questione nel 1894 non era ancora oggetto
di considerazione.
A metà anno tuttavia i socialdemocratici avevano cominciato a esaminare la questione. In
due incontri di mezza giornata nell’agosto 1894, i dirigenti di Vilna si riunirono per discutere la
tattica politica. Fu la prima volta, dice Mill, che il Gruppo dichiarò chiaramente e con la massima
convinzione la propria posizione sulla questione nazionale: che i lavoratori ebrei soffrivano non
solo in quanto lavoratori, ma anche in quanto ebrei; che nel proprio lavoro il Gruppo avrebbe
enfatizzato qualunque forma di oppressione nazionale; e che uno degli obiettivi immediati doveva
essere la lotta per uguali diritti civili, una lotta da condurre al meglio da parte del lavoratore ebreo
stesso. L’autoconsapevolezza stava iniziando a essere profondamente praticata nel Gruppo.
Una sola voce dissentì. Leon Goldman (Akim) manifestò il timore del diffondersi tra i
lavoratori di un dannoso atteggiamento nazionalista, che li avrebbe isolati dalle masse russe e
avrebbe indebolito la lotta politica generale66. Kosovsky, allora relativamente nuovo nel Gruppo, gli
rispose che al contrario le questioni nazionali avrebbero enormemente aiutato il lavoro dei
socialdemocratici portando nuovi membri nell’organizzazione. Nessun altro partecipò al dibattito.
Ma sia i favorevoli che i contrari erano preoccupati della cosa soltanto da un punto di vista tattico e
non ideologico.

64
Leon Pinsker, Autoemancipazione, 1882
65
Alcuni intellettuali ebrei passarono dal sionismo alla socialdemocrazia negli anni ’80 e negli anni ’90, tra essi la
moglie di Pinai Rosenthal, Anna Heller, una delle pioniere di Vilna. Altri pionieri che fecero lo stesso passaggio furono
Bainish Mikhalevich, Victor Shulman e Benzion Hofman. A parte Anna Rosenthal, nessuno di costoro ebbe un ruolo
importante all’inizio. Ciononostante, la loro importanza nella prima fase del movimento non deve essere sottovalutata,
in quanto è plausibile ritenere che attirarono l’attenzione dei pionieri di Vilna sul problema dei sionismo.
66
Goldman poi si unì ai socialdemocratici russi. Suo fratello minore Mikhel, meglio conosciuto come Mark Liber, fu
uno dei più importanti dirigenti del Bund agli inizi del Novecento.

48
Vi erano importanti implicazioni nell’insistenza sull’uguaglianza dei diritti da parte degli ebrei,
un punto sul quale la grande maggioranza dei socialdemocratici di Vilna erano d’accordo. Fare una
distinzione tra diritti per tutti e diritti per gli ebrei implicitamente portava con sé il tema generale
della cultura nazionale, e ancora di più del futuro stesso degli ebrei. Sostenendo che il problema
politico era tra interessi nazionali e internazionali (almeno all’interno dell’Impero) Goldman pose
una distinzione che avrebbe assillato il Bund negli anni successivi.
Il discorso di Martov del Primo Maggio 1895. Avendo convenuto di non potere più
ignorare l’importanza dell’ebraicità nella lotta politica, così come non si poteva evitare l’uso
dell’yiddish nella lotta economica, i pionieri a quel punto cercarono dei metodi pratici per attuare il
proprio programma. Un’importante risposta all’incontro dell’agosto 1894 fu la creazione di legami
più stretti con altre organizzazioni operaie ebraiche. I pionieri si stavano sempre più avvicinando
alla costituzione del Bund; ora avevano accettato l’idea della costituzione di un’organizzazione
politica puramente ebraica ed erano pronti a riconoscere i lavoratori ebrei non solo come un
gruppo specifico, ma come un gruppo uguale sotto ogni punto di vista a tutte le altre componenti
del movimento rivoluzionario.
La più chiara affermazione della nuova politica di cui disponiamo è in un discorso che Martov
fece a un incontro di dirigenti e agitatori a Vilna subito dopo il Primo Maggio 1895. Il movimento
era diventato più democratico e pragmatico, iniziò Martov; la sua attività era cresciuta al di là dei
limitati ambiti intellettuali dei piccoli gruppi. Prima, gli intellettuali ebrei avevano visto la salvezza
dei lavoratori ebrei nella vittoria dei lavoratori russi. Essi avevano considerato il movimento ebraico
“una questione secondaria”; raramente avevano preso in considerazione i problemi dei lavoratori
ebrei. Ma tutto ciò era cambiato, e il movimento si era adattato alla realtà della situazione ebraica:
“Sebbene legato al movimento russo” disse “il proletariato ebraico non deve attendere la
liberazione…né dal movimento russo né dal movimento polacco”67. I lavoratori ebrei non potevano
vincere da soli, ma non potevano neppure rischiare di restare indietro. La classe operaia russa,
ancora debole, avrebbe avuto le sue proprie difficoltà. Avrebbe dovuto affrontare innanzitutto i suoi
propri bisogni e forse avrebbe sacrificato le rivendicazioni relative solo agli ebrei, come la libertà
religiosa o i diritti di uguaglianza. Allora Martov lanciò il guanto di sfida, che doveva diventare un
appello alla mobilitazione: “Quella classe non in grado di combattere autonomamente per la
propria libertà, non merita di avere quella libertà”.
Come doveva battersi per la propria libertà la classe operaia ebraica? “Affermando
apertamente e chiaramente che il nostro obiettivo, l’obiettivo dei socialdemocratici ebrei che sono
attivi tra gli ebrei, è costituire una specifica organizzazione dei lavoratori ebrei che educherà il
proletariato e lo guiderà nella lotta per i diritti economici, civili e politici”. Tale organizzazione
avrebbe avuto un uso limitato, certo. La lotta dopo tutto era internazionale. Ma, disse Martov,
finchè il mondo era diviso in stati, “il compito immediato è ottenere per ogni nazionalità, se non
l’indipendenza politica, almeno pieni diritti di uguaglianza”. L’indifferenza nazionale di un popolo
senza diritti civili impediva lo sviluppo del socialismo internazionale. Di conseguenza, era compito
dei socialisti assicurare a tutti i popoli i loro diritti. Ciò non era in alcun modo incompatibile con
l’obiettivo finale, poiché il movimento era socialista anche se aveva un carattere nazionale.
Negli anni successivi sia gli oppositori che i sostenitori del Bund ritornarono a questo
discorso come a una sorta di spartiacque nella storia del movimento. Moshe Rafes, una volta
bundista e poi membro del Partito Comunista Russo, vede nel discorso la vera fondazione della
“ideologia nazionalista” del Bund: Martov aveva assegnato compiti “di indipendenza” ai lavoratori
ebrei e li aveva “spinti” sulla via di un partito politico indipendente68. Per Mill il discorso fu di
“significato storico eccezionale”, un punto di svolta “nella storia del movimento operaio ebraico,
che definì la sua futura forma organizzativa”69. Nel 1900, quando il discorso fu pubblicato, il titolo
della versione russa fu Il punto di svolta nella storia del movimento operaio ebraico. L’espressione
di Mill dunque diventò parte integrante del patrimonio del Bund.
Molto dunque è stato letto nelle parole di Martov. Ma è importante notare che all’epoca in cui
egli fece il proprio discorso, esso non fu visto come un “punto di svolta”. Per esempio si consideri il
modesto titolo originario: I successi teorici e pratici del movimento durante l’anno trascorso. Come
lo stesso Martov ammise in seguito, egli insistette su un’organizzazione specifica dei lavoratori

67
Julij Martov, Il punto di svolta nella storia del movimento operaio ebraico, 1895 (pubblicato nel 1900)
68
Moshe Rafes, Kapitlen geshikhte fun Bund, 1929
69
Joseph Mill, Pionern un boier, 2 voll., 1946 - 49

49
ebrei “in modo puramente empirico”, semplicemente perché i socialdemocratici ebrei in quel
periodo cercavano di stabilire stretti legami con i socialdemocratici di Mosca e Pietrogrado e in ciò
erano ostacolati dalla debolezza del movimento russo, mentre avevano successo nella creazione
di legami tra gruppi operanti in mezzo al proletariato ebraico. Di fatto Martov stava semplicemente
riassumendo i risultati di un anno di discussione.
Affermare che i lavoratori ebrei dovevano lottare per i diritti di uguaglianza tramite una
propria organizzazione era semplicemente dare voce a un movimento che percorreva già quella
strada. Dal maggio 1895 la realtà di un’attività organizzata per obiettivi economici era ben
consolidata. Lungi dall’essere un punto di rottura, il discorso di Martov rappresentò un
cambiamento di indirizzo che ebbe luogo nella misura in cui i lavoratori si mostravano pronti e in
grado di affrontare una lotta. La volontà dei socialdemocratici ebrei di cedere l’iniziativa ai
lavoratori ebrei produsse una nuova psicologia, non una nuova ideologia. La fiducia nei lavoratori
ebrei e la certezza che il sentimento nazionale ebraico potesse essere incanalato nel movimento
rivoluzionario diede impulso a una nuova autoconsapevolezza.
Il fatto è che non vi fu la percezione di un’ideologia nuova nel discorso. L’appello ai diritti di
uguaglianza appartiene all’ambito ideologico della socialdemocrazia russa. Il vero cambiamento fu
il significato positivo di “uguali diritti civili”. Essi ora erano all’ordine del giorno più della
eliminazione delle discriminazioni legali; i socialdemocratici ebrei avevano cominciato a pensare
nei termini di diritto del lavoratore ebreo alla dignità personale – il suo diritto all’uguaglianza non
solo come lavoratore ma anche come ebreo.
Forse l’unico vero aspetto nuovo espresso nel discorso fu il suggerimento che i lavoratori
russi non fossero consapevoli dei bisogni dei lavoratori ebrei quanto lo erano questi ultimi. Qui c’è
forse l’implicazione che i lavoratori russi, come i polacchi, fossero guidati da interessi specifici e
potessero lavorare per i loro propri scopi piuttosto che per una rivoluzione generale in Russia. Ma
Martov aveva solo affermato l’ovvio: che poiché le popolazioni russa ed ebrea erano rigidamente
separate, i russi probabilmente non potevano conoscere tutti i particolari della situazione locale. Al
massimo tutto quello che si può dire del discorso è che esso ci dice che i socialdemocratici nel
1895 iniziarono a insistere “ufficialmente” al diritto di organizzarsi e combattere come movimento
ebraico all’interno del più ampio movimento socialdemocratico.
Se il discorso di Martov aprì la strada al programma nazionale del Bund e alla creazione di
un partito politico indipendente, questi sviluppi certamente non erano previsti nel 1895. Di fatto
Martov stesso di lì a poco si dedicò alla popolarizzazione delle proprie idee tra la classe operaia.
Ma i socialdemocratici ebrei non poterono né ignorare né resistere all’ondata di coscienza
nazionale che stava pervadendo la comunità ebraica; dovevano rispondere al nuovo sentimento. A
Minsk Abraham Liesin, un giovane e carismatico socialista ebreo che in teoria simpatizzava coi
socialdemocratici ma formalmente non si unì a loro, affermò che la pura propaganda socialista non
aveva molto significato per i lavoratori ebrei, proprio come quello dei populisti verso i contadini
russi. Le idee di Liesin attirarono una certa attenzione. Alla fine del 1894 o all’inizio del 1895, dopo
aver discusso il problema della creazione di un programma di obiettivi nazionali con Kremer, egli
ebbe l’impressione che quest’ultimo comprendesse a fatica il suo punto di vista. Liesin, non
sionista ma deciso sostenitore di obiettivi nazionali ebraici, era ancora molto distante dal punto di
vista espresso nel discorso di Martov. Ai socialdemocratici Liesin sembrò eretico semplicemente
perché suggeriva un programma nazionale definito. Come egli stesso ammise, all’epoca non riuscì
ancora a formularlo70. Erano dunque preparati a farlo i socialdemocratici?
Nonostante i loro intenti, il lavoro politico dei socialdemocratici non ebbe i risultati del lavoro
economico; dal punto di vista pratico non iniziò neppure. Fino al momento in cui le relazioni
politiche tra lo stato zarista e i suoi sudditi non fossero cambiate, l’appello ai diritti di uguaglianza
rimase uno slogan vuoto. I socialdemocratici potevano avere un’incidenza a livello locale a
proposito di questioni economiche, ma non potevano fare praticamente nulla a livello locale per
conseguire obiettivi politici. La sola via per cui il governo sarebbe stato spinto a riconoscere i diritti
era una rivolta armata; e alla metà degli anni ’90 non vi era alcuna organizzazione rivoluzionaria, o
insieme di organizzazioni, capace di tale impresa.
Date le circostanze, il lavoro politico continuò ad essere per lo più di educazione, e da un
punto di vista pratico soprattutto di distribuzione di propaganda. Sebbene molti degli intellettuali

70
Alla fine degli anni ’90 Liesin si trasferì a New York. Negli Stati Uniti acquisì considerevole fama come poeta e
editore del giornale Di Zukunft.

50
politicamente consapevoli preferissero rimanere al di fuori delle organizzazioni economiche,
insistendo sulla differenza teorica tra compiti economici e politici, nel lavoro degli altri attivisti c’era
poca distinzione tra l’economico e il politico. Al di sotto del livello più alto, comunque,
l’organizzazione politica cominciò a prendere piede tra i membri della base del movimento – sia al
livello intermedio delle skhodka che al livello basso dei kase. Alcuni dei lavoratori politicamente più
consapevoli iniziarono a formare dei kase politici. Studi particolari, celebrazione di ricorrenze, aiuto
di compagni arrestati, distribuzione di propaganda e di scritti illegali – questi furono i principali tipi
di attività politica alla metà degli anni ’90.
Un segno della crescente attenzione politica fu la crescita della partecipazione agli incontri
del Primo Maggio, ancora clandestini. Laddove solo circa 100 persone avevano presenziato alla
ricorrenza del 1892 a Vilna, più del doppio furono coloro che parteciparono al meeting del 1895; e
l’anno successivo il dato raddoppiò ancora, arrivando a 550. Vi è evidenza di una crescente
politicizzazione anche nell’accettazione aperta dei simboli della rivoluzione. All’incontro di Vilna del
1895 sventolò la prima bandiera rossa; in capo a pochi anni le bandiere rosse e gli slogan
rivoluzionari divennero parte del cerimoniale. Dal 1897 gli incontri avevano attirato l’attenzione
delle autorità. All’avvicinarsi del Primo Maggio a Vilna la polizia circondò la città, bloccando le vie
d’accesso ai boschi e costringendo a cancellare l’incontro.

Le linee espresse nel discorso di Martov presto arrivarono a rappresentare l’orientamento


politico prevalente nel movimento. Troviamo ad esempio riferimenti nazionali nell’editoriale del
primo numero di Der Yidisher Arbeter, che apparve poco più di un anno dopo. Sebbene la lotta
proletaria contro lo stato naturalmente fosse il principale obiettivo di tutti i lavoratori, affermò il
giornale, il lavoratore veramente cosciente non dimenticava di includere nel suo orizzonte la
richiesta di uguaglianza per gli ebrei. Era chiaro che si era stabilito un equilibrio tra l’universalismo
marxista e l’espressione del nazionalismo ebraico. Il prossimo passo sarebbe stato un programma
che desse degli obiettivi e una direzione a quella coscienza nazionale.

51
6. LA FONDAZIONE DEL BUND

Il cammino verso la fondazione. Con il superamento della metà degli anni ’90, la necessità
di costruire un’organizzazione unitaria dei socialdemocratici russi era ormai generalmente
riconosciuta. Questa naturalmente non era un’idea nuova. Gli emigrati russi del Gruppo di
Plechanov insistevano da tempo che si dovessero stipulare legami organizzativi tra i gruppi
socialdemocratici sparsi nell’Impero; e nei primi anni ’90 essi stessi avevano avuto “significativi
contatti” con i propri compagni in Russia71. Ma con il proliferare dei gruppi socialdemocratici
divenne presto chiaro che era necessaria una qualche coordinazione per rendere efficace il lavoro.
Plechanov stava soltanto esprimendo un sentimento generale quando affermò, al Congresso di
Londra dell’Internazionale Socialista nel 1896, che la costruzione di un’organizzazione unitaria
doveva essere il compito principale dei socialdemocratici russi nell’immediato futuro.
I socialdemocratici ebrei furono attenti a questi sviluppi. Quando un gruppo di
socialdemocratici russi in Europa creò l’Unione dei Social Democratici Russi all’Estero alla fine del
1894, per produrre il materiale da stampare per l’agitazione di massa, le organizzazioni ebraiche
presto si collegarono a loro. All’inizio del 1895 Kopelson partecipò a un incontro a Pietrogrado in
cui delegati di varia provenienza accolsero la proposta di un gruppo di Mosca di lavorare a contatto
con l’Unione e il Gruppo di Liberazione del Lavoro. Quando nel corso dell’anno si recò nell’Europa
occidentale, Kopelson divenne il tramite tra l’Unione all’Estero e i socialdemocratici ebrei. I
periodici dell’Unione, Rabotnik (Il lavoratore) e Listok Rabotnika (Il libretto dei lavoratori), che
iniziarono entrambi a uscire nel 1896, riportavano spesso articoli sul movimento ebraico.
I primi tentativi concreti di dare unità al movimento socialdemocratico furono compiuti nel
1895 da gruppi russi a Mosca e Pietrogrado. Essi furono costretti a rinunciare quando la polizia
arrestò alcuni dei coinvolti. Dal 1896 in poi il Gruppo di Vilna (tramite Kremer) e i socialdemocratici
a Pietrogrado e Kiev cercarono di raggiungere un accordo unitario.
Nel frattempo, dentro lo stesso movimento ebraico alcuni gruppi furono spinti l’uno verso
l’altro dalla propria stessa attività. La Conferenza di Minsk del giugno 1895, che seguì a ruota il
discorso del Primo Maggio di Martov, vide il primo tentativo di andare verso un legame tra i gruppi
locali attraverso un organo comune. Tuttavia i delegati lasciarono il compito a una seconda
conferenza con altre organizzazioni socialdemocratiche ebraiche, che a quanto pare non fu mai
convocata.
Mutnikovich afferma che vi fu una conferenza di tre giorni a Vilna nel 1895, nella quale
delegati di varia provenienza si confrontarono e concordarono sul bisogno di una specifica
organizzazione socialdemocratica ebraica per sviluppare la coscienza politica e sociale dei
lavoratori ebrei. Probabilmente si riferisce alle discussioni descritte da Moshe Dushkan (membro
del circolo di Martov che in seguito lavorò nelle organizzazioni russe), che ebbero luogo all’inizio
del 1895 e toccarono il tema dell’unità e della direzione centralizzata. Da tutto ciò è evidente la
ricerca di un’organizzazione più ampia dei socialdemocratici ebrei.
Questi ultimi erano molto più preparati a fondere i propri gruppi in un’organizzazione singola
rispetto ai loro compatrioti russi. Il loro intenso lavoro e i solidi risultati erano ampiamente
riconosciuti. Il rapporto della delegazione russa al Congresso dell’Internazionale del 1896,
presentato da Plechanov, lodò le loro attività, sottolineando con “particolare soddisfazione” “il
successo della propaganda socialdemocratica tra gli ebrei”.

Questi paria…che non beneficiano neanche dei diritti minimi posseduti dai cittadini cristiani,
hanno mostrato un tale impegno nella lotta contro i loro sfruttatori e una tale acutezza nel
comprendere i compiti sociopolitici attuali del movimento operaio, che per certi aspetti possono
essere considerati l’avanguardia dell’esercito proletario di Russia 72.

La prosecuzione dell’attività quotidiana condusse di fatto verso l’unificazione. Creando Der


Yidisher Arbeter gli intellettuali-pionieri stabilirono un punto di partenza, un progetto che spinse

71
Samuel Baron, Plechanov, the Father of Russian Marxism, 1963
72
Rapporto della delegazione russa al Congresso di Londra dell’Internazionale, 1896

52
intellettuali e semi-intellettuali a unirsi e a integrare in maniera coordinata il proprio lavoro. Ancor
più significativo fu il ruolo di “centro de facto” svolto dal Gruppo di Vilna. I legami che il Gruppo
aveva formato attraverso la “colonizzazione” e i contatti personali, così come gli uomini in gamba
di cui disponeva, ne fecero un nucleo di direzione pratica, qualcosa che i socialdemocratici russi
andavano ancora cercando.
Parte della peculiare forza dei socialdemocratici ebrei risiedeva della unicità della loro
situazione. Avendo scelto di usare l’yiddish come mezzo di comunicazione, essi furono spinti a
lavorare insieme; non c’era bisogno di andare altrove per reperire materiale rivoluzionario. Fu un
bisogno specifico che promosse l’indipendenza – e non solo.
Nonostante il clima favorevole all’unificazione, passarono più di due anni tra la Conferenza
di Minsk e la creazione formale del Bund. I dirigenti del Gruppo di Vilna erano prudenti. Essi erano
stati sinceramente colpiti, per esempio, dell’apertura di Martov nei loro confronti quando lo
incontrarono per la prima volta al suo arrivo a Vilna. Lenin, dopo che si fu fermato a Vilna per una
breve visita nel 1895, fece un commento sulla prudenza nelle province; a quanto pare per un po’ i
socialdemocratici di Vilna sospettarono di lui come un provocatore. Tale cautela era più che
giustificata. Solo pochi mesi dopo la Conferenza di Minsk un’ondata di arresti attraversò la Russia.
Alcuni dei più attivi e longevi militanti furono catturati. Il colpo più duro fu a Bialystok, dove vennero
arrestati Gozhansky, Liuba Levinson e Dushkan. Gozhansky ricevette la pena più elevata – cinque
anni di esilio nella Siberia orientale. Altri arresti e retate ebbero luogo a Vilna, Varsavia, Kovno e
Lodz, a anche in alcuni centri minori. Con la polizia zarista sempre più all’erta, gli incontri erano
estremamente pericolosi. Kremer divenne così sospettoso che quasi annullò il congresso di
fondazione del Bund anche se i delegati erano in arrivo, poiché Pati Srednitsky era stata arrestata
proprio in quei giorni. Ci volle la decisa opposizione di Mill per far cambiare idea a Kremer.
Tuttavia non c’è ragione per cui i socialdemocratici ebrei non avrebbero potuto unire
formalmente i gruppi esistenti ben prima del 1897, con una elevata possibilità di successo. A parte
il fatto che i giorni precisi (7 – 9 ottobre) furono scelti in coincidenza con le festività ebraiche così i
delegati potevano fingere di andare a trovare parenti e amici, non vi fu nulla di particolare nel
periodo dell’inizio autunno 1897. Come vedremo fu l’incedere degli eventi a spingere i dirigenti a
convocare il primo congresso.
Fino alla metà del 1897, gli sforzi di unificazione dei socialdemocratici russi non erano stati
coronati dal successo. Infatti essi avevano avuto alcune difficoltà nell’organizzare i lavoratori dei
principali centri russi. Quando a Pietrogrado ebbe luogo il grande sciopero del 1896, Der Yidisher
Arbeter scrisse che i lavoratori russi si erano “finalmente” uniti alla “grande lotta di liberazione dal
giogo del capitalismo, che i lavoratori ebrei e polacchi stavano già conducendo”73. I dirigenti ebrei
furono più impressionati dal potenziale del movimento operaio russo che dai suoi risultati.
La crescita relativamente lenta dell’organizzazione russa ha molto a che fare con la
riluttanza dei socialdemocratici ebrei ad andare fino in fondo. A metà degli anni ’90 i dirigenti ebrei
erano ancora legati alla propria formazione originaria; essi continuavano a pensare che la
liberazione sarebbe arrivata attraverso gli sforzi della classe operaia dell’intera Russia, e che il loro
destino era legato a quello dei socialdemocratici russi. I pionieri lavoravano intensamente per
l’intero movimento. Il Gruppo di Vilna trasferiva scritti illegali, forniva materiale stampato e aiutava
gli attivisti a entrare e uscire dal paese. I socialdemocratici ebrei non osavano fare passi troppo
azzardati. Un’organizzazione specifica avrebbe potuto creare dei problemi; avrebbe potuto
instillare un’eccessiva coscienza nazionale. I dirigenti intendevano aspettare. Nel suo primo
numero Der Yidisher Arbeter affermò inequivocabilmente che l’organizzazione dei lavoratori ebrei
si sarebbe unita al futuro partito globale; essa attendeva che le forze guidate dai russi fossero
pronte a loro volta74.
L’interconnessione tra le vicende dei socialdemocratici russi ed ebrei nella formazione del
Bund è confermata dalla descrizione di Kremer dei passi compiuti verso il congresso di
fondazione. Nel maggio 1897 egli fece un apposito viaggio nell’Europa occidentale per conto del
Gruppo di Vilna e dell’Unione di Lotta per la Liberazione del Lavoro di Pietrogrado. Uno degli
incarichi era discutere col Gruppo di Plechanov la questione della rappresentanza ufficiale
all’estero del movimento socialdemocratico russo. I plechanovisti gli chiesero: “Come possiamo
rappresentarvi se non siete uniti? Ad oggi non vi è nulla da rappresentare formalmente”. La cosa

73
DYA, dicembre 1896
74
ibidem

53
fece una “grande impressione” su Kremer. Quando ritornò a casa in agosto ne discusse con Mill a
Varsavia e con i circoli locali di Vilna. Fu quindi deciso e organizzato in capo ad alcune settimane
un congresso dei socialdemocratici ebrei75.
Forse il resoconto di Kremer è troppo semplicistico. Sia Mill che Kursky, per esempio,
affermano che Kremer fece il suo viaggio nel 1896, non nel 189776. Altri studiosi sottolineano che
essendoci stati molti incontri e discussioni tra i socialdemocratici ebrei sulla questione
dell’organizzazione sin dal 1895, l’idea difficilmente sarebbe potuta venire in mente a Kremer per
la prima volta nel 1897. La differenza è senza dubbio nell’intepretazione. Kremer sicuramente
intendeva dire che fu colpito dalla prospettiva di costituire realmente e in breve tempo
un’organizzazione, andando al di là della semplice possibilità teorica.
In ogni caso vi sono evidenze che la decisione di unire le organizzazioni ebraiche fu presa
prima del ritorno di Kremer dalla Svizzera. Nella primavera del 1897, quando gli fu chiesto perché
un rapporto all’Unione dei Socialdemocratici Russi all’Estero non sarebbe stato rappresentativo di
tutte le organizzazioni ebraiche, Kremer replicò: “La questione della creazione di un partito unico,
non solo ebraico, è in corso di discussione, e verrà definita nel prossimo futuro”77. Inoltre
Mutnikovich riporta che un piano di unire tutte le organizzazioni socialdemocratiche, fatto circolare
a Vilna dal gruppo di Kiev dopo la sua conferenza del marzo 1897, spinse i pionieri a convocare un
incontro “il più presto possibile”78. Se è così, allora il ritorno di Kremer di fatto rappresentò la fase
finale della decisione di convocare un congresso. Data la lunga e accorta discussione dei dirigenti
ebrei e il breve lasso di tempo tra il ritorno di Kremer e la convocazione del congresso, sembra
plausibile che a quel punto vi fossero da stabilire soltanto gli ultimi dettagli dell’assise.
La ragione principale per la scelta delle date, comunque, fu il cammino in atto verso un
partito unitario russo. Kremer di certo era al corrente dei passi in quella direzione. All’estero vide il
primo numero della Rabociaja Gazeta (Il Giornale dei Lavoratori), che i socialdemocratici di Kiev
avevano fondato nella speranza che fosse usata come organo di una partito unitario. L’unificazione
stava chiaramente diventando una seria eventualità, e l’influenza di questa eventualità nell’appello
per un’organizzazione specifica ebraica è incontrovertibile.
In parte la fondazione del Bund avvenne anche a causa della crescita dei gruppi
socialdemocratici in Polonia. Ciò fu particolarmente vero a Varsavia, ove i “coloni” avevano
lavorato per due anni in un’atmosfera di competizione e di crescente animosità da parte del PPS. Il
PPS aveva compiuto solo uno sforzo limitato per ottenere l’appoggio degli ebrei. Nel 1894 i
socialisti polacchi introdussero nel paese un totale di 23.776 copie di testi illegali, di cui solo 778 in
yiddish. Nel 1895 la letteratura yiddish percentualmente fu molto più elevata (1.253 copie su un
totale di 12.777), ma quantitativamente ancora scarsa. Alla fine del 1895 i membri ebrei del PPS si
lamentarono con il proprio comitato centrale a proposito degli sforzi del partito nella comunità
ebraica. La causa, dissero, poteva essere danneggiata dalla carenza del partito sulle questioni
riguardanti gli ebrei; sottolinearono il pericolo rappresentato dai socialdemocratici e fecero appello
al comitato affinchè prendesse posizione sulla questione ebraica.
A differenza del PPS a Vilna, che prendeva in seria considerazione le questioni ebraiche e
provava a guadagnare terreno nei confronti del ben sviluppato movimento socialdemocratico, il
forte partito di Varsavia rinunciava all’opportunità di distanziare il suo debole concorrente
socialdemocratico.
Nel 1896 i socialdemocratici ebrei a Varsavia iniziarono a ottenere alcuni successi, e le
relazioni tra loro e il PPS presero una brutta piega. Le differenze sull’indipendenza polacca,
l’unificazione delle organizzazioni ebraiche e le relazioni coi deboli socialdemocratici polacchi
(naturali partner ideologici dei socialdemocratici ebrei) si fecero più marcate. In ottobre i membri
ebrei del PPS a Varsavia ebbero un incontro in cui reiterarono i timori che avevano espresso al
comitato centrale e lamentarono che nessuna delle loro richieste era stata esaudita. Essi
affermarono che i loro nuovi concorrenti socialdemocratici, con il loro materiale di stampa,
rischiavano di prendere il sopravvento. Per contrastarli, i membri del PPS volevano fondi, materiale
di propaganda, e articoli sui problemi ebraici nei giornali di partito.

75
Arkady Kremer, Arkady: Zamlbukh tsum andenk fun Arkady Kremer, 1942
76
Altrove tuttavia Mill parla della partecipazione di Kremer a un congresso operaio a Zurigo, che effettivamente si
svolse nell’agosto 1897, e su cui quest’ultimo pubblicò un articolo nel novembre dello stesso anno.
77
Die Geshikhte fun der yidisher arbeter bevegung in Rusland und Poilen, opuscolo uscito a Ginevra nel marzo 1900
78
Joseph Mill, Pionern un boier, 2 voll., 1946 - 49

54
Nonostante i timori della sezione ebraica del PPS, i socialdemocratici ebrei di Varsavia si
consideravano deboli, in particolare poiché lavoravano con quello che era soltanto una piccola
parte della popolazione operaia totale. Il quadro cambiò all’inizio del 1897, quando alcuni gruppi in
Polonia, compresi i membri ebrei del PPS, si accordarono per formare una Unione dei Lavoratori
Ebrei. Ne seguirono presto agitazioni e scioperi, e in maggio la nuova organizzazione produsse un
opuscolo in yiddish. Tuttavia, con la crescita dell’attività della fazione socialdemocratica i membri
del PPS si tirarono indietro, lasciando che i primi dessero una forte impronta all’Unione.
Questo però era solo l’inizio. Il nuovo gruppo necessitava del sostegno di un partito che
prendesse posizione sulle questioni di fondo sollevate dal PPS. Per attivisti come Mill, che
all’epoca operava a Varsavia, era chiaro che solo con un aiuto dall’esterno vi sarebbero state
probabilità di successo. “Nessuno era tanto interessato alla fondazione di un partito quanto i
lavoratori ebrei di Varsavia” ci dice79. Mill lavorava duramente per il conseguimento di
quell’obiettivo.

Il Primo Congresso. Il congresso di fondazione del Bund fu decisamente modesto nei fatti,
riflettendo quel pragmatismo che fino ad allora aveva caratterizzato il lavoro dei socialdemocratici
ebrei. I meccanismi del congresso mostrano chiaramente lo stesso approccio prudente che i
dirigenti ebrei avevano usato negli anni dell’agitazione e dell’organizzazione. Doveva essere un
incontro segreto di adepti, non un’assemblea costituente. Gli organizzatori di Vilna inviarono un
invito formale soltanto ai gruppi di Varsavia, Minsk e Bialystok. Mill, che aveva già discusso della
cosa con Kremer a Varsavia, ricevette l’indicazione di data e luogo in un messaggio in codice su
un articolo di giornale; l’organizzazione di Minsk fu invitata per posta e quella di Bialystok tramite
un messaggio di Varsavia. Vitebsk a quanto pare fu rappresentata soltanto perché un importante
membro del gruppo di quella città capitò in quei giorni a Vilna.
La sicurezza, sempre al massimo della considerazione, fu la principale ragione per cui il
congresso non fu reso più inclusivo. I gruppi invitati avevano due requisiti: avevano raggiunto certi
risultati e i loro membri erano conosciuti dal Gruppo di Vilna. Il bisogno di sicurezza condizionò
anche lo svolgimento concreto. Le sessioni ebbero luogo lontano dal centro della città, e i delegati
si recavano singolarmente al modesto alloggio scelto per l’occasione. In nessun caso i delegati si
incontrarono nello stesso tempo tutti insieme; e dopo la prima sessione il gruppo di Vilna fu
rappresentato da due elementi soltanto. Non fu fatto un verbale ufficiale, sebbene su richiesta di
Kremer Kosovsky prese appunti per un resoconto per Di Arbeter Shtime. I delegati che
rappresentavano il giornale si alternarono nella partecipazione, contribuendo parzialmente agli
scarni resoconti che abbiamo sulle discussioni.
Le anticipazioni sull’agenda dei lavori, almeno al di fuori di Vilna, furono scarse. A Varsavia
Mill sondò i suoi compagni socialdemocratici, cercando di capire quali questioni potessero sorgere
a proposito dell’unificazione. Il delegato di Minsk, Pavel Berman, che fu invitato in ritardo tanto da
perdere la prima sessione (probabilmente a causa dell’arresto di Pati Srednitsky), non ebbe il
tempo di discutere con il suo gruppo e rimase in silenzio per tutto il congresso.
Il Gruppo di Vilna guidò lo svolgimento dei lavori. Tre dei suoi membri – gli intellettuali-
pionieri Kremer, Mutnikovich e Kosovsky – vi presero parte. Essi furono affiancati da tre lavoratori
di Vilna: David Katz, Israel Kaplinsky e Hirsch Soroka. Katz rappresentava i lavoratori, Kaplinsky e
Soroka Di Arbeter Shtime. Gli altri partecipanti furono Berman (Minsk); Leon Goldman, Maria
Zhaludsky e Mill (Varsavia); Rosa Greenblat e Hillel Katz-Blum (Bialystok); e Yidel Abramov
(Vitebsk). 10 dei 13 delegati si erano formati a Vilna.
L’introduzione di Kremer diede l’orientamento al congresso. Egli iniziò sottolineando che a
livello pratico tutte le città ormai erano legate tra loro. Tutte basavano i propri obiettivi sui bisogni
immediati dei lavoratori, e tutte avevano un’idea simile del rapporto tra la lotta economica e la lotta
politica, guidate da una comune visione strategica. In più, i bisogni materiali le avevano avvicinate
l’un l’altra e ciò avveniva sempre più man mano che il movimento cresceva. Lo scambio di militanti,
testi e aiuti finanziari andava avanti da lungo tempo. “Vediamo” disse Kremer “che le città sono già
legate insieme di fatto, e che rimane soltanto da strutturare questa unità in una forma definita”80.
Venendo al dunque, Kremer sottolineò l’urgenza dell’unificazione. Il governo stava
attaccando i lavoratori ebrei e i loro dirigenti con un’intensità tale da mettere a rischio i legami tra le

79
Joseph Mill, Pionern un boier, 2 voll., 1946 - 49
80
Istoriia yevreiskago rabochago dvizheniia v rossi i Pol’she, opuscolo Ginevra 1901

55
città. Un’organizzazione centrale di collegamento delle città avrebbe prevenuto la possibilità di
isolamento. Essa poteva operare senza interagire direttamente con le masse, dunque evitando la
persecuzione poliziesca, e allo stesso tempo mantenendo i contatti tra i gruppi locali. Per di più, il
governo tendeva a essere più influenzato da prese di posizione unitarie che non dalle richieste di
un singolo gruppo locale.
Un’organizzazione centrale, tuttavia, non era proposta semplicemente per legittimare le
relazioni esistenti. Il movimento tra gli ebrei si era rafforzato, ed era giunto il momento di andare
con il proletariato dell’intera Russia alla conquista dei diritti politici e dei diritti di uguaglianza per gli
ebrei. Questi temi dovevano essere portati avanti più sistematicamente e più vigorosamente che in
passato. Inoltre, disse Kremer, vi era la questione di un partito generale russo. Si avvicinava il
giorno in cui il sogno si sarebbe realizzato. Il proletariato ebraico avrebbe certo preso parte a
quello sviluppo ma “non potrebbe entrare nel partito come un insieme di gruppi separati e
indipendenti”81.
Non vi furono discussioni sulle affermazioni di Kremer o su questioni generali di programma
e tattica. Infatti non fu redatto alcun programma. I compiti pratici necessari per la formazione di
un’organizzazione unitaria vennero accettati senza problemi. Il congresso deliberò che la nuova
organizzazione sarebbe entrata come sezione autonoma nel partito russo quando esso si fosse
costituito, con il diritto di prendere decisioni su tutte le questioni ebraiche. Poiché quest’ultimo
punto è fondamentale per il Bund, è un peccato che non disponiamo del testo preciso della
risoluzione. Per ragioni di sicurezza tutta la discussione sull’unione col partito russo fu tolta dal
resoconto pubblicato.
Le future relazioni con altri gruppi rivoluzionari furono oggetto di una certa attenzione. Il
congresso formalizzò i rapporti esistenti con l’Unione all’Estero, che doveva stampare e procurare
testi per la nuova organizzazione in Europa occidentale e continuare a pubblicare notizie sul
movimento ebraico sui propri periodici. Fu adottata una risoluzione generica che invocava maggiori
legami con i gruppi russi, mentre non emersero risoluzioni pubbliche a proposito delle discussioni
dei delegati sul PPS. Nonostante le difficoltà dell’organizzazione di Varsavia con il partito polacco,
e l’attendibile contrarietà del PPS verso i nuovi sviluppi, la nuova organizzazione doveva provare a
collegarsi ai gruppi ebraici in Polonia.
Come Kremer aveva proposto, il congresso creò un Comitato Centrale che potesse dirigere
l’organizzazione senza essere coinvolto nel lavoro locale e nei conseguenti rischi. La
composizione del comitato non fu mai in discussione: la scelta del centro de facto del Gruppo di
Vilna (Kremer, Kosovsky e Mutnikovich) fu un atto naturale. Oltre a dirigere l’attività
dell’organizzazione, essi avrebbero dovuto pubblicare i suoi periodici e scritti ufficiali. Uno dei primi
passi fu la presa di precauzioni contro l’essere scoperti. Prevedendo che il comitato sarebbe stato
preso di mira dalla polizia e consapevoli che Vilna era stata teatro di recenti arresti, i tre decisero di
lasciare la città.
La scelta del nome. Una delle più vivaci discussioni riguardò il nome dell’organizzazione.
Mill propose “Unione dei Gruppi Social Democratici Ebraici”, Kremer il nome “Unione Generale dei
Lavoratori Ebrei in Russia”. Gli oppositori della proposta di Mill posero l’accento sul termine
“socialdemocrazia”, argomentando che in senso stretto solo il piccolo gruppo che guidava i
lavoratori era socialdemocratico. Un tale termine poteva mettere a disagio alcuni lavoratori, mentre
l’obiettivo doveva essere di rendere l’organizzazione bene accetta a ciascuno di essi. Mill
riconobbe che l’argomento poteva essere valido per quanto riguardava le piccole città, dove il
termine socialdemocrazia poteva incutere timore, ma lo respinse nel caso di Varsavia e di altre
grandi città, dove la lotta politica di massa era già iniziata e la parola socialismo non spaventava
nessuno. Non riuscì ad avere la meglio. La proposta di Kremer incontrò il favore della maggioranza
dei delegati poiché suggeriva che la porta era aperta a ogni lavoratore “che aderisca alla lotta per
una vita migliore, sotto la guida del proletariato”.
La sua proposta venne approvata con un emendamento: su richiesta di Mill le parole “e
Polonia” furono aggiunte a “Russia” per evitare qualunque incomprensione. Alla posizione della
minoranza fu fatta un’altra concessione: i comitati locali potevano usare la parola
socialdemocratico nelle loro denominazioni e potevano portare quei nomi nelle loro pubblicazioni
accanto al nome dell’organizzazione centrale. Così fu varato il nome Unione Generale dei
Lavoratori Ebrei in Russia e Polonia. Il termine Bund, che significa “unione” o “lega” in yiddish,

81
DYA, novembre 1897

56
entrò nel lessico popolare e divenne il nome col quale l’organizzazione era comunemente
conosciuta. Esso è stato traslitterato in altre lingue invece che tradotto.
La designazione degli organi centrali procedette senza problemi. Entrambi i giornali
esistenti ricevettero riconoscimento ufficiale. Di Arbeter Shtime doveva essere stampato in Russia
come organo del Comitato Centrale; Der Yidisher Arbeter avrebbe continuato a essere stampato
all’estero, sebbene non uscisse regolarmente. Il Comitato Centrale presto assunse la direzione
della stampa in Russia, e a partire dal numero 6 Di Arbeter Shtime recò il nome del Bund.
Non fu presa alcuna decisione sul tipo di testi che la nuova organizzazione avrebbe
pubblicato. Rosa Greenblat, delegata di Bialystok, propose che il Bund pubblicasse testi filosofici di
base, come le opere di Engels e Feuerbach, piuttosto che materiale di propaganda. Ella spiegò
che in luoghi come Bialystok dove il movimento socialdemocratico era relativamente nuovo, i
circoli di auto-formazione non erano mai stati creati, dunque questi scritti avrebbero colmato un
vuoto. A quanto pare gli altri delegati non considerarono l’argomento abbastanza importante da
definirlo in quell’occasione. Negli anni successivi furono pubblicati entrambi i tipi di scritti.

Il congresso di fondazione del Bund formalizzò un processo che era andato avanti durante
tutti gli anni ’90. Il congresso sancì l’esistenza di un legame tra i lavoratori ebrei e i
socialdemocratici ebrei, un legame che era già arrivato a un elevato livello organizzativo e che
doveva ora diventare un’arma per la ricerca della giustizia per gli ebrei russi. Allo stesso tempo i
bundisti ribadivano la loro necessità e determinazione ad essere una parte del generale
movimento socialdemocratico in Russia.
L’accordo al quale i lavoratori e l’intellighenzia erano arrivati è evidente nella composizione
del Primo Congresso. A differenza del vecchio gruppo dei primi anni ’90, esso incluse lavoratori
che avevano assimilato le parole degli intellettuali e intellettuali che avevano assimilato le parole e
le azioni dei lavoratori. Il congresso fu diviso quasi alla pari da lavoratori e intellettuali, segno che i
due gruppi avevano riconosciuto la propria interdipendenza e integrazione. Compiti, obiettivi e
militanti si erano ricomposti in un’unica voce che poteva legittimamente pretendere di parlare alla
società che sperava di rappresentare, per quanto nuovo, il suo messaggio scaturiva da quella
società. Ciò non vuol dire che il congresso di fondazione del Bund produsse un’ideologia e
un’organizzazione pienamente definite. Il Primo Congresso semplicemente riconobbe che il
proletariato ebraico ora era in grado di prendere autonomamente in mano il proprio futuro, e che
aveva i mezzi per perseguire i propri interessi assieme agli altri lavoratori dell’Impero.
Alla sua nascita, dunque, il Bund era sia un’organizzazione politica centralizzata con alcuni
quadri sia un movimento di massa orientato verso scopi economici e politici. Aveva stabilito
un’identità ebraica e socialista che avrebbe guidato tutte le future relazioni con altre
organizzazioni; e aveva definito un certo grado di autonomia nell’iniziativa locale che rendeva
possibile la crescita e lo sviluppo. A conti fatti, i fondatori avevano buoni motivi per essere
soddisfatti del proprio lavoro e ottimisti per il futuro.

57
7. IL PRIMO COMITATO CENTRALE
E LA FONDAZIONE DEL POSDR

La propaganda clandestina. Il primo Comitato Centrale del Bund diresse le attività della
nuova organizzazione fino al luglio 1898. Nei suoi brevi dieci mesi di esistenza, esso vide il Bund
passare attraverso un tale battesimo del fuoco che per qualunque organizzazione sarebbe stato
difficile resistere indenne. Come portavoce della nuova organizzazione, esso affrontò l’importante
compito di stabilire le relazioni con il mondo esterno, mentre all’interno dovette svolgere i propri
doveri di centro ufficiale e di rapporti con le organizzazioni locali. Gli eventi non lasciarono il tempo
per deliberazioni ponderate.
Nonostante i lunghi anni di collaborazione tra i gruppi locali, la riorganizzazione strutturale
non poteva essere d’aiuto nell’accrescere le relazioni. Come leader de facto il Gruppo di Vilna si
era sentito moralmente in dovere, sia per principio che per contatti personali, di portare le proprie
risorse tecniche a supporto dei gruppi più recenti e più deboli. Un Comitato Centrale, tuttavia,
significava compiti, linee di comunicazione formali e disciplina. Per ragioni di sicurezza, il focus
principale non fu più legato a un luogo ma a un soggetto: il comitato doveva diventare un agente
che svolgesse i compiti educativi e tecnici dell’organizzazione senza apparire come presenza
locale – facendo sentire la propria voce senza far vedere il proprio corpo.
Fin dall’inizio i membri del Comitato Centrale si isolarono. Quando il Comitato si spostò a
Minsk dopo il congresso di fondazione, pochi lo vennero a sapere. Anche i membri del Bund di
Minsk non erano al corrente della sua presenza. Kosovsky, che rimase a Vilna fino al marzo 1898
per eliminare gradualmente la rete di contatti costruita nel corso degli anni, provò a tenersi in
disparte dal comitato locale. Alcuni comitati locali non si collegarono neanche direttamente col
Comitato Centrale, e mantennero il contatto via posta o tramite un terzo soggetto. Uno di questi
intermediari fu Boris Banevur, i cui viaggi per affari lo rendevano un corriere ideale tra gruppi molto
distanti e un importante distributore di testi illegali. Tra i vari problemi di ricollocazione e con una
lista delle cose da fare in rapida crescita, i membri del comitato dovettero provvedere anche al
proprio sostentamento. Kosovsky e Mutnikovich riuscirono a cavarsela; Kremer, con pochi alunni
da seguire, dovette affidarsi ai magri mezzi dell’organizzazione. Il nuovo ruolo gravò i tre uomini di
pesanti impegni personali.
Gli scopi del lavoro del comitato, e quindi il carattere, erano nuovi. L’enfasi passò dalla
produzione e distribuzione di materiale di propaganda ai problemi politici, e allo sviluppo della
coscienza politica. Di Arbeter Shtime doveva diventare un organo centrale. Kosovsky estese il
proprio ruolo, diventando redattore politico e editore ufficiale. Kremer teneva i rapporti con le altre
organizzazioni e viaggiava molto. Egli e Mutnikovich svolgevano il lavoro organizzativo.
Il comitato spendeva un mare di tempo alle prese con problemi puramente tecnici. In
quanto centro di produzione e pubblicazione di scritti per il Bund, esso dovette ingegnarsi per
reperire, scrivere, stampare e distribuire il materiale. Durante la sua breve durata il comitato
pubblicò quattro numeri di Di Arbeter Shtime (dal 6 al 9-10), così come diversi libelli e opuscoli. In
più, esso stampava materiale per i comitati locali che non erano in grado di provvedere altrimenti.
Nonostante il massimo sforzo, tuttavia, il Comitato Centrale non poteva esaudire la crescente
richiesta di materiale di stampa per l’organizzazione, e la proposta di John Mill di costituire una
tipografia a Ginevra fu bene accolta.
La stampa clandestina, l’impegno principale del nuovo comitato, richiedeva un lavoro
particolarmente pesante ai suoi membri. Per motivi di sicurezza la stampa dovette essere spostata
due volte, dapprima da Vilna a Minsk, e poi 80 miglia ancora più a sudest, a Bobruisk. Kremer in
persona teneva i contatti coi tipografi, e temeva sovente per i propri gravosi compiti in quel campo,
e per la propria sicurezza.
Un altro aspetto del lavoro pratico del comitato fu la creazione di un sistema affidabile per
la trasmissione della letteratura illegale stampata all’estero. Fu approntata una serie di punti di
appoggio tra l’Europa occidentale e la Russia. Per lo più il comitato dipendeva da alcuni
rivoluzionari dediti appositamente a quel compito, ma esso assumeva anche contrabbandieri

58
professionisti per portare i carichi attraverso le frontiere. Mutnikovich afferma che i contrabbandieri
avrebbero chiesto ben di più se avessero saputo che genere di merce stavano trasportando. I
lavoratori organizzati delle fabbriche di spazzole, che si trovavano nelle aree di confine, svolsero
un importante ruolo nell’importazione di libri e opuscoli, così come gli studenti di ritorno in Russia,
secondo una tradizione di lunga data del movimento rivoluzionario russo.
Si cominciarono a definire i rapporti organizzativi tra il Comitato Centrale e i gruppi locali.
Ma la disciplina rigorosa, che fu un tratto distintivo del Bund negli anni successivi, fu introdotta
soltanto dopo un certo periodo. David Katz afferma che Kremer non riuscì a imporre il proprio
punto di vista al Comitato di Vilna quando quest’ultimo decise di pubblicare un giornale locale.
Kremer manifestò la propria contrarietà a quello che gli sembrava un progetto troppo ambizioso,
nell’ottica di scoraggiarne la messa in pratica, ma non è chiaro quanto avrebbe potuto insistere se
avesse deciso di farlo. Il fatto che il nuovo centro fosse finanziato dalle organizzazioni locali
certamente indebolì parecchio la sua posizione.
Nel contempo, i gruppi locali iniziarono a percepire le restrizioni della direzione centrale.
Non fu loro permesso di stabilire liberamente collegamenti con altre città o di stampare opuscoli a
piacimento. Tutto sommato, comunque, probabilmente fu il Comitato Centrale ad avere più
problemi di inserimento nella nuova struttura che non le organizzazioni locali.
La polemica con il PPS. Il lavoro politicamente più significativo del comitato avvenne al di
fuori della strutturazione del Bund stesso. La nuova organizzazione presto attirò l’attenzione del
mondo rivoluzionario non ebraico. Il PPS reagì immediatamente, giudicando negativamente
l’iniziativa al proprio Quarto Congresso, che si riunì a Varsavia nel novembre 1897. Recuperando
gli argomenti di Pilsudski del 1893, il PPS stabilì che l’obiettivo annunciato dal Bund di cercare la
solidarietà dei russi era “la negazione della solidarietà con il proletariato polacco e lituano per la
loro lotta di liberazione dall’invasore zarista”82. I proletari ebrei, affermò una risoluzione del partito,
potevano avere obiettivi comuni soltanto con il proletariato del paese in cui vivevano.
Nel mesi successivi il PPS diede seguito al proprio attacco. Nell’aprile 1998 il suo organo
centrale, Przedswit (Alba), notò con ironico stupore l’attenzione che il Bund andava ricevendo dalla
stampa estera: l’Europa a quanto pareva era informata anche dell’ultimo, piccolo sciopero, e si
poteva pensare che tutti i socialisti si fossero convertiti al giudaismo e fossero entrati nel Bund.
Senza negare la capacità dei dirigenti bundisti, l’articolo affermava che il Bund era figlio della
borghesia ebraica, il gruppo che storicamente aveva cercato di separare gli ebrei dalla
popolazione circostante e aveva ostacolato la naturale alleanza tra lavoratori ebrei e lavoratori
cristiani. Il PPS prediceva che il cammino del Bund avrebbe portato a un’aperta ostilità verso gli
ebrei, e all’antisemitismo politico. Inoltre, lo stretto e durevole legame tra i russi e il Bund irritava i
polacchi. Essi sostennero che anche coloro che rifiutavano l’antisemitismo sarebbero stati indotti
all’ostilità verso gli ebrei, considerati partner degli occupanti russi. Il PPS annunciò che si sentiva in
dovere di combattere contro i richiami del pan-russianesimo presenti in un’organizzazione che
ambiva a rappresentare l’intero proletariato ebraico. E sperava che tale politica pan-russa non
sarebbe continuata83.
I pionieri ora avevano i mezzi per rispondere al PPS: la capacità di redigere materiale e le
opportunità di stamparlo che erano mancate all’inizio degli anni ’90. La replica venne in un
opuscolo che rivelò, per la prima volta, lo stile tagliente e la penna sarcastica di Vladimir
Kosovsky84. Il linguaggio di Kosovsky risultò scioccante per una militante di vecchia data come
Tsivia Hurvich, che per questo andò su tutte le furie. L’opuscolo conteneva anche una serie di
indicazioni da parte del Comitato Centrale.
La principale delle argomentazioni di Kosovsky fu la legittimità del bisogno del Bund da
parte del proletariato ebraico. Davvero il Bund ostacolava le relazioni tra proletari ebrei e cristiani?
Ciò sarebbe accaduto se le richieste dei proletari ebrei fossero state antitetiche a quelle di altri
lavoratori. Ma la richiesta di uguali diritti civili per gli ebrei era forse di ostacolo per altri lavoratori?
Ovviamente no: l’uguaglianza poteva soltanto rafforzare il proletariato come un tutt’uno.
Kosovsky replicò al PPS usando come arma il diritto all’uguaglianza. Il partito polacco
aveva criticato i socialdemocratici lituani perché organizzavano i lavoratori di lingua polacca

82
Przedswit, marzo 1898
83
Przedswit, aprile 1898
84
L’opuscolo si intitolava Di milkhoma fun der Poilisher Partai gegn dem Yidishn Arbeter Bund. Uscì nel luglio 1898,
dopo la fondazione del POSDR pan-russo, di cui il Bund era entrato a far parte.

59
presenti in Lituania, affermando che essi appartenevano al proletariato polacco. Se i polacchi
trovavano la differenza di lingua sufficiente a giustificare il controllo da parte loro sui lavoratori
polacchi in Lituania, perché allora non avere un’organizzazione al servizio dei lavoratori ebrei, che
avevano la loro propria lingua? Affermando che i lavoratori ebrei potevano avere obiettivi comuni
soltanto con i proletari di altre popolazioni intorno a loro, il PPS ammetteva implicitamente che i
lavoratori ebrei potevano essere mescolati ai polacchi o ai lituani. Esso discriminava i lavoratori
ebrei rispetto agli altri. I polacchi affermavano il proprio diritto all’unità indipendentemente dai
confini territoriali. Negare agli ebrei il medesimo diritto era chiaramente scorretto.
Il Comitato Centrale nel proprio indirizzo generale si soffermò sull’accusa di ispirazione
borghese. Effettivamente, dichiarava, la borghesia avrebbe potuto trarre beneficio dalla
concessione di uguali diritti civili; ma allora lo stesso valeva per tutte le lotte nazionali. Forse che la
borghesia russa non avrebbe approfittato della richiesta di diritti civili da parte dei lavoratori russi?
Un obiettivo non diventava borghese soltanto perché anche la borghesia traeva beneficio dal suo
ottenimento; i diritti politici non erano ancora stati divisi in categorie corrispondenti alle classi.
Kosovsky venne poi alla seconda parte dell’accusa, quella di separatismo e di legame
storico con la borghesia. Non usò mezzi termini. Il PPS era in stato confusionale. Affermando che
l’idea di unità nazionale ebraica era influenzata dalla concezione borghese, e che
un’organizzazione separata dei lavoratori ebrei avrebbe portato alla unificazione “non solo contro
la borghesia ebraica ma anche contro gli altri proletari in mezzo ai quali vivono”, i polacchi
confondevano l’indipendenza di una nazione con l’organizzazione di una classe sociale dotata di
un proprio programma indipendente. Lo stesso argomento fu portato contro l’accusa che il
separatismo del lavoratore ebreo favoriva il regime russo. In realtà, gli obiettivi del Bund erano in
pieno accordo con quelli del proletariato internazionale. La sola differenza era la richiesta di diritti
civili per gli ebrei. Se l’indipendenza poteva essere vista come una questione dei lavoratori quando
riguardava i lavoratori polacchi sotto il giogo russo, perché il Bund non poteva fare la medesima
richiesta? Se un’organizzazione separata dei lavoratori ebrei danneggiava la causa generale del
proletariato, perché il PPS non era colpevole dello stesso danno? Il PPS salutava con gioia gli
sforzi delle altre organizzazioni nazionali; perché il proletariato ebraico era trattato diversamente?
Ai bundisti sembrava che gli argomenti usati contro di loro fossero contraddittori, poichè
riguardavano il separatismo e l’assimilazione allo stesso tempo. Da un lato il Bund era accusato di
erigere un muro tra i lavoratori cristiani ed ebrei; dall’altro era accusato di russificazione. Ma il
significato particolare che il PPS dava al termine russificazione non era quello del Bund. I polacchi,
affermava Kosovsky, estendevano la propria ostilità verso l’autocrazia russa “a tutto ciò che è
russo”; anche diffondere le idee dei socialisti russi era russificazione. L’aspirazione del Bund alla
coesione dei lavoratori di tutta la Russia non implicava né un legame col regime zarista né alcun
giudizio sulla questione della separazione della Polonia dalla Russia.
Dopo aver affrontato il caso del Bund, Kosovsky pose ora alcune domande. Cosa aveva
fatto il PPS per i lavoratori ebrei nelle aree in cui essi erano una debole minoranza? Cosa aveva
fatto per stimolare la coscienza dei lavoratori ebrei o per dissuadere i lavoratori polacchi dall’ostilità
verso gli ebrei? Era vero o no che se non ci fosse stato il Bund il PPS non avrebbe preso in
considerazione di svolgere attività in lingua yiddish?
Alla fine, Kosovsky arrivò a uno dei punti più delicati dell’attacco del PPS. Suggerì che nel
paventare i rischi di antisemitismo politico e nell’indicare gli ebrei come uno stato nello stato, i
leader del partito polacco davano prova del proprio stesso antisemitismo. I loro riferimenti ai
socialisti che si univano agli ebrei suonavano sospettosamente come la voce del noto giornale
antisemita Novoe vremia (Tempi nuovi), che affermava che gli ebrei avevano assunto la guida del
movimento rivoluzionario russo. Il PPS aveva adottato questo punto di vista e semplicemente
l’aveva rivisto in termini socialisti.
Il Comitato Centrale concluse il suo indirizzo con una nota non meno incisiva: il Bund
poteva lavorare liberamente entro il partito pan-russo, che non si curava che esso si occupasse
della “questione ebraica”. Lasciava “il ruolo di uccello che…voleva sorvolare l’oceano” al PPS.
L’arresto del Comitato Centrale in luglio di fatto pose fine alla controversia in corso col PPS.
La posizione del PPS non ebbe alcun forte effetto ideologico sui bundisti. Al contrario i polacchi di
mentalità nazionalista, con la loro aspirazione a concentrare nelle proprie mani il lavoro
rivoluzionario in Polonia, non fecero che confermare al Bund la correttezza dei suoi obiettivi
nazionali e internazionali. Dopotutto i bundisti potevano sostenere la propria posizione
richiamandosi a uno dei più importanti aspetti del marxismo: il collegamento con il nuovo partito

60
pan-russo era un esempio di cooperazione internazionale di classe, in contrasto con le limitate
vedute nazionali del PPS. I bundisti non videro alcun motivo di modificare le proprie sintesi
ideologiche.
Né le accuse del PPS mutarono il punto di vista dei dirigenti bundisti sui diritti dei proletari
ebrei. La richiesta che i lavoratori ebrei sacrificassero i propri interessi per il movimento polacco
apparve loro come una limitazione dei diritti degli ebrei all’uguaglianza; essi dovevano essere
trattati come comprimari, o al massimo come sostenitori delle lotte polacche, da essere
ricompensati solo allorquando la nazione polacca avesse visto la luce. Il Comitato Centrale rigettò
pubblicamente la rivendicazione della leadership da parte del PPS e ribadì la propria posizione:
una linea pan-russa sulle questioni rivoluzionarie generali e indipendenza organizzativa sulle
questioni ebraiche.

Verso la fondazione del POSDR. Per tutti i gruppi socialdemocratici ebrei, e


particolarmente per i pionieri di Vilna, un partito pan-russo era un dovere. Essi avevano accettato
quell’idea sin da quando avevano iniziato l’attività, ed erano giunti alla conclusione che il proprio
successo sarebbe dipeso dal successo di un’organizzazione pan-russa. L’importanza attribuita a
un partito unitario può essere vista nel ruolo di tutori che svolsero nel costruirlo. Allo stesso tempo
essi avevano un’idea ben definita di quale dovesse essere il proprio posto nel partito, ed erano
determinati a chiarire la propria posizione nei confronti dei russi. Un modo per fare ciò fu creare la
propria organizzazione prima che il congresso di unificazione avesse luogo. Fu a tale scopo che
essi formarono il Bund.
Dopo che i socialdemocratici di Pietrogrado ebbero fallito nel tentativo di raggiungere
l’unità, l’iniziativa passò al gruppo di Kiev. Sotto la guida di B.L. Eidelman, i militanti di Kiev
lavorarono energicamente nella primavera e estate 1897 per unificare i vari gruppi russi. Essi
organizzarono un incontro nella loro città in marzo, lanciarono la Rabociaja Gazeta in agosto nella
speranza di farne un organo di partito, e nei mesi successivi fecero un considerevole sforzo per
redigere un agenda per un congresso di partito.
Questa attività mise il gruppo di Kiev a stretto contatto col Gruppo di Vilna, che l’anno
precedente aveva partecipato al dibattito sui problemi dell’unificazione. In generale Vilna aveva
legami più stretti con Pietrogrado che con Kiev; tramite Vilna, Kiev ricevette testi scritti e notizie sui
socialdemocratici all’estero. L’aspirazione del Gruppo di Vilna a essere rappresentato ebbe i suoi
effetti sui compagni di Kiev. Quando un gruppo di Kiev, Causa Operaia (Raboceie Delo), iniziò la
pubblicazione di un giornale nel gennaio 1897, il Gruppo di Vilna non volle accettarlo come organo
comune, affermando che con una base così ristretta non poteva pretendere di parlare per tutti i
socialdemocratici di Russia. Questa opposizione fece sì che gli attivisti di Kiev iniziassero a
pensare a un giornale russo unitario.
Kremer volle consultarsi con Plechanov e con la vecchia guardia all’estero sulle discussioni
che avevano avuto luogo tra Kiev, Pietrogrado e Vilna alla fine del 1896. Tuttavia non riuscì a
lasciare Vilna fino alla primavera. In quel periodo il gruppo di Kiev convocò il proprio incontro. Il
Gruppo di Vilna accettò l’invito di Eidelman, ma nessun delegato di Vilna partecipò alla conferenza.
Sono state avanzate diverse spiegazioni dell’assenza di una rappresentanza da Vilna.
Eidelman, che organizzò l’incontro, ritiene che il Gruppo non ricevette la lettera che annunciava il
giorno e il luogo dell’incontro. Vladimir Akimov, che dedicò molto tempo a tenere contatti coi
partecipanti negli anni successivi, ritiene che l’assenza fu volontaria, sottolineando che l’incontro
avrebbe potuto avere un effetto disgregante dal punto di vista di Vilna. Per il Gruppo di Vilna quella
scadenza fu prematura, sia perché le consultazioni all’estero dovevano ancora avere luogo sia per
la propria stessa incertezza nell’unificazione dei gruppi ebraici.
Le argomentazioni di Akimov sono convincenti, specialmente alla luce dell’aperta
contrarietà del Gruppo di Vilna rispetto alle precedenti iniziative editoriali dei gruppi di Kiev. E’
possibile che a Kiev operassero in maniera troppo autonoma rispetto al punto di vista del Gruppo
di Vilna. Vi erano stati altri segni di quell’autonomia: il più importante fu il rifiuto dei gruppi di Kiev di
farsi rappresentare da Kremer all’estero, cosa alla quale invece il gruppo di Pietrogrado
acconsentì. Date le circostanze Vilna fu probabilmente soddisfatta che l’incontro di Kiev si
concludesse come un puro e semplice colloquio.
A prescindere dal fatto che i rappresentanti di Vilna avessero o no deliberatamente
boicottato l’incontro, la loro assenza quasi certamente rallentò la spinta verso l’unificazione. Ma
solo temporaneamente. Nell’estate e autunno 1897 il lavoro preparatorio in quella direzione

61
accelerò. Dopo il congresso del Bund, Kremer si recò a Pietrogrado e Kiev, dove si parlò del futuro
congresso. All’epoca egli indubbiamente comunicò le condizioni del Bund per l’adesione al partito
unitario. Fu allora che vennero anche presi gli accordi per l’organizzazione del congresso, che il
Bund accettò di ospitare.
Soprattutto per ragioni di sicurezza come sede del congresso fu scelta Minsk. Non solo la
città era caratterizzata da un livello di attività poliziesca inferiore rispetto ad altri centri, ma i
delegati poterono recarsi a Minsk in condizioni di rischio limitato grazie alla vasta rete di contatti
del Bund. Eidelman si affidò di buon grado al Bund per le questioni relative alla sicurezza, poiché
“solo il Bund contava nelle sue fila lavoratori più anziani ed esperti rispetto al gruppo della
Rabociaia Gazeta”85.
Il Primo Congresso del POSDR. Il congresso di fondazione del Partito Operaio Social
Democratico Russo (POSDR) ebbe luogo dal 1 marzo (anniversario dell’uccisione di Alessandro II)
fino al 3 marzo 189886. Vi parteciparono 9 delegati in rappresentanza di 4 città. Vi erano tre
delegati da Kiev, uno inviato dall’Unione di Lotta della città e due in rappresentanza della
Rabociaia Gazeta; tre delegati del Bund (Kremer, Mutnikovich e Shmuel Katz, quest’ultimo da non
confondere con David Katz che partecipò al primo congresso del Bund); e un delegato ciascuno
per Mosca, Ekaterinoslav e Pietrogrado87. L’ampiezza delle delegazioni non rappresentò un fattore
poiché ciascuna di esse disponeva un solo voto. Come al congresso del Bund, non fu tenuto un
verbale dei lavori, e solo le risoluzioni adottate furono riportate pubblicamente.
L’agenda, preparata da Eidelman e circolata prima del congresso, si concentrò su alcuni
temi pratici come il nome della nuova organizzazione, la scelta del Comitato Centrale, i rapporti tra
il Comitato Centrale e i gruppi locali e gli altri partiti, e le questioni relative alla letteratura illegale e
all’educazione. Alle organizzazioni invitate era stato chiesto di presentarsi con posizioni definite su
questi punti.
Questo approccio pragmatico è indice degli obiettivi immediati limitati da parte dei fondatori.
Si trattava di fatto di una semplice estensione del lavoro che ciascuno svolgeva per conto proprio.
Il congresso non aveva né le energie né il tempo per produrre un programma teorico. Tutti i
delegati accettarono il socialismo come obiettivo finale o massimo e i metodi del socialismo
scientifico come la via per raggiungere tale obiettivo. Fu dei compiti immediati (la lotta contro il
regime zarista e l’organizzazione di un partito in base alle possibilità esistenti) che si parlò al
congresso di fondazione.
Questi erano in tutto e per tutto gli stessi compiti di cui si era parlato al congresso di
fondazione del Bund. Il riferimento all’organizzazione e alla creazione di una rete orientata al
servizio immediato piuttosto che a un centro ideologico riflette l’analogia del modus operandi di
molti gruppi socialdemocratici in Russia. Vi era un’importante differenza, tuttavia, tra i vari gruppi
convenuti. Mentre il Gruppo di Vilna si era già strutturato come un centro, nessun’altra delegazione
presente a Minsk in quel marzo 1898 aveva attributi simili.
Per alcuni aspetti le risposte dei delegati all’agenda furono simili in entrambi i congressi. In
entrambi i casi ad esempio la dichiarazione di apertura sulla necessità di creare un’organizzazione
unificata passò senza discussioni. E al congresso di Minsk, così come al congresso di fondazione
del Bund, la scelta del nome provocò notevoli discussioni. I delegati del Bund proposero l’utilizzo
del termine rossiskaja (pan-russo) invece del più ristretto russkaja (russo), per distinguere l’intero
proletariato dell’Impero rispetto ai soli lavoratori di lingua russa. A. L. Tuchapsky, delegato di Kiev,
appoggiò la proposta e questa fu approvata88.
La designazione ideologica del nuovo partito (Social Democratico) passò senza
discussione. A quanto pare i bundisti accettarono un termine che in precedenza avevano rifiutato
per la propria organizzazione in quanto troppo ristretto nelle implicazioni.

85
B. Eidelman, K istorii vzniknovenija Rossiiskoi Sots.-Dem Rabochei Partii, 1921
86
Gli storici sovietici, in particolare dal 1930 in avanti, hanno considerato questo primo congresso come un evento
secondario. Essi faticano ad accettarlo come atto di nascita del Partito Comunista Russo per tre ragioni: solo uno dei
delegati divenne un “vero bolscevico”; Piotr Struve scrisse il manifesto del partito; e Lenin praticamente non ebbe
alcuna influenza sullo svolgimento. In più, il ruolo del Bund ha reso il congresso poco gradito ai comunisti.
Ciononostante, Lenin lo riconobbe come primo congresso del partito e così fecero i successivi congressi, e sia i bundisti
che i bolscevichi vi fecero ufficialmente riferimento per la discussione e l’attività.
87
Il delegato di Pietrogrado era Stepan Radchenko. Lenin e Martov all’epoca erano in esilio in Siberia.
88
Nelle traduzioni normalmente viene usato il termine “russo”, ma sarebbe dunque più corretto scrivere Partito Operaio
Social Democratico Panrusso.

62
Fu discusso l’uso della parola “operaio”. I contrari sostennero che il termine era fittizio, che
pochi lavoratori sarebbero stati parte del partito. A quanto pare i delegati del Bund furono
favorevoli a usarlo, proiettando la loro propria esperienza tra i lavoratori al partito più ampio. Dopo
una fase di dibattito la proposta fu respinta per un voto. (Il termine fu inserito in seguito su
insistenza di Kremer). Il termine “partito” fu accettato senza discussioni. La scelta del nome fu uno
dei risultati più duraturi da parte dei fondatori del partito.
La maggior parte dei lavori del congresso riguardò l’organizzazione. Il cuore delle decisioni
la creazione di un organismo di direzione centrale e delle sue relazioni coi gruppi locali.
Strettamente legato a questo punto fu la questione dello status del Bund. In realtà le due cose
vennero affrontate una dopo l’altra. Il partito necessitava di un centro per la stessa ragione per cui
ne necessitava il Bund: avere un grado di sicurezza non ottenibile a livello locale, mantenere i
contatti tra gruppi che altrimenti non sarebbero riusciti a comunicare, e produrre materiale scritto
per informare ed educare i lavoratori.
Alla fine il Comitato Centrale creato ebbe solo un’autorità limitata sui gruppi locali. Eidelman
era a favore di un centro forte ma fu del parere che il grado di controllo effettivo fosse da
commisurare alla realtà della situazione concreta. Egli auspicò che in corso d’opera il centro si
sarebbe rafforzato, i particolarismi sarebbero diminuiti, e si sarebbe sviluppato uno spirito di
partito.
In ogni caso anche prima del congresso si sapeva che le organizzazioni più giovani
privilegiavano il proprio lavoro specifico, e ci si aspettava che avrebbero opposto resistenza alle
“interferenze”. La risoluzione approvata al congresso, apparentemente senza contrarietà, garantì
ai gruppi locali il diritto di rifiutarsi di eseguire gli ordini del Comitato Centrale in casi eccezionali, e
diede loro mano libera nelle questioni locali, nei limiti del programma. Il delegato di Ekaterinoslav,
K.A. Petrusevich, guidò la battaglia per limitare i poteri del Comitato Centrale.
Dati gli ampi poteri conferiti ai comitati locali, vi furono poche obiezioni all’insistenza del
Bund sulla sua autonomia all’interno del partito. Infatti difficilmente i problemi specifici di lingua e
collocazione geografica avrebbero potuto essere aggirati. Sia nell’organizzazione che
nell’affrontare i problemi relativi ai lavoratori ebrei al Bund fu garantita la piena autonomia.
Anni dopo i socialdemocratici russi avrebbero sostenuto che la posizione del Bund non era
particolare. “In sostanza” scrisse Eidelman nel 1921 “questa autonomia non differiva
dall’autonomia degli altri comitati, per come fu concepita al congresso”89. Né, disse, il
rappresentante del Bund al Comitato Centrale del POSDR, Kremer, fu in alcun modo distinto dagli
altri membri. A parte queste considerazioni, sta di fatto che vi erano considerevoli differenze tra i
Bund e i comitati locali russi in quanto organizzazioni. La considerazione specifica per l’autonomia
del Bund, insieme alla natura delle questioni poste nell’intento di definire i suoi rapporti con il
Comitato Centrale, indicano che il congresso riconobbe pienamente che quello del Bund era un
caso particolare. Semplicemente i delegati evitarono di andare a fondo in queste differenze,
volendo preservare l’unità; fu più facile enfatizzare le somiglianze nel lavoro e negli obiettivi finali.
Ciononostante, il Bund ebbe una libertà limitata, e di fatto non ne volle di più per il
momento. A confronto con le richieste poste da altri gruppi etnici che avrebbero dovuto
partecipare, i polacchi e i lituani, le condizioni di adesione poste dal Bund furono puramente
tecniche. Ricevuto l’incarico di invitare i socialdemocratici lituani al congresso, il Bund chiese a
Kososvsky di gestire la trattativa. Alla fine, essi rifiutarono di partecipare. “Per loro non era
abbastanza essere un partito autonomo parte di un partito unitario” dice Kremer “essi chiesero che
l’intero partito fosse strutturato come una federazione”90.
Il PPS ricevette considerevole attenzione al congresso, sebbene anch’esso non fosse
rappresentato. Secondo Tuchapsky, il PPS aveva richiesto il riconoscimento di una Polonia
indipendente e il controllo esclusivo su tutte le sezioni del partito in Polonia e Lituania. Tali
condizioni erano inaccettabili. Sebbene il PPS non fosse stato invitato, comunque il congresso
discusse la questione nazionale (la sola questione di principio che fu affrontata formalmente) e

89
B. Eidelman, K istorii vzniknovenija Rossiiskoi Sots.-Dem Rabochei Partii, 1921
90
Arkady Kremer, Arkady: Zamlbukh tsum andenk fun Arkady Kremer, 1942. Akimov afferma che il Partito Social
Democratico Lituano non potè partecipare al congresso perché gli arresti nell’autunno del 1897 avevano decimato i suoi
ranghi. Ma Kremer è convinto che i lituani come precondizione volessero il riconoscimento dell’autonomia territoriale
per il proprio partito. Probabilmente c’è da credergli, poiché egli o partecipò ai colloqui o fu in stretto contatto con
coloro che lo fecero.

63
approvò una risoluzione che favoriva l’autodeterminazione per ciascuna nazionalità. Il tema
scaturì, va sottolineato, non da condizioni poste dal Bund ma dalle discussioni sul PPS.
Il Bund ottenne dunque lo status voluto da parte di quel partito unitario che aveva
duramente lavorato per creare. Per di più il suo successo non fu a spese degli altri gruppi membri
del Comitato Centrale. Tutte le decisioni del Congresso erano state prese amichevolmente ed
erano state in precedenza concordate a grandi linee dai gruppi principali. L’accordo fu quasi
generale, e i partecipanti furono tutti soddisfatti dei risultati per il momento.

L’ondata di arresti del 1898. Il primo congresso del POSDR si era da poco concluso
quando un’ondata di arresti stroncò sul nascere il partito, lasciandone soltanto il nome, e così
avvenne poi per il Comitato Centrale del Bund. Il percorso che portò all’arresto dei dirigenti del
Bund nel luglio 1898 iniziò coi preparativi per il congresso del POSDR. Gli agenti di Sergej
Zubatov, capo della polizia segreta di Mosca, avevano messo sotto sorveglianza Eidelman ed
erano riusciti a seguirlo nel suo viaggio verso Minsk. In un rapporto datato 28 febbraio, il giorno
dopo l’arrivo di Eidelman, la polizia assegnò il nome in codice di Chernyi (Nero) a un intellettuale
ebreo: Abram Mutnikovich. La polizia segreta si era imbattuta in uno degli uomini chiave del Bund.
Vi sono pochi dubbi che il congresso di Minsk permise agli agenti di Zubatov di entrare in
contatto col Bund. Minsk, va ricordato, era stata scelta come sede del congresso per la sua
relativa scarsità di presenza poliziesca. Quell’attività si fece molto più marcata dopo il congresso,
dice Kremer. Abbiamo anche una dichiarazione di Leonid Menschnikov, agente dell’Ochrana (la
famigerata “Terza Sezione”, o polizia segreta dello stato zarista), che la polizia non aveva
informazioni sul Bund sino a quell’epoca. La maggiore evidenza viene dagli stessi documenti della
polizia. Nell’ondata di arresti che colpirono diverse città russe una settimana dopo il congresso,
compresi alcuni delegati tra cui Eidelman, nessun membro o simpatizzante del Bund nell’intera
regione del Nordovest fu coinvolto.
Mentre la polizia compiva questa azione il Comitato Centrale del Bund era duramente
impegnato a svolgere incarichi per il POSDR. Il congresso del partito aveva accettato il
suggerimento di Stepan Radchenko di Pietrogrado, che con Eidelman e Kremer faceva parte del
Comitato Centrale del partito, ovvero che la nuova organizzazione si presentasse pubblicamente
con un manifesto, dal momento che non aveva optato per la stesura di un programma. Radchenko
affidò il compito a Piotr Struve, autorevole intellettuale e marxista di Pietrogrado. Il testo di Struve
portò Kremer nella capitale per consultazioni alla fine di marzo. Eidelman allora era già stato
arrestato.
Nel testo Struve seguì quella che lui considerava essere una linea marxista ortodossa.
All’epoca egli non era più completamente d’accordo con quel punto di vista, ma fece del suo
meglio per lasciare il proprio punto di vista personale al di fuori della dichiarazione. Il testo non
piacque a Kremer, “sia nello spirito che nel tono”, ma Radchenko si schierò con Struve e il
documento rimase pressoché inalterato. Nonostante la persistente insoddisfazione di Kremer
rispetto al manifesto, il Bund provvide a stamparlo. Non c’era null’altro di valido per rimpiazzarlo o
un altro modo per stamparlo, dal momento che gli arresti nella Russia meridionale avevano portato
alla scoperta della tipografia della Rabociaja Gazeta. Alla luce della repressione poliziesca,
sembrò necessario che il manifesto apparisse il più presto possibile. Esso fu stampato nella
tipografia del Bund a Bobruisk, sia in yiddish che in russo.
Dopo gli arresti nel sud, il Bund fece del proprio meglio per sopperire alle necessità sia dei
propri comitati locali che del nuovo partito. Esso stampò a Bobruisk diversi opuscoli per vari
comitati, e un opuscolo per il partito in occasione del Primo Maggio 1898. Ma presto divenne
chiaro che la tipografia in dotazione non poteva svolgere il lavoro di entrambe le organizzazioni.
Un tipografo di nome Sherman si procurò un macchinario e allestì una tipografia a Minsk. I membri
del Bund a quanto pare fecero uno sforzo congiunto per procurarsi un macchinario russo e
attrezzature per la nuova tipografia, poiché le autorità nei raid di luglio scoprirono una quantità
considerevole di questo materiale.
Tutti gli sforzi dei bundisti per contro del POSDR furono vani. Essi non avevano le risorse
letterarie né tecniche per portare avanti insieme l’attività del partito e quella del Bund. Per il
POSDR, già seriamente colpito dagli arresti di marzo, la cattura dei principali dirigenti bundisti a
luglio fu il colpo di grazia. Nessun altro gruppo socialdemocratico era forte abbastanza da
mantenere in vita il partito.

64
Una volta che Zubatov prese contatto col Bund, l’attività del Comitato Centrale e dei suoi
attivisti fu oggetto di costante attenzione. Un indice della serietà con la quale avvenne la
sorveglianza è la quantità di denaro spesa in tale compito. A quell’attività investigativa furono
assegnati circa 20 agenti, con un costo di poco meno di 10.000 rubli, più della metà dei 18.515
rubli spesi in totale nella prima metà del 1898. Dall’inizio della sorveglianza dei bundisti al loro
arresto trascorsero cinque mesi. Zubatov svolse con calma il proprio lavoro, rinunciando a
compiere arresti finchè le informazioni pervenivano nel suo ufficio di Mosca.
L’investigazione della polizia di per sé rivela uno dei problemi di un’organizzazione isolata,
clandestina e centralizzata. Proprio perché il Comitato Centrale era del tutto segreto, ristretto e
separato, il lavoro della polizia fu più facile. Mutnikovich, il primo bundista a essere agganciato,
condusse gli agenti da Kremer. Le strade dei due membri del Comitato Centrale, che insieme
gestivano la maggior parte delle questioni organizzative, a quel punto si separarono, ma solo per
riunirsi in una sorta di circolo. A Minsk i movimenti di Kremer condussero a Kosovsky, il terzo
membro del Comitato Centrale, così come ad alcune importanti figure locali come Zhenia Gurvich.
Nel frattempo Mutnikovich si recò a Lodz, rivelando contatti locali lungo la strada. Uno di questi fu il
commerciante Boris Banevur; una perquisizione nella sua stanza d’albergo il 6 maggio rivelò un
piccolo brandello di carta strappata contenente scritti illegali. Un altro fu Joseph Mill, che incontrò
Mutnikovich a Lodz l’11 maggio per recuperare alcuni pacchi di materiale da riportare a Varsavia.
Da Varsavia Mill si recò a Vilna; il pedinamento nei suoi confronti rivelò i contatti a Bialystok e
Pietrogrado. Anche Banevur ritornò a Vilna, la sua residenza abituale, ove le autorità scoprirono la
sua identità. Quando si recò a Minsk, e fu visto con Kremer, Kosovsky e Zhenia Gurvich, il cerchio
fu chiuso.
La tipografia a Bobruisk fu un altro colpo. All’inizio gli agenti pensarono che il lavoro laggiù
fosse opera di un gruppo piccolo e isolato. Ma presto scoprirono che le cose non stavano così,
poiché Kaplinsky, che gestiva la tipografia, incontrò Kremer a Minsk diverse volte a giugno.
Quando il 23 luglio i bundisti cominciarono a trasferire materiale dalla sede della tipografia a Vilna
e Grodno, la polizia fu pronta ad agire. Il periodo di osservazione era terminato: la soppressione
del Bund stava per cominciare.
L’intensa attività poliziesca inevitabilmente attirò l’attenzione dei sospettosi bundisti.
Kosovsky, come Kremer, notarono un aumento di spie a Minsk dopo il congresso del POSDR.
Abbastanza curiosamente la polizia non si concentrò sul congresso in particolare. Sebbene gli
agenti avessero pedinato alcuni delegati fino a Minsk, essi non avevano idea di cosa fosse
l’incontro e non lo seguirono oltre. Anche dopo gli arresti di marzo, le informazioni ufficiali sul
POSDR erano frammentarie. In seguito la conoscenza di ciò che aveva avuto luogo causò nella
polizia una certo senso di fallimento, nonostante gli evidenti risultati. Al corrente degli arresti di
marzo e del pericolo che li riguardava, i dirigenti bundisti si aspettavano di essere arrestati prima
della ricorrenza del Primo Maggio, che certamente avrebbe segnato un aumento dell’attività di
polizia, a giudicare dall’esperienza degli anni passati. Ma allora Zubatov non era pronto ad agire.
Kaplinsky dopo l’arresto affermò di essere stato informato della propria condizione di pericolo nel
mese di giugno. All’epoca il Comitato Centrale era così all’erta che diramò una circolare che
avvertiva che “una banda di spie…circa 30” operavano in Polonia e Lituania nel corso degli ultimi
due mesi circa. La circolare elencava le basi delle spie, le descrizioni fisiche e in un caso il nome
dell’agente e il numero della sua stanza d’albergo, segno chiaro di un’attività di controspionaggio91.
Tali contromisure a giugno erano diventate ormai superflue poiché gli agenti del governo erano
diventati così audaci da sedere allo stesso tavolo dei bundisti nei ristoranti. Fu a quel punto che il
Comitato Centrale decise di agire.
La decisione arrivò troppo tardi. Per tre mesi il Comitato Centrale era stato al corrente del
pericolo, ma aveva fatto poco per proteggersi. Solo alla fine di giugno o a inizio luglio esso decise
di lasciare Minsk e Bobruisk per Grodno. Il comitato indubbiamente decise di procedere a proprio
rischio e pericolo, dopo aver soppesato i rischi per l’attività e le capacità del nemico. Esso aveva
adempiuto agli incarichi per conto del POSDR prima che la sorveglianza poliziesca diventasse
evidente. Ma aveva ancora urgenti compiti da svolgere per la propria organizzazione. “Era
impossibile interrompere il lavoro” scrive Kremer “’Di Arbeter Shtime’ doveva uscire, e dovevamo
rispondere al duro attacco del PPS contro il Bund”92. Il Comitato Centrale non avrebbe interrotto il

91
L. Menshchikov, Okhrana i revoliutsiia, 4 volumi, 1925 - 32
92
Arkady Kremer, Arkady: Zamlbukh tsum andenk fun Arkady Kremer, 1942

65
suo lavoro prima che tali compiti fossero portati a termine. Dalle valutazioni di Kremer è chiaro
quanto poco il comitato si considerasse indispensabile e quanto invece si sentisse
un’organizzazione al servizio del Bund.
Nel corso degli anni i dirigenti avevano imparato a evitare la polizia locale nelle aree dove
operavano. Ma questa volta sopravvalutarono la propria abilità nell’avere a che fare con le forze
dispiegate contro di loro. Boris Frumkin, un veterano dei circoli, sostenne che il movimento non
aveva incontrato un’opposizione veramente seria da parte del governo prima che Zubatov
entrasse in gioco. Anzi, con la crescita del movimento le autorità locali non furono in grado di
controllare la situazione. La loro inefficienza condusse a una riorganizzazione dell’attività
investigativa nelle province nella primavera del 1897. Nel contempo, i dirigenti del Bund furono
indotti dalla loro forza ed esperienza a continuare la propria attività invece che spostarsi al primo
segno di pericolo. “Ci sentivamo abbastanza forti da poter resistere all’attacco di Zubatov”93 nota
Kremer.
La principale ondata di arresti ebbe luogo il 26 luglio 1898. Tutti e tre i membri del Comitato
Centrale furono presi; il principale strumento di propaganda, la tipografia di Bobruisk, fu confiscata;
e molti dei più importanti legami dell’organizzazione furono sciolti94. Con questo colpo la gestione
del primo Comitato Centrale ebbe fine.
Tra il materiale clandestino confiscato a Bobruisk vi fu il numero 9-10 dell’Arbeter Shtime,
appena stampato, con la dichiarazione d’intenti del Comitato Centrale (l’ultima, a conti fatti). In tale
scritto i dirigenti del Bund cercavano di spiegare perché fosse stato fondato il POSDR, il significato
degli attacchi del PPS e la posizione del Bund su entrambe le questioni.
Per il Comitato Centrale la creazione del POSDR fu un punto di svolta politico e
organizzativo. Il nuovo partito forniva la sovrastruttura internazionale sulla quale potevano basarsi
tutti i piani e le speranze dei socialdemocratici ebrei. Esso avrebbe portato ordine e unità nella lotta
economica e politica dell’intero proletariato pan-russo, avvicinando l’obiettivo principale: “abbattere
il giogo dell’autocrazia zarista e ottenere la libertà politica”95.
Avendo affrontato questo argomento, il comitato si volgeva quindi a difendere il diritto di
esistere del Bund. Era la particolare posizione legale del lavoratore ebreo, la famosa “doppia
oppressione” in quanto lavoratore e in quanto ebreo, che rendeva il Bund necessario. Il Bund, con
la sua particolare conoscenza delle condizioni ebraiche, avrebbe svolto una duplice funzione.
Avrebbe mobilitato i lavoratori ebrei dall’interno, e avrebbe mandato avanti la causa della
solidarietà di classe rendendo i lavoratori non ebrei consapevoli della condizione dei loro fratelli.
Nessuna organizzazione generale poteva occuparsi con gli specifici problemi che affliggevano il
proletariato ebraico; di conseguenza, il successo del Bund avrebbe giovato al proletariato di tutta
la Russia. Il Bund presentò la propria nuova posizione all’interno del partito come il risultato di una
corretta comprensione dei propri compiti e del proprio status.
Nei pochi mesi della sua esistenza, il primo Comitato Centrale del Bund non portò nulla di
nuovo al movimento da un punto di vista teorico. Esso tuttavia fece compiere al movimento un
passo avanti dal punto di vista organizzativo. Quell’organizzazione certamente era stata
seriamente danneggiata. Ma non così irreparabilmente. Il Bund era lungi dall’essere sconfitto, e
nuovi dirigenti sarebbero presto emersi per assumersi il compito della ricostruzione.

93
Arkady Kremer, Arkady: Zamlbukh tsum andenk fun Arkady Kremer, 1942.
94
Sul numero esatto degli arresti le fonti sono discordanti, vanno da 55 militanti (il solo 26 luglio) fino a un massimo
complessivo di 90.
95
DAS, dicembre 1898

66
8. LA RICOSTRUZIONE DEL CENTRO
DOPO GLI ARRESTI DEL LUGLIO 1898

I lavoratori prendono il testimone. L’onda provocata dal ciclone Zubatov fu


impressionante. Non solo egli aveva catturato l’intero Comitato Centrale del Bund e chiuso le sue
due tipografie, ma aveva anche neutralizzato un gran numero di attivisti, quell’inestimabile
secondo livello di lavoratori che svolgevano i compiti di routine del comitato. Tra costoro vi erano i
tipografi Kaplinsky e Sherman, il corriere Banevur, e alcuni devotissimi membri dei comitati locali
come Zhenia Gurvich e Hirsch Soroka. La lista degli arrestati è una sorta di Who’s who del periodo
dei pionieri, e contiene i nomi di alcuni dei più esperti, affidabili e devoti membri del movimento. Le
fonti più attendibili parlano di 5 arrestati a Bobruisk, 17 a Minsk, 7 a Vilna, 10 ciascuno a Varsavia
e Lodz, 3 a Baranowicze, e uno ciascuno a Odessa, Grodno e Briansk.
Ironia della sorte, fu il braccio dell’organizzazione deputato a provvedere alla massima
sicurezza possibile che subì il grosso degli arresti. Allo stesso tempo, poiché il Comitato Centrale
aveva mantenuto contatti limitati, i gruppi locali furono quasi interamente risparmiati. Le
organizzazioni locali si ritrovarono in circostanze inedite. Se doveva esserci una rigenerazione del
Bund, questa doveva procedere dagli attivisti vicini al vertice rimasti liberi e da coloro che erano
innanzitutto impegnati nel lavoro locale.
L’impatto emotivo delle retate fu enorme su coloro che ne erano rimasti indenni.
Mikhalevich, che allora operava a Bialystok, ricorda: “Inizialmente fummo tutti paralizzati…e non
sapevamo da che parte cominciare. I dirigenti del centro non erano lì, non avevamo una tipografia,
e dovemmo procedere per piccoli passi. La questione principale fu la tipografia. Essa per noi era
come una bandiera in battaglia. Senza tipografia avremmo cessato di essere un partito. Saremmo
diventati inerti; non vi sarebbe stato alcun Bund”96.
Lo scoramento di Mikhalevich fu comunque momentaneo. Il movimento era durato
abbastanza e aveva avuto abbastanza successo da creare una considerevole riserva di agitatori,
organizzatori e tecnici che avevano avuto almeno qualche collegamento con il cuore dell’attività
nel corso degli anni. Nei giorni della catastrofe David Katz, un membro del Comitato di Vilna, si
mise a ripristinare i contatti e a riprendere il lavoro di routine. In capo a due mesi si riunì un nuovo
congresso del Bund; dopo tre mesi, letteratura illegale a firma del Bund ricominciò a circolare;
dopo cinque ricomparve Di Arbeter Shtime. Gli anni di intenso lavoro rivoluzionario stavano
producendo i primi risultati.
La rapida ripresa del Bund rivelò le profonde radici dell’organizzazione nel terreno sociale
della comunità ebraica. L’elemento intellettuale ebreo educato nell’Impero russo non esisteva più.
Quell’elemento aveva fornito la direzione del movimento ebraico per quasi un decennio, ma i nuovi
dirigenti che emersero da dietro le quinte erano di estrazione sociale differente. David Katz, Leon
Bernstein, Sendor Zeldov, Bainish Mikhalevich, Tsivia Hurvich e Maria Zhaludsky, che guidarono il
movimento in Russia per un anno e mezzo dopo gli arresti, si formarono tutti durante il periodo dei
pionieri. Erano tutti validi ed esperti agitatori; uno di loro, Zeldov, aveva collaborato alla fondazione
dell’Arbeter Shtime. Costoro non erano i laureati di scuola russa provenienti dal sistema educativo
statale, ma i pupilli degli intellettuali-pionieri all’interno dei circoli, oppure semplici autodidatti. Per di
più la loro educazione rivoluzionaria aveva un taglio “anni ‘90”: questi dirigenti trovavano naturale
guardare alle masse reali come al focus principale dell’attività. Mediamente i nuovi dirigenti
avevano cinque anni meno dei loro predecessori. Katz fu indubbiamente l’elemento trainante nel
periodo tra gli arresti e il Terzo Congresso del Bund, quando alcuni dei vecchi militanti rientrarono
in attività; nel 1898 Katz aveva soltanto 22 anni, ben undici in meno di Kremer.
La formazione pratica e le caratteristiche dei nuovi attivisti erano proprio ciò di cui il Bund in
crisi aveva bisogno in quel momento. I compiti organizzativi furono la prima preoccupazione, e i
nuovi dirigenti si misero al lavoro con determinazione. Con l’aiuto di Leon Goldman, che si recò a
Vilna a quell’epoca, Katz ripristinò i canali di collegamento ristabilendo indirizzi e codici di
comunicazione. Egli in persona si recò nei vari luoghi ove si erano persi i legami. Quando andò a

96
Bainish Mikhalevich, Zikhroinos fun a yidishen sotsialist, Varsavia 1921 - 29

67
Kovno, dove discusse del lavoro di ricostruzione con Leon Bernstein, era già stato a Vitebsk,
Dvinsk e pare Varsavia.
Il Secondo Congresso del Bund. Un importante passo nella rigenerazione del Bund fu la
convocazione del Secondo Congresso. Il bisogno di una tale assise era ovvio, alla luce del
contraccolpo materiale e psicologico creato dagli arresti. Probabilmente il fattore psicologico giocò
un ruolo notevole nella decisione di convocare un incontro. In ogni caso i nuovi dirigenti ritennero
che si dovesse nominare un nuovo Comitato Centrale per assumere ufficialmente gli incarichi.
Kovno, che non era stata toccata dagli eventi di luglio, fu scelta come sede. Laggiù gli
attivisti erano così all’interno della popolazione artigiana ebraica che il movimento non attirava
l’attenzione. Il congresso fu fissato a settembre, proprio un anno dopo il Primo Congresso.
L’abitazione di Bernstein fu usata come luogo dell’incontro, anche se egli era sotto sorveglianza.
Furono rappresentate sei città (Vilna, Minsk, Varsavia, Bialystok, Lodz e Kovno), due in più
di quelle presenti al congresso di fondazione. In più fu inviata una rappresentanza dall’Unione dei
Fabbricanti di Spazzole, ora costituitasi formalmente come sindacato. A causa degli arresti, molte
facce erano nuove; solo Maria Zhaludsky e Katz avevano partecipato al Primo Congresso97. La
maggioranza dei delegati erano lavoratori e parlavano yiddish.
Nonostante questi cambiamenti, il Secondo Congresso ricalcò le modalità del precedente.
Infatti la rivelazione al pubblico dell’incontro fu rinviata di alcuni mesi per paura che l’annuncio
prematuro delle risoluzioni potesse aggravare la situazione dei compagni arrestati, la cui
situazione era ancora incerta nell’autunno 1898.
Il congresso durò tre giorni. Le discussioni riguardarono le situazioni locali, la lotta
economica, la letteratura illegale, l’assistenza ai compagni arrestati e le relazioni con gli altri partiti
rivoluzionari; e venne nominato un nuovo Comitato Centrale. Il report ufficiale sancì il legame tra il
Secondo Congresso e gli arresti, spiegando che esso era stato convocato per riorganizzare il Bund
di fronte alla politica repressiva del governo e per fare il punto sui passi da compiere.
Il quadro emerso al congresso non fu così disarmante come i bundisti avevano inizialmente
supposto. I rapporti locali rivelarono che gli arresti non avevano interrotto il funzionamento delle
organizzazioni a livello locale. I gruppi locali erano relativamente ottimisti: il numero dei lavoratori
ebrei che leggevano la letteratura illegale era in crescita, così tanto che il materiale doveva essere
raddoppiato o anche triplicato per soddisfare le richieste; nuove organizzazioni nascevano in
nuove aree, e quelle esistenti si espandevano, specialmente a Lodz e Varsavia; e la coscienza
politica continuava a diffondersi tra i lavoratori ebrei, come dimostrato dai crescenti contatti e dal
crescente prestigio acquisito dal Bund nelle fabbriche. Dal punto di vista dei gruppi locali, i
problemi più grandi erano rappresentati dalla mancanza di intellettuali propagandisti e di testi per i
lavoratori.
Laddove il Primo Congresso si era occupato quasi esclusivamente dell’organizzazione, il
Secondo oltre al compito organizzativo dovette trarre l’insegnamento di un anno di esperienza. In
gran parte ciò volle dire fare il punto sui progressi della lotta economica. I delegati notarono che
sebbene tra le masse operaie vi fossero numerosi scioperi, pochi scioperanti erano formalmente
organizzati in kase. In realtà il numero degli scioperanti fuori dai kase era in crescita, e minacciava
di superare il numero degli scioperanti organizzati. Il congresso valutò che questo sviluppo era
segno del calo di importanza dei kase come strumento di unificazione. Una volta che i kase ebbero
cessato di essere l’unico luogo di organizzazione ed educazione dei lavoratori, i loro difetti
strutturali divennero evidenti. La segretezza impediva la partecipazione libera dei lavoratori; allo
stesso tempo la reazione padronale e governativa imponeva il mantenimento della segretezza, e
dunque della partecipazione limitata. Pur notando questo fenomeno, il congresso non fu in grado
di apportare soluzioni. Alla fine i delegati decisero soltanto che ai lavoratori non organizzati nei
kase si doveva spiegare la necessità di una lotta insieme politica ed economica, e dello stretto
legame esistente tra le due. La letteratura illegale, specialmente gli opuscoli, poteva raggiungere
queste masse ove i kase non riuscivano.
Questa sui kase fu un’acuta analisi da parte di attivisti di secondo piano catapultati così
rapidamente in posizioni di leadership, e l’approccio di legare il Bund al crescente movimento
operaio fu un piccolo ma significativo passo. Non vi fu discussione su queste questioni.

97
Il numero esatto e i nomi dei delegati non sono certi. Per quanto riguarda il numero sia David Katz che Leon
Bernstein, le fonti più attendibili, parlano di dodici partecipanti.

68
Alcuni aspetti della condotta dei lavoratori turbarono i delegati. Una depressione
nell’economia russa, con conseguenti licenziamenti di massa e tagli ai salari, aveva condotto
alcuni lavoratori a ricorrere alla violenza e al terrorismo. Secondo Katz i delegati furono
unanimemente contrari a questa tattica, nonostante le difficoltà nelle quali si trovavano ai
lavoratori. Per di più, il congresso ritenne che alla luce della crisi corrente le organizzazioni locali
dovessero porre limitazioni all’uso dello sciopero.
Sorse di nuovo la questione della diffusione delle più importanti opere socialiste, una
proposta che non era stata accolta calorosamente dal Primo Congresso. I delegati a Kovno, per lo
più autodidatti e semi-intellettuali, accettarono di buon grado l’idea (forse un retaggio del desiderio
di rendere l’istruzione di un certo livello possibile alle larghe masse). Il congresso raccomandò la
pubblicazione di alcuni importanti lavori, includendo il Manifesto Comunista e il Programma di
Erfurt di Karl Kautsky.
La necessità di mantenere regolari le pubblicazioni degli organi del Bund fu all’ordine del
giorno. Alcuni delegati lamentarono i contenuti ripetitivi di Der Yidisher Arbeter, per cui il congresso
decise che d’ora in avanti il periodico avrebbe contenuto articoli di informazione sui paesi stranieri,
la vita in Russia, il socialismo scientifico e le lotte del passato. Die Arbeter Shtime doveva
continuare con il taglio attuale. Consapevoli della propria scarsità di risorse, i delegati discussero
l’utilizzo di testi socialisti provenienti dagli Stati Uniti, sebbene fossero poco utili al contesto russo.
La forte carenza di testi incoraggiò una tendenza che aveva già cominciato a manifestarsi
prima degli arresti. Il Comitato di Vilna aveva pubblicato il primo numero del suo giornale locale,
Der Klasen-Kamf (La Lotta di Classe), alla vigilia del Secondo Congresso. Wolf Alexandrisky
propose che l’Unione dei Fabbricanti di Spazzole pubblicasse un proprio giornale, adducendo
come spiegazione il relativo isolamento delle cittadine ove era presente quella produzione, e la
generale arretratezza di quei lavoratori. Il contenuto dell’Arbeter Shtime gli sembrava troppo
generale per i singoli settori professionali. Per di più un giornale locale avrebbe contribuito a
soddisfare la richiesta di materiale scritto. In ogni caso un incontro del sindacato aveva già deciso
in tal senso. Il congresso non solo accettò la sua proposta, ma adottò una risoluzione che
appoggiava gli organi locali in generale, prendendo ad esempio il giornale locale di Vilna. In capo a
un anno Minsk, Varsavia e Bialystok misero in pratica l’indicazione. La pubblicazione di cinque
periodici locali, seppure in limitate quantità, indubbiamente sopperì alla mancanza di testi scritti98.
L’appoggio agli organi locali fu un riflesso della situazione di emergenza. Kremer li aveva
ritenuti uno sforzo troppo costoso. Ma venendo a mancare la letteratura dal centro, la decisione fu
del tutto ragionevole. Allo stesso tempo l’appoggio del congresso indicava l’adattamento di
quest’ultimo alle istanze locali e lo scarso timore per l’assenza di un’istituzione centrale. Il carattere
di massa del Bund faceva sì che il lavoro locale avesse molta importanza. Inoltre grazie
all’omogeneità della tattica i periodici si potevano diffondere senza preoccupazioni verso il centro,
in quanto erano inerenti per lo più all’agitazione. Si trattava di completare l’organo centrale, più
orientato all’ideologia, che di competere con esso. Finchè non vi era discussione sulle tattiche di
base, gli organi locali potevano svolgere una funzione utile.
All’epoca in cui si riunì il congresso, gli echi della disputa con il PPS stavano ancora
risuonando. Per la maggior parte dei delegati, questo conflitto all’interno del movimento era una
novità; e molti furono colpiti dal linguaggio aspro usato nell’opuscolo del Comitato Centrale per
rivolgersi a dei compagni rivoluzionari. Katz ritiene che pochi delegati compresero le posizioni del
PPS sul Bund. Alla fine il congresso decise che in quanto membro del POSDR, il Bund dovesse
attendere e vedere quale posizione il partito avrebbe assunto sul PPS.
Sulle questioni che andavano al di là dell’ambito puramente bundista, il congresso si mosse
in maniera cauta sui temi politici e in modo un po’ più audace su alcuni temi economici. Esso
propose che il POSDR si avvicinasse a organizzazioni che avevano obiettivi simili, come la
Rabochaia Znamia (Bandiera del Lavoratore) di Bialystok. Dal momento che il POSDR era
pressoché defunto, ciò significava in pratica che il Bund non avrebbe preso iniziative. A seguito di
una discussione sull’efficacia delle tattiche negli scioperi i delegati decisero di pubblicare, laddove
fosse il caso, opuscoli in polacco oltre che in yiddish. Essi decisero anche di creare associazioni,
insieme ad altri gruppi rivoluzionari, per aiutare i prigionieri e gli esiliati “indipendentemente dalla

98
Oltre al giornale di Vilna gli altri quattro periodici furono: Der Veker (Unione degli Spazzolai), Ainikait (Minsk), Der
Varshaver Arbeter (Varsavia) e Der Belostoker Arbeter (Bialystok).

69
nazionalità e dal partito di appartenenza”99. Dagli arresti di luglio la memoria tornava
costantemente alla situazione critica dei prigionieri, che erano stati mandati a Mosca, dove
vivevano nell’indigenza. Questi furono passi positivi ma neutrali dal punto di vista politico.
L’ultimo atto del congresso fu la ricostituzione del Comitato Centrale. A differenza del Primo
Congresso, il Secondo nominò i membri del comitato per via elettiva: Katz, Tsivia Hurvich e
Zeldov. Al Comitato fu attribuita la facoltà di cooptare, se necessario, altri bundisti per contribuire
all’espletamento dei vari incarichi.
Il Secondo Congresso portò a termine il suo modesto scopo. Dimostrò la vitalità del Bund e
iniziò il lavoro di ricucitura delle falle nell’attività e dei contatti. Evitò i problemi di principio e non
intraprese cambiamenti organizzativi ulteriori. I delegati mostrarono un forte pragmatismo che fece
sì che le forme e i mezzi dell’organizzazione rimanessero intatti. Fortunatamente per i nuovi
leader, la situazione nell’autunno 1898 non richiedeva di più.
La ripresa dell’attività. Nei primissimi mesi dopo il congresso il Comitato Centrale faticò
assai a portare avanti il lavoro. Non era semplice reperire il denaro necessario a produrre e
distribuire il materiale scritto. Il primo Comitato Centrale aveva avuto le sue difficoltà finanziarie,
ma era riuscito a contare sui legami con gli intellettuali della classe media. Si dovevano pagare i
contrabbandieri, acquistare testi dagli Stati Uniti, e aiutare le famiglie dei compagni arrestati. In
qualche modo la paralisi derivante dalla mancanza di fondi doveva finire.
La produzione di materiale dal punto di vista tecnico fu un altro grosso ostacolo da
superare. Il problema di reperire una tipografia e lavoratori istruiti e capaci non fu risolto in fretta.
La seconda fascia di lavoratori e semi-intellettuali dediti alla propaganda, la stessa solida base che
aveva fornito tipografia e organo al primo Comitato Centrale, rese possibile al nuovo vertice di
riprendere l’attività di stampa. La tipografia del Comitato di Vilna si assunse il carico di lavoro
aggiuntivo per il Comitato Centrale. In dicembre comparve il primo numero dell’Arbeter Shtime
dall’epoca degli arresti. Opuscoli locali continuarono a uscire lungo tutto il periodo, sia stampati
che ciclostilati.
La scarsità di capacità letteraria fu un grosso ostacolo. Solo Zeldov, che era stato uno dei
fondatori dell’Arbeter Shtime, risiedeva a Vilna. Max Tobias, un semi-intellettuale della prima ora,
lo aiutò per un po’ ma poi si trasferì a Varsavia. Gli altri membri del Comitato Centrale, come i loro
predecessori, decisero di cambiare aria per motivi di sicurezza e si trasferirono a Dvinsk. Anche
Mikhalevich e Zalkind parteciparono all’attività redazionale, cercando di reperire materiale scritto.
Ma anche questo non fu facile.
Contrariati per la lentezza del proprio lavoro, i dirigenti del Bund convocarono una
conferenza straordinaria a Dvinsk nel gennaio 1899. In quella sede presero alcune decisioni
fondamentali per migliorare la situazione. Essi misero la tipografia di Vilna nella disponibilità del
Comitato Centrale. Il comitato trasferì la tipografia a Varsavia, scegliendo quella grande città come
luogo sicuro per concentrare le forze. L’attività editoriale fu assunta da Zeldov, coadiuvato dai suoi
precedenti collaboratori. Katz doveva concentrarsi sul mantenimento dei contatti con le
organizzazioni locali. Nonostante le enormi difficoltà, altri quattro numeri dell’Arbeter Shtime
uscirono prima del Terzo Congresso del Bund.
I contatti per il reperimento di testi scritti all’estero maturarono lentamente. Ancora una volta
gli spazzolai nelle aree di confine svolsero un ruolo importante; e i socialdemocratici lituani fecero
da tramite con i contrabbandieri. L’aiuto cominciò ad arrivare in maggiore quantità dall’esterno
della Russia nel 1899, sebbene con ritardo finchè Katz non ricevette dei collaboratori stabili.
Nei mesi tra gli arresti e il Secondo Congresso il Bund non ebbe un esecutivo ufficiale. I
compagni più adatti a sostituire gli arrestati erano Mill, che era partito per l’Europa occidentale
proprio prima dell’azione di Zubatov, e Pavel Berman, che viveva a Ponevec. Berman fu invitato al
Secondo Congresso e a lavorare per il Comitato Centrale, ma rinunciò a entrambe le proposte per
ragioni personali. Leon Goldman, sebbene avesse lavorato duro per il Bund nei primi difficili giorni
dopo gli arresti, a quanto pare non fu preso in considerazione per un posto nel comitato. In ogni
caso egli non voleva prendersi rischi eccessivi. Sia lui che Katz di lì a poco avrebbero dovuto
svolgere il servizio militare. Katz decise di non presentarsi, disobbedendo alla legge pur di
adempiere al proprio lavoro. Ma Goldman non se la sentì di sottoporre la propria famiglia a
un’ammenda di 300 rubli, e decise di presentarsi e in seguito disertare. Date le circostanze fu Katz
ad assumersi gli oneri della direzione.

99
DAS, dicembre 1898

70
Sebbene Katz e i suoi collaboratori non fossero né istruiti né sicuri di sè come i membri del
primo comitato, tuttavia essi avevano la medesima dedizione. E gradualmente acquisirono
esperienza e fiducia nei propri mezzi. L’acquisizione di uno status civile di illegalità fu qualcosa di
relativamente nuovo, e pericoloso. Significò procurarsi documenti falsi, come un passaporto e un
documento di esenzione dal militare, e abbandonare gli scrupoli dei vecchi dirigenti e anche di
Zeldov sul vivere a spese del partito. Fu durante l’epoca del secondo Comitato Centrale che fu
accettata l’idea del rivoluzionario professionale.
Katz mantenne un profondo rispetto per i vecchi intellettuali-pionieri, in particolare Mill, ma
anche una propria autonomia. Quando Mill suggerì che il Comitato Centrale per l’attività di stampa
ricorresse all’aiuto di Pati Srednitsky, allora in esilio, Katz non si oppose alla proposta; tuttavia
precisò che ella avrebbe dovuto contravvenire la legge violando l’esilio se necessario. Katz
mantenne le redini dell’attività con il massimo vigore possibile. Nonostante l’atteggiamento un pò
condiscendente e forse l’eccessivo zelo di Mill, le relazioni tra gli intellettuali-pionieri all’estero e il
Comitato Centrale furono buone.
Sebbene Katz fosse prudente sui progressi generali della ricostruzione, la ripresa del Bund
ottenne un riconoscimento dall’esterno. Katz indubbiamente sarebbe stato enormemente
soddisfatto se avesse sentito le parole di apprezzamento per il Bund che Vera Zasulich espresse
in una lettera a Plechanov:

Il Bund ebraico è una pura meraviglia. Due loro tipografie sono state chiuse e una quantità di
compagni arrestati…ma sono già riusciti a far uscire un’edizione ridotta di un giornale in dialetto
in Russia. E la comunicazione attraverso il confine è di nuovo operativa. E’ un peccato che loro
siano così attivi e i russi no; bisogna dare loro atto di ciò 100.

La nascita del Centro Estero. Mentre Katz e i suoi laboriosi collaboratori iniziavano a
ricostruire il Bund in Russia, Mill si assunse il compito di sostenere l’organizzazione in difficoltà
dall’estero. Per sua fortuna egli era partito per l’Europa occidentale appena prima degli arresti di
luglio, per allestire una tipografia a Ginevra e organizzare la diffusione di letteratura illegale.
Sebbene come gli altri dirigenti si aspettasse la cattura in ogni momento, le notizie degli arresti
furono per lui un grosso shock. Con il suo profondo attaccamento ai vecchi intellettuali-pionieri coi
quali aveva lavorato per molti anni, egli forse più degli altri lavoratori in Russia trovò difficile
credere che l’organizzazione potesse continuare senza la vecchia guardia. Fu “una sorpresa dopo
l’altra” quando iniziarono ad arrivare le notizie, ricordò anni dopo. Fu “semplicemente indescrivibile
e incredibile; dopo la grande catastrofe il Bund vive e vivrà”101. Non perse tempo e si mise ad
assolvere ai propri compiti.
Mill svolse il grosso del lavoro in Occidente. Kopelson, che lavorava con l’Unione dei Social
Democratici Russi all’Estero come ufficiale di collegamento del Bund, accolse il proprio vecchio
compagno al suo arrivo a Zurigo e lo aiutò economicamente. Invece Berman, che aveva rifiutato
un ruolo dirigente dopo gli arresti e aveva deciso di sposarsi e andare a studiare all’estero, non
diede a Mill praticamente alcun aiuto dalla propria residenza a Darmstadt. Mill all’epoca, racconta
egli stesso, lavorava da 16 a 18 ore al giorno per l’organizzazione.
Il primo compito di Mill fu di catalogare le risorse disponibili presso le colonie di studenti
ebrei polacchi ed ebrei russi e presso la popolazione emigrata in Europa occidentale o negli Stati
Uniti. Questi espatriati temporanei o definitivi, a causa dell’attività rivoluzionaria, delle limitazioni
zariste all’istruzione o della situazione economica nella Zona, abitavano nelle città universitarie o
nelle grandi capitali. Mill riuscì a organizzarne diversi in associazioni di sostegno al Bund, e in capo
ad alcuni mesi creò un flusso di finanziamenti verso la Russia.
Durante gli ultimi mesi del 1898 Mill ipotizzò una strutturazione formale della propria attività.
Dopo aver discusso la questione con Katz, egli mise in piedi un Centro Estero del Bund, che iniziò
a operare nel dicembre 1898 come braccio semiufficiale dell’organizzazione nella madrepatria. Il
Bund aveva fortemente bisogno di tale organismo. Il tipo di attività intrapresa da Mill richiedeva di
più che l’intervento di singoli a titolo personale in favore del Bund. Come organismo ufficiale del
Bund il Centro Estero avrebbe potuto perseguire autorevolmente i propri compiti (sarebbe stato
visto come parte del Comitato Centrale) e la rete di organizzazioni da esso create avrebbero
operato agevolmente. La creazione del Centro Estero fu annunciata formalmente in un opuscolo

100
In Lev Deutsch, Gruppa “Osvobozhdenie Truda”, 6 volumi, Mosca 1924 - 28
101
Joseph Mill, Pionern un boier, 2 voll., 1946 - 49

71
nel gennaio 1899, che fu riprodotto in marzo in Der Yidisher Arbeter. Dopo il Terzo Congresso il
comitato divenne il rappresentante ufficiale del Bund all’estero, rimpiazzando l’Unione all’Estero in
quel ruolo.
A differenza del secondo Comitato Centrale, che seguiva attentamente gli schemi di lavoro
implementati dal suo predecessore, il Centro Estero fu un organismo innovativo. Non solo esso
disponeva di notevole capacità letteraria e organizzativa, ma essendo fuori dai confini dell’Impero i
suoi membri godettero di libertà di azione e prospettive tali da influenzare l’organizzazione in
Russia. Nelle colonie vi erano più studenti e intellettuali che lavoratori, e c’era più tempo per il
dibattito ideologico e la discussione rispetto alla Russia, dove il lavoro di agitazione e
organizzazione assorbiva quasi tutte le energie del Bund. Anche il pragmatico Mill fu impressionato
dal livello di queste discussioni; e quando nel 1899 iniziò a lavorare a Der Yidisher Arbeter fece del
suo meglio per riportarle in sintesi agli attivisti nella madrepatria. Il risultato fu una crescente enfasi
nel movimento sulle questioni ideologiche, soprattutto la questione nazionale.
Dopo qualche mese dal suo arrivo Mill allestì una tipografia a Ginevra, ottenendo
l’attrezzatura tramite contatti coi socialdemocratici tedeschi a Berlino, ove passò un periodo
contribuendo a organizzare il trasporto della stampa in Russia. Le spese per l’allestimento della
tipografia impiegarono più della metà dei fondi raccolti all’estero. Su un totale di 3.011 franchi
svizzeri spesi tra il 1 luglio 1898 e il 10 marzo 1899, 1.634 andarono alla tipografia. Mill ricevette
1.000 rubli da un aristocratico polacco, suo intimo amico, per far fronte al costo della tipografia.
La produzione cartacea del Centro Estero crebbe di buon passo. Der Yidisher Arbeter
divenne ora l’organo ufficiale del Centro, pubblicato a suo nome. Più simili a riviste e che a giornali,
ciascuno con più di 50 pagine, i numeri 6 e 7 uscirono nel 1899. Alcuni articoli e idee erano frutto
di persone coinvolte da Mill tra gli intellettuali ebrei che vivevano all’estero. Molti testi erano
tradotti, in linea con la decisione del Secondo Congresso di dare un taglio informativo al giornale.
Il Centro Estero iniziò a pubblicare diversi opuscoli. In ciò vi fu il contributo degli studenti
ebrei a Berna, in particolare I. Blumstein, che tradusse in yiddish Il Manifesto Comunista e lo
pubblicò con un’apposita prefazione di Karl Kautsky. Blumstein fu elogiato per il proprio lavoro,
anche se la traduzione è ritenuta di basso livello. Apparvero comunque altri classici del marxismo
tradotti in yiddish, compreso scritti di Kautsky e Ferdinand Lassalle. Il rapporto del Bund al
Congresso dell’Internazionale a Parigi nel 1900 sottolineò gli eccellenti progressi di Mill e dei suoi
collaboratori. Tra il luglio 1898 e il dicembre 1899 essi stamparono 79 opuscoli a nome del Bund. A
luglio 1900 essi ne avevano stampato un totale di 62.900 copie. Dei 22 pamphlet editi dal Bund in
quel periodo, 14 provenivano dalla tipografia in Europa, per un totale di 52.000 copie. La
produzione in Europa fu decisiva per far fronte alle necessità della propaganda in Russia.
Mill fu altrettanto capace nell’organizzare il trasferimento del materiale in Russia.
Vorwaerts, la casa editrice dei socialdemocratici tedeschi, divenne uno dei principali centri di
smistamento sulla via tra la Svizzera e la Russia. Ai contrabbandieri e ai corrieri erano fornite
valige con doppio fondo per trasportare il materiale oltre la frontiera. La quantità trasportata in tal
modo mediamente ammontò a 144 libbre al mese nel periodo agosto 1898 – settembre 1900; il
rapporto del Bund stimò che si trattasse di circa 200.000 pagine.
Il Centro Estero divenne un riferimento fondamentale per l’erogazione di fondi ai prigionieri
politici in Russia, o alle loro famiglie. Tra il luglio 1898 e il dicembre 1899 1.760 franchi svizzeri
destinati a tale scopo furono raccolti direttamente da Mill o arrivarono tramite lui ai destinatari. Il
centro fece anche sovvenzioni speciali, come gli 879 franchi inviati per sostenere uno sciopero a
Dvinsk. Il grosso dei fondi, comunque andavano alla tipografia e per coprire le spese di spedizione
del materiale in Russia.
Infine, fu durante questi primi anni d attività all’estero che il Centro si mosse verso la
costituzione formale di un archivio del Bund. In un annuncio su Der Yidisher Arbeter esso chiedeva
copie degli scritti sul movimento operaio ebraico in Russia e Polonia. Specificava di inviare non
meno di tre copie di ogni nuovo foglio, giornale o opuscolo stampato in Russia; e auspicava che le
organizzazioni locali gli inviassero rapporti semestrali. La collocazione del Centro all’estero d’ora in
poi rappresentò un’opportunità ideale per mantenere una memoria storica del Bund.
Così, il Bund non solo si ricostituì dopo l’azione di Zubatov, ma si rafforzò con una nuova
sezione all’estero. Come base attiva e sicura, il Centro Estero iniziò a fungere da fondamentale
fonte di sostegno. Lungi dal distruggere il Bund, gli arresti rivelarono la forza dei suoi militanti, la
sua vitalità e la capacità di una crescita continua, e lo spirito e la dedizione che lo posero
all’avanguardia delle organizzazioni socialdemocratiche dell’Impero.

72
9. LE ORGANIZZAZIONI LOCALI, 1897 – 1899

Rapporti tra centro e periferia. La reazione dei gruppi locali alla formazione del Bund fu
variegata. Tra coloro che erano nati in seguito alla “colonizzazione” da Vilna, soprattutto le
organizzazioni di Minsk, Varsavia e Bialystok, il passo fu apertamente approvato. La reazione a
Varsavia indusse Mill ad affermare che vi fosse un entusiasmo generale per il Bund. Ma le cose
non stavano così. Tanto per cominciare, molti kase probabilmente ignorarono l’esistenza del Bund
per lungo tempo. Inoltre, alcuni gruppi espressero dei dubbi sul progetto, e altri si mostrarono
apertamente ostili. Kremer disse che di tutti i propri compiti, quello di coinvolgere le organizzazioni
nel Bund fu il più difficile. A volte fu costretto a passare intere notti a discutere sull’opportunità per il
lavoratore ebreo di poter fare affidamento su un’organizzazione centralizzata.
Le critiche più consistenti verso il Bund arrivarono nelle città di Gomel e Grodno. Gomel
non si unì al Bund fino al 1900, per lo più perché i socialdemocratici locali non erano convinti della
necessità di una tale organizzazione. A Grodno l’accusa fu più seria. Colà un gruppo di intellettuali
si oppose attivamente al Bund, criticando la focalizzazione suli scioperi, la svolta verso l’agitazione
e quello che venne considerato l’isolamento organizzato del movimento ebraico. Ciò portò a una
scissione nelle file dei rivoluzionari, con molti intellettuali a unirsi al PPS e un gruppo di lavoratori a
formare una sezione del Bund pochi mesi dopo il congresso di fondazione.
In altre aree la costituzione formale del Bund portò alla crescita dell’attività organizzativa tra
i lavoratori e gli intellettuali. A Riga la comparsa dei giornali del Bund provocò la divisione dei poco
organizzati sionisti socialisti, dei quali una parte divennero bundisti. Analogamente, un “Gruppo”
poco organizzato di Lodz si trasformò in un ben strutturato comitato del Bund. Anche molte città
più piccole videro uno sviluppo organizzativo, e alcune in seguito ebbero una certa importanza.
La creazione del Bund non comportò l’inizio di un periodo di nuova attività da parte dei
comitati locali. Molti erano composti dagli stessi individui che avevano operato sotto la guida dei
pionieri di Vilna, e costoro continuarono a lavorare come prima. La principale differenza ora fu il
legame con il centro, e i nuovi onori e oneri che ciò comportava: sostegno finanziario al Comitato
Centrale (riconosciuto ma non sempre effettuato nei primi tempi), scambio sistematico di
informazioni e letteratura, e rispetto dello statuto varato al congresso del Bund.
Nei primi due anni i comitati locali lavorarono relativamente senza pressioni da parte del
centro. In parte ciò si verificò in quanto le loro attività dipendevano per lo più dalle circostanze
locali, e in parte semplicemente perché il Comitato Centrale all’inizio ebbe i propri problemi da
risolvere. In questo periodo il centro, altamente segreto e isolato, non era riconosciuto né in grado
di esercitare uno stretto controllo; era un centro di ricerca e di orientamento, non un centro di
comando.
Le occasioni in cui il centro esercitò una reale pressione sugli organismi locali sono rare,
anche se una volta il debole Comitato Centrale della metà del 1899 cercò di far applicare le proprie
indicazioni in materia di tattica generale. Esso intervenne a Minsk, ad esempio, quando la
questione dell’agitazione di massa nei circoli che aveva impegnato i socialdemocratici pochi anni
prima iniziò a serpeggiare nel comitato locale. Albert Zalkind, rappresentante del Comitato
Centrale, usò il proprio controllo sulla letteratura proveniente da fuori per spingere i dissidenti ad
accettare la linea dell’agitazione di massa. Ma quando un’assemblea di lavoratori sfidò la
posizione del Bund e minacciò di esautorare il comitato locale, quest’ultimo fece marcia indietro,
nonostante l’opposizione di Zalkind che cercò di mantenere la linea. L’opposizione non cedette, e il
dibattito in quella sede divenne un importante capitolo della storia delle dispute locali in seno al
movimento operaio ebraico. Il Comitato Centrale mantenne le proprie posizioni anche al prezzo di
una costosa scissione.
Che il centro adottasse in alcuni casi una linea dura è sorprendente, considerato che le
organizzazioni locali dovevano provvedere al suo finanziamento. Al Terzo Congresso il Comitato
Centrale lamentò che la mancanza di sostegno locale al Bund stava limitandone l’attività. Molto
dipendeva dalle unità locali, e il centro doveva andare avanti come meglio poteva.
Le attività dei comitati locali del Bund furono più o meno le stesse che i vari gruppi avevano
condotto prima della fondazione dell’organizzazione: organizzare i lavoratori, sostenere gli scioperi

73
quando possibile, distribuire la stampa, promuovere manifestazioni per sottolineare la solidarietà
operaia o condurre proteste politiche. Per svolgere queste attività, gli attivisti dovevano avere non
solo talento organizzativo e capacità di affrontare le emergenze, ma anche una precisa
conoscenza delle condizioni locali e una percezione realistica di ciò che fosse o non fosse
possibile. A causa delle grandi differenze tra le singole zone nell’area di intervento del Bund, le
indicazioni generali dei congressi del Bund non potevano soddisfare tutte le esigenze locali.
L’intepretazione dei fatti locali fu una delle maggiori preoccupazioni degli attivisti, e il
crescente numero di organismi locali è sintomo del loro impegno a questo riguardo. Il Terzo
Congresso del Bund ribadì la decisione del Secondo di favorire la pubblicazione di organi di
stampa separati, e fu in generale soddisfatto del lavoro di formazione della coscienza operaia da
parte dei gruppi locali. Le pubblicazioni erano molto più che semplici fogli di carta. Scritte in tono
popolare, i loro temi principali erano la solidarietà operaia, la critica allo stato in quanto nemico dei
lavoratori, e il movimento locale degli scioperi. Molti individui, sia dentro che fuori dal movimento,
furono coinvolti nella redazione del materiale.
Il volantino divenne una forma di propaganda sempre più diffusa nel 1898 e 1899. Per lo
più di una singola pagina, esso poteva essere preparato in fretta, in risposta a qualche
avvenimento locale. I volantini divennero particolarmente utili quando il movimento iniziò a
crescere, e non fu più possibile parlare di persona a tutti i lavoratori. I bundisti cercarono in ogni
modo di ottenere la massima visibilità della propria propaganda. Essi ad esempio affiggevano
volantini sui muri della sinagoga al venerdi notte, dove sarebbero rimasti durante la giornata del
Sabato, a meno che un cristiano non li avesse scovati e rimossi.
I comitati locali incoraggiarono l’organizzazione di assemblee di massa. Ma essi cercarono
anche di evitare ogni diretto coinvolgimento in quanto gruppo; dopo l’arresto del luglio 1898 le
organizzazioni locali si diedero misure di sicurezza ancor più strette di prima. Singoli componenti
dei comitati partecipavano direttamente a queste adunate (ma non gli intellettuali, che
continuarono a trovare più opportuno non attirare l’attenzione presenziando ad assemblee
operaie). Il programma variava: presentazioni di importanti testi scritti, formulazione di
rivendicazioni per uno sciopero, una volta anche uno spettacolo teatrale. Quando il tempo lo
permetteva esse avevano luogo nei boschi; altrimenti, i lavoratori si incontravano in città, ma in
piccoli gruppi.
Con il passare del tempo gli incontri su temi politici divennero più frequenti. La
manifestazione, segno di forza, consistenza numerica e disciplina, fu un evento usuale a partire
dal 1899. Nel 1898 e 1899 a Varsavia ebbero luogo delle manifestazioni per il Primo Maggio, alle
quali aderirono insieme lavoratori cristiani ed ebrei. La dimostrazione del Primo Maggio 1899 a
Vilna (di soli lavoratori ebrei) sembra essere stata la prima manifestazione politica indipendente
alla luce del sole da parte del movimento operaio ebraico. Altre città nelle quali il Bund operava
videro una crescita notevole dell’attività politica. L’arresto di lavoratori in occasione della
coscrizione al servizio militare, il trasferimento di prigionieri politici da una città all’altra, anche i
funerali – tutto era occasione per una protesta pubblica.
La crescente varietà delle inziative locali è sintomo della vitalità del movimento a livello di
base. Il Comitato Centrale poteva promuovere, poteva fornire materiale di propaganda, poteva
offrire aiuto, ma non poteva esso stesso organizzare le assemblee operaie. Anche in occasione
del Primo Maggio, la più comune forma di espressione politica nel 1897 – 99, la decisione spettava
al comitato locale e alle valutazioni di quest’ultimo sulla situazione specifica. Furono i gruppi locali
a sopportare il peso della crescita e della reprisal; e su di essi gravò la responsabilità di affrontare
ogni contingenza legata alle vicissitudini rivoluzionarie.

Sviluppo della lotta economica. Svolgendo il compito di organizzare e guidare la lotta


economica, i comitati locali dovettero fronteggiare una serie di problemi. L’urbanizzazione
cresceva incessantemente, e con essa la necessità dell’agitazione per attirare nuovi lavoratori e
mantenere la disciplina. I rapporti tra lavoratori cristiani ed ebrei rimasero tesi. Si dovette tener
conto della situazione finanziaria dei datori di lavoro. Le condizioni nei piccoli centri erano diverse
rispetto alle grandi città. Le condizioni in un tipo di industria erano diverse rispetto a un’altra. In
alcune fabbriche gli agitatori riuscirono ad entrare facilmente, altre si rivelarono inaccessibili. I
lavoratori potevano essere molto recettivi, apertamente ostili o del tutto indifferenti.
Senza dati completi è impossibile sapere con precisione fino a che punto il Bund riuscì a
penetrare nel proletariato ebraico in questi primi anni. Tuttavia possiamo fare una discreta

74
valutazione in base alle cifre disponibili, come quelle contenute nel rapporto del Bund al
Congresso di Parigi dell’Internazionale Socialista. Secondo tali cifre il numero dei lavoratori
organizzati nei kase nel 1900 era di 1.000 a Bialystok, 1.400 a Vilna e 1.000 a Minsk, più 700 tra
lavoratori del cuoio e 800 tra i fabbricanti di spazzole.
Altre fonti indicano che nel 1898 vi erano circa 200 lavoratori organizzati a Grodno e circa
400 a Vitebsk; nel 1899, il movimento di Vitebsk da solo era cresciuto di circa 100 unità. In
aggiunta, vi era un numero imprecisato di lavoratori scarsamente organizzati nei circoli.
Considerando il dato di 3.000 aderenti citato dai socialdemocratici ebrei nel 1896 (anche senza
considerare Lodz e Varsavia), si può affermare che la crescita del Bund fu notevole; al volgere del
secolo esso contava almeno 5.600 membri.
I dati in nostro possesso sul principale strumento della lotta economica, lo sciopero, sono a
loro volta frammentari, ma il quadro che emerge è di un analoga crescita: di 237 scioperi condotti
da lavoratori ebrei, 180 furono vittoriosi, 27 fallirono e 30 si risolsero con un compromesso. I
lavoratori ebbero successo in circa 3 scioperi su 4 in tutto il periodo.
La grande maggioranza delle rivendicazioni degli scioperanti riguardavano la paga e
l’orario. A questo riguardo il movimento operaio ebraico a cavallo del 1900 ottenne enormi risultati.
Riduzioni di orario di 2-4 ore a giornata e aumenti di uno o due rubli alla settimana furono
frequenti. Altre vessazioni – multe indiscriminate comminate dai datori di lavoro, pagamenti in
ritardo e incompleti, abusi e licenziamenti delle “teste calde” – vennero tutte limitate in modo
considerevole. La richiesta di riassunzione dei licenziati, un importante indicatore di solidarietà
operaia, fu ricorrente in quasi il 10% degli scioperi.
Le semplici statistiche ovviamente dicono poco della durezza degli scioperi,
dell’abnegazione dei lavoratori che guadagnavano una miseria e ancora accettavano di rimanere
disoccupati in certi periodi – in media tre settimane nel 1898 e più di un mese l’anno successivo.
Tutto ciò di fronte alla crescente resistenza degli imprenditori e della polizia, e all’imminente crisi
economica.
Il grande successo degli scioperi è sintomo della debolezza della vita economica ebraica
che aveva attirato l’attenzione del Secondo Congresso nel 1898. In termini di costo del lavoro
emersero i limiti oltre i quali le piccole imprese gestite da ebrei (virtualmente le uniche a impiegare
lavoro ebraico) potevano andare. Molte ebbero difficoltà a competere con le industrie più nuove e
meccanizzate, e alcune si trovarono di fronte all’aut aut di chiudere o essere cedute. La crisi
economica rese evidente la precarietà di questa condizione e, di conseguenza, la precarietà dei
dipendenti. In realtà, nuovi tipi di attività stavano sostituendo le precedenti, e molte di esse
impiegavano un maggior numero di lavoratori, riuscendo anche a far fronte alle richieste degli
scioperanti. Ma per confrontarsi con le fabbriche più grandi, il movimento necessitava di nuove
organizzazioni operaie. I kase andavano bene solo per scioperi piccoli. Con l’aumento di durata e
ampiezza degli scioperi, aumentarono anche i problemi di risorse e di disciplina. La
disoccupazione indebolì lo spirito anche dei lavoratori più dediti alla causa, e si iniziò ad accettare
qualunque tipo di occupazione, o in caso contrario ad emigrare.
L’attenzione del Secondo Congresso alla convocazione degli scioperi in una fase di crisi
economica ebbe un certo effetto. L’Unione degli Spazzolai creò una cassa di resistenza molto ben
gestita, spingendo i gruppi locali a coordinarsi con un centro regionale per verificare se potevano
scioperare e ricevere sovvenzioni a tale scopo. Organizzazione più simile a un sindacato tra quelle
aderenti al Bund, l’Unione degli Spazzolai mostrò una conderevole abilità ad adattarsi alle
condizioni economiche.
I comitati del Bund giocarono un ruolo sostanziale in molti scioperi, fornendo denaro,
aiutando a formulare le rivendicazioni, volantinando, e in generale procurando sostegno agli
scioperanti e ai loro obiettivi. Laddove i kase e le skhodka erano particolarmente forte, tuttavia, i
comitati non entrarono direttamente in gioco. Così accadde a Bialystok, dove la direzione di uno
sciopero fu completamente appannaggio degli operai. In altri casi, quando gli scioperi erano
frequenti e numerosi, i comitati non riuscivano né a guidarli né a risolvere tutti i problemi che
sorgevano durante lo svolgimento. Fu soprattutto nelle zone dove il movimento degli scioperi era
giovane che i comitati svolsero la maggior parte del lavoro organizzativo e furono più attivi.
Di fronte all’arretramento dovuto alla crisi economica, la violenza da parte dei lavoratori
divenne un problema crescente con il passare del tempo. Il Bund, in quanto organizzazione
socialdemocratica, disapprovava il terrore, sebbene comprendesse il contesto che lo provocava.
Seguendo le direttive del Secondo Congresso, Di Arbeter Shtime affermò nell’agosto 1899 che “il

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terrorismo politico e di fabbrica come linea politica sono completamente contrari alla nostra
tattica”102. La rifiuto in astratto di tale tattica non impedì ai lavoratori di ricorrere alla violenza
durante gli scioperi. Malmenare i crumiri, le spie e i padroni che chiamavano la polizia era pratica
comune.
Tutti gli altri metodi adottati dagli scioperanti incontrarono l’approvazione dei comitati. Il
boicottaggio, una tattica introdotta prima della fondazione del Bund, fu spesso usata contro le
attività di commercio locale o regionale. Una volta fu chiamato un boicottaggio contro una fabbrica
di sigarette, e circolò la voce che i crumiri che erano stati chiamati per sostituire gli scioperanti
avevano la sifilide. I comitati locali spesso avallarono tali iniziative e vi parteciparono.
Le differenze tra i lavoratori e i comitati a proposito dell’organizzazione del movimento
continuarono ad essere un tema divisivo. Le posizioni espresse dall’Opposizione di Vilna nei primi
anni ’90 ritornarono in auge più volte. Il Bund stesso, con i suoi comitati segreti e la linea
dell’agitazione di massa, rappresentava un tipo di organizzazione esposta a tali persistenze
proteste contro il ruolo degli intellettuali. Crescendo la coscienza del proletariato ebraico, crebbero
le richieste di democrazia organizzativa. In alcuni casi vi furono tentativi di accomodamento. A
Minsk, per esempio, quando gli agitatori più attivi protestarono per l’assenza di elezioni dei membri
del comitato, il comitato mediò: agli agitatori fu consentito di scegliere i suoi membri con voto
segreto e di avere un ufficiale di collegamento che ne conoscesse l’identità. Minsk, con la sua
lunga tradizione di propaganda e agitazione, si dimostrò essere una città particolarmente difficile
per la propaganda del Bund, nonostante la notevole crescita di aderenti. Colà, comitati operai
rappresentavano le varie attività, e all’epoca il comitato del Bund fu poco più che un centro
amministrativo, una specie di “consiglio dei ministri”. Il caso di Minsk fu un esempio di una regola
generale: laddove il movimento operaio era più forte, l’opposizione alla linea del Bund fu più forte.
A Dvinsk, dove il terrorismo era diffuso e applicato indiscriminatamente, gli intellettuali nel
movimento furono anche attaccati fisicamente dai lavoratori.
Il birzhe, una sorta di mercato popolare all’aperto dove i lavoratori di alcuni settori si
recavano nella speranza di trovare un impiego, divenne un importante ambito di lavoro politico dei
comitati. Nelle strade affollate, le notizie e le direttive erano facilmente riportate di bocca in bocca,
e gli agitatori e i distributori della stampa potevano operare al meglio. Il birzhe permise al
movimento di fare un passo avanti rispetto al kase, portando il lavoratore in strada, laddove le
questioni politiche potevano essere legate alle questioni economiche. In un certo senso, il birzhe fu
il fronte del movimento di massa. Esso consentì ai comitati di volgere gradualmente l’attenzione
dei lavoratori da questioni puramente economiche a questioni politiche, e anche di estendere la
propria influenza presso i lavoratori ancora lontani dai luoghi di influenza del Bund. Il birzhe fu
anche una forma di resistenza, una “dimostrazione permanente” contro le autorità.
Apparentemente innocuo, e difficile da disperdere se non con misure stringenti, esso divenne
sempre più importante per il Bund nel corso degli anni.
Il fatto che il controllo dell’attività a livello locale fosse un problema per i comitati è indice
che il movimento operaio ebraico non fosse una creatura del Bund. Con ciò non si vuole sminuire il
ruolo del Bund e dei suoi precursori nel promuovere la mobilitazione e l’educazione delle masse
operaie, ma soltanto sottolineare che il Bund e il movimento operaio non fossero sinonimi. Gli
stessi bundisti riconobbero e discussero il carattere autonomo della crescita del movimento. Allo
stesso tempo è importante notare che laddove i comitati del Bund furono poco influenti, le
agitazioni del 1897 – 99 furono limitate a iniziative sporadiche e locali, senza chiarezza di obiettivi
e direzione.

Repressione padronale. Dal punto di vista dei comitati, la novità più negativa in questi
anni fu la stretta collaborazione tra i tradizionali nemici del proletariato, i padroni e la polizia. Lo
stato, svegliandosi dal “letargo” della metà anni ’90, iniziò a intervenire con frequenza e durezza
contro gli scioperi. In lacuni casi la polizia arrivò a impedire ai datori di lavoro di venire incontro alle
richieste degli operai. Nei primi due anni e mezzo dalla findazione del Bund, furono arrestati tra
733 e 1.000 tra intellettuali e lavoratori.
Gli imprenditori ora non solo emarginavano gli agitatori più conosciuti, ma si rifiutavano di
assumere chiunque fosse sospettato di appartenere al Bund; e non solo licenziavano chi era
sospettato di dirigere gli scioperi, ma lo consegnavano alla polizia. All’epoca gli imprenditori si

102
DAS, agosto 1899

76
accordarono tra loro per sconfiggere gli scioperi, anche se non così sistematicamente come
sarebbe loro convenuto. La polizia sovente fece pressioni sui lavoratori perchè accettassero le
condizioni dei padroni.
Ciononostante, l’alleanza padroni – polizia fallì, da due punti di vista. In primo luogo, essa
fu inefficace: nel 1899, un anno di forte repressione anti-operaia e anche di crisi economica, i
lavoratori ebrei vinsero il 72% degli scioperi (molti dei quali, va ricordato, furono di natura
difensiva). In secondo luogo, l’alleanza fallì perché diede alle organizzazioni locali l’opportunità di
insistere sulla necessità della lotta politica, a riprova di uno dei temi ricorrenti in Sull’agitazione: la
collusione tra stato e imprenditori.
Gli imprenditori ebrei a volte ricorsero a uno strumento che ebbe importanti implicazioni per
i rapporti del Bund con il mondo non ebraico: l’assunzione di cristiani come crumiri. Questa pratica
creò un dilemma per i comitati locali. Quando i crumiri erano ebrei, si potevano usare le maniere
forti per convincerli dei loro errori. Coi cristiani, invece, si dovette adottare dei metodi più morbidi,
per evitare di finire sul terreno religioso. Il timore dell’esplosione di un violento antisemitismo
prevalse facilmente rispetto alle esigenze della lotta economica. Una risposta violenta contro i
crumiri cristiani avrebbe potuto pregiudicare lo stesso sogno della solidarietà operaia
internazionale.
Il trattamento differente nei confronti dei crumiri cristiani ed ebrei non sfuggì ai lavoratori
ebrei, e le loro reazioni a questo stato di cose furono disparate. Per lo più essi perseguirono a loro
volta una linea accomodante verso i crumiri cristiani, ma inevitabilmente vi furono anche scontri –
soprattutto in caso di scioperi o posti di lavoro perduti. Non era per niente facile contrastare i
padroni su questo campo, e la tattica da parte di questi ultimi di usare crumiri cristiani continuò ad
essere un brutto problema per il movimento.
Possiamo ricavare alcune indicazioni su come il Bund provò a mettere insieme lavoratori
ebrei e cristiani dal resoconto di Leon Bernstein di una discussione da lui stesso avuta con il
polacco Feliks Dzerzinski. Futuro capo della Ceka (la polizia politica bolscevica), Dzerzinski
all’epoca lavorava coi socialdemocratici polacchi, e a stretto contatto coi bundisti. Volendo
prendere contatti coi bundisti di Kovno, chiese aiuto a Bernstein, e fu organizzato un incontro con
Liza Epstein e suo marito, Alter. Uscendo dall’abitazione degli Epstein, Dzerzinski osservò che non
gli sarebbe stato possibile portare Bernstein in casa di alcun lavoratore cristiano, anche il più
fidato, poiché anche il migliore tra quelli non avrebbe nascosto il proprio antisemitismo. Sì, disse a
Bernstein, egli si batteva contro quel pregiudizio, ma “è un compito difficile, quasi ingrato. Per
avere successo nell’agitazione di massa, dobbiamo eludere certe questioni”103. La distanza tra le
masse ebree e polacche era ancora molto accentuata.
Tuttavia vi erano segnali che tale distanza stesse diminuendo. Alla fine degli anni ’90 a
Varsavia ebbero luogo manifestazioni unitarie, e anche occasioni in cui lavoratori polacchi
sostennero quelli ebrei. E il PPS, incalzato dalla comparsa del Bund, alla fine iniziò ad occuparsi
seriamente dei lavoratori ebrei, così seriamente da produrre un giornale in yiddish, Der Arbeter (Il
Lavoratore), il cui primo numero apparve nel dicembre 1898.

Le organizzazioni locali rimasero vicine alle masse, e lavorarono alacremente per allargare
la base degli aderenti al movimento; e dirigenti assai dediti ai compiti di organizzazione locale
continuarono a emergere dai circoli, e dai ranghi degli agitatori. Ma le cose non furono sempre
facili. I lavoratori più anziani, quelli religiosi, i padri di famiglia si mostrarono più difficili da
coinvolgere. Percependo una minaccia alle loro credenze, o alla sicurezza della propria famiglia,
molti lavoratori reagirono con ostilità, a molte spingendosi a rivelare l’identità dei militanti alla
polizia. Gli imprenditori tentarono di far leva su questi soggetti, privilegiando i lavoratori più
conservatori, anche tra i dipendenti non religiosi. Ciò accadde soprattutto nei piccoli centri, sia
perché le vecchie usanze abitudini colà erano più radicate, sia perché la polizia vi esercitava un
controllo più stretto e attaccava i lavoratori con più frequenza rispetto alle città più grandi.
Fino alla fine del 1899 nel Bund e nei sui gruppi locali la distinzione tra organizzazione
economica e politica fu molto limitata. Gli organi locali e volantini continuarono a collegare
strettamente la lotta economica agli obiettivi politici; e i gruppi stessi non disponevano di
“specialisti” della teoria o della pratica. Ma se lo sviluppo della coscienza politica appare lento,
esso tuttavia è tangibile a uno sguardo complessivo: di fatto, a parte i tentativi piuttosto modesti del

103
Leon Benrstein, Ershte Shprotsungen, 1956

77
PPS, il Bund fu la sola organizzazione attiva tra i lavoratori ebrei che riuscì a portare avanti il
lavoro politico ed economico che era possibile compiere a quell’epoca in Russia. I lavoratori che
non seguivano il Bund semplicemente non avevano altri ambiti organizzativi nei quali svolgere
un’attività coordinata. In un certo senso i comitati locali negli anni 1897 – 99 furono il cuore del
Bund, e di conseguenza il cuore dell’intero movimento rivoluzionario ebraico.

78
10. LA QUESTIONE NAZIONALE, L’ECONOMISMO,
IL TERZO CONGRESSO (1899)

Il dibattito sulla questione nazionale. Nel 1898 e 1899 i bundisti operarono in un ambito
relativamente ristretto, limitando il proprio lavoro alle questioni tecniche e ai problemi pratici legati
alla sopravvivenza del movimento. Ciononostante, questioni di natura più ampia e teorica
iniziarono ad esigere delle risposte. Una di queste fu la questione largamente sottaciuta del
concetto di lavoratore ebreo in quanto ebreo, che a sua volta sollevava la questione del ruolo del
Bund come guida dei lavoratori ebrei. La spinta dall’interno del movimento a risolvere questo
interrogativo divenne sempre più forte, specialmente quanto altri movimenti nazionali iniziarono a
cercare di autodefinirsi. Seppur riluttante, alla fine il Bund fu costretto ad affrontare la questione
dell’identità culturale e della propria relazione con il movimento rivoluzionario.
I bundisti, come tutti i socialdemocratici russi, in questi anni riconsiderarono le principali
forme della propria attività rivoluzionaria. In particolare la questione se lo sciopero fosse in realtà il
più efficace strumento rivoluzionario divenne il tema principale. Con il manifestarsi di queste
questioni (la questione dell’identità e la questione della tattica) il Bund giunse a un punto di svolta.
Il Terzo Congresso del Bund, svoltosi nel dicembre 1899104, fornì l’occasione per una
discussione formale dei nuovi temi. Vi parteciparono rappresentanti di 12 città e organizzazioni,
compreso il Comitato Centrale e il Centro Estero. Come nel caso del Secondo Congresso, l’esatto
numero dei delegati non è noto; essi furono almeno 15, forse 20. la composizione dell’assemblea
riflette la rinascita e crescita del Bund dagli arresti del 1898. Nuove città furono rappresentate e
nuovi, giovani partecipanti si ritrovarono per tre giorni a fianco di noti pionieri come Joseph Mill e
Pavel Rosenthal. La vista dei vecchi pionieri, con il loro spirito e la loro esperienza, rappresentò
motivo di orgoglio per gli altri delegati, in particolare per i veterani David Katz e Zeldov che
avevano preso per mano il movimento nei giorni più bui.
Le nuove questioni all’ordine del giorno al congresso non si presentavano come semplici. In
particolare la questione nazionale fu messa in agenda poiché era un tema aperto nel Bund, e Mill
insistette affinchè fosse discussa. In quanto editore di Der Yidisher Arbeter, Mill sin dall’inizio della
propria attività aveva pubblicato parecchio materiale riguardante quell’argomento. Un articolo in
particolare aveva suscitato accese repliche. Si tratta di un pezzo di Chaim Zithlovsky, che apparve
sul numero di marzo 1899. In esso Zithlovsky, un noto intellettuale socialista ebreo che aveva
scritto per anni su questi argomenti sia in russo che in yiddish, affermava che gli obiettivi socialisti
dovessero contemplare non solo i diritti civili per gli ebrei, ma anche i diritti nazionali. Attaccando il
sionismo come una falsa via, egli invocava il rafforzamento della cultura nazionale ebraica
attraverso l’uso dell’yiddish, e prevedeva anche che in futuro vi sarebbe stato un sistema di scuole
e università solo in quella lingua. La cultura nazionale ebraica, garantiva, non avrebbe in alcun
modo ostacolato la strada verso il socialismo; al contrario avrebbe avuto effetti positivi, in quanto i
lavoratori ebrei sarebbero stati liberati dalla dipendenza dalla propria borghesia.
Il fatto che Mill pubblicasse questo articolo non significò che egli fosse disposto ad
approvare il punto di vista esposto. Infatti egli aggiunse una nota a piè di pagina ove si parlava
dello sviluppo di istituzioni yiddish, definendolo una pura ipotesi. Mill semplicemente riteneva che
fosse importante sottolineare quel passaggio come base per la discussione, ed era la discussione
che voleva promuovere tra i suoi compagni in Russia.
La pubblicazione di questo articolo indignò particolarmente Aaron Weinstein, un giovane
intellettuale di Varsavia. Egli distribuì quel numero di Der Yidisher Arbeter nella sua zona con
allegata una nota in cui egli affermava il proprio disaccordo con l’autore e criticava il giornale per
l’enfasi sulle questioni ebraiche. Questa reazione indusse David Katz a recarsi all’estero a metà
del 1899 per discutere la cosa con Mill. Io due concordarono che un delegato al Terzo Congresso
si assumesse l’onere di sollevare l’argomento, e il vecchio pionierie decise di riservarlo a se
stesso.

104
Sugli organi del Bund, sia Di Arbeter Shtime che Der Yidisher Arbeter, la data del Terzo Congresso fu
deliberatamente falsificata, indicando il gennaio 1900, per confondere la polizia.

79
Il dibattito sulla questione nazionale divenne il punto principale al Terzo Congresso. Mill
(chiamato “compagno A” nel report dei lavori) propose che il proletariato ebraico dovesse
rivendicare uguali diritti nazionali al pari dei diritti civili. I diritti civili non erano sufficienti, disse; ne
erano prova i polacchi in Germania, che avevano i diritti civili ma dovevano parlare tedesco nelle
assemblee. Cosa c’era di buono in quei diritti se gli ebrei dovevano parlare russo? Per di più,
bisognava pensare al futuro. Il Bund non era un progetto a breve termine; dunque era suo compito
rivendicare diritti di cui il proletariato ebraico avrebbe avuto necessità nel lungo periodo, proprio
come facevano gli altri partiti.
La proposta di Mill incontrò una forte opposizione. I socialdemocratici in Russia, replicarono
gli oppositori, dovevano evitare richieste che potevano spostare l’attenzione del proletariato dagli
interessi di classe agli interessi nazionali. I compiti immediati erano quelli che riguardavano il
proletariato russo nel suo complesso (per esempio l’ottenimento della libertà politica), e per
raggiungerli occorreva uno sforzo unitario. Le rivendicazioni nazionali rischiavano di far perdere
energie, rendendo più difficile il sine qua non della libertà politica: la distruzione dell’autocrazia. Gli
avversari di Mill, loro stessi incerti sul futuro degli ebrei, di conseguenza avevano dei dubbi sulla
necessità di perseguire i diritti nazionali.
A conti fatti, le maggiori obiezioni alla proposta di Mill erano basate su considerazioni
tattiche. Ciò che preoccupava la maggioranza degli scettici era l’effetto negativo che la richiesta di
diritti nazionali poteva avere sulla solidarietà proletaria, non la giustezza o meno dei diritti in sé.
Molti ammisero, comunque, che la ricerca di una soluzione socialista alla condizione nazionale
degli ebrei era all’ordine del giorno.
Alla fine del dibattito il congresso adottò la seguente risoluzione: “Il Bund, tra le proprie
rivendicazioni politiche, pone l’accento solo sui diritti civili, non sui diritti nazionali”105.
Ciononostante, ai membri del Bund veniva data la possibilità di presentare il proprio punto di vista
sulla questione nazionale: Der Yidisher Arbeter avrebbe riservato una rubrica per la discussione su
quel tema, con la precisazione che la testata non avrebbe dato appoggio ad alcuna delle opinioni
ivi espresse. Mill non ottenne ciò che voleva, ma la sua iniziativa aprì la strada a un ulteriore
dibattito.
L’incapacità di discutere di quell’argomento con competenza probabilmente mise in
imbarazzo parecchi delegati. Secondo Katz, probabilmente le organizzazioni del Bund in Russia
avevano solo una conoscenza minima dei pro e contro in proposito, e solo Mill aveva approfondito
la cosa. Indubbiamente Mill era molto più vicino al tema nazionale di tutti gli altri suoi compagni a
causa del proprio lavoro coi socialisti polacchi. Egli stesso dice che l’inadeguatezza della richiesta
di uguali diritti civili lo aveva messo in difficoltà nel corso del dibattito col PPS nel 1898. Egli era
convinto che la posizione del PPS non fosse stata ancora analizzata in maniera sufficiente. I
principali avversari di Mill al congresso furono Rosenthal, Weinstein e Katz.
Sebbene alcuni bundisti in Russia affermassero che questa “resa al nazionalismo”
rappresentava una nuova fase, più precisamente la novità fu meno drammatica di quanto gli
oppositori temevano. Il Bund aveva da tempo adottato la linea per i diritti civili, e il POSDR era
andato oltre riconoscendo il diritto dei popoli all’autodeterminazione. Dunque il diritto di un ebreo a
rivendicare la propria eredità culturale era un passo logico, anche se non detto, insito nelle
posizioni già assunte in precedenza.
Il desiderio di Mill di sollevare la questione nazionale riflette quanto aveva esperito nei suoi
anni a Varsavia e poi all’estero. Egli era stato particolarmente condizionato dagli stretti contatti con
le comunità degli emigrati nell’Europa occidentale e giunse a condividere la loro preoccupazione
per le questioni teoriche in un’epoca in cui i suoi compagni in Russia erano ancora dediti a
problemi puramente tecnici. Egli cercò di trasmettere questo nuovo interesse ai suoi compagni
pubblicando articoli come quello di Zithlovsky, il cui principale bersaglio in realtà era il sionismo, il
maggiore avversario del Bund che attecchiva tra gli studenti ebrei russi all’estero. Parimenti, egli
pubblicò un importante articolo del celebre socialdemocratico tedesco Karl Kautsky, cercando
ancora di coinvolgere il movimento in Russia nelle vicende dei partiti socialdemocratici dell’Europa
occidentale: la questione nazionale in generale e la questione delle nazionalità nell’Impero austro-
ungarico in particolare.
E’ difficile stabilire in che misura fu il sionismo a spingere il Bund sul terreno della questione
nazionale. La pubblicazione de Lo Stato Ebraico di Theodor Herzl nel 1896 e il primo congresso

105
DAS, marzo 1900

80
sionista a Basilea nel 1897 indubbiamente suscitarono interesse per l’argomento a un nuovo
livello. Mill afferma:

Prima che uscisse “Lo Stato Ebraico” di Herzl, il movimento…sionista non aveva radici nella
vita ebraica in Russia e Polonia.
Questo movimento non fece alcuna presa tra i lavoratori ebrei. E’ significativo che nei primi tre
congressi del Bund la questione del sionismo non fu all’ordine del giorno.
Dopo la comparsa de “Lo Stato Ebraico” e dopo che l’idea di uno stato ebraico in Palestina
cominciò a farsi gradualmente strada…divenne chiaro che il Bund non poteva più ignorare quel
movimento. Se non oggi, domani esso sarebbe comparso tra le masse ebraiche in abiti
socialisti, per esprimere le nuove aspirazioni della piccola borghesia 106.

Fu la possibilità che il sionismo si presentasse con una patina socialista che influenzò la
decisione di Mill di pubblicare l’articolo di Zithlovsky. Ma lo fece semplicemente per informare i suoi
compagni della crescente diffusione del sionismo in Occidente. Da questo punto di vista il Bund
non aveva avversari nelle province nordoccidentali, e la discussione sulla questione nazionale al
Terzo Congresso fu incentrata sugli effetti negativi che l’enfasi nazionale poteva avere sulla
solidarietà socialista internazionale, non sulla minaccia di un’ideologia concorrente. In ogni caso il
sionismo non può essere sottovalutato, tra i fattori che spinsero Mill a dare alle stampe
quell’articolo.
L’articolo di Kautsky aveva colpito Mill quando egli era ancora in Polonia. Kautsky
considerava la questione nazionale un tema critico, importante non solo per la borghesia ma
anche per tutte le classi e i popoli. Egli si accorse che il sentimento nazionale tra le minoranze
cresceva con il crescere del livello di istruzione, e che la tendenza si sarebbe accentuata. E
dunque, dal suo punto di vista: “Il proletariato non è soltanto un nemico di questi movimenti
nazionali” scrisse “esso è molto interessato al fatto che questi movimenti si sviluppino”107. Kautsky
non pensava che lo sviluppo culturale di gruppi etnici che vivevano in un medesimo paese avrebbe
portato a un conflitto; la Svizzera era l’esempio vivente di diversi gruppi culturali che vivevano
insieme pacificamente. A giudicare dai problemi che attraversavano l’Impero austriaco, la difficoltà
era rappresentata dall’impossibilità delle varie nazioni di raggiungere i loro obiettivi attraverso
l’acquisizione di territori. La via d’uscita dal dilemma era semplicemente riconoscere l’autonomia di
un popolo su base linguistica, senza garantire ad esso l’indipendenza territoriale. Questo tema non
poteva essere eluso, concludeva Kautsky. Una corretta risposta alla questione nazionale era
necessaria, affinchè il proletariato potesse portare avanti la propria lotta di classe senza intoppi.
“Sebbene il proletariato si basi sul principio dell’internazionalismo” affermava “questo non significa
che esso rifiuti l’identità nazionale; significa che esso ricerca la libertà e l’uguaglianza di tutti i
popoli”108.
La fama di Kautsky diede importanza alla discussione sulla questione nazionale. I
socialdemocratici russi erano grandi ammiratori dei loro confratelli tedeschi, e all’epoca pochi
socialisti tedeschi godevano di un prestigio maggiore di Kautsky. Le sue parole calarono con
autorità sul dibattito, e ciò fu molto bene accolto dai marxisti, a maggior ragione in quel caso
perché, non essendoci un parere di Marx sull’argomento, i socialdemocratici ebrei inizialmente
erano stati indotti a impegnarsi molto nel combattere l’identità nazionale.
Le obiezioni sollevate al Terzo Congresso mostrano che la maggioranza dei delegati
temeva la questione nazionale in quanto minaccia alla solidarietà proletaria. Per di più a loro
parere il futuro dei lavoratori ebrei era in ogni caso incerto. In breve, il Terzo Congresso non voleva
definire la componente operaia se non come una classe separata con determinati obiettivi
economici e pieni diritti di cittadinanza. Il fatto che i delegati decisero di aprire una discussione
generale, comunque, rivela margini di dubbio sulle loro posizioni.
Il Terzo Congresso fu l’ultimo a riflettere la riservatezza del movimento clandestino degli
anni ’90. Fino a questo punto ogni decisione importante su tattiche i principi era stata presa solo
dopo lunga discussione. La svolta verso il movimento di massa, la richiesta di uguali diritti civili, la
richiesta di un’organizzazione dei lavoratori ebrei, anche la stessa creazione del Bund – tutto era
scaturito dal consenso piuttosto che dall’iniziativa individuale. I documenti e le azioni del periodo

106
Joseph Mill, Pionern un boier, 2 voll., 1946 - 49
107
In DYA, dicembre 1899
108
ibidem

81
dei pionieri erano espressione di comportamenti già in atto, non nuove formulazioni teoriche
presentate alla discussione. Ma con la fondazione del Bund nacque una nuova struttura formale,
che insieme alle crescenti difficoltà di comunicazione dopo il 1898 modificò i meccanismi
decisionali dei primi tempi, quei processi informali che portavano alla coesione tra gli attivisti di
Vilna. La prima volta che i bundisti dovettero confrontarsi con un tema sul quale non avevano
avuto la possibilità di discutere in precedenza capitò proprio quando il fattore dell’omogeneità
presente ai tempi di Vilna veniva a mancare. Il gruppo che si occupò della questione nazionale non
aveva né la coesione dei vecchi circoli né l’opportunità di studiare e discutere il tema in anticipo.
La decisione di aprire a un’ulteriore dibattito sulla questione nazionale doveva avere enormi
conseguenze sul futuro del Bund, poiché la ricerca di una definizione etnica nell’ambito del
marxismo implicava volgersi verso altri aree di lotta; essa prometteva di condizionare ogni scelta, a
parte la necessità della lotta contro il governo. Si può dire che questa questione fu il più complesso
tema di principio che il Bund dovette affrontare negli anni successivi.

Il dibattito sull’economismo. Sul finire degli anni ’90 l’ambito dei socialdemocratici russi
fu scosso da un dibattito sulla direzione in cui il movimento stava procedendo. Gli argomenti
seguivano in parte uno sviluppo analogo in Occidente, ove l’idea di Marx della necessità di un
rovesciamento violento del capitalismo era stata sfidata da un nuovo punto di vista detto
revisionismo. Gli oppositori, guidati dal socialista tedesco Eduard Bernstein, affermavano che la
classe operaia aveva compiuto grandi progressi dall’epoca di Marx grazie allo sviluppo dei
sindacati e del parlamentarismo, e di conseguenza il socialismo poteva essere ottenuto attraverso
un evoluzione pacifica. Questo punto di vista aveva ottenuto molti consensi alla fine degli anni ’90.
Vi erano notevoli differenze tra il revisionismo in Occidente e ciò che i russi chiamavano
economismo, in particolare sull’aspetto della legalità politica. L’uso dei partiti politici e della tattica
parlamentare per ottenere il socialismo nella Russia dell’epoca era chiaramente impossibile. Ma
alcuni socialdemocratici russi ritenevano che il raggiungimento di limitati successi economici
attraverso un movimento operaio di massa potesse rafforzare l’attività sindacale, come quella che
svolgeva una tattica parlamentare in Occidente.
I seguaci di Plechanov non erano d’accordo. Essi erano per l’ortodossia marxista e
vedevano con chiarezza soltanto il pericolo per il marxismo rivoluzionario insito nella nuova scuola
di pensiero. Era inevitabile che la vecchia guardia facesse un muro contro le tendenze revisioniste
analoghe a quelle in Occidente.
Vi era stato un costante attrito tra i rivoluzionari russi in Occidente e quelli in patria sin dalla
metà degli anni ’90, quando l’Unione dei Social Democratici Russi all’Estero iniziò a inviare in
patria materiale per l’agitazione di massa. Essi erano coadiuvati dal Gruppo per l’Emancipazione
del Lavoro, ma i plechanovisti non furono mai a proprio agio, e le relazioni tra i due gruppi si erano
progressivamente complicate. Personalità, status e differenze di età contribuirono alla crescita
della sfiducia reciproca tra i plechanovisti e i giovani compagni dell’Unione all’Estero.
I pionieri socialdemocratici ebrei erano stati vicini all’Unione fin dall’inizio. Non solo vi erano
legami personali, ma anche le vedute sul lavoro erano simili. Quando le differenze tra la vecchia
guardia e i giovani sulle necessità del movimento di massa di accentuarono, i socialdemocratici
ebrei si avvicinarono sempre più all’Unione, allontanandosi dal Gruppo per l’Emancipazione del
Lavoro.
Kopelson, vecchio pioniere e talvolta segretario dell’Unione all’Estero, fu un elemento
chiave di raccordo tra il Bund e l’Unione. Tuttavia i suoi anni all’estero iniziarono ad allentare i suoi
legami con i compagni in Russia. All’epoca egli agiva come se l’Unione all’Estero fosse per lui
prioritaria rispetto al Bund, che pure rappresentava ufficialmente; e a volte rifiutò categoricamente
di espletare alcuni compiti essenziali per il Bund. Per esempio, quando a Berlino emersero
problemi nel trasferimento del materiale dei propaganda, egli insistette per rimanere in Svizzera.
Mill, che era a rischio di cattura e deportazione da parte della polizia tedesca, dovette partire al suo
posto.
Gli intellettuali-pionieri non avevano avuto contatti personali con i plechanovisti fino al
viaggio all’estero di Mill nel 1894, quando egli trasmise alla vecchia guardia un rapporto sulle
attività a Vilna. All’epoca, l’accoglienza che ricevette fu decisamente fredda. Solo Akselrod aveva
mostrato una certa cordialità, mentre Plechanov e Vera Zasulic avevano mostrato poco
entusiasmo per il lavoro dei socialdemocratici ebrei. Né i successivi contatti contribuirono molto a
migliorare la relazione tra i due gruppi. In un incontro nel 1897, Kremer e Plechanov discussero

82
animatamente sul tipo di letteratura da mandare in Russia, con Kremer che non voleva
assolutamente accettare il parere della vecchia guardia. Nonostante il tentativo di Kremer di far
pubblicare Sull’agitazione, le discussioni andarono avanti per due anni e mezzo; l’opuscolo non
uscì se non alla fine del 1897, quattro anni dopo la prima apparizione in Russia. Nonostante tutto,
l’ammirazione di Kremer per il Gruppo per l’Emancipazione del Lavoro rimase alta.
La postfazione di Akselrod a Sull’agitazione rivela una certa insoddisfazione dei
plechanovisti per il lavoro delle organizzazioni socialdemocratiche in patria. Pur concedendo che lo
scritto era notevole per la metà degli anni ’90, quando il movimento doveva estendersi e radicarsi,
Akselrod affermò che il messaggio di Kremer era superato; queste lezioni erano già state
assimilate nella coscienza socialdemocratica. I giovani marxisti stavano trascurando la questione
fondamentale. La crescita numerica e la creazione di organismi di lotta non erano sufficienti;
perché la lotta avesse successo il movimento doveva seguire gli interessi di tutte le classi. Il
proletariato aveva bisogno di alleati e della simpatia di altri settori della popolazione; l’isolamento
politico era da evitare.
La critica di Akselrod non era personale. Non attaccava singolarmente Kremer, né il suo
scritto in quanto testo dei socialdemocratici ebrei, anche se esso si basava essenzialmente
sull’esperienza di questi ultimi. In realtà, come egli sottolineava, alcune affermazioni di Plechanov
avevano preceduto lo stesso tipo di lavoro pratico che i socialdemocratici ebrei avevano messo in
atto. Presto Plechanov aggiunse le sue proprie critiche. In una lettera agli editori della Rabocaja
Gazeta in cui criticava il giornale, egli sottolineò che i compagni russi troppo spesso dimenticavano
che “ogni lotta economica è una lotta politica” e raccomandò loro la postfazione di Akselrod a
Sull’agitazione.
In realtà il Bund restò per lo più ai margini dei crescenti disaccordi tra gli unionisti e i
plechanovisti in Occidente negli anni 1896 – 97. Ciò gli permise una certa libertà di azione nella
propria area di radicamento in Russia. I bundisti in Occidente si concentravano nel sostegno
all’organizzazione in patria; e con la creazione del Centro Estero il Bund divenne ancora più
autonomo. Con la sua tipografia, la propria rete di distribuzione e il proprio materiale in yiddish,
potè facilmente evitare il conflitto sul materiale di propaganda che andava montando tra i
socialdemocratici russi. Alla fine del 1898 l’Unione all’Estero permise al Centro Estero del Bund di
avere una propria struttura amministrativa, editori e tesoreria. Quando il Terzo Congresso
riconobbe ufficialmente il Centro Estero come rappresentante del Bund nell’Unione, esso di fatto
aveva nell’Unione la stessa autonomia che il Bund aveva acquisito all’interno del POSDR.
In senso stretto, l’economismo non fu argomento di discussione tra i socialdemocratici russi
fino alla fine degli anni ’90. Anche le critiche a Sull’agitazione riconoscevano il valore
dell’agitazione di massa, e la decisione di stampare il lavoro di Kremer alla fine del 1897,
nonostante i tentennamenti, indica che non vi erano all’epoca questioni ideologiche di fondo. Il
disaccordo era solo sulla tattica. In ogni caso Kremer non suggerì mai che i vantaggi economici
fossero l’obiettivo finale del movimento operaio. A tal proposito Lenin, che si battè contro
l’economismo con ogni mezzo dalla fine degli anni ’90 in poi, scrisse nel suo principale lavoro del
1902 sul tema che “i dirigenti socialdemocratici di quel periodo conducevano con zelo l’agitazione
economica (guidati dagli utili insegnamenti di ‘Sull’agitazione’), ma non consideravano ciò il loro
unico obiettivo”109.
La prima iniziativa in Russia a favore di un movimento operaio basato in primo luogo su
obiettivi economici ebbe luogo a Pietrogrado. Cominciò con la comparsa alla fine del 1897 di un
giornale illegale, Rabociaja Mysl (Pensiero operaio), che lamentava il controllo degli intellettuali sul
movimento e proponeva sindacati di massa gestiti democraticamente. Finchè il movimento fosse
rimasto uno strumento per mitigare le colpe di intellettuali incalliti, dicevano gli editori, esso
giocoforza sarebbe rimasto estraneo al lavoratore. La politica seguiva l’economia, e solo il
movimento degli scioperi univa i lavoratori per dare loro migliori condizioni di vita. Di conseguenza,
i kase erano “più preziosi per il movimento di cento altre organizzazioni. Lasciamo che i lavoratori
guidino la lotta, poiché essi combattono non per chissà quali future generazioni, ma per se stessi e
per i loro figli”110.
La più chiara formulazione ideologica dell’economismo fu lo scritto intitolato Credo di
Ekaterina Kuskova, che col marito Sergej Prokopovich era stata in contatto sia con l’Unione

109
Lenin, Che fare?, 1902
110
Citato da Lenin, Opere complete (ed. russa)

83
all’Estero che con il Gruppo per l’Emancipazione del Lavoro. Il suo manoscritto, pubblicato senza
autorizzazione da Lenin, apparve con l’aggiunta della forte protesta di quest’ultimo nel 1899 sul
Raboceje Delo111. La Kuskova negava l’efficacia della lotta politica in Russia; le condizioni la
rendevano troppo difficile, non vi era la possibilità pratica di condurla, e le masse non erano pronte
né ideologicamente né organizzativamente. Invece i lavoratori dovevano continuare a condurre la
lotta economica per imparare a organizzarsi, spingendo il movimento operaio oltre il livello
embrionale del momento. Il principale compito dei marxisti russi era definire un marxismo basato
sulla situazione nazionale, ciò non significava la creazione di un partito politico indipendente dei
lavoratori ma la partecipazione all’interno delle forze liberali che lottavano per un cambiamento
legale. Questa posizione si contrapponeva direttamente a quella del Gruppo per l’Emancipazione
del Lavoro.
Il lavoro della Kuskova non ricevette alcun appoggio dall’Unione all’Estero. Al contrario: la
protesta di Lenin ricevette l’approvazione degli editori del Raboceje Delo, che si sentirono in
dovere di aggiungere una loro critica come postfazione all’articolo di Lenin. Alla fine del 1899
l’Unione non considerava in alcun caso il proprio lavoro come “economista”.
Nel 1898 e 1899 i bundisti non presero posizione dal punto di vista teorico sulla questione
dell’attività economica e politica. Fin dall’inizio del decennio i socialdemocratici ebrei avevano
avallato l’intima relazione tra le due: il lavoro politico si sarebbe sviluppato con l’incedere della lotta
economica, avrebbe soppiantato il lavoro economico, e alla fine avrebbe portato al socialismo. I
bundisti non si misero in dispute ideologiche con i plechanovisti. Fin dall’inizio il Bund si considerò
un’organizzazione per le masse. Se aveva una sorta di elite intellettuale al vertice, ciò scaturiva più
per ragioni di amicizia e fiducia personale che per ragioni di brillantezza intellettuale. I dirigenti non
erano mai venuti meno all’idea che l’organizzazione dovesse appartenere ai lavoratori, e avevano
dato prova di non voler mantenere il potere nelle proprie mani. Tra il luglio 1898 e il dicembre 1899
i semi-intellettuali e i lavoratori svolsero un ruolo particolarmente importante nel Bund. Alla luce del
crescente dibattito sull’economismo, dunque, la questione era se la tattica del Bund, in particolare
il suo lavoro economico, stesse sovvertendo i capisaldi fondamentali del marxismo rivoluzionario.
In realtà le dottrine dell’economismo fecero poca presa sul Bund in Russia. Secondo David
Katz, al Secondo Congresso vi furono poche differenze teoriche, e nessun dibattito su tali temi. Le
informazioni sulla controversia economista non erano ancora facilmente disponibili a livello locale.
Quando il primo numero del Rabociaja Mysl finalmente arrivò a Minsk all’inizio del 1898, era
difficilmente reperibile e circolò solo tra pochi militanti.
Nel 1899 il tema era sufficientemente in voga da essere affrontato al Terzo Congresso del
Bund, anche se dai resoconti le discussioni non rivelarono posizioni particolarmente contrastanti. Il
Congresso di certo non fece dichiarazioni di avere risolto il problema. Dopo un lungo dibattito, i
delegati adottarono una risoluzione che attentamente parlava della lotta economica come “uno” dei
mezzi di sviluppo della coscienza politica e di classe tra le masse lavoratrici. A quanto pare la
speranza era di poter chiarire la posizione del Bund sulla lotta economica senza screditare il lavoro
che aveva così giovato all’organizzazione. La questione ideologica che stava iniziando a lacerare
la socialdemocrazia russa al momento aveva poco significato pratico per il Bund. Il Congresso
riaffermò e legittimò le pratiche dell’organizzazione, citando l’uso della propaganda, dell’agitazione
e i circoli come mezzi adeguati per lo sviluppo della coscienza politica; semplicemente si
ammonivano i membri Bund a non porre eccessiva enfasi sulla lotta economica. I dirigenti del
Bund non avevano la stessa profonda preoccupazione sulle tattiche che animava gli ideologi russi
all’estero.
Sebbene la questione nazionale e l’economismo fossero ancora lungi dal diventare temi
scottanti, queste prime discussioni segnarono la fine di una ristretta dimensione economica locale.
Il Bund presto avrebbe raggiunto un livello tale da richiedere più di semplici compiti tecnici, più di
prudenti approcci alle masse operaie, e più della concezione politica relativamente semplice degli
anni ’90.

111
Lenin, Protesta dei socialdemocratici russi, 1899. La Kuskova in seguito affermò che il manoscritto non era affatto
pensato per la pubblicazione: esso conteneva il suo punto di vista personale, che aveva formulato su richiesta di certi
“marxisti ortodossi”.

84
11. IL PERIODO DI TRANSIZIONE, 1900 - 1901

Quando il Bund tenne il suo Quarto Congresso, nel maggio 1901, esso era maturato
politicamente, e aveva anche visto una notevole crescita. Le tensioni che nacquero in seguito a
questo rapido sviluppo lo portarono a ristrutturarsi sia come organizzazione che come movimento.
La ristrutturazione fu multiforme. La crescita costrinse il Bund a ridefinire i propri rapporti con le
altre organizzazioni rivoluzionarie e con i lavoratori ebrei; il risveglio della vita politica in Russia
condusse a una maggiore enfasi sulla stessa attività politica del Bund; e gli attacchi provenienti dal
sionismo e dallo stato lo spinsero a riesaminare i propri obiettivi e scopi in quanto organizzazione
rivoluzionaria ebraica. Inoltre l’emergere di leader forti tra i socialdemocratici russi scosse
l’autoconsapevolezza del Bund. Consapevolemente o inconsapevolmente, il Bund mutò la propria
tattica, forma e contenuto in risposta a ciascuno di questi sviluppi.
Nel 1900 il Bund iniziò a riprendersi dagli effetti degli arresti del 1898. Diversi pionieri
tornarono in libertà e riassunsero posizioni di leadership nel movimento. Tra di loro vi fu Noah
Portnoy, fuggito dall’esilio nella Siberia orientale, che raggiunse i compagni nella primavera del
1900. Egli fu immediatamente cooptato nel Comitato Centrale da Katz, che era stato rieletto nel
comitato al Terzo Congresso. Portnoy presto divenne l’elemento più importante nella direzione
della macchina organizzativa in Russia, un ruolo che mantenne per molti anni. Rosenthal fu a sua
volta invitato ad entrare nel Comitato nell’estate del 1900, dopo che si era rifiutato di farlo al Terzo
Congresso. Il Comitato Centrale così tornò nelle mani dei vecchi pionieri intellettuali dei quali Katz
aveva fatto temporaneamente le veci112.
Il Centro Estero ricevette un’influenza anche maggiore dalla vecchia guardia rientrante.
Kremer, Kosovsky e Mutnikovich, rilasciati in attesa di giudizio nel 1900, lasciarono la Russia tra
l’estate e l’autunno dello stesso anno. L’intero primo Comitato Centrale riprese l’attività da un base
più lontana: la Svizzera.

Espansione verso sud. Tra il Primo e il Terzo Congresso il Bund accolse nei suoi ranghi
solo 7 organizzazioni, riflesso della difficile situazione e anche di una politica di rappresentanza
deliberatamente ristretta. Gli anni 1900 e 1901, invece, videro un proliferare di nuovi comitati e
l’espansione in regioni lontane dalle basi originarie del Bund in Bielorussia, Lituania e Polonia.
Nell’estate del 1900 alcuni dei socialdemocratici di Gomel, una delle aree in cui l’opposizione al
Bund inizialmente era stata più forte, si unirono a quest’ultimo. La decisione non fu presa senza
dissensi, ma alla fine un gruppo capeggiato da Victor Shulman entrò nel Bund, e a metà del 1900 il
Comitato Centrale richiese alla nuova organizzazione del materiale da pubblicare. Gomel
rappresentava la massima espansione meridionale del Bund all’epoca. In capo a meno di due anni
due città ubicate nel cuore delle province meridionali (Berdichev e Zhitomir) furono rappresentate
al Quarto Congresso.
Il Bund non fece alcun cambiamento fondamentale di struttura o attività per integrare le
sezioni meridionali, ma dovette tenere conto della percentuale di popolazione ebraica inferiore di
quelle regioni, sempre più bassa andando verso sud. Nel 1897 gli ebrei costituivano il 57,9% della
popolazione urbana nelle province nordoccidentali, il 38,1% delle province sudoccidentali (a
Zhitomir la percentuale era del 45,9%), e solo il 26,3% nelle province più meridionali. Le differenze
erano ancora più marcate per ciò che riguardava la forza lavoro. Nel nordovest gli ebrei erano il
43% della forza lavoro, mentre nel sudovest rappresentavano solo l’8,8% e nel sud un misero
2,7%. Tuttavia era nel sud che la popolazione ebraica cresceva più rapidamente, con un aumento
del 60,9% tra il 1881 e il 1897 (a confronto del 13,4% nel nordovest e 16,7% nel sudovest). In
parte questo rapido incremento fu il risultato di migrazioni dal nord in cerca di lavoro.
Le migrazioni portarono al sud un certo numero di lavoratori ebrei che erano stati in
contatto con i gruppi dei pionieri socialdemocratici. Essi svolsero un importante ruolo

112
Al Terzo Congresso gli eletti al Comitato Centrale erano stati Katz, Zeldov e una terza persona non identificata. Ma
Zeldov presto si trasferì a Pietrogrado, lasciando Katz a guidare l’organizzazione in Russia praticamente da solo.

85
nell’organizzare i lavoratori del sud, in alcuni casi facendosi iniziatori del movimento operaio.
Lavoratori ebrei provenienti dalla Lituania organizzarono i primi settori professionali a Berdichev
nel 1897 e vi introdussero la propaganda del Bund in yiddish. “Potete ora immaginare” ricordava
un lavoratore “con quale sete, con quale passione i nostri lavoratori iniziarono a divorare questi
testi semplici e facilmente comprensibili”. In sostanza, questo processo fu semplicemente una
prosecuzione della prima colonizzazione del nord.
A Kiev il Bund iniziò ad attirare membri delle associazioni studentesche all’università, in
particolare quelle dei gruppi socialdemocratici, che erano prevalentemente ebraiche. Al volgere del
secolo gli studenti ebrei avevano formato un’organizzazione dedita specificamente alla difesa dei
propri interessi. Nell’estate del 1900 alcuni di questi studenti decisero di creare sezioni del Bund
tra i lavoratori ebrei di Kiev. Uno di essi, David Zaslavsky, importante redattore della Pravda dopo
la Rivoluzione bolscevica, in seguito ricordò: “Non solo rispettavamo il Bund; esso per noi era una
fede”113. Per lui e i suoi compagni socialdemocratici il Bund era insieme una risposta ai loro
avversari sionisti e una perfetta sintesi tra la loro ideologia socialista e la loro ebraicità.
Alcuni degli attivisti ebrei del nord si spostarono a sud e iniziarono a lavorare in gruppi misti
di socialdemocratici russi ed ebrei. A Odessa, dove le condizioni erano più o meno simili al
nordovest, la prima attività socialdemocratica fu compiuta in parte da lavoratori ebrei di formazione
bundista. Essi tuttavia non provarono a organizzare sezioni del Bund. Piuttosto, come scrive P.A.
Garvi, importante socialdemocratico che operò in quella città, “questi organizzatori ‘par
excellence’”114 crearono la base di massa per la sezione di Odessa del POSDR, dalla quale in
seguito si svilupparono tutte le organizzazioni rivoluzionarie della città. Parimenti furono attivisti di
formazione bundista che aiutarono a costruire un movimento tra i lavoratori russi di Ekaterinoslav.
Tra tutte le regioni, il sud fu quella in cui gli attivisti ebrei ebbero la maggiore opportunità di
inserirsi nel cuore del movimento rivoluzionario, ovvero tra i lavoratori russi. Il vecchio desiderio di
servire il movimento russo non era mai morto. Uomini come Leon Goldman, Moshe Dushkan e
Abraham Ginzburg (Naumov) riuscirono a svolgere un ruolo fondamentale nella creazione di un
movimento russo senza rompere i propri legami con i bundisti, almeno per un periodo. Dushkan,
che era stato nel circolo di Martov, pensava che fosse a coloro che parlavano bene il russo che
dovesse essere affidato il destino delle masse russe ed ebraiche.
La relativa mancanza di omogeneità nel movimento nel sud spinse il Bund a formulare
particolari linee guida di sviluppo. A differenza del nordovest, dove i bundisti crearono il movimento
socialdemocratico tra gli ebrei e all’epoca erano il solo gruppo che organizzava i lavoratori, molte
città del sud avevano gruppi socialdemocratici prima che i bundisti comparissero sulla scena. In tali
circostanze il Bund dovette innanzitutto decidere quale doveva essere il proprio ruolo e in secondo
luogo quale linea adottare verso i lavoratori ebrei appartenenti ad altri circoli.
Queste questioni furono discusse nel Quarto Congresso del maggio 1901. Esso decise che
laddove i lavoratori ebrei avessero formato dei gruppi separati, questa tendenza andasse
incoraggiata fino a un certo punto; che il Comitato Centrale poteva appoggiare la formazione di
comitati locali ove esistevano gruppi puramente ebraici; e che gli attivisti ebrei appartenenti ai
gruppi socialdemocratici potevano restare nelle organizzazioni russe ma potevano anche ricevere
materiale di propaganda in yiddish. Il congresso decise anche che laddove un movimento ebraico
separato fosse stato un danno per il movimento russo, i comitati del Bund non si dovevano
formare.
Queste decisioni non facevano che formalizzare ciò che era già stato fatto. Il Bund lavorava
in autonomia e non dipendeva da alcuna autorità nella scelta di espandersi in aree già coperte da
altre organizzazioni socialdemocratiche. Il congresso di fondazione del POSDR non pose limiti
geografici alle attività dei socialdemocratici ebrei, o qualunque altro limite alla possibilità da parte
del Bund di occuparsi di problemi riguardanti il lavoratore ebreo o la propria organizzazione
interna.
Il Quarto Congresso fu evidentemente prudente nelle sue risoluzioni su questo punto,
senza dubbio temendo di scavalcare certi “vincoli di proprietà” nell’aiutare i lavoratori ebrei. Il
Comitato Centrale era decisamente riluttante ad accogliere gruppi finchè non era sicuro che essi
avessero compreso che cosa fosse il Bund. Discutendo sull’attività a Kiev nel 1900 Portnoy, allora
responsabile organizzativo del Bund, si riferiva ai militanti di Kiev come a “bundisti che non sono

113
David Zaslavsky, Tsu der geshikte fun Bund in Kiev, 1921
114
P.A. Garvi, Vospominaniia sotsialdemokrata, 1946

86
ancora parte del Bund”115. I bundisti di Kiev non furono accolti ufficialmente come gruppo fino al
1903.
Implicito con la crescita del Bund fu il tema dei suoi rapporti con l’intero proletariato
dell’Impero. La sua espansione, il suo successo e insieme il suo isolamento produssero la
sensazione che il Bund fosse qualcosa di più che una propaggine dell’astratto e di fatto inesistente
POSDR. I bundisti si erano riferiti in passato al Bund come “l’organizzazione”, e molti ora iniziarono
a riferirsi ad esso come “il partito”, un termine che era riservato al POSDR. Nel 1900 e 1901 il
Bund iniziò a creare una situazione che doveva portargli ben più di quanto i suoi fondatori
potessero pensare nel 1897.

Portnoy e l’enfasi sulla lotta politica. Uno dei segni più evidenti del rinvigorimento della
leadership del Bund fu la nuova enfasi sulla creazione di coscienza politica tra i lavoratori ebrei. La
mano di Portnoy nell’Arbeter Shtime si vede fin dal primo numero nel quale ebbe un ruolo, ovvero
quello di aprile 1900 che era previsto per l’inizio di maggio e uscì su carta rossa. Prendendo
spunto dal Terzo Congresso, Portnoy presto affrontò la questione fondamentale della lotta politica.
Nel numero di luglio egli sottolineò i limiti dell’attività economica, pur necessaria come era stato in
passato, e insistette sul fatto che il ruolo dello stato di nemico dei lavoratori non era mai stato ben
compreso come allora. In realtà, scrisse, il movimento un tempo era stato in grado di usare la
legge a proprio vantaggio, per esempio per accorciare la giornata lavorativa. La crescita del
movimento e le risposte del governo, tuttavia, provavano che i lavoratori dovevano fare
affidamento solo sulle proprie forze, e quella consapevolezza era alla base dell’educazione
politica. Il governo si era palesato come il peggior nemico dei lavoratori, ed era giunto il momento
di far fronte ai suoi attacchi “per ottenere la libertà politica – ecco il compito che il tempo pone di
fronte a noi, e che deve essere portato a termine”116.
Nello stesso articolo Portnoy cercò di attirare l’attenzione dei lavoratori sul fatto che vi
fossero altri soggetti nella società russa oltre ai lavoratori che si opponevano al governo.
L’intellighenzia liberale poteva essere utile, per esempio, almeno fino a che le sue rivendicazioni
concordavano con gli obiettivi politici del movimento. Senza negare l’utilità delle vecchie pratiche,
Portnoy sottolineò che la manifestazione politica era uno strumento importante. Attraverso le
manifestazioni politiche i liberali avrebbero conosciuto la forza della classe operaia e ciò li avrebbe
incoraggiati. Se lo stato avesse fatto ricorso alla violenza e alla brutalità, l’odio nei confronti del
regime sarebbe cresciuto. Inoltre, le manifestazioni avrebbero fatto conoscere ai lavoratori ancora
non collegati il movimento e i suoi scopi. Gli scioperi e le manifestazioni, specialmente queste
ultime, erano i principali mezzi di lotta quando la lotta politica era ancora allo stadio iniziale. Altri
metodi sarebbero emersi in seguito. Nel frattempo la repressione statale non sarebbe bastata; il
lavoro sarebbe andato avanti.
Affermazioni come quelle di Portnoy divennero comuni nella propaganda del Bund.
Nell’aprile 1901 gli editori dell’Arbeter Shtime, commentando un anno di lavoro, insistettero sul
crescente interesse per la lotta politica ed espressero soddisfazione per i risultati raggiunti. Presi
dall’entusiasmo, cambiarono il titolo della rubrica sulle notizie dalla Russia da “Di finstere velt” (Il
mondo oscuro) a “Di likhtige velt” (Il mondo luminoso).
La nuova enfasi sulle manifestazioni politiche presto portò dei frutti. I raduni di lavoratori
prevalentemente ebrei cominciarono a raggiungere numeri considerevoli. Il Primo Maggio 1900
700 lavoratori a Vitebsk scioperarono, e più di 1000 si riunirono a Vilna. A Minsk gli animi si
surriscaldarono, una spia e alcuni poliziotti furono malmenati, e intervenne l’esercito per disperdere
la folla. Il funerale di uno spazzolaio a Bialystok nel 1901 portò in piazza 3.000 lavoratori che
intonarono canti rivoluzionari indossando fasce rosse. I meeting clandestini di metà anni ’90 erano
passati in secondo piano: ora le manifestazioni erano pubbliche, numerose e i militanti abbastanza
da porsi a capo degli scontri con la polizia.
Tutto ciò non vuol dire, tuttavia, che il Comitato Centrale invocasse lo scontro aperto. Al
contrario, esso prima della celebrazione del Primo Maggio 1900 a Vilna fece distribuire dei
volantini che invitavano i lavoratori a restare calmi; e criticò le violenze a Minsk. Per quanto la
rabbia dei lavoratori fosse legittima, dichiarò il comitato, essi dovevano astenersi dalla violenza
“perché lo scontro è utile solo al governo e ai capitalisti, che possono accusare le nostre

115
David Zaslavsky, Tsu der geshikte fun Bund in Kiev, 1921
116
DAS, luglio 1900

87
manifestazioni operaie di essere delle risse”117. Il Bund guardava al di là dei propri iscritti e stava
iniziando a considerare la propria immagine pubblica. Prudentemente, i bundisti consideravano la
lotta politica in termini di vantaggi pratici. Così, soltanto “poco per volta, conquistando una
posizione dopo l’altra ai nostri avversari”118 avrebbero ottenuto i propri obiettivi. Per ora la linea era
il gradualismo; la violenza era prematura.
L’offensiva di Zubatov e la risposta del Bund. Nel periodo in cui il Bund iniziò a
intensificare l’attività politica, dovette far fronte a un attacco mirato alla propria stessa esistenza da
parte della polizia zarista. La polizia aveva in mente qualcosa di più che distruggere il Bund
arrestandone i dirigenti e impedendone il lavoro; essa puntava a indebolire l’intero movimento
rivoluzionario dividendo la lotta economica dalla lotta politica. Questa tattica ebbe successo in
alcune circostanze, ponendo i bundisti di fronte al problema di mantenere l’influenza sulle masse
nel momento in cui essi spingevano per una maggiore attività politica.
L’artefice principale di questo nuovo attacco fu il vecchio nemico del Bund, Zubatov. Un
tempo membro di un circolo radicale, Zubatov era diventato un informatore e aveva fatto carriera
nella polizia segreta fino a diventare capo del dipartimento di Mosca. La sua idea di sconfiggere i
rivoluzionari sostenendo i lavoratori fu fortemente appoggiata da alcune autorevoli figure come il
suo superiore, il capo della polizia di Mosca Dmitri Trepov, e il Granduca Sergej Aleksandrovic,
governatore della città; e a Mosca avvennero i primi test.
Il piano di Zubatov prevedeva una serie di stratagemmi. Per distogliere il movimento degli
scioperi dal percorso della rivoluzione politica, egli sperava d scavare un solco tra gli intellettuali e i
lavoratori. Per accontentare questi ultimi egli intendeva sviluppare un movimento sindacale legale,
come in Europa occidentale. Allo stesso tempo egli prevedeva di utilizzare i consueti metodi
polizieschi, soprattutto quello degli infiltrati, per distruggere le organizzazioni rivoluzionarie
dall’interno.
Un certo numero di fattori favorirono i progetti di Zubatov. La crescita del movimento degli
scioperi si conciliava con la sua idea di promuovere il sindacalismo. Le dottrine revisioniste gli
fornirono lo strumento ideologico col quale controbattere alla dottrina marxista rivoluzionaria. E i
problemi interni al movimento ebraico, specialmente le differenze tra lavoratori e intellettuali in
quanto a direzione, obiettivi immediati e tattiche, furono a loro volta impiegati da questo poliziotto
pieno di risorse.
Nonostante i rapporti di polizia dopo gli arresti del luglio 1898 parlassero di liquidazione
dell’organizzazione, presto Zubatov si rese conto che le cose non stavano così. Dall’esame del
materiale sequestrato e dalle indagini dei suoi agenti, egli comprese di avere a che fare con
un’organizzazione cospicua e disciplinata ma largamente basata su interessi economici, e concepì
di usare i propri agenti per creare un movimento operaio privo di contenuto rivoluzionario.
La retata del luglio 1898 non diede frutti. Zubatov non ottenne nulla dagli interrogatori con
Kremer e Kosovsky. Tutti i prigionieri mostrarono una tale disciplina da indurlo ad affermare che “il
movimento ebraico ha prodotto un’impressione di forza quasi inossidabile”119. La vecchia guardia
era troppo esperta per essere ingannata dall’approccio di Zubatov, o da essere indotta a parlare
nella speranza di alleviare la condizione degli altri prigionieri.
Zubatov a quanto pare non si scoraggiò per i dinieghi da parte dei “generali” del Bund;
sembra che abbia continuato a lungo a sperare di convertirli al proprio disegno. Dopo che Kremer
fu rilasciato in attesa di giudizio nell’aprile 1900, Zubatov gli chiese di venire a Mosca per discutere
le possibili pene che potevano essere comminate agli arrestati del 1898. A metà del 1900 egli
ancora cercava di persuadere i dirigenti del Bund del fatto che Kremer potesse influenzare il
destino dei suoi compagni120. Con dispiacere di Zubatov a quel punto Kremer lasciò la Russia,
fugando ogni dubbio che potesse influenzare la dirigenza del Bund.
Zubatov si rivolse ai non intellettuali in modo in parte diverso. Interrogando Kaplinsky, il
lavoratore più conosciuto tra gli arrestati del 1898, Zubatov gli fece balenare l’opportunità di
migliorare le condizioni economiche dei lavoratori senza perseguire “inutili” obiettivi politici.

117
DAS, luglio 1900
118
DAS, settembre 1900
119
S.Piontkowsky, Novoe o Zubatovschine, 1922
120
Nelle sue memorie Kremer afferma che dopo l’arresto chiese a Zubatov di rilasciare gli innocenti (anche Zubatov
ammise che alcuni erano stati arrestati per errore). Il capo della polizia cinicamente chiese a Kremer di fare i loro nomi,
e questi replicò suggerendogli di usare le informazioni raccolte durante le indagini.

88
Kaplinsky promise di riflettere sulla cosa ma alla fine lasciò cadere l’argomento. Ciononostante finì
nella rete di Zubatov, e in seguito divenne un noto provocatore.
Minsk fu uno dei centri di maggiore interesse per Zubatov, soprattutto perché era là che egli
si era imbattuto nel Bund per la prima volta. Oltre ad essere la sede del congresso del POSDR e
del Comitato Centrale del Bund, Minsk era stata per anni un importante centro di attività
rivoluzionaria e operaia. Esso divenne il punto di partenza dei tentativi di Zubatov di deviare il
movimento operaio rivoluzionario ebraico, facendo concorrenza a Mosca e Odessa quale centro di
maggiore attenzione da parte della polizia.
All’inizio del 1900 gli agenti di Zubatov iniziarono a Minsk una nuova campagna. Operando
indipendentemente dalla polizia locale, essi fecero diverse retate di giovani radicali e mandarono i
prigionieri a Mosca, dove Zubatov poteva scegliere chi facesse al caso suo. Il piano ebbe un certo
successo. Chemerisky, arrestato in maggio, cadde nella trappola. In seguito importante oppositore
del Bund (nel quale poi rientrò), Chemerisky ricevette dei libri da leggere, compreso uno di Sidney
Webb, e discusse con Zubatov in un acceso colloquio. In seguito, Zubatov usò il nome di
Chemerisky nelle discussioni con altri prigionieri. Altri arrestati dell’epoca affermano che Zubatov
presentò loro testi di Eduard Bernstein, li invitò a creare un movimento indipendente, insistette sul
ruolo negativo degli intellettuali, cercò di provocare accese discussioni nella speranza di scucire
informazioni nei momenti più concitati, e provò a reclutare agenti per sorvegliare gli emigrati russi
nell’Europa occidentale.
Questa serie di arresti portò a Zubatov un risultato molto maggiore rispetto al 1898. I temi
da lui sollevati furono quelli che effettivamente animavano le dispute tra gli attivisti di Minsk, e si
rivelarono dei punti su cui fare leva. Molti degli arrestati sembravano ben disposti verso le
argomentazioni di Zubatov. Fiducioso nei progessi compiuti con alcuni prigionieri, Zubatov li fece
rilasciare in breve tempo, desideroso di vedere i risultati del proprio lavoro.
Attraverso Boris Frumkin, attivista di Minsk, siamo informati dell’efficacia delle manovre
diversive di Zubatov. Al loro ritorno i prigionieri rilasciati presero quattro direzioni: coloro che
rimasero fedeli al Bund, e subito denunciarono la minaccia; coloro che avevano ammesso la
propria attività e che dunque, sebbene convinti della necessità di continuare la lotta, avevano
perso il morale, tanto da non sentirsi più all’altezza di restare nell’organizzazione; coloro che non
avevano parlato ma si erano convinti delle argomentazioni di Zubatov, e subito si allontanarono
dall’organizzazione; e coloro che iniziarono ad opporsi al Bund attivamente, criticando la sua
attività clandestina e facendo appello per un movimento operaio legale.
Le circostanze furono dalla parte di Zubatov. Le sue idee coincidevano e rafforzavano delle
tendenze già esistenti nel movimento a Minsk, e crearono grossi problemi al Bund. Le condizioni
economiche generali al volgere del secolo erano difficili, e i miglioramenti attraverso gli scioperi
arrivavano solo dopo dure lotte. L’idea di Zubatov che la via legale fosse la migliore per i lavoratori,
in quanto eliminava l’ostilità da parte dello stato, a molti apparve particolarmente ragionevole.
L’appoggio della polizia agli scioperanti o anche la semplice neutralità nuoceva direttamente al
programma politico del Bund, che si basava sull’appello alla lotta rivoluzionaria contro lo stato. Per
di più, poiché erano soprattutto gli intellettuali che invocavano la lotta politica, le teorie di Zubatov
facevano presa sui lavoratori per i quali il movimento era guidato non democraticamente, così
come quelli che ancora insistevano sulla necessità dell’educazione – nel solco del primo
movimento di Opposizione.
La risposta del Bund alla sfida di Zubatov si articolò nel corso di alcuni mesi. Anche durante
il periodo di maggiore debolezza del Comitato Centrale, prima del Terzo Congresso, esso aveva
cercato di mettere sul chi vive i lavoratori rispetto alle nuova linea poliziesca. Nel dicembre 1899 Di
Arbeter Shtime ammonì rispetto alla dichiarazione di Trepov sulla possibilità di legalizzazione delle
organizzazioni economiche operaie. I lavoratori non dovevano farsi ingannare da queste piccole
concessioni, affermò il comitato. In ogni caso ogni voce di concessioni da parte dello stato era
segno che i lavoratori stavano vincendo la loro battaglia. Le leggi russe erano sempre un ostacolo
alle lotte operaie, e dovevano essere combattute.
Con la ricomparsa degli arrestati di Minsk iniziò la lotta contro metodi di Zubatov nel
movimento ebraico. Tra i rientrati vi furono Chemerisky e Yehuda Volin. Essi e altri vecchi membri
dell’organizzazione locale iniziarono a sollevare discussioni all’interno dei kase nell’estate del
1900, lamentando la mancanza di democrazia nel Bund e chiedendo un movimento operaio legale.
Il Bund a parole reagì immediatamente alle attività dei detrattori, ma fu più lento
nell’adottare effettive contromisure. I primi chiari segnali di reazione arrivarono nell’estate del 1900,

89
quando il Comitato Centrale diramò un volantino che ammoniva i lavoratori rispetto alle tattiche di
Zubatov. Scritto da Portnoy, il testo analizzava lo Zubatov poliziotto, non lo Zubatov teorico. In un
tono che passava dal caustico all’ironico, Portnoy sottolineava la differenza tra l’atteggiamento
amichevole di Zubatov verso i lavoratori e il numero di arresti di massa compiuti a partire dal 1898.
Nessun vero rivoluzionario poteva “avere contatti con una tale feccia”, scrisse. E chi lo faceva
arrecava solo danno alla causa operaia e perdeva il diritto di definirsi rivoluzionario. Portnoy
concludeva con un’affermazione ancor più netta: “A nessun nostro membro…è permesso avere
alcun contatto con Zubatov o le sue spie. Ogni membro che non obbedisce a tale ingiunzione sarà
considerato un traditore e un provocatore, e il suo nome verrà reso pubblico”121.
Il Comitato Centrale presto diede seguito al proprio volantino con un articolo su Di Arbeter
Shtime. L’articolo aveva più o meno lo stesso taglio del volantino, ma lanciava il proprio anatema
in forma un po’ diversa. Il Bund avrebbe “escluso dai propri ranghi chiunque per qualunque ragione
abbia legami con Zubatov all’insaputa dell’organizzazione alla quale appartiene, e dichiara tali
persone provocatori i cui nomi verranno pubblicati sui nostri giornali”122. Ai compagni arrestati fu
data istruzione di negare ogni evidenza o appartenenza sotto interrogatorio, anche quando la
polizia li mettesse di fronte a prove tangibili.
Nel medesimo articolo i dirigenti del Bund riaffermarono la propria posizione politica.
Ammisero che ci sarebbe voluto del tempo per distruggere l’ordine sociale e politico esistente, e di
conseguenza il loro obiettivo attuale era il miglioramento delle condizioni della classe operaia fino
al punto in cui essa avrebbe potuto una lotta più avanzata. Lo scopo ultimo, comunque, poteva
essere ottenuto solo attraverso il potere politico. Era questo scopo che terrorizzava lo stato e lo
spingeva ad adottare ogni mezzo per fermare il movimento. Ma lo stato avrebbe permesso ai
lavoratori di incontrarsi e discutere ciò che doveva essere fatto in uno sciopero? Poteva garantire
la possibilità per i lavoratori di battersi liberamente per migliorare le condizioni economiche? La
lotta economica significava lotta politica, affermavano i dirigenti, aggiungendo: “Come parte del
proletariato russo in lotta non possiamo esimerci dalla lotta politica, non possiamo smettere di
essere socialdemocratici”123.
E’ chiaro da entrambi i documenti che il Comitato Centrale comprendeva la minaccia verso
l’organizzazione; è altrettanto chiaro, specialmente dal linguaggio dell’articolo, che esso prevedeva
difficoltà nel far fronte a tale minaccia. Cogliere sul fatto coloro che simpatizzavano con la linea di
Zubatov non era facile. Essi operavano a livello locale, facendo agitazione tra i lavoratori nelle
organizzazioni economiche, che erano per lo più separate dal centro. Nelle skhodka, e ancor più
nei kase, l’esame dei potenziali membri di partito non era rigoroso. Il desiderio di attirare nuove
leve e i metodi relativamente democratici in uso facevano sì che i controlli fossero ben diversi
rispetto alla segretezza delle unità di vertice del Bund.
Come furono applicate le indicazioni del Comitato Centrale? L’accusa di provocazione
poteva essere levata solo contro coloro che lavoravano pienamente per la polizia. Poiché la
ragione principale dell’esclusione di un lavoratore era la sicurezza, cosa si doveva fare con coloro
che concordavano con Zubatov non per essere stati convinti da lui ma per essere da soli giunti alle
sue stesse conclusioni? Chiaramente, la mera opposizione alla linea del Bund non era sufficiente
per l’esclusione da un kase. Né tutti coloro che erano finiti nelle grinfie di Zubatov potevano essere
espulsi automaticamente. Come potevano i comitati locali stabilire chi era e chi non era in contatto
con la polizia? Era virtualmente impossibile stabilire con certezza se un prigioniero rilasciato era in
comunicazione con chi lo aveva catturato. I comitati potevano supporre che coloro che chiedevano
maggiormente la legalizzazione del movimento operaio fossero agenti. Ma si trattava di un criterio
fallibile, poiché le discussioni sulla tattica erano in corso da tempo a Minsk, e il Bund stesso non
riteneva la lotta economica legale qualcosa di negativo o dannoso. L’uso di strumenti legali per
ottenere la giornata lavorativa di dodici ore non era un fatto molto lontano nel tempo, e neppure la
legislazione del 1897 sul lavoro così priva di senso per i lavoratori. Semplicemente non era facile
tracciare una linea netta tra la provocazione e la convinzione ideologica o tattica.
La ragione per cui Zubatov poteva diventare un problema così grosso per la tenuta
strutturale del Bund era largamente dovuta al particolare stadio di sviluppo raggiunto
dall’organizzazione nel 1900. Sebbene fosse l’unica organizzazione effettiva di massa tra i

121
25 Yor
122
DAS, settembre 1900
123
ibidem

90
lavoratori ebrei all’epoca, le linee guida del Bund non erano ancora complete. Solo ai livelli
superiori si poteva iniziare a parlare di un partito; agli stadi inferiori ciò non era assolutamente
possibile. Vladimir Medem, che allora operava a Minsk, dice che all’epoca egli era un membro del
Bund ma aggiunge che non gli era ancora chiaro che cosa il Bund fosse in quanto organizzazione
ebraica. Se un giovane intellettuale di quel livello non aveva le idee chiare, molta più confusione
doveva esservi tra i lavoratori che avevano appena sentito parlare della questione della solidarietà
di classe. Ancora alla fine del 1900 l’organo ufficiale del comitato di Minsk, Der Minsker Arbeter (Il
Lavoratore di Minsk) insisteva che non doveva esserci alcuna ostilità tra i lavoratori
socialdemocratici e i lavoratori sionisti, dal momento che i sionisti partecipavano alla lotta
economica. La logica del conflitto di classe sovrastava ancora le differenze ideologiche,
indebolendo la definizione di appartenenza al partito.
Anche la struttura del movimento ebraico contribuì alle difficoltà del Bund. Impreparato a
mutare i propri organismi in un colpo solo, il Bund faticò a opporsi al tentativo di Zubatov di
scavare un solco tra le organizzazioni dedite alla lotta economica e quelle più politiche. Il comitato
di Minsk dovette darsi da fare per mantenere il controllo sulle organizzazioni economiche e per
riprenderlo ove lo stava perdendo, anche se continuò a enfatizzare la lotta politica e a
ridimensionare quella economica.
Inoltre i piani di Zubatov per il momento non furono immediatamente chiari. Questi non
rivelò ai bundisti, per esempio, che le pene lievi verso gli arrestati di Minsk erano dovute a un
disegno attentamente calcolato. In ogni caso probabilmente essere al corrente di quel disegno non
sarebbe stato utile. Zubatov certamente non rilasciò solo quelli che aveva reclutato, per impedire
che venissero identificati immediatamente.
Nonostante tutte le difficoltà organizzative e di inesperienza, il contrattacco del Bund alle
prime fasi dell’offensiva di Zubatov fu parzialmente efficace. Mania Wilbushevich, una delle più
note tra gli agenti di Zubatov, ammise in una corrispondenza con quest’ultimo che il volantino del
Comitato Centrale dell’agosto del 1900 aveva avuto un forte impatto sui lavoratori. Ciononostante,
le organizzazioni economiche iniziarono a dividersi poco dopo, rendendo gradualmente più definita
la situazione interna al Bund ma anche creando una nuova opposizione all’esterno. Chemerisky
racconta di avere appoggiato i falegnami in uno scontro con il comitato locale di Minsk a metà del
1900, per la democrazia operaia e per una maggiore enfasi sulla lotta economica. Comunque il
comitato di quella città, avendo compiuto considerevoli passi avanti in quel periodo, riuscì a
estromettere i principali uomini di Zubatov dall’organizzazione e nel contempo a guadagnare
consenso tra i lavoratori, il che è prova della determinazione dei bundisti di Minsk. L’offensiva di
Zubatov mise a repentaglio l’esistenza stessa del Bund, ed essi la contrastarono quanto meglio
poterono.
Sebbene Minsk fosse la maggiore preoccupazione di Zubatov all’epoca, egli non ignorò gli
sviluppi altrove. Fece l’uso che poteva dei prigionieri di altre città, compreso Bialystok, Vitebsk,
Grodno e Kovno. Tuttavia tutti questi tentativi sembrano inferiori rispetto a quelli di Minsk, sia come
intensità che come risultati. Zubatov compì un tentativo più serio di sconfiggere gli spazzolai.
Propose a lavoratori di quel settore detenuti di legalizzare il loro sindacato; e sebbene egli lo neghi,
alcuni affermano che offrì anche 20.000 rubli a tale scopo, per sostenere Der Veker (Il Risveglio),
l’organo del sindacato, come giornale legale. Quale che sia la verità, il tentativo di Zubatov di
infiltrarsi in quella potente organizzazione fallì. Al Decimo Congresso del sindacato degli spazzolai,
nell’ottobre 1900, passò una risoluzione che diceva che tutte le attività legali dovevano cessare, e
che coloro che svolgevano tale lavoro facevano bene a lasciare l’organizzazione.
La campagna di Zubatov accelerò il processo già in corso di crescita politica dei bundisti. Il
Bund dovette riesaminare la propria struttura in relazione alla controversia politico-economica che
si sviluppava. Se all’inizio il dibattito sull’economismo aiutò a risvegliare nel Bund l’allarme per la
socialdemocrazia, i piani di Zubatov lo spinsero a guardare direttamente a se stesso come
organizzazione economica e politica. I bundisti dovevano stare attenti all’attività economica in
un’epoca in cui quest’ultima veniva incanalata in una direzione puramente sindacale, a scapito
dell’ideologia rivoluzionaria che era alle origini del Bund stesso. Prima di tutto animali politici, i
bundisti furono pronti a rispondere all’attacco con alcuni cambiamenti organizzativi, per quanto
drastici e complessi dovessero essere.

Primi contrasti coi sionisti. Il Bund in questo periodo dovette confrontarsi anche con una
nuova realtà politica – la penetrazione del sionismo nella classe operaia ebraica. Tema secondario

91
in Russia prima del ‘900, il sionismo iniziò a preoccupare profondamente i bundisti dopo il volgere
del secolo. Il Quarto Congresso del Bund, il primo che discusse di sionismo, riconobbe la
crescente importanza di quest’ultimo ed espresse il timore per il fatto che “nell’anno passato in
varie città sono stati riscontrati tentativi da parte dei sionisti di intensificare la loro propaganda”124.
Il Bund continuò a considerare il sionismo un nemico ideologico, un concetto borghese e
uno strumento col quale i capitalisti speravano di distogliere i lavoratori dai loro genuini interessi di
classe, orientandoli verso un punto di vista nazionale. In una serie di articoli e nuove pubblicazioni i
bundisti denunciarono l’ideologia rivale come un tentativo di dividere i lavoratori ebrei dai proletari
loro fratelli, e la proposta di stato sionista come nazionalismo borghese. Negando l’unità degli ebrei
affermata dai sionisti, i bundisti posero l’accento sugli interessi di classe, e sulle sofferenze dei
lavoratori ebrei dovute ai loro padroni ebrei. La borghesia stava tentando di “distrarre i lavoratori
ebrei con gli inni nazionali”125 anche se li opprimeva con l’aiuto del governo russo. Queste accuse
furono ripetutamente e continuamente rivolte ai sionisti tra il 1897 e il 1901.
Intorno al volgere del secolo il sionismo iniziò ad assumere una nuova patina ideologica e
sociale. Un crescente interesse verso il socialismo, il punto che più di tutti aveva preoccupato Mill
prima del Terzo Congresso, portò all’acuirsi del conflitto sionismo – bundismo. Il legame tra
sionismo e socialismo era iniziato già nel 1898. Nachman Syrkin, importante teorico di questo
sviluppo ideologico, ne scrisse quell’anno mentre era all’estero; Zithlovsky aveva toccato lo stesso
argomento nel suo articolo su Der Yidisher Arbeter126. In Russia comunque, il tema si sviluppò in
maniera praticamente spontanea in diverse zone. Secondo Ber Borochov, altro importante
esponente del sionismo laburista in Russia, nel 1900 e 1901 vi erano gruppi orientati in questa
direzione in varie città, incluso Odessa, Varsavia e Vilna, anche se stavano muovendo soltanto i
primi passi.
Uno stimolo alla crescita di un sionismo laburista autonomo fu il fastidio da parte dei
lavoratori sionisti di appartenere alle stesse organizzazioni dei sionisti di altre classi. Moshe
Gutman, lavoratore sionista di Vilna, descrive il suo imbarazzo nel sedersi al tavolo con i propri
datori di lavoro. Le sue grandi aspettative per il primo congresso sionista erano state deluse. Il
sionisti a Basilea avevano “completamente ignorato il ‘lavoro presente’, ovvero il miglioramento
delle condizioni degli ebrei nella Diaspora. Se la salvezza definitiva era a portata di mano, era
arduo nel mentre imporsi di ignorare la situazione della Diaspora!”127. I lavoratori ebrei erano
certamente influenzati dal Bund, dice Gutman, ma “non volevano entrare nel Bund a causa del
carattere semi-assimilazionista di quest’ultimo”. Le differenze di classe, i bisogni quotidiani e
l’esempio del Bund: tutto ciò divideva i sionisti. Ma in questa frammentazione il nuovo ideale
cresceva, offrendo ai lavoratori ebrei altre risposte ai loro problemi. Per quanto insignificante possa
essere stato all’inizio il sionismo laburista, esso fornì al lavoratore ebreo un’alternativa che prima
non c’era.
I bundisti ebbero frequenti contatti coi sionisti alla fine degli anni ’90. Non contendendosi
ancora il controllo sulle masse, all’epoca le due fazioni avevano comunque alzato il livello delle
discussioni. Il dibattito proseguiva ovunque: tra familiari, nei circoli universitari, nei caffè. Era una
situazione particolarmente frustrante per i bundisti, in quanto spesso dovevano rifiutare l’invito alla
discussione da parte dei loro avversari per timore della polizia.
La preoccupazione dei bundisti per il sionismo crebbe sempre più, e all’inizio del 1901 trovò
ampio spazio nelle pubblicazioni. Il Quarto Congresso Sionista, svoltosi a Londra nell’agosto del
1900, fu commentato in un articolo su Di Arbeter Shtime. Rispondendo alla pretesa dei sionisti di
rappresentare tutti gli ebrei, l’articolo sollevò una questione fondamentale per il Bund: cosa erano
pronti a fare i sionisti per il lavoratore ebreo? Sebbene quel quesito fosse stato sollevato da alcuni
delegati, diceva l’articolo, quel congresso di borghesi aveva paura della parola classe, si era
mostrato indifferente alla condizione economica del proletariato, e non era stato in grado di
rispondere alla questione. I bundisti erano soddisfatti della saldezza delle proprie basi ideologiche,
nonostante la fase di crescita del movimento sionista.
Nel frattempo le cose a Minsk ebbero sviluppi imprevisti. La città aveva visto lo sviluppo di
molti movimenti a partire dagli anni ’80; il socialismo rivoluzionario era ancora allo stadio

124
Chetvertyi s’ezd Bund, opuscolo pubblicato a Ginevra nel 1901
125
DAS, gennaio 1901
126
DYA, marzo 1899
127
Moshe Gutman, Tsu der Forgeshikhte fun Sozialistische Sionismus, 1921

92
embrionale quando laggiù era stato aperto un circolo; parimenti, uno dei primi gruppi sionisti in
Russia nacque proprio a Minsk. Era sempre a Minsk che a metà degli anni ’90 si era sviluppata
una forte opposizione operaia nazionalista sotto la guida di Abraham Liesin, il giovane intellettuale
che aveva rimproverato ai socialdemocratici ebrei la mancanza di un programma nazionale. I
lavoratori sionisti di Minsk contrastarono il Bund sia sul terreno nazionale che economico. Quando
sfidarono il Bund nel momento chiave del dibattito sulla tattica economica e politica, lo scontro fu
inevitabile.
Il Comitato di Minsk del Bund riconobbe la minaccia alla fine del 1900. Come nel caso di
Zubatov, il Bund affrontò il problema di tracciare un solco tra i propri membri e gli altri lavoratori.
Esso non era disposto ad abbandonare i lavoratori semplicemente per le loro vedute ideologiche,
in particolare quando i sionisti erano ancora deboli. Perciò decise che qualora lavoratori di
orientamento sionista avessero partecipato alla lotta economica con dei gruppi socialdemocratici,
non necessariamente dovesse crearsi ostilità tra i due gruppi. La parola chiave era persuasione:
“Dobbiamo convincerli della correttezza delle nostre aspirazioni” affermò il comitato “ma in alcun
modo esprimere ostilità nei loro confronti o interferire con la forza nella loro attività”128.
Ciononostante, il comitato ribadì di disapprovare il sionismo e che avrebbe continuato a
combatterlo con tutti i mezzi leciti.
Mania Wilbushevich e altri agenti di Zubatov a Minsk compresero la potenziale utilità dei
sionisti nella lotta contro il Bund. In una lettera a Zubatov, la Wilbushevich predisse grande
successo per i piani di infiltrazione di quest’ultimo grazie ai sionisti. Il sionismo poteva essere uno
strumento utile, scrisse: i suoi sostenitori si astenevano dall’attività politica, e inoltre tale ideologia
stava facendo presa su molti lavoratori, come dimostrava la reazione del Bund. La Wilbushevich fu
il principale anello di collegamento tra Zubatov e i sionisti, svolgendo alla perfezione il ruolo di spia
poliziesca, un fatto che fu ricordato a lungo. La polizia sostenne di frequente gli scioperi a Minsk
dal 1900 in poi, e i sospetti e il disprezzo del Bund per quegli accordi crebbero in proporzione.
Quanto più aumentò l’aiuto della polizia ai non-bundisti, tanto più aumentò la distanza tra bundisti
e sionisti, e la rottura divenne cosa ovvia. Il Quarto Congresso del Bund tracciò la linea, stabilendo
che “in nessuna circostanza” i sionisti sarebbero stati ammessi “nelle nostre organizzazioni
economiche o politiche”129.
In tal modo la definizione di appartenenza al Bund fece un ulteriore passo. Non solo coloro
che avevano legami con Zubatov, ma tutti i sionisti ora erano esclusi dall’organizzazione. Ora non
era più soltanto una questione di sicurezza: era parimenti una questione ideologica. Minsk fu la
sola area dell’Impero nella quale il sionismo divenne una questione importante per il Bund prima
del Quarto Congresso; la risposta del Bund fu la demarcazione della propria appartenenza – non
solo a Minsk ma ovunque.

Il dibattito coi socialisti russi all’estero. L’esperienza del Bund all’estero conobbe
sviluppi simili a quelli russi. Come in Russia, il Bund si estese sia nel numero che nell’ampiezza
delle proprie attività, arrivando anche negli Stati Uniti. In questo periodo il Centro Estero continuò a
seguire qualunque via per promuovere le proprie varie attività – con notevole successo. Studenti e
gruppi di emigrati dediti al sostegno al Bund cominciarono a diffondersi in tutta l’Europa
occidentale. Come in Russia conflitti, divisioni e mutamenti ideologici condussero al tema
dell’autodefinizione.
La continua ricerca di sostegno del Bund alla fine lo portò a scontrarsi con altre
organizzazioni rivoluzionarie all’estero, specialmente il Gruppo per l’Emancipazione del Lavoro. Le
crescenti controversie tra i socialdemocratici russi su quale tipo di letteratura usare (se popolare o
teorica) e sulla nuova corrente economista, condussero a un’altra controversia, quella sul
finanziamento. Il Gruppo per l’Emancipazione del Lavoro aveva ricevuto notevoli fondi dagli Stati
Uniti per diversi anni. Ma quando in Europa le polemiche divamparono, i simpatizzanti dei
socialdemocratici negli Stati Uniti si divisero. Il Bund probabilmente non ricevette finanziamenti
dagli Stati Uniti prima del 1900. Nel 1899 Abraham Kisin, un pioniere del Bund che aveva lavorato
a Mogilev e Gomel, raccolse fondi negli Stati Uniti per l’Unione all’Estero. Convinto dell’utilità della
letteratura popolare, egli era al corrente del ruolo del Bund nel distribuire tale letteratura in Russia.
Kisin tornò in Europa alla fine del 1900. Il suo successore negli Stati Uniti, Isaiah Golovnicher, fece

128
Der Minsker Arbeter, dicembre 1900
129
Chetvertyi s’ezd Bund, opuscolo pubblicato a Ginevra nel 1901

93
anche di più per far conoscere il Bund. Golovnicher creò le landsmanshaften, organizzazioni di
immigrati di mutuo aiuto, che spesso erano simpatizzanti del Bund, e stabilì una rete di contatti che
sopravvisse al Bund stesso.
Il Gruppo di Emancipazione del Lavoro, già contrariato col Bund per il suo appoggio
all’Unione all’Estero contro il Gruppo stesso, iniziò a percepire gli effetti dei tentativi del Bund negli
Stati Uniti. La vecchia guardia si lanciò nella nuova disputa. Nel febbraio 1901 Pavel Akselrod si
lamentò con Lenin per le scarse somme provenienti dal dottor Ingerman, sostenitore importante e
di lunga data negli Stati Uniti, che lo aveva informato dei problemi sorti laggiù con l’Unione
all’Estero e l’alleato di quest’ultima, il Bund. Nel luglio di quell’anno Akselrod si espresse ancor più
aspramente sui bundisti: “Stai attento alle tasche quando hai a che fare con loro, o ti sparirà
qualcosa”130. La ricerca di fondi da parte del Bund arrecò nuovi nemici ma anche nuovi amici, e
una consistente base materiale di risorse di valore fondamentale per l’organizzazione.
Alcune decisioni del Bund forniscono ulteriore evidenza del suo tentativo di definire
maggiormente i propri confini organizzativi e di chiarire la sua posizione nel movimento
socialdemocratico russo. Il Terzo Congresso non solo riconobbe il suo nuovo braccio, il Centro
Estero, ma stabilì anche di inviare delegati al successivo congresso dell’Internazionale Socialista
di Parigi. Secondo la dichiarazione del Centro Estero, il Bund ora sentiva di essere diventato “una
forza che giocava un ruolo importante nel movimento rivoluzionario russo. Abbiamo il diritto di
essere rappresentati da un’ampia delegazione, che rifletta la nostra forza, il nostro lavoro, e il
nostro vero significato…Non dobbiamo arrancare dietro gli altri; dobbiamo avvalerci dei nostri diritti
e adempiere ai nostri doveri”131. Ancora una volta fu Mill a spingere il Bund a riconoscere il proprio
vero ruolo e a prendere ciò che egli considerava il proprio posto legittimo alla guida del movimento
operaio ebraico.
La presenza di 11 delegati bundisti al congresso di Parigi, che si riunì nel settembre del
1900, contrastò nettamente con la volta precedente; nel 1896 i plechanovisti avevano avuto il
mandato di rappresentare le organizzazioni socialdemocratiche della Zona. Il Bund aveva il
maggior numero di delegati all’interno della delegazione russa, e tanti voti quanto quelli del Gruppo
per l’Emancipazione del Lavoro. I bundisti si impegnarono a reperire materiale per un rapporto,
che consideravano essenziale “dal momento che ai precedenti congressi non vi erano resoconti a
proposito del movimento operaio ebraico, e la socialdemocrazia internazionale in generale è poco
attenta alla situazione e alle lotte del proletariato ebraico”132. Richiamando le parole di Plechanov
del 1896, il quale aveva detto che i lavoratori ebrei erano l’avanguardia dell’esercito proletario in
Russia, il rapporto affermò che gli eventi degli ultimi anni confermavano quell’asserzione: “Insieme
al proletariato polacco, il proletariato ebraico è il più avanzato in Russia in quanto a coscienza di
classe e coscienza politica”133. La consapevolezza e l’orgoglio dei bundisti per quei risultati
differivano marcatamente dalle esitazioni e dalla sudditanza verso i socialdemocratici russi
mostrata nel periodo dei pionieri.
Il Gruppo di Emancipazione del Lavoro fu contrariato per la rappresentanza del Bund al
Congresso dell’Internazionale, così come lo era stato per la raccolta fondi. Akselrod in una lettera
a Lenin del novembre 1900 protestò per il “ridicolo e patetico spettacolo presentato dalla nostra
delegazione di 30 membri, quattro quinti dei quali erano bundisti all’estero, tra cui semplici filistei di
Vilna in fuga dall’obbligo del servizio militare”134. Egli naturalmente esagera; i bundisti insieme
all’Unione all’Estero formavano la maggioranza della delegazione russa, e tale maggioranza votò
per un compromesso nella delicata questione se un socialista dovesse accettare un posto in un
governo borghese, contrariamente ai plechanovisti e ai loro simpatizzanti. Il Bund era motivo di
fastidio per la vecchia guardia plechanovista.
Il conflitto tra il Gruppo per l’Emancipazione del Lavoro e l’Unione all’Estero divenne
sempre più aspro con la fine del secolo. Nel novembre 1898 il Gruppo si dimise dalla redazione del
giornale Rabotnik, condiviso con l’Unione, che cessò le pubblicazioni. Esso fu presto rimpiazzato
dal Raboceie Delo, edito da tre membri dell’Unione: B.N. Krichevsky, V.P.Ivanshin e P.F.Teplov.

130
Miscellanea di Lenin (ed. russa)
131
DYA, dicembre 1899
132
Die Geshikhte fun der yidisher arbeter bevegung in Rusland und Poilen, opuscolo uscito a Ginevra nel marzo 1900
133
ibidem
134
Miscellanea di Lenin (ed. russa)

94
Sempre più contrariati per ciò che consideravano il crescente economismo dell’Unione, i
plechanovisti alla fine la attaccarono apertamente nel marzo 1900.
Il Bund rimase neutrale nel conflitto, nonostante i suoi stretti legami con l’Unione, e non fu
incluso nell’attacco da parte del Gruppo. Privatamente, tuttavia, molti membri del Gruppo
ritenevano che il Bund fosse la forza trainante dietro l’Unione. Nel settembre 1899 la Zasulich
informò Lev Deutsch che il Gruppo si era staccato dall’Unione, il cui nucleo era formato dai “patrioti
della patria di Vilna-Minsk”135, un ovvio riferimento al Bund.
I bundisti non si schierarono apertamente con l’Unione, ma reagirono pubblicamente alle
prese di posizione del Gruppo. Il Vademecum di Plechanov, strumento dell’attacco alla
“deviazione” ideologica dell’Unione, suscitò la reazione dell’Yidisher Arbeter, che criticò Plechanov
per aver reso pubblica quella che in realtà era una questione interna. Per di più, scrisse il giornale,
il vecchio marxista aveva usato metodi scorretti; aveva pubblicato le lettere private di Kopelson, un
bundista, e “gettava fango” su di lui. Plechanov era colpevole di avere infranto la disciplina e
introdotto l’anarchia nel partito. Questo articolo uscì non come documento politico, ma come
informativa corredata di un commento.
I bundisti, consapevoli della propria esperienza e tradizione di organizzazione di massa,
non rilevarono questioni di principio in quella disputa, contrariamente a quanto invece fece
Plechanov. Il Gruppo vide i propri principi messi in discussione e condusse lo scontro con l’Unione
da un punto di vista ideologico. Per il Bund invece la lotta economica era parte del movimento
ebraico e in quanto tale un problema organizzativo e tattico. Dal momento che evidentemente il
conflitto tra i plechanovisti e l’Unione all’Estero era essenzialmente ideologico, l’atteggiamento del
Bund rimase in secondo piano. Le polemiche del Gruppo nei confronti dei bundisti si limitarono
all’ambito privato. Esso trovava il Bund fastidioso ma non ne fece un bersaglio aperto. Kopelson fu
coinvolto nella disputa in quanto membro dell’Unione all’Estero, non del Bund.
Nel corso di questa intensa discussione, un nuovo elemento apparve sulla scena. Diversi
socialdemocratici russi esperti e preparati fecero ritorno dall’esilio in Siberia, pronti ad esporre le
proprie posizioni sull’azione e l’organizzazione rivoluzionaria. I principali tra costoro, Lenin, Martov
e Potresov, avevano seguito a distanza gli sviluppi della socialdemocrazia e avevano riflettuto a
fondo sul proprio ruolo nell’ambito di quest’ultima. Costernati per la disintegrazione del POSDR,
ancora in esilio avevano attaccato con forza la corrente economista nella famosa Protesta del
1899. Prima della fine dell’esilio essi avevano riunito le forze in una sorta di “triumvirato” per
risollevare le sorti del partito.
Lenin iniziò ad esporre i risultati delle proprie riflessioni nel 1899. In una serie di articoli,
allora inediti, egli delineò i requisiti per un “restyling” rivoluzionario della socialdemocrazia in
Russia. Riaffermando il tradizionale assunto marxista della conquista del potere politico da parte
del proletariato seguita dall’edificazione di una società socialista, egli mise al primo posto
l’ottenimento della libertà politica. Per raggiungere tale scopo, ciò che serviva era una macchina
rivoluzionaria disciplinata, insieme a un organo centrale di partito che rendesse i lavoratori
consapevoli dell’importanza del loro lavoro nel partito. Dunque, il compito immediato dei
socialdemocratici russi era unirsi. Essi avevano bisogno di un’organizzazione per svolgere i propri
compiti e di una disciplina basata sul senso di responsabilità.
Al loro rientro i tre dirigenti si dedicarono a tale scopo, e in una dichiarazione scritta nella
primavera del 1900 Lenin affermò che quei tentativi incontravano il favore di diverse organizzazioni
socialdemocratiche, incluso il Gruppo per l’Emancipazione del Lavoro, così come di molti elementi
di spicco nel movimento. Essi ritenevano che il primo passo necessario fosse creare uno
strumento scritto valido nei principi e capace di unire la socialdemocrazia rivoluzionaria. Solo dopo
la creazione di un tale organo e della macchina organizzativa per tenere contatti, fornire
informazioni sul movimento e distribuire il giornale e altro materiale, allora sarebbe stato possibile
compiere un’attività di partito. “Prima di unirci” scrisse Lenin in una dichiarazione per il comitato
redazionale “e allo scopo di poterci unire, dobbiamo per prima cosa tracciare delle linee di
demarcazione”. I nuovi arrivati quindi si candidavano al ruolo di pubblicisti, al pari dei loro padri
ideologici, i plechanovisti. La differenza fondamentale era nella loro determinazione e attenzione
verso le questioni organizzative.
Fino al settembre 1900, quando Lenin scrisse la dichiarazione del comitato redazionale, i
nuovi arrivati si diedero da fare in incontri per acquisire appoggi al proprio progetto. Furono mesi di

135
In Lev Deutsch, Gruppa “Osvobozhdenie Truda”, 6 volumi, Mosca 1924 - 28

95
sondaggi e consultazioni. Lenin prudentemente suggerì che la lotta contro l’economismo non
dovesse significare una rottura definitiva e invitò i socialdemocratici di tutte le correnti a impegnarsi
in una discussione aperta (“polemica tra compagni”) delle proprie divergenze sul nuovo organo,
L’Iskra (La Scintilla).
Nel frattempo i membri del Triumvirato diedero prova di uno spiccato senso pratico. Il loro
arrivo nella Russia europea coincise con un tentativo, da parte dei socialdemocratici di
Ekaterinoslav, dell’Unione all’Estero e del Bund, di ricostituire il Comitato Centrale del POSDR. I
tre respinsero questa idea come prematura, ma non vollero inimicarsi le forti organizzazioni
coinvolte, e sperando di influenzarle concordarono di svolgere incontri di discussione sul tema.
Quando erano ancora in Siberia, i tre avevano accettato di lavorare con il Gruppo per
l’Emancipazione del Lavoro. Nella primavera del 1900 essi e i plechanovisti, che all’epoca avevano
rotto completamente con l’Unione all’Estero, pianificarono di pubblicare due organi, un giornale per
i lavoratori (la futura Iskra) e un giornale teorico, la Zarià (Alba).
Sotto certi aspetti il Triumvirato assunse coi plechanovisti un atteggiamento relativamente
indipendente. Nonostante l’affinità ideologica, il piglio organizzativo dei tre reduci dall’esilio,
unitamente alle differenze di temperamento ed esperienza, portarono a discussioni e dissapori.
Lenin si convinse che se il nuovo giornale voleva mantenere la propria indipendenza doveva
essere sottratto al diretto controllo da parte di Plechanov.
I contatti tra il Bund e il Triumvirato furono limitati. Martov naturalmente era ben noto ai
bundisti. Egli e i membri del primo Comitato Centrale del Bund erano particolarmente legati; era a
lui che questi ultimi si erano rivolti per chiedere dei testi da pubblicare nei primi mesi del 1898,
quando il Bund stava lottando per mantenere in piedi il POSDR dopo la prima ondata di arresti nel
marzo. L’indipendenza e la neutralità del Bund nel dibattito ideologico in corso e la prudenza del
Triumvirato permisero la correttezza delle relazioni tra i due gruppi. Quando Plechanov lanciò un
attacco contro il Bund in una conferenza nell’agosto 1900, definendolo come “un’organizzazione di
sfruttatori che sfruttano i russi, e non un’organizzazione socialdemocratica”, chiedendo alla
conferenza di stabilire che uno degli scopi della nuova organizzazione fosse di “buttare il Bund
fuori dal partito”, Lenin e altri respinsero tali “indecenti parole”136. Plechanov non cambiò opinione,
ma la conferenza non adottò risoluzioni contro il Bund. In questa fase il comportamento dei reduci
dall’esilio fu piuttosto corretto e amichevole nei confronti del Bund.
Quando apparve il primo numero dell’Iskra, nel dicembre 1900, i buoni rapporti erano
ancora evidenti. Martov commentò il movimento ebraico, che aveva fronteggiato l’attacco di
Zubatov nel 1898 e da allora aveva “assunto un carattere apertamente politico”. Predicendo che le
manovre di Zubatov non avrebbero intaccato il nucleo del movimento ebraico, dichiarò che il Bund
aveva già oltrepassato il punto in cui la polizia poteva distruggerlo attraverso le ordinarie misure di
repressione e spionaggio, che invece erano ancora efficienti contro i lavoratori russi137. Plechanov
ebbe da ridire su una tale “glorificazione del Bund” e voleva che l’articolo fosse sostituito per non
fare “pubblicità” al Bund, ma non fu ascoltato.
Anche in Russia le relazioni tra gli iskristi e i bundisti furono buone, se non migliori. Mentre
Lenin era all’estero e organizzava la redazione del nuovo organo, Martov si recò a Poltava per
cercare di allestire praticamente la macchina per distribuirlo. Alla fine del 1900 egli e i suoi seguaci
lavoravano duro per coinvolgere individui e gruppi locali nel progetto. Gli sforzi maggiori furono
compiuti nel sud e a Mosca e Pietrogrado. Nella speranza di potere utilizzare il sistema di
distribuzione del Bund Sergej Cederbaum, fratello di Martov, si recò a Vilna nel 1901 per discutere
la questione. Martov gli aveva detto che il Bund aveva promesso collaborazione. Ma il viaggio non
ebbe successo. Cederbaum potè constatare che solo i dirigenti bundisti sapevano dell’Iskra, e a
dispetto delle dichiarazioni di appoggio non erano particolarmente entusiasti che fosse pubblicata
laggiù.
Dal punto di vista del Bund, la posizione dell’Iskra era foriera di confusione. Il Comitato
Centrale ricevette una lettera di Martov che criticava il recente lavoro del Bund: la focalizzazione
sulla lotta economica anziché su quella politica, la propensione a lavorare nel proprio ambito
invece che per tutte le masse russe. Martov criticava anche la kustanichetsvo, l’attitudine piccolo-
borghese che portava alla pubblicazione di giornali locali138. L’opinione di Martov e del fratello non

136
In Lenin, Opere complete (ed. russa)
137
Iskra, dicembre 1900
138
Pinai Rosenthal, Der Bialystoker period in leben fun Bund, 1921

96
divennero di pubblico dominio ma Portnoy, responsabile organizzativo del Bund in Russia, si
allarmò e fu prudente nel proprio atteggiamento verso il nuovo gruppo dell’Iskra. Kosovsky, che
all’epoca era all’estero, conferma il disagio dei bundisti. Per quanto la politica del nuovo organo
fosse condivisibile, i piani degli iskristi gli sembravano avere inclinazioni dittatoriali139. L’opinione di
Kosovsky, espressa nel 1924, probabilmente contiene una certa dosa di senno di poi. In ogni caso
così stavano le cose quando ebbe luogo il Quarto Congresso del Bund.

Nuovi interventi sulla questione nazionale. La questione nazionale ricevette ulteriore


impulso nel periodo tra il Terzo e il Quarto Congresso. I bundisti cercavano risposte sul futuro della
comunità che ambivano ad influenzare, e iniziarono a studiare un programma plausibile. Alcuni
articoli pubblicati nel 1899 contenevano possibili soluzioni. Uno di questi fu il pezzo di Zithlovsky,
con il suo appoggio all’yiddish quale strumento della cultura ebraica. Un altro fu un articolo sul
Congresso di Brunn del Partito Social Democratico Austriaco, dove si era discusso ampiamente
della questione nazionale. Questi contributi secondo Mill erano troppo poco conosciuti per potere
influenzare il dibattito al Terzo Congresso. Al contrario al Quarto Congresso i risultati di Brunn, con
la linea per cui l’Impero Austro-Ungarico doveva diventare un’unione democratica di nazioni, con
garanzia di uguale status per le lingue e riconoscimento dell’esistenza di un’indipendenza
nazionale a prescindere dal territorio, erano abbastanza noti ai delegati da permettere profonde
discussioni. Sebbene gli austriaci non si fossero occupati nello specifico della situazione degli
ebrei, Mill e altri bundisti trassero ispirazione da quei dibattiti. L’indebolimento del principio di
identificazione territoriale e l’enfasi sulla cultura, divennero chiavi fondamentali per definire una
soluzione della questione nazionale; l’uguaglianza delle culture nazionali prometteva la fine di
quell’eterno senso di essere ospiti patito dagli ebrei.
Nonostante la decisione del Terzo Congresso di aprire gli organi del Bund alla discussione
sul tema dei diritti nazionali, articoli sull’argomento non iniziarono ad apparire fin verso l’epoca del
Quarto Congresso. Anche allora essi non furono considerati importanti. Nessuno dei vecchi
dirigenti, né in Russia né all’estero, si pronunciò sull’argomento pubblicamente. Tuttavia quando il
Quarto Congresso si riunì e la questione nazionale fu posta all’assemblea, il Bund era pronto ad
accettare il principio dell’autonomia nazionale.
Dunque alcuni principi con fondamentali implicazioni per il futuro degli ebrei furono prese
durante questo periodo di transizione. I pionieri, con il loro forte senso di sicurezza e coesione e
l’abitudine a trattare tra di loro di questioni interne, non erano pronti ad affrontare pubblicamente
un argomento così importante. Il Terzo Congresso, con il suo dibattito sulla questione nazionale,
fece eccezione per la prima volta. Allo stesso tempo molti di questi stessi pionieri non ebbero
difficoltà a colmare la distanza dall’uguaglianza dei diritti civili all’autonomia nazionale tra il Terzo e
il Quarto Congresso senza un’ulteriore discussione aperta. Sebbene forse Mill esageri la facilità
con cui il cambiamento ebbe luogo, le sue osservazioni da questo punto di vista hanno un certo
peso: “Si poteva sentire e vedere che le nuove tendenze avevano già vinto, e che il Bund era per
cambiare il proprio programma a proposito della questione ebraica. Che senso aveva allora
sprecare parole per convincere i bundisti di qualcosa di cui erano già convinti?”140. Le condizioni
degli ebrei in Russia, le loro aspirazioni, e le loro relazioni con proletari loro vicini erano più
convincenti di qualsiasi discussione, conclude Mill. Lo stesso Kremer a quanto pare non partecipò
al Quarto Congresso, ritenendo che le risoluzioni di quest’ultimo avrebbero semplicemente ripreso
le precedenti discussioni tra il Comitato Centrale e i comitati locali.
In tutte le occasioni i dirigenti erano chiaramente interessati agli aspetti nazionali della vita
ebraica, anche se non scelsero di fare pubblicazioni sull’argomento. Kremer, scrivendo a Leon
Bernstein da Ginevra nel 1900, dichiarò che “sarebbe molto importante parlare delle scuole
yiddish”. Dieci anni prima probabilmente egli non avrebbe concepito di prendere questa posizione
culturalista; le scuole yiddish non significavano altro che l’accettazione degli ebrei in quanto
nazione con un futuro. Rosenthal, Portnoy e qualche volta Zeldov, sebbene non sempre d’accordo,
erano abbastanza consapevoli del cambiamento di clima sulla questione nazionale e accettarono
che il Bund prendesse posizione sul tema nel proprio programma.
Più dei veterani furono le nuove leve, una nascente seconda generazione di bundisti, ad
essere coinvolti nell’argomento. Tra di loro vi fu Benzion Hofman, per sua stessa ammissione

139
Vladimir Kosovsky, Martov und die Russishe Sotsial-Demokratie, 1924
140
Joseph Mill, Pionern un boier, 2 voll., 1946 - 49

97
bundista solo dal 1901, che scrisse uno dei primissimi articoli sulla questione sull’Yidisher Arbeter.
Un altro fu il giovane fratello di Leon Goldman, Mikhel (Mark Liber), che contribuì alla piattaforma
di discussione sul tema redatta a Berna nel 1900. Al Quarto Congresso l’anno successivo egli fu
uno dei più decisi difensori dei diritti nazionali.
Gli studenti ebrei all’estero, in particolare il cosiddetto Gruppo di Berna, furono fautori della
crescente importanza delle discussioni sull’yiddish e l’ebraismo. Dall’autunno del 1900 Mill aveva
ottenuto un crescente appoggio all’Yidisher Arbeter da parte degli studenti di Berna. Attratti dal
Bund e incaricati di scrivere e tradurre articoli in yiddish, essi gradualmente presero coscienza dei
problemi della vita ebraica e del movimento ebraico. Fu la crescita del Bund in Russia che rese
molti studenti ebrei russi all’estero consapevoli dei problemi della loro comunità in patria.
L’impulso a identificare il Bund come un partito nazionale fu più forte all’estero che in
Russia. L’enfasi sull’identificazione ideologica e il dibattito tra gli emigrati fecero sì che laggiù le
linee di demarcazione politica fossero più nette. Il Centro Estero del Bund continuò a differire
sostanzialmente dagli altri gruppi rivoluzionari russi all’estero per il fatto che come prima cosa
sosteneva la propria organizzazione gemella in patria. L’autosufficienza del Bund contribuì
all’isolamento dell’’organizzazione, e il crescente dibattito ideologico all’estero accentuò questo
status. Scrivendo a Leon Bernstein a Parigi nel novembre 1900, Kremer affermò: “Qui ci sono da
una parte gli ebrei russi più nazionalisti e sionisti, dall’altra i più assimilati, che non ne vogliono
sapere del Bund e anzi lo vedono male”141. Kremer chiedeva aiuto a Bernstein, rimproverandogli
l’eccessiva dedizione all’Unione all’Estero e l’attenzione insufficiente al Bund.
Senza volerlo, nonostante la cooperazione tra il Bund e gli altri gruppi socialdemocratici
durante tutti questi anni, le differenze crebbero. Come dice Kursky: “Nel POSDR vi fu un aspro
conflitto tra le correnti, tra gruppi che si contendevano la leadership. Fu in questa atmosfera che si
produsse l’isolamento del Bund…Noi di fatto diventammo un partito separato. Ci abituammo a ciò,
sviluppando una psicologia del noi – loro”142. L’isolamento pratico del lavoro culturale del Bund e la
separazione delle nazionalità in Russia si combinarono con il crescente isolamento ideologico e
organizzativo all’estero. Fu un processo che riguardò l’intera comunità rivoluzionaria russa, non
soltanto il Bund.
Di fronte alla sua indipendenza di fatto e ai compiti separati, il Centro Estero svolse un
importante ruolo nello spingere l’organizzazione madre a un’ulteriore definizione. Ma anche il
conflitto in Russia spinse il Bund in tale direzione. Il Bund stava diventando nel contempo sempre
più politico, sempre più complesso, sempre più autosufficiente. Iniziando a definirsi più
precisamente in termini ideologici e organizzativi, esso si mosse sempre più verso la
trasformazione in partito operaio decisamente ebraico.

141
Arkady Kremer, Arkady: Zamlbukh tsum andenk fun Arkady Kremer, 1942
142
Franz Kursky, Gezamelte Schriftn, 1952

98
12. LA POLITICIZZAZIONE DEL BUND, 1901 - 1903

Gli scioperi di difesa. I guai economici degli ebrei pesarono sempre più sul Bund nei primi
anni del XX secolo. Le piccole manifatture erano sempre più penalizzate dalla meccanizzazione
delle fabbriche, e i datori di lavoro non potevano concedere migliori condizioni ai lavoratori. In tali
circostanze, la lotta economica era condannata all’inefficacia. Il problema di come migliorare la
situazione economica dei lavoratori senza mettere a repentaglio i loro impieghi afflisse il Bund sin
dal Secondo Congresso.
IL Quarto Congresso, come il Secondo, stabilì che in alcuni settori “il miglioramento
economico…non può aversi nelle attuali condizioni di produzione”143. Esso cercò di mettere in
discussione la validità di una lotta economica che richiedeva grande sforzo e conduceva a scarsi
risultati. Fu deciso che gli scioperi venissero diminuiti dove non era più possibile ottenere delle
migliorie, e promossi nelle industrie in cui il movimento non era ancora presente. Gli scioperi
dovevano essere incoraggiati e sostenuti a tutti i costi laddove le vecchie conquiste erano sotto
attacco.
In termini di principi tattici, i cambiamenti sanciti dal congresso furono lievi. Lo sciopero
come tale non fu criticato. “Nessuno ebbe dubbi” dichiararono i delegati nel loro resoconto
“sull’enorme significato degli scioperi per il miglioramento delle condizioni economiche dei
lavoratori e per la loro coscienza ed educazione di classe”144. Ciononostante, distinguendo tra
scioperi utili e inutili il congresso rimosse l’aura di valore universale che lo sciopero aveva avuto a
partire dalla metà degli anni ’90, e che ancora aveva per alcuni lavoratori. La risoluzione del
congresso andò oltre, suggerendo che in alcuni casi gli scioperi avevano raggiunto il loro scopo:
svegliare la coscienza di classe e politica e spingere i lavoratori nel movimento.
Il movimento degli scioperi seguì questa nuova direzione nei mesi successivi al congresso.
La lotta economica si intensificò nelle aree di minore radicamento. Lavoratori locali con l’aiuto di
quadri provenienti dalle città più grandi prepararono l’offensiva nei centri minori. I lavoratori ebrei
della regione baltica, sebbene al di fuori della Zona e quindi a rischio di espulsione, iniziarono a
mobilitarsi. In aree in cui il movimento era ben radicato aumentarono gli scioperi di difesa.
Con tutte le difficoltà imposte dalla cattiva situazione economica e con l’applicazione della
nuova linea, il movimento degli scioperi continuò a registrare delle vittorie. Il rapporto del Bund al
Secondo Congresso del POSDR (svoltosi nel luglio - agosto 1903) mostrò consistenti risultati nel
periodo tra il Quarto e il Quinto Congresso del Bund. Dal giugno 1903 si erano contati 172 scioperi,
dei quali si conosceva l’esito di 95. Di questi, 80 erano considerati vittoriosi, 12 sconfitti e 3 di esito
parziale. La percentuale di successo era quasi del 90%. D’altra parte emerse la nota dolente che i
lavoratori coinvolti erano stati meno di 7.000: 4.745 negli 80 scioperi vittoriosi e 1.760 nei 12 falliti. I
dati presentati furono molto deludenti, considerando che il Bund, che contava solo circa 5.600
iscritti nel 1900, aveva circa 30.000 membri alla metà del 1903. Il Bund non aveva avuto buon
gioco nel coinvolgere i lavoratori negli scioperi.
I limiti posti alla lotta economica ebbero degli effetti sull’organizzazione del Bund. Il
Secondo Congresso si era occupato, seppure senza prendere decisioni, dei limiti del kase; e il
Terzo Congresso aveva sviluppato l’argomento, mettendo in discussione la validità di un
organismo che da un lato metteva insieme dei lavoratori, ma dall’altro li divideva dai lavoratori non
iscritti ai kase. Ma alla fine anche il Terzo Congresso non prese decisioni in merito. Non fu
“raggiunto un accordo unanime per opporsi ai kase in tutti i settori e tutte le città”145.
Il Quarto Congresso non si occupò del problema dei kase nello specifico. Con la lotta
economica che sembrava promettere minore efficacia, esso cercò di volgere il movimento
all’azione politica. Dal punto di vista pratico il tentativo di separare la lotta economica e quella
politica non fu un passaggio radicale. La lotta economica era ancora considerata una tattica

143
Resoconto del Quarto Congresso, Ginevra 1901
144
ibidem
145
DAS, marzo 1900

99
legittima per attirare le masse nel movimento. Ciò che il congresso fece effettivamente fu
dissociarsi da un’interpetazione rigida della linea rivoluzionaria contenuta in Sull’agitazione (che in
ogni caso non era stata una guida rigorosa dello sviluppo del Bund). La sua risoluzione sulla lotta
politica affermò che “non c’è necessità di condurre l’agitazione politica esclusivamente a partire
dall’agitazione economica”146.
Il congresso fece altri passi in questa direzione, non solo definendo dei criteri politici di
appartenenza al Bund ma anche stabilendo di “dedicare attenzione a un maggiore sviluppo di kase
politici”147. Le scelte tattiche furono mutate per favorire l’azione politica: le manifestazioni furono
indicate come i principali atti di azione politica; l’agitazione, sia orale che scritta, doveva essere
centrata su temi politici; e gli organi locali dovevano trattare politicamente gli eventi laddove
possibile. Infine, tutti i membri dovevano studiare le istituzioni governative e sociali e le loro
carenze.

Lo YUAP e i sionisti infiltrati dalla polizia. Un altro avvenimento in questo periodo


accelerò lo sviluppo del Bund come partito politico. Si trattò della creazione del Partito Operaio
Ebraico Indipendente (Yidisher Unabhengike Arbeter Partai, YUAP o Indipendenti), avvenuta a
Minsk nel luglio 1901. La nuova organizzazione offriva un punto di riferimento per i vari elementi
ostili al Bund.
Il Comitato di Minsk del Bund aveva ben presente che il movimento in città era dilaniato
dalle discussioni sulla tattica e sulla democrazia interna. In giugno, alla vigilia della scissione
definitiva, Der Minsker Arbeter avvertì i lavoratori del pericolo imminente e cercò di porre l’accento
sulla mano dello stato nella disintegrazione dei movimenti economici nella città. Esso si concentrò
in particolare sulle azioni del capo della polizia di Minsk, il colonnello Vasiliev, il quale a seguito di
un incontro con Zubatov nell’aprile del 1900 iniziò ad assumere un atteggiamento amichevole
verso i lavoratori ebrei. Egli aveva già permesso agli impiegati di riunirsi liberamente e di formare
un comitato; per di più aveva scritto un messaggio in occasione di uno dei loro incontri,
presentandosi come il loro protettore. Tutto ciò, diceva l’organo del Bund, era prova che lo stato
temeva a tal punto il movimento rivoluzionario da essere disposto a usare tattiche morbide per
distruggerlo. Ma l’immagine dello stato protettore non era credibile; il regime come tale sarebbe
sempre stato nemico dei lavoratori e se avesse potuto avrebbe cancellato tutto ciò per cui essi
avevano combattuto.
I leader dello YUAP erano ex prigionieri di Zubatov e altri che per proprio conto erano giunti
alle medesime posizioni: Wilbushevich, Chemerisky, Volin e Joseph Goldberg, un sionista
laburista. Fu Goldberg che scrisse la piattaforma politica del partito, che fu distribuita sottoforma di
foglio ciclostilato.
Gli Indipendenti imputarono al movimento di Minsk di avere serie carenze. Nessuna teoria
era così indubbiamente corretta, affermò la loro piattaforma, da poter condurre i lavoratori verso
obiettivi per loro incomprensibili. Ciò che le masse ebraiche volevano era pane e istruzione; era un
crimine mettere a repentaglio questi obiettivi per perseguire obiettivi politici che erano estranei alle
masse. Il lavoratore ebreo aveva il diritto di difendere i propri interessi economici e culturali senza
riferirsi a questioni politiche, e quelli dovevano essere gli unici scopi della nuova organizzazione.
In base a tali assunti e all’assunto che il Bund era un partito politico, gli Indipendenti
affermarono che le organizzazioni economiche del Bund erano un’anomalia. Il Bund usava l’azione
economica per uno scopo, per radicalizzare le masse, e così trascurava molte attività che
potevano arrecare benefici ai lavoratori. Esso chiudeva le porte ai lavoratori che non avevano le
sue stesse idee, e ne spaventava altri a causa della sua fama di organizzazione politica. Il Bund
effettivamente aveva svolto un importante ruolo nello sviluppare uno spirito di insoddisfazione tra
le masse. Ciononostante, la sua posizione ideologica soffocava le masse, e la sua posizione
politica rendeva impossibile l’attività economica e culturale, dicevano gli Indipendenti.
Lo YUAP aveva altri obiettivi. Esso si sarebbe impegnato a migliorare il livello materiale e
culturale del proletariato ebraico, e a tale scopo avrebbe creato sindacati e circoli, legali se
possibile, illegali se necessario. Esso si sarebbe occupato di questioni politiche soltanto se queste
avessero toccato gli interessi particolari dei lavoratori. Esso avrebbe riunito i lavoratori
indipendentemente dalle opinioni politiche, con un autogoverno democratico.

146
Resoconto del Quarto Congresso, Ginevra 1901
147
ibidem

100
Sia il Comitato di Minsk che il Comitato Centrale del Bund risposero al nuovo attacco. Il
Comitato Centrale ribadì che il programma dello YUAP e le tattiche della polizia di Zubatov e
Vasiliev erano praticamente sinonimi, sebbene non si spinse ad affermare che lo YUAP avesse
connessioni dirette con la polizia segreta. Inoltre, affermò il Comitato Centrale, vi era una grave
omissione nel programma dello YUAP: gli Indipendenti non criticavano il sistema capitalistico, che
accresceva la miseria della classe operaia. Infine, il consenso della polizia al lavoro di propaganda
culturale significava in ultima analisi il controllo della polizia sulla propaganda stessa. Che partito
era quello che provava ad affrontare i problemi di concerto con l’autocrazia?
Il Comitato di Minsk inoltre criticò l’obiettivo di ottenere conquiste economiche senza scopi
politici. Ogni conquista nella lotta economica era stata trattata come un crimine politico. Gli
Indipendenti facevano forse affidamento sul governo, i cui interessi erano all’opposto dei loro? I
lavoratori avevano forse bisogno di Vasiliev? A proposito dell’osservazione che tutti gli iscritti del
Bund dovevano essere socialdemocratici, lo YUAP si aspettava forse che il Bund rendesse i propri
membri sionisti? Cosa avrebbe fatto lo YUAP se elementi di varie posizioni politiche si fossero uniti
ad esso e avessero provato a portarlo sulle proprie posizioni? Il programma dello YUAP non lo
avrebbe permesso, concludevano i bundisti. Solo il rovesciamento dello stato autocratico poteva
portare a una vera liberazione. Allora la società socialista, l’ideale più alto, sarebbe stata
realizzata.
Per coloro che non erano d’accordo alla base con la rivoluzione politica o il socialismo, le
argomentazioni del Bund furono insignificanti. Lo YUAP acquisì parecchi seguaci, e a Minsk ebbe
forse più membri del Bund. Ma se gli avversari del Bund non potevano essere smossi da
argomenti ideologici, essi erano vulnerabili sul piano pratico. Il successo dello YUAP dipendeva
dalla sua capacità di ottenere risultati. Il governo avrebbe davvero permesso sindacati e scioperi
legali? In caso contrario, l’inevitabile repressione delle proteste economiche non avrebbe dunque
rivelato la validità della posizione del Bund? La linea di Zubatov era caratterizzata da trame
complicate e applicazione incostante, e gli Indipendenti non potevano influenzarla. Lo YUAP
dipendeva in tutto e per tutto da tale linea. Se Zubatov avesse fallito, lo YUAP sarebbe stato in una
posizione assai difficile.
Gli Indipendenti erano vulnerabili anche agli attacchi dal punto di vista morale. Perché
Zubatov era così interessato ai lavoratori ebrei in particolare? Lavorare con la polizia contro altri
lavoratori era spesso umiliante, anche per gli avversari del Bund, e molti non si prestarono a
servire come provocatori o informatori. La disponibilità degli Indipendenti a indulgere in pratiche
come l’inganno o la provocazione li espose alle critiche. I bundisti insistettero molto su questo
punto nell’agitazione tra i lavoratori, facendone l’arma migliore tra le poche a loro disposizione.
Il governo non sanzionò mai legalmente lo YUAP. La polizia di Minsk diede agli
Indipendenti il permesso di organizzare assemblee e circoli di discussione. Furono permessi i
discorsi degli oratori, ma fu loro vietato di parlare di politica. Queste conferenze furono molto
partecipate negli anni 1901 e 1902. Lo stesso colonnello Vasiliev partecipò a questi incontri
diverse volte; e la polizia sostenne alcuni scioperi. I datori di lavoro, consci del mutato
atteggiamento di Vasiliev, talvolta si videro costretti a fare concessioni che non avrebbero messo
in conto altrimenti.
Il conflitto a Minsk si inasprì col passare del tempo. Nell’ottobre del 1901 uno degli
informatori di Zubatov riferì di tentativi del Bund di spiare gli Indipendenti e di scoprire le loro
intenzioni. Un altro descrisse le tecniche di sabotaggio del Bund: far sparire i biglietti per le
iniziative dello YUAP, spargere la voce che i venditori di biglietti erano agenti della polizia, e
convocare assemblee in concomitanza con quelle dello YUAP. I bundisti avevano anche cercato di
aggredirlo fisicamente, riferì costui.
Lo relazioni tra le due organizzazioni raggiunsero il punto più basso nel 1902. L’arresto di
alcuni bundisti fece emergere il sospetto della provocazione. Gli Indipendenti furono accusati di
avere rivelato l’identità di membri del Bund, e i bundisti furono avvertiti di migliorare le precauzioni.
In marzo il Comitato di Minsk pubblicò un volantino che condannava qualunque tipo di rapporto
con gli Indipendenti. Notando l’atmosfera di “depravazione politica” creata dallo YUAP, il Bund
chiedeva a “tutte le persone rispettabili” di rompere con esso. Per i membri del Bund le istruzioni
del volantino erano “assolutamente vincolanti”; l’infrazione avrebbe comportato “l’immediata

101
esclusione dalla nostra organizzazione”148. Altri gruppi rivoluzionari a Minsk appoggiarono
ufficialmente la posizione del Bund.
Soddisfatti del lavoro a Minsk, i dirigenti dello YUAP decisero di provare a creare una
sezione a Vilna. Organizzare l’attività laggiù avrebbe aumentato le probabilità di riconoscimento
ufficiale, pensavano; sarebbero stati nella posizione di presentarsi al governo come un fait
accompli. Pochi lavoratori organizzati in un centro grande come Vilna sarebbero stati più importanti
di molti organizzati in piccoli centri.
L’arrivo dello YUAP a Vilna coincise con l’estate 1902, dopo una serie di sollevazioni
culminate con l’attentato al governatore della città e con l’impiccagione del suo aspirante
esecutore, Hirsh Lekert. Il Bund e l’intera città erano in fermento. Lo YUAP, vedendo la possibilità
di sfruttare gli eventi, si presentò come un rifugio per i lavoratori che volevano organizzarsi ma
senza agire contro il governo. Combattere lo stato, dicevano i nuovi arrivati, avrebbe portato a un
solo risultato: il fallimento; la loro strada, la lotta economica, avrebbe mostrato al governo che era
giunto il momento di ascoltare le richieste dei lavoratori. Dunque non fu solo il precedente
successo dello YUAP, ma anche la sua volontà di approfittare del difficile momento dei
rivoluzionari di Vilna che lo spinse in quella città.
Ma lo YUAP trovò i lavoratori di Vilna molto più restii a seguire il suo programma rispetto a
quelli di Minsk. Sebbene le stesse questioni dividessero gli intellettuali dai lavoratori della città,
queste erano state ampiamente ricomposte dai successi del Bund nel corso degli anni, lasciando
poco terreno fertile per lo YUAP. (Per questa ragione anche i sionisti all’epoca avevano meno
successo a Vilna rispetto a Minsk).
L’esperienza di Minsk fu utile ai bundisti di Vilna, che risposero all’attacco immediatamente.
In un volantino accusarono lo YUAP di aver pianificato l’arrivo a Vilna per sfruttare un momento in
cui il terreno era ancora intriso di sangue. Gli Indipendenti non dovevano essere trattati come
nemici ideologici, come i sionisti e i liberali; i loro legami con la polizia li privavano del diritto di
essere considerati avversari leali. La parola d’ordine del volantino era boicottaggio, e l’accusa di
“prostituzione politica” la giustificazione di tale azione.
Gli Indipendenti continuarono a lavorare con successo a Minsk durante il 1902 e nei primi
mesi del 1903, ma trovarono crescenti difficoltà a Vilna. In un rapporto a Zubatov sugli sviluppi
nella città, la Wilbushevich riportò che grazie alla repressione statale, che aveva indebolito lo
spirito rivoluzionario, i seguaci dello YUAP critcavano il Bund nelle sue stesse assemblee.
Chemerisky, che andò a Vilna per dirigere l’attività dello YUAP, rilevò la durezza del boicottaggio
del Bund. Anche i sionisti erano meno collaborativi che altrove, scrisse, apparentemente perché
vedevano lo YUAP come un concorrente.
Le condizioni a Vilna e gli sforzi del Bund ebbero la meglio sullo YUAP. Nel febbraio 1903
esso abbandonò i propri sforzi organizzativi, annunciando la decisione in un volantino. Gli
Indipendenti scrissero che gli insulti e le bugie del Bund non li spaventavano, ma lo stato di
generale ignoranza e conservatorismo delle masse nella città non lasciava loro scelta. Il Bund
aveva convinto le masse a evitare lo YUAP, e aveva gettato tanto fango sull’organizzazione che
questa era costretta a difendere se stessa. Poiché lo scopo dello YUAP era adempiere al proprio
programma, e non combattere il Bund, aveva deciso di interrompere il lavoro a Vilna e di impiegare
le proprie energie in maniera più utile altrove, dove poteva fare di più per la classe operaia.
La posizione degli Indipendenti a Minsk iniziò a sua volta a indebolirsi nel 1903. Già un
anno prima il Bund aveva rilevato un calo nella partecipazione alle assemblee dello YUAP, ma il
suo ottimismo fu prematuro. Lo YUAP non fu emarginato così facilmente; la sua scomparsa
avvenne lentamente e fu dovuta ad altri fattori oltre all’opposizione del Bund. In primo luogo, il
sostegno della polizia non fu incondizionato. La linea di Zubatov non era pienamente condivisa dal
governo, e vari alti funzionari iniziarono ad opporsi alle iniziative di Vasiliev considerandole una
minaccia alla propria condizione. In ciò i datori di lavoro trovarono un’arma con cui resistere agli
Indipendenti. Inoltre, l’ampia disoccupazione nel 1902 e 1903 portò a una serie di defezioni dallo
YUAP, così come nei kase del Bund. Lo YUAP fu molto più colpito del Bund a causa della
maggiore enfasi sul fattore economico. Mentre offriva delle attrattive in un periodo di ampia
occupazione per i lavoratori anziani e per coloro che cercavano migliori condizioni senza il rischio

148
Riportato in Posledniia izvestiia (notiziario in russo del Bund uscito a Londra e Ginevra tra il 1901 e il 1906), aprile
1902

102
di repressione, lo YUAP aveva ben poco da offrire in una fase di disoccupazione, e molti lo
lasciarono.
Il colpo di grazia alle speranze dello YUAP giunse nella primavera - estate del 1903. Un
brutale pogrom a Kishinev in aprile aumentò i sentimenti anti-governativi e la consapevolezza tra
gli ebrei verso nuove prospettive. Di lì a poco Zubatov, che ancora perseguiva il sogno di
legalizzare sindacati e scioperi, vide la propria posizione distrutta quando le agitazioni e gli scioperi
a Odessa, promosse dagli Indipendenti e da lui sostenute, andarono fuori controllo. Per il ministro
degli interni Plehve questa fu l’ultima goccia, e il sostegno della polizia allo YUAP cessò.
Con il cambiamento di linea del governo, lo YUAP fu privato del suo unico grande
vantaggio. Le sue speranze di legalizzazione svanirono e il partito si sfaldò. Nel luglio 1903 lo
YUAP diramò una dichiarazione in cui rendeva pubblica la decisione di interrompere la propria
attività in quanto non poteva più operare alla luce del sole. Poiché nelle attuali condizioni era
impossibile usare anche “libertà” semi-legali, lo YUAP sarebbe stato costretto a tornare a metodi
cospirativi, il che avrebbe reso difficile distinguere tra le sue attività e quelle di altri gruppi
rivoluzionari. La dichiarazione dello YUAP si soffermò anche sulla repressione governativa nei
confronti di tutti i movimenti sociali ebraici, osservando che l’uso di metodi cospirativi avrebbe dato
allo stato il pretesto per lanciare ulteriori accuse agli “eretici” ebrei. Il governo stesso aveva
cancellato tutte le speranze di miglioramento delle condizioni dei lavoratori.
Il Bund accolse con gioia la disfatta dei propri nemici. Sottolineò il fatto con un opuscolo e
un articolo, definendo “suicidio” la fine dello YUAP. I bundisti insistettero nel rimarcare che lo
scioglimento di quel partito li avvantaggiava, e confrontarono la propria ripresa con la recente
flessione degli Indipendenti, che avevano iniziato a perdere terreno nonostante il sostegno della
polizia. La socialdemocrazia, affermò il Bund, aveva vinto tra i lavoratori ebrei, poiché essa era in
vita mentre il movimento che si era fondato sull’ordine politico vigente era morto, condannato sin
dalla nascita.
Nonostante la caduta finale, lo YUAP svolse un’importante funzione nell’influenzare la
storia del Bund. La sua attività, insieme a quella della polizia, accelerò la politicizzazione del Bund,
in corso a partire dal Quarto Congresso. Inoltre, agli occhi di una larga parte delle masse lavoratrici
ebraiche la fine degli Indipendenti fu la fine del tradeunionismo “puro e semplice”. Molti lavoratori si
orientarono al campo politico, o bundista o sionista, e la linea tra l’attività economica e quella
politica divenne più marcata, a vantaggio di quest’ultima. La strada della politicizzazione fu
spianata e il Bund fu pronto a percorrerla secondo i propri scopi.
Vi fu un altro elemento del conflitto con lo YUAP, specialmente a Minsk, che rivestì un
significato politico per il Bund: la simpatia di alcuni sionisti laburisti per lo YUAP. Zubatov si era
presto reso conto che il sionismo poteva giovargli. Nel 1900 confidò ai suoi superiori che molti
ebrei, pensando di non avere nulla da guadagnare dalla rivoluzione, stavano abbandonando la
politica russa per abbracciare un ideale nazionale. Questo fermento entro la comunità ebraica era
utile alla polizia, suggerì. Un’eccessiva interferenza dall’esterno, come la repressione poliziesca,
avrebbe soltanto aiutato i rivoluzionari. Una convergenza di scopi portò il sionismo laburista e
Zubatov in una relazione triangolare con lo YUAP.
Nel 1901 il sionismo laburista nelle roccaforti del Bund contava ancora soltanto pochi
circoli. Nel novembre di quell’anno i suoi aderenti tennero un incontro a Minsk, il centro propulsore
da cui la corrente si diffuse a Bobruisk, Grodno, Bialystok, Borisov e in una qual misura Vilna.
L’antagonismo col Bund fu uno dei temi discussi all’incontro. “Congratulatevi con me per una
grande vittoria che non mi aspettavo così presto” scrisse successivamente Mania Wilbushevich
(probabilmente l’autrice dei pochi resoconti che abbiamo sull’incontro) a Zubatov. “Il congresso dei
sionisti ha deciso di combattere il Bund…Ora tutti i sionisti sono nostri alleati. Rimane solo da
decidere come fare uso dei loro servigi”149.
A Minsk il sionismo laburista scoprì un’affinità ideologica con lo YUAP. I sionisti non si
opposero al miglioramento delle condizioni economiche, nella misura in cui ciò non ostacolava i
loro propri obiettivi. All’inizio del 1903 una pubblicazione sionista laburista a Minsk affermò: “Noi
non chiediamo che gli interessi quotidiani vengano sacrificati; ognuno può avere la propria
opinione sulla religione e altre questioni. Chiediamo soltanto l’unità delle masse operaie ebraiche
nel contribuire alla realizzazione del grande e sacro ideale sionista”150. Questa nuova linea dei

149
S.Piontkovsky, Novoe o Zubatovschine, 1922
150
Der Arbeter Zionist, 1903

103
sionisti non era in contraddizione con lo YUAP, anche se alcuni di loro consideravano la lotta
economica come un debole palliativo per i guai dei lavoratori ebrei. Quando lo YUAP si sciolse,
molti degli Indipendenti si volsero al sionismo laburista, indice della forte affinità tra i due gruppi e
della riluttanza di entrambi a intraprendere un’attività politica in Russia.
Gli accordi dei sionisti con Zubatov sono più difficili da accertare. I bundisti giustamente
sottolinearono l’intenzione di Zubatov di fare uso dei sionisti, e si diedero da fare per rendere
pubblica questa intenzione. Dopo l’incontro sionista laburista del novembre 1901, il Bund lì additò
quali amici borghesi dei lavoratori, e rimarcò i loro legami con gli Indipendenti. Nell’estate del 1902
Mania Wilbushevich usò la propria influenza per convincere le autorità a permettere ai sionisti
laburisti di tutte le correnti di tenere un congresso a Minsk. Da allora in avanti il Bund cominciò a
criticare i sionisti con la stessa veemenza usata contro lo YUAP, denunciando le loro complicità e i
legami tra la leader YUAP Wilbushevich e la polizia. Alla fine alcuni sionisti si rifiutarono di avere a
che fare con lo YUAP o con un’attività appoggiata dalla polizia.
Il distacco dei sionisti laburisti dagli obiettivi politici in Russia e (almeno a Minsk) il parziale
sostegno di questi allo YUAP spinsero i bundisti ad un maggiore attivismo politico. Per competere
con il sionismo laburista, essi dovettero inserire la promessa di un futuro socialista nella propria
azione politica.

Il dibattito sulla violenza politica. Un altro fattore determinò l’intensificazione dell’attività


politica da parte del Bund. La violenza, da parte dei lavoratori e da parte dello stato, era diventata
un grosso problema, che dal punto di vista del Bund richiedeva soluzioni politiche. L’uso del
terrorismo da parte dei lavoratori, sebbene a lungo criticato dal Bund, non era mai venuto meno. Il
Quarto Congresso convenne senza discussioni che tali tattiche indebolivano la coscienza
socialdemocratica; ma non era così chiaro come contrastarle. Alcuni dissero che il Bund doveva
combattere apertamente il terrorismo economico; altri ritenevano che l’organizzazione dovesse
rimanere passiva, affermando che senza la tattica del terrore alcuni scioperi avrebbero perso, e
che in ogni caso gli stessi lavoratori consideravano tale tattica necessaria. Alla fine il congresso
decise di respingere inequivocabilmente il terrorismo come tattica.
Il Quarto Congresso si occupò anche della violenza poliziesca. Questo era un tema molto
sentito, poiché andava al cuore della raison d’etre del Bund. Nel corso degli anni il Bund si era
molto impegnato – e con un certo successo – nel trasmettere un senso di dignità e valore umano
nel lavoratore ebreo vessato, cosicchè esso fosse indotto a ribellarsi. Di conseguenza, molti
militanti delle organizzazioni locali sentivano che la vendetta era la sola strada per salvare l’onore
dei compagni percossi dalla polizia. Una volta sobillati, questi lavoratori non potevano essere
persuasi nel nome di una superiore coscienza o principio socialdemocratico; non erano disposti a
sottomettersi a una disciplina restrittiva che tagliasse loro le mani.
Questa questione a quanto pare generò un acceso dibattito al Quarto Congresso, con
alcuni delegati che sostennero che la violenza poliziesca andava ripagata allo stesso modo. La
loro linea non passò. Nella sua risoluzione finale il congresso raccomandò che alla brutalità si
rispondesse con mezzi legali. Il congresso raccomandò anche l’uso delle forme di protesta definite
– l’agitazione in ogni occasione e le manifestazioni in alcune circostanze – per esprimere
l’indignazione dei rivoluzionari e per svegliare le coscienze.
La questione del terrorismo politico come tattica sorse durante la discussione congressuale
sulla lotta politica. Furono esposti tre punti di vista. Alcuni delegati inequivocabilmente rifiutarono
qualunque tipo di terrorismo in quanto dannoso per il movimento; esso poteva soltanto aumentare
la repressione e rallentare la crescita del movimento. Altri sostennero che il terrore non violasse i
principi socialdemocratici ma dovesse essere praticato soltanto da piccoli gruppi che agivano
autonomamente. Altri ancora accettarono il terrorismo come autodifesa, ad esempio contro i
provocatori, distinguendolo dal terrorismo politico teso a ottenere concessioni politiche dal
governo. A differenza del terrorismo politico, il terrorismo a scopo difensivo non richiedeva
un’organizzazione permanente e poteva essere portato avanti da singoli, a proprio rischio e
pericolo. Alla fine il congresso stabilì che “Non è affare delle organizzazioni il ricorso al terrorismo
difensivo”151. Il terrorismo politico offensivo fu respinto in quanto inopportuno.
Pur mantenendo formalmente la posizione del precedenti congressi, il Quarto Congresso
mostrò una certa riluttanza a proibire completamente ogni uso della forza da parte di chiunque nel

151
Resoconto del Quarto Congresso, Ginevra 1901

104
Bund. L’enfasi della risoluzione sulla parola “organizzazioni” sembra essere stata usata per
accontentare quei delegati che sentivano fortemente che la difesa dell’onore era una ragione
legittima per la violenza. Implicitamente la risoluzione sollevava il Bund dalla responsabilità
ufficiale di atti di violenza, lasciando la decisione come questione privata.
Il tema della violenza si pose anche nelle decisioni sulle manifestazioni. Nell’incoraggiare le
manifestazioni, il congresso riconobbe che questa forma di protesta sfidava il regime molto più
direttamente degli scioperi, suscitando l’immediata risposta della polizia, e cercò di introdurre una
disciplina deliberando che dovessero essere le organizzazioni a lanciare le dimostrazioni. I
delegati riconobbero anche che il Bund non poteva facilmente ignorare l’azione spontanea da
parte dei lavoratori, e quindi dichiararono che “le organizzazioni locali dovrebbero sempre
sostenere le manifestazioni nate spontaneamente tra le masse”152. Ancora insicuro rispetto agli
effetti di questo strumento tattico, il congresso stabilì che le dimostrazioni dovevano includere le
organizzazioni rivoluzionarie cristiane al pari del Bund. Solo in particolari circostanze, ad esempio il
funerale di un lavoratore ebreo, i bundisti potevano manifestare autonomamente e anche allora i
lavoratori cristiani dovevano essere invitati. Consapevoli del pericolo dell’azione di massa e del
coinvolgimento di nazionalità diverse in un’azione di massa, i delegati non sapevano bene quanto
spingere avanti quella tattica.
L’importanza della manifestazione e dell’assemblea come forme di azione politica crebbe
dopo il Quarto Congresso: la partecipazione aumentò e le adunate si fecero più frequenti. In un
periodo di due anni, secondo il rapporto del Bund al Secondo Congresso del POSDR, vi furono 30
manifestazioni di strada, delle quali 25 coinvolsero un totale di 7.500 persone. Manifestazioni
ebbero luogo anche in teatri e scuole. Le assemblee, nelle quali gli oratori discutevano
praticamente di ogni problema urgente della vita russa ed ebraica, divennero quasi una
consuetudine. Il Bund diede notizia di 260 di tali assemblee, con un totale di 36.900 partecipanti a
224 di esse; la più grande ebbe 3.000 partecipanti. Vi furono 74 assemblee con 50 – 100 persone,
e 72 con 100 – 500 persone. Questi dati non includono le celebrazioni del Primo Maggio.
L’aumento di visibilità che fece seguito all’uso crescente delle manifestazioni politiche
spinse il Bund a sviluppare nuove tecniche e tattiche organizzative. Le soluzioni da questo punto di
vista erano meno facili nel movimento politico che nel movimento degli scioperi, nei quali
l’organizzazione era presente da tempo. Dal 1901 unità di cosacchi e di altri militari furono
convocate a supporto delle forze della polizia locale, sempre più insufficienti, per reprimere le
manifestazioni di massa. Nelle settimane prima delle manifestazioni le autorità spesso compivano
arresti e retate per prevenire le agitazioni. Di Arbeter Shtime riportò di costanti pattugliamenti
militari a Bialystok, Vitebsk e molti altri centri. Il Bund, che contava sulle risorse di una piccola
minoranza, difficilmente poteva pensare di far fronte a queste forze da solo.
I comitati del Bund si trovarono di fronte a un dilemma. Come rivoluzionari si sentivano
obbligati a perseguire i propri obiettivi e quindi a manifestare, specialmente in occasione della
giornata del Primo Maggio: allo stesso tempo essi si rendevano ben conto del prezzo di quelle
azioni. Alcune organizzazioni continuarono la vecchia pratica di incontrarsi segretamente nei
boschi. Altre, più convinte della propria forza, si apprestarono a sfidare il regime convocando
manifestazioni aperte, sebbene spesso evitando il contatto diretto con le forze armate dello stato
tramite lo spostamento della data o dell’orario della manifestazione. Molti ancora manifestarono
attraverso l’astensione dal lavoro.
Il livello di agitazione tra i lavoratori e gli studenti crebbe in Russia nel 1901, spingendo lo
stato a irrigidirsi. Alla fine dell’anno il governo introdusse una serie di misure in alcune province,
incluse alcune nell’ovest, miranti specificamente a reprimere i rivoluzionari. Tra le altre cose furono
aumentate le restrizioni per le adunate pubbliche, chiedendo ai proprietari terrieri di vigilare sui
propri possedimenti durante la notte; furono permessi processi segreti presso tribunali militari; e fu
consentita la detenzione per tre mesi di chiunque fosse sospettato di appartenere a
un’organizzazione segreta. Secondo un bundista di Vilna, il governo aveva aperto “una nuova era
nella storia del movimento operaio di Vilna”153.
Mentre venivano varate queste norme, a Vilna fu nominato un nuovo governatore – il
generale Viktor von Wahl. Wahl considerava tutti i prigionieri politici alla stregua di criminali ed era
incline alla più rigida interpretazione della legge. “Non lo si poteva definire un cuore tenero”, scrive

152
ibidem
153
Posledniia izvestiia, 17 aprile 1902

105
un ex collega. Wahl rese nota immediatamente la propria posizione, avvisando i dirigenti della
comunità ebraica che se non avessero sedato lo spirito rivoluzionario tra gli ebrei, ogni ebreo
avrebbe sentito il peso del regime. Ma il tempo in cui i vecchi leader della comunità ebraica
potevano dettare la linea era abbondantemente passato.
Per il Bund il massimo dell’asprezza del regime, e del proprio attivismo politico in risposta,
si ebbe nella primavera 1902. Per celebrare il Primo Maggio a Vilna furono programmate
manifestazioni per le strade e in un teatro. Il governo chiamò l’esercito per sedarle, e diversi
lavoratori furono arrestati. Il giorno successivo 20 prigionieri ebrei e 6 polacchi furono frustati,
ciascuno con 20 o 30 colpi (i resoconti sono discordanti) mentre gli altri prigionieri furono costretti
ad assistere.
I bundisti furono scioccati e angosciati come mai era accaduto prima. Di tutti gli eventi fino
all’ottobre 1905, solo il pogrom di Kishinev, la scissione del POSDR e la stessa Rivoluzione ebbero
un impatto emotivo più profondo di queste frustate e di ciò che accadde dopo. La frusta si abbattè
sul nervo scoperto di quell’onore che il Bund aveva suscitato tra i lavoratori ebrei, quella ricerca
della dignità come collante per stare insieme e combattere.
Un anno prima il Comitato di Vilna aveva assunto una forte posizione contro le tattiche
terroristiche, affermando in un documento specifico che “l’uccisione di individui…a parte il fatto che
non ottiene il proprio scopo ultimo, è dannosa in quanto fornisce al governo il pretesto per
rafforzare il suo potere politico”154. Ora però il comitato andò vicino alla giustificazione
dell’assassinio politico, aggiungendo la propria firma a quella delle organizzazioni
socialdemocratiche polacche lituane e russe di Vilna in un opuscolo che diceva: “Noi combattiamo
con mezzi pacifici…ma la pazienza ha un limite. Non sarà colpa nostra se la vendetta, l’odio e il
risentimento popolare prenderanno forme violente – lo stesso Wahl ha aperto la via”. Elencando il
nome dei principali funzionari coinvolti nei fatti, l’opuscolo si concludeva con una frase roboante e
apocalittica: “La vendetta colpirà ciascuno di voi, e i vostri nomi saranno dannati”155.
Hirsh Lekert: la violenza come resistenza. Il passo successivo venne quasi come
compimento di una profezia. Il 18 maggio un giovane bundista di nome Hirsh Lekert sparò due
colpi di pistola contro Wahl, ferendolo superficialmente. La polizia catturò Lekert immediatamente
e pochi giorni dopo lo spedì davanti a un tribunale militare (l’unico che poteva comminare la pena
capitale); dopo una breve inchiesta condotta segretamente egli fu condannato a morte e impiccato
il 28 maggio.
L’atto di vendetta di Lekert e la sua conseguente esecuzione attirarono attenzione ben al di
là dei confini del Bund. Egli divenne un eroe popolare, un martire, e l’incarnazione del militante
operaio ebreo in poemi, canzoni e drammi. I bundisti e i socialdemocratici di Vilna lo
caratterizzarono come uno “che per qualità morali, coraggio civico ed eroico sprezzo del pericolo
era di un’intera testa al di sopra di chi gli stava attorno. Egli interpretò quello che era il nostro
bisogno sociale, compiendo ciò che molti pensavano e sognavano ma non fecero”156. In
un’organizzazione in cui prevaleva l’anonimato, Lekert divenne un simbolo e la sua morte
occasione di commemorazioni annuali da parte dei suoi compagni, lo stesso privilegio concesso
agli eroi della Volontà del Popolo.
Agli occhi dei bundisti, Lekert era divenuto un simbolo sia come lavoratore che come ebreo.
Il suo atto fu compiuto nella prima fase di una delle più intense fasi di assassinii politici dai tempi
dell’uccisione di Alessandro II nel 1881. Con la condanna a morte egli subì la medesima punizione
di Stepan Balmasev, un socialista rivoluzionario che aveva ucciso il ministro dell’Interno Sipjagin
poche settimane prima. Dal momento che “con grande dispiacere di tutti” Lekert aveva soltanto
ferito un semplice governatore, e pure superficialmente, la punzione nei suoi confronti sembrò
assolutamente sproporzionata. I bundisti scrissero: “Lekert è un ebreo, Lekert viene dai ranghi dei
lavoratori, Lekert ha compiuto la sua azione in Lituania, che è sotto leggi speciali, e la sua
punizione pertanto è stata eccezionalmente dura…; per delle lievi ferite egli ha pagato con la
vita”157. La concitazione del momento difficilmente consentì una critica dell’atto di Lekert da un
punto di vista socialdemocratico. Tutti i distinguo sulla tattica nelle manifestazioni, la questione di

154
Der Klasen-Kamf, maggio 1901. Periodico uscito a Vilna nel 1900 – 01.
155
Tovarischi rabocheie!, opuscolo maggio 1902
156
Girsch Lekert i yego process, opuscolo luglio 1902
157
ibidem

106
come far fronte alla violenza poliziesca e in generale l’uso del terrorismo improvvisamente
svanirono, in un’atmosfera vicina all’isteria.
Il Comitato Centrale perse parte della sua abituale compostezza. Espresse orgoglio per la
crescita morale del lavoratore ebreo, che ora era in grado di difendere il proprio onore. Ma
espresse il timore che l’azione di Lekert non avrebbe inferto una lezione al regime, poiché l’uso
brutale della frusta non era confinato a Vilna: pochi giorni dopo alcuni bundisti erano stati percossi
a Minsk per una manifestazione in un teatro. Al Comitato Centrale l’analogia tra i due casi fece
pensare che a livello di vertice l’autorità avesse intrapreso una nuova fase di oppressione. Non era
la prima volta, disse il Comitato Centrale, che un attacco alla dignità umana aveva provocato una
tale risposta nella Russia rivoluzionaria. La stessa Vera Zasulich, una delle donne più importanti
del movimento rivoluzionario e stretta sodale di Plechanov, una volta aveva sparato per un affronto
simile158. Una cosa era certa: “la nostra dignità umana deve essere difesa fino all’ultima goccia di
sangue”159. Questo era solo il proprio dovere rivoluzionario, dichiarò il comitato.
I dirigenti del Bund comunque si sentirono in dovere di tener conto di quanto deliberato al
Quarto Congresso, anche se il congresso non aveva previsto fin dove si sarebbe spinto lo stato
per reprimere il movimento. Stretto tra l’onore e i principi, il comitato cercò di mantenere entrambi
distinguendo la violenza in risposta alla violenza dal terrore politico come strumento di lotta. L’uso
del terrorismo era fonte di grande pericolo per il Bund, che combatteva un intero ordine politico e
non gli individui, ma un’azione come quella di Lekert era una risposta legittima, poiché i lavoratori
ebrei non erano schiavi. Il comitato dipanò la questione con difficoltà, da un lato avallando la
violenza in nome dell’autodifesa e dell’onore rivoluzionario, dall’altro condannando la violenza
contro gli individui. La distinzione poteva avere un senso da un punto di vista logico, ma le azioni
vere e proprie e le loro conseguenze erano molto più difficili da separare. Il comitato sottolineò che
la propria analisi non era in contraddizione con le risoluzioni del Quarto Congresso; semplicemente
metteva in luce l’idea dell’autodifesa attraverso il terrorismo, che era implicita in quelle risoluzioni.
Inevitabilmente, l’intera questione delle manifestazioni fu riesaminata. Alla luce della lotta
sempre più aspra tra lo stato e il movimento, il comitato si chiese se i vecchi metodi fossero ancora
utili. Le piccole dimostrazioni e gli incontri clandestini stavano diventando difficili da gestire, e le
dimostrazioni di massa non potevano ancora essere convocate all’insaputa della polizia, ed erano
a rischio repressione.
I bundisti avvertivano una responsabilità nei confronti dei manifestanti che convocavano
nelle strade. Una lavoratrice di Vilna, molto impegnata, lasciò il movimento perché non si sentiva
nel diritto di chiamare le persone a lottare, date le possibili conseguenze. Quella era un’epoca di
transizione, concluse il comitato: “Non siamo ancora abbastanza forti da porre fine all’autocrazia
immediatamente, ma neppure così deboli da subire passivamente ogni atto di violenza. Dobbiamo
mostrare…che siamo in grado di resistere”160. Non si trattava di attaccare la polizia, ma di
proteggere i manifestanti durante i cortei. Per esempio, dal momento che la polizia attaccava che
portava la bandiera, un cordone di dimostranti doveva circondarlo e proteggerlo; altri avrebbero
dovuto impedire che chiunque fosse arrestato. Tali misure di protezione avrebbero richiesto uno
sforzo sistematico e organizzato, con l’assegnazione di compiti precisi a ciascun militante. Quello
che all’inizio era stato il lavoro improvvisato di piccoli gruppi spontanei (lo stesso Lekert ne aveva
fatto parte) ora venne proposto come necessità formale. Si poneva all’ordine del giorno
l’opportunità di vere e proprie azioni paramilitari.
La Conferenza di Berdichev. Le discussioni al vertice sulla situazione continuarono
durante l’estate. Nell’agosto del 1902 a Berdichev si svolse la Quinta Conferenza del Bund161. La

158
Nel luglio del 1877 il governatore di Pietrogrado, generale Fjodor Trepov, fece frustare in carcere fino a farlo
impazzire un detenuto politico, Aleksej Bogoljubov, colpevole di non essersi tolto il berretto innanzi a lui. Per
vendicarlo, il 24 gennaio 1878 Vera Zasulič si presentò nell'ufficio di Trepov e gli sparò a bruciapelo, ferendolo
gravemente. Processata da un tribunale civile in presenza di un’enorme folla solidale, il 31 marzo 1878 fu assolta.
159
DAS, giugno 1902
160
ibidem
161
Le “conferenze” del Bund erano incontri convocati dal Comitato Centrale per discutere questioni importanti. A
differenza dei congressi, i delegati alle conferenze erano scelti dal Comitato Centrale. La Quinta Conferenza è la prima
ad avere un carattere definito. La Quarta Conferenza infatti fu solo un aggiornamento della discussione dopo la chiusura
formale del Quarto Congresso. Le precedenti conferenze furono troppo informali per lasciare una traccia. La Seconda
ebbe luogo a Minsk nell’aprile 1899, e la Terza a Varsavia nell’aprile 1900. Non si ha notizia dello svolgimento di una

107
grande maggioranza dei presenti ribadì la legittimità della vendetta per gli insulti all’onore del
partito. Non era la stessa cosa, scrissero nel resoconto, che invocare il terrorismo:

Sarebbe un mistero pensare che questo tipo di vendetta abbia una qualche relazione con il
terrorismo…Lo scopo di tali atti è soltanto di lavare l’onta del partito, di vendicare un
vergognoso insulto. In un partito organizzato questo è alla base di ogni principio e ogni tattica,
ci sarà sempre la capacità di fare sì che gli atti individuali di rivalsa non sconfinino nel terrore
sistematico162.

Come il Comitato Centrale, la conferenza fece riferimento al Quarto Congresso sulla


questione della violenza. Ma andò un passo oltre, affidando di fatto al partito il compito di
organizzare atti di rappresaglia allo scopo di “non permettere ai crimini di avere luogo
impunemente”163. Solo in questo modo si poteva evitare il terrore. Prima di tutto, però, una forte
resistenza doveva essere mostrata da parte di quelli presenti sulla scena. La vendetta aveva
senso solo quando i rivoluzionari difendevano il proprio onore.
La linea della resistenza fu discussa quando la conferenza si occupò delle manifestazioni. I
partecipanti si resero conto che in una situazione di crescente conflitto con lo stato i rivoluzionari
non potevano mostrarsi deboli. Una manifestazione che avesse dato prova di debolezza avrebbe
fatto più male che bene. Con l’aggiunta dell’ingrediente della resistenza alla tattica della
dimostrazione aperta, il Bund ora fu indotto a porre alcuni limiti a quella tattica. Quando sembrava
che una manifestazione non fosse in grado di autodifendersi, concluse la conferenza, sarebbe
stato meglio non svolgerla.
Per i dirigenti del Bund in Russia, la manifestazione pubblica era un passo intermedio tra le
vecchie tecniche di propaganda ed educazione e il conflitto aperto che ci si attendeva in futuro. Era
una via di militanza per mostrare allo stato la forze forze che gli si opponevano e presentare le
rivendicazioni degli sfruttati. Tuttavia la conferenza di Berdichev riconobbe la differenza tra una
manifestazione e una rivolta. Le manifestazioni terminavano a prescindere dall’ottenimento delle
rivendicazioni; non erano tentativi di prendere il potere. L’obiettivo insito nell’autodifesa era
proteggere i manifestanti, fare buona impressione, e mostrare la fibra morale dei dimostranti.
Come i bundisti notarono speranzosamente nel giugno 1902, i dimostranti di oggi sarebbero stati “i
costruttori delle nostre future barricate”164.
L’intero tono delle discussioni alla conferenza mostrò una crescita di fiducia e forza rispetto
al 1901. Il Quarto Congresso aveva sottolineato l’importanza di cooperare con i movimenti cristiani,
ma nell’estate del 1902 i bundisti erano pienamente nell’ottica di andare avanti senza di loro se
necessario. Nella misura in cui le masse ebraiche avessero voluto una manifestazione, dichiarò
l’Arbeter Shtime, essa avrebbe potuto svolgersi senza il sostegno dei cristiani.
La posizione assunta dalla maggioranza a Berdichev, e appoggiata da un vasto numero di
comitati locali, aprì un’ulteriore discussione entro il Bund. Il calore del momento portò i bundisti in
Russia verso posizioni ben più avanzate rispetto a quelle dei loro compagni di classe all’estero. In
una rara manifestazione di dissenso, il Centro Estero mise in discussione l’opportunità di
risoluzioni che ammettevano la vendetta organizzata. Fu il principale polemista del Bund,
Kosovsky, che sollevò le maggiori critiche. Kosovsky rifiutò di riconoscere una differenza tra
vendetta organizzata e terrore organizzato. Dal momento che in entrambi i casi si trattava di
uccidere poliziotti o funzionari statali, erano solo differenti sintomi della stessa pericolosa malattia.
Ciò che iniziava come semplice vendetta contro un despota presto o tardi sarebbe diventata
un’arma di lotta contro il governo e accettata come metodo per ottenere scopi politici.
L’organizzazione non sarebbe stata in grado di contenere il terrorismo, che l’avrebbe dilaniata
dall’interno. Alla fine, l’organizzazione avrebbe acquisito elementi terroristici, e il livello del lavoro
sarebbe ritornato ai giorni del terrorismo economico.
Kosovsky criticò anche l’equiparazione dell’onore del partito all’onore personale. Per il Bund,
un organismo con le proprie regole e i propri scopi, l’onore significava rispettare i principi del partito
e impegnarsi per assolvere ai compiti del partito. La risposta agli insulti stava nella lotta per

prima conferenza. Non è chiaro quando i bundisti cominciarono a contare in modo formale questo tio di riunioni; molto
probabilmente esse furono così considerate a partire da dopo la Quarta Conferenza.
162
DAS, settembre 1902
163
ibidem
164
DAS, giugno 1902

108
liberare le masse. Se una risposta di massa non era possibile, allora il partito doveva renderla
possibile. A proposito dei singoli, questi dovevano difendere il proprio onore, ed era compito del
partito radicalizzarli affinchè facessero ciò. Se accettavano un’umiliazione, era segno che il partito
non aveva sufficientemente sviluppato in loro la percezione della dignità. Se non vi erano
abbastanza proteste di massa, era a causa delle condizioni arretrate delle masse, della risposta
inadeguata alle nuove tattiche della repressione, dell’inerzia dei lavoratori cristiani e
dell’isolamento dei lavoratori ebrei. Kosovsky vedeva nel ricorso al terrorismo una mancanza di
fiducia nei metodi socialdemocratici; il lavoro socialdemocratico doveva essere intensificato per
distruggere le basi psicologiche dei sentimenti terroristici.
Le differenze tra le organizzazioni in patria e il Centro Estero non furono composte
facilmente. In un articolo sulla Conferenza di Berdichev il Centro Estero ricordò ai propri lettori che
l’assise era “un incontro privato” le cui “risoluzioni non sono vincolanti”165. Vi fu un acceso dibattito
tra il Comitato di Minsk e il Centro Estero. Quando il Centro Estero seppe che un oratore del Bund
a Minsk aveva espresso disappunto perché “i tiranni locali non hanno ancora incontrato il loro
Lekert” si sentì spinto ad esprimere il proprio dissenso verso quelle parole166. Levandosi in difesa
del proprio oratore, il Comitato di Minsk usò un’argomentazione di carattere “legale”, affermando
che solo le opinioni del Comitato Centrale avevano un’autorità167. Ma le posizioni del prestigioso
gruppo estero difficilmente poterono essere ignorate. Il dibattito non fu aperto ufficialmente fino al
giugno 1903, quando il Quinto Congresso revisionò la risoluzione di Berdichev sulla vendetta
organizzata e la respinse senza discussione168. L’intera vicenda rivelò la partecipazione emotiva ai
fatti da parte dei bundisti in Russia, a confronto dell’atteggiamento più freddo e rigidamente logico
dei compagni all’estero, che continuarono a insistere sulla stretta aderenza ai principi
socialdemocratici.
In quel periodo così burrascoso, il ripudio del terrorismo da parte del Centro Estero e il molto
riluttante appoggio del Comitato Centrale delusero alcuni attivisti. Frume Frumkin, un’attivista che
lasciò il Bund per diventare terrorista (e morì impiccata) trovò impossibile comprendere la
freddezza del Centro Estero di fronte all’onore dei compagni macchiato. Anche altri, pur meno
disposti ad agire individualmente, non gradirono l’inadeguatezza della risposta socialdemocratica
alla violenza statale. Alcuni lavoratori di Bialystok, ad esempio, biasimando la riluttanza del Bund
ad appoggiare l’azione diretta, lasciarono l’organizzazione. Queste defezioni non indebolirono
seriamente il Bund, ma la questione della violenza rimase una ferita mai completamente guarita.
La questione di Lekert e del terrorismo coinvolse il Bund anche nel dibattito con altri gruppi
rivoluzionari. Il Partito Socialista Rivoluzionario (PSR o SR), fondato alla fine del 1901, accolse il
terrorismo come arma tattica tra quelle a disposizione nella lotta contro il regime zarista. Gli SR
applaudirono al gesto di Lekert e gli riservarono un posto nella loro cerchia degli eroi rivoluzionari.
Essi avevano già messo in conto l’uccisione di Wahl per mano dei loro attivisti.
Gli SR trovarono condivisibile la rabbia e la reazione iniziale dei bundisti in Russia. Essi
salutarono la risoluzione della conferenza di Berdichev sulla vendetta contro il disonore come “la
sola corretta e profondamente vitale” risposta al regime169. Per converso diversi bundisti furono
attratti dall’accorato appello SR al terrorismo – al punto che all’inizio del 1903 Kosovsky si sentì in
dovere di scrivere un opuscolo che criticava in dettaglio questa tattica. Egli si appellò ai lettori per
ricordare che “un rivoluzionario è soprattutto un membro di un partito, e le sue energie
appartengono ad esso, e ad esso soltanto”170. Le due parti non riuscirono a mettersi d’accordo, e
ciascuna continuò a insistere sul proprio punto di vista.
Anche gli iskristi discussero col Bund su questa questione. Gli scambi di opinione in questo
caso furono più polemici che altro, a indicare la situazione complicata e in evoluzione nel campo
socialdemocratico. Secondo gli iskristi, lo sforzo del Comitato Centrale del Bund di conciliare
“un’idea di assassinio politico non terroristico con i principi della socialdemocrazia, e con la
risoluzione del Quarto Congresso che ripudia il terrorismo” non era credibile171. Questa di fatto era
la stessa critica levata dal Centro Estero; la differenza fu nel tono aspro adottato dagli iskristi, che

165
Posledniia izvestiia, 4 ottobre 1902
166
Posledniia izvestiia, 11 settembre 1902
167
Posledniia izvestiia, 16 ottobre 1902
168
Resoconto del Quinto Congresso, 1903
169
Russia rivoluzionaria, novembre 1902
170
K voprosu o terrorizme, opuscolo 1903
171
Iskra, 15 ottobre 1902

109
non tennero conto dell’emotività del momento, mentre il Centro Estero cercò di raffreddare gli
animi e di far prevalere la razionalità. Tuttavia anche due iskristi, Martov e Vera Zasulich,
temporaneamente indugiarono sul caso Lekert. Lenin scrisse a Plechanov di una discussione con i
due compagni nella quale entrambi avevano sostenuto che il terrorismo come atto di vendetta era
inevitabile.
Riorganizzazione e centralizzazione. Gli eventi della primavera – estate 1902 persuasero i
dirigenti del Bund in Russia che fossero necessari e urgenti dei cambiamenti nell’organizzazione.
Le riforme stabilite dal Quarto Congresso avevano soltanto lambito la superficie, scrisse Di Arbeter
Shtime in agosto. I kase non erano più utili, e ostacolavano il prosieguo del lavoro rivoluzionario.
Troppo spesso i lavoratori identificavano i kase con le masse, dimenticando che essi
rappresentavano solo una parte delle masse della società. I kase erano stati creati per obiettivi più
limitati ed erano inadeguati ai nuovi compiti rivoluzionari. Ciò che serviva a quel punto, scrisse il
giornale, era “l’agitazione politica aperta tra tutte le masse” e “il sostegno a ogni protesta contro
l’ordine politico vigente”. Il Bund doveva assumere la direzione della lotta per la libertà “in tutte le
modalità e forme”. Il suo compito immediato, dunque, era “liberare le nostre istituzioni
rivoluzionarie dalla loro vecchia base – dal movimento delle professioni”. Le organizzazioni
dovevano essere indipendenti; e diversamente dai kase, che eleggevano i propri membri,
dovevano essere aperte a tutti (“I rivoluzionari non vengono scelti: essi si sviluppano
autonomamente”). Infine, era compito delle organizzazioni “non adattarsi alle richieste delle
masse…ma portare nelle masse stesse il proprio spirito e le proprie idee rivoluzionarie”172.
Ciò non significava il ripudio della lotta economica, ma solo l’affermazione che le
organizzazioni rivoluzionarie dovevano adempiere ai compiti politici posti di fronte al Bund.
Dovevano andare di pari passo col movimento di massa e dargli un carattere più rivoluzionario. Il
Bund in quanto organizzazione rivoluzionaria doveva essere distinto dal movimento di massa.
Quindi Di Arbeter Shtime prese in considerazione il ruolo delle masse. Le nuove
organizzazioni dovevano essere sviluppate in ogni città in cui le masse potessero essere mobilitate
politicamente, proprio come era stato fatto per le questioni economiche. Lodz e Varsavia avevano
già queste organizzazioni. Il giornale si aspettava che le masse simpatizzassero con il programma
del Bund ma non che esse stesse fossero rivoluzionarie. Il Bund era la casa dei rivoluzionari.
La Conferenza di Berdichev approvò una risoluzione che fece propri tutti i suggerimenti
contenuti in questo articolo. Essa chiese anche al Comitato Centrale di elaborare in proposito
regole specifiche, da discutere al congresso successivo. Ma all’atto pratico i dirigenti incontrarono
degli ostacoli e delle resistenze. Un esempio evidente fu a Vilna, dove l’intera organizzazione
operaia fu smantellata e ricostruita sulle nuove basi politiche nell’estate del 1902. Presto quei
cambiamenti radicali dovettero essere annullati, poiché gli Indipendenti, che stavano cercando di
mettere radici in città, si approfittarono della divisione tra organizzazioni economiche e politiche.
Il Centro Estero intravide dei pericoli nelle proposte di riorganizzazione della conferenza di
Berdichev, e affermò che

Questa evoluzione (nel terrorismo) è resa molto più facile dai cambiamenti previsti
nell’organizzazione…Il nuovo principio di organizzazione porta a un certo indebolimento dei
contatti tra i circoli dirigenti e le masse; può essere fruttifero solo sotto la stretta osservanza dei
principi e delle tattiche della socialdemocrazia 173.

Col tempo i timori del Centro Estero vennero fugati e l’eccessivo zelo a Vilna moderato. I
dirigenti del Bund si resero conto che, anche con le migliori intenzioni rivoluzionarie, dei
cambiamenti profondi in un movimento attivo e bene organizzato erano complicati e non potevano
essere stabiliti a tavolino.
In altre città la transizione all’organizzazione politica fu meno traumatica. A Pinsk, che
aveva un’organizzazione molto più giovane che a Vilna, i cambiamenti iniziarono subito dopo la
visita alla fine del 1901 di un rappresentante del Comitato Centrale, Mark Liber. Egli fu seguito
all’inizio del 1902 da due militanti a tempo pieno inviati dallo stesso comitato: Ephraim Ashpiz e
Barukh Kahan (Virgili). Ashpiz e Kahan formarono un nuovo comitato operaio cooptando i
lavoratori più consapevoli e rivoluzionari della città e presto riorganizzarono il lavoro economico e
politico. Essi crearono un birzhe per l’agitazione continua e riuscirono a tagliare una parte dei fondi

172
DAS, agosto 1902
173
Posledniia izvestiia, 4 ottobre 1902

110
ai kase. Il nuovo comitato incontrò una certa opposizione interna, soprattutto da parte di un ex
sionista di nome Kolie Teper, ma i militanti professionali riuscirono nel loro intento. Essi rimasero a
Pinsk per poco più di un anno, il massimo del tempo di permanenza in uno stesso luogo che il
partito concedeva ai suoi agenti.
L’organizzazione politica a Bialystok crebbe a partire dall’organizzazione operaia. Là il
comitato locale organizzò i lavoratori più coscienti in un collettivo di agitatori, che ne potevano
cooptare altri se li ritenevano adeguati. Questi collettivi formarono delle cellule o delle skhodka,
che operavano in vari settori. Nei centri più grandi, dove i problemi economici erano maggiori, la
politicizzazione dei kase maturò spontaneamente man mano che i lavoratori diventavano più
recettivi alle prospettive di azione politica.
Quando nel giugno 1903 si riunì il Quinto Congresso, la situazione locale era ancora in
movimento. Il congresso recepì le posizioni di Berdichev e diede loro legittimazione formale. Esso
diede al Comitato Centrale il potere di sospendere le azioni dei comitati locali, di nominare ed
escludere i membri dei comitati locali, di nominare tutti i membri del Centro Estero e di chiedere
rapporti ai comitati locali. Il Comitato Centrale acquisì anche il diritto di aggiungere delegati ai
congressi del Bund e di supervisionare le pubblicazioni. I comitati locali avevano solo una strada in
caso di dissenso col Comitato Centrale: la convocazione di un congresso su proposta di due terzi
dei comitati locali del Bund.
Il Comitato Centrale ora deteneva il potere necessario a compiere qualunque cambiamento
ritenesse opportuno. Ma esso raramente usò il proprio potere per costringere le organizzazioni
locali a conformarsi al partito. I forti legami interni al Bund superarono le differenze di opinione, e il
Comitato Centrale col tempo per lo più riuscì a portare i comitati locali sulle proprie posizioni.
Il crescente potere del Comitato Centrale andò di pari passo con la crescente attenzione
del Bund per le questioni politiche. La nuova struttura consentì una trasmissione più diretta ed
efficace della volontà del centro all’intera organizzazione. Inoltre, il controllo sui singoli attivisti
consentiva di gestire i rivoluzionari più qualificati. Essi potevano essere spostati nei comitati nei
quali era necessaria la loro presenza, con meno probabilità di opposizione da parte dei gruppi
locali.
Un chiaro segno di centralizzazione e maggiore politicizzazione fu il fatto che molti dei
giornali locali finirono ai margini negli anni 1902 – 03, mentre le pubblicazioni dei due centri
crebbero considerevolmente, sia in qualità che in diffusione. I comitati locali si affidarono sempre
più ai volantini, che erano diretti a un pubblico sempre più ampio (polacchi e russi oltre che ebrei).
Dalla primavera del 1898 all’autunno del 1900 il Bund produsse 43 opuscoli, per un totale di
74.750 copie; tra il Quarto e il Quinto Congresso, in soli due anni, esso pubblicò 101 volantini, per
un totale di 347.150 copie. Gli opuscoli del Primo Maggio del Comitato Centrale passarono da
20.000 copie nel 1902 a 70.000 nel 1903.
Il Bund negli anni 1901 – 03 allargò i propri confini. Non solo cercò di rafforzare i propri
legami con gli altri partiti rivoluzionari, ma anche di ottenere il sostegno dalla comunità ebraica nel
suo complesso. I bundisti erano particolarmente interessati all’ottenimento del sostegno
dell’intellighenzia ebraica, e qui la propaganda essenzialmente si basava sui temi e gli obiettivi
politici, nazionali e internazionali, più attraenti della semplice lotta economica. In un appello diretto
specificamente agli intellettuali ebrei Pavel Rosenthal, allora membro del Comitato Centrale, li
rimproverò per il distacco da quelle che erano le loro masse e il loro movimento rivoluzionario.
Nonostante la lunga storia del Bund, scrisse, essi erano informati delle attività del Bund non più di
quanto lo fossero sui Boxers cinesi, uno stato di cose al quale si era arrivati per il carattere di
classe del movimento e per l’uso della lingua yiddish. Rosenthal ribadì gli scopi del Bund: libertà
politica, autodeterminazione delle nazioni e, in futuro, creazione di un ordine socialista. Nel chiaro
tentativo di frenare l’attrazione verso il sionismo, che a sua volta cercava il sostegno degli
intellettuali, egli mise a confronto lo spirito battagliero del Bund e la timidezza della borghesia
ebraica, che aveva paura a levarsi contro l’oppressione. Rosenthal respinse su tutta la linea
l’accusa di russificazione lanciata dai polacchi, l’accusa di gretto nazionalismo di alcuni intellettuali
assimilati, e l’accusa di cosmopolitismo fatta dai sionisti. Il Bund, affermò, era nazionale senza
infrangere i principi della socialdemocrazia internazionale. Sottolineando i passi avanti compiuti dai
lavoratori ebrei nel migliorare le proprie condizioni economiche e nell’uscire dall’isolamento e
dall’esclusione che li avevano imprigionati, egli chiese: “La nostra intellighenzia continuerà ad

111
essere uno spettatore indifferente, freddo, magari ostile della lotta che le sta ribollendo
intorno?”174.
Infine, il Bund cercò di informare i lettori russi sulla propria attività e sul movimento
rivoluzionario in generale. Nella primavera del 1901 il Centro Estero iniziò la pubblicazione di
Posledniia Izvestiia (Ultime Notizie) espressamente a tale scopo. Esso conteneva notizie da tutto
l’Impero e riportava le controversie sia interne al Bund che tra il Bund e gli altri partiti175. Il Bund
produsse anche pubblicazioni in polacco per richiamare l’attenzione su eventi particolari come il
Quarto Congresso o l’uscita del 25mo numero dell’Arbeter Shtime (un notevole risultato per una
pubblicazione clandestina).
Così, nei primi anni del ventesimo secolo i comitati locali e il Comitato Centrale lavorarono
alacremente per definire il carattere politico del Bund, accrescendo la coscienza politica laddove
esisteva e provando a suscitarla ove essa era assente. Nel contempo essi furono attenti a non
compiere passi troppo lunghi per evitare che molti lavoratori perdessero contatto formale con
l’organizzazione.

174
Pinai Rosenthal, Vozzvanie k Yevreiskoi Intellighetsii, 1903
175
Ne uscirono 256 numeri, fino al gennaio 1906.

112
13. LA DEFINIZIONE DELLA QUESTIONE
NAZIONALE, 1901 - 1903

Il dibattito al Quarto Congresso. Il Quarto Congresso fu un momento fondamentale nella


storia del Bund, nel quale nuove risposte alla questione nazionale spinsero l’organizzazione a
modificare il proprio rapporto con i lavoratori ebrei e con il POSDR. Nel suo svolgimento il
congresso fu una pietra miliare per l’attività clandestina. L’incontro in Russia di 24 delegati (in
rappresentanza di 12 città o organizzazioni), in mezzo agli strenui tentativi di Zubatov di cancellare
l’organizzazione, fu un risultato notevole. L’ordine dei lavori, le discussioni, l’attività di stampa e
divulgazione (vi furono un resoconto integrale in russo e diversi report sui giornali in yiddish), tutto
è prova di un’operazione ben riuscita.
La composizione del congresso rappresentò l’organizzazione in patria, in quanto il Centro
Estero non era presente. Vi parteciparono attivisti operai, ma furono gli intellettuali a dominare i
lavori, determinando la durata e i contenuti dei dibattiti ben più del Secondo e del Terzo
Congresso.
I delegati affrontarono i problemi nella piena consapevolezza dell’importanza delle decisioni
da prendere e in particolare della questione nazionale, che il report176 dei delegati definì
“indubbiamente il punto centrale tra quelli sottoposti all’attenzione del Congresso”. Per 15 mesi i
comitati locali avevano avuto l’opportunità di discutere e produrre risposte a questa questione. Il
congresso dedicò dodici ore all’argomento, con quasi tutti i presenti a prendere la parola.
I delegati concordarono all’unanimità su alcuni assunti. Tutti accettarono come premessa
che

ogni nazionalità, indipendentemente dalle proprie aspirazioni economiche di libertà


economica, civile e politica, e dai propri diritti, ha aspirazioni nazionali basate su caratteristiche
sue peculiari (linguaggio, costumi, modi di vita, cultura in generale) che dovrebbero avere
piena libertà di sviluppo177.

Tutti concordarono che il diritto all’autodeterminazione per ogni nazionalità proclamato dal
POSDR nel 1898 “richiede una spiegazione più dettagliata”. La sola soluzione per un paese
multietnico come la Russia, convennero, era il principio discusso al Congresso di Brunn dai
socialdemocratici austriaci: una federazione in cui ogni nazionalità avesse piena autonomia per ciò
che riguardava le proprie questioni. Non vi fu alcuna obiezione all’idea che il concetto di nazionalità
si applicasse al popolo ebraico.
I delegati rifiutarono categoricamente ogni soluzione al problema delle nazionalità basata
sul territorio. Secondo il report, quella risposta “non ebbe sostenitori al Congresso”. La divisione
dell’Impero russo in unità storiche avrebbe comportato problemi irresolubili in aree con popolazioni
etnicamente miste. Inoltre, che cos’era un “territorio storico”? “La Polonia dovrebbe essere come
110 anni fa, o 200, o 300?”. Non era affare dei socialdemocratici cambiare i confini degli stati o
creare nuovi stati a partire dai vecchi, decisero i delegati. “Noi siamo per la piena libertà e
l’uguaglianza dei diritti, e per l’uguaglianza dei diritti nazionali, e in questo senso la sola garanzia
che vediamo è nell’autonomia nazionale”178.
Al di là della dichiarazione di principio, tuttavia, iniziarono i disaccordi. Quando si giunse a
parlare dell’applicazione pratica di questi principi, l’opinione variò dalla richiesta di
implementazione piena e immediata al rifiuto totale di prendere in considerazione un qualunque
passo avanti. Poiché le varie posizioni espresse al congresso furono riproposte a lungo negli anni
successivi, è opportuno esaminarle per bene.
La posizione più convinta a favore di provvedimenti immediati fu rappresentata da Mark
Liber (indicato come il compagno X nel report del congresso), il quale affermò che

176
Il report fu redatto da Portnoy e Rosenthal, e quest’ultimo scrisse la parte sulla questione nazionale.
177
Resoconto del Quarto Congresso del Bund, Ginevra 1901
178
ibidem

113
una volta riconsociuto il diritto alla libertà e all’autonomia nazionale per ciascuna nazionalità e
una volta riconosciuti gli ebrei come un popolo, il Bund (che difende in particolare gli interessi
del proletariato ebraico) dovrebbe subito mettere l’autonomia nazionale tra i propri slogan e non
accontentarsi, d’ora in poi, della richiesta dell’uguaglianza dei diritti civili e politici. 179

Secondo Liber gli ebrei potevano ottenere i diritti civili e politici ma ugualmente soffrire in
quanto popolo. Egli riconobbe l’impossibilità di perseguire questi obiettivi sotto il regime zarista, ma
pensava che il socialismo non fosse un ideale così remoto, e che nel frattempo la richiesta
dell’autonomia nazionale dovesse essere fatta propria dal Bund. “Come obiettivo minimo
immediato” dichiarò “ci si può accontentare dell’uguaglianza dei diritti civili e politici, ma come
massimo è necessaria l’autonomia nazionale ebraica”.
Un semplice pronunciamento su questo obiettivo per Liber non era sufficiente. Egli voleva
che il lavoro pratico in tal senso iniziasse subito.

Il nostro compito, che da tempo stava maturando ma sfortunatamente è rimasto nell’ombra


fino adesso, è di “preparare” il proletariato ebraico all’autonomia nazionale, di sviluppare in esso
l’autocoscienza nazionale. In un certo grado fino adesso siamo stati cosmopoliti. Dobbiamo
diventare nazionali. Non c’è nulla da temere in questa parola. “Nazionale” non vuol dire
“nazionalista”. Quando una classe riconosce di appartenere a una nazionalità data, diventa
nazionale (prendiamo ad esempio il Partito socialdemocratico nazionale belga); nazionalismo
significa invece la mescolanza di tutte le classi, o il dominio di una nazionalità su un'altra.180

Liber chiese che il Bund orientasse la propria agitazione sulla questione nazionale,
dedicando particolare attenzione alla specifica condizione di oppressione del popolo ebraico; che
esso protestasse a gran voce contro ogni oppressione; e che si uniformasse alla lotta nazionale in
Occidente. In breve, accanto all’agitazione basata su temi economici e politici egli chiese che il
Bund iniziasse una campagna di agitazione di massa basata sulla questione nazionale. Ciò
avrebbe sviluppato la coscienza politica senza nuocere alla coscienza di classe promuovendo
l’esclusione e l’isolamento, disse Liber.
Altri delegati, tra loro Portnoy e Aaron Weinstein, assunsero una posizione meno radicale.
Secondo loro le condizioni che in Russia avevano fatto emergere del movimento sionista e di molti
partiti socialisti nazionali presto o tardi avrebbero portato la questione nazionale ebraica all’interno
del Bund. La cosa non doveva essere introdotta tra le masse dall’esterno. Le masse erano già
troppo orientate in senso nazionalistico. I socialdemocratici dovevano spiegare loro che “il vero
nazionalismo non è lo sciovinismo o la separazione nazionale”. Il lavoratore ebreo subiva la doppia
oppressione di essere un lavoratore e un ebreo. Quando avesse compreso le ragioni
dell’oppressione nazionale, si sarebbe liberato di quel giogo. “E’ nostro dovere” affermarono
“posporre lo sviluppo di questa coscienza, della coscienza nazionale”, che era

la coscienza della classe operaia ebraica di appartenere a una data nazionalità, la coscienza
dell’oppressione che da questo deriva, e l’aspirazione consapevole a liberarsene e a ottenere
quei diritti politici che possano permettere il pieno sviluppo del proletariato ebraico. 181

I delegati a tal proposito concordarono con Liber che l’autocoscienza non avrebbe
indebolito la coscienza socialdemocratica, anche se era necessaria prudenza:

In questa forma, lo sviluppo di una tale coscienza nazionale non è in contraddizione con la
coscienza socialdemocratica in generale. Al contrario, quest’ultima è impensabile senza la
prima; e lavorando per la diffusione delle idee socialdemocratiche e protestando contro
l’oppressione nazionale come uno degli aspetti dell’oppressione nella società borghese
contemporanea, noi allo stesso tempo lavoriamo per lo sviluppo di un’autocoscienza nazionale.
Ma non possiamo e non dobbiamo fare nulla di più in questa direzione, a meno che non
vogliamo essere chiamati nazionalisti.182

179
Resoconto del Quarto Congresso del Bund, Ginevra 1901
180
ibidem
181
ibidem
182
ibidem

114
A proposito delle attività pratiche,

In quanto partito pragmatico, il Bund non dovrebbe avanzare rivendicazioni che non hanno
possibilità di successo nell’immediato futuro. Ci riferiamo a rivendicazioni come l’autonomia
nazionale per gli ebrei. Per questa ragione attualmente dovremmo limitarci alla richiesta di
uguaglianza dei diritti civili e politici; oppure alla richiesta puramente in negativo della abolizione
di tutte le leggi eccezionali contro gli ebrei. 183

Portnoy e i suoi al congresso tennero una posizione intermedia. Essi accettarono come
intrinseca la relazione tra la questione nazionale e il proletariato ebraico, e così accettarono la
legittimità della coscienza nazionale. A differenza di Liber, però, respinsero come pericolose altre
rivendicazioni nazionali oltre a quelle già fatte proprie dal Bund.
Pavel Rosenthal, insieme ad altri delegati, assunse una posizione opposta a quella di Liber
e sostanzialmente differente da quella di Portnoy. Egli negò che la questione nazionale emergesse
spontaneamente tra le masse ebraiche, affermando invece che “i tentativi di dare una struttura
nazionale al movimento operaio ebraico originano all’estero, laddove la questione è attuale e
urgente”. Nel caso del Bund, la questione era “estranea alle masse allo stato attuale e il desiderio
di stimolarla artficialmente e prematuramente non può che arrecare problemi”. Rosenthal riteneva
che il lavoratore ebreo era da tempo in disaccordo con i cristiani per ragioni soprattutto
economiche, e che solo recentemente egli aveva iniziato a liberarsi dalle opinioni apprese in
famiglia. “La propaganda socialdemocratica fa uscire dalla condizione di isolamento nazionale e
conduce a credere e a sentire che tutti i proletari sono fratelli, indipendentemente dall’origine o
dalla religione”. Questo punto di vista avrebbe salvato gli ebrei dal pessimismo dei sionisti, mentre
la proposta di Liber avrebbe soltanto portato divisione.
Inoltre, affermò il terzo gruppo, vi era un grosso pericolo rappresentato dalla terminologia.
Le masse sarebbero riuscite a distinguere tra la “autocoscienza nazionale” proposta dai precedenti
oratori e le varie forme di nazionalismo “borghese”? I nazionalisti ebrei includevano nella propria
definizione cose come lo spirito ebraico, la storia, la propria speciale missione. Il termine
“autocoscienza nazionale” usato al congresso era inadeguato; esso si riferiva solo alla coscienza
dell’oppressione nazionale. Se era sbagliato per le nazioni dominanti essere coscienti in tal senso,
questo sentimento sarebbe stato sbagliato anche per gli ebrei dopo che la persecuzione nei loro
confronti fosse cessata. Rosenthal e i suoi vedevano la cosa come un “piano inclinato” sul quale
sarebbe stato difficile mantenere l’equilibrio socialdemocratico. Un’apertura in quella direzione
poteva “produrre nel Bund un indesiderabile carattere di autosufficienza, esclusività e
isolamento…quando è necessaria la massima cooperazione con il proletariato e i partiti
cristiani”184.
Le risoluzioni approvate. Alla fine, il congresso approvò una serie di risoluzioni che
implementarono i punti sui quali vi era stata unanimità, più alcuni compromessi. Esso dichiarò
l’inammissibilità non solo dell’oppressione di classe e statale, “ma anche del dominio di una
nazionalità su un’altra, la prevalenza di una lingua sull’altra”; e riconobbe che “uno stato come la
Russia, composto da un gran numero di nazionalità diverse, in futuro dovrebbe essere
riorganizzato in una federazione di nazionalità con piena autonomia nazionale per ciascuna,
indipendentemente dal territorio che esse abitano”185. Un’altra clausola sancì che “il concetto di
‘nazionalità’ si applicava al popolo ebraico”. Questi principi relativi all’interesse e all’identificazione
nazionale non erano stati esposti nei precedenti congressi del Bund.
Le risoluzioni non andarono oltre le posizioni tradizionali del Bund per quanto riguardò i
compiti immediati di propaganda. Il congresso ritenne che non fosse il momento opportuno per
chiedere l’autonomia nazional culturale per gli ebrei. Per ora era sufficiente combattere contro le
leggi eccezionali vigenti e contrastare ogni forma di oppressione degli ebrei come nazionalità.
Anche questa lotta doveva essere portata avanti senza esagerare i sentimenti nazionali, che
avrebbero potuto oscurare la coscienza di classe del proletariato e condurre allo sciovinismo. Il
congresso dunque adottò un punto di vista simile a quello di Portnoy.

183
Resoconto del Quarto Congresso del Bund, Ginevra 1901
184
ibidem
185
ibidem

115
La strutturazione del resoconto riflette la consapevolezza del Comitato Centrale del legame
tra la questione nazionale e gli altri temi. In esso infatti i vari temi furono messi non nell’ordine nel
quale erano stati affrontati, ma “secondo la loro connessione reciproca”. Dunque, immediatamente
dopo il resoconto sulla questione nazionale fu messo il tema del cambio di nome del Bund, e infine
un riassunto delle discussioni sul sionismo e sul POSDR.
Come già sottolineato, fu la prima volta che il tema del sionismo fu posto nell’agenda
congressuale, in risposta alle attività avviate dai sionisti tra i lavoratori. Il congresso ribadì la
posizione del Bund: il sionismo era semplicemente una reazione borghese all’antisemitismo. Se,
nel suo obiettivo dichiarato di dare un territorio al popolo ebraico, il sionismo pensava di aiutare
una piccola parte della comunità totale, era un movimento poco importante; se pretendeva di
riguardare tutta o buona parte della popolazione ebraica mondiale, allora era completamente
utopico. In ogni caso la sua agitazione nazionale era dannosa per la coscienza di classe.
Riesaminando la relazione tra il Bund e il POSDR dal punto di vista della questione
nazionale, i delegati rilevarono che l’autonomia garantita al Bund al Primo Congresso del POSDR
aveva creato dei problemi. Date queste difficoltà, e la possibilità di ulteriori complicazioni legate
all’ingresso nel partito di altre organizzazioni nazionali o su base federativa, il congresso si chiese
se il Bund non dovesse chiedere lo status di federazione piuttosto che l’autonomia così com’era. Ai
delegati parve che una risoluzione sul federalismo fosse la logica conseguenza di quella già
approvata sulla questione nazionale, e che avrebbe semplificato le relazioni del POSDR con le
altre organizzazioni nazionali. Di conseguenza essi stabilirono quanto segue:

poiché conviene che il Partito Operaio Social Democratico Russo sia un partito
socialdemocratico federativo che unisca tutti i gruppi etnici che vivono nello stato russo, il
Congresso stabilisce che il Bund, come rappresentante del proletariato ebraico, debba entrare
a farvi parte come sua parte federata, e dà mandato al Comitato Centrale del Bund di mettere in
pratica questa decisione.186

Il Primo Congresso del POSDR aveva garantito al Bund una vaga autonomia per le
questioni riguardanti i lavoratori ebrei, che in buona parte erano organizzati e guidati
ideologicamente da quella organizzazione. Ora il Bund cercò un riconoscimento in quanto partito
nazionale all’interno della socialdemocrazia. La richiesta di riorganizzazione del POSDR
contrastava con la scelta di astenersi dalla propaganda nazionale e di essere nell’applicazione
pratica di questo tema. La difficoltà nel conciliare queste apparenti contraddizioni condizionò il
Bund per molti anni a venire.
La risoluzione del congresso sull’espansione del lavoro del Bund nella Russia meridionale
semplicemente espresse la volontà di quest’ultimo di rappresentare l’intero proletariato ebraico. La
medesima volontà spinse il congresso a cambiare il nome dell’organizzazione, includendo la
Lituania. Dunque il nome completo del Bund fu Unione Generale dei Lavoratori Ebrei in Lituania,
Polonia e Russia. Il congresso decise che avrebbe aggiunto anche altri nomi geografici se
necessario. Non ritenne necessario tuttavia aggiungere al nome le regioni del sud; e rifiutò l’uso
del solo termine “Russia”, temendo di dare un’impressione falsata del proprio lavoro in Polonia.
Se le risoluzioni del Quarto Congresso sull’organizzazione e le nazionalità non furono
completamente una novità per i bundisti, che ne avevano discusso a lungo tra loro, esse
sembrarono un punto di rottura agli esterni che ne vennero a conoscenza, anche tra i
socialdemocratici russi. Le posizioni definite al congresso si prestarono a forti attacchi e a strenue
difese più che le vaghe generalizzazioni su autodeterminazione e diritti adottate negli anni
precedenti.
Il dibattito all’estero. La questione nazionale impiegò le migliori menti ed energie del Bund
negli anni successivi al Quarto Congresso. In gran parte ciò volle dire i militanti all’estero, in quanto
come sempre la necessità di far fronte ai compiti immediati lasciava ai bundisti russi poco tempo
per il dibattito o l’elaborazione pubblica dei principi. Di Arbeter Shtime non affrontò il tema della
questione nazionale fino all’estate del 1902, e anche allora lo fece semplicemente replicando ad
accuse specifiche da parte degli altri partiti.
I gruppi del Bund all’estero, che erano cresciuti a partire da inizio secolo, reagirono in vario
modo alle nuove risoluzioni. Alcuni bundisti non furono convinti del loro significato; molti le
trovarono completamente negative, alcuni perché ritenevano che il congresso si fosse spinto

186
Resoconto del Quarto Congresso del Bund, Ginevra 1901

116
troppo avanti sulla questione nazionale, altri che non avesse fatto abbastanza. Per fare chiarezza il
Centro Estero convocò un congresso dei gruppi del Bund all’estero, sperando allo stesso tempo di
rafforzare il senso di appartenenza al Bund. Il congresso, che si aprì ufficialmente il 2 gennaio
1902, formò un nuovo organismo unitario, l’Organizzazione all’Estero del Bund, con un Ufficio
Centrale legato direttamente al Centro Estero. Il nuovo gruppo operò fino al 1917.
Il discorso principale di Kosovsky al congresso fu pubblicato nel febbraio 1902 a cura del
Comitato Centrale; è la prima pubblicazione specifica del Bund sulla questione nazionale.
Kosovsky aveva poco da aggiungere a ciò che era stato deciso al Quarto Congresso, ma fece
un’opera di sintesi a favore del pubblico e dei bundisti all’estero. Inziò ponendo una domanda:
perché la questione nazionale era venuta fuori? “Se il Bund fosse un’organizzazione dei lavoratori
della Grande Russia e operasse da qualche parte nella provincia di Yaroslav” suggerì
ironicamente “la questione nazionale non sarebbe emersa fino al decimo congresso”. Essa venne
fuori poiché “l’assenza di un punto di vista definito sulla questione nazionale nel Bund si faceva
sentire ad ogni passo”187. I programmi e le rivendicazioni delle altre nazionalità intorno a loro
catturavano l’immaginazione dei lavoratori ebrei. Inoltre, un partito borghese con ideologie
nazionali chiedeva il loro sostegno. In tali circostanze, disse Kosovsky, difficilmente un semplice
appello all’autodeterminazione avrebbe attirato i lavoratori verso il Bund. Il motivo dell’emergere
della questione nazionale dunque sembrava sia determinato socialmente che dettato dall’esigenza
di difendersi dalle azioni di altri partiti. Se il Bund non avesse considerato la cosa, dichiarò
Kosovsky, l’avrebbero fatto altri. Una volta posta, la questione esigeva la migliore risposta
possibile da parte del Bund e della socialdemocrazia.
Secondo Kosovsky la questione nazionale richiedeva dal Bund una risposta in due parti,
una soluzione al problema in generale e un’altra specifica per gli ebrei. Egli rispose alla questione
generale partendo dalla questione specifica. Come i socialdemocratici austriaci, il Bund aveva
trovato come possibile soluzione il concetto di “organismi nazionali”, piuttosto che l’idea di unità
nazionali territoriali. Gli ebrei avrebbero potuto continuare la loro vita nazionale mantenendo la
propria identità educativa, linguistica e artistica, pur condividendo con gli altri cittadini aspetti della
vita sociale come le tasse e la comunicazione. In ciò consisteva il cuore dell’autonomia nazional
culturale.
Il ragionamento di Kosovsky fu per lo più una difesa del diritto del Bund ad avere una
posizione nazionale piuttosto che un esame dettagliato del problema. Tuttavia il suo tentativo di
definire la cosa soddisfece il congresso delle Organizzazioni all’Estero. Molti dei punti meno chiari
delle risoluzioni del Quarto Congresso erano stati delineati in modo da fugare le principali
obiezioni, sebbene alcuni dei membri all’estero di mentalità più nazionalista provarono a
promuovere sul tema risoluzioni ancora più forti. L’incertezza sulla relazione tra il socialismo e la
questione nazionale fu senza dubbio completamente risolta.
Tra il Quarto e il Quinto Congresso la maggioranza degli intellettuali all’estero, in particolare
i vecchi pionieri Kosovsky, Kremer e Mill, e le giovani promesse Liber, Medem con il nuovo arrivato
Raphael Abramovich (in seguito noto come menscevico oltre che bundista), appoggiarono
fortemente la linea nazionale. A un incontro ristretto di bundisti, tenutosi nel maggio 1903 a
Ginevra per preparare le risoluzioni per l’imminente Quinto Congresso, la proposta di Abramovich
che questa a linea fosse dato sviluppo fu approvata quasi all’unanimità. Con l’aiuto di Abramovich,
Medem preparò a tal proposito una risoluzione per il successivo congresso.
Il dibattito al Quinto Congresso. Ma al Quinto Congresso, che ebbe luogo a Zurigo nel
giugno 1903, l’equilibrio delle posizioni fu ben diverso. Tra i 30 delegati vi furono i principali
dirigenti sia di Russia che dell’Europa occidentale: Portnoy, Izenshtat, Kopelson, Kremer,
Kosovsky, Katz, Weinstein e Medem (che ebbe il compito speciale di presentare la risoluzione). Il
congresso dunque fu molto meno unanime della conferenza preparatoria di Ginevra.
Il testo preciso della risoluzione presentata da Medem non è noto, in quanto nessuna copia
è arrivata fino a noi. Tuttavia le principali tesi possono essere dedotte dai resoconti delle
discussioni congressuali. Come Kosovsky e Mill, Medem ribadì che la socialdemocrazia dovesse
trovare una risposta alla questione nazionale così come aveva fatto per altre questioni. Egli indicò
tre possibili soluzioni. Due di queste (la nazionalista e la assimilazionista) egli le scartò. La terza
soluzione, quella socialdemocratica, era secondo lui fondata sulla neutralità.

187
K Voprosu o Natsional’noi Autonomii…, opuscolo 1902

117
Per Medem la neutralità significava che “ogni dato gruppo può risolvere il problema per
conto proprio”. Come particolare via di sviluppo di un popolo, l’identità nazionale (angeherikait in
yiddish) non era importante “di per sé”. Ciò che interessava dal punto di vista socialdemocratico
era l’intento di difendere le nazionalità oppresse dall’assimilazione forzata. La posizione di Medem,
che divenne nota come “neutralismo”, rendeva la socialdemocrazia un mezzo tramite il quale a
tutte le nazionalità poteva essere garantita la libertà di seguire il proprio percorso. Il neutralismo fu
una delle poche nuove elaborazioni prodotte dopo il Quarto Congresso, anche se ebbe vita breve.
Le restanti argomentazioni di Medem riguardarono l’autonomia nazional culturale, che egli
vedeva come la soluzione più adatta per i problemi degli ebrei. Dal suo punto di vista vi era una
cultura nazionale ebraica allora, e ve sarebbe stata una in futuro. “E’ impossibile immaginare”
replicò a una critica “che le masse ebraiche perderanno la loro specifica identità”. L’attività del
Bund ben si conciliava con questa concezione: “Tutti concordarono che per il Bund e le masse
ebraiche un’agitazione e propaganda ufficiali fossero necessarie”188.
Molti non furono dell’idea che la socialdemocrazia e l’obiettivo dell’autonomia nazional
culturale fossero compatibili. Alcuni sostennero che il futuro degli ebrei risiedeva nell’assimilazione,
e non in un rinascimento. Kopelson, il principale oppositore all’estero della linea nazionale,
riteneva che gli ebrei più acculturati si stessero assimilando, lasciando il resto della popolazione a
uno stadio inferiore, e vedeva questo come un serio pericolo sia per il popolo ebraico che per la
causa del proletariato. Kopelson difese l’assimilazione come principio, citando Marx che aveva
suggerito questa soluzione per i piccoli gruppi etnici. “L’assimilazione significa che l’intellighenzia
adotta una cultura russa (che è superiore a quella ebraica)” dichiarò Kopelson; “accettando la
cultura internazionale in forma russa, l’intellighenzia diventa assimilata”. Gli ebrei in Inghilterra e
negli Stati Uniti stavano vivendo questo processo, e la crescita continua del capitalismo avrebbe
spinto anche gli altri in questa direzione.
Altri scettici, pur non accettando l’opinione di Kopelson, si chiesero se la risoluzione di
Medem fosse necessaria, piuttosto che corretta o meno. Per Sholom Levin, un lavoratore molto
impegnato per anni nella stampa clandestina del Bund, il problema essenziale era per il lavoratore
ebreo la mancanza di libertà. A suo parere l’autonomia proposta da Medem poteva essere
realizzata solo in una repubblica democratica. “Ma allora” suggerì Levin “in Russia non sarà
necessaria poiché tutte le libertà saranno garantite”189. Perché allora la risoluzione? Gli ebrei
avevano contribuito alla crescita della cultura spagnola in Spagna; avrebbero contribuito alla
crescita della cultura russa in Russia. L’autonomia non avrebbe fatto nessuna differenza. In sintesi
Levin espresse l’auspicio che le cose evolvessero per conto proprio, sebbene fosse incline,
almeno implicitamente, a favorire un forte avvicinamento tra le nazionalità.
Un altro critico di Medem fu Izenshtat (che a causa del prematuro arresto e successivo
esilio per la prima volta partecipava a un congresso del Bund). Egli si chiese come potessero
essere formulati simultaneamente appelli all’autonomia e alla neutralità. Insistendo sulla
fondamentale relazione tra mezzi e fini, Izenshtat definì questi temi contraddittori, e una porta
verso il nazionalismo. Pur non avendo fatto dichiarazioni precise a tale proposito, egli fu dell’idea
che la socialdemocrazia richiedesse sottomissione alla disciplina di classe, e che l’importante non
fosse un programma nazionale bensì il raggiungimento di un punto di vista proletario in un
contesto nazionale.
In tutti questi dibattiti nessuno mise in discussione l’utilità del Bund allo stadio attuale. Ma vi
furono diverse opinioni sul suo ruolo futuro. Kopelson non vedeva ragion d’essere per il Bund una
volta raggiunta l’uguaglianza dei diritti civili. Una volta venuto meno lo status eccezionale degli
ebrei, questi ultimi avrebbero preso posto nella comunità proletaria internazionale e il Bund
sarebbe scomparso. D’accordo con lui fu Yoina Koigan, attivista delle province del sud, che
affermò che “il Bund esiste soltanto nella misura in cui il proletariato ebraico aspira ad eliminare le
leggi eccezionali e non fa uso della lingua russa”190. Egli negò la continuità del Bund come partito
nazionale una volta conseguiti i diritti civili e appresa la lingua russa. Si differenziò da Kopelson
ammettendo che se tra gli ebrei si fossero sviluppate aspirazioni nazionali, l’autonomia culturale
sarebbe stata necessaria. Al momento, tuttavia, egli non vedeva motivo per insistere in tal senso.

188
Resoconto delle discussioni al Quinto Congresso del Bund, 1903
189
ibidem
190
ibidem

118
Levin da parte sua continuò a negare la validità dell’autonomia; a un certo punto affermò che il
posto dell’autonomia nazionale era occupato dal Bund stesso.
Alla fine l’appello al neutralismo e il perseguimento attivo dell’autonomia nazional culturale
non trovarono sufficiente appoggio per essere approvati. Il Quinto Congresso ribadì le decisioni del
Quarto. Ma a differenza del Quarto Congresso il voto fu parecchio diviso. Questo esito era
facilmente prevedibile data la presenza al Quinto Congresso di un folto gruppo dall’estero
comprendente i più accesi sostenitori della risoluzione, e per il fatto che al precedente congresso
molti delegati non erano sufficientemente preparati sull’argomento.
Tra gli altri sostenitori della linea nazionale vi furono David Katz, che al Terzo Congresso si
era opposto a Mill ma ora difese la cultura nazionale e la lingua yiddish e Portnoy, che nel 1901
aveva respinto l’idea di un lavoro nazionale attivo ma ora ammorbidì la propria posizione. Portnoy
affermò che, data la difficoltà a definire il futuro del Bund, la neutralità non era la risposta. Come
Kosovsky, egli vedeva lo sviluppo nazionale come un processo positivo piuttosto che negativo per
gli ebrei, e l’yiddish come un segno di crescita culturale. Non vi era certezza che l’ordine
democratico borghese, il successivo stadio dello sviluppo politico, avrebbe garantito le culture
nazionali. Perciò l’agitazione per l’autonomia era necessaria adesso, così come l’autonomia
sarebbe stata un tema centrale in futuro.
Al Quinto Congresso il livello emotivo fu molto alto. Erano passati solo due mesi dal
selvaggio pogrom di Kishinev, e l’immagine degli ebrei uccisi, feriti, disonorati e impoveriti era
vivida nelle menti di tutti. Per di più il congresso aveva il compito di preparare l’imminente
congresso del POSDR, che significava confrontarsi con l’agguerrito nuovo gruppo dell’Iskra. Con
queste pressioni, la calma non sempre era possibile. “Per alcuni dei sostenitori dell’autonomia
nazional culturale” ricorda Levin “il rifiuto di qualunque risoluzione fu così tragico che lo accolsero
con le lacrime agli occhi”191.

Il dibattito con gli iskristi. Le risoluzioni del Quarto Congresso sulla questione nazionale
furono criticate sia dagli iskristi che dai sionisti. Dei due gruppi, le critiche che interessarono di più
il Bund furono quelle degli iskristi, poiché provenivano dal campo della socialdemocrazia. Fu
Martov, il vecchio compagno dei primi tempi di Vilna, che aprì la contesa in un articolo sul numero
di agosto 1901 dell’Iskra. Martov affrontò la questione nazionale con cautela. Trattando il tema del
futuro degli ebrei, egli si chiese con retorico disprezzo se vi sarebbero state “comuni
autogovernate” quando la popolazione ebraica avesse raggiunto la maggioranza. In toni più seri
egli criticò “lo sviluppo del nazionalismo” tra i socialdemocratici ebrei dell’Europa occidentale e
della Polonia a partire dal Terzo Congresso del Bund. La volontà del Bund “di spingere il
movimento operaio ebraico nell’angusto canale del nazionalismo” era artificiosa e un grave errore
politico “quando il male più grande che affligge le masse ebraiche in Russia è la politica del
governo, che impedisce il loro avvicinamento alla popolazione circostante”192. A giudizio di Martov,
muovendo verso il nazionalismo il Bund aveva indebolito i propri legami con il movimento operaio
in generale.
Il Comitato Centrale del Bund si affrettò a replicare. In una lettera all’Iskra insieme di
spiegazioni e rimprovero, il comitato respinse il riferimento di Martov alle “comuni autogovernate” e
ribadì che il proprio orientamento era sufficientemente chiaro; lingua, educazione e arte erano
state indicate specificamente come aree di esistenza autonoma; nulla era stato detto
dell’indipendenza territoriale, mentre Martov sembrava intenderla. Il comitato inoltre spiegava la
propria attenzione ai diritti nazionali sulla base del fatto che la questione, una volta emersa, non
poteva essere ignorata: “Può una nazionalità consapevole di se stessa in quanto tale, non solo
riconoscersi apertamente, ma riconoscendo se stessa rinunciare a ciò che considera un diritto di
tutte le nazionalità?”193. Il comitato ammise che erano state le circostanze a spingerlo sul terreno
della questione nazionale, ma affermò che il problema dovesse essere affrontato in ogni caso.
Tuttavia, sottolineò, le risoluzioni non andavano oltre le politiche dei congressi precedenti.
Da questo scambio non fu chiarito quale fosse la posizione dell’Iskra sulla questione
nazionale. Martov si limitò a definire l’emergere del tema come un fatto negativo. Pur lodando
quegli ebrei che lavoravano insieme ai russi, egli evitò ogni riferimento agli ebrei come gruppo

191
Sholom Levin, Unteredishe Kemfer, 1946
192
Iskra, agosto 1901
193
ibidem

119
nazionale. Accettò, come il Bund, l’obiettivo dell’abolizione delle leggi eccezionali. Ma cosa
sarebbe accaduto agli ebrei una volta conseguito questo obiettivo? La risposta di Martov fu molto
vaga: egli parlò di “riavvicinamento”. Per lui il riavvicinamento era l’assimilazione culturale.
Credeva che tutti gli ebrei avrebbero seguito lo stesso corso? Le sue aspre critiche verso quegli
ebrei che non operavano un tale riavvicinamento fanno pensare che lo credesse.
Il caso vuole che proprio contemporaneamente alla critica di Martov l’Iskra pubblicasse un
notiziario sui socialdemocratici polacchi che riportava l’adozione da parte loro di una risoluzione
proponente “la piena autonomia nazionale per i finnici, i polacchi, i lituani e tutti i popoli che
risiedono in Russia”194, insieme a un altro appello all’organizzazione del POSDR su base
federativa. L’Iskra non commentò la notiza.
Dopo questa iniziale schermaglia, l’Iskra rimase sulle sue per circa un anno. Quindi
nell’agosto 1902 pubblicò un lungo articolo sulla linea nazionale del Bund nella propria rivista
teorica, la Zarjà, edita dal Gruppo per l’Emancipazione del Lavoro. L’autore, Eliyahu Davidson,
aveva contribuito a scrivere testi scolastici in yiddish ed era stato vicino ai circoli del Bund a
Berlino, dove aveva lavorato per l’Yidisher Arbeter. Si era unito agli iskristi poco dopo la nascita
della Zarjà.
L’intera argomentazione di Davidson si fondò sull’assunto che la nazionalità non potesse
essere definita in termini di cultura come suggerito dal Bund. “Di fatto” affermò “gli ebrei non hanno
cultura nazionale (se si esclude la religione e alcuni costumi sociali legati ad essa)”195. Davidson
volle riconoscere la necessità di autonomia in determinate condizioni: essa era importante “nella
misura in cui libera un popolo dalla sua condizione di schiavitù”. Ma una nazionalità aveva bisogno
dell’autonomia soltanto “quando ne ha bisogno la sua classe operaia”. La vera questione dunque
era: gli ebrei sono una nazione? Davidson rispondere ripetutamente di no adducendo vari motivi:
come potevano coloro “che non compongono una massa omogenea di popolazione da nessuna
parte ma si ritrovano ovunque a essere minoranza, che non hanno mai avuto un’indipendenza
politica, che tempo fa persero la propria cultura nazionale e sono chiaramente danneggiati dal fatto
che il governo impedisca loro l’accesso alla cultura russa” meritare la qualifica di nazione? Solo i
sionisti, che speravano nella rinascita dell’antica cultura ebraica e nel ristabilimento
dell’indipendenza politica degli ebrei, potevano riconoscere gli ebrei come una nazionalità.
Soprattutto, gli iskristi e i bundisti si confrontarono sul futuro. Davidson riconobbe
l’esistenza di differenze culturali, ma rifiutò di riconoscere che quelle differenze giustificassero
l’autodeterminazione in futuro – come riconosciuto dal manifesto del partito del 1898. Di
conseguenza, per quanto riguardava il futuro degli ebrei, per gli iskristi la risposta implicita era
l’assimilazione. Essi tuttavia indicarono quella via solo come una tendenza auspicabile, non come
un’obiettivo dichiarato. Il Bund tentò di conciliare il carattere democratico della socialdemocrazia
con il diritto di un popolo di mantenere la propria identità se così avesse scelto. Il sostegno al
principio dell’autonomia culturale al Quarto Congresso fu basato su un principio di democrazia, al
pari delle considerazioni nazionali. Il congresso non stabilì che gli ebrei dovessero mantenere la
loro cultura a tutti i costi – la cosa fu lasciata aperta anche al Quinto Congresso. In sintesi, il Bund
espresse l’idea che in linea di principio gli ebrei dovessero mantenere le istituzioni di cui avevano
bisogno per la continuità della loro cultura, mentre gli iskristi essenzialmente respinsero l’idea degli
ebrei come una cultura separata (nazionale), pur ammettendo che certe distinzioni allo stato
attuale sussistevano. Vi fu una sovrapposizione tra queste posizioni, ma le differenze superarono i
punti di coincidenza.
Gli iskristi non furono particolarmente coinvolti nella questione nazionale nella prima metà
del 1903. Sembra che il tema sia stato loro imposto dall’esterno, e che gli articoli dell’Iskra furono
delle reazioni agli eventi. Commentando brevemente un manifesto che annunciava la nascita della
Lega dei Social Democratici Armeni, Lenin ridusse la richiesta armena di una futura repubblica in
una Russia federata alla richiesta di uguali diritti e di autodeterminazione. Egli si augurò di tornare
sulla questione in futuro.
In questo periodo Lenin, come Davidson, riteneva che l’autodeterminazione fosse sotto
condizione. Rispondendo a un attacco dei socialisti polacchi a metà luglio, Lenin chiese: “Il
riconoscimento del diritto delle nazioni all’autodeterminazione implica il sostegno a ogni richiesta di
autodeterminazione da parte di ogni popolo?”. La sua risposta era no. La lotta del proletariato

194
ibidem
195
Zarjà, agosto 1902

120
richiedeva che “noi subordiniamo la richiesta di autodeterminazione nazionale. E’ questa la
differenza tra il nostro approccio alla questione nazionale e l’approccio democratico-borghese”196.
Lenin era per l’unità nel momento presente e per l’autodeterminazione in futuro, per coloro che la
desiderassero. Gli iskristi non intendevano esaminare complessivamente la questione nazionale, o
permettere che un tema che loro consideravano dannoso inteferisse con i loro piani di costruzione
di un partito unitario sotto la loro direzione.

Il dibattito con i sionisti. Inevitabilmente anche i sionisti si confrontarono con i bundisti. Il


sionismo continuò a produrre correnti socialiste e laburiste tra il 1901 e il 1903. Il Bund e i sionisti
laburisti differivano sostanzialmente, sia nell’analisi del presente che nelle previsioni sul futuro. I
bundisti ritenevano che i lavoratori ebrei alla fine avrebbero raggiunto la piena democrazia in
Russia, una possibilità che i sionisti negavano fermamente. Il Bund basava il suo credo sull’idea
marxista di unità proletaria e sull’assunto che in una situazione socialista di giustizia economica,
sociale e politica vi sarebbe stato spazio per le differenze nazionali. Gli esponenti principali del
sionismo, socialisti e non, credevano che le masse ebraiche non avrebbero ottenuto la vera libertà
se non in un loro proprio territorio.
Uno dei sionisti laburisti più noti fu Nachman Syrkin. In un appello ai giovani ebrei (che
apparve proprio nel mese in cui ebbe luogo il Quarto Congresso del Bund) Syrkin presentò il
proprio punto di vista e rispose a quelle che considerava critiche erronee. Il suo attacco più forte fu
contro i sionisti tradizionali, che avevano fatto del sionismo una “Utopia della schiavitù”, privandolo
del suo carattere vitale a causa della loro visione borghese e reazionaria. Secondo Syrikin, il
sionismo era un prodotto della consapevolezza delle masse ebraiche di non avere una
collocazione economica nei paesi altrui, e che esse avrebbero continuato a soffrire la povertà e
l’ingiustizia fino a quando non avessero avuto una patria dove poter vivere la propria esistenza
nazionale in un ordine socialista. In realtà, la realizzazione di questo ideale non sarebbe stata né
facile né rapida. Nel frattempo i sionisti socialisti avrebbero dovuto impegnarsi nella lotta per la
dignità e la crescita materiale – senza tuttavia mai perdere di vista l’obiettivo finale197.
Quanto ai socialisti ebrei insensibili alla causa sionista, Syrkin li considerava vittime di
un’incomprensione fondata sulla loro provenienza sociale di figli di quella borghesia ebraica che si
era sviluppata dopo l’abolizione della servitù della gleba. Essi avevano ripudiato la loro propria
nazionalità per altre culture, ed erano anti-nazionali. Era loro dovere levarsi contro il sionismo
reazionario, e sostenere il sionismo socialista come prospettiva futura.
In un altro articolo Syrkin attaccò la dottrina del Bund dell’autonomia culturale in quanto
assai inadeguata per ogni minoranza nazionale degna di questo nome. Un gruppo di cittadini
senza territorio, in uno stato ove tutte le minoranze nazionali avevano eguali diritti, gli sembrava
una misera base per una vera autonomia nazionale. Senza territorio non vi era possibilità di leggi
civili e politiche; e la stessa storia degli ebrei insegnava che un popolo senza le sue leggi non
poteva aspirare all’autonomia. Nel sistema del Bund la legislazione sarebbe rimasta una
componente estranea. Inoltre, gli ebrei in Russia non erano pronti per l’autonomia nazionale. Essi
non avevano una tradizione di tribunali e amministrazioni autonome su cui far leva: “Come si può
chiedere che la vita sociale venga condotta sulla base della legge ebraica tradizionale?”198. Il
Bund, affermò Syrkin, ingenuamente tentava di applicare l’autonomia nazionale concepita in
Austria perché non aveva ragionato su quanto questa fosse inapplicabile tra gli ebrei. Anche la
cultura russa degli ebrei non era in discussione. Chi ha detto, chiedeva Syrkin, che gli ebrei
volevano usare la lingua yiddish nei loro affari e nei loro negozi? Se il governo avesse permesso
una tale pratica, gli ebrei l’avrebbero intesa come una persecuzione. La crescita del sionismo
indicava che gli ebrei sentivano il bisogno di un’indipendenza nazionale; ed era la lingua ebraica,
così vicina alla storia di quel popolo, che doveva diventare lo strumento per parlare agli ebrei della
loro condizione e della situazione mondiale. L’autonomia nazionale del Bund era una sciocchezza,
una stupidità reazionaria da non prendere sul serio.
I sionisti laburisti concordavano con i loro soci sionisti borghesi nella forte condanna della
cultura allora diffusa tra gli ebrei in Russia. Syrkin e i suoi vedevano nell’yiddish un segno di
degradazione, che doveva essere cancellato: “Dal momento che l’yiddish non è la lingua nazionale

196
Iskra, 15 luglio 1903
197
In Marie Syrkin, Nachman Syrkin, Socialist Zionist: A Biographical Memoir, 1961
198
ibidem

121
ebraica, ma solo una delle sfortunate forme di popolarizzazione della vita ebraica, il lavoro
culturale comporta la sua sostituzione con l’ebraico e le lingue europee, anche nella vita
quotidiana”199. Il sionista Asher Ginsberg (Ahad Haam) indubbiamente si riferiva ai bundisti quando
a un congresso sionista a Minsk nel 1902 disse che “ora c’è un partito tra noi che vorrebbe elevare
l’yiddish al rango di lingua nazionale”. Affermando quindi che “Non c’è nessuna nazione, presente
o passata, di cui possiamo dire che sia esistita prima della sua lingua nazionale”, dichiarava che
“l’yiddish, come tutte le altre lingue che gli ebrei hanno usato in tempi differenti, non è mai stato né
mai sarà considerato altro che un mezzo di comunicazione esterno e temporaneo”200. Per ciò che li
riguardava, per i sionisti l’yiddish era una lingua in via di estinzione. Era un mezzo transitorio, che
avrebbe soltanto portato all’assimilazione.
Anche lo status socioeconomico in evoluzione dell’ebreo rappresentò un motivo di profonda
divergenza tra i bundisti e i sionisti. Nella concezione storica del Bund il destino del lavoratore
ebreo in Russia era legato allo sviluppo del capitalismo. La crescita del capitalismo introduceva le
divisioni di classe nella comunità ebraica; e ciò avrebbe inevitabilmente portato i lavoratori ebrei a
unirsi ai loro fratelli di classe nella lotta comune. Per ora la lotta contro il capitale dei lavoratori
ebrei era innanzitutto una lotta contro gli imprenditori ebrei. Ma in un mondo capitalistico in
espansione, accompagnato dalla crescita della democrazia, i lavoratori ebrei avrebbero avuto
accesso alle opportunità di impiego consentite a tutti i lavoratori in una società democratica
industrializzata.
I sionisti attaccarono il Bund sulla base della distanza tra le sue aspirazioni e la realtà.
Rifiutando l’assunto marxista per cui il Bund prevedeva lo sviluppo di tutto l’Impero e quindi anche
della popolazione ebraica, i sionisti analizzarono la vita economica degli ebrei alle prese con
l’antisemitismo e le leggi speciali. La difficoltà che il lavoratore ebreo aveva di vendere la propria
forza lavoro fu un tema ricorrente della prima letteratura sionista laburista. Un appello ai lavoratori
di Minsk diceva: “Fratelli, possiamo nelle attuali condizioni migliorare la nostra situazione
economica con un fiorino di aumento alla settimana…?”. E benché la lotta economica dovesse
continuare: “Non dobbiamo dimenticare che non andremo lontano…Dobbiamo combattere per
ogni briciola perché abbiamo poco pane, e tutto ciò è dovuto al dramma della Diaspora”201. Non
c’era motivo di attendere la democrazia, perché anche a quel punto per loro le cose sarebbero
andate male. Le speranze del Bund in una solidarietà proletaria erano illusorie. Solo possedendo
un proprio territorio i lavoratori ebrei avrebbero potuto sviluppare una vita piena e produttiva, e
anche dedicarsi all’agricoltura, se avessero voluto, liberandosi così per sempre dello stigma di
“parassiti”.
Il Bund replicò, insistendo che i problemi dei lavoratori ebrei erano dovuti alle carenze della
società vigente, che sarebbero state corrette una volta realizzati gli obiettivi socialisti. Mentre i
sionisti vedevano una classe operaia ancora sotto-sviluppata, composta di artigiani arretrati, il
Bund vedeva un proletariato ebraico in forte crescita. Mentre i sionisti vedevano l’esclusione dei
lavoratori ebrei dalla grande industria come frutto dell’odio nazionale, i bundisti vedevano l’effetto
di un insieme di restrizioni legali che in futuro sarebbero state eliminate. Mentre i sionisti vedevano
l’ostilità tra ebrei e cristiani come una barriera contro il lavoro salariato unitario, il Bund vedeva
solamente la mancanza della coscienza di classe, specialmente da parte dei cristiani che erano
maggiormente succubi dell’ideologia borghese. Mentre i sionisti vedevano l’antisemitismo come
fattore ostile al lavoro ebraico, i bundisti vedevano le restrizioni che impedivano agli ebrei di
lavorare nelle aree industriali al di fuori della Zona, così come una forte coscienza di classe che
rendeva i lavoratori ebrei particolarmente invisi ai padroni (e a tal proposito il Bund sottolineava
che i padroni ebrei, alcuni di loro sionisti, per questa ragione licenziavano i lavoratori ebrei). Una
repubblica democratica avrebbe risolto molte di queste differenze e iniquità. In ultima analisi, era
solo il governo russo che escludeva i lavoratori ebrei dall’industria moderna. In una repubblica
democratica, notò il Bund con sarcasmo, il lavoratore ebreo avrebbe avuto la fortuna di essere
sfruttato con tutti gli altri lavoratori – e la possibilità così di porre fine al proprio sfruttamento.

Alla metà del 1903 le linee generali della posizione del Bund sulla questione nazionale, e
quelle dei partiti più vicini ad esso, erano chiare. Tra il 1901 e il 1903 i bundisti non fecero grandi

199
ibidem
200
In Asher Ginsberg, Selected Essays, 1912
201
Der Arbeter Zionist, 1903

122
passi avanti dal punto di vista teorico. Solo il neutralismo, per il quale la socialdemocrazia era un
possibile strumento per ottenere un futuro nazionale, emerse nella discussione. Con le limitazioni
decise al Quarto Congresso e successivamente spiegate da Kosovsky, il Bund non fu in grado di
andare oltre nell’elaborazione della propria visione del futuro degli ebrei. Ma per quanto fosse
ancora vaga, la linea nazionale pose il Bund sotto un fuoco incrociato. Nonostante l’abisso
ideologico tra i sionisti e gli iskristi, essi condivisero l’idea che la vita ebraica in Russia non avesse
le caratteristiche di una vita nazionale. E’ forse significativo, a questo riguardo, che Davidson e
Syrkin si conoscessero bene e furono anche in contatto a Berlino per un periodo, prima che
Davidson si unisse agli iskristi. Per quei bundisti che appoggiavano la linea nazionale della loro
organizzazione, il futuro stava nello sviluppo della cultura ebraica esistente. Per i loro oppositori, il
futuro indicava la fine di quella cultura – in una probabile assimilazione (per gli iskristi), o
nell’indipendenza nazionale senza il fardello dell’yiddish e della diaspora (per i sionisti).
Il Bund dunque fece fronte ad attacchi provenienti da due direzioni. La via di mezzo da
esso perseguita, una coscienza nazionale ebraica in un più ampio contesto russo, fu accettata con
difficoltà, sia all’interno che all’esterno dell’organizzazione.

123
14. IL BUND E L’ISKRA: I PRIMI CONTRASTI

La disputa con Martov. L’evoluzione del Bund in partito a tutti gli effetti coincise con le
aspirazioni degli iskristi a costruire e dirigere un partito socialdemocratico russo unitario. Non fu
subito chiaro quanto fossero profonde le differenze tra le due organizzazioni, ma dal febbraio
1903, quando i bundisti incontrarono il Comitato Organizzatore dell’Iskra per preparare il Secondo
Congresso del POSDR, entrambi i gruppi diedero luogo a una “guerra di posizione”, e fu chiaro a
tutti che avrebbero seguito strade diverse.
Martov ebbe a criticare il Bund per le altre decisioni del suo Quarto Congresso ancor più
che per la risoluzione sulla questione nazionale. Nello stesso articolo sull’Iskra dell’agosto 1901
egli espresse disappunto per la decisione del Bund di lavorare nel sud, ritenendola una
conseguenza tattica della sua erronea linea nazionale. Egli sottolineò che nel sud “i proletari ebrei
lavorano fianco a fianco, com’è ben noto, con i russi, a supporto delle comuni rivendicazioni del
proletariato russo”, e non avrebbero risposto favorevolmente alla “passione nazionale” del Bund202.
Egli criticò anche la decisione del Bund di rivedere il rapporto con il POSDR. Un cambiamento così
fondamentale non poteva avvenire unilateralmente, disse Martov, poiché avrebbe condizionato
l’intero partito. Gli sembrava che il linguaggio adottato (“il Bund…dovrebbe entrare come una parte
federata”) indicasse il tentativo di presentare al partito un fait accompli, e dunque che l’azione del
Bund fosse chiaramente illegale.
Replicando a quest’ultima accusa, il Comitato Centrale del Bund imputò a Martov di creare
incomprensione, e di palese inaccuratezza. Egli non aveva letto la risoluzione per intero; se
l’avesse esaminata a fondo, la questione dell’organizzazione del partito non sarebbe mai emersa.
Ciò che Martov non diceva era che il Bund intendeva “presentare una mozione al successivo
congresso del partito” sulla federazione. Effettivamente, se il Bund avesse tentato per conto suo di
federare il partito, avrebbe agito illegalmente. Per come stavano le cose, il solo ambito in cui il
Bund poteva prendere in considerazione una modifica era il rapporto tra il suo Centro Estero e le
organizzazioni socialdemocratiche russe all’estero.
Ancora, il Comitato Centrale rilevò come fastidioso il tono dell’Iskra. Seccamente ricordò ai
russi che il Bund rendeva conto soltanto al Comitato Centrale del partito o ai congressi di partito,
non alle organizzazioni che ne facevano parte – “e ancor meno ai gruppi la cui appartenenza al
partito…non esiste se non sul frontespizio della loro pubblicazione”203. L’Iskra non aveva il diritto di
agire come pubblico ministero nei confronti del Bund, affermò il Comitato.
Dietro la disputa vi era la questione dell’organizzazione del partito. Gli iskristi, con la loro
propria tabella di marcia, avevano chiarito fin dal 1900 la loro opposizione a qualunque passo
autonomo verso la riunificazione del partito. Essi temevano le risoluzioni del Bund dal medesimo
punto di vista. Il mutamento strutturale proposto dal Bund accresceva la possibilità di
frammentazione e allontanava le prospettive per il tipo di unificazione che essi avevano in mente.
La questione era altrettanto cruciale per il Bund. Poiché esso già svolgeva la gran parte delle
attività che voleva incorporare nella struttura del partito, essenzialmente ciò che chiedeva era un
riconoscimento ufficiale di una situazione di fatto, e l’estensione degli stessi diritti all’intero campo
della socialdemocrazia.
Le spiegazioni del Bund e la replica di Martov temporaneamente calmarono gli animi da
entrambe le parti. Quest’ultimo tuttavia non rimase soddisfatto sulla questione dell’organizzazione.
Ribadendo il proprio timore di azioni unilaterali, egli fece notare che gli accordi federativi tra il Bund
e l’Unione all’Estero erano un esempio di come il Bund avrebbe potuto trarre vantaggio dalla
debolezza del partito per mutarne la posizione; di certo qui le critiche erano fondate.
Il primo scambio di battute finì in questo modo. Nessuno dei contendenti aveva pronti dei
programmi che spingessero allo scontro aperto. Il sono terreno di attrito possibile era nella Russia
meridionale, dove entrambe le organizzazioni stavano cercando di costruire un seguito. All’estero,
il campo socialdemocratico russo era in tumulto, e non in grado di procedere verso l’unità.

202
Iskra, agosto 1901
203
Iskra, settembre 1901

124
Ciononostante, la disputa sull’organizzazione fu una costante delle future battaglie tra l’Iskra e il
Bund, e fu in questa fase che il terreno dello scontro iniziò a delinearsi.
Tentativi di dialogo all’estero. In realtà, all’epoca a parte lo scambio di battute le due
organizzazioni prestavano poco tempo e attenzione alla questione delle relazioni reciproche.
Ciascuna seguiva la propria strada nel movimento socialdemocratico russo. Molto più grande era
lo scontro tra le principali fazioni russe in Europa occidentale (l’Unione all’Estero e l’organizzazione
rivoluzionaria Sozialdemocrat, creata da Plechanov nel maggio 1900 dopo l’aspro scontro al
Secondo Congresso dell’Unione). All’inizio del 1901 un gruppo di Sozialdemocrat di Parigi, di cui
facevano parte David Rjazanov e I.M.Steklov, cercò di colmare le differenze, convocando un
incontro come passo preliminare per la riunificazione.
Gli iskristi si mossero con prudenza, valutando i pro e contro della proposta: essi erano
ancora lungi dall’avere una solida organizzazione. Ancora nel maggio 1901 Lenin trovava il gruppo
in un deplorevole stato di debolezza. E il mese successivo Akselrod descrisse gli iskristi come “un
talentuoso gruppo di letterati…privi di qualunque seguito o base operativa all’estero”. Egli difese il
gruppo dell’Iskra dal Bund, per il quale nutriva poca stima, ma fu costretto ad ammettere che
quest’ultimo era “un’organizzazione attiva, all’estero e in Russia”204. In confronto all’Iskra, il Bund
appariva un’organizzazione collaudata.
Date le circostanze, gli iskristi non vollero inimicarsi gruppi potenzialmente amici come
quello di Parigi, o rinunciare alla speranza di ottenere l’appoggio del Bund. Lenin nell’aprile del
1901 scrisse ad Akselrod che i parigini erano scontenti per gli attacchi all’Unione all’Estero. Dal
momento che uno dei temi principali degli iskristi era la necessità di unire le forze, non potevano
lasciare che si dicesse che si erano rifiutati di partecipare a un incontro per migliorare le relazioni
tra i gruppi socialdemocratici. Di conseguenza decisero di partecipare, rispondendo come avevano
fatto l’anno prima a una proposta di incontro a Smolensk. Si sentivano in ogni caso abbastanza
tranquilli in quanto pensavano che l’incontro avesse poche possibilità di successo.
Una conferenza preliminare ebbe luogo a Ginevra nel giugno 1901, pochi mesi prima dello
scontro verbale tra Martov e il Comitato Centrale. Gli iskristi furono amichevoli col Bund. Presero in
considerazione l’idea di contestare la presenza del Bund all’incontro sulla base che esso era
un’organizzazione autonoma solo per ciò che riguardava le questioni ebraiche, ma alla fine
decisero di non sollevare tale “casus belli”.
Gli iskristi avevano seguito con grande interesse i movimenti in seno ai vari gruppi
socialdemocratici all’estero. Akselrod, per esempio, ritenne importante avvertire i propri compagni
a Monaco nel maggio 1901 che il nuovo giornale in russo del Bund, Posledniia Izvestiia, era
pubblicato a nome del Bund e non dell’Unione, ipotizzando che ciò fosse un segno di debolezza
dell’Unione. All’incirca nello stesso periodo Martov scrisse al suo vecchio amico Kremer nel
tentativo di persuaderlo della correttezza della linea dell’Iskra. Con un poco di amarezza egli
riconobbe che i due non erano più nello stesso campo ma espresse la speranza che la
comunicazione sarebbe proseguita. Kremer, Mill e Kosovsky parteciparono all’incontro di Ginevra.
A Kosovsky Martov parve essere più distante di prima, non amichevole ma comunque corretto,
persino formale. L’Iskra nutriva ancora la speranza di convincere i bundisti, nonostante le relazioni
in via di deterioramento.
La conferenza di Ginevra produsse un accordo per un incontro ufficiale da tenersi
nell’autunno. Ma vi fu un nuovo, improvviso sviluppo poco prima che quel cosiddetto Congresso di
Unificazione avesse luogo. Riunitosi proprio pochi giorni prima dell’appuntamento stabilito, il Terzo
Congresso dell’Unione all’Estero modificò lo schema di accordo preso a Ginevra; nel contempo il
Raboceie Dielo pubblicò alcuni articoli che gli iskristi considerarono come un rifiuto degli accordi di
Ginevra. Gli iskristi si erano riservati la possibilità di proporre proprie modifiche al documento di
giugno, e le mosse dell’Unione li incoraggiarono a utilizzare questa opportunità.
Forse la principale causa del peggioramento delle relazioni tra l’Unione all’Estero e l’Iskra
fu la crescente popolarità di quest’ultima. Dopo un viaggio in Russia alla metà del 1901, K.I.
Cederbaum, sorella di Martov, tornò in Europa riportando che il nuovo organo aveva acquisito
l’interesse di diverse organizzazioni. Secondo uno dei mediatori, Steklov, a ottobre quando il
Congresso di Unificazione ebbe luogo a Zurigo Lenin aveva ricevuto riscontri secondo i quali
l’Iskra stava andando bene e dunque non vedeva alcun bisogno di unirsi all’Unione.

204
Lenin, Opere complete (ed. russa)

125
Al Terzo Congresso dell’Unione il Centro Estero del Bund e l’Unione stessa senza
particolari discussioni raggiunsero un nuovo accordo di collaborazione coerente con la risoluzione
del Quarto Congresso del Bund. L’accordo era sotto condizione, subordinato all’approvazione di
entrambe le parti. I due gruppi stipularono un accordo paritario, e concordarono di non entrare in
federazioni separate di altri gruppi socialisti russi all’estero.
Gli iskristi non reagirono a questa sfida. Di fatto a Zurigo, così come a Ginevra, fecero ben
pochi sforzi per sollecitare l’appoggio del Bund. I bundisti parteciparono a Zurigo come osservatori
e non presero parte alla discussione. Apparentemente gli iskristi si sarebbero accontentati di
neutralizzare il Bund distaccandolo dall’Unione.
Alla fine al Congresso di Unificazione di Zurigo gli iskristi ruppero con l’Unione all’Estero, e
formarono una nuova organizzazione, la Lega della Socialdemocrazia Rivoluzionaria Russa
all’Estero. Quanto poco Lenin e Martov fossero preoccupati della collaborazione tra Bund e Unione
traspare da una conversazione privata che ebbero con rappresentanti del Bund. Essa ebbe luogo il
giorno dopo il drammatico abbandono del meeting di Zurigo da parte degli iskristi. Lenin espresse
incredulità per il fatto che il Bund fosse rimasto così a lungo legato all’Unione, che aveva giocato
un ruolo così negativo nel movimento socialista, e chiese come si ponevano i bundisti di fronte ai
cambiamenti sopraggiunti. Gli sembrava che il Bund si sarebbe screditato a rimanere nell’Unione.
Rispondendo a nome del Bund, Kremer ricordò agli iskristi che l’Unione era ancora il
rappresentante ufficiale nel POSDR e il Bund sarebbe rimasto con essa finchè un congresso di
partito non avesse deciso altrimenti. Non vi furono ulteriori discussioni.
Accordi e disaccordi in Russia. Le relazioni tra il Bund e l’Iskra peggiorarono anche in
Russia, ma non così chiaramente come in Europa. La reazione dell’Iskra alle risoluzioni del Quarto
Congresso del Bund segnò i rapporti già non facili tra le due organizzazioni. Sergej Cederbaum
aveva continuato a lavorare con Portnoy per l’aiuto nella distribuzione della stampa, ma quella
collaborazione si interruppe dopo lo scontro sull’Iskra dell’agosto-settembre 1901. Gli iskristi
chiesero che i bundisti seguissero il loro esempio, rompessero con l’Unione e sostenessero l’Iskra
come organo ufficiale della socialdemocrazia. I bundisti si rifiutatono, e i negoziati Cederbaum –
Portnoy finirono.
Ma i legami personali non furono rotti facilmente. Di fatto, sia prima che dopo, le differenze
organizzative talvolta erano sfumate. Dice Osip Piatnitsky:

Se qualcuno mi avesse chiesto a quale organizzazione socialdemocratica appartenevo, non


sarei stato in grado di rispondere con precisione…Nell’estate del 1901, quando ero già
strettamente collegato all’organizzazione dell’Iskra e infatti per quello mi trovavo a Kovno, i
bundisti di là mi chiesero di prendere parte all’organizzazione e alla direzione di uno sciopero
operaio…naturalmente accettai205.

In molti casi, gli amici e i parenti cercavano di convivere con le differenze ideologiche. I
fratelli Goldman, per esempio, seguirono percorsi rivoluzionari differenti senza che ciò provocasse
una rottura familiare. Quando Leon Goldman si orientò verso gli iskristi al ritorno dall’esilio nel
1901, suo fratello più giovane Mark Liber cercò di convincerlo a non contrastare il Bund. Più tardi,
nel 1903, Goldman avrebbe provato a giungere a un compromesso tra le due organizzazioni.
I bundisti all’estero, nel frattempo, si sentivano sempre più isolati. Nell’autunno del 1901
Kremer scrisse amaramente a Leon Bernstein: “Le cose qui in generale vanno male; abbiamo
pochi mezzi e ancor meno energie”206. Dopo questa lamentela, si fece ancora più cupo:

Tu sai che l’Iskra si è levata apertamente contro di noi; altri probabilmente la seguiranno, forse
anche l’Unione.
Non ho la minima idea della situazione in Russia. L’Unione non mi scrive. Se ci sarà un
congresso dell’Unione, o una conferenza di tutti i gruppi, io non lo so, e gli altri compagni
neppure.207

205
Osip Piatnitsky, Zapiski Bol’shevika, 1956
206
Arkady Kremer, Arkady: Zamlbukh tsum andenk fun Arkady Kremer, 1942
207
ibidem

126
Il fatto che il Raboceie Delo non pubblicasse più notizie sul movimento ebraico lo turbava
molto. “E’ significativo che improvvisamente non vi sia più spazio per un resoconto, mentre prima
lo spazio c’era sempre. E’ segno dei tempi. Non è forse un secondo “punto di svolta storico”208?”.
Le parole di Kremer riflettono la sua concezione del Bund come organizzazione definita, che
voleva mantenere un’identità separata ma desiderava e necessitava di lavorare entro l’ambito di
un partito più generale. Sebbene il Bund cercasse di tutelare la propria posizione proponendo una
forma organizzativa federata, esso si rivolgeva al movimento in generale, e voleva un partito
rappresentante dell’intero proletariato. Invece gli iskristi sembravano accontentarsi di cercare
l’appoggio del Bund e, mancando quello, di emarginare questo alleato dei loro principali
antagonisti in Russia.

La Conferenza di Bialystok. Nonostante il fiasco di Zurigo, le necessità rivoluzionarie


pratiche e l’evidente utilità della cooperazione andarono oltre i disaccordi pure esistenti tra i
socialdemocratici russi. Inoltre per i bundisti l’unificazione appariva ancor più auspicabile, non solo
in sé ma anche come mezzo per comporre le differenze – cosa che invece gli iskristi trovavano
riprovevole.
Le speranze del Bund per un POSDR riunificato non morirono con il fallimento di Smolensk
nel 1900, e neanche dopo i successivi insuccessi. E’ di un certo interesse rispetto allo sviluppo del
Bund come partito notare che nel 1900 e all’inizio del 1901 i bundisti fossero inclini a partecipare a
tentativi di unificazione su base regionale, un’idea diffusa all’epoca. Alla fine il Bund si risolse a
convocare autonomamente un congresso del POSDR. Spiega Rosenthal:

Il successo del Quarto Congresso del Bund ci aveva entusiasmato, ed eravamo convinti di
essere in grado di organizzare il congresso…Pensavamo che se avessimo realizzato
quell’obiettivo, cosa che nessuno era riuscito a fare sinora, e se il congresso fosse riuscito a
creare un centro unificante – un comitato centrale autorevole – forse sarebbe stato possibile
creare un fronte socialdemocratico unito, e le inimicizie e le dispute faziose sarebbero
cessate.209

Il Comitato Centrale decise che l’assise si sarebbe svolta a Bialystok per poter
sovraintendere ai dettagli tecnici, una questione di grande importanza alla luce dell’esperienza
negativa del Primo Congresso del POSDR. I preparativi concreti per l’assise iniziarono alla fine del
1901. Poco, dopo, nel gennaio 1902, Portnoy si recò nelle province meridionali e Zeldov in quelle
del nord per estendere gli inviti. Nel frattempo Rosenthal fece i preparativi a livello locale, trovando
una coppia fidata per affittare i locali adatti all’incontro. Alcune organizzazioni fecero delle
donazioni per far fronte alle spese del Bund.
Il Centro Estero e l’Unione all’Estero presero i contatti necessari in Occidente. Come ci si
attendeva, gli iskristi accolsero la proposta di congresso con distacco. Nadezda Krupskaja (moglie
di Lenin) scrisse che “nessuno prese sul serio il tentativo del Bund di convocare un congresso a
Bialystok”210. Altrove ella liquidò le manovre del Bund come un tentativo di guadagnare vantaggio
sull’Iskra, la cui posizione sicuramente col tempo si sarebbe rafforzata. Plechanov considerò
l’intero affare come un puro e semplice intrigo.
L’atteggiamento di Lenin verso l’incontro smentì lo scetticismo della Krupskaja. Egli lavorò
duro per prepararsi all’evento. Nel suo commento egli definì il tentativo prematuro e sottolineò che
l’agenda conteneva tracce di economismo ed era carente nei principi. Ma, sempre realista, Lenin si
rese conto di non poter impedire l’incontro. Di conseguenza, fece una proposta: che l’incontro
fosse solamente una conferenza per preparare un congresso di partito su larga scala da tenersi
pochi mesi dopo, e per creare un comitato organizzatore che facesse i dovuti preparativi.
Nonostante i sostanziosi progressi, l’Iskra non era ancora in grado di costruire il partito
autonomamente, e troppo debole per bloccare i tentativi iniziati da altri.
Alla fine solo pochi delegati provenienti da un numero limitato di situazioni parteciparono
all’incontro di Bialystok dell’aprile 1902. Vi furono Portnoy e Rosenthal in qualità di ospitanti del
Comitato Centrale del Bund; Kremer per il Centro Estero; V.P. Krasnukha e il bundista Zeldov per
il Comitato di Pietrogrado del POSDR; A.O. Yermansky dell’Unione dei Comitati del Sud; F.I.

208
Si riferisce al titolo dell’edizione del discorso di Martov del Primo Maggio 1895.
209
Pinai Rosenthal, Der Bialystoker Period in Leben fun Bund, 1921
210
Miscellanea di Lenin (ed. russa)

127
Schipulinsky del Comitato di Ekaterinoslav; M.G. Kogan dell’Unione all’Estero; e Fiodor Dan
dell’Iskra. Partecipò anche un delegato di Niznij-Novgorod, A.I. Piskunov, ma se ne andò prima e a
quanto pare non partecipò alle votazioni.
L’assise fu piuttosto amichevole. Gli iskristi senza molta difficoltà ottennero il loro scopo
principale, poiché l’incontro era stato qualificato come conferenza; erano rappresentati troppo
pochi comitati perché lo si potesse considerare un congresso. I delegati ratificarono all’unanimità
quella decisione. In questo modo gran parte dell’agenda fu abbandonata. I delegati si limitarono a
formulare una dichiarazione di principio, una dichiarazione per il Primo Maggio e creare un
Comitato Organizzatore per il successivo congresso.
La condotta dei delegati espresse le differenze in seno alla socialdemocrazia, anche se il
desiderio di unità emerse a sua volta. Quando Dan propose una dichiarazione di intenti fortemente
sbilanciata sugli obiettivi politici, i bundisti si opposero, così come tutti gli altri delegati tranne quello
di Ekaterinoslav, che si astenne. Ma quando l’Unione del Sud fece una proposta pesantemente
orientata verso l’azione economica di massa, tutti gli altri delegati si spostarono dall’altra parte
della bilancia. La conferenza allora temporaneamente virò verso la versione presentata dal
Comitato Centrale del Bund, che sottolineava l’organizzazione militante di partito e la lotta
economica ma lasciava spazio per tutti i tipi di attività rivoluzionaria. L’Unione del Sud e l’Unione
all’Estero riuscirono ad ammorbidire la formulazione con un emendamento che dispiacque sia al
Bund che all’Iskra. Dan rifiutò di accettare la risoluzione nella sua nuova forma.
In generale il Bund fu molto vicino all’Iskra nelle posizioni espresse alla conferenza. Su
dieci proposte, il Comitato Centrale e il Centro Estero del Bund votarono insieme all’Iskra per sei
volte, mentre si astennero o si opposero in quattro casi. Dan scrisse all’Iskra immediatamente
dopo la conferenza riportando che “Aleksander (Kremer) mi ha appoggiato, soprattutto nelle
questioni di principio, e talvolta anche il Comitato Centrale del Bund”211. Ma ciò non implicava certo
calorosa amicizia.
Il Bund fu il più incline a raggiungere una posizione di compromesso alla conferenza. I
bundisti intendevano sostenere la militanza e la lotta politica unitaria, riflettendo in ciò la propria
forte inclinazione in quelle direzioni. Il compromesso era nell’aria. Anche Dan non fu così radicale
come i suoi compagni all’estero. Egli probabilmente si accontentò dell’obiettivo principale – la
dilazione del congresso vero e proprio.
Dopo aver concordato di pubblicare un opuscolo a nome del partito in occasione del Primo
Maggio, la conferenza scelse il Comitato Organizzatore (OC): Dan, Yermansky e Portnoy. Le
fazioni estreme (Iskra e Unione del Sud) e quella intermedia (il Bund) avevano ricevuto
rappresentanza.
La conferenza ebbe un finale disgraziato. Replicando gli eventi del marzo 1898, la polizia
pedinò alcuni delegati fino a Bialystok e li arrestò poco dopo la conclusione dell’assise. Tra essi vi
furono Rosenthal e alcuni attivisti locali del Bund che avevano lavorato alla preparazione
dell’incontro, e anche due dei tre membri dell’OC, Dan e Yermansky. Il terzo, Portnoy, riuscì a farla
franca.
Ma la conferenza aveva previsto la possibilità della repressione poliziesca ai danni del
lavoro dell’OC, stabilendo che se il comitato fosse stato arrestato “la sua ricostituzione sarebbe
stata dovere di tutti i membri della conferenza”.
Verso il Congresso del POSDR: le manovre di Lenin. Il destino dell’OC dopo l’incontro
di Bialystok fu molto significativo per le relazioni del Bund con l’Iskra e per la storia della
socialdemocrazia russa. Gli iskristi furono informati dei lavori tramite Dan, che riuscì a spedire un
resoconto prima di essere arrestato. Quando Kremer ritornò in Europa coi documenti della
conferenza, si offrì di dare agli iskristi un proprio resoconto personale, ma questi rifiutarono. Invece
gli chiesero informazioni sui membri dell’OC e su come comunicare con loro.
Convinti della necessità di ricostituire il POSDR autonomamente, gli iskristi si resero conto
che il Bund rappresentava un grosso ostacolo per i loro piani. Non solo aveva giocato un ruolo
importante a Bialystok, ma il suo rappresentante nell’OC era ancora in libertà. Impossibilitati ad
aggirare il Bund, gli iskristi potevano solo attendere e assecondarlo temporaneamente. Apprese le
regole stabilite alla conferenza, essi decisero di agire in modo da ricostituire l’OC in una forma a
loro più favorevole. Per ottenere ciò dovevano lavorare silenziosamente, cercando di guadagnare
credito presso i vari comitati russi prima di contattare il resto dei legittimi partecipanti.

211
S. Valk, K istorii Belostokstoi Konferentsii 1902 goda, 1930

128
Il 23 maggio la Krupskaja comunicò a un iskrista di Samara, Fridrikh Lengnik, che il
bundista dell’OC era sfuggito all’arresto e si stava recando da lui: “Dovrai dedicarti alla
preparazione del congresso insieme a lui” dichiarò “ma è necessario essere diplomatici con lui e
non scoprire tutte le tue carte”. Lenin aggiunse una nota, rivelando fin troppo chiaramente il proprio
intento:

Il tuo impegno è di formare un comitato per conto tuo per preparare il Congresso, includere il
bundista in questo comitato (circondandolo da tutti i lati, NB!), inserire i nostri in quanti più
comitati locali possibile, stando attenti a non essere arrestati fino al Congresso…Sii astuto
come un serpente e gentile come una colomba (coi comitati, col Bund e con Pietrogrado)212.

Gli iskristi non furono esenti da inganni. Il 22 giugno Lenin suggerì a Ivan Radchenko, uno
dei suoi agenti a Pietrogrado, di dare a Zeldov una falsa impressione: “Converrebbe dire che avete
già organizzato questo comitato (l’OC) e che sareste lieti di avere la partecipazione del Bund”. Allo
stesso tempo, Lenin raccomandò a Radchenko di stare attento a non suscitare critiche. Un mese
dopo egli diede a Radchenko istruzioni più specifiche: “Con il Bund, siate estremamamente cauto
e fermo. Non mostrate le vostre carte: lasciate che esso sbrighi le sue cose e non permettete che
ficchi il naso nelle questioni russe. Ricordate che è un amico inaffidabile (e forse un nemico)”.
Lenin aveva in mente un OC composto solo da russi: G.M. Krizhanovsky, “uno dei nostri” del sud e
Radchenko.
Nel frattempo le organizzazioni all’estero cercarono di creare una sezione estera dell’OC,
come stabilito alla conferenza di Bialystok. Su iniziativa dell’Unione all’Estero, a tale scopo si
svolse un incontro a Parigi nel luglio 1902. Martov rappresentò l’Iskra, N.N. Lokhov l’Unione, e
Kremer il Bund. Una volta apprese le proposte formulate a Parigi, Lenin le respinse tutte, poiché gli
sembrava che danneggiassero il lavoro dell’Iskra in Russia. Più specificamente, egli non voleva
che una sezione estera dell’OC avesse a che fare con la composizione del futuro congresso, o i
problemi che questo sarebbe andato a trattare. Una sezione estera composta da oppositori, in
grado di fare preparativi concreti, non era certo gradita a Lenin. La sua replica fu di non far
partecipare i rappresentanti dell’Iskra alle discussioni di inizio agosto, con la scusa che l’OC in
Russia non era ancora pronto. Gli iskristi in Russia infatto stavano lavorando alacremente a
quell’obiettivo, per il quale avevano febbrilmente lavorato nei mesi passati. Quando a novembre
l’OC fu finalmente composto, Lenin diede istruzioni al proprio agente P.A. Krasikov di comunicare
all’OC russo che il lavoro del suo corrispettivo all’estero non era importante. In seguito, al Secondo
Congresso del POSDR, il portavoce dell’Unione all’Estero, Vladimir Akimov, affermò che gli sforzi
di creare una sezione estera non erano stati sostenuti dai “compagni russi”. Questi ultimi,
strettamente legati all’Iskra, si opposero a qualunque ruolo significativo della sezione estera.
Mentre l’Iskra lavorava per la creazione di un OC vicino alla propria linea, il Bund in Russia
attraversò un periodo di difficoltà. Del Comitato Centrale solo Portnoy era in libertà e aveva dovuto
lasciare Bialystok, sede del Comitato stesso. Inoltre fu in quell’anno 1902 che l’attività di Zubatov
raggiunse il culmine e il sionismo iniziò a prendere piede seriamente. La crescente propensione al
terrorismo di una parte dei bundisti, i grossi problemi di riorganizzazione interna, le continue
preoccupazioni sulla questione nazionale, insieme all’attività editoriale quotidiana, impegnarono a
tal punto il Bund da impedire loro di partecipare alla ricostruzione dell’OC. In ogni caso, il grosso
del lavoro per quello andava fatto al di fuori della Zona.
E’ difficile stabilire quanti contatti vi furono tra il Bund e gli iskristi dopo l’aprile 1902. Zeldov
e Portnoy erano le due persone più indicate a occuparsi dell’OC, poiché erano stati presenti alla
conferenza di Bialystok. Mentre era all’estero nel giugno del 1902, Zeldov fu indirizzato da Lenin a
incontrare Radchenko a Pietrogrado. Non è chiaro se i due si videro davvero; poiché mancano
resoconti sull’incontro, è probabile che questo non si svolse. In ogni caso Zeldov fu arrestato in
ottobre. Portnoy non si unì all’OC prima che esso fosse composto.
Le manovre dell’Iskra per ricomporre l’OC iniziarono il 15 agosto, quando alcuni delegati
delle organizzazioni iskriste incontrarono Lenin a Londra. La Krupskaja scrisse in una lettera
inviata a Radchenko a Pietrogrado: “Rappresentanti del Bund e del sud si uniranno al comitato, ma
più tardi. Per ora l’OC verrà considerato come non ancora formato, e nessuno tranne noi lo
conosce. E’ composto esclusivamente da nostri militanti”213.

212
Miscellanea di Lenin (ed. russa)
213
ibidem

129
L’incontro formale per comporre l’OC ebbe luogo a Pskov all’inizio di novembre. Si trattò di
un’assemblea molto diversa come composizione da quella di Bialystok. Solo tre delle sette
organizzazioni presenti allora furono di nuovo della partita. Due delle tre (L’Unione del Sud e il
Comitato di Pietrogrado) si erano pronunciate in favore dell’Iskra prima del meeting; il terzo fu
l’Iskra stessa. Vennero delegati da Samara, Kiev e dall’Unione del Nord, che non erano state
rappresentate a Bialystok. Non c’erano gruppi esteri. Inutile a dirsi, il risultato fu un incontro
totalmente in armonia con le vedute dell’Iskra. Come nota Lepeshinsky: “Grazie all’assenza
dell’opposizione (la rappresentanza del Bund di sicuro avrebbe avuto da ridire su tutto), la
conferenza risolse le questioni più importanti in un unico giorno”214.
La convocazione della conferenza di Pskov aprì una nuova e più seria fase di
recriminazioni tra il Bund e l’Iskra. In realtà gli iskristi non avevano intenzione di tenere il Bund fuori
dall’OC per sempre; volevano semplicemente controllarne la composizione e la struttura. Essi per
esempio adottarono il sistema della cooptazione per garantirsi il massimo risultato. La conferenza
di Pskov stabilì di informare il Bund degli esiti e di invitarlo a unirsi. Ma quella che sembrava una
questione semplice si rivelò essere un vaso di Pandora. Riportando gli sviluppi a Lenin, E. Ia.
Levin di Samara, membro del nuovo OC, sottolineò che all’incontro non c’erano rappresentanti del
Bund, sottointendendo che l’invito al Bund doveva essere fatto prima della conferenza. In ogni
caso, è certo che l’OC formatosi a Pskov invitò il Bund a unirsi ad esso, incaricando Krasikov di
discutere la questione con Portnoy. In seguito, il rapporto ufficiale dell’OC al Secondo Congresso
del POSDR affermò che il Bund aveva espresso la volontà di entrare nell’OC, chiedendo solo di
poter partecipare anche alla firma e all’edizione della dichiarazione che annunciava la
ricostituzione dell’OC, come compensazione per l’assenza a Pskov. Krasikov aveva accettato
queste condizioni. L’OC però non diede seguito a ciò e il Bund non ebbe spazio nella
dichiarazione, che fu fatta sull’Iskra del gennaio 1903. Affermando che il Bund era stato invitato a
Pskov “ma per motivi a noi sconosciuti”215 non si era presentato, la dichiarazione espresse la
speranza che questa assenza fosse fortuita e che presto il Bund avrebbe inviato una
rappresentanza.
Quando la conferenza di Pskov e la formazione del nuovo OC furono rese pubbliche, il
Bund reagì aspramente. Criticò sia la versione dei fatti presentata nella dichiarazione che le ragioni
degli iskristi. Il Comitato Centrale, pur ammettendo la possibilità di un fraintendimento nelle
comunicazioni, espresse il massimo dissenso per i tentativi inadeguati dell’Iskra nell’informare il
Bund dei suoi programmi. Il Centro Estero, in una dichiarazione separata, lasciò intendere che
l’OC sapesse i motivi dell’assenza del Bund ma che stesse cercando di creare l’impressione che il
Bund fosse indifferente alla ricostituzione del partito. Alla luce della confusione intorno alla
conferenza di Pskov, trovava la pubblicazione della dichiarazione particolarmente riprovevole. Il
Comitato Centrale aggiunse che la questione dell’annuncio era stata discussa con un delegato
dell’OC, il quale in seguito non si era ripresentato se non quasi un mese dopo. Nonostante tutto, il
Comitato Centrale affermò di essere pronto a unirsi al nuovo OC.
Sia l’Iskra che il suo agente Krasikov si difesero. L’Iskra sostenne che l’annuncio era stato
fatto in assoluta buona fede; e Krasikov affermò che il Bund sapeva che forse non avrebbe
ricevuto il testo prima della pubblicazione e non aveva posto la questione come condizione sine
qua non. La discussione pubblica sull’OC terminò a questo punto.
Un rappresentante del Comitato Centrale, probabilmente Portnoy, inviò una lettera all’Iskra,
che non fu pubblicata. In essa il comitato affermò che la spiegazione di Krasikov era falsa e
puramente fantasiosa. In una parola, la lettera suggeriva che il Bund fosse stato truffato. E’ da
notare che anche alcuni iskristi percepirono che Krasikov si fosse comportato male – al punto che
Lenin fu costretto sulla difensiva, a difendere il proprio agente e insieme ad ammettere le sue
mancanze.
I dirigenti del Bund decisero in un incontro a Dvinsk di entrare nell’OC, e così fecero
quando quest’ultimo si incontrò la volta successiva, a Orel nel febbraio 1903. Qui i contrasti furono
sopiti; Portnoy ritirò l’insinuazione di scorrettezza premeditata, e Krasikov e i promotori della
conferenza di Pskov accettarono di condividere la responsabilità delle incomprensioni. Il rapporto
dell’OC al Secondo Congresso, una spiegazione ufficiale degli eventi formalmente accettata dal
Bund, descrisse come puro caso la mancata ricezione da parte del Bund dell’invito a Pskov e la

214
P. Lepeshinsky, Na Povorote, 1935
215
Iskra, 15 gennaio 1903

130
pubblicazione della dichiarazione senza la sua firma. Accettare quella spiegazione non significava
necessariamente esserne soddisfatti. I bundisti semplicemente riconobbero che nulla poteva
annullare ciò che era stato definito a Pskov.
Una volta che il Bund fu entrato nell’OC, fu fatto il possibile per porre fine alla disputa,
anche se ciò non limitò le discussioni tra gli iskristi e i bundisti su altre tematiche. La conclusione
ufficiale dell’affare fu sancita da una dichiarazione del 13 marzo 1903216, nella quale l’OC deplorò
l’incidente come un totale disguido. L’OC non intendeva estromettere il Bund, e il Bund non
intendeva sottovalutare le attività dell’OC. A tutte le organizzazioni fu chiesto di astenersi da
ulteriori dichiarazioni sulla questione dell’OC. Portnoy, ora membro dell’OC, fu d’accordo e
aggiunse che il Bund non avrebbe replicato alle affermazioni dell’OC pubblicate dall’Iskra. In
questo modo la faccenda fu chiusa.
La fine della questione OC fu anche la fine della prima fase dei preparativi per il Secondo
Congresso del POSDR. Il fallimento nella convocazione di un congresso e un OC con una forte
rappresentanza di socialdemocratici russi rivelarono i limiti del Bund di fronte ai mutamenti in corso
nella socialdemocrazia russa. I problemi del 1902 avevano attirato l’attenzione dei dirigenti bundisti
verso l’interno del Bund. Per di più, in un periodo di crescente fermento delle forze rivoluzionarie in
Russia esso non aveva la possibilità di influenzare granchè gli avvenimenti al di fuori della Zona.
Così, nell’organizzazione del Secondo Congresso del POSDR il Bund perse il ruolo che un tempo
aveva avuto. D’ora in avanti egli fu spinto sempre più sulla difensiva nell’ambito del campo
socialdemocratico russo. Inoltre, mentre nessun gruppo in particolare aveva controllato il partito né
a Minsk nel 1898 né a Bialystok nel 1902, ora l’Iskra sembrava avere il campo aperto da questo
punto di vista.

216
Iskra, 1 aprile 1903

131
15. IL BUND E L’ISKRA:
LA CONCEZIONE DEL PARTITO

La polemica tra gli iskristi e Kosovsky. Con il Comitato Organizzatore posizionato


decisamente nel campo iskrista, Lenin e i suoi seguaci si trovarono nelle condizioni di esercitare
un’enorme influenza sui preparativi per l’imminente congresso del partito. Per controbilanciare tale
vantaggio, i bundisti cercarono di dare al congresso una rappresentanza più ampia possibile, una
mossa che poteva arrecare sostegno al loro progetto federale. Commentando l’osservazione
dell’OC che il primo tentativo di formare il partito non aveva avuto successo, il Comitato Centrale
del Bund si augurò che il nuovo congresso fosse una sorta di costituente. Solo aprendo alla
partecipazione di tutte le organizzazioni socialdemocratiche dell’Impero, inclusi i gruppi nazionali,
l’OC avrebbe potuto ottenere “l’esercito centralizzato e disciplinato” che tanto desiderava.
Lenin rispose al commento del Comitato Centrale con un’aspra accusa. La diffusione di una
dichiarazione specifica contro l’OC, affermò, costituiva una flagrante violazione delle più elementari
regole di cooperazione, e un’indecorosa prova di sfiducia. Il Bund compiva questo passo per porsi
in relazione con il partito ad un livello nuovo. Esso cercava “non di affiliarsi al Partito Operaio
Social Democratico Russo sulla base dello statuto del 1898, ma di entrare in un’alleanza federativa
con esso”217. Lenin accusò il Bund di cercare l’appoggio alle proprie vedute all’esterno, anziché
discuterle all’interno dell’OC, nel quale era stato invitato.
Lenin riteneva che le più recenti iniziative e posizioni del Bund fossero parte di una lunga
serie di concezioni e conclusioni errate. Rivolgendosi specificamente ai lavoratori ebrei, affermò
che “gli attuali dirigenti del Bund stanno compiendo un grave errore politico, che senza dubbio il
tempo correggerà”218. Il Bund aveva sbagliato in passato sostenendo l’economismo e il terrorismo,
e queste posizioni erano state sconfitte; allo stato attuale anche la “passione nazionalista” sarebbe
scomparsa. I lavoratori ebrei di certo comprendevano l’importanza di realizzare la più “completa
unità” con i loro compagni russi, e la follia di voler decidere in anticipo come il popolo ebraico
dovesse condurre la propria esistenza in una Russia libera. Essi comprendevano che “Il Bund non
dovrebbe andare oltre la richiesta (nel POSDR) di completa autonomia per ciò che riguarda le
questioni del proletariato ebraico”, la formula approvata al Congresso del 1898, e mai messa in
discussione. Il compito immediato era “cementarsi e unirsi in un nucleo di base”. L’invito del Bund
a tutte le nazionalità era apprezzabile, naturalmente; ma, dichiarò Lenin, “possiamo pensare di
espandere il nucleo…solo dopo che la sua formazione sia stata completata (o almeno dopo che
non vi siano dubbi sulla sua stabilità)”219. Gli iskristi non facevano mistero di voler controllare la
partecipazione al congresso nell’ottica di portare avanti le proprie vedute sull’organizzazione.
Kosovsky fu rapido a replicare. Che diritto aveva l’Iskra – chiese - di processare il Bund e di
dare l’impressione che l’OC fosse un organismo ufficiale del partito? Di fatto la dichiarazione
dell’OC aveva sancito il carattere privato di quell’organismo, vincolando solo i gruppi che lo
avevano formato. L’Iskra faceva demagogia quando provava a suggerire che il Bund stesse
combattendo il partito; il Bund aveva tutto il diritto di criticare un organismo privato sulla propria
stampa. Né il Bund era in alcun modo separatista. Al contrario, da Bialystok in poi era apparso
piuttosto chiaro che gli iskristi, e non il Bund, “volevano procedere separatamente”, “volevano il
loro proprio OC”. Perché? Perché, scrisse Kosovsky,

Voi state lottando non solo per l’egemonia teorica, ma anche per l’egemonia organizzativa. Il
Bund vi infastidisce perché esiste separatamente, autonomamente, e per questa ragione lo
combattete…Voi state conducendo i rivoluzionari che vi seguono a uno stadio tale che dalle
loro labbra sfuggono le seguenti parole: “l’obiettivo del Secondo Congresso è distruggere il
Bund”. Sì, signori, così stanno le cose: ci sono in Russia dei rivoluzionari, e non pochi, che sono
caduti in questo delirio.220

217
Iskra, 1 febbraio 1903
218
ibidem
219
ibidem
220
Poslednia Izvestiia, 26 febbraio 1903

132
Nel suo attacco al passato del Bund, l’Iskra riscriveva la storia. Se il Bund era colpevole di
economismo e di appoggiare l’Unione all’Estero, domandò Kosovsky, come mai l’Iskra non l’aveva
accusato a quell’epoca? E inoltre, come aveva contribuito l’Iskra alla lotta del Bund contro il
terrorismo, da poter sfidare il Bund su quel terreno? Che l’Iskra tirasse fuori quegli argomenti
poteva essere spiegato solo in un modo: “Voi volete ad ogni costo ficcare nella testa dei vostri
lettori l’idea che siete ‘i padroni del vapore’”221. Il linguaggio di Kosovsky fu duro, come quello di
Lenin.
Kosovsky difese anche la discussione aperta sulla federazione e la questione nazionale.
Solo grazie al dibattito preliminare sulla stampa vi sarebbe potuta essere una soddisfacente
discussione di tali temi al congresso. Il riferimento dell’Iskra alla “passione nazionalista” del Bund,
per di più, era una mera punzecchiatura tattica. Non era forse vero che gli iskristi permettevano ai
socialdemocratici armeni lo stesso grado di autonomia nazional culturale chiesto dal Bund? A
Kosovsky, queste distinzioni tra il Bund e gli altri gruppi socialdemocratici nazionali senza dubbio
ricordavano la sua battaglia contro il PPS nel 1898.
Kosovsky rivendicò anche l’importanza della questione nazionale in ottica futura.
L’affermazione di Lenin che si trattasse di un tema prematuro per il popolo ebraico aggirava la
questione. L’ebraismo in Russia stava percorrendo una strada diversa rispetto all’Europa
occidentale; “per questa ragione tra gli ebrei in Russia è cresciuta una forza che non è conosciuta
agli ebrei in Occidente: questa forza è il movimento operaio ebraico”222. Ignorando questi fatti,
l’Iskra a suo parere aveva ancora molto da imparare.
Data la situazione, non è sorprendente che nessun attacco da parte di uno dei contendenti
restasse senza risposta. Ma le discussioni si fecero ancor più frequenti e accese quando i bundisti
cercarono di affermare la propria leadership sull’intero proletariato ebraico. Nel gennaio 1903 il
Centro Estero del Bund criticò aspramente un volantino del Comitato del POSDR di Ekaterinoslav
rivolto ai lavoratori ebrei di quella città. Nel testo i compagni russi avevano attaccato la forte
influenza dei sionisti e la loro insistenza sull’unità del popolo ebraico, sottolineando le miserabili
condizioni esistenti ovunque vi fossero dei lavoratori ebrei. Ma perché, chiese il Centro Estero, non
si diceva nulla delle lotte del proletariato ebraico contro il governo, i padroni, e le tendenze
borghesi nel giudaismo? Quella omissione mostrava la debolezza del tentativo degli estensori del
volantino, cioè mostrare che lavoratori ebrei e non ebrei avevano i medesimi interessi. I compagni
russi non capivano che i lavoratori ebrei dovevano condurre una battaglia specifica, e
necessitavano di un’organizzazione separata; dunque i loro tentativi di passare sotto silenzio
l’esistenza del Bund erano assurdi.
Il Centro Estero criticò il Comitato di Ekaterinoslav anche per la sua trattazione
dell’antisemitismo. Dicendo ai lavoratori ebrei che l’antisemitismo era un fenomeno esclusivamente
borghese, i compagni russi erano colpevoli di rassegnazione tanto quanto quelli che insistevano
sull’unità del popolo ebraico. L’antisemitismo infatti era altrettanto evidente nei ranghi del
proletariato, come dimostrato dal pogrom di Czestochowa del 1902 e dalle minacce dei crumiri
cristiani di massacrare i lavoratori ebrei. Era compito dei socialdemocratici sconfiggere questo
pregiudizio. Un modo per farlo era diffondere le notizie sulle lotte del proletariato ebraico e del suo
“organo inalienabile”: il Bund. I bundisti erano infastiditi in quanto il comitato ometteva di citare i
difetti dei lavoratori russi. Di certo gli atti antisemiti indicavano che anche i lavoratori russi avevano
qualcosa da imparare.
Lenin rispose al Centro Estero in un articolo intitolato Il proletariato ebraico ha bisogno di
un partito politico indipendente?. Se il Bund era un “partito politico indipendente” – una definizione
del Centro Estero – ciò gli risultava nuovo, disse Lenin. Ma la pretesa era la logica conseguenza
della richiesta di federazione. Secondo Lenin “il vostro assurdo errore sulla questione nazionale
che inevitabilmente…sarà il punto di partenza del cambiamento di posizione nel proletariato
ebraico e nei socialdemocratici ebrei in generale”223. L’autonomia garantita al Bund dallo statuto
del 1898 era più che sufficiente, affermò. Ogni concessione in più avrebbe leso l’unità necessaria
per la lotta del proletariato. “Non dobbiamo indebolire la forza della nostra offensiva dividendoci in
numerosi partiti politici indipendenti” ribadì Lenin “non dobbiamo introdurre la separazione e
l’isolamento e quindi subire l’imposizione di un problema da parte di questi noti fissati della

221
ibidem
222
ibidem
223
Iskra, 15 febbraio 1903

133
federazione”224. Lenin fu sprezzante con quelle che considerava le anguste vedute del Bund.
Affermò che, poiché il Bund non aveva alcun gruppo a Ekaterinoslav, i russi laggiù non avevano
alcun obbligo di menzionarlo. Inoltre, era abbastanza corretto trattare l’antisemitismo come una
questione di interessi borghesi, piuttosto che una pratica di lavoratori russi ignoranti. La violenza di
questi ultimi non era un grosso problema: “Gli editori di Posledniia Izvestiia sono così abituati a
scioperi di cinque o dieci lavoratori, che il comportamento di dodici operai ignoranti di Zhitomir per
loro è la prova di un legame tra l’antisemitismo internazionale e interi ‘settori di popolazione’”225.
Insistendo in quel modo, il Bund stava offuscando la coscienza di classe dei lavoratori ebrei.
E’ chiaro da questa disputa quanto ampia fosse la distanza tra i due campi rispetto alla
questione della funzione del Bund. Le critiche del Bund al Comitato di Ekaterinoslav erano basate
sulla profonda convinzione dell’identità ebraica, e di conseguenza sull’idea della necessità di
un’organizzazione rivoluzionaria specifica per i lavoratori ebrei. Fu questa necessità, secondo i
bundisti, a spiegare il successo del sionismo a Ekaterinoslav, e a convincerli che la strada scelta
dai compagni russi fosse destinata al fallimento. Per gli iskristi, d’altro canto, l’insistenza del Bund
sulla nazionalità ebraica e sul federalismo era un ostacolo all’unità proletaria.
Laddove il Bund cercò un’ampia convergenza sulla questione nazionale, gli iskristi
cercarono di eludere la questione. E laddove il Bund cercò di focalizzare l’attenzione sul problema
dell’antisemitismo, gli iskristi assunsero un punto di vista più sfumato, negando l’evidenza in
quanto insignificante e ribadendo che l’unica soluzione era l’agognata unità proletaria. Di fatto
Lenin suggerì che i lavoratori ebrei cercassero di passare sopra alle violenze che subivano, in
nome della promessa di un futuro migliore.
Il Centro Estero replicò di nuovo rifacendosi alla realtà storica su cui si basava la posizione
del Bund. Il Bund si era sviluppato “come un’organizzazione completamente indipendente”226.
Nessuno si era occupato degli interessi del proletariato ebraico mentre il Bund maturava fino a
diventare un partito. Una volta divenutolo, gli iskristi si mostravano sorpresi e cercavano di
impedirne l’ulteriore crescita sulla base delle regole stabilite nel 1898, che non erano state mai più
che un accordo sulla carta. Da quel punto di vista, che dire del rispetto di quelle regole da parte
dell’Iskra? Aveva chiesto a qualcuno quando era diventata prima un gruppo locale e poi si era
estesa, o quando “costruiva un ‘nuovo partito’ facendo uso del nome del vecchio?”. La confusione
dell’Iskra, affermò il Centro Estero, dipendeva dalla sua incapacità di distinguere tra lo statuto del
1898 e il partito. La situazione del partito era cambiata, e lo statuto rimaneva lo stesso.
I toni e lo stile dell’Iskra preoccuparono non poco il Centro Estero. Essi erano segno
evidente del disprezzo degli iskristi verso il proletariato ebraico. L’Iskra considerava i lavoratori
ebrei come una forza ausiliaria, subordinata ad altre. Il Centro Estero accusò gli iskristi di cercare
anche di seminare discordia dentro il Bund, quando questa chiese se i bundisti all’estero
parlassero a nome di tutta l’organizzazione.
Fu Martov a questo punto a prendere le difese dell’Iskra. Egli scelse di perorare la causa
dei bisogni immediati del movimento. Se il Bund rivendicava uno sviluppo autonomo, affermò,
potevano farlo anche altri. Ma uno sviluppo così limitato non poteva avere sbocchi. I lavoratori
ebrei non avevano bisogno di un partito autonomo “proprio come non ne hanno bisogno i lavoratori
delle regioni degli Urali o della Siberia”227. Il lavoro di carattere locale era segno di interessi
egoistici, di campanilismo; il partito doveva porre fine a tale kustarnichetsvo. Certo, l’Iskra stava
cercando di ottenere l’egemonia, ma solo ad un fine: l’unificazione della socialdemocrazia russa.
Una volta che questa fosse stata raggiunta, il gruppo dell’Iskra non sarebbe stato più necessario.
Le circostanze richiedevano che i rivoluzionari indicassero la strada; questo produceva il
cosiddetto “imperialismo” dell’Iskra. Il Bund avrebbe dovuto accettarlo. Si era forse a tal punto
isolato da non poter comprendere le ragioni di questa egemonia? Coloro che rivendicavano la
direzione non erano nemici del Bund, o del proletariato ebraico: chiedevano soltanto che il Bund
abbandonasse il proprio campanilismo e si unisse alla lotta comune.
L’ultima parola per il Centro Estero spettò a Kosovsky in un opuscolo pubblicato nell’aprile
1903. Egli attribuì orgogliosamente la qualifica di partito rivoluzionario al Bund. Prendendo spunto
dall’osservazione di Lenin che il Bund aveva appreso dagli iskristi cosa volesse dire essere

224
ibidem
225
ibidem
226
Posledniia Izvestiia, 14 marzo 1903
227
In Israel Getzler, Martov: biografia politica di un socialdemocratico russo, 1967

134
un’organizzazione rivoluzionaria, egli affermò che le cose stavano esattamente al contrario: “Lenin
ha sviluppato la propria idea di organizzazione rivoluzionaria ispirandosi all’attività del Bund”228.
Contrariamente alle congetture dell’Iskra, le organizzazioni nazionali non avrebbero indebolito il
movimento; lo sviluppo di una coscienza di classe presso ogni nazionalità, a prescindere da
quante esse fossero, avrebbe rafforzato il proletariato nel suo complesso. Le vedute dell’Iskra,
continuò Kosovsky, erano il riflesso del vecchio pregiudizio per cui le masse ebraiche erano
considerate incapaci di attivismo a causa dell’isolamento che avevano mantenuto nel corso dei
secoli. Ma quel modus vivendi medievale, la psicologia del ghetto e l’attitudine a subire
passivamente, erano cessate. Se anche vi fossero state delle vestigia di quella tradizione tra alcuni
intellettuali, l’ulteriore crescita del movimento proletario ebraico le avrebbe cancellate.
Parte del problema, secondo Kosovsky, nasceva in quanto l’Iskra considerava il Bund un
organismo regionale. Ciò era evidente dal confronto fatto da Martov tra i bundisti e gli “uraliani”. La
questione non era che il Bund si fosse sviluppato in alcune zone, ma se gli interessi dei lavoratori
ebrei di altre zone potessero essere fatti da altri. Essendosi assunto il compito specifico di
sviluppare la coscienza di classe tra i lavoratori ebrei, il Bund era in dovere di soddisfare i loro
bisogni ovunque e ogniqualvolta si manifestassero.
E che dire dell’accusa che il Bund togliesse forza “all’organizzazione generale russa”? Essa
non aveva alcuna validità, affermò Kosovsky. Al contrario, quanto più cresceva il Bund, tanto più i
lavoratori erano attirati nel movimento. Come si poteva considerare distruttiva tale tendenza? Se il
Bund continuava a coinvolgere lavoratori, non era forse prova che stesse facendo i loro interessi
meglio dei comitati russi?
La cosiddetta opposizione al Bund, a parere di Kosovsky, derivava da una differente idea
dei rapporti tra i proletariati nazionali e il movimento in generale. Dietro l’appello iskrista all’unità
egli vedeva l’assunto che la vittoria risiedesse nel risveglio del proletariato più numeroso
dell’Impero, quello russo. Di conseguenza, l’Iskra sosteneva che i socialdemocratici ebrei
dovessero dedicare le proprie energie al singolo proletariato russo (russkii) come se fosse il solo, e
rappresentativo del proletariato di tutto l’Impero (rossiskii). Gli interessi di una parte, in tal caso il
proletariato ebraico, dovevano essere sacrificati agli interessi del tutto. La logica conseguenza di
tale ragionamento sarebbe stata l’annullamento del Bund, e l’applicazione dell’assimilazione nel
movimento rivoluzionario.
Secondo Kosovsky, l’idea che tutti i movimenti operai dovessero essere subordinati al
movimento russo era nociva. Tutti i movimenti , incluso quello russo, servivano in egual misura alla
causa generale. Per garantire al movimento il massimo dell’energia rivoluzionaria, ogni
organizzazione socialdemocratica nazionale avrebbe dovuto avere eguali diritti. Gli ambiti di
autonomia che l’Iskra considerava legittimi in base allo statuto del 1898 (l’uso della lingua yiddish,
il diritto a tenere congressi, a formulare rivendicazioni coerenti col programma socialdemocratico,
ad occuparsi dei bisogni specifici relativi alla vita ebraica), tutto ciò per l’Iskra erano questioni
puramente tecniche. Ma l’Iskra, aggiunse Kosovsky, interpretava lo statuto in maniera molto più
limitata rispetto al Bund. Il partito aveva garantito al Bund l’autonomia per tutte le questioni inerenti
il proletariato ebraico, senza specificare limiti territoriali. Come organizzazione dei lavoratori ebrei,
il Bund aveva il diritto di agire fino in fondo nei loro interessi. E poteva anche avere un proprio
programma nazionale. Cosa intendeva dire l’Iskra alludendo alle “aspirazioni nazionaliste” del
Bund? Il Bund aveva soltanto chiarito le ambiguità relative ad alcune questioni, dei passaggi
pienamente legittimi per un’organizzazione che voleva garantire eguali diritti a tutti i gruppi
socialdemocratici nazionali, ad esempio tramite una federazione.
Infine, Kosovsky affrontò la questione del “nucleo” del partito che si doveva formare, il
quale avrebbe legato ad esso le altre organizzazioni. “A quali condizioni si deve formare?” chiese.
Il principio federativo del Bund consentiva lo sviluppo di un movimento socialdemocratico pan
russo che includesse le organizzazioni nazionali. La principale differenza tra l’Iskra e il Bund
nasceva dall’idea di cosa fosse il Bund: un’organizzazione regionale o l’organizzazione di classe di
un intero popolo. Se era un’organizzazione regionale, l’autonomia era la soluzione; se, come
credeva Kososvsky, era il partito di una specifica nazionalità, la federazione era la soluzione. Unire
le organizzazioni russe avrebbe portato soltanto a un partito russo, non ad uno panrusso. E senza
il Bund nessun partito panrusso sarebbe potuto nascere.

228
Avtonomiia ili Federatsiia, opuscolo aprile 1903

135
Iskristi e bundisti nel Comitato Organizzatore. Mentre il Bund e l’Iskra conducevano la
loro disputa, i preparativi per il Secondo Congresso andarono avanti. In quanto potenziale ostacolo
all’agognata centralizzazione, il Bund fu messo sotto stretta sorveglianza dagli iskristi. Lenin mise il
Bund in cima alla lista dei problemi ancor prima che questo entrasse nel Comitato Organizzatore
(OC), il quale fu avvisato, qualora il Bund si fosse impuntato sul modello federativo, “di andarsene
immediatamente e di riunirsi in separata sede”229. Lenin fu sempre dell’idea di sistemare la
questione del Bund prima di affrontare il programma del partito, e l’argomento ebbe la massima
priorità al Congresso: il Bund doveva accettare l’unità prima che i lavori effettivi avessero inizio.
Lenin fu contento quando nel febbraio 1903 il Bund entrò nell’OC, poiché in quanto
organizzazione non iskrista dava piena legittimità al comitato stesso. Allo stesso tempo temeva
l’eventualità di compromessi, e contrastò il Bund incessantemente, sia dentro che fuori dall’OC. In
marzo, in una lettera riservata agli editori del Youzhnyi Rabochii, scrisse: “Vogliamo che
privatamente ovunque e ognuno di voi si prepari a combattere il Bund al Congresso. Il Bund non
abbandonerà le proprie posizioni senza una dura resistenza, e noi non possiamo accettare le sue.
Solo la massima determinazione da parte nostra, anche fino all’espulsione del Bund dal partito, lo
spingerà a cedere”. In quest’ottica alla fine di maggio egli disse a una delle sue sostenitrici dentro
l’OC, Ekaterina Aleksandrova, di essere “corretti e leali col Bund formalmente (niente colpi bassi),
ma allo stesso tempo piuttosto freddi” e di “incalzarli senza pietà e in continuazione sulla base
delle regole, senza timore di andare oltre il limite”. E infine, l’ultimo consiglio: “Lasciamo che i
bundisti se ne vadano se vogliono, ma non dobbiamo fornire loro la minima giusitificazione…per
fare una scissione”230.
Questo approccio verso il Bund preoccupò alcuni esponenti del campo iskrista. Plechanov,
che solo pochi anni prima aveva scioccato Lenin con la veemenza del proprio attacco al Bund, ora
ammonì Lenin che “il pubblico deve percepire la differenza tra la nostra polemica con gli SR e la
nostra polemica con i socialdemocratici, siano essi bundisti o altri”231. Vi furono perplessità anche
nello stesso OC, sul trattamento verso il Bund in generale e sul comportamento di Krasikov in
particolare. La Krupskaja ritenne necessario riprendere alcuni iskristi per avere assunto
atteggiamenti benevoli verso il Bund.
All’inizio del 1903 Goldman, un iskrista buon amico di molti dirigenti bundisti, cercò di
mediare tra le due fazioni. Egli propose degli emendamenti alla bozza di programma di partito
dell’Iskra, che riconoscevano l’uguaglianza delle lingue, garantivano alle minoranze pieni diritti, e
davano a ciascuna minoranza nel partito il massimo di autonomia ammissibile per Lenin, sperando
in questo modo di rendere superflui i programmi nazionali delle minoranze che non volevano
separarsi dalla Russia.
Goldman propose che il Bund mantenesse l’autonomia sulle questioni ebraiche ma
confinasse la propria attività entro territori definiti; e che mantenesse la propria struttura e la
propria attività organizzativa, mentre solo le risoluzioni sarebbero state soggette all’approvazione
del congresso del partito panrusso. Egli propose anche che un membro del Comitato Centrale del
POSDR, approvato dal Bund, sedesse nel Comitato Centrale del Bund. Non doveva essere
automatica invece una rappresentanza del Bund nel Comitato Centrale del POSDR. La presenza
esplicita del Bund nel Comitato Centrale del partito sapeva di federazione, spiegò. A livello locale,
Goldman propose che i gruppi del Bund fossero incorporati nelle organizzazioni russe esistenti. In
tali casi, le organizzazioni del Bund avrebbero potuto formare “sottocommissioni per il lavoro
ebraico (o più semplicemente i comitati potrebbero includere ebrei dediti all’agitazione tra i
lavoratori ebrei)”232. Il Centro Estero del Bund doveva diventare parte della Lega Estera
(Zagranichnaia Liga), un organismo formato dagli iskristi dopo la scissione di Zurigo dell’ottobre
1901. Infine, ogni membro del Bund doveva considerarsi membro del POSDR a tutti gli effetti per
tutte le questioni panrusse.
I tentativi di trovare un compromesso fallirono. Le garanzie nazionali offerte da Goldman
erano superate dagli elementi esterni che egli voleva introdurre nel Bund, elementi che avrebbero
indebolito l’organizzazione dall’interno. Scettico sui possibili esiti, Lenin tuttavia permise a Godman
di presentare le proprie istanze come una proposta semiufficiale. Questa fu respinta recisamente. I

229
Miscellanea di Lenin (ed. russa)
230
ibidem
231
ibidem
232
A. Kirzhnits, Bund und RSDAP erev dem Tsvaiten Partai Tsusamenfor, 1929

136
bundisti la intepretarono come una presa in giro delle loro richieste. A questo punto Lenin si rese
conto che la scissione al congresso sarebbe stata cosa certa.
Il regolamento del Secondo Congresso venne definito formalmente a Orel nel febbraio
1903. Il Bund si impegnò duramente per proteggere i propri interessi contro la maggioranza
iskrista, ma con poco successo. Portnoy propose che il congresso fosse definito “costitutivo”, e che
tutte le organizzazioni socialdemocratiche in Russia fossero invitate; entrambe le istanze furono
respinte. Egli fu sconfitto anche sulla questione dei “mandati imperativi”, ovvero gli iskristi vollero
che fosse negata ai delegati la possibilità di ricevere dalle proprie organizzazioni indicazioni
vincolanti su una determinata posizione. In base a questa regola, un congresso del Bund non
poteva dare mandato ai delegati su come votare su questa o quella questione. I bundisti
riconobbero in questo una minaccia all’unità dei socialdemocratici ebrei e al peso della propria
organizzazione.
L’unico successo di Portnoy fu nel modifcare il piano originario sulla rappresentanza.
Inizialmente, il piano dell’Iskra prevedeva di vietare a tutte le organizzazioni facenti parte di unioni
di avere singola rappresentanza, e di garantire a ciascuna unione un solo voto. In tal caso un
comitato locale del POSDR e l’intero Bund avrebbero avuto lo stesso peso, due voti ciascuno.
Portnoy dichiarò categoricamente di non potere accettare tale criterio, e anche gli iskristi in questo
caso dovettero abbozzare. Alla fine l’OC spiegò al congresso che “tenendo conto delle assai
notevoli dimensioni e influenza di questa organizzazione, l’OC ritiene corretto assegnare al Bund
tre voti al Congresso (oltre a due voti assegnati al Centro Estero del Bund)”233. Per gli iskristi fu un
compromesso assai vantaggioso, considerate le dimensioni del Bund.
Il Comitato Centrale del Bund non considerò i propri sforzi all’interno dell’OC come del tutto
inutili. Nonostante le schermaglie che precedettero Orel e i problemi emersi laggiù, Portnoy potè
ancora scrivere che l’OC era composto da “persone serie” dalle quali ci si poteva aspettare “che
facessero molto”. A su parere, sebbene l’ostilità degli iskristi verso il Bund fosse evidente, essi lo
trattarono con rispetto, almeno per una sorta di soggezione. Egli si augurò che le relazioni tra il
Bund e l’OC fossero attentamente preservate.
Portnoy e l’altro bundista membro dell’OC, Izenshtat, fecero del proprio meglio per tenere il
Comitato Centrale del Bund fuori dalle polemiche durante i preparativi del congresso. Mentre il
Centro Estero, con la tagliente penna di Kosovsky, replicava colpo su colpo a Lenin e Martov,
Portnoy guadagnò crescente rispetto da parte dei membri dell’OC. Uno di loro, Krizanovskij,
scrisse agli editori dell’Iskra in marzo: “Portnoy è stato molto ‘cortese’ e si è comportato molto
correttamente. E’ un compagno sensibile, con grande autocontrollo e buona comprensione della
disciplina di partito”. Era da notare, affermò Krizanovskij, che Portnoy si fosse dissociato dal tono
del Centro Estero, di cui parlava “con una certa ironia”234. Ancora nel maggio del 1903 Portnoy
ribadì che il Comitato Centrale del Bund non era responsabile delle azioni del Centro Estero, una
posizione che gli iskristi avrebbero voluto mettesse per iscritto. Portnoy tuttavia evitò di fare
polemiche. Incalzato affinchè dicesse se il Bund avrebbe scelto l’autonomia o il federalismo e il
nazionalismo, egli semplicemente rispose che la questione non sarebbe stata decisa prima del
congresso. All’apice della polemica tra il Centro Estero e l’Iskra, il Comitato Centrale del Bund
chiese all’OC di “porre fine a questa dannosa polemica tra gli organismi all’estero”235. Portnoy non
intervenne neanche quando gli iskristi ammisero di abusare del proprio potere per influenzare i
comitati locali attraverso l’OC. “Lo facciamo” ammise la Aleksandrova “e il bundista lo sa e rimane
in silenzio, senza aprire bocca”. Ella espresse l’idea che il Bund avrebbe fatto grossi sforzi per
restare nell’OC, “ma non qualunque cosa”236.
Ci si chiederà che cosa spinse il Bund a rimanere nell’OC in tale situazione sfavorevole.
Secondo la Aleksandrova, la pazienza di Portnoy era facilmente spiegabile: il Bund doveva tenere
buone le proprie organizzazioni locali dimostrando attraverso la partecipazione all’OC di non
essere isolato dai russi. In una lettera ad Akselrod in aprile, Martov parlò di una crescente simpatia
per l’Iskra tra gli spazzolai. Ma queste spiegazioni erano illusorie, come gli iskristi scoprirono
quando il Bund abbandonò il partito. Il fatto è che il Bund non aveva mai smesso di sottolineare la
natura universale dell’esperienza rivoluzionaria in Russia. Il proprio successo e la propria

233
Vtoroi s’ezd Rossiiskoi SDR Partii. Ochtet delegatsii Bunda, 1903
234
Proletarskaja Revolutsiia, 1928
235
Otvet Iskre, 1903 (Archivio del Bund)
236
Miscellanea di Lenin (ed. russa)

137
indipendenza non alterarono la fiducia nel principio della solidarietà operaia. I bundisti non si
illusero mai che i lavoratori ebrei avrebbero fatto la rivoluzione da soli. Per il Bund, il distacco dalla
famiglia socialdemocratica ufficiale che aveva contribuito a fondare, ora che l’unità pareva a
portata di mano, sarebbe avvenuto solo in seguito a evidenti provocazioni.
La discussione interna al Bund. Il principale problema per il Bund prima del Secondo
Congresso del POSDR fu di definire la linea sulla posizione del Bund nel partito. L'appoggio del
Quarto Congresso al modello federativo aveva ricevuto il fermo e costante sostegno del Comitato
Centrale e del Centro Estero. All’inizio del 1903 la maturazione del partito era arrivata al punto che
molti dirigenti del Bund concordarono con l’affermazione, rivolta al Comitato del POSDR di
Ekaterinoslav, che il Bund fosse “organo inalienabile” dei lavoratori ebrei. Nel primo articolo in
yiddish sull’argomento, Di Arbeter Shtime a sua volta indicò “l’indipendenza nazionale e la
solidarietà internazionale” come le basi su cui unire le organizzazioni del POSDR237.
Tuttavia, alcuni bundisti si espressero contro il progetto di federazione, in particolare Anna
e Pavel Rosenthal, Sendor Zeldov e David Katz, i quali a quel proposito all’inizio del 1903
inviarono una lettera congiunta al Comitato Centrale. Il proletariato ebraico non necessitava di
federarsi finchè fosse esistita l’autocrazia, affermarono. Essi non vedevano né una minaccia
presente da parte dei compagni russi, né future differenze tattiche basate su interessi nazionali.
Inoltre, la richiesta del Bund di uguaglianza con i russi era un errore. Solo i russi avevano un vero
proletariato industriale, che era molto più numeroso degli artigiani ebrei. La coscienza di quel
proletariato stava lievitando e diventando relativamente più importante di quella del proletariato
ebraico, uno sviluppo accentuato dalle crescenti agitazioni contadine. In ogni caso, conclusero, il
Bund conosceva troppo poco i russi. Le loro obiezioni non furono accolte.
Sebbene il Quinto Congresso del Bund fosse in programma in Russia, Liber riuscì a far
spostare la sede a Zurigo. La sicurezza fu uno dei fattori a determinare tale decisione, anche se
probabilmente non l’unico. Conscio del fatto che la situazione russa non avrebbe permesso il
necessario approfondimento delle questioni prima del congresso, Liber ottenne anche
l’approvazione alla sua proposta di una conferenza preliminare a Ginevra.
Tutte le tematiche discusse a Ginevra in giugno si basarono sull’assunto che la nazionalità
fosse un forte fattore di unificazione nel movimento proletario. I delegati convennero che, per
svilupparsi adeguatamente, le organizzazioni socialdemocratiche nazionali dovevano formulare i
propri programmi esprimendo i bisogni specifici dei popoli che rappresentavano. Solo in questi
problemi specifici differivano dalle altre organizzazioni socialdemocratiche, ma per affrontarli
necessitavano della massima indipendenza possibile. Il compito del partito, in quanto fattore di
unificazione di questi partiti socialdemocratici nazionali, era di coordinarne l’attività; in questo
senso i vari partiti si subordinavano alle sue istituzioni centrali. Nel caso del Bund, il suo unico
compito era la liberazione del proletariato ebraico. In quanto organizzazione regionale, esso
avrebbe fallito in tale impresa, non riuscendo a rappresentare tutti i lavoratori ebrei. A maggior
ragione, stabilì la conferenza, il Bund doveva essere il solo rappresentante del proletariato ebraico.
Cosa significava ciò in relazione al POSDR? La conferenza di Ginevra suggerì di fare
riferimento a due soli princpi organizzativi: da un lato la fusione di organismi indipendenti e paritari,
come nella federazione, e dall’altro la completa centralizzazione senza rappresentanza per le
singole parti, come nell’imperialismo. I delegati stabilirono che la federazione fosse la sola forma
accettabile per il Bund e gli altri partiti socialdemocratici nazionali, la cui raison d’etre stava
precisamente nelle rivendicazioni specifiche che affiancavano a quelle generali del partito. Entrare
nel partito senza salvaguardare il diritto a portare avanti queste specificità sarebbe stato un “atto
suicida” per qualunque partito nazionale.
La conferenza di Ginevra ipotizzò tre possibili forme di federazione da sottoporre al Quinto
Congresso. Nella prima il partito era concepito come una federazione di organizzazioni
socialdemocratiche nazionali, una formula ampia per accontentare i socialdemocratici polacchi e
altri partiti nazionali che fossero rappresentati al congresso. Nella seconda il partito era una
federazione di organizzazioni socialdemocratiche nazionali “e di altre organizzazioni
socialdemocratiche unitarie che entrino a farne parte”, una formula adatta alla condizione del
Bund. La terza formulazione definiva il partito come una federazione “del Bund e di altre
organizzazioni socialdemocratiche unitarie che entrino nel Partito”. Presumibilmente quest’ultima

237
DAS, marzo 1903

138
definizione fu ipotizzata nel caso in cui il congresso del POSDR si fosse rivelato essenzialmente
anti-nazionale238.
La risoluzione del Quinto Congresso e lo “statuto minimo”. Con alcuni aggiustamenti,
le proposte di Ginevra sull’organizzazione vennero sottoposte alla discussione al Quinto
Congresso. Il risultato fu una risoluzione in dodici punti, i cui primi paragrafi furono i seguenti:

1. Il Bund è una parte federata del POSDR.


2. Il Bund è un’organizzazione socialdemocratica del proletariato ebraico, senza limiti
territoriali di attività, ed entra a far parte del Partito in quanto unico rappresentante del
proletariato ebraico; inoltre ogni attività in nome dell’intero proletariato in un’area in cui
siano presenti sia il Bund che altre organizzazioni del Partito, è ammissibile solo se il Bund
vi partecipa.
3. Il Bund elegge propri rappresentanti al Comitato Centrale, al Centro Estero e al congresso
del Partito…I metodi di rappresentanza devono essere basati su principi eguali per tutte le
componenti239.

Il congresso accettò in blocco il programma del partito ma auspicò di aggiungervi punti


specifici legati “alle specifiche condizioni del proletariato ebraico in Russia”. Si trattava di
mantenere tutte le attuali prerogative del Bund: il diritto di fare congressi, di avere i propri organi
esecutivi, di mantenere il controllo interno, di pubblicare in varie lingue, di fare accordi temporanei
con organizzazioni rivoluzionarie esterne al partito. Tutti questi punti vennero presentati “come una
base per la discussione della posizione del Bund nel Partito”240.
Le varie ipotesi sull’organizzazione furono oggetto di dibattito, anche se le differenze furono
limitate rispetto alla discussione sulla questione nazionale. Molti punti importanti, come la richiesta
che il Bund fosse il solo rappresentante del proletariato ebraico e di conseguenza in diritto di agire
laddove ritenesse necessario, furono approvati all’unanimità.
Un punto particolarmente contestato fu la clausola per la quale il Bund aveva il diritto di
interagire con altre organizzazioni rivoluzionarie laddove l’attività di un dato luogo fosse condotta in
nome dell’intero proletariato di quell’area. Gli oppositori rilevarono che quella frase, la seconda
metà del paragrafo 2, fosse non solo ripetitiva ma anche dannosa, in quanto poneva “esplicite
limitazioni al potere di altre componenti del Partito”, che erano implicite già nella prima metà del
paragrafo. Essi videro in queste parole la ricerca di garanzie contro il “fastidio” risultante da una
“struttura del Partito anomala” che lasciava indefinite le relazioni tra i gruppi socialdemocratici. Gli
oppositori alla clausola affermarono che quell’indefinitezza sarebbe cessata con l’unità, e dunque
le regole dovevano mantenersi nel “normale ordine delle cose” implicito in quell’unità.
I fautori della clausola obiettarono che il Bund non poteva contare su una normalità che
dovesse automaticamente arrivare attraverso l’unificazione. “Non possiamo dipendere da questa
normalità” dissero; “dobbiamo procedere verso di essa”. Piuttosto che un’ipotetica normalità, essi
vedevano una reale anormalità, che non si poteva eliminare solo con i principi. “E’ necessario
distruggere queste anomalie con una lotta diretta” affermarono “eliminandole passo dopo
passo”241.
Le divergenze sul paragrafo 2 comunque erano più di stile che di principio. Quando
l’emendamento fu messo ai voti, 22 delegati si espressero per il mantenimento della frase, 3 si
opposero e 4 si astennero.
Il paragrafo 4 della risoluzione, ovvero il diritto del Bund ad avere propri obiettivi specifici
nella misura in cui non contraddicevano il programma del partito, non ebbe obiezioni, anche se
due votanti si astennero. Il paragrafo 5, ovvero il diritto di decisione del Bund sulle questioni
relative al proletariato ebraico, si rivelò uno dei temi più problematici. Gli oppositori argomentarono
che tutte queste questioni erano legate ad altre e dunque automaticamente avrebbero assunto una
rilevanza per tutto il partito. I favorevoli replicarono che nel partito unificato vi sarebbero state
situazioni in cui questioni importanti per il proletariato ebraico sarebbero state considerate solo alla
stregua di dettagli dal partito stesso. Perciò si doveva stabilire una priorità per il Bund. 16 delegati
votarono a favore, 5 si espressero contro e 8 si astennero.

238
A. Kirzhnits, Bund und RSDAP erev dem Tsvaiten Partai Tsusamenfor, 1929
239
Piatyi s’zed fun Bund v Litve, Polshe i Rossii, opuscolo 1903
240
Supplemento a DAS, giugno 1903
241
Piatyi s’zed fun Bund v Litve, Polshe i Rossii, opuscolo 1903

139
Il paragrafo fu più discusso fu il primo – quello sul rapporto formale tra il Bund e il POSDR.
Questo punto cruciale fu discusso per ultimo. Izenshtat, forse il principale oppositore nelle
votazioni, si espresse contro la richiesta formale di un partito federato, per ragioni tattiche: ciò
poteva ostacolare l’approvazione delle rivendicazioni concrete portate auspicate dal Bund.
Izenshat sostenne anche, con l’appoggio di David katz, che l’unificazione in un partito centralizzato
fosse molto più importante della federazione. I fautori della federazione, dal canto loro, ribadirono
la necessità di uguaglianza tra le varie componenti del partito, in particolare con i russi. Né essi
vollero moderare il linguaggio della risoluzione nell’ottica di evitare polemiche. “Non dobbiamo far
finta di non vedere” affermò Portnoy. “dobbiamo chiamare le cose col loro nome”242.
Alla fine la definizione approvata dal Quinto Congresso fu più limitata di quella della
conferenza di Ginevra e del Quarto Congresso, entrambe le quali avevano dichiarato il proprio
auspicio che il POSDR fosse un partito costituito su base federativa. Il Quinto Congresso
menzionò soltanto il Bund come parte federata, evitando così il riferimento ad altre parti del partito
o al partito nel suo complesso. “Il principio” spiegò il resoconto ufficiale “ci servirà sia come base di
partenza che come linea guida per il nostro percorso di lotta”243. Il congresso approvò il paragrafo
1 con 20 voti a favore e 7 contrari, più 2 astensioni.
I delegati, ben consapevoli delle difficoltà che avrebbero dovuto affrontare al congresso del
partito, presero in considerazione una serie di punti sostitutivi che sarebbero stati accettabili per gli
iskristi senza compromettere i principi bundisti. Questi punti che divennero noti come lo “statuto
minimo”, dovevano servire come sine qua non per l’affiliazione del Bund al partito e, dal punto di
vista dei bundisti, come garanzia per l’esistenza stessa del Bund. Lo statuto minimo per esempio
prevedeva la soppressione del primo paragrafo, in quanto la designazione specifica “parte
federata” non sarebbe stata essenziale se la struttura fosse stata in effetti federativa. Il Bund si
preparò anche all’eventualità della cancellazione della seconda parte del paragrafo 2, ma
assolutamente non prese in considerazione l’eliminazione della clausola che indicava il Bund quale
unico rappresentante del proletariato ebraico. Lo statuto minimo, composto da dieci paragrafi,
semplicemente tagliava buona parte delle affermazioni che descrivevano i poteri e i limiti del Bund
e del partito. Il Bund comunque rimaneva sostanzialmente indipendente.
Furono vagliate alcune alternative nel caso in cui lo statuto minimo del Bund non fosse stato
accettato dal congresso del partito. Yoina Koigan, attivista del sud, e Rosa Levit, delegata di
Varsavia, guidarono la minoranza dei contrari a un ultimatum che avrebbe implicato l’abbandono
immediato del congresso. Koigan propose che venisse convocata una conferenza straordinaria
all’indomani del congresso del partito, e che il Bund si astenesse dal cmpiere passi definitivi prima
del successivo congresso del POSDR. Ma Liber e Medem si opposero decisamente a misure
dilatorie. Liber disse: “Noi partiamo dal presupposto che il Partito unitario ci è molto caro, ma se i
nostri interessi sono altrettanto cari al Partito, quest’ultimo dovrebbe soddisfare le nostre richieste
fondamentali”. Medem assunse un approccio legalitario: “Una conferenza non può risolvere la
questione dell’esistenza del Bund nel POSDR, e un ultimatum sotto condizione quindi è
superfluo”244. Il Congresso votò 19 contro 6 (con 2 astensioni) a favore di fare dello statuto minimo
una conditio sine qua non.
Nel tentativo di presentarsi in maniera completamente unita al congresso del partito, il Bund
cercò di occultare ogni traccia del dibattito interno e della ricerca di compromessi del Quinto
Congresso. La questione nazionale, che aveva profondamente diviso l’assise, non fu menzionata
nei resoconti ufficiali, e i delegati mantennero il più stretto riserbo sull’argomento245. Lo statuto
minimo non fu rivelato se non dopo il Secondo Congresso del POSDR. Di fatto, ciò rappresentava
una serie di istruzioni vincolanti, che come tali erano irregolari rispetto a quanto stabilito ad Orel.
Quando Lenin, dopo il congresso del partito, apprese dello statuto minimo, scrisse un
rabbioso articolo sull’Iskra intitolato Massima impudenza e minima intelligenza. Accusò il Bund di
mercanteggiamento e chiese sarcasticamente se lo statuto minimo in realtà non fosse l’atto finale
del Bund.
Come ultimo provvedimento, il Quinto Congresso del Bund scelse i cinque delegati al
congresso del partito. Kosovsky e Medem furono chiamati a rappresentare il Centro Estero, e

242
A. Kirzhnits, Bund und RSDAP erev dem Tsvaiten Partai Tsusamenfor, 1929
243
Piatyi s’zed fun Bund v Litve, Polshe i Rossii, opuscolo 1903
244
A. Kirzhnits, Bund und RSDAP erev dem Tsvaiten Partai Tsusamenfor, 1929
245
I resoconti dei dibattiti uscirono solo nel 1927 e 1928 a Varsavia, sul periodico Unser Tsait.

140
Kremer rinunciò al proprio diritto in tal senso per lasciare spazio al talento oratorio di Medem
(come membro del primo Comitato Centrale del POSDR, Kremer potè partecipare come delegato
onorario osservatore). Il Comitato Centrale scelse due dei propri membri, Portnoy e Izenshtat, e
aggiunse Liber come terzo delegato. Il Bund sarebbe stato rappresentato quindi dai due giovani
agitatori Liber e Medem, i maggiori fautori dell’autonomia nazional culturale e sicuri garanti sulle
questioni organizzative, in quanto membri di una nuova generazione di bundisti pronta, anzi
desiderosa di battersi per l’esistenza del Bund, per quanto gravosa fosse la sfida. Per il vecchio
compagno Izenshtat, che era assai vicino alle vedute dell’Iskra, il Secondo Congresso del POSDR
sarebbe stato quello del disincanto.

141
16. IL SECONDO CONGRESSO DEL POSDR246

Schermaglie preliminari. Il Secondo Congresso del POSDR, che si riunì a Bruxelles nel
luglio 1903, fu un punto di svolta fondamentale nella storia della socialdemocrazia russa.
Progettato dagli iskristi per creare un partito unificato sotto i loro auspici, il congresso invece rivelò
quanto essi stessi fossero profondamente divisi. La conseguente divisione in due campi, i
bolscevichi e i menscevichi, fu permanente, e foriera di enormi conseguenze per il movimento
socialdemocratico in Russia. Il congresso fu un momento storico anche per il Bund. Le sue
differenze con gli iskristi si rivelarono troppo grandi, e la determinazione da entrambe le parti
troppo forte, per una riconciliazione o un compromesso. Il congresso segnò il distacco del Bund
dal POSDR.
I bundisti si presentarono al congresso con una linea di condotta definita: gli obiettivi minimi
stabiliti al Quinto Congresso. Ma erano determinati a illustrare, se possibile, l’erroneità della
visione iskrista prima di ritirarsi sulle proprie posizioni. Data la struttura e gli intenti del congresso, i
contrasti iniziarono quasi subito. In realtà iniziarono con la discussione dell’agenda stessa. In tutto
e per tutto ogni proposta di agenda degli iskristi poneva il ruolo del Bund nel partito come primo
punto di discussione. Era chiaro a Lenin che la linea federativa del Bund minacciava i piani
organizzativi dell’Iskra, e il ruolo suo e di Martov di controllo o almeno di guida degli organi centrali
del partito. Decisi a fermare il Bund, gli iskristi avevano spinto l’OC a dichiarare l’imminente
congresso come il successivo rispetto a quello del 1898, per assicurarsi che gli statuti del Primo
Congresso fossero in vigore. Gli iskristi sostenevano che nel chiedere una federazione il Bund
andasse oltre l’autonomia che aveva ottenuto nel 1898, e sia Lenin che Plechanov misero
all’ordine del giorno un cavillo legale di fondo: il Bund doveva modificare il proprio punto di vista
prima che ogni altra questione venisse trattata.
Gli iskristi difesero la loro linea su basi morali. Secondo Lenin, molte organizzazioni
presenti al congresso differivano profondamente dal Bund, dunque si prospettavano discussioni
distruttive. “E’ impossibile” dichiarò “per il Congresso iniziare un lavoro armonioso finchè queste
differenze non siano appianate”247. Lev Trockij, allora giovane iskrista, aggiunse che la questione
del Bund doveva essere affrontata prima di ogni altra cosa proprio a causa della sua importanza.
Liber, che avrebbe parlato in diverse occasioni, si espresse a nome dei bundisti. Anche il
Bund considerava il congresso come successivo al Primo, disse; e anch’esso considerava la
propria posizione nel partito come autonoma. Dal momento che la propria adesione al partito non
era in discussione, la proposta di modifica della struttura organizzativa non richiedeva un posto
particolare nell’agenda, ma piuttosto faceva parte del normale corso dello svolgimento. Con
l’agenda dell’Iskra, lamentò Liber, il Bund era sottoposto a una specie di giudizio preliminare.
In realtà, gli iskristi partivano da fragili basi legali. Sin dal 1901 si era discusso su cosa
significasse l’autonomia garantita al Bund dal Primo Congresso. Essa voleva dire la semplice
espansione dei poteri concessi ai comitati locali, come sostenevano gli iskristi, o implicava una
prospettiva federale, come suggerito dai bundisti? La verità è che nel 1898 la questione nazionale
non emerse affatto, e il Primo Congresso fece solo pochi passi nel definire i principi organizzativi.
Mancando una definizione precisa, entrambe le parti furono libere di seguire la propria
interpretazione degli statuti. Nessuna delle due mostrò alcuna fedeltà a qualsivoglia statuto nei
preparativi del congresso. I tentativi di Lenin di strutturare un partito centralizzato negli anni dal
1901 al 1903 trascurarono platealmente i vincoli legali basati sulle deliberazioni del Primo
Congresso. Fare riferimento a quel congresso fu semplicemente uno stratagemma col quale gli
iskristi pensavano di imporre sul Bund la propria volontà.

246
Il Congresso ebbe luogo dal 30 luglio al 23 agosto 1903. Fino al 6 agosto si svolse a Bruxelles, poi i delegati si
trasferirono a Londra, su pressione della polizia locale probabilmente sollecitata dall’ambasciata russa. Vi furono
complessivamente 37 sessioni. 33 delegati avevano un voto e 9 due voti, quindi un totale di 42 delegati per 51 voti
disponibili.
247
Vtoroi s’ezd Rossiiskoi SDR Partii. Ochtet delegatsii Bunda, 1903.

142
Comunque stessero le cose, gli iskristi andarono avanti. Con 30 voti contro 10 i delegati
approvarono l’ordine dei lavori, dimostrando la solidità del lavoro preparatorio dell’Iskra su quel
tema. Il voto superò le previsioni di Lenin di 26 voti sicuri contro 19 in bilico o avversi.
Il dibattito sull’autonomia del Bund. I bundisti a questo punto dovettero ingoiare il
boccone preparato per loro dall’Iskra. La discussione su “il posto del Bund nel POSDR” ebbe luogo
alla quarta sessione dei lavori. Liber presentò la ora ben nota posizione del Bund. Insistendo sulla
mancanza di precisione nella formulazione del Primo Congresso sull’organizzazione del partito,
egli presentò le linee definite al Quinto Congresso del Bund come “l’implementazione e il logico
sviluppo di quei principi”248. Liber difese la scelta di organizzare il proletariato ebraico sulla base
delle particolari condizioni di quest’ultimo, e insistette che il Primo Congresso non aveva fissato
limiti geografici alle attività del Bund. Il problemi del proletariato ebraico, sebbene distinti, erano
legati ai problemi che affliggevano tutta la società, disse. Il Bund voleva che la vaga autonomia
stabilita nel congresso fondativo fosse tradotta in una forma che avrebbe permesso al proletariato
ebraico di prendere parte a tutte le questioni discusse dalla socialdemocrazia russa. Un partito
federato sarebbe servito a tale scopo. Il Bund sarebbe stato nel partito come rappresentante del
proletariato ebraico e avrebbe preso parte al lavoro complessivo. Anticipando le obiezioni al
modello federativo, Liber disse che “il proletariato di una data nazionalità ha tendenze
centralistiche solo quando mette al centro la soluzione dei propri problemi e dei propri specifici
bisogni nazionali”. L’autonomia separava i bisogni nazionali dal centro e dalle questioni generali,
isolando il proletariato ebraico. Una federazione avrebbe rotto quell’isolamento e portato
centralizzazione. Nel tentativo di venire incontro alla mentalità centralista degli iskristi, Liber si
espresse per una centralizzazione in cui il Bund fosse rappresentato piuttosto che una struttura
nella quale i fattori nazionali non fossero considerati.
Preoccupati dell’atteggiamento della maggioranza nei loro confronti, i bundisti a questo
punto modificarono le loro proposte. Rimossero il paragrafo che definiva il Bund “parte federata”
del partito, cancellarono il termine “parti contraenti” usato in diversi paragrafi, ed eliminarono la
clausola che garantiva al Bund la partecipazione a tutte le dichiarazioni fatte a nome dell’intero
proletariato nelle aree in cui il Bund era attivo. Questi cambiamenti si avvicinavano a ridurre le
risoluzioni del Quinto Congresso al livello minimo, la cui esistenza non era ancora nota agli iskristi.
In seguito, nel loro resoconto del Secondo Congresso, i delegati del Bund dichiararono:

Il fatto è che già nelle prime sessioni e durante il dibattito sull’agenda divenne evidente che la
maggioranza del congresso era poco incline a concessioni nei confronti del Bund. Per non
accrescere la frangia ostile al Bund e quindi per accrescere una possibilità di accordo,
decidemmo di escludere dalla bozza di statuto quei passaggi che sancivano chiaramente le
nostre posizioni di principio, e in tal modo di orientare il centro di gravità della questione verso
gli aspetti pratici249.

I delegati ammisero di aver violato le istruzioni del Quinto Congresso ma spiegarono che
questo era l’unico modo di evitare una rottura immediata.
Gli iskristi sfruttarono il vantaggio. Martov ribadì quanto detto in precedenza: il Bund
cercava di rigirare le decisioni del Primo Congresso, che aveva definito il partito come una
organizzazione singola; la sua autonomia differiva solo per grado dai poteri attribuiti agli altri
comitati locali. Martov ammise che il Primo Congresso aveva formulato solo un principio di
organizzazione ma disse che l’intento dell’unità era chiaro. Di conseguenza, propose che il
Secondo Congresso respingesse la nuova risoluzione, che non era stata discussa negli organi di
partito e portava il Bund nel congresso come un partito indipendente.
Per di più, disse Martov, il proletariato ebraico non aveva bisogno di un’organizzazione
politica indipendente per rappresentare i propri interessi. Era inammissibile, a prescindere dalla
modalità, che una parte del partito rappresentasse uno strato del proletariato o i suoi interessi, sia
nazionali che di settore. Le differenze nazionali avevano un “ruolo subordinato” rispetto ai generali
interessi di classe. La difficile posizione legale degli ebrei in Russia poteva giustificare la richiesta
di maggiore autonomia, egli pensava, sebbene ciò non avesse nulla in comune con il principio di
dare rappresentanza alle organizzazioni nazionali, e quella posizione non avrebbe mai potuto
fungere da base per una separazione. I problemi particolari del Bund derivavano da “sfortunate

248
Vtoroi s’ezd Rossiiskoi SDR Partii. Ochtet delegatsii Bunda, 1903
249
Ibidem

143
condizioni storiche”, che nessuna “eroica risoluzione” poteva mettere da parte. Secondo Martov
Liber non aveva dimostrato l’opportunità della centralizzazione federale; tutto ciò che aveva
comprovato era l’anormalità dell’organizzazione autonoma.
Venendo alle proposte specifiche del Bund, Martov si chiese se le modifiche richieste un
domani potessero essere estese ad altri gruppi. “Che ne sarà di noi” chiese “se ogni
organizzazione che entra nel partito fa quello che vuole? In quel caso il partito non sarebbe
neanche una federazione”250. Martov diede l’immagine del comitato centrale del partito come una
sorta di Dieta polacca, dove un veto poteva bloccare qualunque risoluzione; e di un Comitato
Centrale del Bund interposto tra il Comitato Centrale del POSDR e le organizzazioni locali, a
bloccare la catena di comando. Il risultato sarebbe stato disunione e disorganizzazione. Cosa
sarebbe accaduto se ogni organizzazione nel partito avesse voluto un proprio comitato centrale?
Equiparando il Bund ai comitati locali russi, e il proletariato ebraico a strati di proletariato collocati
in luoghi definiti, Martov seguì una linea completamente opposta a quella espressa da Liber il
giorno precedente.
Infine, Martov presentò la propria risoluzione sul Bund. La federazione era “un notevole
ostacolo alla più piena aggregazione organizzativa del proletariato cosciente delle varie etnie, e
inevitabilmente porterebbe grave danno agli interessi di tutti i proletari e dei proletari ebrei in
particolare”; dunque la federazione era “incondizionatamente inammissibile tra il Partito e il Bund”.
Riconoscendo il bisogno di compiti specifici legati alla particolarità della lingua e della vita ebraica,
la risoluzione definiva il Bund una parte autonoma del POSDR, “la cui attività verrà limitata dalle
linee generali del lavoro di partito”251. Nella definizione delle linee generali, le proposte del Bund
sarebbero state prese in considerazione a proposto della discussione sull’organizzazione del
partito.
Per come i delegati del Bund interpretarono il discorso di Martov nel loro resoconto, Martov
percepiva il Bund come un’anomalia storica, la cui distruzione era auspicabile ma al momento
impossibile a causa della debolezza del partito. Rifiutando di riconoscere il Bund come
organizzazione nazionale e lasciando aperta la questione dei limiti organizzativi, egli apriva la
strada al rafforzamento del POSDR. E quando quest’ultimo fosse diventato forte, il Bund sarebbe
stato distrutto, senza infrazioni allo statuto del partito. A essere sinceri Martov non aveva detto ciò
a chiare lettere, ammise il resoconto. Ma i delegati così interpretarono lo spirito del congresso.
La solidità del campo anti-bundista al congresso fu subito evidente. Martov quasi non
aveva finito di presentare la risoluzione che Trockij si levò per informare i delegati che 12
compagni ebrei membri del POSDR la sottoscrivevano e si consideravano rappresentanti del
proletariato ebraico. L’intento era chiaro: gli iskristi volevano mostrare al Bund – e ai congressisti –
che vi erano socialdemocratici ebrei contrari alla sua posizione. Liber gridò che i firmatari erano
rappresentanti di un proletariato ebraico “nel quale non avevano mai lavorato”.
Il dibattito sulle proposte del Bund e sulla risoluzione di Martov andò avanti per giorni, dalla
quinta all’ottava sessione del congresso. Gli interventi spaziarono in ogni direzione. La
maggioranza fu apertamente contro il Bund.
I delegati del Caucaso, ricordando ai bundisti le proprie specificità nazionali, criticarono le
richieste del Bund come “nazionaliste, non socialiste”. Bogdan Knuniants (Rusov), un delegato di
Baku, parlò orgogliosamente dell’assenza di separatismo nel Caucaso e si spinse ad affermare
che il Primo Congresso aveva commesso un errore permettendo l’esistenza di un’organizzazione
ebraica; quell’atto forse era stato storicamente giustificato ma aveva avuto infauste conseguenze.
Senza negare i servigi resi dal Bund al proletariato ebraico, Knuniants lamentò l’assenza di
comitati che lavoravano in varie lingue nella Russia occidentale, un’omissione grave di cui il Bund
era pienamente colpevole. Egli respinse la difesa dell’organizzazione separata sulla base di
bisogni specifici. Quell’argomento non era sufficiente; gli ebrei non parlavano tutti la stessa lingua,
e il Bund stesso era contro un’organizzazione su base territoriale. Per le questioni di principio, in
particolare la discriminazione legislativa verso gli ebrei, il caso di questi ultimi non era unico; molti
altri proletari subivano vessazioni simili. Tutte dovevano cessare, ma le organizzazioni separate
rallentavano e complicavano il lavoro rivoluzionario.
Alcuni delegati insistettero sulla necessità di guardare oltre i comuni interessi del
proletariato ma espressero simpatia per il lavoro del Bund. Uno fu Alexandr Martynov, membro di

250
Vtoroi Ocherednoi s’zed RSDRP: Polnyi Tekst Protokolov, 1904
251
ibidem

144
vecchia data dell’Unione all’Estero, che difese il Bund in quanto tale pur disapprovando la sua
tendenza all’isolamento nazionale. Un altro fu M.S. Zborovsky (Kostich), un delegato di Odessa.
Zborosvky, scontento per gli effetti divisivi dell’opera del Bund nella sua città, disse che il Bund
sarebbe stato utile come organizzazione se si fosse unito a una socialdemocrazia che non si
batteva abbastanza per certe richieste.
Trockij si schierò apertamente per l’Iskra. Il Bund o era “il solo rappresentante degli
interessi del proletariato ebraico entro e prima del Partito” oppure “una speciale organizzazione del
partito per l’agitazione e la propaganda tra i proletari ebrei”. Quale delle due? Egli non voleva
interdire gli attivisti del Bund, soltanto che fosse respinta la loro richiesta di posizione speciale
dentro il partito.
Portnoy si unì alla discussione concentrandosi soprattutto sulle condizioni storiche citate da
Martov e da altri oratori. Se il Bund si era formato in circostanze particolari, come ammesso, i
bundisti dovevano ora agire come se quelle circostanze fossero mutate? Voleva dire che il Bund
non aveva più una raison d’etre? Con che criterio Martov definiva la normalità delle condizioni?
Rispondendo alle obiezioni alle richieste del Bund, Portnoy affermò:

Chiedendo che il Bund nel Partito sia il solo rappresentante del proletariato ebraico, non
diciamo affatto che nessun altro debba lavorare tra i lavoratori ebrei. Stiamo solo sottolineando
che il Bund è la sola organizzazione che lavora esclusivamente tra i proletari ebrei, e che per
questa ragione dovrebbe essere riconosciuta come loro sola rappresentante. 252

In ogni caso, disse Portnoy, il Bund presentava le proprie proposte come base per la
discussione, non come ultimatum.
L’infaticabile Liber subito dopo intervenne per sottolineare la necessità di un’organizzazione
ebraica indipendente. La posizione del Bund era la stessa dell’insigne marxista Rosa Luxemburg,
che aveva chiesto che i socialdemocratici tedeschi lasciassero ai socialdemocratici polacchi il
diritto di occuparsi di tutte le questioni riguardanti i lavoratori polacchi in Germania. (La presenza di
rappresentanti della socialdemocrazia polacca al congresso probabilmente spinse Liber a quel
paragone). Perché i critici del Bund insistevano sugli effetti di isolamente del suo lavoro, invece di
richiamare la solidarietà del proletariato ebraico con gli altri proletari?
Liber venne poi al punto cruciale. Il partito doveva riconoscere la realtà in cui esisteva la
socialdemocrazia. Le nazionalità erano un dato di fatto nella vita russa, e il Bund esprimeva un
principio nazionale di organizzazione. Gli iskristi da parte loro “cercavano di creare un socialismo
internazionale senza un movimento internazionale”. Per il Bund, lo slogan con cui il Partito si
definiva panrusso, cioè multinazionale, era vuoto senza il riconoscimento delle nazionalità.
Alla settima sessione, la mattina del 3 agosto, i bundisti assunsero ancora una nuova
posizione. Liber prese la parola per presentare al congresso una nuova serie di proposte. Come
prima, i delegati del Bund cercarono di evitare una ritirata completa sulle risoluzioni minime
rivedendo e rimuovendo varie clausole sulla federazione, ancora una volta andando al di là del
proprio mandato. Essi tolsero la clausola sulla rappresentanza delle organizzazioni del partito nei
suoi organi centrali, e modificarono il paragrafo sulle relazioni tra il Bund e le altre organizzazioni
rivoluzionarie, eliminando il potere di un partito di porre il veto su eventuali cambiamenti. Il
paragrafo prima aveva troppo il carattere di un trattato, e quindi di una federazione. Dopo che Liber
ebbe spiegato le nuove proposte, disse all’assemblea: “Abbiamo fatto tutto il possibile per
l’unificazione; non siamo nella posizione di andare ancora oltre. Senza i punti rimanenti la stessa
esistenza del Bund è impossibile”253.
I “duri” dell’Iskra non si scomposero. Avendo proposto una risoluzione contro la
federazione, essi non vollero neanche accogliere le nuove proposte, che a Martov sembrarono un
misto di autonomia e federazione e dunque un argomento da discutere insieme al tema
dell’organizzazione generale del partito. Gli iskristi rimasero fermi sulla definizione di Martov di
autonomia nel senso di libertà nell’agitazione, resa necessaria dalle particolarità di lingua e
usanze. “Dal nostro punto di vista” dichiarò Trockij “l’autonomia del Bund in linea di principio non è
differente dall’autonomia dei singoli comitati”254. Plechanov ammorbidì questa definizione
aggiungendo che i limiti pratici dell’autonomia erano modificabili.

252
ibidem
253
ibidem
254
ibidem

145
I bundisti intepretarono il rifiuto di prendere in considerazione le loro proposte come un
tentativo di modificare l’agenda. Essi avevano presentato delle richieste poiché gli iskristi avevano
messo la questione del Bund al primo posto; ora volevano una risposta. Kosovsky lamentò che
l’argomento di discussione era stato cambiato: dal posto del Bund nel partito a un tema più
generale, autonomia o federazione. Ma Plechanov replicò che questi non erano due temi distinti,
bensì uno solo. Kosovsky allora disse che la risoluzione di Martov limitava l’autonomia del Bund
garantita dal Primo Congresso, che riguardava tutte le questioni relative al proletariato ebraico.
Liber propose di prendere in considerazione ad una ad una le nuove proposte del Bund. Ma
chiese anche al congresso di emendare la risoluzione di Martov cosicchè “non eliminasse affatto
l’indipendenza su tutte le questioni riguardanti il proletariato ebraico garantita al Bund al Primo
Congresso del POSDR”255.
Il voto sulle proposte spense tutte le residue speranze che il Bund aveva. L’emendamento
alla risoluzione di Martov proposto da Liber fu votato per primo, e sconfitto. L’esito, 13 a favore e
26 contrari, espresse una certa oscillazione dei delegati non bundisti. Ma quando fu votata la
risoluzione di Martov, questi ultimi si mostrarono ancora una volta compattamente schierati contro
il Bund: il voto fu 41 a favore e 5 (i bundisti) contro. Quindi venne votata la proposta di Liber di
vagliare immediatamente la seconda serie di proposte del Bund, e qui la mozione fu respinta con
lo stesso ampio scarto: 41 contrari e 5 favorevoli.
A conclusione di queste votazioni la delegazione del Bund violò per la terza volta il proprio
mandato ricevuto al Quinto Congresso. Poiché la risoluzione di Martov faceva del Bund una
componente del partito autonoma solo da un punto di vista tecnico, a quel punto i bundisti
avrebbero dovuto lasciare. Invece, come spiegarono in seguito nel loro rapporto, “noi
decidemmo…di aspettare, poiché il congresso del partito non si era ancora espresso sulle nostre
nuove proposte”256.
Il dibattito sull’organizzazione. La successiva e decisiva fase congressuale per il Bund
iniziò con la 14ma sessione, la mattina dell’11 agosto, quando venne affrontato il sesto punto
dell’agenda, ovvero l’organizzazione del partito. Lenin presentò il proprio piano per una struttura di
partito altamente centralizzata, che fu discussa da diversi oratori. Quindi fu proposto di limitare il
numero degli interventi. Liber e Medem si alzarono in piedi per protestare ricordando ai delegati
che quando il congresso aveva in precedenza accettato la risoluzione di Martov, aveva anche
accettato di vagliare le proposte del Bund all’interno della sessione sull’organizzazione. Gli iskristi,
Martov in primo luogo, si pronunciarono per una trattazione separata, dicendo che il piano di Lenin
era di carattere generale, senza dettagli sulle relazioni tra le organizzazioni del partito. I bundisti
non dovevano agitarsi senza motivo, disse Martov, “come se il congresso volesse tendere loro una
trappola”. Il dibattito si chiuse tra le proteste della delegazione del Bund, che immediatamente fece
una dichiarazione che sottolineava come il congresso fosse venuto meno a una sua propria
decisione dei giorni precedenti.
I bundisti si sentirono in un vicolo cieco. Il piano organizzativo di Lenin dava agli organi
centrali del partito enormi poteri, e l’iter del congresso avrebbe condotto alla sua approvazione.
Tuttavia i delegati bundisti insistettero ancora. Liber, richiamandosi a Trockij che aveva definito le
proposte del Bund come la “formulazione della diffidenza”, definì la struttura proposta di Lenin
“l’organizzazione della diffidenza”. L’abile Medem aggiunse che il Bund non rifiutava il centralismo
a priori – forse che il suo Comitato Centrale non esercitava uno stretto controllo sugli organismi
locali? – ma l’idea di centralizzazione di Lenin era qualcosa di “mostruoso”, un potere così grande
che poteva distruggere le organizzazioni locali invece di guidarle. Cosa significava per il Bund una
tale proposta? Medem dichiarò che Lenin voleva la previa accettazione del proprio piano in modo
che la posizione del Bund fosse determinata in base a quel piano. Le proposte del Bund in tal
modo sarebbero state bocciate automaticamente. Volgendosi a Lenin, Medem gli chiese
seccamente se non vedeva che il suo piano avrebbe comportato la bocciatura delle proposte del
Bund, e avrebbe dato al Comitato Centrale del POSDR “il diritto di modificare la composizione del
Comitato Centrale del Bund, di scioglierlo, di cambiare le decisioni dei congressi del Bund
eccetera?”. Medem ricordò ai delegati la serietà del momento: “Se le nostre proposte, che

255
ibidem
256
Vtoroi s’ezd Rossiiskoi SDR Partii. Ochtet delegatsii Bunda, 1903

146
costituiscono le condizioni minime per la sopravvivenza del Bund, saranno rifiutate, allorà sarà in
gioco la permanenza del Bund nel Partito”257.
Liber parlò ancora dopo Medem. Senza neanche discutere il paragrafo sulle organizzazioni
nazionali, disse, il congresso aveva preso una decisione. Forse il Bund non sarebbe stato distrutto
immediatamente, ma la strada per la distruzione della “anomalia storica” individuata da Martov era
tracciata. Forse che i redattori dell’Iskra non se ne sarebbero andati se i loro principi organizzativi
fossero stati respinti e fosse stata votata una struttura cosiddetta democratica?
L’intervento di Liber assunse ora un tono diverso, come a sottointendere che qualunque
discussione ulteriore fosse inutile:

Siete così ingenui, compagni, da pensare per un minuto che noi possiamo rimanere in un
partito che accetti un simile statuto? Che siamo disposti a firmare la nostra condanna a morte?
No, così non sarà. Non siamo qui per morire! Al contrario, ci sentiamo pieni di energie! E siamo
certi che se i nostri compagni guarderanno a tutto ciò dal punto di vista degli interessi attuali del
movimento socialdemocratico di tutta la Russia, e non a quelli di una fantomatica
organizzazione di generali senza esercito, essi comprenderanno i nostri atti e la nostra
posizione verso il nuovo statuto.258

Lenin non replicò fino a quando il suo piano non fu licenziato dalla commissione che lo
stava studiando. Lo statuto fu discusso nuovamente alla 22ma sessione, la mattina del 15 agosto.
Gli iskristi subito fecero una premessa, dicendo che esso vincolava tutte componenti del partito
con alcune eccezioni, che sarebbero comparse in appendice. Il congresso approvò. I bundisti di
nuovo protestarono, insistendo per sapere di quali eccezioni si sarebbe trattato prima di adottare le
regole generali, e che loro stessi avevano il diritto di presentare il proprio statuto prima che un altro
statuto fosse approvato. Martov, rifacendosi alla propria risoluzione, replicò che il congresso aveva
adottato il principio della centralizzazione, e che esaminando uno per uno i paragrafi i bundisti
avrebbero avuto l’opportunità di chiarire la loro posizione. Difendendo le procedure congressuali,
Trockij disse e “Il Bund è al servizio del Partito, non il Partito al servizio del Bund”. Liber negò che il
Bund si stesse ponendo nella condizione di controllore del Partito; semplicemente voleva che il
proprio statuto fosse preso in considerazione. Alla fine i bundisti accettarono di discutere le
proposte di Lenin, riservandosi il diritto di vagliare le eccezioni che riguardassero il Bund.
Il giorno precedente a quello in cui era previsto il voto, Lenin e Martov invitarono i bundisti a
discutere le loro proposte davanti alla commissione che studiava lo statuto del partito. Quando
questa si riunì, Martov non si presentò, e Lenin rimase qualche minuto prima di andarsene,
scusandosi. Stabilendo che non vi fosse nulla da discutere, gli altri membri della commissione
aggiornarono la sessione. I bundisti videro questo episodio come ulteriore prova che il destino del
Bund era stato deciso, e che i dirigenti del partito non volevano giungere a un accordo. Ma altre
spiegazioni sono possibili, a partire dalle crescenti divergenze tra Lenin e Martov
sull’organizzazione del partito, una circostanza che avrebbe messo il Bund in una particolare
posizione strategica.
Il confronto finale e l’abbandono del Bund. Il confronto finale ebbe luogo alla 27ma
sessione, il 18 agosto. La discussione sullo statuto era arrivata alle organizzazioni nazionali, e in
particolare al Bund. Martov citò il secondo paragrafo dello statuto del Bund. La definizione del
Bund come organizzazione non territoriale del proletariato ebraico e come sua unica
rappresentante era “una chiarissima espressione di federalismo”, disse, e dunque doveva essere
respinta, poiché il congresso si era già orientato in altro modo. Aggiungendo sale sulla ferita,
presentò una lettera di un comitato di Riga che esponeva gli effetti negativi di una struttura
federativa in quella città. Quindi propose di eliminare quel paragrafo senza sostituirlo. Quanto
all’area di attività del Bund, questa doveva rimanere indefinita, poiché era impossibile stabilirla.
Ancora una volta fu Liber a parlare a nome del Bund. A differenza di quanto pensavano
molti delegati, il Bund non era diventato nazionalista e separatista a partire dal Quarto Congresso,
anzi non era cambiato affatto. Liber ricordò a Martov il suo discorso del Primo Maggio 1895, che
sosteneva la necessità di un’organizzazione specifica dei lavoratori ebrei. Notando la somiglianza
tra gli attacchi iskristi e quelli del PPS nel 1898, quando il Bund fu tacciato di mancanza di
solidarietà coi polacchi e i lituani contro lo stato russo, Liber sottolineò che quei vecchi argomenti

257
Vtoroi Ocherednoi s’zed RSDRP: Polnyi Tekst Protokolov, 1904
258
ibidem

147
non avevano impedito la creazione di un forte movimento socialdemocratico tra i lavoratori ebrei in
Polonia. Per di più, la risposta del Bund ai polacchi era stata pubblicata su Rabotnik, senza
obiezioni, quando Plechanov stesso ne era l’editore. Ciò che all’epoca era considerato naturale e
legale, disse Liber, ora era considerato nazionalistico. Il pensiero del Bund, pubblicato su quello
stesso giornale nel 1898, contemplava il bisogno di un’organizzazione indipendente del
proletariato ebraico. Ancora una volta, il Bund non aveva cambiato le proprie idee.
In realtà erano i russi che le avevano cambiate, disse Liber. Altrimenti, perché i compagni
russi non avevano notato queste “dannose” opinioni se non recentemente? La verità era che il
Bund era cresciuto in Polonia e Lituania senza l’aiuto dei russi. Ora, con il rapido sviluppo del
movimento e il bisogno di unire le forze socialdemocratiche, i russi stavano negando al Bund il
diritto di esistere. Disse Liber: “I nostri compagni russi non dimentichino che se per loro la
questione del Bund è la prima pagina della storia, per noi che abbiamo vissuto una vicenda quasi
simile con il PPS la lotta con i compagni russi è la seconda pagina della storia”259. Dopo aver
rimproverato ai compagni russi la loro ignoranza delle attività del Bund e la loro ingratitudine per il
contributo del Bund al movimento, Liber concluse difendendo categoricamente la posizione
delineata nel secondo paragrafo.
La discussione fu breve. I delegati vagliarono separatamente i due punti – la richiesta di
organizzazione non territoriale e quella di solo rappresentante del proletariato ebraico. Entrambi
vennero respinti con un voto di 39 contro 5; il Bund rimase solo. L’abolizione dell’intero paragrafo
fu quindi approvata con 41 voti a favore, 5 contrari e 5 astenuti.
A questo punto Liber intervenne di nuovo:

A nome dell’intera delegazione del Bund, dichiaro che alla luce del fatto che il Congresso per
propria decisione ha respinto il paragrafo principale dello statuto da noi proposto, l’accettazione
del quale è stata posta dal nostro Quinto Congresso come condizione per l’affiliazione del Bund
al Partito, noi in accordo con le decisioni del Quinto Congresso del Bund lasciamo il Congresso
del Partito e dichiariamo il distacco del Bund dal POSDR. In separata sede presenteremo al
Secondo Congresso una dichiarazione scritta in merito.260

Medem raccontò i propri sentimenti in quel momento: “Ce ne andammo. Era


successo…Anche ai nostri avversari la cosa fece impressione, ma per noi fu più dura…Non
facemmo la nostra scelta a cuor leggero. Fu una vera catastrofe…Ci sentivamo come se ci
avessero tolto un pezzo di carne dal corpo”261.

Il dibattito sull’autodeterminazione nazionale. I bundisti non riuscirono a far passare le


proprie posizioni, tuttavia svolsero un importante ruolo al congresso. Essi non solo influenzarono le
decisioni sul tema dei diritti delle nazionalità nel programma del POSDR, ma esercitarono anche
un peso votando in blocco. I loro cinque voti, con quelli dei non iskristi, rappresentarono i voti
vaganti in un congresso a volte profondamente diviso. Ancora più importante, l’assenza dei loro
voti e di quelli di alcuni dissidenti che lasciarono il congresso furono decisivi quando il campo degli
iskristi alla fine si divise.
A differenza dell’isolamento patito nel dibattito sulla posizione del Bund nel partito, i bundisti
trovarono alleati tra i delegati sulle questioni concernenti la nazionalità. Quando la commissione
sul programma del partito finì il suo lavoro e sottopose il programma al congresso alla 15ma
sessione, la solidarietà tra gli iskristi cominciò a vacillare. Izenshtat, membro della commissione,
introdusse una modifica che parlava di “ampio autogoverno locale e regionale”. Lenin obiettò che
la parola “regionale” era troppo vaga e lasciava intendere che la socialdemocrazia favorisse la
divisione dello stato in piccole regioni; ma Martov, guardando alla situazione russa piuttosto che
alla mera questione di principio, propose un emendamento che parlava di autogoverno locale e
autogoverno regionale laddove “condizioni di vita e composizione della popolazione” differissero
marcatamente dalle zone puramente russe. La proposta di Martov prevalse con ampio margine; e
sebbene non fosse proprio la stessa formulazione di Izenshtat, conteneva il riferimento alle regioni
che Lenin non voleva, dando ai gruppi nazionali una rappresentazione non presente nella
formulazione originaria dell’Iskra. E’ possibile che i bundisti, che non ottennero un vantaggio diretto

259
ibidem
260
ibidem
261
Vladimir Medem, Fun mein Leben, 1923

148
da quella formulazione, vedessero in essa un punto di appoggio per altre questioni riferite al tema
delle nazionalità.
Subito dopo fu discusso un paragrafo riguardante la libertà di “coscienza, parola, stampa,
assemblea, sciopero e associazione sindacale”. Liber propose l’inserimento della parola “lingua”
dopo la parola “stampa”, al che i delegati dapprima risero ma poi discussero seriamente. Liber
dichiarò che egli non era per l’uso di qualsiasi lingua, ma per il diritto a usare un linguaggio diverso
da quello statale. Questa questione portò a votazioni molto incerte al congresso. Alla fine la
maggioranza concordò per il diritto individuale all’educazione nella lingua nativa, e per
l’uguaglianza delle lingue nelle istituzioni locali dello stato; queste delibere furono inserite nel
programma del POSDR.
Il tentativo del Bund di aggiungere a questi risultati una dichiarazione generale
sull’autodeterminazione riguardante tutte le nazionalità dell’Impero non riscontrò eguale simpatia.
Medem propose la creazione di istituzioni che garantissero “piena libertà di sviluppo culturale” per i
popoli non distribuiti in maniera omogenea dal punto di vista territoriale. Gli oppositori di questa
proposta dissero che il Bund voleva istituzioni che sostenessero il nazionalismo. “Per noi, in
quanto socialdemocratici”, dichiarò Elia Levin del Iuzhnyi Rabochii262, “non ha importanza se
questa o quella nazionalità si svilupperanno. Questi sono processi spontanei”. Per Boris Ginzburg
(Koltsov), i bundisti chiedevano “misure aggressive per sostenere anche quelle nazionalità che si
stanno estinguendo”. Liber cercò invano di convincere il congresso che, negando queste garanzie,
le nazionalità che pure volevano rimanere in Russia sarebbero state indotte a emigrare. Nel voto
sulla proposta di Medem si vede la stessa forbice tra il Bund e la schiacciante maggioranza che si
pronunciò sulle questioni riguardanti specificamente il Bund.
La scissione tra bolscevichi e menscevichi. Il potere del voto del Bund raggiunse il
massimo peso quando sorse l’aspra controversia tra Martov e Lenin sulla definizione del membro
del partito. Martov voleva aprire il partito ai membri di qualunque organizzazione che accettasse la
direzione da parte del partito stesso, mentre Lenin voleva limitarla ai soli membri delle
organizzazioni di partito. Il Bund si schierò con Martov, e la proposta di Lenin fu respinta per poco
con un voto di 28 a 23. I cinque voti del Bund e i due dell’Unione all’Estero fornirono il margine per
la vittoria di una delle due fazioni in cui l’Iskra si era divisa.
Lenin aveva temuto lo spettro “che il Bund e il Raboceie Delo, ovvero l’Unione all’Estero,
possano sancire il destino di ogni cosa sostenendo la minoranza degli iskristi”263. Poco dopo la fine
del Congresso, egli espresse soddisfazione per la partenza dei bundisti nel momento in cui “erano
virtualmente padroni della situazione”, e rimanendo avrebbero potuto ottenere dei vantaggi.
Ipotizzò, correttamente, che avessero un mandato vincolante. Bertram Wolfe nel suo brillante
studio su Lenin scrive che quest’ultimo, essendo un maestro nel cogliere al volo le occasioni,
semplicemente non poteva comprendere come i bundisti, una volta sconfitti, potessero esimersi da
ricavare il massimo da una situazione negativa usando opportunisticamente i loro voti. Quando i
delegati dell’Unione all’Estero lasciarono a loro volta i lavori264, il gruppo di Martov perse il margine
di voti che gli aveva permesso le precedenti vittorie di misura265.
I bundisti furono estremamente scontenti dell’aperto pregiudizio del congresso verso il
Bund. Nel loro resoconto essi sottolinearono un esempio particolare di trattamento ineguale: il
congresso aveva approvato una proposta dei socialdemocratici polacchi (che erano stati invitati al
congresso in veste speciale) per “istituzioni che garantissero piena libertà di sviluppo culturale a
tutte le nazionalità appartenenti allo stato”, ma aveva respinto un emendamento del Bund al
paragrafo sull’autodeterminazione contenente un linguaggio quasi identico, anzi avevano
addirittura tacciato il Bund di nazionalismo. I bundisti considerarono ciò una reazione puramente
personale.

262
Youzhny Rabochii (Il Lavoratore del Sud), periodico socialdemocratico pubblicato illegalmente tra il gennaio 1900 e
l’aprile 1903. Con il Secondo Congresso del POSDR cessò di esistere come gruppo socialdemocratico separato.
263
Miscellanea di Lenin, ed. russa
264
I delegati dell’Unione all’Estero se ne andarono quando il Congresso decise che il gruppo dell’Iskra sarebbe stato
l’unico rappresentante del POSDR all’estero.
265
In assenza del Bund e dell’Unione all’Estero, i seguaci di Lenin ottennero la maggioranza (bolscevichi) su quelli di
Martov (menscevichi) nel voto sulla proposta di riduzione da sei a tre membri del comitato di redazione dell’Iskra. Così
Lenin e Plechanov misero in minoranza Martov in quell’organismo fondamentale. Alcuni mesi dopo Plechanov cambiò
idea e facendo valere il proprio diritto alla cooptazione richiamò i tre ex-redattori (Akselrod, Potresov, Vera Zasulic),
mettendo in minoranza Lenin.

149
La vittoria sul Bund al congresso segnò il punto più alto raggiunto dall’organizzazione
iskrista nei suoi due anni e mezzo di vita. I bundisti furono pressoché soli a sostenere la propria
aspirazione a partito proletario nazionale entro il POSDR, raccogliendo al massimo pochi voti o
astensioni su questioni tecniche, da coloro che ricordando i servigi resi dal Bund al movimento non
se la sentivano di votare contro.
Il primo resoconto scritto dei lavori del Secondo Congresso, che apparve nel 1904, non
riportò la risoluzione sul Bund. Nelle edizioni successive fu inclusa una dichiarazione secondo la
quale con la crescita del movimento le differenze sarebbero certamente scomparse, portando “alla
necessaria e completa fusione del proletariato di tutte le nazioni in un’unico POSDR, nell’interesse
della lotta di liberazione della classe operaia”266.
Tuttavia la dichiarazione dei bundisti apparve nella prima edizione del resoconto.
Mostrando grande amarezza, essa affermava che sin dall’inizio il congresso aveva cercato di
liquidare il Bund e aveva rifiutato di discutere le sue proposte. L’esperienza avrebbe provato,
affermarono i delegati uscenti, “la bancarotta della tendenza alla soppressione e al livellamento,
che ha trovato così chiara espressione nello statuto organizzativo accettato dal Secondo
Congresso, proprio nel momento in cui vi era la possibilità di arrivare a un’unione fondata su solide
basi”267.
Il Secondo Congresso terminò con il Bund e il POSDR ben più distanti di prima. Il nuovo
statuto del POSDR non permetteva più alle organizzazioni facenti parte del partito il diritto di
svolgere autonomamente le attività per le quali erano state create. Questa interpretazione non solo
era molto lontana dagli sviluppi che il Bund aveva vissuto dopo il 1898, ma era una versione
estremamente ristretta delle regole fissate al Primo Congresso. Se queste ultime fossero state
applicate rigorosamente, il Bund non si sarebbe sviluppato fino a quel punto. Per di più il contesto
che aveva permesso quella crescita non era peggiorato (il che avrebbe forse giustificato una
marcia indietro), bensì sembrava essere ancora più favorevole. La consapevolezza politica della
popolazione ebraica si era sia ampliata che approfondita, rendendo più necessario che mai, a
parere del Bund, rafforzare l’influenza di quello stesso partito tra i lavoratori e gli intellettuali ebrei.
In ogni caso, il carattere nazionale della Russia occidentale in generale, e della comunità ebraica
in particolare, lasciava ai bundisti poche scelte. Il pogrom di Kishinev dell’aprile 1903, uno
sconvolgimento nella vita ebraica che fu quasi totalmente ignorato al Secondo Congresso, avrebbe
accresciuto il già notevole peso del Bund nella vita degli ebrei russi.

266
Vtoroi s’zed RSDRP: Protokoly, Mosca 1959
267
Vtoroi s’ezd Rossiiskoi SDR Partii. Ochtet delegatsii Bunda, 1903

150
17. IL BUND E L’AUTOCRAZIA, 1903 – 1905

Il pogrom di Czestochowa. I bundisti erano ancora sotto l’effetto emotivo del caso Lekert
quando, nell’agosto 1902, scoppiò un pogrom anti-ebraico a Czestochowa, in Polonia268. Questo
nuovo atto di violenza immediatamente li spinse a mettere all’ordine del giorno la questione delle
responsabilità del Bund nei confronti della popolazione ebraica. La reazione del Comitato Centrale
al sanguinoso episodio fu equilibrata. Di Arbeter Shtime assolse il popolo polacco in quanto tale, e
anche minimizzò il fatto evidenziando il carattere particolarmente fanatico della comunità di
Czestochowa, importante centro religioso dei cattolici polacchi. Il comportamento dei pogromisti
venne spiegato con i classici argomenti classisti. Si trattava di individui socialmente arretrati; quelli
che tra loro erano proletari erano semplicemente uomini inferociti e fuorviati, che seguivano alla
cieca i loro padroni. Il Bund attribuì la colpa dell’accaduto al governo, che aizzava un popolo contro
l’altro per i propri scopi. In quest’ottica, il pogrom in sè era un prodotto delle leggi eccezionali, che
creavano un’atmosfera in cui la violenza contro gli ebrei sembrava ammissibile. Per di più lo stato
lasciava spazio alla stampa antisemita, che incoraggiava apertamente la violenza.
Di Arbeter Shtime volle congratularsi coi lavoratori polacchi che si erano rivoltati contro i
pogromisti. Allo stesso tempo lamentò il fatto che i socialisti polacchi non avessero fatto di più per
educare le masse. “E’ davvero assurdo” notò amaramente un articolo “che fino ad oggi non vi sia
un solo opuscolo socialista contro l’antisemitismo in lingua polacca”269.
Sulla questione cruciale della risposta a un pogrom, l’organo centrale del Bund assunse un
punto di vista duplice. Nel lungo periodo, il problema si sarebbe risolto da sé, in quanto il
socialismo avrebbe reso le masse solidali. Per il momento, il pericolo immediato richiedeva una
risposta immediata:

Dobbiamo comportarci come persone con una dignità umana. La violenza, non importa da
quale parte provenga, non deve essere passata sotto silenzio. Quando veniamo
attaccati…sarebbe criminale da parte nostra non essere pronti a resistere. In tali circostanze
dobbiamo farci trovare armi in pugno, dobbiamo organizzarci, e combattere fino all’ultima
goccia di sangue; solo dando prova di forza costringeremo chiunque a portarci rispetto 270.

La risposta nell’immediato, per l’Arbeter Shtime, fu inequivocabilmente un appello alla


resistenza armata.
Per il Bund, la situazione nel 1902 rendeva assolutamente necessario lo sviluppo di una
risposta di massa alla violenza. In questo caso i bundisti, diversamente dal caso della tattica
terroristica, non videro alcuna controindicazione. L’atteggiamento del Bund era troppo militante e la
sua coscienza nazionale troppo profonda per far prevalere gli argomenti teoretici. I principi della
solidarietà di classe e della coscienza rivoluzionaria erano utili capisaldi ideologici, ma non
fornivano una soluzione pratica quando si rischiava la vita. Dunque, sebbene il Bund continuasse a
spiegare i pogrom in termini astratti di classe, tuttavia si volse all’autodifesa come risposta
immediata. Nel 1902 il Bund iniziò a progettare su scala nazionale una politica che sino ad allora
aveva riservato solo a se stesso: difesa delle manifestazioni, e difesa contro le violenze arbitrarie
come i pogrom.
L’appello del Bund a resistere agli assalti dei pogromschiki ebbe uno scarso effetto
immediato. Il pogrom di Czestochowa, pur suscitando una rapida reazione, fu preso come un
episodio isolato, occorso in una città caratterizzata dal fanatismo religioso. Il Bund, radicato nelle
province nordoccidentali, non aveva esperienza diretta di pogrom, più frequenti nella Russia

268
Il pogrom ebbe luogo l’11 agosto 1902. Una folla di operai, soprattutto edili, e giovani cattolici iniziò a lanciare
pietre contro i negozi e nel mercato ebraico. Poi si recò nelle vie degli ebrei poveri, saccheggiando e devastando
botteghe e abitazioni. Non ci furono vittime ebree. La polizia zarista intervenne in ritardo, limitandosi a proteggere le
case degli ebrei ricchi e ad effettuare alcuni fermi.
269
DAS, ottobre 1902
270
ibidem

151
meridionale. Fu il trauma successivo - il pogrom di Kishinev dell’aprile 1903 – che fece esplodere il
problema a livello nazionale.
Il pogrom di Kishinev. La tragica conta dei morti del pogrom di Kishinev impallidisce
davanti ai barbari massacri della storia ebraica successiva; le vittime, tra morti e feriti, furono
“soltanto” nell’ordine delle centinaia271. A quell’epoca, tuttavia, il sanguinoso episodio suscitò
risonanza e proteste a livello internazionale. Per gli ebrei, Kishinev fu un’esperienza scioccante, un
punto di svolta, il metro di misura per ogni successiva avversità. “Esso si abbattè sul proletariato
ebraico come il rombo di un tuono” scrisse Di Arbeter Shtime “e lasciò il segno in ogni cuore”272.
Il grado di responsabilità del governo è difficile da stabilire. I funzionari vicini a Plehve, il
ministro dell’Interno, negarono che egli ne fosse a conoscenza o l’avesse istigato. Ma i funzionari
locali non dissero le stesse cose. Raaben, governatore della Bessarabia, allontanato poco dopo il
pogrom, a quanto pare non fece intervenire la polizia locale per porre fine al massacro. Al suo
successore, il principe liberale Sergej Urussov, che si preparava a partire per la Bessarabia,
Plehve disse: “Per favore facciamo pochi discorsi e poco filosemitismo”273. Urussov compì una
rapida inchiesta e negò che Raaben e Plehve avessero pianificato deliberatamente il pogrom. In
ogni caso essi erano responsabili della politica del governo, la principale causa dei disordini
secondo Urussov. A causa delle leggi eccezionali, la popolazione cristiana credette che gli ebrei
fossero sotto la protezione della legge, e un pericolo per lo stato. Urussov condannò lo stato anche
per il fatto che non avesse censurato la stampa antisemita. Nel complesso egli e il Bund
concordarono sulla questione della responsabilità.
Pur non avendo un comitato a Kishinev, e non essendo quindi direttamente coinvolto, il
Bund tuttavia fu molto scosso dal pogrom e provò a esprimersi sulle sue implicazioni su vasta
scala, in una serie di volantini, opuscoli e articoli. Uno dei primi volantini del Comitato Centrale
cercò di concentrare l’attenzione sulle cause profonde e generali dell’accaduto: la competizione tra
i capitalisti di varie nazionalità, la paura dei capitalisti di un proletariato unito, e la competizione tra
le nazionalità scatenata dal governo per rafforzare la propria posizione. Ovunque dominasse
l’ignoranza tra il popolo, queste campagne avevano successo.
L’opuscolo fu indirizzato direttamente contro le posizioni sioniste della classe media
ebraica, che reagì al pogrom rimarcando il destino degli ebrei nel mondo. “Un unico raggio di luce
rimane nella vita ebraica” affermò Der Fraind (L’Amico) di Pietrogrado, il primo quotidiano legale in
yiddish in Russia. “esso è il sionismo, che richiama il popolo alla sua vecchia casa”274. Il Comitato
Centrale criticò aspramente tali lacrime e passività; era la risposta degli schiavi; gli uomini liberi
dovevano essere pronti a difendere i propri diritti. Ciononostante, un certo pessimismo pervase
anche i ranghi del Bund. Un demoralizzato Hillel Katz-Blum, uno dei più vecchi pionieri, disse a
Kremer di non riuscire a lavorare con lo stesso entusiasmo “quando vedo che ogni passo della
rivoluzione russa viene mosso su tracce di sangue ebraico”275. Kremer comprese i suoi sentimenti,
dice Blum.
Il Bund vide nei pogrom una grande minaccia ai propri obiettivi rivoluzionari, poiché temeva
che le masse ebraiche, bloccate da quel senso di impossibilità espresso da Der Fraind, si
sarebbero isolate ancor più di prima, e di conseguenza insistette sulle colpe del governo e sulla
necessità di non disperare, per scuotere il morale affievolito della comunità ebraica.
I bundisti respinsero anche l’appello di Der Fraind all’unità ebraica (“Ora tutti gli ebrei del
mondo, senza differenza di opinione e partito, si devono unire per difendersi dai propri nemici”), un
appello ripreso anche da altri periodici. A Kishinev si erano viste le differenze di classe, sottolineò il
Bund. Gli ebrei ricchi l’avevano scampata assumendo chi li difendesse, ma il povero era rimasto
senza protezione alcuna. Gli ebrei ricchi avevano inviato degli emissari presso il governo a pietire,
dicendo che “loro, i ricchi, sono bravi e religiosi, mentre i lavoratori socialisti ebrei sono colpevoli di
tutto”276.
Costoro erano gli stessi, raccomandò ai lettori l’Arbeter Shtime, che sfruttavano i lavoratori
e chiamavano la polizia contro di loro nelle lotte economiche. Parlare di unità era semplicemente

271
Nei due giorni di devastazioni (19 e 20 aprile 1903) 47 ebrei furono uccisi, oltre 500 feriti, 700 abitazioni distrutte e
600 botteghe saccheggiate.
272
DAS, maggio 1903
273
Sergej Urussov, Memories of a Russian Governor, 1908
274
Der Fraind, 26 aprile 1903
275
Hillel Katz, Zikhroinos fun a Bundist, 1940
276
DAS, maggio 1903

152
un mezzo per offuscare la coscienza dei lavoratori. Tutti gli ebrei soffrivano, ma non allo stesso
modo.
Autodifesa proletaria armata: le squadre di combattimento. L’appello del Bund
all’autodifesa richiedeva di fare riferimento all’unità e dignità delle masse ebraiche senza creare
un’ondata di nazionalismo che avrebbe favorito i sionisti. Per scongiurare questa eventualità il
Bund cercò di porsi alla testa del movimento di autodifesa. “Che i comitati locali del Bund si
occupino dell’organizzazione della resistenza. Che la nostra gente organizzata stia nelle prime
file”277 affermò un articolo, nel contempo esortando i sionisti a unirsi al proletariato in lotta.
I bundisti cercarono anche di dimostrare che i pogrom erano uno strumento contro-
rivoluzionario, che agevolava il lavoro della polizia la quale dava la colpa dei pogrom ai socialisti e
ne minacciava di nuovi se vi fossero state delle manifestazioni. Se la violenza era un elemento
della guerra di classe, era dunque dovere di tutti i proletari unirsi alla battaglia contro di essa. Al
Quinto Congresso, due mesi dopo Kishinev, il Bund deliberò che

Di tutti gli strati della popolazione ebraica, soltanto il proletariato che si batte sotto la bandiera
della socialdemocrazia rappresenta una forza capace di opporre una effettiva resistenza alle
masse che il governo mobilita contro gli ebrei.
Il Congresso…esprime la convinzione che soltanto la lotta comune del proletariato di tutte le
nazionalità distruggerà alla radice quelle condizioni che generano eventi come Kishinev 278.

Fornendo una base di classe alla lotta contro i pogrom, il Bund sperava di sminuire
l’aspetto etnico di queste rivolte e quindi la conseguente crescita del nazionalismo. Per sostenere
la propria posizione, esso chiese alla socialdemocrazia russa di assumere un ruolo più attivo a
questo proposito, legando i lavoratori russi al movimento ebraico, combattendo l’antisemitismo in
maniera diretta, spingendo i lavoratori russi a unirsi ai loro fratelli ebrei nella resistenza armata
durante i periodi di pericolo.
La posizione del Bund era difficile e su di esso gravava una grossa responsabilità, in
quanto non solo voleva assumere la guida del conflitto armato contro la violenza statale, ma allo
stesso tempo intendeva evitare la crescita di un nazionalismo ebraico. I bundisti furono costretti a
chiedere il supporto degli altri socialdemocratici, i quali replicarono che la tragedia di Kishinev era
un motivo in più per un’unità organizzativa più stretta.
Kishinev ebbe effetti durevoli sugli ebrei di Russia. Nei successivi 18 mesi, fino alla
Rivoluzione del 1905, vi furono numerosi conflitti, che ogni volta fecero riemergere lo spettro del
massacro. La semplice voce relativa a un pogrom era sufficiente a mettere un’intera comunità sul
chi vive.
Con lo scoppio della guerra russo-giapponese nel gennaio 1904, lo stato aveva l’interesse
a promuovere l’armonia interna. Ciononostante, la violenza continuò. Gli antisemiti ora usarono
argomenti patriottici per fomentare i pogrom. In aggiunta alle tradizionali accuse di compiere
uccisioni rituali, diffusero voci che gli ebrei acquistassero armi per i giapponesi, e anche che gli
ebrei avevano mosso guerra alla Russia per vendicare Kishinev. La polizia usò la minaccia del
pogrom come arma contro l’attività rivoluzionaria, e i rivoluzionari ebrei non potevano prendere alla
leggera tali minacce. Il pogrom dunque divenne una preoccupazione costante del Bund nel suo
lavoro rivoluzionario.
In realtà la guerra stessa fu causa di pogrom. I coscritti frequentemente diventavano difficili
da tenere a bada nei centri di mobilitazione, e spesso scoppiavano violenze nelle città ove erano
presenti. In svariate circostanze la polizia trovò conveniente trasformare momenti di tensione in
una manifestazione anti-ebraica.
L’appello del Bund all’autodifesa fu espressione di un’avanzata e consapevole solidarietà
proletaria e nazionale, la cui genesi precedeva di molto i pogrom. L’idea di autodifesa di per sé non
era rivoluzionaria, ma certamente contribuiva a creare il terreno psicologico e organizzativo adatto
alla rivoluzione. L’intento del Bund comunque non fu la ribellione: esso chiedeva semplicemente
che la comunità ebraica e altri individui disponibili unissero le forze in caso di attacchi.
Il fondamento morale di questa chiamata alle armi aveva profonde radici nell’esperienza
bundista. La dignità umana era stata un tema consistente sin dai giorni dei pionieri, e risaliva
almeno al 1895, quando Martov raccomandò ai lavoratori ebrei di combattere per la propria dignità

277
Archivio del Bund
278
ibidem

153
e libertà: un appello diretto nel profondo dell’animo, che era diventato elemento fondante del
pensiero bundista. Con le risoluzioni del Quarto Congresso sui diritti nazionali, il concetto di dignità
fu ampliato; il lavoratore ebreo ora era considerato titolare di dignità non solo come uomo, ma
anche come ebreo.
Come abbiamo visto, agli inizi della storia del Bund i suoi dirigenti avevano rifiutato sia la
violenza economica che quella politica. Dal punto di vista ideologico e pratico essi avevano
respinto il terrorismo in quanto pericoloso per lo sviluppo di una vera consapevolezza di massa,
potenzialmente dannoso per le relazioni tra nazionalità contigue, e nocivo per la disciplina
organizzativa. Ciononostante il terrorismo economico aveva una lunga storia nel movimento, e a
volte riceveva la tacita approvazione dei comitati locali. Il terrore politico, nella forma della vendetta
organizzata, era un problema più difficile in quanto rappresentava il desiderio dei rivoluzionari ebrei
di affermare la propria dignità di esseri umani di fronte alla violenza statale. Ma anch’esso era stato
respinto dai dirigenti dopo un lungo periodo di esitazione. Fu la decisione di usare la forza per
difendere le manifestazioni che alla fine aprì la strada ad una nuova posizione sul tema della
violenza.
Il Quinto Congresso del Bund completò la presa di posizione ufficiale sull’autodifesa, e nella
seguente risoluzione legittimò l’uso della forza: “Il Congresso, ribadendo la necessità della più
energica resistenza alla violenza dei teppisti, riconosce che i comitati e le altre organizzazioni del
Bund debbano prendere le necessarie misure affinchè ai primi segnali di un imminente pogrom
esse siano in condizione di organizzare una resistenza armata”279. Il Bund aveva compiuto il primo
passo verso l’autorizzazione di una forza armata nell’intento di proteggere le manifestazioni. Ora
faceva un passo avanti e si poneva sul piede di guerra contro quegli elementi che avessero
attentato alla comunità ebraica.
Vi sono pochi dubbi sulla capacità del Bund di costruire una tale campagna. La comunità
ebraica, nonostante la sua tradizionale passività, includeva uomini non estranei alla violenza.
Falegnami, fabbri e altri similmente impiegati in attività che richiedevano grande sforzo fisico erano
spesso uomini combattivi, e potenziali reclute per le forze di autodifesa. Altri membri vennero
reperiti tra quegli stessi fuorilegge che in passato spesso avevano combattuto contro i lavoratori,
sia per conto dei padroni che di propria iniziativa; una parte di costoro si era già unita alle
organizzazioni terroristiche, in particolare agli albori del movimento. Molti di quei soggetti avevano
formato delle “squadre di combattimento” non ufficiali (boevie otriady, BO), le quali ottennero armi
e iniziarono ad attaccare la polizia per liberare i compagni fermati o a scontrarsi con le gang che
difendevano i crumiri. I più attivi tra costoro in molti casi diventavano capi o organizzatori delle
nuove unità di autodifesa.
Una volta giunta l’autorizzazione del Comitato Centrale, il comitato locale dava l’investitura
ufficiale e istruzioni specifiche ai membri di queste squadre armate. Mendel Daich, esperto
combattente, descrive la formazione delle unità di autodifesa a Dvinsk. Quando in un villaggio
vicino, abitato da Vecchi Credenti, iniziarono a circolare voci di pogrom, “giunse l’ordine dal
comitato di includere nell’autodifesa solo i membri dell’organizzazione robusti e aggressivi, e di
separare l’autodifesa dal lavoro di agitazione e propaganda. Il gruppo di autodifesa di Dvinsk era
composto da circa 80 uomini”280. Il gruppo era diviso in squadre denominate “decine”, ciascuna
con il suo capo che aveva il compito di riunire la squadra, rifornirla di armi e garantirle un luogo di
ritrovo. Il comandante dell’intera forza a Dvinsk era un certo Shloime Parkai; Daich era il suo vice.
Il gruppo di autodifesa di Dvinsk ricevette il battesimo di fuoco nel periodo della Pasqua
1903. In quelle settimane delicate, in cui i pogrom erano fomentati facilmente, l’unità mobilitò circa
200 uomini. Essi erano equipaggiati con armi bianche o da fuoco: coltelli, clave e asce in un caso,
bombe (talvolta definite klaidlekh, gnocchi) e revolver nell’altro. Due “decine” di macellai portavano
con sé delle mannaie. Uno studente ginnasiale era addetto alla fabbricazione delle bombe. Nel
complesso l’unità disponeva soltanto di 18 revolver. Ma quando scoppiò uno scontro nel giorno del
mercato, ciò bastò per sbrigare in fretta la faccenda: i contadini se la diedero a gambe. La polizia a
quanto pare preferì non intervenire, e un potenziale pogrom fu sventato.
Una volta cessato l’allarme, il comitato di Dvinsk ordinò alle decine armate di smobilitare.
Le sue istruzioni tuttavia furono disattese; i capi delle squadre, denotando un certo spirito

279
Piatyi s’zed fun Bund v Litve, Polshe i Rossii, opuscolo 1903
280
Mendel Daich, Vegn main Revolutsionerer Arbet, 1929

154
autonomo, insistettero per mantenere un contingente armato di 55 uomini. L’esperienza di Dvinsk
fu ripetuta nei dettagli essenziali in diverse città della Zona e della Polonia.
Le BO, autorizzate per la prima volta dal Bund nel 1902 per proteggere le manifestazioni,
ora divennero una parte integrante dell’organizzazione, con una serie crescente di incarichi. Esse
agivano come servizio d’ordine durante i raduni nei boschi, stavano di guardia alle porte delle
sinagoghe quando gli oratori del Bund tenevano dei “sermoni” (talvolta contro la volontà dei
presenti), e formavano lo zoccolo duro delle forze di autodifesa mobilitate durante i pogrom.
La battaglia di Gomel. Il primo test serio di efficacia delle milizie ebbe luogo alla fine
dell’estate 1903 a Gomel. Esse diedero prova di valore, con grande soddisfazione per i bundisti
molti dei quali dopo Kishinev erano stati presi da un senso di vergogna e impotenza. Come fu
possibile, si era chiesto un opuscolo del Bund, che i pogromisti avessero potuto agire indisturbati
per due giorni in una città in cui quasi la metà della popolazione era ebraica? Gomel fu tutta
un’altra cosa, “una nuova pagina nella storia degli ebrei in Russia”281, come Di Arbeter Shtime
intitolò uno dei suoi articoli. Anche il moderato Der Fraind si compiacque: “Ciò che è avvenuto è
stata una battaglia e non un pogrom”282.
Lo stato svolse una funzione importante e molto deprecabile nel pogrom di Gomel. La
semplice consapevolezza che i giovani ebrei si stessero armando non servì a impedire la violenza,
che scoppiò venerdi 29 agosto all’indomani di un piccolo incidente. I pogromisti furono sconfitti,
tanto che la battaglia in seguito fu descritta come “un pogrom contro i russi”. Lunedi 1 settembre,
quando scoppiarono nuove violenze, i soldati erano sul posto, chiamati secondo la versione
ufficilae perché era corsa voce che i ferrovieri sarebbero stati attaccati dagli ebrei come
rappresaglia per gli eventi del venerdi.
Lo stato e il Bund espressero versioni completamente differenti del ruolo dei militari in
questa nuova e più grave tornata di violenze, ma una cosa è chiara: nonostante la presenza di
diverse compagnie di soldati, centinaia di case e negozi ebraici furono vandalizzati. Come riportato
nella versione ufficiale, le truppe furono chiamate per impedire che il pogrom raggiungesse il
centro della città, dove risiedevano gli ebrei più ricchi. Quella parte di città fu preservata, ma le
cose andarono diversamente in altri quartieri ebraici. L’unica altra attività dei soldati, secondo i loro
rapporti e quelli del Bund, fu di combattere contro le unità di autodifesa.
Le versioni del Bund e del governo sull’accaduto sono inconciliabili. Il governo affermò che
gli unici danni ci furono dove non vi erano soldati, il Bund altrettanto fermamente ribadì che le
truppe avevano ostacolato le forze di autodifesa, permettendo ai ferrovieri di imperversare come
volevano protetti da un cordone militare. Alla luce delle devastazioni verificatesi, non è troppo
azzardato ipotizzare che la versione del Bund sia quella più veritiera.
Nonostante l’inedito e frustrante intervento dell’esercito – l’ultima e più potente arma a
disposizione del regime zarista contro i suoi oppositori – i bundisti furono entusiasti al limite
dell’esaltazione per la parte da essi svolta nel pogrom di Gomel. Il contrasto con Kishinev fu
evidente. Dove squadre di autodifesa e pogromisti si erano scontrati in assenza delle forze statali,
le milizie ebraiche avevano avuto la meglio. I bundisti riportarono che se non vi fossero stati soldati
a nessun ebreo sarebbe stato torto un capello. Era troppo attendersi che le forze di autodifesa si
battessero contro i soldati. Ma il gruppo, composto da 200 uomini, la sera del lunedi decise che se
l’indomani ci fossero stati nuovi scontri avrebbe attaccato le truppe governative.
Il Bund interpretò lo spirito mostrato a Gomel come una nuova fase della storia
rivoluzionaria e sociale del popolo ebraico, e una conferma della propria tesi che gli ebrei potevano
e dovevano autodifendersi. Il Bund si proclamò pioniere dell’autodifesa ebraica283 e precisò che il
proletariato ebraico rappresentava l’unico potere nelle strade.
Lo scontro si acuisce. Il susseguirsi di pogrom, veri o annunciati, determinò una
corrispondente crescita dell’autodifesa. La causa ebraica attirò non solo bundisti ma anche sionisti
laburisti e volontari cristiani. Il gruppo di autodifesa di Gomel era di composizione nazionale e
politica mista, e comprendeva tra gli altri circa 30 cristiani. Dopo i fatti di Gomel i bundisti
ricevettero le congratulazioni anche da parte dei comitati del POSDR di Kharkiv e Tbilisi.

281
DAS, ottobre 1903
282
Der Fraind, 20 settembre 1903
283
L’ideologo sionista Ber Borokhov contesta al Bund questo primato, affermando che i sionisti laburisti organizzarono
una forza di autodifesa tre anni e mezzo prima di Gomel, e che egli rivelò ciò fin dal 1907. Se Borokhov dice il vero, si
trattò una forza molto debole. Altre fonti fanno pensare che questa forza di autodifesa in realtà non ci fu.

155
In questo periodo anche la contesa tra il Bund e la polizia si fece sempre più intensa,
soprattutto in conseguenza dei crescenti tentativi di Plehve di stroncare le ondate di protesta nel
suo periodo di ministero dell’Interno (dall’aprile 1902 al 15 luglio 1904, data della sua uccisione).
La dura linea del governo traspare dal balzo in avanti degli arresti in quegli anni. Secondo i dati del
Bund, tra l’aprile 1901 e il giugno 1903 furono arrestati 2.180 compagni. Nel periodo giugno 1903 –
luglio 1904 gli arresti furono 4.467, più del doppio nella metà del tempo.
Ai bundisti sembrò che la polizia avesse abbandonato ogni limite. All’inizio del 1904 un
corrispondente di Vilna riportò che 200 abitazioni erano state perquisite nel tentativo di scovare
delle riunioni; resoconti simili arrivarono da Varsavia. Un atto innocuo come fumare al sabato
poteva portare all’arresto, poiché la polizia riteneva che tale trasgressione di certo identificasse
l’ebreo radicale rispetto a quello ligio alle regole. Alcuni borghesi furono sanzionati per avere
consentito lo svolgimento di riunioni nella loro proprietà, e agli informatori fu ordinato di riportare
ogni cosa. Lo stato utilizzò qualunque metodo possibile di spionaggio per soffocare l’attività
rivoluzionaria.
Anche i casi di violenze contro i rivoluzionari o i presunti tali videro una forte crescita
durante l’era Plehve, e rimasero numerosi dopo l’assassinio di quest’ultimo. Le manifestazioni
erano minacciate da pogrom e da vere rappresaglie. I raduni venivano attaccati con ferocia inedita.
Un’assemblea nei boschi intorno a Bialystok fu circondata e presa a fucilate senza alcun
preavviso. Ma in presenza di una BO la polizia spesso riteneva opportuno compiere arresti solo
dopo che un raduno o una manifestazione si erano sciolti. La politica dell’autodifesa influì a sua
volta. Per esempio a Mogilev la polizia si rifiutò di difendere il quartiere ebraico da un gruppo di
pogromisti, esortando sarcasticamente chi chiedeva protezione a rivolgersi agli “ebrei democratici”,
o a quelli che brandivano la bandiera rossa. L’intento ovviamente era di dividere la comunità
ebraica, scaricando i suoi problemi sui rivoluzionari. Il Bund replicò ribadendo che i pogromisti
erano diretti dalla polizia e che la maggior parte di essi era costituita da rifiuti della società piuttosto
che da lavoratori.
La furiosa attività della polizia inevitabilmente ostacolò il Bund nel suo lavoro. Nella misura
in cui Plehve e il suo successore, Piotr Svjatopolk-Mirskij, riuscirono a impedire la piena
espressione dell’attività rivoluzionaria, la loro politica ebbe successo. Allo stesso tempo, ogni
successo dei rivoluzionari in tali circostanze li rese più forti, forgiando un movimento più duro e
determinato.

L’opposizione alla guerra russo – giapponese. Per il Bund lo scoppio della guerra tra la
Russia e il Giappone nel gennaio 1904 fu l’evento politico più drammatico tra Kishinev e la
Rivoluzione del 1905. La guerra era un bersaglio naturale per i socialdemocratici, ovunque si
trovassero, e il Bund seguì la medesima linea. Nella sua analisi il conflitto scaturiva dalla
competizione capitalistica per mercati e materie prime, sostenuta da un governo che necessitava
delle ricchezze dei capitalisti per la propria stabilità interna, e di nuovi territori per acquisire credito
all’estero. “L’intera responsabilità della guerra” affermò il Comitato Centrale del Bund poco dopo
l’inizio delle ostilità “ricade sulle spalle dei governi che l’hanno dichiarata”284. A causa delle
promesse non mantenute in Manciuria e delle rapine nel periodo post-Shimonoseki, lo stato zarista
secondo il Bund aveva colpe maggiori rispetto a quello giapponese285.
I mutamenti economici, la mobilitazione e l’aumento dello sciovinismo ebbero ripercussioni
negative sul Bund. La solidarietà operaia arretrò sotto la pressione della crisi economica,
spingendo il Bund sulla difensiva. I bundisti provarono a ribadire ai lavoratori che la nuova ondata
di disoccupazione era il risultato della riduzione di crediti e trasporti a causa delle operazioni
belliche, ma nonostante gli sforzi la loro influenza diminuì.
La mobilitazione pose due questioni di fronte al Bund: cosa dire di fare a riservisti e reclute
quando venivano richiamati, e come evitare pogrom da parte dei militari riuniti nei centri di
mobilitazione. Il Bund si assunse il compito socialdemocratico di illuminare le reclute sul significato

284
Archivio del Bund
285
Nel 1895, al termine della prima guerra sino-giapponese, a Shimonoseki il Giappone aveva stipulato un Trattato con
la Cina che comportava la cessione della penisola di Liaodong, con l’importante nodo marittimo di Port Arthur. Quando
il Trattato fu reso pubblico, la Russia spalleggiata dalle potenze occidentali chiese al Giappone di rinunciare alla
penisola di Liaodong in cambio di un maggiore indennizzo monetario. Il Giappone fu costretto ad accettare, e appena
lasciò la pensiola essa fu occupata a tradimento da inglesi, francesi e russi, questi ultimi in particolare impadronendosi
di Port Arthur.

156
della guerra. Nel luglio 1904 il Comitato Centrale in un volantino si rivolse al proletariato russo
esortandolo a non prestarsi al “gioco pericoloso” del governo. Il Bund prudentemente evitò di
caldeggiare l’azione individuale, invocando invece la “ribellione di massa…laddove possibile” per
“far capire al governo che se intraprende una guerra dannosa per il popolo senza interpellarlo, non
può contare sul popolo”286. In breve, l’unica possibilità per il proletariato era la protesta.
La prima risposta del Bund alla mobilitazione sortì ben poche ribellioni di massa. A
differenza del PPS, che suggeriva la fuga per evitare la coscrizione – una risposta che il Bund
riteneva più attuabile da parte dei russi che delle minoranze – esso pensava che fuggire non
avrebbe risolto il problema dell’oppressione, almeno fino a quando i soldati in massa non avessero
rifiutato di unirsi all’esercito. Tuttavia la fuga era ammissibile e anche desiderabile in circostanze
particolari: “Possiamo suggerire la fuga solo per coloro che lasciano l’esercito zarista con
l’intenzione di unirsi al nostro esercito, ai ranghi dei rivoluzionari”287. In caso contrario, le
manifestazioni unitarie di riservisti e operai erano la migliore forma di protesta. Alla fine dell’anno il
Bund suggerì che i coscritti rifiutassero di ascoltare il giuramento che li vincolava a difendere
l’onore della patria; se il conflitto era ispirato dal capitalismo la questione dell’onore nazionale era
chiaramente fuorviante.
In realtà rispetto alla guerra il Bund si ritrovò in una posizione scomoda. La sua riluttanza a
chiamare alla diserzione o all’insurrezione può essere spiegata almeno in parte col timore che ciò
avrebbe portato all’accusa di alto tradimento nei confronti di tutta la popolazione ebraica. Poteva il
Bund mettere in condizioni di rischio chi non poteva difendere? L’autodifesa, per quanto efficace e
coraggiosa, era una risposta insufficiente di fronte alle forze combinate di polizia ed esercito; ogni
tentativo di affrontarli certamente si sarebbe risolto in tragedia.
Il Bund, come altre organizzazioni rivoluzionarie, aveva iniziato l’agitazione tra i soldati
prima della guerra. A metà del 1902, mentre si discuteva il problema della difesa delle
manifestazioni, fu suggerito di distribuire volantini a soldati e ufficiali, spiegando la questione e
chiedendo di collaborare. I bundisti speravano anche di fare breccia nell’esercito dall’interno.
L’importanza di avere soldati con coscienza di classe – agitatori in uniforme – era ovvia. Lo spirito
dei coscritti russi nell’esercito era molto basso, e quello degli ebrei nell’esercito ancora peggiore,
ma alcuni lavoratori di tempra forte accettarono o anche cercarono di andare sotto le armi per
servire la causa rivoluzionaria.
Tra il 1903 e il 1904 il Bund intensificò la propria attività rivoluzionaria tra i militari. Il
Comitato Centrale, nel resoconto del giugno 1903, che riassumeva il lavoro svolto a partire dal
Quarto Congresso, segnalava l’esistenza di gruppi organizzati tra i soldati, e la comparsa di
volantini firmati da un Gruppo Militare Rivoluzionario. Un anno dopo, nel settembre 1904, il Bund
riportò al Congresso dell’Internazionale ad Amsterdam che, nonostante la penuria di dati in
proposito, erano stati fatti grandi progressi nel lavoro tra i coscritti, attraverso riunioni, volantini e
manifestazioni. Inoltre i circoli organizzati nell’esercito continuavano a fare un buon lavoro di
diffusione della stampa.
Questo incremento di attività non passò inosservato da parte delle autorità militari.
Sebbene l’agitazione non fosse fatta soltanto dal Bund, i soldati ebrei divennero un obiettivo
specifico fin dal gennaio 1903, quando il ministro della Guerra Aleksej Kuropatkin diramò una
circolare segreta raccomandando ai vari comandanti di tenere sotto stretta sorveglianza i soldati
ebrei e i loro parenti. A questa ne seguì un’altra nel marzo 1904 che ordinava che la
corrispondenza inviata ai soldati semplici fosse sottoposta a censura, “in particolare quella
proveniente da ebrei” e che ai soldati ebrei “fosse vietato di ricevere corrispondenza in
ebraico…Ogni individuo scoperto in possesso di lettere scritte in ebraico verrà sottoposto a severe
punizioni”288. Tutte le lettere in una lingua che non fosse il russo dovevano essere girate a
funzionari speciali. Poco dopo fu diramato un altro testo segreto, che questa volta diceva che “la
diffusione di idee criminose proviene per la maggior parte da soldati ebrei, alcuni dei quali
volontari” e richiedeva “la massima sorveglianza nei confronti di dei soldati…e in particolare degli
ebrei e dei lettoni”289. La scoperta di queste circolari, e la loro successiva pubblicazione sulla

286
Posledniia Izvestiia, 5 novembre 1904
287
ibidem
288
New York Times, 4 settembre 1904. Probabilmente la circolare zarista intendeva sia ebraico sia soprattutto yiddish.
289
ibidem

157
stampa estera e su quella rivoluzionaria, accrebbero le difficoltà del regime, che era sempre più
sotto pressione.
Nonostante i tempi bui della guerra, i bundisti vedevano in essa grandi possibilità per il
futuro del movimento. La prima reazione del Centro Estero fu un monito a non sottovalutare la
forza del regime zarista. A suo parere la rivoluzione come risultato della guerra era possibile ma
non auspicabile; in tali circostanze un governo rivoluzionario poteva cadere facilmente. Invece,
diceva il Centro Estero, ora era il momento di spingere il regime a rinunciare alle proprie
prerogative concentrandosi sulla sua debolezza interna. Tra l’incudine dell’esercito giapponese e il
martello del movimento rivoluzionario, l’autocrazia avrebbe dovuto cedere.
L’uccisione di Plehve e la “primavera” di Mirskij. Ma i bundisti in Russia vedevano
l’autocrazia ancora più in difficoltà. Laggiù era forte la convinzione che la guerra avrebbe fatto
crollare il regime. Nel febbraio 1904 il Comitato Centrale del Bund era certo che “la guerra sarà
l’ultima goccia che farà traboccare il vaso delle sofferenze che l’autocrazia impone al tutto il popolo
di Russia, e in particolare al proletariato”290. Il successivo corso degli eventi rafforzò queste
aspettative. La sconfitta dell’esercito e della flotta russa diede ulteriore peso all’idea dell’imminente
caduta del regime. “Possono i nostri soldati condurre una lotta alla pari contro i giapponesi, più
istruiti e addestrati, e che hanno già assaporato il gusto della libertà politica?” chiedeva il Bund291.
Dal punto di vista del Bund, la volontà e capacità di combattere erano intimamente legate alla
democrazia. Se il Giappone non era esattamente un fulgido esempio di democrazia politica, ai loro
occhi esso era tuttavia molto più avanti della Russia; dunque l’esercito russo era destinato alla
rotta. Inoltre l’oggettiva limitatezza dei trasporti ferroviari russi, che rendeva impossibile mantenere
un adeguato rifornimento di uomini e materiali, era per loro un argomento in più. Infine, i bundisti
condividevano l’opinione di molti osservatori stranieri che le alte sfere militari russe fossero
composte da individui inaffidabili e incompetenti. Con una punta di soddisfazione il Comitato
Centrale rilevò che “la capacità militare della Russia non è così notevole come si credeva”292; e
con ancor più sarcasmo ricordò come l’esercito russo si era distinto in occasione di rivolte
contadine e scioperi, per non parlare della “difesa” degli ebrei nei pogrom di Kishinev e Gomel.
Combinando le loro profonde speranze e l’evidenza della relatà, i membri del Comitato Centrale si
convinsero fermamente che il regime era giunto al capolinea; esso stava perdendo la guerra, e
non poteva evitare quella sconfitta che sarebbe stata il coup de grace dell’autocrazia.
Nel frattempo le pericolose tensioni all’interno della società russa stavano diventando
evidenti anche ai vertici del regime. Dopo l’uccisione di Plehve nel luglio 1904293, questo iniziò a
mutare alcune delle politiche associate al suo nome. Con la nomina del moderato Svjatopolk-
Mirskij come successore, i liberali in Russia esultarono, alla prospettiva di una nuova “Primavera”
politica. I bundisti, da parte loro, si limitarono a gioire per la morte di Plehve, “autentico Haman
della storia ebraica”, il cui nome era sinonimo della “più selvaggia repressione poliziesca” e del
“ricordo di tutti i duri e incessanti colpi inferti al movimento rivoluzionario da due anni a questa
parte”294.
Il Bund aveva previso la possibilità di un mutamento nella politica del governo ancor prima
della nomina di Mirskij. Il suo nuovo giornale teorico in russo, Vestnik Bunda (Corriere del Bund),
affermava che per il governo si aprivano due alternative: mantenere il medesimo livello di
repressione o scegliere di fare alcune concessioni, quest’ultima la scelta migliore perché avrebbe
permesso di contenere il movimento rivoluzionario. Lo stato poteva accordarsi coi liberali dando
un’impressione di cambiamento senza cedere in maniera significativa, in una parola una sorta di
“Zubatovschina politica”. Le aspettative crescevano in tutta la Russia, creando una “eccitazione
passiva” nella prospettiva di riforme provenienti dall’alto, un clima assai nocivo per l’espansione del
movimento rivoluzionario. Inoltre il movimento poteva essere seriamente danneggiato se le
concessioni del governo avessero portato alla crescita di sentimenti anti-rivoluzionari295.
La “Primavera” di Mirskij mosse in parte lungo queste direttrici. Il nuovo ministro dell’Interno
provò a distinguere tra rivoluzionari dichiarati e riformisti liberali. Egli licenziò alcuni ufficiali dello

290
Archivio del Bund
291
Der Bund, ottobre 1904
292
Der Bund, luglio 1904
293
L’attentato fu portato a termine con successo il 28 luglio dall’Organizzazione di Combattimento Socialista
Rivoluzionaria. Esecutore materiale fu Egor Sozonov.
294
Vestnik Bunda, luglio 1904
295
ibidem

158
staff di Plehve, compreso il generale Wahl, bersaglio degli spari di Hirsh Leckert; allentò le
restrizioni nei confronti degli zemstvo, gli organi elettivi di governo locale, formati in larga parte
dalla borghesia rurale, consentendo anche un’assemblea dei lavoratori degli zemstvo a
Pietrogrado nel novembre 1904; e allentò la censura sulla stampa.
Il cambiamento dell’atteggiamento del governo fu percepito anche da parte della comunità
ebraica. Anche prima della dipartita di Plehve, nella primavera del 1904, il governo aveva
temporaneamente cessato di espellere gli ebrei dai luoghi nei quali risiedevano illegalmente, nella
speranza di alleviare la loro insoddisfazione nel mezzo della poco promettente guerra. L’11 agosto
1904 lo Zar firmò un decreto che dava qualche concessione agli ebrei, soprattutto nella forma di
facilitazioni riguardo alla residenza, in attesa di un riesame generale di tutta la legislazione verso
gli ebrei.
Questi atti concilianti suscitarono la pronta risposta del Bund, che ribadì la propria
incrollabile ostilità al regime e rinnegò le concessioni. Il cambiamento dei ministri aveva poche
conseguenze, insisteva il Bund, poiché la politica né di Plehve né di Mirskij rifletteva le opinioni di
questi ultimi. Era l’autocrazia la vera promotrice di quelle politiche, e da parte sua non c’era da
attendersi alcun cambiamento. I ministri dovevano proteggere l’autocrazia nel miglior modo
possibile – quella era la linea politica costante – altrimenti sarebbero stati licenziati.
Il Bund criticò la nuova politica verso gli ebrei. Il Comitato Centrale innanzitutto pubblicò
uno speciale volantino in russo e yiddish che attaccava il “Manifesto ebraico” dell’11 agosto, poi
fece seguire una più dettagliata analisi sul Vestnik Bunda. Poiché il nuovo decreto riguardava
soltanto la residenza di due categorie, i soldati ebrei che si erano distinti in guerra e la borghesia
ebraica, il giornale del Bund vedeva sul piano pratico un cambiamento politico assai limitato, e
soltanto per pochi aspetti.
Le ragioni della generosità statale apparivano chiare ai bundisti. La prima e principale di
queste erano le difficoltà interne ed esterne del regime; esso simulava sempre delle riforme nei
momenti di crisi. Ma perché una riforma ebraica? In base all’analisi del Bund, perché la questione
ebraica aveva un ruolo centrale nella politica del regime, e “la posizione degli ebrei è una sorta di
barometro della situazione legale nel paese, cosicchè il governo quasi automaticamente inizia la
propria attività riformatrice con cambiamenti nella situazione legale degli ebrei”296. I bundisti
ritenevano anche che il fermento rivoluzionario tra gli ebrei spingesse il governo “a calmare in
qualche modo questo popolo recalcitrante”297.
Molti in Russia, in particolare all’estrema destra, non vedevano nulla di lodevole nella lotta
del proletariato ebraico. Lungi dall’essere eroici, come avrebbe voluto il Bund, gli ebrei erano
“infinitamente più pericolosi dei tartari”. Questa era l’opinione di M.O. Menchikoff, editore del
conservatore Novoe Vremia, che riteneva che l’autorità centrale “si sentisse troppo debole per
prendere di petto il problema”, e temeva per il futuro del regime298.
Anche quando le riforme entrarono in vigore, rimase evidente la continua ostilità del regime
verso gli ebrei. In un’intervista con dei giornalisti occidentali, Mirskij riconobbe la difficile situazione
degli ebrei poveri in Russia e la necessità di un cambiamento; tuttavia, come suggerì a un
corrispondente, non vi era la benché minima possibilità che essi ottenessero gli stessi diritti della
popolazione ortodossa. Inoltre, nonostante il “Manifesto ebraico”, i pogrom continuarono. Era
difficile, affermò il Bund, riconoscere l’impronta diretta del governo in questi disordini; tuttavia lo
stato non solo ne aveva preparato il terreno, ma non era neanche riuscito a fermarli, tranne che in
circostanze in cui per proprie ragioni voleva che cessassero. “I pogrom esistono” continuarono ad
affermare i bundisti “soltanto quando il governo li vuole”299.
Alla metà del 1904 i bundisti ritenevano che lo stato fosse ben lontano dalla linea riformista,
nonostante gli atteggiamenti concilianti. Tuttavia il Bund era molto ottimista. Le continue sconfitte
militari, il crescente fermento, e l’indecisione degli apparati governativi – tutto indicava che il
regime fosse estremamente pericolante. Le sue concessioni parevano essere una richiesta di aiuto
alla società: un chiaro segno di debolezza e un raggio di speranza per la rivoluzione.

296
Vestnik Bunda, novembre 1904
297
ibidem
298
In Monthly Review, Londra febbraio 1904
299
Vestnik Bunda, novembre 1904

159
18. IL BUND E LA SOCIETA’ EBRAICA, 1903 - 1905

Il movimento giovanile. Nel 1903 il Bund non era più un’organizzazione giovane secondo
gli standard rivoluzionari. Al Secondo Congresso del POSDR emerse una nuova generazione di
leader, che esprimeva quelle qualità richieste dalle circostanze. Anche l’età iniziò a distinguersi
come fattore importante. Molti tra i dirigenti più giovani erano consapevoli della distinzione tra sé e
coloro che avevano lavorato nei circoli durante il periodo dei pionieri. Kremer in particolare era
considerato in maniera particolare, come una figura patriarcale il cui nome “evocava varie
leggende sul movimento rivoluzionario”. “Per noi giovani bundisti della seconda generazione” dice
Hofman “Arkady era il padre del Bund”300. Anche Medem e Raphael Abramovich erano ben
consapevoli della differenza di età tra sé e la “vecchia guardia”. Notando che nel 1903 Izenshtat
aveva 55 anni, Medem chiosa: “A quell’epoca sembrava davvero un vecchio”. La differenza di età
era anche più marcata a livello locale. Il vecchio semi-intellettuale Litvak evidentemente
considerava stupefacente la giovinezza dei membri del Bund, in quanto tiene a sottolineare che
non era raro trovare dei sedicenni nelle file dell’organizzazione, o dei diciannovenni nei comitati
locali. Anche i giovanissimi partecipavano agli scioperi.
L’incontro tra vecchio e nuovo logicamente portò una certa dose di conflitto. I vecchi
argomenti dell’Opposizione, sulla tattica e sull’istruzione degli operai, emersero di nuovo. “Noi
giovani” afferma Laibechke Berman, attivista di Dvinsk “eravamo soliti imputare ai vecchi il fatto
che gli intellettuali avessero acquisito tutto il potere e non permettessero ai lavoratori di entrare
nella direzione dell’organizzazione”301. Col tempo naturalmente Berman si adeguò alla tradizione,
così come il Bund si adattò alla sua generazione.
Un segno evidente che il Bund aveva lasciato il segno nella società ebraica fu l’impatto da
esso avuto sui bambini. Dal 1903 circa degli attivisti giovanissimi, intorno ai dieci anni, iniziarono a
prendere a modello i rivoluzionari ebrei. Questo movimento giovanile, sebbene chiaramente
ispirato al Bund, crebbe spontaneamente. Esso si sviluppò dalle stesse fonti che si erano
combinate per formare il Bund – gli operai e gli studenti – solo in una categoria di età inferiore.
L’attrattiva principale, è lecito supporre, fu l’elemento misterioso, i raduni segreti, i libri e i giornali
proibiti, le canzoni rivoluzionarie. Yankel Levin, la cui carriera rivoluzionaria iniziò con la
formazione del Piccolo Bund a Gomel, descrive come da giovane apprendista egli mosse dalla
semplice curiosità ai primi studi, uno sviluppo stimolato da uno studente divenuto falegname che
andò “al popolo”. Alla fine del 1903 Levin e il suo gruppo erano ansiosi di svolgere le attività degli
adulti, e autoproclamandosi BO iniziarono a partecipare agli scioperi e a praticare il terrorismo
economico. Replicando di nuovo l’esperienza del movimento ebraico, formarono il proprio birzhe e
si organizzarono per tutelare i propri interessi, non solo nei confronti dei padroni ma anche degli
operai qualificati, che talvolta sfruttavano i giovani apprendisti quasi senza pietà.
Queste attività determinarono una risposta ambivalente da parte degli adulti. I lavoratori
organizzati temevano che l’associazione con giovani inesperti potesse mettere a rischio le proprie
attività illegali o attirare l’attenzione della polizia. I comitati locali del Bund spesso ignorarono i
giovani o snobbarono le loro iniziative in quanto infantili o “non consapevoli”. Il comitato di Gomel
mostrò scarso interesse per il Piccolo Bund fin quando quest’ultimo non raggiunse una dimensione
(50 membri) e una notorietà che non potevano più essere ignorate. Allo stesso tempo i gruppi
adulti erano compiaciuti e inteneriti dai loro giovani imitatori, e una volta che i rivoluzionari in erba
mostrarono forza di volontà e tenacia, ricevettero alcuni incarichi, come consegnare opuscoli o
nascondere armi. Il risultato fu spesso una stretta collaborazione tra il gruppo più vecchio e quello
più giovane, quest’ultimo a rappresentare il braccio operativo del primo. Tuttavia il pieno impatto
dei gruppi giovanili, o Piccolo Bund come vennero generalmente chiamati, non si dispiegò fino al
1905.
In un certo numero di città anche gli studenti della classe media furono presi dagli impulsi
rivoluzionari. Gli studenti ebrei che frequentavano le scuole russe nelle province occidentali e in
Polonia giunsero a conoscenza non solo del fermento nelle università, che era largamente

300
Benzion Hofman, Far 50 Yor: Gekliebene Schriftn, 1948
301
Laibechke Berman, In Loif fun Yorn: Zikhroinos fun a Yidishen Arbeter, 1945

160
pubblicizzato all’inizio del ‘900, ma anche del Bund, del PPS e degli altri gruppi socialisti. Ancor
prima del 1903 le scuole medie avevano iniziato a trasformarsi in un microcosmo politico
rappresentativo dell’intera società, con la presenza di varie correnti espresse ciascuna da un
gruppo studentesco.
Il Bund, con la sua ampia influenza sull’attivismo radicale ebraico di massa fino al 1904,
attirò molti giovani studenti ebrei. Talvolta queste simpatie furono manifestate apertamente, come
per esempio all’Istituto Tecnico di Vilna quando gli studenti cacciarono dalle aule un certo dottor
Mikhailov, che aveva partecipato alla fustigazione dei lavoratori che generò l’affare Leckert. Nel
1903 i bundisti di Lodz consideravano gli studenti degli istituti commerciali un’importante sfera
d’influenza. Di formazione prevalentemente medio-borghese e contando sulla presunta neutralità
politica, essi nascondevano senza timori nelle loro case libri, armi e anche timbri ufficiali del partito.
Come i giovani operai, gli studenti formarono dei gruppi in diverse città; ma questi, come i Piccoli
Bund, venivano per lo più snobbati dai bundisti locali che, preoccupati di costruire un movimento di
massa rivoluzionario e impegnati nel lavoro quotidiano, non si rendevano conto del potenziale
rappresentato dagli attivisti giovani. Solo dopo che nel fuoco della rivoluzione diedero prova del
proprio valore, questi ultimi vennero presi seriamente in considerazione.
Sviluppo dell’organizzazione. Nel 1903 e 1904 il Bund aumentò i propri sforzi di
diffondere il messaggio rivoluzionario nella società. Un riflesso di ciò è la notevole crescita delle
assemblee e della manifestazioni dopo la metà del 1903 (come riportato nella tabella sottostante).
I dati sono presi da due resoconti del Bund dell’epoca: uno per il Secondo Congresso del POSDR,
che copre il periodo dal maggio 1901 al giugno 1903 (tra il Quarto e il Quinto Congresso del Bund),
e l’altro per il Congresso dell’Internazionale, che copre il periodo di un anno tra il giugno 1903 e il
luglio 1904.

crescita della partecipazione alle assemblee


periodo totale assemblee di cui assemblee totale partecipanti
con conteggio dei partecipanti alle assemblee
con conteggio
mag 01 – giu 03 260 224 36.900
giu 03 – lug 04 429 418 74.162

crescita della partecipazione a manifestazioni e dimostrazioni302


periodo totale iniziative di cui iniziative totale partecipanti
con conteggio dei partecipanti alle iniziative
con conteggio
mag 01 – giu 03 44 25 7.520
giu 03 – lug 04 45 31 20.340

Come vediamo il secondo periodo, di durata pari alla metà del primo, vide un incremento di
due terzi del numero delle assemblee, e del doppio del numero dei partecipanti. Analogamente vi
fu una forte crescita nel numero dei partecipanti alle manifestazioni, con la medesima quantità di
iniziative e il triplo dei partecipanti sempre in metà del tempo.
I resoconti mostrano anche una corrispondente crescita nell’ampiezza delle assemblee.
Ogni periodo vide 12 assemblee partecipate da 1.000 persone o più, ma nel primo periodo soltanto
3 furono partecipate da più di 2.000 persone, mentre nel secondo ve ne furono 5. Inoltre, fino al
giugno 1903 il massimo di partecipazione fu di 3.000, mentre nell’anno successivo 2 assemblee
videro la partecipazione a ciascuna di 4.000 persone. I risultati del Bund sono tanto più
considerevoli tenendo presente l’accresciuta attività poliziesca nel secondo periodo.
La crescita dell’utilizzo dello sciopero con obiettivi politici è un altro buon indicatore
dell’aumento del lavoro del Bund. Il primo resoconto riporta 19 di questi scioperi, di cui 12 con una
partecipazione complessiva di 10.550 lavoratori. Il secondo resoconto cita 35 scioperi politici

302
Il Bund usa il termine “manifestazioni” per indicare quelle in scuole e teatri, mentre “dimostrazioni” indica quelle in
strade o piazze. Il dato del primo periodo (44) è composto da 14 manifestazioni e 30 dimostrazioni. Nel secondo
periodo la distinzione non viene più fatta.

161
soltanto in occasione del Primo Maggio, e 41 in totale, e un totale di 23.095 partecipanti nei 31
scioperi in cui viene riportato un conteggio. Sebbene questi scioperi siano solo una parte del
movimento totale, i numeri crescenti sono indicativi. Lo sciopero politico avrebbe avuto una grande
importanza nelle giornate della Rivoluzione del 1905, quando si combinò in un tutt’uno con le
dimostrazioni.
Lo sforzo di raggiungere la società da parte del Bund portò anche a modificare ed
aumentare la produzione scritta. I giornali locali, che furono caratteristici degli anni ’90 e
continuarono a rappresentare una parte consistente nel periodo 1901 – 03 (32 pubblicazioni per
complessive 40.650 copie), quasi scomparvero nel 1904. Nel suo resoconto al Congresso
dell’Internazionale il Bund attribuì questo sviluppo al maggiore investimento sul Comitato Centrale
e il Centro Estero, che erano stati rafforzati per utilizzare con più efficacia gli strumenti di
propaganda.
L’utilità del volantino era riconosciuta ampiamente nel periodo 1901 – 03, ma nel 1903 – 04
divenne la forma preferita dai comitati locali, e di ciò si ebbero segni anche presso il Comitato
Centrale. Nel 1901 – 03 i comitati locali pubblicarono 83 volantini e il Comitato Centrale 18 (9 in
russo), per un totale di 347.150 copie (metà delle copie per quelli prodotti dal Comitato Centrale).
Nel secondo periodo, di un solo anno, il Bund stampò oltre 686.000 volantini.
Nonostante tutto questo aumento di attività, la dirigenza del Bund sembra essere rimasta
abbastanza stabile. In entrambi i resoconti i bundisti furono prudenti nella stima dell’ampiezza
totale dell’organizzazione, che venne paragonata al numero totale dei lavoratori. Tutte e due i
documenti riportano il dato di 30.000, considerandolo approssimato per difetto. Lo stesso numero
comparve in seguito in un volantino locale, che diceva che “il Bund ebraico è un’organizzazione
consistente; 30.000 lavoratori di Lituania, Polonia e Russia ora combattono sotto la sua
bandiera”303. Per contro i sionisti socialisti stimavano la propria consistenza in 16.000 nel dicembre
1905 – dopo un anno di massima tensione rivoluzionaria da parte degli ebrei russi.
Vi sono alcune spiegazioni possibili per l’apparente stabilità numerica del Bund in un
periodo di crescente fermento e malcontento in tutta la Russia. Di certo il fatto che il Bund smise di
estendersi in altre aree è in parte un motivo. Tra il Quarto e il Quinto Congresso il Bund si diffuse
non solo nella sua vecchia base territoriale, ma anche nella Russia meridionale, mettendo radici
alla metà del 1903 a Zhitomir, Berdichev, Odessa e Kiev e dintorni, così come nella provincia della
Volonia. Ma all’epoca del Congresso dell’Internazionale ad Amsterdam il Bund aveva ben poco da
dire sui propri guadagni territoriali; il report del 1904 semplicemente diceva che l’ambito della
presenza del Bund era laddove vi fosse un numero significativo di lavoratori ebrei, e la
susseguente lista delle città organizzate rivelò pochi cambiamenti. A grandi linee, il Bund non
poteva più di tanto pensare di allargarsi oltre i confini della Zona di Residenza, sebbene vi fossero
gruppi relativamente piccoli di studenti e intellettuali in varie città universitarie.
Anche il mutamento di struttura del Bund, che portò a un diverso metodo di definire la
militanza, può avere influenzato i dati sull’appartenenza all’organizzazione. All’epoca in cui fu
preparato il resoconto per il Secondo Congresso del POSDR, il Bund si era appena trasformato in
un partito politico. Quel cambiamento portò a nuovi criteri di appartenenza: lettura regolare delle
pubblicazioni, contributo diretto al movimento attraverso aiuto pratico o finanziario, e
frequentazione dei circoli. Chiedendo ai singoli un impegno maggiore che la semplice
collaborazione tra lavoratori, questi nuovi criteri possono avere reso più difficile il rientro nei dati sui
militanti. Di certo essi impedirono quella crescita di massa che caratterizzò i precedenti periodi
della storia del Bund.
Anche la particolare durezza del periodo 1903 – 04 probabilmente influì sulla mancanza di
nuovi membri. L’attività organizzativa era difficile con la costante pressione della polizia. A ciò si
aggiunse la instabile situazione economica degli anni della guerra, che presumibilmente portò a un
calo del reclutamento – almeno a livello locale – dovuto alla disoccupazione e alla concorrenza nei
luoghi di lavoro. Di conseguenza il Bund può avere avuto difficoltà a mantenere stabile il proprio
organico.
Nonostante la crescita lenta, l’influenza del Bund tra i lavoratori ebrei aumentò. Sempre più
lavoratori partecipavano alle dimostrazioni e alle assemblee, e rispondevano agli appelli all’azione.
Le celebrazioni del Primo Maggio continuarono a coinvolgere grandi numeri di operai, nonostante
le misure repressive del regime e la paura dei pogrom; aumentarono gli scontri con la polizia e le

303
Archivio del Bund

162
bandiere rosse. Il Primo Maggio più foriero di orgoglio per il Bund fu nel 1904, quando 700
lavoratori parteciparono a una manifestazione pubblica a Gomel, ove le ferite del pogrom erano
ancora aperte e la popolazione cristiana decisamente ostile. Il crescente clima rivoluzionario e
l’interesse alle vicende politiche che in questo travagliato periodo avvolgevano la Russia
arrecarono beneficio al Bund, così come agli altri partiti.
I dolorosi eventi che sconvolsero la comunità ebraica ebbero importanti conseguenze
internazionali per il Bund. L’immigrazione dalla Russia agli Stati Uniti, un flusso costante e intenso
prima di Kishinev, fece un balzo in avanti. Nel 1902 37.846 ebrei russi entrarono negli USA; il dato
salì a 47.889 nel 1903, a 77.544 nel 1904 e a 92.388 nel 1905, più del doppio rispetto al 1902.
Quanti di questi emigranti fossero bundisti è impossibile saperlo, ma la forte crescita delle
associazioni di immigrati negli USA, e in particolare del Circolo dei Lavoratori, con la sua forte
spinta alla solidarietà, suggerisce che un numero considerevole dei nuovi arrivati portasse con se
una certa affinità con le organizzazioni radicali del paese di origine. Gli iscritti al Circolo dei
Lavoratori crebbero da 1.042 nel 1902 a 1883 nel 1903, a 4.552 nel 1904, fino a 6.776 nel 1905.
Questo gruppo era di orientamento fortemente bundista. Anche i sionisti laburisti in America
aiutarono il Bund fino al 1905.
Alla fine del novembre 1903 il lavoro negli Stati Uniti a supporto del Bund ricevette un
segno ufficiale di approvazione con la visita del dirigente bundista più famoso, Arkady Kremer. Egli
fu accompagnato da Ezra Rozen (Berg). Kremer si dedicò al lavoro organizzativo e ad alcuni
scritti, mentre Rozen teneva i contatti col pubblico e i comizi. Il loro obiettivo principale fu di
spingere gli immigrati russi a un maggiore sostegno finanziario al Bund, ma cercarono anche di
chiarire ai simpatizzanti la posizione del Bund rispetto al POSDR. Kremer si fermò per otto mesi,
segno dell’importanza rivolta dal Bund al supporto americano. I visitatori furono indubbiamente
bene impressionati dall’organizzazione del lavoro a sostegno del Bund, compiuto attraverso un
ufficio esecutivo – la Central Union of Bund Organizations in the United States. Il Bund ricevette
consistente aiuto anche da altre organizzazioni, ad esempio dall’associazione Forward, che
pubblicava il più importante periodico in yiddish negli USA, e dagli Amici del Bund. Il Bund avrebbe
ricevuto fondi ancora maggiori durante la Rivoluzione del 1905, quando l’aiuto americano
raggiunse il massimo grado.
L’autofinanziamento. La capacità del Bund di reperire le risorse per portare avanti la
propria attività di pubblicazione e autodifesa è segno della sua vitalità e influenza. Oltre alle quote
degli iscritti e ai proventi della vendita della stampa, esso ricevette grossi contributi da individui
molto ricchi, a cominciare dall’aristocratico polacco amico di Mill che aveva elargito i fondi per la
stampa estera. Anche alcuni bundisti disponevano di notevole ricchezza.
Negli anni immediatamente precedenti la Rivoluzione del 1905, diversi ricchi finanziatori
svolsero un ruolo fondamentale. Uno di costoro fu A.B.Sapotinsky, figlio di un milionario il cui
retroterra privilegiato comprendeva gli studi ginnasiali a Tsarkoe Selo, una residenza degli Zar.
Sapotinsky si avvicinò al Bund durante gli studi al Politecnico di Riga. Nel 1902 – 04, grazie ai suoi
contatti, la città divenne la “capitale finanziaria” del Bund in Russia. Un altro importante sostenitore
fu David Michnik (Chekh), rampollo di una ricca famiglia di Kishinev, che si unì a un gruppo del
Bund a Lipsia quando studiava laggiù nel 1901. Quando suo padre morì, il giovane Michnik ereditò
circa 80.000 rubli, che donò al Bund. Gran parte dell’eredità fu tenuta sottoforma di beni
patrimoniali, cosicchè i fondi non divennero disponibili fino al 1906 e oltre, ma nel frattempo il
giovane Michnik inviò soldi al Bund attraverso i suoi fratelli e sorelle maggiori, anch’essi coinvolti
nel movimento rivoluzionario.
Anche gli ebrei liberali si scoprirono sponsor del Bund, in particolare dopo che quest’ultimo
iniziò a promuovere l’autodifesa. Nel 1904 il Comitato Centrale inviò Abramovich a Pietrogrado per
raccogliere fondi presso la comunità ebraica liberale. Trovò un’accoglienza calorosa. L’autodifesa
in particolare era un tema di grade importanza per tutti gli ebrei, non solo per il Bund o il lavoratore
ebreo. Maksim Vinaver, uno degli ebrei più conosciuti nella capitale e avvocato nella causa contro
il governo dopo il pogrom di Kishinev, diede ad Abramovich un assegno in bianco, dicendo: “Che
volete? In realtà siamo tutti bundisti”304.
I primi risultati del viaggio di Abramovich furono pubblicati in un rendiconto finanziario dal
Comitato Centrale poco dopo lo scoppio della Rivoluzione del 1905. Tra il 1 ottobre 1904 e il 15
febbraio 1905 il nuovo Gruppo di Pietrogrado del Bund raccolse 1.967 rubli. Quella somma,

304
Raphael Abramovich, In Zvai Revolutsies, 1944

163
insieme ai 600 rubli in più che esso aveva già inviato al Comitato Centrale, si rivelò maggiore
anche delle consistenti entrate (1.798 rubli) accreditate al Centro Estero nello stesso rediconto.
I liberali della Zona di Residenza, sebbene non completamente d’accordo con gli obiettivi
del Bund, sostennero la sua attività di autodifesa, soprattutto dopo che Svjatopolsk-Mirskij si
mostrò disposto a concedere un certo grado di liberalismo. Secondo Berman, a Zithomir i dirigenti
locali del Bund talvolta erano invitati a pranzi nei quali ricevevano informazioni e donazioni. Tali
eventi di raccolta fondi erano frequenti in alcune zone.
I rendiconti finanziari del Comitato Centrale ci dicono qualcosa, ma non tutto, della
situazione economica del Bund in questo periodo. Troviamo per esempio che dal pogrom di
Kishinev allo scoppio della Rivoluzione del 1905 il Comitato ricevette poco meno di un terzo dei
propri incassi totali dai comitati locali, il cui contributo variò da un massimo del 46% in un anno a
un minimo del 24% in un altro. I contributi da parte del Centro Estero variarono dall’1% al 15%. Il
rimanente, poco più della metà, venne da donazioni individuali, da altre organizzazioni (liberali o
socialiste), da assemblee e gruppi dislocati in città senza una presenza organizzata del Bund. A
volte la fonte indicata nei rendiconti non era esatta. In alcuni casi dei fondi era indicata la
destinazione (ad esempio “per il nuovo organo”, “per gli spazzolai arrestati”, “da Lodz per lo
sciopero di Bialystok”); in altri casi simboli, nomi in codice o iniziali identificavano la provenienza; e
in altri ancora veniva indicato il luogo ove i fondi erano stati raccolti (“a un matrimonio tramite Kh.”,
“a un raduno”, “a un discorso a Dvinsk”). I comitati locali raramente pubblicavano rendiconti
finanziari.
Nel giro di pochi anni il ricavato del Comitato Centrale quasi triplicò. Nel periodo di 28 mesi
tra il febbraio 1901 e il maggio 1903 le entrate lorde ammontarono a 14.327 rubli, mentre nel
periodo di 21 mesi tra maggio 1903 e febbraio 1905 esse arrivarono a 31.113 rubli. Negli anni
1903 - 04 il Comitato Centrale ricevette crescente supporto dal Centro Estero, sia in denaro che in
servizi. Nel 1905 il numero dei componenti dell’organismo estero era raddoppiato da cinque a
dieci, e si era assunto diversi compiti, tra cui la pubblicazione del nuovo giornale teorico in lingua
russa Vestnik Bunda. Come sempre, la maggior parte delle controversie ideologiche si
consumavano all’estero; né il pogrom di Kishinev né la divisione nel POSDR cambiarono le cose.
Nel clima liberale dell’Europa occidentale il Centro Estero poteva fare tutto ciò di cui
l’organizzazione in patria necessitava ma non osava fare. L’acquisto di armi, per esempio, divenne
una nuova e importante attività. Il comitato continuò a pubblicare grandi quantità di materiale per la
propaganda in Russia, producendo soltanto nel 1904 – 05 39 opuscoli e 59 numeri di periodici, per
un totale di 808.000 copie. Oltre al compito di tenere i contatti con tutti gli altri partiti socialisti (un
compito pericoloso, che il Comitato Centrale difficilmente poteva espletare), il Centro Estero
fungeva da camera di compensazione, e Mill come una sorta di “ministro degli Esteri”, inoltrando al
Comitato Centrale lamentele e suggerimenti dalle città minori in Russia, che non potevano
contattare facilmente i vertici in patria.
Il Centro Estero continuò anche a svolgere il ruolo estremamente importante di
procacciatore di fondi, dando a Mill un altro portafoglio – quello di “ministro delle Finanze”. I
collegamenti del Bund con gli Stati Uniti passavano attraverso il suo ufficio. L’emigrazione di
massa degli ebrei russi negli Stati Uniti procurò nuove somme di denaro. Molte volte i nuovi arrivati
richiedevano che i loro contributi fossero utilizzati per scopi specifici: il comitato locale nella città
natìa, gli scioperi, i compagni arrestati e simili.
Il Comitato Centrale faceva molto affidamento sull’aiuto finanziario da parte del Centro
Estero, che a volte eguagliava e talvolta superava le quote raccolte in Russia. Tra il gennaio 1903
e il luglio 1904, per esempio, il Centro Estero raccolse 75.743 franchi, a confronto dei 47.830
franchi (19.132 rubli) raccolti dal Comitato Centrale tra il marzo 1903 e il luglio 1904. Su questo
aspetto del lavoro del Centro Estero Mill dice: “Grazie alla grande popolarità del Bund e alla
simpatia che esso suscitava, ogni appello per il sostegno era sempre coronato da successo. La
risposta alle mie richieste era pronta e generosa, e all’epoca non avevamo mai preoccupazioni o
bisogni dal punto di vista finanziario”305.
A giudicare dalle osservazioni di Mill, il Bund era in una situazione invidiabile dal punto di
vista finanziario. Ma vi erano altre ragioni per essere soddisfatti. In questi anni il Bund operava
come una macchina ben oliata. Non fu travolto da conflitti interni come i socialdemocratici russi.
Anche la sua scissione dal POSDR e il problema irrisolto dell’adozione formale di una linea

305
Joseph Mill, Pionern un Boier, 1949

164
nazionale non portarono ad alcuna frammentazione. Questa solidarietà fu almeno in parte il
risultato dello straordinario senso di identificazione sviluppatosi in seno al partito.
Coesione e composizione interna. Per molti, la migliore qualità del Bund era la propria
coesione organizzativa, una caratteristica che Litvak attribuisce al contesto della vita economica
ebraica: vi poteva essere ben poco di spontaneo nell’atmosfera chiusa di una piccola bottega. Dice
Litvak:

La storia dunque forgiò (il lavoratore ebreo) in modo tale che fosse poco istintivo, e raramente
si facesse guidare dall’improvvisazione…Come poteva scaturire spontaneamente qualcosa tra i
ciabattini ebrei…che lavoravano in piccole botteghe e per i quali un’impresa di dieci lavoratori
era qualcosa di eccezionale…? Senza organizzazione essi non potevano agire. Il più piccolo
passo si poteva fare solo se concordato, pianificato, organizzato. Si doveva lavorare molto duro
per l’organizzazione.306

Questo fu, in gran parte, ciò che attirò verso il Bund i lavoratori ebrei, tra i quali “si sviluppò
il culto dell’organizzazione”. Per loro, dice Litvak, il Comitato Centrale divenne una sorta di sancta
sanctorum”, e le parole “l’organizzazione ha deciso” un comandamento307.
Un forte senso di comunità pervadeva tutte le azioni del Bund. La forte insistenza
sull’attività organizzativa in Russia richiedeva l’anonimato e può avere rafforzato il senso di
appartenenza. Nel Bund non vi era alcuno “star system”, come quelli visti in molti altri movimenti di
Russia. Spesso i bundisti più importanti erano i meno visibili (o udibili). Kremer e Kosovsky
credevano fermamente nel basso profilo, sia per ragioni di sicurezza che per preferenza
personale. E durante il periodo in cui Portnoy diresse il Bund in Russia, egli rimase una figura
sconosciuta ai più. Litvak dice:

Per quanto mi ricordi, non vi fu mai un leader unico del Bund…che si considerasse il capo del
partito o fosse considerato come tale da altri. La leadership del Bund fu sempre di tipo
collegiale…Superficialmente, si può pensare che i leader fossero Medem, Liber, Abramovich –
gli oratori…In realtà, altri sconosciuti alla massa erano al loro stesso livello…Uno aveva
un’idea, altri la discutevano, la emendavano…Quando finalmente si giungeva a una decisione,
essa perdeva il carattere individuale e diventava prodotto collettivo. Non era più creazione di un
singolo, ma apparteneva a tutti.308

Tutti i processi decisionali riflettevano lo stesso approccio collettivo. Il Comitato Centrale


non dettava le decisioni, ma rinviava le questioni importanti alle conferenze. L’elaborazione di
queste ultime, e quella del Centro Estero, erano attentamente valutate dai dirigenti. A Litvak
sembrava che il Bund “cercasse di spingere al vertice quante più persone possibile, cosicchè la
voce delle masse fosse ascoltata il più possibile”309.
La solidità del Bund fu espressa dalla continuità della sua leadership. Nel complesso, solo
12 uomini furono parte del Comitato Centrale fino al 1905. Quasi tutti erano veterani del periodo
dei pionieri, e 4 di quei 12 (Mutnikovich, Kremer, Kosovsky e David Katz) avevano partecipato al
congresso di fondazione. Considerando l’elevata possibilità di arresto, le defezioni da queste
posizioni di leadership furono sorprendentemente poche. Così, sebbene il lavoro da compiere
fosse molto maggiore rispetto ad altri ruoli (in particolare nei due anni dopo gli arresti del 1898), il
Comitato Centrale, che non aveva mai avuto più di tre membri, fu sempre guidato da uomini
esperti.
Un altro fattore di forza e coesione fu l’abilità dell’organizzazione a servirsi appieno dei
molti militanti di valore costretti a lasciare la Russia. I capaci e devoti Kremer e Kosovsky furono
impiegati efficacemente all’estero (il Centro Estero spesso fu costituito da ex membri del Comitato
Centrale) fino a quando non poterono rientrare in Russia. Quando ciò accadde, nel 1905, entrambi
ripresero facilmente il proprio posto nel Comitato Centrale.
Intorno al Comitato Centrale vi era uno stuolo di rivoluzionari qualificati pronti ad eseguire i
suoi ordini: redattori che potevano scrivere importanti volantini e pubblicare un giornale; oratori e
relatori; organizzatori per svolgere gli importanti compiti di collegamento e risolvere problemi;

306
A. Litvak, Vos Geven: Etiudn un Zikhroinos, 1925
307
ibidem
308
A. Litvak, Gekliebene Schriftn, 1945
309
ibidem

165
tecnici capaci di allestire o far funzionare una tipografia clandestina. Questi fondamentali militanti
di secondo livello si chiedeva di dedicare la vita alle esigenze del movimento. Tra loro vi erano i
nomi più noti del Bund: Mark Liber, Raphael Abramovich, Yoina Kogan, Moishe Novomaisky
(pseudonimo Moissaye Olgin) e David Zaslavsky. Molti membri di questo gruppo partecipavano
alle conferenze del Bund, dunque avevano delle responsabilità nel definire la linea. Essi si
spostavano di città in città, e le loro avventure diventavano parte delle storie raccontate sul Bund.
Per quanto riguarda la composizione sociale, in generale quanto maggiore era il livello
dell’organizzazione tanto più alta era la percentuale di intellettuali. La maggioranza dei membri del
Comitato Centrale nel periodo studiato ebbe una formazione universitaria o ginnasiale. Chi non la
ebbe furono per lo più gli uomini e le donne che ressero le sorti dell’organizzazione negli anni bui
di fine secolo. Era essenziale scegliere dirigenti che avessero dimestichezza non solo con la
cultura yiddish ma anche nel mondo russo, poiché i rapporti con il POSDR erano un’attività
fondamentale. Includendo il Centro Estero e i partecipanti alle conferenze, l’incidenza dei militanti
istruiti nelle istituzioni pubbliche era ancora più alta. In base alle informazioni disponibili circa due
terzi dei dirigenti del Bund possono essere considerati intellettuali. Allo stesso tempo, il fatto che al
vertice del movimento vi fosse anche un buon numero di militanti senza studi superiori è indice di
assenza di esclusivismo e di attenzione ai bisogni pratici.
Nella seconda fascia dei membri del movimento, ovvero coloro che operavano nei comitati
locali e partecipavano ai congressi, la percentuale di intellettuali cala vistosamente; solo circa un
terzo di costoro può essere considerato tale. L’importanza dell’elemento non-intellettuale
nell’organizzazione è indice della forte coesione interna del Bund a dispetto delle differenze sociali
dovute al livello e al tipo di istruzione.
Limiti di efficacia. Tuttavia, per quanto compatto e influente, il Bund controllava una
porzione ancora relativamente piccola delle potenziali risorse politiche offerte dalla società. Il suo
handicap principale era la mancanza di radicamento tra i lavoratori non ebrei. Infatti, con
l’aumentare della crisi del regime zarista aumentò la necessità per il Bund di rispondere alla
pressione dello stato estendendo il proprio messaggio in aree in cui gli altri partiti rivoluzionari non
avevano ancora messo radici.
Crescendo la pressione poliziesca, le carenze nell’attività interna del Bund divennero
evidenti, sebbene esso diede buona prova di sé negli ultimi mesi prima della Rivoluzione del 1905.
Quando la polizia sparò su un’assemblea di lavoratori appena fuori Bialystok alla fine dell’estate
1904, il Comitato Centrale ordinò in risposta una serie di manifestazioni in tutta l’area di operazioni
del Bund. “Dobbiamo rispondere alla forza con la forza” dichiarò Di Arbeter Shtime. L’appello portò
a dimostrazioni in una dozzina di città, ma mostrò anche la limitata efficacia del Bund: in alcune
città come Mogilev la manifestazione fu troppo poco numerosa e la polizia non ebbe difficoltà a
disperderla, mentre in altre come Varsavia non si riuscì a fare nulla a causa del dispiegamento di
forze dell’ordine.
La scarsità di risultati a livello locale fu qualcosa su cui il Comitato Centrale difficilmente
poteva intervenire. Come nei primi tempi, esso poteva soltanto offrire denaro, pubblicazioni, oratori
e quando possibile indicazioni. Era lasciato ai comitati locali il compito di valutare e agire nei casi
specifici. Ciò significava fronteggiare certe situazioni con le semplici risorse a disposizione, le
proprie o quelle dei propri alleati, se ce n’erano. In tali circostanze non sorprende che un appello
all’azione potesse fallire.
In tali casi la responsabilità di un fallimento era dovuta alla direzione locale. Laib Blekhman,
che operò nel Comitato di Minsk nel 1904, descrive l’umiliazione che provò vedendo un’assemblea
sciolta da un solo funzionario di polizia. Ciò fu un duro colpo per la sua fiducia nel movimento. Ma,
egli aggiunge, “Non impiegai molto a riprendermi dal pessimismo. Il consueto lavoro quotidiano mi
fece recuperare la fiducia a poco a poco”310.
Anche le rivolte spontanee divennero un problema. L’aumento del numero delle
manifestazioni e l’accresciuta fiducia dei lavoratori spinse questi ultimi ad andare oltre alle
aspettative del Bund. Una manifestazione a Dvinsk sfuggì al controllo del Bund, spingendolo in un
resoconto a criticare quelle situazioni in cui ancora una volta “le organizzazioni sono finite in coda
al movimento”311. Analogamente la protesta di Riga contro il massacro di Bialystok sfociò in
dimostrazioni pubbliche che andarono ben oltre l’intento del comitato locale del Bund. Alla fine del

310
Laib Blekhman, Bleter fun main Yugent: Zikhroinos fun a Bundist, 1959
311
Posledniia Izvestiia, 5 novembre 1904

166
1904 le azioni spontanee di questo tipo si susseguivano con notevole frequenza, a riprova che
l’attività politica tradizionale non era destinata a durare ancora a lungo: il fermento rivoluzionario
stava iniziando a raggiungere il punto di ebollizione.

Lo scontro con i sionisti. Il pogrom di Kishinev suscitò idee molto differenti nella comunità
ebraica su quella che doveva essere la risposta adeguata, intensificando l’antagonismo esistente
tra i vari movimenti ebraici. La reazione dei sionisti generali, che seguivano la guida di Theodor
Herzl e rifiutavano sia il socialismo sia qualunque tipo di azione politica in Russia, fu perfettamente
conseguente. Mentre il Bund chiamava all’autodifesa nel breve periodo e alla distruzione del
regime nel lungo periodo, il sionisti generali cercarono di mettersi d’accordo con il governo. Herzl
stesso si recò in Russia da Vienna per parlare con Plehve (ciò a dispetto del fatto che, almeno
secondo l’opinione pubblica, il ministro dell’Interno aveva un ruolo nel fomentare i pogrom).
In un colloquio con il noto rivoluzionario ebreo russo Chaim Zithlovsky (che Herzl
erroneamente prese per un dirigente del Bund), Herzl rivelò l’essenza delle sue discussioni con
Plehve: “Sono appena stato da Plehve. Ho avuto da lui l’assicurazione che ci procurerà un
permesso per la Palestina entro 15 anni al massimo. C’è una condizione, tuttavia: i rivoluzionari
devono interrompere la loro lotta contro il governo russo. Se alla fine dei 15 anni Plehve non avrà
ottenuto il documento, essi saranno liberi di agire come meglio credono”312. Herzl voleva che
Zithlovsky organizzasse degli incontri con il Bund per accettare la proposta di Plehve. Zithlovsky,
che all’inizio potè a stento trattenere la rabbia per la vergognosa idea di accordarsi con Plehve,
alla fine si rese conto che Herzl, leader idolatrato del sionismo politico, era un ingenuo e un
bambino nelle questioni russe. Convinse Herzl che ciò che Plehve raccomandava era impossibile
e, inoltre, che non avrebbe portato nulla di buono ai sionisti, anzi li avrebbe danneggiati. Herzl di
conseguenza accantonò il proprio piano di contattare il Bund.
L’insinuazione di Plehve che i rivoluzionari ebrei fossero in gran parte responsabili dei
problemi degli ebrei in Russia fu fonte di un conflitto inconciliabile tra il Bund e i sionisti generali –
poiché costoro, sempre pronti all’obbedienza e al rispetto delle regole, si accordavano con Plehve.
Nelle parole di un sionista di Odessa, il Bund “e le sue perniciose attività sono responsabili se così
tanto sangue viene versato senza motivo in Russia, e se il governo ha aumentato i suoi sospetti
sugli ebrei fino a perseguitarli”. Costui criticò il Bund perché difendeva i pogromisti, lavoratori russi,
in quanto alleati di classe. “A Kishinev” affermò “i lavoratori russi ci hanno dimostrato che cosa gli
ebrei devono aspettarsi da loro”313.
Per i bundisti, la reazione dei sionisti generali fu assai prevedibile, e le loro accuse verso i
socialisti ebrei furono quanto ci si poteva aspettare da un movimento borghese. Replicarono che la
via proposta da Herzl e i suoi seguaci avrebbe accresciuto il servilismo della popolazione ebraica.
Questo atteggiamento non era strano, insisteva il Bund, dal momento che i sionisti tendevano a
inculcarlo anche nei lavoratori sfruttati in Palestina, la quale rappresentava “l’utopia della borghesia
ebraica”314.
Se i bundisti si sentivano sicuri della giustezza della loro posizione, ciononostante erano
profondamente preoccupati che dopo Kishinev la paura avrebbe spinto molti ebrei verso il
sionismo, che il loro senso di isolamento nei confronti della popolazione circostante sarebbe
cresciuto, rinforzando la loro immagine di sé come stranieri che non potevano far altro che
elemosinare. Inoltre, i sionisti laburisti e socialisti ora iniziarono a rappresentare una reale
minaccia. Lo shock di questi ultimi per il pogrom di Kishinev se possibile fu anche maggiore di
quello dei bundisti. Così scrive Moishe Zilberfarb, uno dei primi sionisti laburisti:

Il pogrom di Kishinev…ci fece aprire gli occhi e ci costrinse a guardare a ciò che stava
accadendo nel mondo. Coloro tra noi che sostenevano che il sionismo laburista non dovesse
fare la lotta rivoluzionaria contro l’autocrazia per risparmiare la propria energia nazionale, che
doveva essere conservata per la realizzazione dell’ideale nazionale, ricevettero una lezione dal
pogrom di Kishinev, ovvero che l’energia nazionale non viene “tutelata e conservata” se il
popolo si sottomette, subendo i sanguinosi colpi del regime progromista. 315

312
In Chaim Zhitlovsky, Gezamelte Schriften, 1919
313
Die Welt, 12 giugno 1903
314
DAS, maggio 1903
315
Archivio del Bund

167
Come i sionisti generali, i sionisti laburisti e socialisti vedevano nella futura patria ebraica la
risposta definitiva alla questione ebraica; ma a differenza dei sionisti generali essi provarono a
confrontarsi con il problema del “qui e ora”, a trovare una linea per le masse operaie che fosse
consona alla dignità umana e all’autoconservazione.
La questione se impegnarsi nella lotta politica in Russia oppure no fu cruciale per tutti i
sionisti, e ampliò le già notevoli differenze tra i gruppi sionisti. Le divisioni divennero più profonde
quando, nell’agosto 1903, il Sesto Congresso Sionista si scisse drammaticamente sulla questione
di una patria alternativa, poiché la concessione della Palestina sembrava per il momento fuori
questione. Andare a fondo dell’argomento fu così doloroso che anche gli osservatori bundisti
avevano le lacrime agli occhi. La controversia su questo tema, oltre che su altre questioni meno
importanti come l’uso dell’ebraico o dell’yiddish, fece sorgere una quantità di gruppi in
rappresentanza di ogni possibile sfumatura di posizione sionista.
I bundisti e i sionisti di orientamento socialista si trovarono dopo Kishinev in una situazione
paradossale. Da un lato entrambi accettavano il principio dell’autodifesa ebraica, mentre dall’altro
invocavano soluzioni differenti per i problemi degli ebrei, ed erano in concorrenza per l’influenza
sul medesimo segmento sociale. Il clima di sfida nella società ebraica giovò a entrambe le fazioni.
Non vi è dubbio che, come il Bund temeva, alcuni lavoratori avvicinandosi al sionismo si
allontanarono dal lavoro politico attivo. Ma non c’è dubbio neanche che l’impossibilità di acquisire
una nuova patria in un futuro prevedibile condusse i sionisti laburisti e socialisti a rivedere il proprio
orientamento verso il lavoro quotidiano, e a vedere il Bund sotto nuova luce. Zilberfarb parla di
un’assemblea sionista alla fine del 1903 nella quale un oratore affermò che la situazione politica
indicava la lotta per l’autonomia culturale laddove gli ebrei potessero costruire una maggioranza.
Era un chiaro tentativo di sintetizzare le posizioni bundista e sionista sulla questione nazionale.
Sebbene pochi dei presenti concordassero con l’oratore, respingendo la sua idea come ben più
bundista che sionista, il confronto tra le linee fu indicativo del clima del momento. I sionisti di
orientamento socialista erano spinti a prendere in considerazione la vita concreta in Russia e
dunque l’ambito di attività del Bund.
Per i bundisti, demoralizzati dalla strage di Kishinev, la divisione al Sesto Congresso
Sionista fu un promettente segno di speranza. “Si può dire” scrisse Medem dopo Basilea “che
dall’ultimo congresso in poi il sionismo non esista più”316. Ma egli fu troppo ottimista. I circoli e i
gruppi sionisti laburisti infatti nel 1903 e 1904 proliferarono. Il loro adattamento alla situazione
immediata, incluso in molti casi una nuova enfasi sulla necessità della lotta rivoluzionaria per il
territorio, rese il loro movimento sempre più importante per i comitati locali del Bund. Per contro,
molti di questi circoli rimasero semplicemente allo stadio di gruppi di studio teorico piuttosto che di
attivismo pratico.
Né tutti i bundisti si convinsero come Medem che il sionismo fosse al capolinea. Una serie
di articoli e pubblicazioni dalla fine del 1903 per tutto il 1904 testimonia la costante preoccupazione
del Bund per la nuova minaccia, sia a livello centrale che locale. A giudicare da quanto riportato sui
periodici, in generale nelle assemblee il problema del sionismo suscitava anche più attenzione del
distacco del Bund dal POSDR. Nella primavera del 1904 il corrispondente di Borisov riportò che
“dobbiamo discutere sovente di sionismo, a causa della lotta che ci vede costantemente coinvolti
con il sionismo laburista”317. Un resoconto da Dvinsk parlava sarcasticamente dei “nuovi socialisti”,
e notava che solo 15 bundisti erano passati dalla loro parte – tutti quanti, sottolineava, impiegati,
cioè i lavoratori più borghesi. I sionisti di Grodno a quanto pare cercarono di convocare
un’astensione dal lavoro e un’adunata il primo giorno del Sesto Congresso Sionista: secondo il
resoconto del Bund, solo 25-30 lavoratori parteciparono, e con essi 50 socialdemocratici. Un
socialdemocratico arringò i presenti. Il rapporto del Bund all’Internazionale nell’agosto 1904
descrisse il sionismo come “il peggior nemico del proletariato ebraico organizzato che combatte
sotto la bandiera socialdemocratica del Bund”, e poi annunciò che le nuove tendenze, il socialismo
sionista e il sionismo laburista, non avevano alcun successo tra i lavoratori ebrei, che erano già
troppo coscienti per lasciarsi catturare dai vecchi argomenti borghesi. In realtà, affermò il report,
piccoli gruppi avevano attecchito in alcune città e avevano iniziato a giocare alla rivoluzione, ma
con pochi risultati, formati com’erano da semi-intellettuali di orientamento nazionalista e da pochi
lavoratori senza coscienza.

316
DAS, ottobre 1903
317
Posledniia Izvestiia, 5 maggio 1904

168
Forse l’argomentazione sionista che maggiormente sconcertò il Bund riguardò la scissione
di quest’ultimo dal POSDR, che i sionisti considerarono un altro esempio di antisemitismo. Dal loro
punto di vista, i socialdemocratici russi avevano pensato di utilizzare i lavoratori ebrei per i loro
scopi, gli ebrei avevano rifiutato di prestarsi, e i russi dunque li avevano estromessi. Tale versione
comparve di frequente, e imbarazzò non poco i bundisti. I sionisti laburisti si spinsero oltre,
predicento che come conseguenza della separazione il Bund sarebbe scomparso.
Fino al 1903, lo stato aveva virtualmente vietato la pubblicazione di giornali in yiddish in
Russia, ritenendo difficile censurarli (i censori ebrei non erano considerati affidabili dal ministero
dell’Interno). Per alcuni anni dalla nascita del Bund non vi fu un periodico legale in yiddish. Sei
giornali illegali cercarono di uscire regolarmente, cinque di essi prodotti dal Bund e il sesto dal
PPS. Un giornale non socialista in yiddish iniziò le pubblicazioni nel 1899 in Polonia: si tratta del
sionista Der Jud (L’Ebreo), redatto a Varsavia e stampato a Cracovia. Ciò portò a nove il numero
totale dei periodici in yiddish in quell’epoca, di cui sette prodotti dal Bund. La situazione rimase
immutata fino al 1903.
In quell’anno Plehve diede il proprio assenso alla pubblicazione di un quotidiano in yiddish.
L’editore del nuovo periodico legale, Der Fraind, era Saul Ginzburg, che a quanto pare aveva degli
amici al ministero dell’Interno. Secondo Ginzburg, la ragione per cui Plehve gli permise di uscire fu
di avere un giornale che facesse propaganda per l’emigrazione ebraica dalla Russia; una
spiegazione plausibile, dato l’atteggiamento di Plehve verso il sionismo (che all’inizio del 1903 era
tollerato legalmente) e verso la linea sionista di Der Fraind318.
Il Bund interpretò la concessione del governo dal proprio punto di vista rivoluzionario, e
considerò con molto sospetto il nuovo giornale. Ogni pubblicazione permessa dallo stato, affermò,
non poteva essere nemica dello stato. La verità era che lo stato temeva a tal punto il proletariato
ebraico rivoluzionario che ora cercava di incoraggiare il sionismo e di offuscare la coscienza di
classe. Alcuni anni prima, in occasione della comparsa di Der Jud, Kremer aveva affermato che “lo
sviluppo del Bund ha costretto il governo a dare il permesso di pubblicare il giornale…per
allontanare i lavoratori dal Bund”319. Per i bundisti questa valutazione era ancor più calzante nel
1903: “La sempre crescente influenza del Bund” affermò apertamente Di Arbeter Shtime “ha spinto
il governo russo ad avallare il quotidiano in gergo”320.
Nel frattempo cominiciarono a uscire anche pubblicazioni sioniste laburiste illegali. Nel
1903 – 04 comparvero una mezza dozzina di periodici, redatti da vari gruppi sionisti. Sebbene il
Bund dominasse ampiamente il campo della propaganda politica, il suo quasi monopolio nella
Zona fu interrotto.
Durante questo periodo lo stato iniziò anche a permettere la pubblicazione di periodici di
argomento genericamente divulgativo, e ne comparvero diversi. Negli anni 1903 – 04 di 34 titoli, 16
erano prodotti dal Bund (tutti e 16 illegali). La richiesta di letteratura in yiddish su tutti gli aspetti
della vita apparentemente sembrava insaziabile. La crescente attrattiva rappresentata dalle
pubblicazioni sioniste in buona parte soddisfece l’aumento della domanda.
Lo sviluppo del sionismo laburista provocò un continuo focalizzarsi sulla questione
nazionale. Le argomentazioni dei sionisti suscitavano nei bundisti reazioni febbrili, almeno a livello
locale, dando luogo a scontri molto accesi che contrastavano con il tono relativamente pacato
generalmente adottato dai dirigenti del Bund. Così, troviamo un comitato locale del Bund
esplodere di fronte all’affermazione che gli ebrei erano stranieri e dovevano “parlare piano, come
un mendicante alla porta”: “Noi non siamo stranieri e non siamo ospiti, anche se il governo russo ci
considera tali…La ricchezza del paese è bagnata del nostro sangue…; noi rivendichiamo e ci
battiamo per ciò che ci appartiene, i diritti umani, civili e politici”321. La causa della patria russa fu
esposta in maniera analitica nel primo numero di un nuovo giornale di massa, Der Bund, che
apparve nel 1904. Sottolineando che sia i sionisti che gli antisemiti si esprimevano in termini di
diritto alla proprietà, Der Bund affermò:

318
In una lettera aperta a Herzl riportata dal quotidiano tedesco Die Welt il 25 agosto 1903, Plehve osservò che il
governo zarista tollerava il sionismo “nella misura in cui il suo scopo era di creare uno stato indipendente in Palestina,
e prometteva di organizzare l’emigrazione di un certo numero di elementi ebrei di Russia”.
319
Arkady Kremer
320
DAS, maggio 1903
321
Archivio del Bund

169
Se i nostri antenati fossero giunti qui armati di spada…allora il territorio sarebbe stato
“loro”….Ma poiché i nostri antenati sono arrivati come pacifici abitanti, e nel corso di un migliaio
di anni insieme alla popolazione circostante hanno contribuito allo sviluppo culturale del paese,
bagnandolo con il loro sudore, impregnandolo del loro sangue, coprendolo con le loro ossa, ora
gli ebrei “non sono a casa propria”. Possiamo noi proletari accettare questo punto di vista? No!
Il territorio nel quale abbiamo vissuto per centinaia di anni e al quale siamo legati da migliaia di
fili – questa è la nostra patria. Esso appartiene a noi proprio come appartiene ai polacchi e ai
lituani, e a tutti i popoli che lo abitano. 322

Mai prima d’ora il Bund aveva difeso con tale forza l’attaccamento storico degli ebrei al
“territorio” russo.
Un bersaglio frequente era rappresentato dai sionisti laburisti di Minsk, il più vecchio e
conservatore gruppo di estrazione proletaria. I bundisti li attaccarono costantemente, ritornando in
continuazione sul tema della deviazione borghese. E non poteva essere altrimenti, poiché i sionisti,
considerandosi stranieri, negavano la possibilità di una lotta di classe in Russia dove gli ebrei non
avevano ruoli dirigenti e proprietà nazionali. Ma l’esistenza di una borghesia ebraica in Russia, lo
sfruttamento dei lavoratori ebrei e la dottrina dell’unità del proletariato – tutto ciò rendeva la lotta
per il socialismo in Russia possibile e necessaria, insisteva il Bund. Il carattere borghese dei
sionisti di Minsk e il fatto che non si fossero divisi dai sionisti generali convinsero i bundisti che i
sionisti laburisti non facevano altro che servire gli interessi della borghesia.
Una nuova corrente sionista scaturita dal Sesto Congresso fu quella dei cosiddetti
territorialisti, che con il sogno della Palestina apparentemente infranto avevano scelto di cercare
altrove un territorio (considerato ancora requisito essenziale per la sopravvivenza della comunità
ebraica). Nel frattempo, come i sionisti laburisti, essi si trovarono a che fare con il problema di cosa
fare nel presente. Nelle loro prime formulazioni, i territorialisti erano disposti ad ammettere solo la
necessità della lotta difensiva; la loro linea fu quella di reagire alle circostanze del momento. Nel
marzo 1904 essi fondarono un giornale chiamato Vozrozhdenie (Rinascita) per esporre le proprie
posizioni, che erano ancora in formazione. I loro piani organizzativi erano ancor meno sviluppati di
quelli teorici, e non avrebbero preso forma che dopo i burrascosi eventi della Rivoluzione del 1905.
Agli occhi del Bund, i territorialisti erano sulla strada sbagliata tanto quanto i sionisti
laburisti, forse ancor di più dal momento che gli stessi redattori di Vozrozhdenie riconoscevano il
carattere borghese e reazionario del sionismo. Cos'era l'ideale della rinascita nazionale attraverso
l'acquisizione di un territorio, ora o in futuro, in Palestina o in Russia, se non puro sionismo? "Il
sionismo è morto, viva il sionismo!" proclamò Vestnik Bunda. A parere dei bundisti la nuova
corrente sionista, come i liberali russi, era giunta in ritardo. Il proletariato era già troppo
rivoluzionario per trovare attraenti quelle promesse. Inoltre, i nuovi arrivati dovevano presentarsi in
abiti rivoluzionari, un travestimento che, Di Arbeter Shtime ne era sicuro, sicuramente avrebbe
suscitato ilarità e disprezzo. L'attacco dei bundisti a quanto pare scosse i vozrozhdentsy - ma non
abbastanza da fermarli.
Vi sarebbero stati conflitti ancor più seri tra i bundisti e i nuovi gruppi nella ribollente
atmosfera dell'anno 1905. In ogni caso, la più radicale forma di sionismo ebbe il suo maggior
seguito all'estero e nel sud, al di fuori delle roccaforti del Bund.

Il Bund e gli ebrei liberali. Un altro nuovo concorrente, seppure meno agguerrito, per
l'influenza sugli ebrei iniziò a preoccupare il Bund dopo il 1903. Si tratta del movimento liberale,
che aveva grande peso su una piccola ma importante parte della comunità ebraica, per lo più gli
ebrei altamente istruiti di Pietrogrado. La loro preoccupazione per la situazione degli ebrei risaliva
ad alcuni anni addietro. Nel 1900 per esempio un gruppo di importanti avvocati ebrei aveva
formato illegalmente un Ufficio di Difesa per tutelare gli ebrei colpiti da leggi ingiuste tribunali ostili.
Essi avevano lavorato molto a supporto del gruppo di autodifesa di Gomel, e avevano difeso
anche alcuni ebrei accusati di omicidi rituali. Molti di costoro erano vicini ai russi di orientamento
liberale, in particolare a quelli rappresentati dal periodico Osvobozhdenie (Liberazione), fondato
nel 1902 sotto l'egida dell'ex marxista Piotr Struve. Nel 1904 parte dell'intellighenzia ebraica di
Pietrogrado, guidata da Leonti Bramson, formò il Gruppo Socialdemocratico Ebraico, collegando la
causa dei diritti degli ebrei al liberalismo russo. L'organizzazione chiedeva diritti nazionali per gli
ebrei in Russia.

322
Der Bund, gennaio 1904

170
I liberali di Pietrogrado non approvavano del tutto il lavoro del Bund. Essi erano contrariati,
per esempio, per il disprezzo da parte del Bund dei luoghi religiosi, e l'occupazione delle
sinagoghe per tenere comizi. Tuttavia riconoscevano la grande importanza del Bund, ed erano
restii ad attaccarlo. Anzi, molti lo consideravano, e con esso i lavoratori ebrei, con grande riguardo.
Il liberalismo politico non fece grande impressione nella società ebraica della Zona fino al
tardo 1904. Per i bundisti, i pochi liberali presenti laggiù appartenevano allo stesso ambito dei
sionisti: la borghesia. Ironicamente, sebbene i bundisti facessero poche distinzioni tra i sionisti e i
liberali, essi di frequente facevano paragoni tra la borghesia ebraica e non ebraica della Zona,
ritenendo la prima nettamente inferiore alla seconda. Poco prima di Kishinev, il Bund puntualmente
rilevò il servilismo della classe media ebraica in contrasto con il risveglio di altri settori della classe
media russa. Il fatto che molti esponenti della classe media ebraica riprendessero le accuse del
governo ai rivoluzionari di essere responsabili dei pogrom, aumentò la rabbia e il disprezzo del
Bund nei loro confronti. Molti bundisti senza dubbio concordarono con chi scrisse su Di Arbeter
Shtime che la borghesia ebraica sarebbe stata senza speranza finchè fosse durata l'autocrazia.
Ciononostante, i bundisti non si astennero dal cercare il sostegno della borghesia. Sin
dall'inizio avevano cercato di acquisire credito presso l'intellighenzia ebraica, e continuarono in
questa direzione. Segno di questi tentativi fu una campagna per attirare alla causa gli insegnanti
ebrei, che ebbe un certo successo, forse anche perchè gli insegnanti venivano incoraggiati con
esortazioni del tipo: "Maestri ebrei! Nelle vostre mani c'è la più forte arma di propaganda - la
scuola. Nelle vostre mani è l'educazione di centinaia di migliaia di giovani del nostro
popolo...Organizzate dei circoli, diffondete la stampa, unitevi al movimento operaio ebraico. Non
temete la prigione o la Siberia!"323. Come abbiamo visto, i bundisti talvolta furono calorosamente
accolti nei circoli liberali locali, partecipando alle discussioni e ricevendo i proventi dei pranzi di
raccolta fondi. Senza dubbio la prospettiva di aiuto finanziario e la possibilità di far conoscere le
proprie posizioni spinsero i bundisti a mantenere tali contatti.
Con l'avvento della "Primavera" di Mirskij, il liberalismo politico acquisì una certa forza nella
Zona. Le parole di gratitudine e lealtà verso Mirskij espresse dai liberali ebrei in risposta alle
affermazioni di questi in favore degli ebrei, fecero infuriare il Bund. Qualunque riforma avesse fatto,
dissero, non sarebbe stata a favore del proletariato. I bundisti, come i loro corrispettivi
socialdemocratici altrove, videro nelle forze liberali l'appetito della borghesia per il potere politico.
L'esperienza occidentale insegnava, a loro parere, che i liberali avrebbero cercato solo quelle
libertà politiche utili ai loro interessi. Non erano poveri nè affamati, dunque avrebbero perso lo
spirito rivoluzionario una volta acquisito il potere. Sotto la maschera della garanzia dei diritti politici
per tutti, la borghesia russa avrebbe sfruttato il popolo esattamente come la borghesia occidentale.
Sebbene la campagna dei liberali ebrei per i diritti nazionali fosse lodevole, disse il Bund, i
lavoratori dovevano stare sul chi vive: i liberali non avrebbero mai appoggiato la lotta di classe del
proletariato. Esso raccomandò ai lavoratori di condurre la propria battaglia separata per i diritti
nazionali. Nonostante la generale debolezza del movimento liberale, Der Bund predisse che alla
fine un partito liberale nazionale ebraico avrebbe visto la luce.
La continua insistenza del Bund sulla lotta di classe prima della lotta nazionale è sintomo
della sua valutazione del liberalismo. Scrisse Der Bund: “L’analisi specifica del liberalismo ci indica
che vi è un solco profondo tra esso e la socialdemocrazia. I liberali rappresentano la borghesia; i
socialdemocratici rappresentano il proletariato. L’antagonismo che divide le due classi divide
anche i due partiti”324. La lotta anticapitalista della socialdemocrazia rendeva vana la possibilità di
un futuro comune con la classe media. L’obiettivo finale della borghesia era la sua vittoria politica.
Ma ciò era soltanto una tappa per i socialdemocratici, i quali una volta ottenuta la libertà politica
sarebbero andati verso la liberazione economica.
I bundisti comunque furono disposti a sostenere qualunque movimento che aspirasse a
maggiori libertà rispetto all’ordine politico vigente. Finchè gli obiettivi delle due fazioni fossero stati i
medesimi, una cooperazione sarebbe stata possibile, sebbene, disse Der Bund, occorresse
definire bene in che termini. Come gli altri socialdemocratici, anche i bundisti cercavano di
soppesare vantaggi e svantaggi di un’alleanza coi liberali, nell’atmosfera sempre più surriscaldata
della vita politica russa.

323
Archivio del Bund
324
Der Bund, ottobre 1904

171
Il Bund e gli ebrei religiosi. Dopo il pogrom di Kishinev, il Bund incontrò un crescente
antagonismo da un altro ancora dei suoi tradizionali nemici - l'establishment religioso. Sebbene sia
impossibile dire quanto a fondo il clero fosse ostile al movimento operaio ebraico, è indubbio che
alcuni leader religiosi si schierarono apertamente contro i rivoluzionari, temendo che i cristiani e lo
stato avrebbero esercitato la loro vendetta contro l’intera comunità ebraica. Poco dopo Kishinev un
raduno di rabbini a Cracovia espresse forti critiche nei confronti del Bund, da una parte
denigrandolo (la loro “attività non portava a nulla e alla gente normale sembravano pazzi”) e
dall’altra accusandolo di danneggiare tutto il popolo ebraico325. Il raduno di Cracovia approvò una
risoluzione che chiedeva di denunciare i bundisti: essi dovevano essere isolati, poiché le loro
azioni erano contro Israele e contro la sacra Torah, “che ci ha insegnato a obbedire alle leggi e ai
decreti del governo sotto il quale siamo residenti”326. L’establishment religioso sperava di mettere
quanta più distanza morale possibile tra sé e i bundisti.
A livello locale, la rabbia dei leader religiosi spesso condusse a provvedimenti estremi. A
Mezhirichi, una cittadina a ovest di Kiev, un rabbino superò Zubatov, formando un gruppo di
facchini e portantini per individuare i luoghi di ritrovo dei giovani radicali e rivelarli alla polizia. Un
rabbino entrò in contatto con alcuni operai di fabbrica, preparò liste dei più “turbolenti” – coloro che
non rispettavano la festa del Yom Kippur, per esempio – e li fece licenziare. A Vilna, Grodno e
Odessa i rabbini lanciarono attacchi contro i bundisti, “i democratici”, e i giovani e i lavoratori che
parlavano di socialismo. Anche i gruppi sionisti più radicali ricevettero la loro parte di critiche.
Sebbene una consistente quota della comunità approvasse questa dura campagna, i
rabbini non ebbero mai il supporto totale delle loro congregazioni, o anche dei loro colleghi. Il
Comitato di Grodno distribuì un volantino attaccando il clero in generale, sia russo che ebraico,
perché difendeva le forze della reazione anziché i poveri e gli oppressi. Un rabbino di Vilna che
rimproverava dei giovani ebrei per la presenza della polizia alla porta della sinagoga fu zittito dai
fischi.
Se l’onda rivoluzionaria non poteva travolgere la tradizione, neppure la tradizione poteva
prevalere. La vitalità rivoluzionaria della comunità ebraica, espressa per lo più dal Bund, era un
dato di fatto, e sarebbe stata sempre più evidente nel 1904. In tali circostanze il clero poteva fare
ben poco. La repressione statale, la secolarizzazione, e anche i semplici appelli alla giustizia, se
non quelli del Bund per il socialismo, avevano cambiato irreversibilmente la vita ebraica in Russia.

Tutti questi cambiamenti ebbero luoghi in tempi burrascosi. La popolazione ebraica, in


particolare la classe operaia, era alle prese con la doppia oppressione dei pogrom e della povertà.
La guerra distruggeva l’economia russa, e i lavoratori pagavano il prezzo più alto. A Odessa per
esempio, dove nei periodi migliori vi era una fiorentissima occupazione, le attività portuali con
l’Estremo Oriente crollarono, portando disoccupazione di massa e gravissimo impoverimento. Gli
abitanti affamati attaccavano i depositi di cibo e le fornerie, e furti e rapine divennero molto
frequenti. A metà del 1904 il corrispondente del Bund da Lodz riportò che 450 dei 900 sarti della
città e 425 dei 600 fabbricanti di cappotti erano disoccupati. In un’inchiesta parziale in varie
imprese locali, l’organizzazione di Bialystok rilevò che il numero di addetti era calato da 3.300 a
1.200. Ciò accadeva nell’agosto 1904, un’epoca in cui secondo quanto riportato “Tutte le botteghe
stavano chiudendo. Dei 400 – 450 falegnami, fabbri, stagnini, imbianchini che c’erano…ora se ne
contano a malapena 150”327.
La crisi mise a dura prova le organizzazioni economiche del Bund. Un corrispondente da
Lodz scrisse: “Un gran numero dei nostri iscritti hanno lasciato la città, e così accade ogni giorno.
Spesso molti dei nostri militanti non possono svolgere il proprio lavoro…perché non hanno nulla da
indossare”328. La lotta economica subì giocoforza delle battute di arresto. Non si trattava più di
arrivare a nuove conquiste ma di conservare ciò che era stato acquisito nei tempi precedenti. La
disciplina sul lavoro era difficile da mantenere, con alcuni lavoratori disposti ad accettare peggiori
condizioni e altri invece decisi a resistere. Il movimento degli scioperi tra i lavoratori ebrei crollò
bruscamente; sia il numero di scioperi che quello degli scioperanti raggiunse il minimo dal 1898.

325
A. Lev, Der Klerikalizm in Kamf kegn der Arbeter Bevegung, ed. 1934
326
ibidem
327
Posledniia Izvestiia, 29 agosto 1904
328
ibidem

172
Con tutto ciò, la percentuale di lotte vinte rimase discretamente elevata, indubbiamente riflettendo
la forza che il movimento aveva raggiunto alla fine del 1904.
Tuttavia la crisi economica non impedì la crescita politica. Al contrario, grazie alla guerra i
rivoluzionari in Russia riuscirono a volgere l’agitazione economica in agitazione politica. E la
rottura della disciplina ebbe il suo lato positivo: alla fine del 1904 coloro che seguivano l’attività del
Bund rappresentavano un nucleo militante pronto a ogni avversità, uomini e donne fidati e disposti
a fronteggiare le situazioni più difficili.

173
19. IL CONFRONTO TRA LE FORZE
RIVOLUZIONARIE, 1903 – 1905

Reazioni al distacco del Bund dal POSDR. Il distacco dal POSDR lasciò il Bund in una
condizione di isolamento. Esso ora doveva presentarsi al proletariato ebraico separatamente dalla
struttura formale della comunità socialdemocratica di tutta la Russia; il legame che gli aveva dato
un’immagine di forza internazionale e fiducia nel futuro era spezzato. Peggio ancora, il Bund si
ritrovò alle prese con gli iskristi che gli contendevano l’influenza sui lavoratori in province in cui fino
ad allora era stato la più forte, e spesso la sola, forza socialdemocratica organizzata. Come molte
lotte intestine, il conflitto divenne sempre più aspro; gli stessi preliminari erano stati parecchio
accesi.
I bundisti all’estero si erano meglio preparati a una divisione rispetto ai loro compagni in
Russia. In Occidente le polemiche erano state aperte, riportate senza mezzi termini da Posledniia
izvestiia e dall’Iskra, e le differenze erano chiare a ogni lettore. Ma anche date queste premesse i
circoli operai laggiù furono sorpresi e sgomenti per la scissione. Come scrive Raphael Abramovich:
“I bundisti all’estero…erano psicologicamente pronti allo scontro. Ciononostante, nessuno credeva
che esso avrebbe portato a un divorzio effettivo”329. Per Mill la scissione fu “una tragedia molto
dolorosa” e “una catastrofe colossale”330. Alcuni dei reduci dal congresso piansero mentre ne
raccontavano l’esito ai gruppi bundisti. Secondo Mill “Il resoconto di Noah a Berna…avvenne in
un’atmosfera di grande depressione tra i bundisti presenti”331, e quello di Medem a Zurigo ottenne
un effetto simile. Di tutti i bundisti, forse la generazione più anziana fu quella più colpita
emotivamente.
In Russia la scissione arrecò stupore e costernazione in tutti i militanti. Gli articoli riportati
da Di Arbeter Shtime sulle dispute tra gli iskristi e il Bund non avevano rappresentato appieno i
disaccordi tra i due gruppi. Di conseguenza i militanti furono colti di sorpresa. Anche la maggior
parte dei dirigenti locali erano solo parzialmente consapevoli della controversia. Sholom Levin, che
tanto contribuì all’attività di stampa clandestina nel corso degli anni, descrive la reazione generale:

L’uscita del Bund dal Partito fece un’enorme impressione sulle organizzazioni. Essa giunse
inaspettatamente e improvvisamente, e i membri del Bund non vi erano preparati. La polemica
con l’Iskra prima del Congresso non aveva toccato i militanti. Anche i membri delle skhodka
locali leggevano poco l’Iskra. Eravamo troppo concentrati sui problemi locali, quotidiani. I
rapporti con il Partito erano per noi “alta politica”, e affare del Comitato Centrale332.

Preoccupati di come le informazioni sarebbero state presentate ai militanti, i dirigenti del


Bund si dedicarono ad aggiornare i ranghi del partito sulla situazione. Questo compito fu assolto
soprattutto dai relatori della generazione più giovane – Medem e Abramovich all’estero, Liber in
patria.
La campagna per spiegare e difendere la condotta del Bund al Secondo Congresso si
intensificò nel dicembre 1903, con la pubblicazione di un opuscolo specifico in yiddish
sull’argomento. Il principale argomento del Comitato Centrale fu che vi era stata ben poca
possibilità di scelta: o lasciare il congresso o estinguersi. Il congresso aveva definito il Bund
un’anomalia, dannosa, nazionalistica e borghese: un’affermazione scioccante, secondo il comitato,
data la solidità del Bund e la sua lunga e notevole storia. Il congresso non soltanto aveva
dimostrato la sua ignoranza sul Bund, ma aveva dato prova di immaturità per la leggerezza con la
quale aveva preso in considerazione le proposte del Bund. I delegati non capivano che solo
un’organizzazione che fosse scaturita dall’ambiente ebraico sarebbe stata capace di dirigere e
sviluppare il potenziale rivoluzionario dei lavoratori ebrei. Il centralismo utopico tanto caro al
congresso scaturiva da una falsa comprensione delle basi su cui si doveva costruire un vero

329
Raphael Abramovich, In Tsvai Revolutsies, 1944
330
Joseph Mill, Pionern und Boier, 1946 - 49
331
ibidem
332
Sholom Levin, Unteredishe Kemfer, 1946

174
movimento rivoluzionario, e un’inadeguata comprensione del socialismo internazionale, che non
significava cosmopolitismo.
L’opuscolo affermò anche che il Bund non sarebbe potuto rimanere al congresso senza
sacrificare gli interessi del proletariato ebraico. “Il suicidio del Bund avrebbe significato il suicidio
del movimento operaio ebraico, e la famiglia proletaria internazionale avrebbe così perso uno dei
suoi membri più attivi ed energici”333. Il comitato ribadì la ferma fiducia del Bund nel marxismo
rivoluzionario, e il desiderio di raggiungere l’unità reale delle forze rivoluzionarie. Esso espresse la
speranza che con la crescita del movimento ebraico e la sua maggiore esperienza tra i
socialdemocratici russi quell’obiettivo sarebbe stato raggiunto.
I dirigenti del Bund diedero la loro spiegazione alle organizzazioni locali direttamente,
incaricando dei relatori di parlare ai gruppi di agitatori e ad altri compagni. Questi incontri furono
strutturati secondo uno schema più o meno ricorrente: riassunto degli avvenimenti, discussione, e
alla fine proposta di una risoluzione a sostegno dell’azione del Bund. Il primo riscontro venne dal
Comitato di Berdichev, che riportò che il proprio incontro era stato caratterizzato da un lungo
dibattito con gli iskristi, che ne avevano sabotato l’andamento. Non si parlò di votazioni a supporto
di alcuna risoluzione. Altri tra i primi resoconti parlarono di notevoli differenze di opinione e di
nessuna decisione definitiva. A Smolensk, che era al di fuori della Zona, circa 20 intellettuali, per la
maggioranza iskristi, discussero l’argomento – blandamente secondo il resoconto dell’attivista del
Bund. A Vitebsk una riunione di 25 persone, con alcuni iskristi, piuttosto curiosamente approvò il
fatto che il Bund fosse considerato il solo rappresentante del proletariato ebraico nel partito, senza
che vi fosse discussione in proposito. A quanto pare i pro e contro del problema in alcuni casi
disorientarono i partecipanti, e non si arrivò a risoluzioni.
Ma presto la situazione cambiò. In capo a poche settimane, il Comitato Centrale iniziò a
ricevere gli attestati di fiducia che cercava. Nel marzo 1904 Posledniia izvestiia aveva riportato
notizia di risoluzioni favorevoli a Berdichev, Odessa, Lodz, Gomel, Minsk, Bobruisk, Mogilev,
Varsavia, Vilna e in una serie di centri minori. Nella maggior parte dei casi il voto fu all’unanimità;
in pochi di essi si riscontrarono dibattiti e dissensi. La maggior parte degli incontri furono
partecipati da agitatori, quindi elementi attivi del Bund. Al più numeroso, a Vilna, presero parte in
99; il più ristretto fu quello di Berdichev, con 19 attivisti. Alcuni incontri furono rivolti ai lavoratori,
con un massimo di 200 partecipanti. Alla metà del 1904 il Bund aveva organizzato 42 incontri di
agitatori, con una partecipazione totale di 2.100. “Tutti gli incontri senza eccezione” riportarono i
dirigenti del Bund “approvarono la condotta della delegazione del Bund…e riconobbero che era
stato fatto il possibile per evitare una scissione”334. L’affermazione è un po’ esagerata ma
sostanzialmente corretta.
Le organizzazioni locali dunque si schierarono decisamente con il Bund. Tutte con le loro
risoluzioni mostrarono di appoggiare con convinzione l’idea di un’organizzazione specifica dei
lavoratori ebrei. Alcune biasimarono anche il Secondo Congresso per il trattamento verso il Bund,
a volte esprimendo la speranza che il futuro avrebbe convinto i compagni russi dei loro errori,
aprendo la via a una nuova unità. I quadri del Bund non si perdessero facilmente d’animo,
nonostante il dispiacere per la scissione.

Il Bund e il POSDR nella Zona. Fino al Secondo Congresso del POSDR, solo due
organizzazioni socialdemocratiche svolgevano un ruolo significativo nelle province nordoccidentali:
il Bund e i socialdemocratici polacchi. Gli iskristi là avevano alcuni gruppi fin dal 1901, ma erano
tutti poco numerosi, isolati e non strutturati. Dopo la scissione, gli iskristi si adoperarono per
rafforzarsi in ogni modo possibile, compreso il lavoro tra gli ebrei della Zona. Là i gruppi iskristi
erano composti soprattutto da lavoratori e intellettuali ebrei che non avevano approvato la linea del
Bund al Secondo Congresso. Questo primo spostamento verso l’Iskra sembra essere stato in gran
parte spontaneo, e non frutto di un intervento esterno. A Minsk, per esempio, sette o otto lavoratori
scontenti per i mutamenti organizzativi del Bund si raggrupparono nell’autunno 1903. Dopo una
serie di incontri ad essi si unirono altri 30 lavoratori. Essi presero contatti con gli intellettuali
socialdemocratici della città e poi con il Comitato Centrale del POSDR, scegliendo di chiamarsi
Gruppo di Minsk. Più o meno nel contempo un bundista di Bobruisk, Grigorij Shklovsky, ritornò in

333
Vegen der aroistretung fun “Bund” fun der Ruslander Sotsial-Demokratisher Arbeter Partai, opuscolo dicembre
1903. Venne stampato in 20.000 copie.
334
Doklad Internatsional’nomu Sotsialisticheskomu Kongressu v Amsterdame, agosto 1904

175
quella città dopo un periodo di prigionia e riprese contatto con le organizzazioni locali, allo scopo di
indirizzare quei lavoratori che volevano passare con gli iskristi. In seguito egli creò un proprio
gruppo a Borisov, quasi completamente composto da russi. Il POSDR cercò anche di reclutare
alcuni lavoratori e intellettuali a Zhitomir e Berdichev.
Secondo un report del partito, al novembre 1904 gli iskristi avevano reclutato 970 nuovi
membri nelle province occidentali: 875 lavoratori (di cui 575 ebrei) e 90 contadini. Il fatto che i
gruppi dell’Iskra ottenessero molto più successo tra i lavoratori ebrei che tra quelli cristiani indica la
generale arretratezza della coscienza rivoluzionaria nella popolazione non ebraica, particolarmente
tra i russi. A quanto pare comunque solo pochi dei nuovi membri del partito provenivano dal Bund.
La maggior parte sembra appartenessero alla sfera di influenza del Bund piuttosto che al Bund
stesso.
Nel 1904 il POSDR formò due organizzazioni regionali nella Zona. Il Comitato del
Nordovest, formatosi in maggio e basato a Vilna, era quello più consistente almeno secondo le
impressioni del Bund. Il Comitato di Polesia335, formatosi poco tempo prima, operava a sud di
Gomel. Il Comitato del Nordovest si considerava una forza correttiva. Nella sua dichiarazione di
intenti affermò che le peculiari condizioni della regione, la cui caratteristica era lo sviluppo separato
di diverse culture nazionali, avevano portato alla nascita di tendenze nazionaliste. Neanche il
Partito Social Democratico Polacco era riuscito a creare un’organizzazione forte e stabile in un
territorio in cui i polacchi erano la stragrande maggioranza. I lavoratori ebrei sembravano sensibili
alle idee socialiste, ma i loro dirigenti, compreso il Bund, sfortunatamente erano permeati di
tendenze nazionaliste. L’obiettivo principale del Comitato del Nordovest, quindi, era “di mostrare al
proletariato di quest’area, attraverso la critica socialdemocratica, che le tendenze nazionalistiche
gli sono estranee, e in questo modo di epurare l’organizzazione operaia da quegli elementi che vi
si infiltrano, insistendo sulla necessità della più rigida unificazione in un unico partito politico
proletario”336.
Il bersaglio principale del comitato era il Bund, al quale veniva imputato di essersi rovinato
cercando di assorbire i propri oppositori. Nelle sue contese coi sionisti e i nazionalisti il Bund era
diventato permeabile al loro spirito, varcando il limite dei principi socialdemocratici. Ciò aveva
influito sul suo abbandono del Congresso. In breve, il comitato intendeva distogliere gli elementi
più coscienti dall’indirizzo sbagliato seguito dal Bund, e riportarli nell’alveo del POSDR.
Il contrattacco del Bund fu diretto contro il POSDR piuttosto che contro il Comitato del
Nordovest. Ponendo i mali della socialdemocrazia all’interno della struttura centralistica del partito,
gli oratori del Bund ribadirono ancora una volta che solo un partito scaturito da un proletariato
nazionale poteva effettivamente guidare quel proletariato nella lotta di classe generale. Col tempo
le idee sbagliate dei socialdemocratici russi sarebbero state respinte, e vi sarebbe stata una “vera
unificazione”. Nel frattempo, dal momento che i tentativi del POSDR nel Nordovest ostacolavano il
lavoro socialista, “il dovere di tutti i socialdemocratici consapevoli nella nostra regione è non solo di
non stare sotto la bandiera di questo ‘partito’…ma di agire per estrometterlo dalla nostra
regione”337. Il Bund non avrebbe tollerato sciocchezze nel proprio “territorio”.
I rapporti tra i comitati locali del Bund e i nuovi gruppi del POSDR furono difficili, e
generalmente cattivi. Abram Belenky, uno dei membri del Gruppo di Minsk, affermò chiaramente
che il POSDR contendeva al Bund l’influenza sul proletariato ebraico. Il Comitato di Minsk del
Bund fu dello stesso parere: il Comitato del Nordovest considerava “il suo compito principale la
lotta contro il Bund”, che non avrebbe portato che “danno alla causa del proletariato”338. La
competizione a Minsk fu così aspra che Belenky fu particolarmente orgoglioso del proprio arresto
nell’estate del 1904, il primo di un iskrista laggiù. Fino a quel punto “i prigionieri politici erano stati
quasi tutti bundisti”339.
La violenza e l’ipocrisia non mancarono nella contesa, da entrambe le parti. Shklovsky
racconta dei bundisti che una volta interruppero una riunione nella quale il suo partito sembrava
guadagnare consensi. Egli stesso ammette candidamente che interveniva nel Bund allo scopo “di
creare legami con le masse” poiché “era impossibile costruire un’organizzazione di partito senza

335
La Polesia è l’ampia regione paludosa a cavallo degli odierni territori di Ucraina, Polonia, Bielorussia e Russia.
336
Vestnik Bunda, luglio 1904
337
ibidem
338
Posledniia izvestiia, agosto 1904
339
Shmuel Agursky, Die revolutsionere bevegung in Vaisrusland, 1863 – 1917, 1931

176
l’aiuto dei bundisti”340. La stampa del Bund riportò di costanti frizioni tra i due gruppi: interruzione di
incontri, attacco ai relatori, resoconti falsi sull’Iskra, tentativi di persuadere i lavoratori che sionisti e
bundisti erano la stessa cosa. I bundisti sottolinearono a gran voce la mancanza di solidarietà
operaia da parte degli iskristi di Minsk all’epoca del massacro di Bialystok. Quando il Comitato
Centrale fece appello per scioperi e incontri di protesta, scrisse Posledniia izvestiia, “solo i
lavoratori appartenenti all’organizzazione dell’Iskra rifiutarono di unirsi allo sciopero e rimasero
nelle fabbriche”341. Anche i sionisti vi parteciparono.
A Vilna le cose non andarono meglio. Un membro del POSDR riportò che l’estate del 1904
laggiù era passata “all’insegna di aspri scontri coi bundisti”. L’organizzazione di Pietrogrado del
POSDR inviò a Vilna Boris Stolpner, un iskrista che si era guadagnato il soprannome di “divoratore
del Bund”, per stroncare gli avversari. Comunque la maggior parte di questi “scontri” furono verbali,
e nessuno ebbe il sopravvento; come ci si può attendere, da entrambe le parti veniva affermato di
avere vinto questo o quel dibattito.
Il Comitato di Polesia, che operava in un’area della Zona più a sud, fu meno contrapposto
al Bund rispetto al suo corrispettivo del Nordovest. Fu fondato nel gennaio 1904 ma non si
annunciò per iscritto fino al settembre di quell’anno. Era meno affamato di dissidenti del Bund,
mirando solo “a creare un movimento nella classe lavoratrice russa della nostra area, dal momento
che il forte movimento ebraico qui ha influenzato solo debolmente la lotta generale del proletariato
panrusso suo vicino”342. Ciò non significa che cessasse il tentativo di guadagnare consenso tra i
lavoratori ebrei; ma l’enfasi su un diverso obiettivo contribuì a una coesistenza più o meno pacifica
nel Sudovest.
I comitati del POSDR nella Zona ebbero le loro difficoltà. Nel novembre 1904 il Comitato
del Nordovest parlò orgogliosamente del proprio lavoro tra tutte le nazionalità e della propria ferma
aderenza ai principi del partito, ma riconobbe di avere dei problemi. La maggior parte dei lavoratori
urbani nell’area erano ebrei, organizzati soprattutto dal Bund. Sottolineando che la mancanza di
letteratura yiddish era un serio handicap, il comitato si appellò agli organismi centrali del POSDR
per riceverne un pò.
Al cosiddetto Terzo Congresso del POSDR, tenutosi nell’aprile 1905 e composto solo da
bolscevichi, le valutazioni dei due comitati regionali sul proprio lavoro espressero le loro difficoltà.
Shklovsky notò: “Se la gran parte dei bundisti fanno ancora parte del Bund, ciò si può spiegare col
fatto che il nostro Comitato del Nordovest è assai lontano dal raggiungimento dei propri
obiettivi...E’ sufficiente a delineare la situazione di questo comitato il fatto che esso non abbia
ancora pubblicato un solo opuscolo in yiddish”343. Anche D.S. Postolovsky, rappresentante del
Comitato del Nordovest al Congresso, sottolineò che la mancanza di materiale in yiddish era il
principale ostacolo per l’agitazione e la propaganda. Finchè andava avanti così, concluse, “è
impossibile competere con il Bund”344. Per sua stessa ammissione il Comitato del Nordovest, circa
due anni dopo il distacco del Bund, non era riuscito a scalfire i propri avversari. La debolezza del
proprio apparato era evidente – e ciò era tanto più grave dal momento che la maggioranza dei
lavoratori reclutati, almeno fino alla fine del 1904, erano ebrei.
Il resoconto del rappresentante del Comitato di Polesia, M.K. Vladimirov, confermò
ulteriormente la relativa debolezza del POSDR. Dicendo che il Bund non sarebbe scomparso entro
breve, Vladimirov aggiunse: “Da nessuna parte vi è disciplina come nel Bund. Il Bund ha una base
molto solida, che ha sviluppato una sorta di patriottismo organizzativo, tanto che i bundisti
difendono le posizioni del Bund semplicemente perchè si tratta di decisioni del Bund, anche se
essi personalmente disapprovano quelle decisioni”345. Egli criticò la linea dura del Comitato del
Nordovest, che aveva irritato i bundisti. Tra i lavoratori i rapporti erano migliori laddove il Bund non
era attaccato così aspramente. Dicendo che “la forza del Bund è nella nostra debolezza”, egli
affermò che il modo migliore per combattere il Bund era lavorarci insieme, il che avrebbe
permesso agli attivisti del Bund di vedere il lavoro di altre organizzazioni. Vladimirov si spinse al
punto da suggerire che il POSDR usasse il materiale del Bund per i propri scopi. Ma quel
suggerimento suscitò la replica: “E la questione nazionale?”. E fu subito accantonato.

340
ibidem
341
Posledniia izvestiia, novembre 1904
342
M.N. Pokrovsky, 1905: Yevreiskoe rabochee dvizhenie, 1928
343
Dal resoconto del Terzo Congresso del POSDR. Lo pseudonimo di Shklovsky al Congresso era Dedushkin.
344
ibidem
345
ibidem

177
Le fonti bundiste confermano il quadro dei magri risultati raggiunti dai gruppi del POSDR. I
lavoratori del Bund rimasero totalmente fedeli alla propria organizzazione. La politica del POSDR
fu motivo di preoccupazione per il Bund, ma non al punto da temere defezioni. Anche a Minsk,
dove il Bund in passato aveva incontrato così tanti problemi e dove il gruppo del POSDR era di
una certa consistenza, i bundisti spiegarono il fatto di non aver consultato gli iskristi prima di una
protesta poichè questi ultimi erano “di dimensioni così microscopiche da non poter aumentare la
forza o il senso di nessuna azione rivoluzionaria”346. Mikhalevich, che era in prigione a Minsk ma
aveva guidato là l’organizzazione per un periodo, e riceveva resoconti della situazione dall’esterno,
giudicò il Bund in una posizione ben salda “con l’eccezione di pochi intellettuali e loro seguaci”347,
e Pavel Berman riporta che il gruppo del POSDR a Dvinsk aveva poca influenza laggiù, anche tra i
lavoratori cristiani. In sintesi, alla fine del 1904 le conquiste del POSDR tra i lavoratori ebrei non
minacciavano seriamente l’organizzazione o il seguito del Bund.
Bundisti, bolscevichi e menscevichi. Le crescenti differenze tra bolscevichi e
menscevichi nel 1904 ebbero pochi effetti sulle relazioni di entrambi i gruppi con il Bund a livello
locale. Lenin e Martov si erano trovati pienamente d’accordo sulle questioni organizzative e
nazionali relative al Bund, e i loro seguaci locali continuarono a seguire quelle posizioni. Da parte
sua, il Bund non rilevò molte differenze a livello locale e regionale nella condotta dei membri
bolscevichi o menscevichi. Belenky si turbò poiché i bundisti continuavano a considerarli un
tutt’uno in quanto iskristi, anche quando l’Iskra era diventata un organo menscevico. Ma il Bund
non si sbagliò più di tanto, in quanto in seguito anche gli storici sovietici riconobbero che i comitati
del POSDR non erano omogenei, e spesso includevano sia bolscevichi che menscevichi.
Né il Bund né il POSDR cambiarono molto le rispettive posizioni dopo il Secondo
Congresso. Quando i dettagli dei preparativi e i resoconti dei lavori divennero noti pubblicamente,
le relazioni peggiorarono anziché migliorare. Lenin, come abbiamo visto, si infuriò quando apprese
che i bundisti erano giunti al congresso con un minimo di condizioni per la permanenza nel partito.
I bundisti da parte loro sottolinearono amaramente che i voti al congresso assegnavano all’intero
Bund in Russia gli stessi voti dell’Iskra da sola: tre (più i due voti del Centro Estero). Mentre gli
iskristi si congratularono per la solidità della vittoria, affermando di avere raggiunto “l’unità su
questioni basilari di programma e di tattica”348, i bundisti descrissero il congresso come una
trappola delle forze iskriste e ammonirono che celebrare la vittoria era prematuro. Il tempo avrebbe
dato loro ragione.
Il fallimento del Secondo Congresso nell’unificazione delle forze socialdemocratiche fu
ancor più completo di quanto i bundisti avessero supposto. La disputa tra i “duri” leninisti e i
“moderati” menscevichi divenne una ferita sempre più aperta nella socialdemocrazia russa, e
prima della fine dell’anno Lenin lasciò il gruppo editoriale dell’Iskra. Nessuna accusa di
“separatismo” rivolta contro il Bund potè celare il danno molto più serio arrecato al movimento da
questa lotta intestina tra i compagni russi. Il tempo e anche i bundisti posero l’accento sui
disastrosi effetti delle dispute tra mescevichi e bolscevichi.
Per il Bund il cuore del problema stava nello schema organizzativo leninista messo in piedi
al Secondo Congresso. Il vero ostacolo all’unità era “il cieco centralismo burocratico”349 che non
lasciava spazio nel partito alle organizzazioni nate spontaneamente da particolari condizioni
ambientali e culturali. Il Bund trovò crescente sostegno alla propria posizione dopo il congresso.
Altre organizzazioni socialdemocratiche nazionali, specialmente in Lituania e Armenia, adottarono
di fatto la stessa linea sull’organizzazione del partito, e quasi altrettanto fece Proletariat, partito
polacco socialista350.
I bundisti analizzarono il centralismo nel quadro della storia rivoluzionaria russa. Secondo
la loro analisi, il “gruppo letterario” dell’Iskra si era presentato sulla scena della storia nel bel
mezzo dell’ascesa di un movimento operaio indipendente, quasi senza connotazione politica, e di
un movimento democratico stimolato da quelle masse operaie. Gli iskristi, intellettuali
socialdemocratici, si mostrarono incapaci di cogliere il senso della distanza tra l’intellighenzia e le
masse, peccato originale del movimento rivoluzionario russo. Essi pretesero, secondo il classico

346
Posledniia izvestiia, novembre 1904
347
Bainish Mikhalevich, Zikroinos fun a yidishen sotsialist, 1921 - 29
348
DAS, febbraio 1904
349
ibidem
350
Scissione del PPS di Pilsudski, Proletariat fu attivo dal 1900 al 1909 sotto la guida di Ludwik Kulzycki. Col nome
di Proletariat erano esistiti altri due raggruppamenti socialisti prima del 1892, precursori del PPS.

178
costume dell’intellighenzia russa, di essere l’unica fonte di luce, i soli depositari delle verità
politiche, e ritennero che ogni azione promossa dalle masse dovesse essere bloccata, a causa
della scarsa coscienza politca delle masse. Questa visione, secondo i bundisti, impedì agli iskristi
di riconoscere il valore della lotta economica e il vero punto di forza di quest’ultima, ovvero la
rottura del muro tra l’intellettuale e l’operaio.
A parere dei bundisti quel “gruppo letterario”, vedendo che il nascente movimento
democratico minacciava di accaparrarsi “la classe operaia politicamente immatura”, si era posto
due obiettivi: “estrarre” un certo numero di intellettuali dai ranghi della socialdemocrazia e
assumere la leadership del movimento. Secondo il Bund questi obiettivi erano insieme utopici e
inevitabilmente determinati dalla direzione storica della socialdemocrazia russa. Le tattiche
adottate dagli iskristi per raggiungere i loro obiettivi erano pericolose, e i loro metodi spesso
scorretti. Per prendere in mano il movimento democratico essi davano spazio a elementi il cui
interesse principale era la lotta politica. Di conseguenza, gli iskristi mettevano tutte le altre
componenti della lotta di classe in secondo piano rispetto alla discussione politica. Per
egemonizzare gli intellettuali essi non solo cercavano di diffondere le idee del socialismo, ma
ritenevano necessario spaventarli con lo spauracchio di “parole” come “nazionalista” e “primitivo”,
riducendo all’assurdo e all’estremo le argomentazioni degli avversari. Quando potevano essi
diffamavano e allontanavano gli altri gruppi socialdemocratici per conservare la propria posizione.
Che partito era un partito che non aveva legami coi lavoratori? Questo si chiedeva il Bund.
Per quegli intellettuali, apparentemente tutto ciò che serviva era un semplice piano: un giornale
con corrispondenti, diffusori e propagandisti, insieme a circoli nei quali studiare il contenuto delle
sue pagine. Da quello si pensava che sarebbe nato un esercito. Il “partito” nei fatti non era altro
che un “gruppo letterario” che equiparava se stesso all’intero movimento. Le lotte operaie erano
solo un aspetto del movimento generale, ed essenzialmente marginali rispetto ad esso.
Secondo i bundisti la debolezza di fondo del programma iskrista emerse quando provarono
a convertire la teoria in pratica. Lo statuto adottato dal Secondo Congresso era “null’altro che il
logico sviluppo dell’idea astratta di centralismo…elaborata all’interno delle quattro mura di uno
studio, senza attenzione ai bisogni della vita, che…sono messi in secondo piano rispetto al
‘piano’”351. Nella politica dell’Iskra i gruppi erano artificiali, cellule scomponibili i cui “atomi”
potevano essere usati per costituire nuove unità. Questo rimescolamento delle organizzazioni
operaie era una delle tattiche più nocive dell’intero piano iskrista. La linea dell’Iskra verso le
organizzazioni nazionali era un’ulteriore indicazione dell’isolamento di questa dalle masse.
Attaccando il centralismo dell’Iskra, il Bund non condannava il centralismo in tutto e per
tutto. Esso stesso in realtà era un’organizzazione centralizzata, e nelle circostanze attuali in
Russia non poteva appoggiare il “democratismo”. Ma tra il centralismo dell’Iskra e quello del Bund
vi erano forti differenze. La composizione sociale del Bund e la sua enfasi sul lavoro pratico
riducevano al minimo la dicotomia tra intellettuale e lavoratore, rendevano le organizzazioni di
massa un elemento importante nella sua struttura, e conducevano al pieno sostegno alle lotte
operaie, sul fronte economico come su quello politico. Nonostante gli ampi poteri formali attribuiti al
Comitato Centrale, il Bund contava molto sulla fiducia e sui bisogni pratici per tenere la disciplina
rivoluzionaria. Un centralismo basato in tal modo garantiva sufficiente libertà di informazione e
azione a livello locale. Il bundismo implicava una base di massa, l’iskrismo no. Il bundismo aveva
forti radici proletarie, l’iskrismo soltanto un’idelogia proletaria.
Dopo il Secondo Congresso i bolscevichi e i bundisti ebbero poco di nuovo da dirsi riguardo
all’organizzazione. In vari articoli dopo l’estate del 1903 Lenin attaccò la tendenza del Bund
all’inclusione nel partito, considerando la sua tradizionale linea come “il più puro opportunismo,
‘codismo’ della peggior specie”. Egli ridicolizzò il tentativo del Bund di presentare la federazione
come una forma più stretta di unità rispetto all’autonomia, sottolineando la differenza tra i legami
diretti tra centro e organizzazioni locali e i legami indiretti di un’organizzazione federale. Il fatto che
lo stesso Bund fosse altamente centralizzato, disse Lenin, dava peso alle sue argomentazioni
contro il federalismo.
Nel 1904 la maggiore preoccupazione di Lenin riguardo al Bund fu il tentativo di
accomunarlo ai menscevichi. Nella propria dettagliata analisi dei lavori del Secondo Congresso
Lenin attribuì molta importanza al sostegno dato dal Bund a Martov. Secondo lui l’avvicinamento
tra quelle due parti era espressione di opportunismo, in quanto i menscevichi erano afflitti dagli

351
Vestnik Bunda, novembre 1904

179
stessi mali di cui soffriva il Bund. I bundisti dal canto loro non spesero molto tempo ad analizzare le
critiche di Lenin, dal momento che esse erano dirette soprattutto a Martov piuttosto che a loro
stessi.
La conquista dell’Iskra da parte dei mescevichi diede a questi ultimi un importante
vantaggio nello sviluppo organizzativo. Essi si ritrovarono di fronte ai bolscevichi da un lato e ai
bundisti dall’altro.
I bundisti e i menscevichi si ritrovarono frequentemente in conflitto. In relazione alle dispute
sull’organizzazione al Secondo Congresso, per esempio, i menscevichi lamentarono che il Bund
aveva rifiutato di influenzare la formulazione dello statuto del partito. I bundisti replicarono di avere
sostenuto l’importante proposta di Martov sull’appartenenza al partito. Se avevano detto poco sulle
altre parti dello statuto, era perché la discussione si era focalizzata solo sulle relazioni tra i vari
organismi centrali del partito, non sulle relazioni tra quegli organismi e organizzazioni come il
Bund. E i menscevichi avrebbero dovuto ricordare di non avere preso posizione su quest’ultimo
aspetto.
I menscevichi lavorarono alacremente per mettere a punto la propria linea nei mesi
successivi al Secondo Congresso. In un importante articolo352 all’inizio del 1904, redatto per la
nuova Iskra353, Akselrod riesaminò criticamente il corso storico della socialdemocrazia russa.
Sebbene fosse proletaria nella teoria e nel progamma, egli scrisse, la socialdemocrazia russa non
lo era nella composizione e nelle caratteristiche. Piuttosto, era poco più che un gruppo di
intellettuali rivoluzionari che cercavano di diventare l’organizzazione politica delle masse operaie.
La difficoltà secondo lui stava in parte nella contraddizione tra la posizione storica e gli obiettivi
della socialdemocrazia russa. In passato le condizioni russe non avevano suggerito una
rivoluzione specificamente proletaria; piuttosto avevano indicato una lotta per la liberazione del
popolo russo dall’asservimento politico, dunque una rivoluzione borghese. Ma l’obiettivo della
socialdemocrazia era una rivoluzione proletaria; dunque il suo compito era di trasformare la
liquidazione dell’autocrazia in preludio della lotta di classe del proletariato. Con lo sviluppo naturale
di un movimento puramente operaio in Russia, la questione cruciale riguardava la futura direzione
del proletariato. I socialdemocratici dovevano emergere non solo come guida politica del
proletariato contro l’assolutismo, ma anche per difenderlo dai suoi nemici interni, come
l’economismo. Dunque la spinta all’unità e alla centralizzazione erano sorte in un certo qual modo
per il bisogno di proteggere il proletariato. Ma con l’enfasi su quella lotta l’obiettivo positivo del
partito, “ampliare e approfondire il contenuto dell’attività del partito nello spirito del marxismo
rivoluzionario”, era stato messo in secondo piano.
Il Secondo Congresso aveva segnato la fine di questa fase di enfasi nella lotta contro
l’economismo, scrisse Akselrod. Ma gli organismi centrali creati dal congresso non risolvevano i
problemi. La vittoria del centralismo era sembrata ai più come “un miracolo risolutore, un talismano
creativo”. Il partito, preoccupato di contrastare le tendenze non marxiste, aveva prestato poca
attenzione a sviluppare la coscienza di classe o l’indipendenza politica del proletariato,
discostandosi poco dall’idea di rivoluzione borghese. Come dovevano essere tradotti in attività di
partito i principi del marxismo rivoluzionario? La condotta dei bolscevichi di Lenin, feticisti della
centralizzazione, secondo Akselrod avrebbe portato a club giacobini, ovvero elementi democratico-
borghesi che avrebbero portato sul proprio carro settori delle masse popolari e individui attivi del
proletariato.
Porre fine a quella contraddizione non era compito di pochi intellettuali. Gli attivisti di
fabbrica che avevano acquisito coscienza politica potevano svolgere un ruolo importante. Era
dovere del partito sviluppare la coscienza di classe tra le masse operaie, l’idea che con la
socialdemocrazia avrebbero potuto ottenere la propria indipendenza.
I bundisti salutarono con piacere la nuova linea menscevica. Il riconoscimento del ruolo dei
lavoratori era per loro fondamentale, e non potevano dimenticare che tali idee erano risultate
eretiche nei circoli iskristi. Ma cosa significava in pratica la nuova linea? In realtà non molto,
perché al di là dei propositi i menscevichi non avevano alcun legame reale con le masse. I pochi
risultati da loro raggiunti si ebbero a spese del Bund, e dunque quest’ultimo a conti fatti ritenne la
nuova linea menscevica dannosa per il proprio futuro. In ogni caso, gli sforzi dei menscevichi

352
Iskra nn.55 – 57, gennaio 1904
353
Per “nuova Iskra” si intende quella che uscì a partire dal n.52, dopo l’abbandono della redazione da parte di Lenin
nel novembre 2003.

180
furono insignificanti in confronto al radicamento del Bund, che era indicato dalle più rilevanti figure
del socialismo europeo, compreso Plechanov, come una delle più forti organizzazioni operaie
esistenti in Russia nel 1904.
La posizione del menscevichi in questo periodo non migliorò: i loro legami con le masse
rimasero molto deboli fino al 1905. Essi trovarono l’autostima del Bund assai irritante. L’Iskra
tacciò i bundisti di essere dei settari, che attribuivano un significato magico alla parola “Bund” e
guardavano alla propria organizzazione non come a un prodotto storico ma come all’incarnazione
della verità. Al contrario, disse il giornale, la socialdemocrazia russa e il Bund nascevano da un
terreno comune e avevano una medesima cultura politica. Inoltre l’Iskra sottolineò l’arretrato
sviluppo industriale della Zona di Insediamento, la mancanza di sviluppo urbano e le leggi
eccezionali contro gli ebrei come fattori che introducevano nel proletariato ebraico aspirazioni
piccolo borghesi – sintomo dell’arretratezza del proletariato ebraico e del Bund. L’Iskra si chiese
dove fossero i lavori teorici del Bund che indicassero come procedere verso un movimento politico
di classe. La verità, scrisse, era che il Bund aveva imparato tutto dal partito che ora criticava; tutto
quello che aveva fatto era stato popolarizzare ciò che altri avevano scritto.

Il contributo di Medem alla questione nazionale. La questione nazionale, l’altro tema


che divideva il Bund e il POSDR, aveva due risvolti per i bundisti. Innanzitutto essi dovevano
definire la questione al proprio interno, e poi convincere i socialdemocratici russi dell’importanza
per tutti di arrivare a una soluzione.
Sebbene il Quinto Congresso del Bund non arrivò a inserire la questione nazionale nel
programma del partito, esso fece in modo che la discussione proseguisse. Vestnik Bunda fu
fondato espressamente allo scopo di pubblicare articoli sulla questione nazionale, nella speranza
di chiarire il programma e le tattiche del Bund a tal proposito, per colmare le distanze e mettere le
altre nazionalità al corrente del dibattito in seno al movimento operaio ebraico.
Il principale portavoce del Bund dopo la metà del 1903 fu Vladimir Medem. Kosovsky gli
aveva ceduto il passo, anche perché non ne condivideva la posizione del neutralismo e non voleva
difenderla. Medem stesso aveva dei dubbi sul neutralismo nel 1903, e sentiva che la ricerca di una
risposta socialista alla questione nazionale doveva procedere.
Con la posizione interna del Bund poco chiara e l’Iskra continuamente all’attacco, Medem si
dedicò a dimostrare che gli ebrei erano un gruppo nazionale distinto. Nel primo numero di Vestnik
Bunda egli rispose ad alcuni attacchi di Lenin sull’Iskra che criticavano quel concetto. In un
articolo, per esempio, Lenin aveva affermato senza mezzi termini che l’idea di nazionalità ebraica
era “assolutamente falsa e categoricamente reazionaria”. Il territorio e la lingua erano il principale
criterio di nazionalità, sosteneva, e gli ebrei non avevano né uno né l’altra. Lenin negava anche il
criterio dell’identificazione attraverso la razza. La storia degli ebrei in Europa occidentale mostrava
che la libertà e l’emancipazione politica di costoro andavano di pari passo, e portavano
all’assimilazione. Cercare delle eccezioni in Russia era essenzialmente reazionario. Il problema
ebraico poteva prendere soltanto una di queste due direzioni: “assimilazione o isolamento”.
Nell’esporre l’idea della nazionalità ebraica il Bund commetteva un grave errore, poiché legittimava
l’isolamento.
Medem respinse la definizione di nazionalità data da Lenin. Gli ebrei non avevano un
territorio, ammise, ma questo valeva anche per molti altri gruppi nazionali, specialmente
nell’Europa orientale. Per quanto riguardava la lingua, considerò il caso degli irlandesi, che
parlavano inglese. Inoltre, se anche vi era un legame tra lingua e identità nazionale, dichiarava
Medem, gli ebrei non potevano essere esclusi poiché l’yiddish, pur essendo poco diffuso, tuttavia
esisteva.
Altrove Medem affrontò la tesi per la quale lo sviluppo industriale portava all’assimilazione.
In Occidente il capitalismo si era formato da un retroterra di grandi nazioni quasi completamente
sviluppate, rafforzando gruppi etnici già predominanti. Ma nell’Europa orientale esso stava
nascendo in stati multinazionali, i cui gruppi etnici dominanti erano spinti a creare un monopolio
sotto la pressione “esterna” del mercato, e nel contempo a distruggere quelle caratteristiche
nazionali, in particolare le lingue, che ostacolassero il commercio. Questi interessi coincidevano
con quelli dello stato, che vedeva le differenze culturali come fattori di disgregazione del potere e
dell’armonia interna. Così, il governo e i gruppi etnici dominanti perseguivano gli stessi obiettivi.
Per Medem, legare l’identità nazionale al territorio significava inconsciamente identificare una

181
nazione dominante con il territorio da essa controllata. La teoria dell’Iskra, basata sulla storia
occidentale, era “codismo” della peggior specie, per usare le parole di Lenin.
Ma se il capitalismo conduceva alla denazionalizzazione, scrisse Medem, vi erano altri
elementi che spingevano nella direzione opposta, ovvero l’aspirazione delle masse alla libertà
politica e allo sviluppo di una propria letteratura nazionale. Riprendendo Kautsky, Medem prese
come esempio l’esperienza degli ebrei in Russia dopo l’abolizione della servitù della gleba, che
vide lo sviluppo di una letteratura in yiddish e la nascita del movimento rivoluzionario tra i lavoratori
ebrei. Quella nuova letteratura, che evidenziava la “grande e stimolante forza creativa” delle
masse, agiva contro la tendenza assimilatrice del capitalismo. La democratizzazione aveva un
effetto simile. In sintesi, Medem espresse soddisfazione per il fatto che il senso di appartenza degli
ebrei a un unico organismo sociale, con tratti razziali e psicologici comuni e una rete di relazioni
interclassiste, li qualificasse come una nazionalità separata, sebbene Lenin affermasse il contrario.
In un articolo successivo Medem si volse a ricercare le radici dell’assimilazionismo. La
posizione dell’Iskra poteva essere fatta risalire alle posizioni dei pensatori del XIX secolo, in
particolare ai grandi socialisti Marx e Kautsky e ancor prima all’hegeliano amico e maestro di Marx,
Bruno Bauer, che nei primi anni ‘40 aveva collegato alla religione la ricerca di emancipazione civile
e politica degli ebrei tedeschi. Bauer aveva affermato che una via di emancipazione per gli ebrei e i
tedeschi era rinunciare alle rispettive religioni e combattere insieme per la libertà in quanto
tedeschi, ovvero in quanto esseri umani.
Lo stesso Marx aveva respinto la proposta di Bauer (ma non la nozione di assimilazione),
sostenendo che quest’ultimo aveva semplicemente separato chiesa e stato. A suo parere
l’emancipazione degli ebrei era una conseguenza necessaria dello sviluppo dello stato, e dunque
la questione non era teologica ma legata al ruolo economico svolto dagli ebrei nella società. Il
mondo dell’ebreo moderno era materiale, e il denaro il suo dio. Marx considerava l’usura e il
denaro come i due mali del suo tempo, e sosteneva che una volta aboliti quei mali, gli ebrei come
tali avrebbero cessato di esistere. Lavorando per l’abolizione della propria natura materiale, l’ebreo
avrebbe lavorato per la propria emancipazione.
Sia in Bauer che in Marx Medem vide all’opera l’assimilazionismo. Bauer si era concentrato
su alcuni segni specifici dell’individualità ebraica e li aveva comparati con un altro gruppo
nazionale che considerava superiore. L’ebreo doveva lavorare per la libertà dei tedeschi; non
doveva chiedere nulla per se stesso in quanto ebreo, poiché così l’emancipazione sarebbe stata
impossibile. Rifiutare il cristianesimo non avrebbe significato la perdita della nazionalità per i
tedeschi – il tedesco era equiparato all’essere umano. Nel caso dell’ebreo invece i caratteri
nazionali e la religione interferivano, e dovevano sparire completamente.
L’assimilazionismo di Marx assomigliava a quello di Bauer, affermò Medem. Egli cercava
una sorta di “essenza” ebraica, residuo dell’idealismo della sua giovinezza. Scrisse Medem:
“L’assimilazionista non analizza la nazionalità ebraica nel suo sviluppo storico; per lui la società
ebraica non è un organismo vivente con una sua struttura interna, come ogni altro…che obbedisce
alle leggi del mutamento. Per lui gli ebrei sono un fossile sociale…scarsamente influenzati
dall’epoca in cui vivono”354. Se gli assimilazionisti avessero analizzato la società ebraica,
avrebbero individuato delle leggi di sviluppo. Ma invece essi avevano cercato le cosiddette
essenze, ed erano soddisfatti di averle trovate: la religione, la cultura ebraica antica, la passività
refrattaria alla rivoluzione, lo spirito avido. Se l’essenza ebraica si era formata nell’ordine
capitalistico, gli ebrei sarebbero scomparsi con la fine del capitalismo.
Sebbene molte cose fossero cambiate da queste affermazioni di Marx risalenti a circa 60
anni prima, esse venivano ripetute nel XX secolo. Kautsky per esempio ancora esortava le
popolazioni straniere ad assimilarsi ai popoli a loro vicini per porre fine ai conflitti nazionali. Egli
suggerì anche che il pogrom di Kishinev fosse spiegabile con il carattere primitivo e ignorante del
popolo russo. Ma quell’argomento era debole, scrisse Medem, poiché l’ignoranza era diffusa in
molte società. Inoltre, invece di colpevolizzare la popolazione “nativa” Kautsky difendeva
l’assimilazione, prendendosela con gli stessi ebrei. Come i suoi predecessori, egli vedeva gli ebrei
come reazionari per natura e incapaci di cambiare. Lui, che suggeriva la federazione delle
nazionalità austriache, non proponeva una soluzione per gli ebrei. Arrivava a sostenere che
l’ebraismo era morto, e che poteva essere assorbito in una popolazione più arretrata e ignorante,
che avrebbe sviluppato una cultura in futuro. L’argomento “centrale” per lui era che la cultura

354
Vestnik Bunda, giugno 1904

182
nazionale ebraica, formatasi 2.000 anni prima, si era trasformata in un dogma, refrattario a tutte le
altre culture e scienze, e quindi aveva determinato una separazione dalla vita sociale e politica. Né
l’educazione poteva risolvere la cosa: poteva aiutare i non ebrei insegnando loro la tolleranza, ma
gli ebrei stessi non avevano speranze.
Medem insistette sulla necessità di studiare il nuovo stadio della storia ebraica, cosa che gli
assimilazionisti non avevano fatto. A suo parere l’essenza del giudaismo cui Kautsky si riferiva era
storia passata. Inoltre, coloro che definivano il movimento operaio ebraico come una
contraddizione rispetto all’idea di nazionalità ebraica, e un prodotto dell’assimilazione, erano in
errore. I veri movimenti proletari si emancipavano dai pregiudizi religiosi e nazionalistici (una sorta
di assimilazione), ma tale processo non forniva una soluzione specifica alla questione ebraica.
Raccomandare l’assimilazione agli ebrei, che si erano avventurati sul terreno della lotta di classe
ben prima di altri, sembrava superfluo.
Era utile guardare a chi di fatto favoriva l’assimilazione, suggerì Medem. L’autocrazia non
impediva l’assimilazione. I reazionari accettavano sempre l’assimilazione, quello che non
avrebbero accettato era lo sviluppo nazionale. L’invito all’assimilazione non aveva nulla a che fare
con la socialdemocrazia ed era inammissibile dal punto di vista della lotta di classe proletaria:
questo il punto di partenza. Nessuno poteva prevedere il futuro degli ebrei, neppure il Bund.
I socialdemocratici, scrisse Medem, avevano gravemente trascurato la questione
nazionale, lasciando che essa fosse affrontata dalla borghesia. I socialdemocratici dovevano
domandarsi quale significato la nazionalità potesse avere per la loro ideologia, che “è guidata da
un principio base – la lotta di classe proletaria”. La cultura nazionale, suggerì, non esiste “come
qualcosa di indipendente, come un circolo chiuso, con un contenuto particolare”. “Ciò che è
nazionale è solo quella peculiare forma in cui il contenuto umano è incanalato”355.
Dunque come potevano i socialdemocratici affrontare questo tema? A questo punto Medem
riprese l’ipotesi neutralista che aveva adottato a metà del 1903. Non era affare della
socialdemocrazia prendere una o l’altra posizione. Non doveva essere né nazionalista né
assimilazionista, poiché il tema principale era la lotta di classe proletaria: lingua, psicologia e
colore della pelle non facevano differenza. I nazionalisti e gli assimilazionisti commettevano lo
stesso errore: scambiavano i risultati per gli obiettivi. Se gli ebrei si fossero assimilati – e non vi era
nulla di intrinsecamente sbagliato in ciò – il processo sarebbe avvenuto spontaneamente, non in
quanto obiettivo socialdemocratico. “Noi non siamo contro l’assimilazione” scrisse Medem “siamo
contro l’assimilazionismo”. E se si fosse sviluppata una cultura nazionale ebraica? La risposta di
Medem fu che i socialdemocratici dovevano opporsi ai nazionalisti e non dovevano interessarsi
alla promozione di una cultura; essi “non erano contro il carattere nazionale della cultura”, bensì
solo contro “la politica nazionalista”356.
La tesi del neutralismo tuttavia non esauriva la questione per Medem. Sebbene la
socialdemocrazia respingesse tutte le forme di carattere borghese, essa aveva chiari doveri verso
le culture esistenti, e il Bund non poteva restare indifferente a questi doveri. Una nazionalità
doveva avere la possibilità di svilupparsi liberamente. Ogni oppressione doveva essere eliminata.
“Solo le necessità intrinseche di un popolo dovrebbero avere un ruolo nella produzione di elementi
culturali, solo quei bisogni interni hanno diritto di esprimersi in una forma che contrapponga la
‘nostra’ e la ‘loro’ vita nazionale…Libero da pressioni esterne, lo stesso organismo ‘popolo’ nel
corso del proprio sviluppo determina il proprio destino”357.
Nel momento in cui la questione nazionale sorgeva in un contesto di repressione, essa
richiedeva una risposta socialdemocratica. Quando il popolo cercava semplicemente
l’emancipazione quella lotta era progressiva, e il proletariato doveva includere quella lotta nella
propria lotta di liberazione. Il proletariato subiva pienamente il peso dell’oppressione nazionale.
Essa lo teneva lontano dal resto della società, poiché conosceva solo una lingua e una letteratura
– “la sola finestra attraverso la quale avere una vita culturale, sviluppare una coscienza, ampliare
l’orizzonte”. L’oppressione nazionale avvicinava gli oppressi tra loro, sviluppando un senso di
inferiorità che rappresentava un grosso ostacolo nel progresso verso l’abolizione delle classi.
Il compito della socialdemocrazia, dunque, non era soltanto riconoscere l’esistenza della
questione nazionale, ma anche garantire la libera soluzione del problema. Una società capitalistica

355
Vestnik Bunda, luglio 1904
356
ibidem
357
ibidem

183
non poteva risolvere la questione nazionale, così come altri problemi politici e sociali. Perciò la
socialdemocrazia non doveva presentare il proprio programma nazionale come una panacea
finchè esisteva il capitalismo. Allo stesso tempo, attribuire scarsa importanza al problema sarebbe
stato dannoso, e i socialdemocratici erano obbligati ad adempiere al massimo numero possibile di
obiettivi prima della rivoluzione.
Vi erano due possibili soluzioni alla questione nazionale, disse Medem: l’indipendenza
politica o la piena autonomia nazionale in uno stato multinazionale. Era la seconda ipotesi che i
socialdemocratici avevano omesso di esaminare. L’uguaglianza dei diritti civili, la sola risposta
data fino ad allora, significava eliminare le disuguaglianze stabilite dalla nazione dominante. Ma
sebbene la socialdemocrazia non avesse preferenze culturali, essa aveva il compito di combattere
l’oppressione nazionale in senso sia positivo che negativo, ovvero garantire la libertà nazionale
così come garantiva la libertà personale. La libertà per le nazionalità significava che lo stato
avrebbe sostenuto scuole che tutelassero le minoranze. Ciò poteva essere ottenuto attraverso
l’autogoverno nazionale, l’autonomia in tutte le materie riguardanti la vita nazionale. Per il
momento, tuttavia, l’uguaglianza dei diritti civili rimaneva l’obiettivo primario, come era stato
stabilito al Quarto Congresso del Bund.
Le tesi di Medem apparvero nell’arco di un periodo di dieci mesi, dal febbraio al novembre
1904. Ma il problema della nazionalità in quanto tale continuò ad essere secondario agli occhi dei
dirigenti del POSDR. Martov per esempio trovò le tesi di Medem sull’assimilazione strane e
fuorvianti. Il problema non aveva significato politico secondo lui, dal momento che la soluzione
sarebbe arrivata con la vittoria della classe operaia. Per di più, il Quarto Congresso del Bund
aveva dichiarato che la richiesta di autonomia nazionale era prematura. Il Bund aveva esitato,
secondo Martov, perché voleva evitare il conflitto con la teoria marxista. Ancora una volta Martov
ribadì che le nazioni indubbiamente avevano diritto all’autodeterminazione, ma che per il momento
i socialisti dovevano combattere le tendenze separatiste nel partito del proletariato. Il POSDR era
dell’idea di lasciare da parte il problema dell’assimilazione in quanto elemento di disgregazione.
Bundisti e iskristi fino alla fine del 1904 rimasero distanti come lo erano stati alla fine del
Secondo Congresso. Per quanto profondamente il Bund approfondisse la questione nazionale
(Medem stesso ammise di avere grosse difficoltà a conciliare la questione nazionale coi principi
socialisti), i socialdemocratici non furono disposti ad affrontarla in dettaglio, in un periodo in cui
l’unità del movimento era così importante. Gli iskristi per lo più insistettero sul fatto che il potere
doveva appartenere a tutta la popolazione di un dato territorio, rendendo gli aspetti nazionali
irrilevanti. In ogni caso, la rivolta del 1905 presto sovrastò tutti questi discorsi.

Il Congresso dell’Internazionale ad Amsterdam. La scissione tra le forze


socialdemocratiche in Russia causò un’aspra disputa sulla rappresentanza al Congresso
dell’Internazionale Socialista, svoltosi nel settembre 1904 ad Amsterdam. Nel 1900 i bundisti
avevano partecipato al congresso a Parigi come parte della delegazione russa, ma ora essi
chiesero dei seggi come partito ebraico indipendente. Otto delegati358 giunsero ad Amsterdam con
il mandato di 17 comitati, 10 organizzazioni minori e 60 gruppi.
L’Internazionale aveva cominciato ad avere problemi di rappresentanza già al congresso di
Parigi. Il suo statuto garantiva ad ogni nazione (ovvero paese) due voti ai congressi e nel Bureau
permanente, l’organo esecutivo. Essa aveva adottato la formula dei due voti per far fronte ai
disaccordi interni a un partito, o alla scissione di quest’ultimo in due parti separate. Ma con quella
formula non si poteva sperare di risolvere la confusa situazione russa, che vedeva non solo la
scissione nel POSDR ma anche la formazione di nuovi partiti.
Alla vigilia del Congresso di Amsterdam il Bureau dell’Internazionale Socialista si riunì per
affrontare la questione delle rappresentanze e verificare i mandati. Nonostante le complicazioni
esso non alterò la formula dei due voti per paese, condivisa dai partiti più forti. Ma i mandati dei
vari gruppi vennero riconosciuti per organizzazione invece che per paese, creando una situazione
nella quale alcuni gruppi erano riconosciuti come organizzazioni indipendenti ma non potevano
votare in maniera indipendente359.

358
Le principali fonti indicano in otto il numero dei delegati ma riportano i nomi soltanto di sette: Liber, Kosovsky,
Mill, Kremer, Rozen, Oguz e Medem.
359
Le organizzazioni dell’Impero russo riconosciute furono: il POSDR con sette delegati; il Bund con otto; il Partito
Operaio Social Democratico Lettone e il Partito Rivoluzionario Ucraino, un delegato ciascuno; il Partito Socialista

184
All’inizio del congresso i bundisti cercarono di acquisire uno dei due voti assegnati a
ciascun paese. La delegazione russa, spiegarono, non era unitaria ma era formata da delegazioni
indipendenti che presumibilmente sarebbero state in disaccordo su diverse questioni. Il Bureau si
riunì per discutere l’arduo problema di dividere due voti tra tre partiti – il POSDR, i Socialisti
Rivoluzionari (PSR) e il Bund. Victor Adler, stimato socialdemocratico austriaco, si espresse per
l’assegnazione al Bund, per la sua organizzazione e attività. Ma altri appoggiarono il PSR in
quanto rappresentava una linea diversa rispetto ai socialdemocratici Bund e POSDR, e
quell’argomento prevalse: un voto andò al PSR e l’altro al POSDR.
Costretti a esprimere il loro voto di concerto con il POSDR, i delegati del Bund cercarono di
incontrare la delegazione russa ma furono informati che questa non li avrebbe accolti al proprio
interno, poiché erano più numerosi e potevano determinarne il voto. I bundisti, sentendosi privati
del diritto di voto, posero la questione al Bureau, che si trovò in una contraddizione da esso stesso
creata. Il Bureau respinse l’appello del Bund ma, temendo che la questione sarebbe stata sollevata
durante il congresso, Rosa Luxemburg e Karl Kautsky cercarono un compromesso. Come
soluzione temporanea essi assegnarono il seggio nel Bureau al POSDR e un voto ciascuno a
quest’ultimo e al Bund sui temi sui quali fossero stati in disaccordo. Il Bund accettò la proposta ma
protestò per la decisione del Bureau di formare una sezione socialdemocratica unica per l’Impero
russo. La questione ovviamente necessitava di ulteriori approfondimenti.
Dopo il Congresso di Amsterdam Plechanov e i bundisti discussero pubblicamente su ciò
che era accaduto. Plechanov, commentando il rifiuto del Bureau di garantire un seggio al
congresso al Bund, attribuì le difficoltà dei bundisti alle loro tendenze nazionaliste. Egli fece
riferimento in particolare alla posizione del socialdemocratico inglese Henry Hyndman, per il quale
secondo Plechanov dare un seggio al Bund nel Bureau avrebbe arrecato sostegno al
nazionalismo. Il Bund doveva rientrare nel partito per ottenere il proprio posto.
L’uscita di Plechanov fece infuriare i bundisti. Essi si rivolsero direttamente al Bureau per
chiedere come mai non avessero ricevuto un seggio. A loro risposero Kautsky e Hyndman, e
anche il socialista olandese Van Kol e il segretario del Bureau, Victor Sewry. Van Kol negò che le
tendenze nazionaliste avessero un peso, così come Sewry, che affermò che il Bureau basava la
propria decisione sull’affinità politica tra il Bund e il POSDR. Kautsky espresse più o meno la
stessa idea. Hyndman nella sua risposta si disse dispiaciuto per il fatto che gli ebrei russi
volessero una delegazione e un voto separati. Egli aveva ritenuto che privando gli SR del voto il
Bureau avrebbe privato di quel diritto una consistente parte del proletariato russo. I bundisti
riconobbero come legittima la preferenza per gli SR, ma rifiutarono di vedere in quella risposta
alcun elemento a favore dell’accusa di Plechanov secondo la quale il “nazionalismo” del Bund
avesse indotto il Bureau a quella decisione.
Quando Plechanov dopo un po’ replicò alle critiche del Bund, lo fece con considerevole
sprezzo. Aveva tardato a rispondere, spiegò, perché i bundisti, o quei sionisti come li chiamava,
non meritavano granchè una risposta. Il Bund aveva male interpretato le sue parole ponendo il
nazionalismo al centro del dibattito, il che era una prova di quanto lo considerassero importante. I
resoconti pubblicati dal Bund indicavano che vi era stato poco dibattito sul nazionalismo; il solo
riferimento di Hyndman alle aspirazioni nazionaliste del Bund era stato sufficiente al Bureau per
prendere una decisione.
La veemenza di Plechanov contro il Bund fu quasi l’ultima goccia per i bundisti. Kosovsky
ruppe tutti i legami con lui, e limitò al minimo indispensabile quelli con Lenin. Martov, considerato
ancora dai bundisti un uomo onesto, a quanto pare credeva che Plechanov fosse in errore, ma non
fece dichiarazioni pubbliche in proposito.
Nonostante i problemi legati alla rappresentanza, i bundisti considerarono con
soddisfazione l’esito del congresso, in particolare quando fu approvata la risoluzione da essi
presentata che censurava la politica anti-ebraica del governo zarista, a maggior ragione perché
non erano riusciti a farla votare nel 1900. Il riconoscimento del Bund come il primo partito ebraico
indipendente nell’Internazionale fu un ulteriore motivo di soddisfazione.

Tentativi di convergenza. I contrasti tra il Bund e il POSDR ebbero risonanza ancora


maggiore tra gli studenti e nei circoli degli emigrati in Occidente. L’ampiezza della popolazione

Rivoluzionario, 12 delegati. Per quanto riguarda la Polonia essa fu considerata un paese, quindi con due voti: uno
assegnato al gruppo formato da Partito Social Democratico e Proletariat, e l’altro assegnato al PPS.

185
studentesca ebraica nelle colonie russe faceva sì che ogni dibattito avesse un ampio seguito.
Secondo Hofman360 vi fu ancor più interesse per questa disputa ideologica che per quella tra
bolscevichi e mescevichi. Il dibattito comparve anche sulle pagine dei giornali in yiddish negli Stati
Uniti, al punto che Kremer durante la sua permanenza laggiù trovò necessario difendere la
posizione del Bund.
Ma avversarie o no che fossero, le due fazioni furono spinte, dai problemi della società
russa e dalla crescita dell’opposizione non marxista, a esplorare le possibilità di un’azione
congiunta, anche se dopo la scissione nessuna delle due fu disposta a rivedere così presto le
questioni organizzative, il che rese più difficile la cooperazione. Nel giugno 1904 i bundisti
affermarono che sebbene la disunione fosse un peccato “è impossibile parlare di unificazione con
il POSDR nel prossimo futuro a causa delle grandi differenze sulle questioni organizzative.
Possiamo parlare di un’alleanza temporanea su obiettivi temporanei”361. Il POSDR, dal canto suo,
si sentiva in una posizione debole. Martov per esempio si oppose a un incontro tra organizzazioni
socialdemocratiche, proposto dai bundisti, temendo che il Bund potesse avere buon gioco con
l’idea della federazione, riaprendo la questione organizzativa. Date le circostanze il POSDR era
comprensibilmente prudente.
Ciononostante, i tentativi da parte dei partiti rivoluzionari di unirsi continuarono, allo scopo
di sfruttare appieno la situazione di malcontento popolare dovuta alla guerra e alla crisi economica.
Il PPS, ad esempio, vecchio rivale del Bund, invitò quest’ultimo e unirsi con altre organizzazioni
socialiste delle nazionalità oppresse per lavorare in forma federativa a manifestazioni di protesta
contro il centralismo zarista; il Bund respinse l’invito. Nel maggio 1904 i bundisti, agendo di
concerto con i Social Democratici Lettoni, invitarono POSDR, SDKPiL, PPS, Proletariat, Social
Democratici Lituani, Organizzazione Operaia Social Democratica Armena e Partito Rivoluzionario
Ucraino a un incontro per parlare di azioni congiunte.
Il mese successivo il Consiglio del POSDR, di fronte a questa e ad altre proposte di
discussione, concordò sul fatto di intraprendere qualche azione. Come a Bialystok nel 1902,
emerse la ricorrente debolezza della socialdemocrazia russa; ancora una volta si doveva
rispondere a proposte fatte da altri invece di muoversi autonomamente. “Sarebbe meglio che
prendessimo noi delle iniziative” disse Martov a proposito dell’iniziativa del Bund del maggio. I
russi alla fine decisero che una conferenza preliminare delle organizzazioni socialdemocratiche si
dovesse riunire prima di definire un’azione congiunta con altri elementi dell’opposizione al regime.
Essi suggerirono un incontro con Bund, SDPKiL, Proletariat e socialdemocratici lettoni. Il loro
messaggio arrivò al Bund alla fine di luglio.
Sostenendo fortemente l’azione congiunta, il Bund tentava di curare le ferite del movimento
dovute alla scissione. Esso appoggiava l’unità rivoluzionaria, se non organizzativa, tra i
socialdemocratici. Una volta trovato un accordo con alcuni partiti socialdemocratici, si sarebbe
sentito meno isolato dal resto della comunità rivoluzionaria, e il conflitto con il POSDR sarebbe
stato meno problematico. Pur non essendoci l’aspettativa di un’immediata federazione ai vertici del
movimento, la cooperazione sembrava una buona alternativa pratica per il momento.
Quando i bundisti si incontrarono con quei partiti alla fine dell’estate (si stavano radunando
per il Congresso di Amsterdam) il POSDR rifiutò di prendere in considerazione la proposta del
Bund di mettere insieme tutti i partiti contrari al regime zarista. La sola cosa da discutere,
sostennero i delegati del partito, era la risposta dei socialdemocratici a una proposta dei
rivoluzionari finlandesi per una conferenza dei partiti rivoluzionari e di opposizione. Al Bund fu
detto chiaramente la sua proposta non aveva a che fare con quella questione. La cosa rimase in
sospeso fino a novembre, quando il Bund formulò di nuovo la proposta di un incontro tra i
socialdemocratici. Questa nuova iniziativa giunse nel bel mezzo del fermento suscitato dalla
“Primavera” di Mirsky362, e dai sommovimenti nella vita politica russa. I bundisti stilarono
un’agenda e mandarono gli inviti, chiedendo alle organizzazioni interpellate di rispondere. La
maggior parte di esse concordarono che un’ulteriore dilazione sarebbe stata un errore.
Il POSDR fu tra coloro che risposero, ma solo per inviare le proprie proposte. Il partito
voleva che la conferenza trattasse il tema dell’unificazione e che si svolgesse all’estero. Il Bund

360
Benzion Hofman, Far 50 yor: Gekliebene Shriftn, 1948
361
DAS, giugno 1904
362
Piotr Sviatopolsk-Mirsky (1857 – 1914), divenne ministro dell’Interno nel luglio 1904 dopo l’uccisione del
sanguinario predecessore von Plehve da parte del PSR, manifestando l’intenzione di attuare un programma più liberale.

186
respinse entrambi i punti. Quando finalmente la conferenza fu convocata la Domenica di Sangue,
l’atto iniziale della Rivoluzione del 1905, aveva già avuto luogo.
Nonostante i conflitti, i bundisti e i membri del POSDR erano socialdemocratici, e dunque
trovarono dei punti di convergenza. Entrambi videro con molto sospetto il Blocco di Parigi scaturito
dall’incontro tra gruppi non marxisti alla fine del 1904. Il rifiuto del Bund a partecipare al meeting di
Parigi – ciascuna organizzazione inviò la propria risposta – fu basato sull’opinione del Comitato
Centrale che le posizioni dei partecipanti fossero troppo contraddittorie per permettere un lavoro
effettivo. Alcuni elementi, notò il Comitato, sfociavano anche nell’avventurismo (un velato
riferimento all’accettazione da parte dei rivoluzionari finlandesi di armi e denaro da parte di agenti
giapponesi). Al momento, affermò, un’azione fruttuosa era possibile soltanto sulla base della lotta
di classe senza distinzioni nazionali.
Le risoluzioni del Blocco di Parigi confermarono i sospetti del Comitato Centrale. Il Blocco
puntava a una repubblica democratica fondata sul “suffragio universale”, una proposta che pareva
estremamente vaga ai bundisti, che come altri socialdemocratici appoggiavano la formula
“quadrupede” di una legge elettorale “generale, diretta, egualitaria e segreta”363. I bundisti furono
contrariati anche dalle tattiche del partiti del Blocco; sembrava che il Blocco stesse adottando una
linea opportunistica, che poteva soltanto aiutare la debole fazione liberale. Il Comitato Centrale
quindi si dissociò dal programma di Parigi; tuttavia esso diede il benvenuto all’idea di un lavoro
coordinato con altri elementi dell’opposizione, purchè il Bund mantenesse inalterata la propria
attività rivoluzionaria. I bundisti erano pronti a “marciare separati, combattere uniti”364.
La necessità di contenere la crescita della fazione liberale in Russia fu un altro punto sul
quale i socialdemocratici si trovarono d’accordo. Il POSDR era più minacciato rispetto al Bund
dallo sviluppo del movimento liberale, poiché i liberali ebrei non avevano un’organizzazione ed
erano estraniati politicamente e culturalmente dalle masse operaie ebraiche, mentre i liberali russi,
reclutati tra i liberi professionisti e gli zemstvo, erano pericolosi concorrenti del socialdemocratici
russi. In ogni caso il potenziale pericolo rappresentato da una fazione liberale era evidente a tutti i
socialdemocratici, i quali si ritrovarono nella paradossale condizione da un lato di apprezzare
l’avvento di una nuova coscienza politica, dall’altro di temerlo.
Dunque, a dispetto delle differenze che affliggevano i bundisti e i loro compagni
socialdemocratici russi, i principi ideologici comuni permisero loro di avere visioni comuni su
importanti questioni. Anche al Congresso di Amsterdam essi votarono insieme contro il
revisionismo. Il banco di prova per la solidarietà reciproca sarebbe arrivato nel 1905. Pur senza
riunificarsi ideologicamente, i due gruppi si ritrovarono insieme semplicemente in quanto
socialdemocratici.

L’alleanza coi socialdemocratici lettoni. Sebbene indubbiamente fu il POSDR a


occupare la maggior parte del tempo e delle energie dei bundisti, questi ultimi mantennero stretti
contatti anche con altri partiti rivoluzionari. Nel 1903 e 1904 i più vicini tra questi partiti furono i
socialdemocratici lettoni. Il Bund e i lettoni avevano lavorato bene insieme, soprattutto a Riga, sin
da prima del Secondo Congresso. In realtà al Secondo Congresso Martov volendo fare un
esempio dei problemi di un partito federato aveva letto una lettera di un socialdemocratico russo di
Riga che lamentava le difficoltà del lavoro congiunto dei socialdemocratici di tre nazionalità (ebrea,
russa e lettone) negli ultimi due anni. Alcuni mesi dopo un ex delegato del Bund al Comitato
Unitario di Riga365 rispose a quelle critiche. Egli ammise che vi erano difficoltà ma, disse, si trattava
di problemi meramente tecnici, che non avevano nulla a che fare con la struttura federale. Per di
più, la lettera letta da Martov sembrava indicare l’esistenza di buone relazioni tra i bundisti e i
socialdemocratici lettoni; quelli contrariati parevano essere i socialdemocratici russi.
Quando i lettoni costituirono un partito socialdemocratico formale nel 1904, il loro
programma fu molto vicino a quello del Bund, rendendo possibile la continuazione della
cooperazione. I lettoni attribuivano molta importanza al lavoro dei partiti nazionali; appoggiavano
l’uguaglianza dei diritti culturali; respingevano i limiti regionali alla loro attività; mantenevano
un’indipendenza organizzativa interna; e a seguito di una richiesta del Comitato Centrale del Bund,

363
Posledniia izvestiia, 6 dicembre 1904
364
Ibidem
365
All’epoca a Riga il Bund e i socialdemocratici lettoni cooperavano in un Comitato Unitario, che lanciò un grande
sciopero nella città allo scoppio della Rivoluzione del 1905 (vedi oltre).

187
riconobbero quest’ultimo come il solo rappresentante del proletariato ebraico, riservando a se
stessi il medesimo ruolo riguardo ai lavoratori lettoni. I due partiti quindi non solo collaborarono sul
campo, ma si sostennero vicendevolmente contro il POSDR. In seguito essi provarono insieme a
unire i ranghi della socialdemocrazia, e nel gennaio 1905 Riga fu sede di un incontro dei partiti
socialdemocratici. I due partiti stamparono volantini comuni e si diedero un comitato unitario; a
conti fatti forse ebbero le relazioni migliori tra tutti i partiti dell’impero fino alla rivoluzione del 1905,
senza dubbio grazie alla volontà di riconoscersi reciprocamente come rappresentanti esclusivi di
un gruppo nazionale.
Rapporti con il PSR. Il Bund nel 1903 e 1904 ebbe solo contatti limitati coi Socialisti
Rivoluzionari. Di fatto l’unico lavoro comune tra i due gruppi fu mettere fine ai pogrom scoppiati in
varie zone dopo Kishinev. Gli SR concordavano sulla necessità di fermare i pogromisti ma non
volevano riconoscere che gli ebrei come tali erano il bersaglio. Nel drammatico periodo della
Pasqua 1904, un corrispondente SR notò che pur non potendo restare con le mani in mano mentre
gli ebrei poveri venivano massacrati, non vi era alcuna giustificazione a proteggere l’intera
comunità ebraica. Sostenendo che i pogromisti non erano altro che lavoratori in crisi, resi pazzi
dalla fame e dalla miseria, che avrebbero trovato forze di autodifesa, polizia e militari schierati
contro di loro, egli si chiese: “E’ possibile che noi socialisti combatteremo contro i nostri fratelli, per
quanto impazziti che siano, fianco a fianco con la polizia e…con la borghesia ebraica armata in
difesa della proprietà?”366. Anche l’Iskra si chiese se la nuova ondata di pogrom fosse
specificamente anti-ebraica, e sminuì gli attacchi alle proprietà ebraiche.
I bundisti replicarono a queste posizioni, accusando gli SR di avere già dimenticato
Kishinev e Gomel. In quelle occasioni forse che i socialisti non avevano ritenuto necessario
battersi contro la polizia? L’affermazione del corrispondente SR, secondo il Bund, mostrava quanto
vuoto di contenuto potesse apparire il radicalismo di questi “cavalieri della rivoluzione”367. Per
quanto riguardava l’Iskra, che si chiedeva come mai la socialdemocrazia difendesse la proprietà
ebraica, i bundisti replicarono con un’altra domanda: “Cosa fareste se iniziassero dei pogrom
contro la proprietà dei cristiani? Li proteggereste oppure no?”. Per il Bund la risposta era no,
dunque la posizione della socialdemocrazia sulla proprietà ebraica logicamente non poteva essere
sostenuta. Ma non era solo questione di logica. La proprietà cristiana era ben difesa dallo stato.
Solo la proprietà ebraica non era tutelata dalla legge. In tali circostanze, essa doveva essere
difesa. Secondo i bundisti gli attacchi alla proprietà ebraica erano pur sempre attacchi ai magri
averi di ebrei poveri ed erano mirati agli individui, ed era necessario sconfiggere l’idea che gli ebrei
potessero essere attaccati impunemente. Gli SR e i socialdemocratici disinformati facevano il
gioco dei sionisti rinforzando il luogo comune dell’indifferenza nei confronti della condizione degli
ebrei.
Rapporti coi partiti polacchi. Di tutte le minoranze nazionali che convivevano con gli
ebrei, il Bund ebbe i contatti più ravvicinati e durevoli con i polacchi. Il PPS rimaneva il gruppo più
importante nel movimento rivoluzionario polacco, con un crescente seguito tra i lavoratori polacchi
a partire dalla sua nascita nel 1892. Un buon numero di intellettuali e lavoratori ebrei
appartenevano a quel partito. Divise su alcune questioni fin dai primi anni, entrambe le
organizzazioni mantennero le rispettive posizioni fino alla fine del secolo. Nel dicembre 1899 il
Terzo Congresso del Bund annunciò la propria intenzione di contrastare il PPS, che cercava di
“indebolire l’indipendenza e l’esistenza” del Bund. Esso stabilì anche di aprire la discussione sulla
questione dell’indipendenza polacca, una questione di grande importanza per il PPS, in relazione
all’approfondimento della questione nazionale per ciò che riguardava gli ebrei. I lavoratori ebrei
stavano entrando sempre più nei piani del PPS, come evidenziato dalla decisione del suo Quarto
Congresso, nel dicembre 1898, di pubblicare un periodico in yiddish.
La situazione tra i due partiti cambiò poco tra il Terzo e il Quarto Congresso del Bund, in
quanto quest’ultima assise non fece che ribadire la risoluzione sul PPS approvata nel 1899. Ma in
generale la posizione del Quarto Congresso sulla questione nazionale preoccupò i polacchi. Come
si ricorderà, i bundisti rifiutarono le soluzioni territoriali, non considerando il cambiamento delle
frontiere un obiettivo socialdemocratico, e prospettarono per il futuro una “federazione di
nazionalità” – di fatto né respingendo né sostenendo l’indipendenza polacca. Questa soluzione fu

366
Russia rivoluzionaria, 5 maggio 1904
367
Vestnik Bunda, giugno 1904

188
attaccata dal PPS, che la interpretò come la negazione dell’indipendenza polacca, una preferenza
per i russi e una mancanza di considerazione per i polacchi.
Il significativo numero di lavoratori ebrei in Polonia (gli ebrei rappresentavano circa il 15%
della popolazione totale e una percentuale ancora maggiore nelle città) e il successo del Bund
fecero diventare la questione ebraica uno dei temi principali al Sesto Congresso del PPS, nel
giugno 1902. Per migliorare la posizione del PPS tra i lavoratori ebrei, il comitato autorizzò la
creazione di uno speciale comitato per gli affari ebraici sotto la guida di Felix Zaks. Zaks, un
polacco che conosceva bene l’yiddish, aumentò la disponibilità di letteratura yiddish e ne migliorò
la qualità. Ma a parte questo, il Sesto Congresso si accontentò di riaffermare la tradizionale
posizione del partito: le minoranze in Polonia dovevano unirsi per combattere sotto la bandiera
comune dell’indipendenza polacca e per una repubblica democratica, in cui tutte avrebbero avuto
pieni diritti in quanto cittadini.
Alla fine del 1902 nessuna delle due parti aveva cambiato molto posizione. Per i bundisti
l’obiettivo organizzativo principale del PPS, l’unificazione dei rivoluzionari polacchi sotto il proprio
controllo, era inaccettabile; e il suo obiettivo politico, l’indipendenza polacca, una questione aperta.
L’obiettivo politico dichiarato dal Bund continuava ad essere una rivoluzione proletaria
internazionale, e quell’obiettivo determinava la sua linea di condotta verso il PPS. Ciononostante,
lo spostamento del Bund da una posizione universalista, per l’uguaglianza dei diritti civili, all’enfasi
sul proletariato nazionale condizionò il suo atteggiamento verso il partito polacco, come si vede
dalla sua analisi della risoluzione del Sesto Congresso del PPS. I bundisti affermarono che il PPS
non aveva imparato nulla dai suoi errori con il proletariato ebraico. Esso aveva dimenticato che
“solo il Bund conduce la lotta di liberazione del proletariato ebraico”368, e che i lavoratori ebrei
avevano diritto di formulare le proprie rivendicazioni invece che aspirare agli obiettivi indicati dal
PPS per il proletariato polacco e lituano. Inoltre, diceva il Bund, poiché i lavoratori ebrei erano
oppressi in tutto l’Impero russo, e non solo in Polonia, dovevano unirsi indipendentemente per
lavorare insieme ai partiti dei popoli tra i quali vivevano. Se non lo avessero fatto sarebbero rimasti
frammentati e spinti a seguire i partiti non ebrei, uno sviluppo estremamente negativo che non
poteva portare a reali diritti per gli ebrei.
Questa posizione fu frutto della sintesi tra il tradizionale internazionalismo del Bund e le sue
nuove inclinazioni nazionali. Alla fine del 1902 i bundisti attaccarono quello che consideravano il
nazionalismo del PPS sottolineando che in alcune città la cosiddetta popolazione indigena era in
minoranza rispetto alla popolazione ebraica. Sebbene all’epoca l’orientamento nazionale del Bund
fosse ben noto, i bundisti fecero affidamento alla propria posizione internazionalista contro le
aspirazioni nazionali dei polacchi. In più, il recente pogrom di Czestochowa aveva ravvivato i
sentimenti di ostilità latente tra gli ebrei e i cristiani, inducendo Di Arbeter Shitme ad affermare con
convinzione: “Quando noi ebrei dobbiamo far fronte agli assalti del governo…la consideriamo una
cosa normale…(a Czestochowa invece) siamo stati insultati e assaliti da persone…impoverite e
senza diritti come noi. Ciò può ingannare molti di noi lavoratori, nascondere le vere ragioni di
questi fatti, e suscitare sentimenti ostili”369.
Quando il PPS rispose ai bundisti, prese atto del rafforzamento del loro orientamento
nazionale. Zaks giudicò quella tendenza come una reazione alla posizione nazionale del PPS, e
un segno della risposta insoddisfacente dei socialdemocratici alla questione nazionale, anche se i
bundisti non avevano ancora riconosciuto l’idea dell’indipendenza polacca. Lo studio della
questione nazionale sui giornali bundisti all’estero era ulteriore prova della direzione in cui si
muovevano. Nel contempo, affermò Zaks, l’indecisione del Bund era ingiustificabile. Perché esso
non si pronunciava su una questione importante come l’indipendenza polacca? La sua perenne
esitazione dimostrava un atteggiamento negativo. In realtà tutte le sue condotte erano negative;
esso favoriva altri partiti polacchi in vece del PPS, e ignorava la cultura e le condizioni del popolo
in mezzo al quale operava. Per quella ragione i bundisti mostravano più simpatia per i finnici che
non per i polacchi o i lituani. Zaks si soffermò a lungo sul presunto ingiusto trattamento verso i
polacchi da parte del Bund.
Le critiche del PPS sollevarono questioni delicate. L’indecisione del Bund era difficile da
spiegare. Lenin per esempio giudicò la posizione pilatesca del Quarto Congresso sulle frontiere
polacche come segno della scelta di evitare attriti, anziché una posizione di principio. Il PPS stesso

368
DAS, ottobre 1902
369
DAS, settembre 1902

189
affermò (forse a ragione) che una delle motivazioni del Bund fosse che “La maggioranza degli
ebrei lituani in generale non ama i polacchi. Il ricordo dei vecchi tempi, quando ogni nobile
polacco…poteva opprimere e umiliare gli ebrei, vive ancora tra loro”370. Lo storico antagonismo tra
le due culture non era facilmente superabile. I bundisti avrebbero trovato più facile accordarsi coi
lontani finlandesi che con i loro vicini, sebbene i giornali del Bund contenessero svariate notizie
sulle attività polacche. Di certo il tono roboante del PPS e l’insistenza sulle proprie rivendicazioni,
insieme alla mancanza di riguardo per il Bund, non aiutavano certo a rimarginare le vecchie ferite.
In ogni caso i bundisti ideologicamente ebbero buon gioco nell’attaccare il PPS sul terreno,
caro ai socialdemocratici, dell’opposizione al nazionalismo o al “social patriottismo”. All’accusa del
PPS di essere discriminato dal Bund perché quest’ultimo era contro una repubblica democratica
polacca mentre ne sosteneva una russa, i bundisti replicarono affermando che la loro era una
posizione internazionalista; i socialdemocratici russi si consideravano internazionalisti, nonostante
l’enfasi “grande russa” dell’epoca. Una repubblica democratica russa voleva dire una lotta
vittoriosa contro l’autocrazia, che riguardava tutti i popoli dell’Impero. Una repubblica democratica
polacca riguardava soltanto i popoli della Polonia storica e adombrava una lotta contro i russi oltre
che contro l’autocrazia.
Sebbene nel 1903 – 04 non vi furono cambiamenti nelle posizioni dei due partiti, la forza
del Bund e il relativo insuccesso del PPS nel coinvolgere i lavoratori ebrei, oltre all’incendiarsi della
situazione politica in Russia, indussero alcuni dirigenti del PPS a rivedere le proprie posizioni verso
il Bund. Pilsudski giudicò le concessioni di Zaks al Bund come troppo permissive: ammettendo
l’alto livello di organizzazione del Bund, suggerì che la reazione del PPS doveva essere aumentare
il livello della propria attività. Nel novembre 1903 egli richiamò il PPS a migliorare le relazioni coi
lavoratori ebrei attraverso la lotta all’antisemitismo.
Lo scoppio della guerra russo-giapponese spinse il PPS, come il Bund, a cercare il modo di
irrobustire le forze rivoluzionarie nell’Impero attraverso la cooperazione. Come abbiamo visto, i
bundisti rifiutarono di partecipare a un incontro di tutti i partiti nazionali promosso dal PPS,
invitando invece il PPS a incontrare le organizzazioni socialdemocratiche per discutere di lavoro
congiunto. Quest’ultimo a sua volta rifiutò di partecipare a causa dei conflitti interni al movimento
rivoluzionario polacco.
Il fatto è che in Polonia vi erano altri partiti rivoluzionari ideologicamente più vicini al Bund
rispetto al PPS. Uno era il partito Proletariat, formatosi nel 1900 (il terzo a portare quel nome).
Come il PPS, esso vedeva l’indipendenza polacca come un obiettivo valido, ma non concordava
col PPS sulla possibilità di ottenere l’indipendenza nell’immediato futuro. Di conseguenza,
Proletariat accolse gli obiettivi minimi dei socialdemocratici (un’assemblea costituente e
provvedimenti per un’ampia autonomia) , che permettevano di lavorare sia con le organizzazioni
socialdemocratiche russe che con quelle nazionali, incluso il Bund. A differenza del PPS,
Proletariat riconobbe il Bund come un’organizzazione indipendente. Ma a confronto con il PPS,
esso contava poche forze: la sua maggiore influenza fu limitata a Varsavia, mentre a poco a poco
guadagnò un seguito tra gli intellettuali polacchi, per alcuni anni.
I bundisti diedero il benvenuto al nuovo partito, sebbene non approvassero la sua
accettazione del terrorismo come tattica. Ma i due gruppi iniziarono ad allontanarsi dopo il
Secondo Congresso del POSDR. Alla una conferenza nell’ottobre 1903 il partito polacco adottò
alcune risoluzioni che sorpresero il Bund. Pur accettando le posizioni del Bund su programma e
organizzazione, esse propendevano per l’opinione dell’Iskra sulla questione nazionale, che il Bund
riteneva assimilatoria. Ciononostante, le iniziative comuni intraprese in quel periodo furono più
significative rispetto a quelle disparità negli obiettivi futuri, non molto importanti dal punto di vista
pratico del momento.
Quando i bundisti e i lettoni iniziarono i tentativi di unire le forze rivoluzionarie nella
primavera del 1904, Proletariat fu invitato a partecipare. In seguito durante l’anno il partito polacco
discusse l’eventualità di entrare nel POSDR con i russi. Plechanov riportò al Consiglio del POSDR
il proprio colloquio con Ludwig Kulczycki a tal proposito. Tuttavia non se ne fece nulla. Quando il
Bund e i lettoni riproposero nuovamente un incontro congiunto alla fine del 1904, i conflitti nel
movimento rivoluzionario polacco furono un grave impedimento. Il PPS pose come condizione per
partecipare l’assenza di rappresentanti di Proletariat. Alla fine né il PPS né Proletariat
parteciparono all’incontro di Riga nel gennaio 1905.

370
F. Zaks, A klarer entfer, 1904

190
Le relazioni del Bund coi socialdemocratici polacchi, stretti alleati per alcuni anni, iniziarono
a peggiorare dopo il 1903. Il Partito Social Democratico del Regno di Polonia (Socjal Demokracja
Kroletswa Polskiego, SDKP) si era staccato dal PPS per diventare un’entità indipendente nel 1893,
e aveva tenuto il suo primo congresso l’anno successivo. Il nuovo partito adottò il programma
minimo dei socialisti in Russia, ovvero una costituzione liberale con autonomia per la Polonia, e
spinse per una stretta collaborazione con il movimento russo. Esso rifiutò l’obiettivo
dell’indipendenza della Polonia, il che lo portò ad avere contrasti con il PPS.
La maggior parte dei leader ideologici del SDKP vivevano all’estero, e fu soprattutto con
questi esuli che il Bund ebbe contatti negli anni ’90 (Leo Jogiches fu il principale tramite tra le due
fazioni). Vi furono scarse opportunità per un’attività coordinata entro l’Impero, poiché a livello
locale in quel periodo i socialdemocratici polacchi attivi erano pochi. Alla fine del 1899 alcuni
socialdemocratici lituani, guidati da Felix Dzerzinski, vicino al Bund a quell’epoca, si unirono al
SDKP, che mutò il proprio nome diventando il SDKPiL (“iL” stava per “e Lituania”). Pur non
essendo numerosi, i socialdemocratici polacchi e lituani assunsero un ruolo importante nel
movimento rivoluzionario dell’Impero, in particolare i loro intellettuali. Il Quarto Congresso del Bund
riconobbe il SDKPiL come un partito socialdemocratico ufficiale, con il quale il Bund poteva
federarsi. Invece nei confronti di Proletariat semplicemente fu fatta una dichiarazione di amicizia,
come poteva essere per qualunque altro partito rivoluzionario.
Alla fine del secolo i socialdemocratici polacchi, specialmente in Russia, avevano posizioni
molto simili a quelle dei bundisti. All’inizio del 1901 essi appoggiarono la piena autodeterminazione
nazionale nel quadro di una costituzione democratica. Inoltre accettarono l’idea di una struttura
federale del POSDR. Al loro Terzo Congresso, nell’estate di quell’anno, essi ridiscussero queste
questioni e approvarono ufficialmente l’idea di una federazione con le organizzazioni del
proletariato russo, ebraico e lituano. Queste iniziative provocarono proteste di alcuni dissidenti, che
denunciarono interferenze indebite del Bund nell’organizzazione.
Di orientamento fortemente internazionalista, i dirigenti SDKPiL iniziarono ad assumere un
atteggiamento più negativo verso il Bund nel 1903. In ciò furono molto influenzati dagli iskristi, che
allora stavano preparando il Secondo Congresso del POSDR. Gli iskristi all’inizio del 1903
sondarono la possibilità della partecipazione dei socialdemocratici polacchi all’imminente
congresso. Essi speravano di usare il partito polacco per sconfiggere le posizioni del Bund su
nazionalità e organizzazione, dimostrando che altre organizzazioni socialdemocratiche nazionali
non erano d’accordo con esso. I dirigenti polacchi all’estero mostrarono crescente ostilità verso il
Bund nel prosieguo dell’anno. Liber riportò al Centro Estero un colloquio avuto all’inizio del 1903
con Dzerzinski, nel quale quest’ultimo aveva detto che il SDKPiL era fortemente contrario al Bund.
Se fosse stato invitato al congresso, il partito probabilmente si sarebbe opposto al modello
federale, disse.
Il Quarto Congresso del SDKPiL, che si riunì a Berlino nel luglio 1903 per prendere una
decisione sull’imminente congresso del POSDR, rivide le proprie precedenti posizioni. Esprimendo
il proprio auspicio per un’organizzazione socialdemocratica comune in tutto lo stato russo, i
delegati dichiararono che il problema della struttura organizzativa era secondario, e ancora aperto.
Ma, una volta stabilito ciò, essi posero delle condizioni per la continuazione dell’esistenza del
proprio partito di fatto analoghe a quelle del Bund, pur evitando attentamente di usare la parola
federazione nelle loro risoluzioni. Il SDKPiL chiese piena indipendenza nell’agitazione e nella
propaganda in Polonia e Lituania, e propri congressi, propri comitati, un proprio nome e la propria
stampa. Esso chiese anche il diritto ad assorbire ogni altra organizzazione socialista polacca che
volesse entrare nel POSDR. Queste decisioni furono presentate come una sine qua non per
entrare nel POSDR.
Al Secondo Congresso del POSDR i bundisti, consapevoli che il SDKPiL sarebbe stato
usato come strumento contro di loro, cercarono di ostacolarne l’ammissione presentando una
mozione che chiedeva al partito polacco di specificare la propria relazione con il POSDR
all’indomani delle decisioni di Berlino. La mozione fu respinta a larga maggioranza (35 contro 8,
con 5 astensioni). Il Secondo Congresso quindi approvò (con 37 voti contro 6, e 3 astenuti) una
mozione della propria commissione che poneva i polacchi nello status di ospiti, con diritto di parola
ma non di voto.
La presenza dei delegati del SDKPiL non si rivelò né importante né dannosa per il Bund. Le
condizioni polacche vennero presentate al congresso e rinviate a una commissione per la

191
discussione, con l’obiezione dei bundisti che avrebbero voluto discuterle apertamente. I bundisti
avevano tutto da guadagnare da un dibattito aperto, e gli iskristi da perdere.
Alla fine non fu la questione organizzativa ma la questione nazionale che alienò i polacchi
dal POSDR. Il settimo punto della bozza di programma del POSDR, che chiedeva
l’autodeterminazione per tutte le nazionalità dell’Impero, era direttamente in contrasto con il rifiuto
da parte dei polacchi dell’indipendenza come obiettivo immediato, una posizione adottata al
Quarto Congresso nella speranza di indebolire il PPS. Il SDKPiL aveva adottato una formula
sostitutiva che avrebbe reso impossibile una interpretazione “nazionalistica”. Lenin aveva
pubblicato un articolo nel quale ammetteva la possibilità di una Polonia indipendente in un futuro
non precisato. Rosa Luxemburg inviò per lettera una dichiarazione in cui chiedeva che il punto
sull’autodeterminazione fosse sostituito con la richiesta di “istituzioni che garantiscano piena
autonomia di sviluppo culturale per tutte le nazionalità nello stato”371.
La formulazione polacca della questione nazionale fu molto apprezzata dai bundisti, in
particolare da Medem. Egli chiese l’appoggio di Adolf Warszawski, uno dei due delegati polacchi,
per una mozione emendata che combinasse “autodeterminazione” e “istituzioni”, ma Warszawski
rifiutò. Il SDKPiL non avrebbe fatto compromessi, e la delegazione ripartì. La mozione emendata di
Medem in seguito fu respinta dal congresso.
Con la sua condotta il SDKPiL rivelò il proprio scopo al congresso. Esso sperava di usare
quell’assise come arma contro il PPS, e non di servire come arma del POSDR contro il Bund. I
polacchi non presero parte alla discussione sul Bund. Tuttavia le decisioni del loro Quarto
Congresso, che avevano segnato un distacco dalle precedenti risoluzioni sulla federazione, furono
causa di un deterioramento delle relazioni tra i due gruppi, dannoso per entrambi.
Le relazioni rimasero tese dopo il Secondo Congresso del POSDR, nonostante l’affinità su
molte posizioni. La pubblicazione dei resoconti su quanto accaduto al Secondo Congresso fece
soltanto crescere i contrasti. Dal resoconto di Warszawski sulla stampa del SDKPiL, i bundisti
appresero del forte risentimento dei polacchi per il tentativo del Bund di bloccare il loro accesso al
congresso e la loro adesione al POSDR. I bundisti replicarono sottolineando le manovre tattiche
dell’Iskra, che aveva tentato di inserire nel congresso solo il SDKPiL, mentre essi avevano provato
senza successo a far partecipare altri partiti socialdemocratici nazionali. Più doloroso per i bundisti
fu forse il fatto che secondo Warszawski il Bund sopravvalutava il proprio ruolo nella “economia
generale delle forze rivoluzionarie”372. Questa critica secondo i bundisti era in linea con quelle dei
russi, che tendevano a trattare in maniera speciale il SDKPiL perché esso operava in un’area
geograficamente separata dalla loro, e non attirava forze dal movimento russo come invece faceva
il Bund.
Come ci si può attendere, i gruppi locali del SDKPiL non assunsero un atteggiamento così
critico come i loro vertici. La cooperazione tra i socialdemocratici polacchi e il Bund non cessò
dopo il Secondo Congresso del POSDR. Il Primo Maggio del 1904 vide le bandiere del Bund, del
SDKPiL e di Proletariat sventolare insieme a Varsavia. Ma è chiaro che non si trattava di una
cooperazione semplice.
Il Bund incluse il SDKPiL nel tentativo di unire le forze rivoluzionarie nel maggio 1904. I
primi contatti avvennero nel luglio di quell’anno. Infine, a dicembre il SDKPiL rispose alla nuova
iniziativa congiunta di bundisti e lettoni. Esso si oppose al coinvolgimento del PPS, a meno che
quest’ultimo non avesse lasciato il Blocco di Parigi. All’ultimo momento il SDKPiL rifiutò
affermando di dubitare che si potesse ottenere qualcosa di utile da gruppi con obiettivi così
antitetici e visioni tattiche così diverse, e come il POSDR si mise alla finestra.

Nonostante gli svariati contatti del Bund con i partiti rivoluzionari non ebraici dopo il
Secondo Congresso del POSDR, la cooperazione complessivamente fu ridotta. Il fatto che le
dispute ideologiche precludessero l’iniziativa pratica congiunta è sintomo di una debolezza di
fondo dell’intero movimento, a dispetto della sua vitalità, ed è indice dell’isolamento del Bund
rispetto ai partiti non ebraici. Per quanto riguarda il proletariato ebraico, solo il PPS e il POSDR si
impegnarono concretamente per prendere piede tra i lavoratori ebrei, con risultati scarsi visto che il
Bund continuò a crescere.

371
S. Krizanovsky, Polskaja Sotsialdemokratiia i II sezd RSDRP, 1933
372
In Vestnik Bunda, giugno 1904

192
20. LA RIVOLUZIONE DEL 1905

L’ondata rivoluzionaria di gennaio. Domenica 22 gennaio 1905 i lavoratori delle officine


Putilov di Pietrogrado, guidati dal prete ortodosso Georgij Gapon, marciarono verso il Palazzo
d’Inverno dello Zar per presentare una petizione con le loro rivendicazioni. Invece di essere
ricevuti, furono accolti dal fuoco dei militari di guardia al palazzo. La Domenica di Sangue diede il
via a un’ondata di scioperi e proteste che segnarono la prima fase della Rivoluzione del 1905.
Diffondendosi in tutto il paese, le agitazioni crebbero sempre di più e alla fine portarono a un
rivolgimento sociale e politico che incrinò le fondamenta dell’autocrazia russa.
La crisi spinse i rivoluzionari a rivedere le proprie posizioni. Essi dovettero soppesare la
propria forza e i propri legami con le ribollenti forze sociali che speravano di guidare e controllare;
e valutare le possibilità di raggiungere i propri obiettivi e i rischi di fallire. Essi accolsero le nuove
sfide con grande vigore ed entusiasmo. Nulla da meravigliarsi quindi se quando la Rivoluzione finì
e i loro obiettivi non furono raggiunti, molti di essi rimasero inattivi per anni, o furono
completamente annichiliti.
Le notizie sui fatti di Pietrogrado si diffusero rapidamente. La discesa di migliaia di
lavoratori nelle strade della capitale non aveva precedenti nella storia del movimento rivoluzionario
russo. I rivoluzionari ne furono trascinati, certi che un cataclisma fosse imminente, che il momento
per il quale avevano vissuto e sognato a lungo fosse a portata di mano.
Il clima tra i dirigenti del Bund era elettrico. Abramovich, che aveva lasciato Pietrogrado
pochi giorni prima della Domenica di Sangue per incontrare il Comitato Centrale a Dvinsk, aveva
colà descritto i preparativi per la manifestazione della domenica, che erano avvenuti alla luce del
sole. Il Comitato lo incaricò di produrre subito un volantino. Abramovich adottò un tono adeguato
alla drammaticità del momento. Dopo un caloroso saluto (“Compagni! Nelle strade di Pietrogrado
sono nate le prime barricate. 300.000 lavoratori sono scesi in piazza per chiedere la libertà, per
combattere per la libertà, e per morire per la libertà”), continuò:

Abbiamo combattuto per molti anni in nome del socialismo, e abbiamo combattuto per molti
anni contro il potere del capitale, e per molti anni ci siamo impegnati nella lotta contro
l’autocrazia, che ha risposto alle nostre richieste con frustate, pallottole, pogrom e massacri.
Abbiamo nutrito il suolo di Russia con il nostro sangue, e ora la libertà sta germogliando da quel
suolo.
Il gran giorno è arrivato! La rivoluzione è arrivata! E’ iniziata a Pietrogrado e metterà a ferro e
fuoco tutto il paese. O otterremo la libertà oppure moriremo!...Compagni di tutte le città, andate
in battaglia! Lasciate il lavoro nelle botteghe, nelle fabbriche…Che ognuno scenda in strada e
dispieghi la bandiera rossa!
Attaccate i negozi che vendono armi! Che ognuno si procuri una pistola, un revolver, una
spada, un’ascia, un coltello! Armatevi! Se siete attaccati dai soldati dello Zar dovete essere in
grado di difendervi, come soldati della rivoluzione.
Ricordate che vivere in prigione è peggio che morire in combattimento!
Che ogni strada diventi un campo di battaglia!...Col sangue dei nostri cuori conquistiamo i
nostri diritti di esseri umani!373

Il Centro Estero, cercando di esprimere l’euforia del momento, pubblicò su Posledniia


Izvestiia parte di un’emozionante lettera di una giovane lavoratrice di Dvinsk: “Non so da dove
iniziare…Oh se potessi incontrarti…Potrei allora morire in pace – Morirei con la consapevolezza
che ci siamo incontrati nel momento più importante della nostra vita…Ma questo è impossibile…Se
sopravviverò, così sia; altrimenti – addio, buona fortuna!”374. Lo spirito era quella di una crociata
che si preparava alla guerra santa. Ogni testo esprimeva l’emozione per il supremo sforzo nella
lotta rivoluzionaria e il desiderio di offrirsi in un sacrificio finale per la vittoria.
I comitati locali del Bund, non meno entusiasti, cercarono di trarre maggior frutto possibile
dagli eventi di Pietrogrado. Nel giro di pochi giorni, o da soli o con altri partiti rivoluzionari,

373
Tsum Kamf! Del volantino furono stampate 115.000 copie in yiddish e 100.000 in russo.
374
Posledniia Izvestiia, 1 febbraio 1905

193
organizzarono incontri, dimostrazioni e scioperi, e stamparono volantini che incitavano alla
protesta generale.
Come sempre, la capacità di mobilitare i lavoratori variò molto da comitato a comitato. Il
tentativo più drammatico avvenne a Riga, dove quello che iniziò come uno sciopero generale,
annunciato il 24 gennaio dal Bund e da altre organizzazioni rivoluzionarie, sfociò in uno
spargimento di sangue. Il 25 gennaio, il primo giorno di sciopero, circa 20.000 dimostranti
risposero alla chiamata del Comitato Unitario. Il giorno successivo il loro numero crebbe a circa 50
– 60.000, inclusi 7-8.000 ebrei, benché Riga fosse fuori dalla Zona. Una speciale commissione per
lo sciopero fu formata da membri del partito lettone e del Bund, alla quale il 28 gennaio si unì
l’organizzazione del POSDR.
Il primo obiettivo dello sciopero fu di bloccare tutte le attività. I lavoratori si spostarono di
fabbrica in fabbrica per verificare che ogni reparto fosse fermo. Ma poi andarono oltre. Furono fatti
dei tentativi di procurarsi armi – vi furono anche voci di un attacco a una stazione di poliza – e la
violenza aumentò. Sebbene i dati della polizia e del Bund sui morti e i feriti non concordino,
entrambi indicano la fortissima determinazione degli scioperanti. Secondo il resoconto del Bund al
secondo giorno di sciopero, il 26 gennaio, le truppe governative uccisero più di 30 lavoratori e ne
ferirono altri 70375.
I funzionari locali furono fortemente allarmati. Ma lo sciopero non fu il segnale di
un’insurrezione generale. Il 2 febbraio la commissione per lo sciopero di Riga decise di terminare
l’agitazione politica per concentrarsi sugli obiettivi economici, chiedendo la giornata di otto ore,
paghe più alte e il pagamento delle giornate perse per lo sciopero. I bundisti furono soddisfatti
degli esiti di quella decisione, in quanto molti padroni accolsero in buona parte le richieste. Anche i
funzionari governativi spinsero affinchè gli imprenditori facessero concessioni.
Gli eventi nella cittadina di Krinki, nella provincia di Grodno, seguirono un corso differente. Là
i dirigenti del Bund formarono un comitato con i socialdemocratici polacchi, che decise di fermare
le attività lavorative e di attaccare gli uffici governativi. Il 30 gennaio il comitato federale promosse
un’assemblea di 1.500 lavoratori, un numero considerevole in una città così piccola. Muovendo
verso il centro della città con i gruppi armati alla testa, i dimostranti di impadronirono dell’ufficio
postale, tagliarono tutte le comunicazioni con il mondo esterno, e distrussero la stazione di polizia
e i suoi archivi. Quindi si assicurarono armi e vettovaglie, lasciando la città, per dirla coi bundisti,
“ripulita”. La polizia si dileguò immediatamente. Sembra che i bundisti ebbero degli scrupoli a
prendere il denaro dall’ufficio postale, ma a quanto pare gli anarchici locali non ebbero tali dubbi e
fecero man bassa. Alla fine anche i bundisti si fecero sotto e presero 80 rubli.
Il giorno dopo i soldati ritornarono, ripresero la città senza combattere e arrestarono alcune
centinaia di persone. Il governatore della provincia, A.V. Lastochkin, riconobbe la gravità della
situazione a Krinki, riportando che si trattava dell’unico disordine di spicco nell’intera provincia.
Diversamente da Riga, ove l’onere della prosecuzione dello sciopero ricadde sulle spalle dei
lettoni, qui fu il Bund a svolgere il ruolo principale. Se gli attivisti di Krinki, o per la sensazione di
essere lontani dal cuore degli eventi o semplicemente consci dell’inutilità di affrontare le truppe
governative, rinunciarono senza combattere alle conquiste del giorno precedente, ciononostante
essi avevano mostrato una nuova volontà di andare oltre una semplice manifestazione, anche se il
tempo di una battaglia fino alla morte non era ancora arrivato.
Gli avvenimenti a Riga e Krinki furono grandi successi se confrontati con altri casi. A
Varsavia, storico centro rivoluzionario, i vari gruppi non furono in grado di mobilitare le proprie
forze in modo analogo. Le notizie sulla Domenica di Sangue laggiù arrivarono il 23 gennaio. Il 25
gennaio era stato distribuito un volantino, e il giorno successivo le organizzazioni rivoluzionarie
discussero di unire le forze. Ma i socialdemocratici polacchi non vollero collaborare con il PPS, la
cui appartenenza al Blocco di Parigi aveva ulteriormente esacerbato le relazioni tra i due gruppi.
Così, malgrado il momento fosse molto importante dal punto di vista rivoluzionario, la
cooperazione fu limitata ai socialdemocratici di Varsavia; e la commissione speciale formata dal
Bund e dal SDKPiL non fece nulla.
Il dicembre 1904 era stato un mese di crisi a Varsavia, cosicchè il 25 gennaio i lavoratori
ebrei erano in agitazione. Il Bund, desideroso di mantenere il controllo su di loro, decise
rapidamente di indire uno sciopero generale. Ma la commissione non riuscì a mettersi d’accordo

375
Secondo i dati delle autorità i dimostranti morti furono 22 e i feriti 60, di cui 20 mortalmente. La polizia ebbe 8 feriti,
di cui 2 mortalmente.

194
su quando convocare lo sciopero, e si limitò a promuovere la distribuzione di un volantino. I
bundisti percepirono la propria partecipazione come inutile, e i loro rappresentanti se ne andarono.
Ciononostante le varie organizzazioni, incluso il PPS, rimasero al corrente dei piani di ciascuna.
Alla fine sciopero iniziò il 27, un venerdi. Come d’abitudine, gruppi di lavoratori girarono di bottega
in bottega, chiudendo quelle che ancora lavoravano. La domenica, si sperava, sarebbe stato il più
grande giorno di “rivolta”. Tutte le organizzazioni concordarono di tenere una dimostrazione. Ma la
presenza di un enorme numero di soldati, oltre alla polizia, rese impossibili i grandi
assembramenti. I lavoratori non riuscirono a costruire barricate e la maggior parte scesero in
piazza senza una guida. I bundisti convocarono adunate di 2-300 lavoratori, ma anche queste
vennero disperse dalle truppe. Pochi lavoratori erano in armi, e chi cercava di procurarsene ebbe
scarso successo.
La frustrazione del Comitato di Varsavia del Bund per la mancata riuscita del giorno della
“rivolta” traspare chiaramente nelle parole del resoconto che esso diffuse il giorno successivo:
“Che fare? Tutto il materiale per compiere grandi atti rivoluzionari è presente; le masse ci sono,
pronte a compiere i più grandi sacrifici, il morale c’è, la coscienza pure. E ancora non si riesce a far
nulla”376. Nei giorni seguenti, sebbene il morale dei lavoratori restasse alto, la situazione iniziò a
scemare. Il comitato non aveva nulla di nuovo da segnalare. Le autorità, dal canto loro, attribuirono
grande importanza al corso degli eventi a Varsavia, indicando il fallimento delle agitazioni come
dovuto alla propria preparazione.
Bilancio della prima fase della Rivoluzione. La prima fiammata della rivoluzione durò solo
poche settimane. Secondo il resoconto di 35 organizzazioni del Bund su Di Arbeter Shtime, tutti i
principali scioperi generali convocati a seguito della Domenica di Sangue erano finiti o stavano
finendo entro i primi giorni di febbraio. Allo stesso tempo, fu evidente a tutti che la crisi non era
terminata, poiché nuovi scioperi stavano iniziando.
Non è chiaro che cosa il Bund si aspettasse esattamente dagli avvenimenti di gennaio. Il
primo volantino del Comitato Centrale suggerisce che esso ritenne imminente una battaglia finale.
Nel testo i dirigenti del Bund chiesero una repubblica democratica con un’assemblea costituente e
suffragio universale, diritti civili e nazionali, giornata lavorativa di otto ore, fine della guerra con il
Giappone, e liberazione di tutti i prigionieri politici e religiosi. Ma molte organizzazioni locali non
vollero (e non poterono) interpretare il volantino come istruzioni per l’inizio di un’insurrezione
decisiva. Il Comitato di Zhitomir, per esempio, osservò nel proprio report che il Comitato Centrale
aveva ordinato “uno sciopero generale allo scopo di protestare per i fatti di Pietrogrado”, ovvero
uno sciopero politico, semplicemente per mostrare l’indignazione delle masse. L’organizzazione a
Krinki probabilmente interpretò le istruzioni del Comitato Centrale in maniera molto simile, anche
se i dimostranti andarono oltre e occuparono gli edifici pubblici. Nonostante la roboante chiamata
alle armi del volantino, le richieste formulate erano più simili a una reazione immediata che a un
deliberato piano insurrezionale. Nessuno sapeva come si sarebbero sviluppati gli eventi dopo il 22
gennaio, e il Bund con tutta la sua buona volontà e organizzazione difficilmente poteva pensare di
guidare da solo un’insurrezione.
La condotta del Bund durante tutto l’anno 1905 deve essere giudicata nel contesto della
regione geografica in cui esso operava. Le alterne fortune dei comitati locali naturalmente furono
legate alle risorse rivoluzionarie a disposizione. Le avventure suicide non erano il metodo del
Bund, e il conflitto rivoluzionario nel 1905 fu basato largamente su risorse locali, anche se gli
obiettivi erano di respiro nazionale.
L’azione rivoluzionaria nelle province occidentali della Russia, la regione del Bund, fu bene
organizzata ed efficiente. I rivoluzionari polacchi, lettoni ed ebrei non rimasero dietro ai russi nel
loro fervore e determinazione. Più di 400.000 lavoratori scioperarono in Russia nel mese di
gennaio; di questi, la provincia polacca di Petrokow (e della sua principale città, Lodz), contribuì
con circa 100.000, Varsavia con più di 47.000 e la Lettonia con più di 43.000. Nella provincia di
Petrokow si fermarono circa 650 aziende, a Varsavia 417, in Lettonia circa 275 (la maggior parte a
Riga). A Mosca, per contro, furono bloccate solo 134 fabbriche.
Sebbene Pietrogrado fu senza dubbio il punto di partenza della Rivoluzione, i suoi lavoratori
e dirigenti furono nettamente meno ribelli di quelli all’ovest. Vladimir Kokovtsov, il ministro delle
Finanze, riassunse la situazione per lo Zar una settimana dopo la Domenica di Sangue. I lavoratori
di Pietrogrado si stavano calmando, notò; e a Mosca gli scioperi non erano né particolarmente

376
Riportato in un supplemento a DAS, marzo 1905

195
estesi né intensi. Purtroppo, affermava, “la situazione nelle regioni occidentali dell’Impero appare
ben più seria, in particolare sul Baltico e nella regione occidentale della Vistola”. La situazione colà
era caratterizzata da una resistenza armata. Kokovtsov si riferiva in particolare agli scioperi di Lodz
e Varsavia, risultato secondo lui “di una propaganda social rivoluzionaria altamente sviluppata”377.
All’epoca di quel rapporto (29 gennaio) egli non vedeva segni di abbattimento nel morale dei
lavoratori laggiù. A proposito della leadership socialdemocratica nell’Impero, il report del Bund
sulla risposta immediata al 22 gennaio puntualizzò: “Le province si distinguono per coscienza e
disciplina, mostrandosì sotto questo aspetto molto più avanti delle grandi città. Nelle province il
ruolo più importante nel movimento al momento è svolto dai territori di confine, specialmente
all’ovest, dove le masse prestano ascolto agli appelli della socialdemocrazia”378. Nel centro della
Russia, affermò il Bund, sembrava esservi una preponderanza o di organizzazioni legali o di un
movimento senza guida. Perché era stato Padre Gapon a guidare i lavoratori di Pietrogrado e a
scrivere la loro petizione allo Zar? Dov’erano le organizzazioni di Pietrogrado, menscevica o
bolscevica?
I bundisti furono soddisfatti per il livello della propria attività nel gennaio in rapporto a quella
dei russi. Essi affermarono che i lavoratori ebrei avevano mostrato una buona educazione
rivoluzionaria e che erano andati così lontano da meritare riconoscimento come movimento politico
indipendente – che si era sviluppato, i bundisti aggiunsero, “sotto la bandiera del Bund”. I bundisti
sottolinearono che “non solo le idee socialdemocratiche governavano le menti dei lavoratori, ma la
stessa socialdemocrazia…come una vera viva organizzazione era un tutt’uno con le masse nelle
strade e nelle aziende”. I bundisti affermarono che quei giorni avevano dimostrato che solo
organizzazioni con “un forte legame organico con la vita quotidiana e la lotta delle masse”
potevano ottenere “un’influenza permanente” e guidare il proletariato. Non era stato il Bund a far
scendere i lavoratori in sciopero e quindi a farli ritornare al lavoro?379
Nel contempo, i bundisti riconobbero che non era il momento del compiacimento, e subito
convocarono una conferenza per rivedere i propri obiettivi e le proprie tattiche alla luce dei nuovi
sviluppi. Questa fu la Sesta Conferenza, che si tenne a Dvinsk dal 24 febbraio al 2 marzo, con la
partecipazione di 25 delegati.
A differenza di tutte le precedenti, la Sesta Conferenza incluse delegati eletti, sintomo della
fiducia del Comitato Centrale nei comitati locali nell’urgenza del momento. Ulteriore segno della
stretta interazione tra centro e periferia furono i preparativi della conferenza. Prima di prendere
qualunque decisione, il Comitato Centrale volle un resoconto da ogni comitato sugli avvenimenti
delle settimane passate. In particolare esso volle sapere quali azioni ciascun comitato aveva
compiuto, approssimativamente quanti lavoratori ebrei e non ebrei avevano partecipato, cosa era
stato fatto per convincere i lavoratori non ebrei, e quali errori erano stati commessi.
Le discussioni alla conferenza si focalizzarono su tre temi: il significato degli eventi di
gennaio; quale linea politica adottare “per dare alle masse…parole d’ordine che le legassero agli
sviluppi politici generali nel paese”380; e quali procedure per allargare il più possibile
l’organizzazione nel prossimo futuro. I continui scioperi e l’elevato morale dei lavoratori orientarono
il dibattito della Sesta Conferenza in relazione a un’eventuale rapida ripresa delle ostilità.
Questa volta la debolezza dell’organizzazione, che era stata riconosciuta ma poco
approfondita nei precedenti incontri del Bund, non potè essere ignorata. Come scrisse Di Arbeter
Shtime: “Divenne ovvio che non si era abbastanza preparati a guidare un movimento proletario
suscitato spontaneamente”381. Per ottenere la forza necessaria a quella che sembrava la battaglia
finale con l’assolutismo, il Bund doveva guadagnare il massimo sostegno possibile all’interno della
comunità ebraica.
A livello tattico, la conferenza definì alcuni metodi di miglioramento. I gruppi locali dovevano
essere rafforzati, e il talento dei dirigenti doveva essere distribuito più equamente tra le
organizzazioni. La conferenza notò che alcuni dei migliori attivisti dovevano essere lasciati liberi di
interagire con le masse disorganizzate. Infine, il numero delle assemblee e delle dimostrazioni
armate doveva essere aumentato.

377
B.A. Romanov, Nachalo proletarskoi revoliutsii v Rossii, 1926
378
Riportato in un supplemento a DAS, marzo 1905
379
ibidem
380
In Raphael Abramovich, In Tsvai Revolutsies, 1944
381
Supplemento a DAS, marzo 1905

196
La conferenza prese anche in considerazione la possibilità di un’insurrezione aperta. Suggerì
che le organizzazioni locali si procurassero armi, ne insegnassero l’utilizzo ai militanti, e li
spingessero a resistere non solo alla polizia, ma anche ai soldati. Come in passato, essa auspicò
la fomazione di forze speciali per guidare la resistenza.
La mancanza da parte del Bund di solidi legami con la popolazione non ebraica turbò i
delegati. Gli eventi di gennaio avevano dimostrato che il movimento rivoluzionario aveva fallito nel
raggiungere il suo pieno potenziale a causa della “passività rivoluzionaria delle grandi masse del
proletariato non ebraico, e il fatto che non vi fossero stretti legami con esso”. I bundisti attribuirono
la colpa per quel fallimento alle altre organizzazioni socialdemocratiche, che non avevano
influenza tra le masse, e pensarono che il momento straordinario richiedesse misure straordinarie.
La conferenza propose che gruppi di lavoratori non ebrei fossero organizzati “sotto il controllo dei
comitati” allo scopo di “distribuire la stampa tra il proletariato non ebraico” e “creare legami
permanenti con queste masse operaie”382. Il momento rivoluzionario stava spingendo il Bund oltre
il ristretto ruolo di leader di un proletariato nazionale, verso quello di leader regionale se
necessario.
Le abituali modalità per portare in piazza le masse dovevano essere mantenute, ma ora ogni
manifestazione rivoluzionaria doveva essere portata al limite. Il miglior mezzo per avere un’ampia
partecipazione era lo sciopero generale, un’arma potente che di certo avrebbe indebolito la vita
industriale e culturale dell’Impero. Quando vi fosse stata l’opportunità, stabilì la conferenza,
“dobbiamo manifestare, attaccare le istituzioni amministrative e militari, se ciò può essere utile al
successo della manifestazione rivoluzionaria”. I gruppi speciali preposti a questi attacchi dovevano
essere sotto il controllo dei comitati ma anche avere quanta più indipendenza possibile. L’unità con
altre organizzazioni, “eccetto quelle che vogliono disorganizzare il proletariato ebraico” era
altamente auspicabile383. Ciononostante tutte le organizzazioni dovevano restare indipendenti, e
l’unità avvenire tramiti comitati congiunti come quelli formati per gli scioperi di gennaio. Prima di
organizzare una protesta di massa, i comitati dovevano discutere il piano con i gruppi
socialdemocratici che avevano influenza sui lavoratori non ebrei. Si dovevano fare accordi con le
organizzazioni non socialdemocratiche solo per manifestazioni pubbliche, solo se queste avevano
una presenza nelle comunità non ebraiche, e solo se anch’esse chiedevano un’assemblea
costituente basata su elezioni democratiche.
Anticipando l’eventualità di concessioni governative sottoforma di speciali commissioni per
esaminare i bisogni dei lavoratori, la conferenza raccomandò che i lavoratori vi partecipassero solo
a condizione che lo stato garantisse loro sia l’incolumità personale che il diritto di voto. Essa
giudicò le elezioni per queste commissioni come un’opportunità per i lavoratori socialdemocratici di
fare agitazione e promuovere il proprio programma minimo, un governo democratico. Quando le
commissioni fossero fallite, com’era inevitabile poiché avrebbero preso solo mezze misure, i
lavoratori avrebbero visto ancora una volta che i mezzi legali nel sistema politico vigente non erano
utilizzabili.
Il Bund prevedeva un lungo periodo di attività dopo la prima fase della rivoluzione, quella di
gennaio. Il report della conferenza da parte del Comitato Centrale affermò: “Una tale percezione
non era presente negli scioperi di Rostov o in quelli nella Russia meridionale. Sentimmo subito che
si era scatenata una tempesta senza precedenti”384. La resa dei conti con l’autocrazia sembrava a
portata di mano.

Il rescritto del 3 marzo e le reazioni socialdemocratiche. La sollevazione in tutto l’Impero


che seguì la Domenica di Sangue sconvolse lo stato russo come mai era accaduto dopo
l’assassinio di Alessandro II nel 1881. Sviatopolk-Mirsky fu una delle prime vittime politiche. La sua
“Primavera” politica, che era “iniziata come un idillio, finì in una sanguinosa tragedia”385. Mirsky fu
dimesso il 28 gennaio, e rimpiazzato con Aleksander Bulygin, un amministratore di modestissime
capacità.
Il governo, come consuetudine, affrontò le rivendicazioni scoppiate così drammaticamente
con il bastone e la carota insieme. I funzionari d’alto rango fecero del miglioramento delle

382
ibidem
383
ibidem
384
ibidem
385
V.I. Gurko, Government and Opinion in the Reign of Nicholas II, 1939

197
condizioni dei lavoratori il loro obiettivo primario. L’ex superiore di Zubatov, il generale Trepov, ora
governatore generale di Pietrogrado e favorito dello Zar, provò a indurre il sovrano a intervenire
direttamente per calmare i lavoratori; e una commissione speciale, che includeva lavoratori eletti a
Pietrogrado, fu istituita sotto il senatore Shidlovsky per affrontare le richieste degli operai.
Su un piano politico più generale, lo Zar varò due documenti che rendevano evidente
l’atteggiamento ambivalente dello stato. In un manifesto del 3 marzo egli chiese al popolo russo di
rispettare l’autorità. Lo stesso giorno diramò un rescritto al ministro dell’Interno Bulygin,
incaricandolo di preparare un piano per permettere a rappresentanti eletti dal popolo di partecipare
all’elaborazione delle leggi. Questo simultaneo appello all’autorità e richiesta di una forma di
rappresentanza popolare produsse una certa confusione. Come nota Gurko, in quel modo i
sostenitori dell’autocrazia enfatizzarono il messaggio del manifesto, e gli oppositori considerarono
il rescritto come un primo passo, pur limitato, verso un governo del popolo.
La pubblicazione del rescritto a Bulygin segnò l’inizio di una nuova fase politica nella
Rivoluzione del 1905. Le discussioni su una Duma, un parlamento, dominarono la vita politica
russa fino alla presentazione del programma di Bulygin il 19 agosto 1905. La questione fu discussa
a tutti i livelli, sebbene il governo non intendesse suscitare una tale reazione. Gruppi politici di ogni
tipo cercarono di trarre il massimo vantaggio possibile dalla situazione di relativa libertà.
I socialdemocratici russi entrarono nella Rivoluzione del 1905 con i propri obiettivi immediati.
Alla conferenza delle organizzazioni socialdemocratiche tenutasi nel gennaio 1905 a Riga, i
partecipanti definirono come loro obiettivo immediato un’assemblea costituente eletta sulla base
della formula del suffragio universale, equo, diretto e segreto; la fine della guerra; la liberazione di
tutti i prigionieri politici e religiosi; la giornata lavorativa di otto ore. In più, i socialdemocratici
annunciarono che avrebbero chiesto all’assemblea costituente una repubblica democratica, libertà
di parola, riunione, coscienza e stampa; diritto di sciopero; fine delle leggi eccezionali sulle
nazionalità; diritto delle nazionalità all’istruzione nella propria lingua; elezione dei giudici; esercito
popolare; separazione tra stato e chiesa. Queste richieste furono approvate da POSDR, Bund,
Partito Operaio Social Democratico Lettone e Partito Rivoluzionario Ucraino.
Con questo programma minimo, i primi passi del regime assediato difficilmente poterono
soddisfare i socialdemocratici. Il Comitato Centrale del Bund diffuse un volantino che denunciava il
rescritto dello Zar come un trucco per calmare la popolazione in un momento di profonda crisi. I
bundisti sottolinearono che lo stesso Zar aveva detto che le fondamenta dell’Impero dovevano
restare intaccate. Lo stato stava soltanto giocando.
I rivoluzionari invece non giocavano. Ribadendo la richiesta di assemblea costituente, il
Comitato Centrale ribadì che ciò “non avrebbe portato alla pace tra lo Zar e il popolo”. I
rappresentanti del popolo allora avrebbero dovuto “liquidare completamente il vecchio ordine, e
creare nuove forme di governo”. Per i bundisti il futuro faceva ben sperare, poiché nessuno un
anno prima poteva supporre che lo Zar avrebbe fatto quelle concessioni, per quanto misere
fossero. Ma quelle concessioni in fondo erano irrilevanti. “Non abbiamo bisogno di nessuno Zar” –
concludeva il volantino – “bensì di una repubblica democratica”386.
Quando il programma di Bulygin fu presentato, i peggiori sospetti del Bund furono
confermati. Non solo esso limitava la partecipazione ai proprietari e ai ricchi, ma intendeva anche
escludere coloro che non parlavano il russo. E la Polonia, così come altre zone, doveva essere
soggetta a regole elettorali speciali. L’autorità dello Zar doveva rimanere tale per legge, e la Duma
“uno speciale organismo legislativo consultivo”. Parve chiaro ai bundisti che “Nicola Ultimo” aveva
concesso la Duma soltanto per proteggere se stesso. Egli chiaramente non aveva intenzione di
garantire alcuna vera libertà, e le masse non potevano aspettarsi nulla dalla sua Duma.
Ma la mancanza di elementi positivi nel programma di Bulygin non esaurì la questione per il
Bund. La stessa esistenza della Duma minacciava la lotta dei lavoratori, poiché anche queste
misere concessioni potevano tentare coloro che ne avessero beneficiato, ovvero la borghesia
industriale e i liberali. I capitani d’industria sarebbero stati lieti di vedere la fine delle agitazioni. E
alcuni liberali avrebbero considerato il programma un utile primo passo, un modo col quale
“strappare un regime costituzionale senza che lo zarismo se ne accorgesse”387. Con questa
piccola concessione il governo sarebbe riuscito a pacificare questi gruppi, sconfiggere il
proletariato e quindi sciogliere la Duma a suo piacimento.

386
Archivio del Bund
387
DAS, settembre 1905

198
Cosa bisognava fare quindi con la Duma di Bulygin? Poiché uno strumento così debole non
era di alcuna utilità per le forze della rivoluzione, l’elezione dei rappresentanti alla Duma era da
boicottare. Solo attraverso una continua attività rivoluzionaria le richieste dei lavoratori sarebbero
state accolte; quindi i rivoluzionari per il momento dovevano contrastare tutto ciò che aiutasse a
ripristinare la pace e l’ordine. I liberali che avessero accettato la proposta di Bulygin dovevano
essere trattati come traditori e difensori dello zarismo; e quelli che non l’accettavano dovevano
essere spinti “ancor più a sinistra”. I più vasti settori della popolazione, la piccola borghesia e i
contadini, dovevano essere portati a constatare il vuoto di quella “vittoria”. I lavoratori rivoluzionari
non solo dovevano applicare i metodi di lotta consolidati, ma anche partecipare a tutte le
assemblee elettive e se necessario interromperle. Dovevano boicottare le elezioni attivamente, il
che significava usare “tutti i mezzi consentiti dalle tattiche socialdemocratiche per fare sì che le
elezioni non abbiano luogo”. Infine, dovevano prepararsi per “una rivolta popolare armata”388, se
fosse arrivato il momento.
I bundisti ritennero che la campagna contro la Duma avesse alcuni elementi positivi. Quanto
maggiore fosse stata la pressione contro il programma di Bulygin, tanto meno entusiasti sarebbero
stati i ceti ricchi all’idea di appoggiarlo. E laddove esso avesse ottenuto l’appoggio dei ricchi, la sua
natura sarebbe stata ancor più chiara al popolo. Un boicottaggio attivo avrebbe accresciuto
l’autostima delle masse, elevando il loro morale rivoluzionario e la loro coscienza di classe. Se la
Duma fosse stata abolita, il popolo si sarebbe ritrovato di nuovo faccia a faccia con il regime, e la
rivoluzione sarebbe stata una possibilità concreta. In ultima analisi, la resistenza contro la Duma di
Bulygin prometteva il vantaggio più rapido ed efficace.

La ripresa delle agitazioni. L’agitazione popolare non cessò con il mese di gennaio. Lo
sciopero continuò ad essere la principale espressione di insoddisfazione, fornendo una modalità
comune di azione e una base di partenza per l’escalation. Tra il febbraio e l’ottobre l’Impero fu
scosso da ondate successive di scioperi. Febbraio fu un mese di intensa attività, sebbene il livello
fosse considerevolmente al di sotto di gennaio. Dopo un declino a marzo, il livello di attività salì
nuovo in aprile, raggiunse il massimo a maggio, quindi scese in estate, raggiungendo il punto più
basso a settembre. Ma questa fu la proverbiale calma prima della tempesta, poiché in ottobre
quasi mezzo milione di lavoratori scesero in sciopero.
Due fatti sono sintomo di un nuovo atteggiamento politico del proletariato urbano. Uno è che
più della metà degli scioperanti dell’intero periodo di gennaio-ottobre manifestarono per motivi
politici piuttosto che economici. Il secondo è la coincidenza degli scioperi politici con il periodo più
intenso degli scioperi (gennaio, aprile, maggio e ottobre), e la coincidenza degli scioperi economici
col periodo meno intenso (marzo, luglio e settembre).
Come in gennaio, le province ove il Bund era più forte furono teatro degli scioperi più vasti.
Lodz, Riga, Vilna e Bialystok furono tutte in prima linea nel movimento degli scioperi, oltre alle due
città di confine di Baku e Tbilisi. La provincia di Piotrkow, che includeva la città di Lodz, fu la prima
dell’Impero per numero di scioperi (2.136 contro i 1.861 di Pietrogrado), e fu seconda solo alla
Lettonia per la percentuale di lavoratori partecipanti (95,1%, contro il 97% della Lettonia). Nelle
altre province nordoccidentali le percentuali dei lavoratori partecipanti furono le seguenti: Kovno
82,1; Vilna 81,4; Grodno 79,9; Minsk 66,2; Vitebsk 54,3; Mogilev 47,5; e Varsavia 40,7.
Gli scioperi tra i lavoratori ebrei espressero l’andamento generale. La stampa del Bund
riportò in continuazione resoconti di nuovi scioperi in una città dopo l’altra. I lavoratori spesso
scesero in strada di propria iniziativa, con una fiducia inedita nei propri mezzi, rafforzata
dall’esitazione delle autorità ad agire. Nei primi mesi dopo la Domenica di Sangue, il governo cercò
un accordo coi lavoratori e persuase un certo numero di imprenditori a scendere a patti coi loro
dipendenti, o almeno a sedersi a un tavolo di trattativa con gli ispettori di fabbrica e la polizia, una
situazione simile al periodo di Zubatov. I bundisti cercarono contrastare questo atteggiamento
conciliatore, provando a convincere i lavoratori della natura subdola delle tattiche governative.
Nei primi anni della Rivoluzione alcuni bundisti, con la mente rivolta agli obiettivi rivoluzionari
più elevati, discussero dell’utilità degli scioperi economici, ritenendo che essi sottraessero energie
vitali al conflitto politico. Molti tuttavia cambiarono idea quando constatarono che l’azione
economica dava stimolo all’azione politica. Traendo vantaggio da quel clima, gli agitatori del Bund
parteciparono a tutte le assemblee e di solito riuscirono a controllarle. L’inedito livello di

388
DAS, settembre 1905

199
coinvolgimento di lavoratori diede ai bundisti quell’accesso verso le masse che a lungo avevano
sognato.
Tra il febbraio e l’ottobre il Bund gradualmente raggiunse il picco della propria influenza tra i
lavoratori ebrei, esercitata attraverso la capacità di organizzare assemblee e diffondere letteratura
illegale, i quadri disciplinati e preparati a guidare o dirigere le proteste, e non ultimo i gruppi
paramilitari di autodifesa, pronti anche a prevenire le rappresaglie contro la comunità ebraica. Così
come le altre organizzazioni, il Bund aiutò anche finanziariamente i lavoratori. A gennaio
un’incontro di organizzazioni rivoluzionarie assegnò al Comitato del Bund 150 rubli al giorno per gli
scioperi, il doppio di quanto garantito agli altri partiti tutti insieme. A Varsavia nei furiosi giorni di
ottobre l’organizzazione locale si procurò le dichiarazioni dei redditi e impose prelievi ai
contribuenti ebrei a sostegno dei lavoratori in sciopero. Il Bund favorì anche la distribuzione di cibo
e beni di prima necessità.
I bundisti si insediarono in nuove aziende, raggiungendo lavoratori laddove fino ad ora era
stato impossibile. Diverse volte gli agitatori erano invitati dai lavoratori che avevano sentito parlare
del Bund, e volevano che esso li guidasse o organizzasse i loro scioperi. Secondo alcuni resoconti,
il solo nome del Bund influenzava lo svolgimento degli scioperi, inducendo i padroni a fare
concessioni. L’uso da parte del Bund del boicottaggio verso i proprietari che non collaboravano si
rivelò uno strumento potente, come dimostrano queste parole da parte di un imprenditore di
Varsavia: “Riconoscendo che il boicottaggio lanciato dal Bund nei miei confronti è un risultato del
mio comportamento disgraziato verso i lavoratori (picchiati e a volte consegnati alla polizia)…e
volendo rimediare alla situazione, mi rivolgo al Comitato di Varsavia del Bund con la richiesta di
rimuovere il boicottaggio, e do il mio assenso in anticipo a qualsivoglia richiesta il Bund mi potrà
fare”389.
In tutto questo, i bundisti non persero mai di vista gli obiettivi politici, e provarono a volgere
ogni incontro e ogni manifestazione, a prescindere dell’origine, verso uno scopo politico. Si cercò
in continuazione di trasformare ogni incontro pubblico, dai funerali alle festività e simili, in
manifestazione politica. Con il nuovo livello di partecipazione, il Bund aveva l’opportunità di portare
avanti i propri obiettivi politici come mai prima. Mentre una volta l’obiettivo di assemblee e
manifestazioni era stato di educare le masse ai principi e alla disciplina, ora esse erano chiamate
“rese dei conti” con lo zarismo. In maggio i bundisti affermarono che “la maggior parte del nostro
lavoro è svolta alla luce del sole”390.
Il birzhe continuò a essere un ambito importante per l’attività del Bund. I mercati all’aperto
crescevano in dimensioni e importanza, alcuni diventando quasi una base territoriale sotto la
protezione delle squadre di combattimento. Agli innumerevoli incontri nei birzhe (alcuni con anche
1.000 partecipanti) il Bund distribuiva la propria stampa e chiamava i lavoratori riuniti all’una o
all’altra forma di protesta. Durante i primi mesi del 1905 la polizia prese pochi provvedimenti contro
queste adunate di strada, e i soldati rimasero indifferenti o quantomeno passivi. Ma quando lo
stato nei mesi estivi iniziò ad assumere un atteggiamento più rigido contro gli atti di ribellione, i
birzhe vennero fortemente attaccati. Quegli attacchi si trovarono di fronte a una resistenza armata,
e in un’occasione anche a barricate innalzate in fretta e furia.
Le manifestazioni politiche scaturite da questi scontri rappresentano la pagina più
drammatica della storia del Bund come organizzazione rivoluzionaria. Neppure il periodo dei
pionieri o il periodo delle prime vittorie del lavoro economico nel proletariato ebraico si possono
paragonare ai turbolenti e straordinari mesi del 1905. Per migliaia di bundisti e simpatizzanti del
Bund la partecipazione in prima persona a una lotta eroica fu qualcosa di storico.
A differenza della febbrile attività che seguiva ogni improvviso volgere degli eventi, le
iniziative per il Primo Maggio furono preparate con un consistente anticipo. I dirigenti del Bund non
avevano intenzione di farne un segnale per un’insurrezione, ma scelsero semplicemente usare la
ricorrenza per fare il punto su come stavano le cose. Il tradizionale volantino del Comitato Centrale
ripercorse gli avvenimenti dell’anno, sottolineando la debolezza dello zarismo a confronto del
maggio precedente. “L’anno che verrà” prediceva “porrà fine all’oppressione politica”, con la classe
operaia ad aprire la strada. “Abbiamo scritto una splendida pagina nella storia del movimento
operaio ebraico” proclamò il comitato, facendo appello per una celebrazione in cui “tutti noi

389
Der Bund in der Revolutsie fun 1905 – 06: Loit di materialn fun Bundisher arkhiv, 1930
390
Der Bund (periodico), maggio 1905

200
lasceremo le fabbriche e sfileremo sotto le nostre bandiere proletarie. La giornata della festa dei
lavoratori sarà una giornata di lotta”391.
I preparativi iniziarono più di un mese prima del Primo Maggio. Adunate di 20.000 e più
lavoratori ebbero luogo in mezza dozzina di città della Zona, oltre alle iniziative nei birzhe. Molte
assemblee si svolsero in strada, e in molti casi fu la prima volta che non ci si ritrovava nei boschi;
altre ebbero luogo in fabbriche o sinagoghe. Furono talmente tante che le varie organizzazioni non
ebbero la possibilità di riportarle.
Il Primo Maggio fu uno dei picchi rivoluzionari del 1905. Ciononostante i lavoratori non
provarono a impadronirsi delle strade. Prima della ricorrenza il Comitato Centrale suggerì alle
organizzazioni locali che la celebrazione attraverso lo sciopero generale, ovvero senza scendere in
strada, sarebbe stata sufficiente se le condizioni locali non avessero garantito una manifestazione
alla luce del sole. Esso suggerì anche che i bundisti cessassero le manifestazioni fino a dopo la
Pasqua cristiana, per ridurre le eventualità di pogrom.
La stampa del Bund riportò resoconti degli eventi da circa 80 città e cittadine. Vi furono
insuccessi, certamente, ma anche ottimi risultati. I dirigenti furono molto soddisfatti del fatto che,
per esempio, grazie agli scioperi “Varsavia si fermò completamente”392. Lodz purtroppo fu teatro di
manifestazioni piuttosto violente. A Kovno vi furono sia scioperi che manifestazioni. La cronaca
degli avvenimenti in ciascuna città riempirebbe da sola alcuni libri; basti dire che il Bund ottenne il
suo scopo generale, ovvero dimostrare la solidarietà della classe operaia in condizioni difficili.
La rapida e crescente influenza del Bund lo trasformò in qualcosa di simile a uno stato nello
stato. I suoi attivisti erano ben conosciuti nelle varie comunità, e iniziarono ad essere consultati per
questioni al di fuori del loro campo. “Divorzi, doti, una contesa tra soci in affari, un investitore
truffato, una ragazza oltraggiata, una disputa familiare, le lamentele di una cameriera verso il
padrone, tutte le questioni venivano sollevate, ed era impossibile rifiutare un aiuto, dire che era
meglio chiedere al rabbino”393. A Gomel e in altre città i gruppi giovanili del Bund si battevano
contro la polizia con la stessa durezza dei loro genitori, ebbero dei caduti e divennero strettamente
legati agli adulti del Bund. Dice Litvak:

L’autorità del Bund a Varsavia e in tutta la Polonia era molto grande, non solo tra i lavoratori
ma anche tra la gran massa della piccola borghesia e nell’intellighenzia. Esso era visto come
una sorta di entità mistica, con un misto di timore e speranza. Poteva ottenere ogni cosa,
raggiungere chiunque…La parola del Bund era legge. Qualunque ingiustizia, qualunque insulto,
anche quando non avevano a che fare con il movimento operaio…finivano davanti al Bund
come il supremo tribunale…c’era qualcosa di potente nella storia del Bund di quegli anni, che lo
trasformò in una leggenda; e l’aura leggendaria raddoppiava il potere del Bund 394.

Queste naturalmente sono parole di un bundista devoto; di certo vi furono nella Zona ebrei
che non furono coivolti dagli eventi rivoluzionari, e altri che aderirono a partiti rivali e combatterono
contro il Bund. Ma Litvak era un osservatore piuttosto sensibile, e possiamo supporre che vi sia un
fondo di verità nelle sue parole. Inoltre non è il solo che fa queste affermazioni. Sentiamo per
esempio Raphael Abramovich: “Quando mi recavo in una delle nostre città, mi sentivo come il
rappresentante di un grande potere, molto apprezzato e sostenuto dalle masse operaie e anche
dall’intellighenzia”395. Dimostrando volontà e capacità di azione in una fase in cui le istituzioni
tradizionali venivano meno, il Bund acquisì uno status nella comunità ebraica che nessun’altra
organizzazione poteva insidiare.
L’ondata di attività politica del maggio stava appena rifluendo quando arrivarono delle novità
sulla Duma di Bulygin, dando il via a una nuova e più intensa tornata di discussioni. Il Bund
immediatamente prese posizione contro la Duma, incitando la popolazione in volantini e
assemblee a respingere la vergognosa proposta. Questa campagna suscitò un’ampia discussione
sull’argomento in tutta la Zona, in particolare a Varsavia, Bialystok, Gomel, Dvinsk e Kovno, e in
diverse città le assemblee del Bund portarono a dichiarazioni di sostegno alla linea
dell’organizzazione.

391
Archivio del Bund. Alcune copie del volantino furono stampate in rosso.
392
A. Litvak, Gekliebene schriftn, 1945
393
Chemerisky, In Lodz in 1905, 1929
394
A. Litvak, Gekliebene schriftn, 1945
395
Raphael Abramovich, In zvai Revolutsies, 1944

201
L’ondata rivoluzionaria di ottobre. A ottobre scoppiò una nuova crisi, sottoforma di
un’enorme ondata di scioperi che seguì l’annuncio della ratifica del Trattato di Portsmouth396.
Secondo Gurko quell’annuncio, che pose ufficialmente fine alla guerra russo-giapponese, pose
fine anche a qualunque senso di dovere patriottico che la guerra poteva aver suscitato nei russi.
Gli scioperi iniziarono a Pietrogrado il 17 ottobre e rapidamente assunsero un carattere politico.
L’intero paese fu coinvolto. La forza trainante furono i ferrovieri, che avevano tra le mani “le vene
pulsanti del capitalismo”. Il contrariato Gurko presenta così la situazione nella capitale:
“Lentamente ma inesorabilmente gli scioperi contagiarono ogni attività pubblica…al 23 di ottobre
quasi tutta la popolazione lavoratrice di Pietrogrado era scesa in sciopero…Gli scioperanti si
riversarono nei quartieri centrali della città e organizzarono rumorose adunate. Le guarnigioni
cosacche e la polizia a cavallo non erano in grado di prevenire gli assembramenti”397.
Nel frattempo, il resto del paese aveva iniziato a infiammarsi. Ancora da Gurko: “Le notizie
dalle province parlavano di accadimenti simili in molte altre città…Lo sciopero dei ferrovieri, in
base a ordini provenienti da Pietrogrado, si diffuse…sull’intera rete e paralizzò la vita economica
del paese”398. A Mosca tutte le fabbriche erano in sciopero dal 28 ottobre, e non vi erano nè
elettricità nè trasporti. Altri ceti di Mosca si mobilitarono: “Gli zemstvo e gli impiegati…gli attori del
teatro imperiale, farmacisti, medici e studenti delle scuole superiori si unirono tutti allo sciopero”399.
Secondo una fonte circa mezzo milione di persone scesero in strada, tre quarti delle quali a
sostegno delle rivendicazioni politiche della rivoluzione.
Per i bundisti l’ondata di scioperi di ottobre fu la tanto attesa spinta rivoluzionaria, il
compimento di tutti i sogni e le speranze. Gli atti dei lavoratori russi infusero nell’intero movimento
rivoluzionario nuova energia, proprio quando i mesi di riflusso sembravano avere fiaccato anche i
militanti più radicali (settembre aveva segnato il punto più basso degli scioperi in tutto il 1905).
Rinvigorite, le organizzazioni del Bund contribuirono alla mobilitazione degli scioperi in molte città.
Come in altre fasi, gli scioperi di ottobre portarono localmente a vari gradi di risultati.
Sebbene nessun partito (o anche i partiti rivoluzionari nel loro complesso) potesse rivendicare la
paternità della vittoria di ottobre, l’attività dei bundisti nei loro territori raggiunse in questo periodo il
massimo livello. E’ importante notare, tuttavia, che l’Ottobre 1905 fu ancora soltanto uno sciopero
generale, una forma di pressione per strappare delle riforme al regime zarista, non un’aperta
insurrezione armata per l’ottenimento del potere. Inoltre, anche nel momento della massima unità
d’azione da parte dei suoi oppositori, il regime zarista non fu disposto a cedere il controllo delle
strade tranne in alcune circostanze locali in cui fu costretto a farlo.
Il successo o il fallimento a livello locale dipesero da vari fattori. Di certo la completa chiusura
di fabbriche e punti vendita per un lungo periodo di tempo crearono seri problemi. A Vilna, dove lo
sciopero generale iniziò piuttosto presto, le scorte di cibo finirono in fretta, e l’organizzazione locale
fu costretta a lasciare che i fornai riprendessero il lavoro per far fronte alla fame. Con la vita
quotidiana della città virtualmente ferma, i lavoratori si riunivano e animavano le strade in
un’atmosfera quasi euforica. Le guarnigioni militari erano ancora in campo, e sporadici scontri tra
lavoratori e soldati provocavano vittime, nuove adunate, funerali, e la probabilità di nuovi scontri. A
Vilna la carenza di cibo alla fine portò all’interruzione dello sciopero il 25 ottobre, sebbene le
organizzazioni laggiù programmassero subito una ripresa. Sebbene un’arma potente, lo sciopero
generale era di uso limitato nel lungo periodo.
A Vitebsk il Bund e il POSDR convocarono un sciopero generale relativamente tardi (per il
30 di ottobre) e in un volantino congiunto chiarirono che non si trattava soltanto di uno sciopero
politico, ma di una rivolta. La polizia e l’esercito cercarono di fomentare un pogrom in modo da
ostacolare gli scioperanti, usando i riservisti; le organizzazioni rivoluzionarie replicarono dando
inizio a una campagna di autodifesa. Fortunatamente per tutti i coinvolti, lo sciopero era appena
iniziato quando fu interrotto dalla novità del Manifesto di Ottobre. Una situazione difficile
improvvisamente si trasformò nella celebrazione di una vittoria, con migliaia di lavoratori nelle
strade ad ascoltare l’editore del giornale locale che leggeva il manifesto.

396
Il Trattato, dopo quasi un mese di negoziati mediati dagli Stati Uniti, fu siglato il 5 settembre e ratificato in Russia il
14 ottobre. Esso includeva un immediato cessate il fuoco, il riconoscimento dei diritti giapponesi in Corea e
l’evacuazione delle forze russe dalla Manciuria. Alla Russia fu inoltre richiesto di restituire alla Cina le concessioni che
questa le aveva fatto su Port Arthur.
397
V.I. Gurko, Government and Opinion in the Reign of Nicholas II, 1939
398
ibidem
399
ibidem

202
Una delle esperienze più entusiasmanti per I bundisti ebbe luogo a Gomel. In uno sciopero
iniziato colà il 26 ottobre, i ferrovieri si misero in azione indipendentemente dai lavoratori ebrei,
senza che il POSDR potesse influire più di tanto. La violenza scoppiò quando le forze governative
si mossero. Gli SR e i bundisti resistettero attraverso l’uso di bombe. Quando lo sciopero diede
segni di cedimento a causa del rifiuto dei negozianti cristiani di rimanere chiusi al sabato,
arrivarono le notizie del manifesto, e si formò un’adunata di 3.000 lavoratori. Poco dopo i ferrovieri
raggiunsero la città, ed ebrei e cristiani festeggiarono insieme in assemblee di piazza, alcune che
contavano circa 5.000 persone. A coronamento di tutto un’adunata unitaria, in questa comunità un
tempo così aspramente divisa, si ritrovò ad ascoltare le parole di un oratore bundista. La comparsa
del manifesto sembrò rappresentare, almeno simbolicamente, la fine di un’era.
Gli anni di lavoro del Bund come organizzazione rivoluzionaria giunsero al culmine
nell’Ottobre. Esso era decisamente la più grande forza rivoluzionaria tra i lavoratori ebrei; ma era
anche qualcosa di più. Divenne non solo il principale protettore della comunità ebraica, ma anche
l’unico legame, e talvolta guida, nel lavoro coordinato tra le organizzazioni rivoluzionarie. Il
Manifesto del 30 Ottobre fu ben al di sotto delle speranze bundiste, ma il lavoro del Bund in quel
mese lo portò a un grado di popolarità politica per cui i suoi obiettivi e quelli di un vasto segmento
della popolazione si trovarono a coincidere. Fu forse il massimo che qualunque organizzazione
rivoluzionaria potesse raggiungere nel 1905. Per Litvak “Il rosso 1905” segnò “lo splendore del
proletariato ebraico”400.

Controrivoluzione zarista: le Centurie Nere. Lo stato e i suoi supporter conservatori presto


si riorganizzarono per il contrattacco. L’uso della forza fu un’efficace risposta contro gli entusiasmi
dei rivoluzionari. La polizia, accusata di atteggiamento conciliante verso le ribellioni locali, ricevette
grande supporto militare per sedare le incessanti proteste e violenze. Si stima che dall’estate in poi
in Polonia vi siano stati fino a 300.000 soldati.
Come la evidente debolezza del regime spinse i suoi oppositori di sinistra e di centro a
ribellarsi, così i dubbi sulla capacità di questo di preservarsi spinsero i conservatori ad organizzarsi
autonomamente. Sia l’uso della forza armata che la formazione di una destra politica ebbero un
significato particolare per la popolazione ebraica e per il Bund: ogni passo avanti della rivoluzione
infatti suscitò una risposta egualmente vigorosa contro la comunità ebraica.
Gli atteggiamenti antisemiti del governo non erano un segreto. Sergej Witte, allora Primo
ministro, affermò recisamente che lo Zar biasimava i pogrom contro gli ebrei; con minore decisione
disse che Trepov invece non aveva obiezioni. Il principe Urussov, che si era mostrato
relativamente ben disposto verso gli ebrei durante la sua inchiesta sul pogrom di Kishinev,
descrisse platealmente Trepov come “un sergente maggiore per educazione e un pogromista per
convinzione”401. Il dipartimento di polizia, alle dipendenze di Trepov, alla fine fu direttamente
coinvolto nella produzione di opuscoli anti-ebraici.
Gli antisemiti lanciarono tutte le accuse possibili contro gli ebrei, additandoli come i
responsabili di tutti i mali della Russia. Nel corso del 1905 gruppi privati o sostenuti dalla polizia,
identificati con il nome generico di Centoneri (Centurie Nere), nacquero come traduzione pratica di
queste accuse. I loro volantini e i loro discorsi invasero la Zona: “Presto, presto giungerà una
nuova epoca, fratelli, in cui non vi saranno ebrei. La radice di ogni male, la radice di tutte le
sventure è l’ebreo”. Così diceva un volantino tipico, distribuito in diverse città402. Gli ebrei erano
descritti come bramosi di potere, nemici dello Zar e anticristiani. A Kiev essi furono accusati
dell’uccisione del Granduca Sergej403, il cui “sangue innocente” era stato versato “solo perché
l’intera sua vita fu dedita alla difesa del popolo russo contro l’arroganza degli ebrei”404. Gli ebrei
spesso furono accusati di progettare la distruzione delle chiese rionali; di essere al soldo dei
giapponesi; di essere sanguisughe e corruttori di studenti, i quali a loro volta erano accusati di
avere “venduto l’anima del povero al ricco giudeo”405. A Kishinev un volantino diceva: “Fratelli,
lavoratori russi!...Abbiamo saputo che essi vi stanno invitando a incontrarvi il prossimo sabato 19

400
A. Litvak, Gekliebene schriftn, 1945
401
Sergej Witte, Vospominaniia, ed. 1960
402
Posledniia Izvestiia, 11 marzo 1905
403
Sergej Romanov, membro della famiglia reale e feroce governatore di Mosca, fu ucciso dal socialista rivoluzionario
Ivan Kaljaev il 17 febbraio 1905, sucitando il tripudio popolare e l’approvazione anche della stama liberale.
404
Posledniia Izvestiia, 6 aprile 1905
405
Posledniia Izvestiia, 20 marzo 1905

203
febbraio, per andare dal governatore a chiedere lavoro. Attenti, compagni! Questa è opera dei
socialisti-ebrei”406. Le accuse erano inclusive: tutti gli ebrei erano socialisti, tutti erano ricchi. Non
era facile per i Bund o gli ebrei in genere difendersi contro questi attacchi che fomentavano la
popolazione cristiana.
Fu abbastanza facile imbastire l’accusa di tentare una rivoluzione ebraica nella Zona nel
1905. Il grande successo del Bund, che talvolta l’aveva reso la principale organizzazione
rivoluzionaria di una città, dava credito all’argomento. Un generale russo disse ai propri ufficiali che
la maggior parte della propaganda contro lo stato era opera degli ebrei, “che si sono organizzati
nel cosiddetto Bund. Il Bund è un’organizzazione coesa, nella quale tutti sono uniti come un sol
uomo; possiede grandi somme di denaro e ha già avuto buon gioco nel reclutare un gran numero
di membri. E’ una spina nel fianco per il governo”407.
Le campagne antisemite del neonato movimento reazionario raggiunsero il loro apice
durante il periodo della Pasqua, quando le tensioni tra ebrei e cristiani salivano sempre, e nelle
settimane precedenti il Primo Maggio, con le sue adunate e proteste. Ma i Centoneri e le autorità
locali usarono ogni occasione per fomentare l’attività anti-ebraica. Il Manifesto del 3 marzo era
appena comparso quando una serie di voci di pogrom si susseguirono a Kishinev, Kreslavka e
Potolsk. Queste vennero tradotte in pratica nel periodo tra la Pasqua ebraica e il Primo Maggio.
Cosacchi, contadini e elementi criminali – alcuni spontaneamente, altri su pressione della polizia e
dei militari – furono le truppe d’assalto. Il peggiore dei pogrom di primavera ebbe luogo a Zhitomir
alla fine di aprile, con un alto numero di morti e feriti. Tra la fine della primavera e l’inizio dell’estate
altre violenze seguirono ogni sconfitta militare russa, con l’esercito a svolgere un ruolo primario
nelle atrocità.
Estensione dell’autodifesa armata. Il clima di violenza spinse gli ebrei ad accrescere come
non mai l’attività di autodifesa, e il Bund continuò a guidare lo sviluppo delle squadre armate.
Rivoluzionari devoti e non rivoluzionari, ebrei e non ebrei, la lotta contro i pogrom era uno sforzo
comune. Il tradizionale spirito di sacrificio, per la causa, per scopi umanitari o semplicemente per la
sopravvivenza, produsse martiri ed eroi. A Litvak parve che “quanto più pericoloso era il compito,
tanto più lo zelo con il quale esso era accolto…Quella era la forza della rivoluzione,
che…pervadeva anche i più deboli e demotivati”408. Le esperienze di autodifesa precedenti alla
rivoluzione furono molto utili nel 1905: non vi furono sorprese tipo Kishinev, sebbene in molti casi i
gruppi di autodifesa non riuscirono a fermare i pogrom.
La Sesta Conferenza del Bund ampliò il programma di autodifesa, stabilendo la formazione
di speciali gruppi armati e l’armamento e l’addestramento dei lavoratori. La ricerca di armi iniziò
immediatamente, e il denaro necessario fu sollecitato agli ebrei negli Stati Uniti così come a quelli
in Russia. Un appello rivolto in particolare alla comunità ebraica americana diceva:

La via della rivoluzione ha imposto alla socialdemocrazia ebraica di armare il proletariato


ebraico. Noi dobbiamo prepararci non soltanto per i pogrom, ma anche per l’attacco finale
all’assolutismo, quando tutti i lavoratori di Russia vorranno…rompere le catene della
coercizione politica.
La rivoluzione è vicina. Aiutate la nostra lotta con nell’unico modo che vi è possbile…con i
mezzi per l’acquisto di armi.409

L’arma preferita dei gruppi armati era il revolver. Particolarmente diffusa era la Browning,
acquistata nella fabbrica di Liegi e contrabbandata in Russia. Spesso per trasportare le pistole
furono impiegate le donne, meno sospettabili da parte della polizia. La sorella di Raphael
Abramovich, Sonia, bundista da prima di lui, svolse questa attività.
Le bombe divennero un’arma importante per il Bund solo dopo che i pericoli per la
popolazione ebraica si fecero maggiori, nell’estate del 1905. Molti bundisti, tra cui Mikhalevich,
ebbero grossi problemi con gli esplosivi per il semplice fatto che la dinamite era difficile da
trasportare e nascondere, e fu di utilità limitata. Chimici, studenti e altri con una certa
dimestichezza con la materia confezionarono i primi ordigni rudimentali. Abramovich afferma che
un rabbino fabbricava ottime bombe. In seguito il Bund specializzò dei fabbricanti di bombe tra i

406
Posledniia Izvestiia, 23 marzo 1905
407
Posledniia Izvestiia, 20 aprile 1905
408
A. Litvak, Gekliebene schriftn, 1945
409
Archivio del Bund

204
propri militanti. Il possesso di armi giunse ad avere un’aura romantica in quel periodo di violenza.
“Tra le grandi masse” nota Litvak “…tutti sognavano di avere un revolver”410. Abramovich
aggiunge: “La pacifica popolazione ebraica nel 1905 era fortemente militarizzata”411.
Le squadre di combattimento (BO) continuarono ad essere il nucleo permanente delle forze
di difesa del Bund, responsabili della protezione in assemblee, manifestazioni, birzhe e simili.
Rinforzi e gruppi di volontari venivano loro affiancati nei momenti critici. Furono membri delle BO
che svolsero il compito di addestrare i lavoratori all’uso delle armi, come indicato dalla Sesta
Conferenza. Col passare del tempo i preparativi di una dimostrazione di massa o uno sciopero da
parte del Bund si fecero più complessi. I bundisti arrivarono ad allestire strutture di primo soccorso
(gestite da medici o aiuti medici) per provvedere ai manifestanti o ai membri delle BO feriti.
Le BO erano anche responsabili della chiusura di botteghe e attività durante gli scioperi, un
compito che le impegnò molto soprattutto nel 1905. La polizia e talvolta i soldati venivano utilizzati
per tenere aperte le attività, ma in molti casi i gestori di fronte alle pressioni provenienti da ambo le
parti obbedivano alle BO. “Le minacce della polizia” dice Mendel Daich “non sortivano effetto,
perché i padroni avevano più paura di noi che della polizia”412.
Gli effettivi delle forze BO non furono mai molto numerosi. In risposta a un questionario del
Comitato Centrale inviato all’inizio del 1906, dieci organizzazioni locali riportarono un totale di 520
uomini e 563 revolver complessivamente. Sebbene tutti e dieci i gruppi fossero importanti, essi
rappresentavano solo una parte dei 17 comitati, 10 gruppi e 60 organizzazioni minori che diedero
mandato ai delegati al Congresso di Amsterdam. Una forza permanente di circa 1.100 uomini nel
1905 è probabilmente una stima per difetto.
La prova sul campo più dura per le forze di autodifesa ebbe luogo durante il pogrom di
Zhitomir. I bundisti ritennero di avere individuato un mutamento nella strategia del governo in
quella battaglia. Nei casi precedenti il governo aveva considerato il pogrom come un modo per
distogliere la rabbia popolare da se stesso e, forse, come un modo per dimostrare che il popolo
non era preparato per la libertà politica e aveva bisogno dell’uso della forza da parte del regime.
Ma questo non fu il caso di quell’aprile, affermò il Bund, poiché il governo allora non aveva
speranza di ottenere l’appoggio popolare; esso era completamente isolato e forse in una
condizione peggiore di quella di un esercito di occupazione. Solo i teppisti dei Centoneri e pochi
giornali estremisti stavano dalla parte del governo e delle forze armate. I teppisti avevano tutto da
guadagnare dall’accordo con la polizia, che poteva armarli e dare loro una copertura mentre
saccheggiavano il territorio a loro piacimento. Nel fomentare queste turbolenze la polizia aveva in
mente un obiettivo specifico: far uscire allo scoperto le forze della rivoluzione, al che queste
potessero essere distrutte. In verità, secondo il Bund, Zhitomir non fu altro che “un conflitto tra
squadracce organizzate e forze rivoluzionarie organizzate”413.
Per quanto duro sia stato il pogrom di Zhitomir per il Bund e per le altre forze che si
batterono contro i teppisti armati, esso non giunse allo scopo per due ragioni. In primo luogo la
popolazione cristiana rimase relativamente indifferente. Più importante, la pratica dell’autodifesa in
concreto e anche psicologicamente impedì che il pogrom si trasformasse in una seconda Kishinev.
L’aspettativa di un nuovo conflitto armato con lo stato dopo il gennaio fece diventare il tema
dell’insurrezione armata una questione centrale durante tutto il 1905. Alla Sesta Conferenza i
bundisti concordarono sul fatto che l’attacco agli edifici governativi durante una rivolta poteva
essere utile. I tumultuosi giorni di gennaio avevano dimostrato che i palazzi del potere potevano
essere occupati. Attacchi di questo tipo, tuttavia, dovevano essere affidati a gruppi speciali, che
potevano meglio controllare e guidare la folla in quei momenti critici. Il resoconto della Sesta
Conferenza non contiene di più in proposito; per ragioni di sicurezza tutte le altre discussioni sulla
rivolta armata non furono riportate.
Da marzo in poi i bundisti dibatterono la questione della rivoluzione aperta da un punto di
vista più pratico, iniziando a pensare alle questioni logistiche, tattiche, e alle risorse. Il Centro
Estero invece iniziò a insistere sul significato morale e politico della rivolta. Non che le
considerazioni tecniche e militari fossero ritenute meno importanti; i bundisti all’estero
semplicemente cercarono di compiere una sorta di bilanciamento, per ovviare a quella che

410
A. Litvak, Gekliebene schriftn, 1945
411
Raphael Abramovich, In zvai Revolutsies, 1944
412
Mendel Daich, Vegn main revolutsionerer arbet, 1929
413
Der Bund, maggio 1905

205
sembrava loro una eccessiva enfasi su alcuni temi. Sebbene fosse necessario armare quanta più
gente possibile, dissero i dirigenti, al massimo le organizzazioni rivoluzionarie avrebbero potuto
procurarsi un quantitativo limitato di armi; esse non potevano sopperire in anticipo alle necessità di
decine di migliaia di persone. Senza quelle armi immediatamente a portata di mano non vi poteva
essere un attacco efficace; se armate solo parzialmente, le masse indisciplinate non potevano
combattere come un esercito regolare. Dunque, l’armamento di massa doveva evitare lo scontro
finale contro l’autocrazia “fino a quando la presa di arsenali e depositi non fosse apparsa
psicologicamente fattibile”414.
Una considerazione anche più importante per i bundisti riguardò lo sbocco politico e sociale
della rivoluzione. I risultati sarebbero dipesi più dal lavoro preliminare di “graduale disarticolazione
della macchina statale” piuttosto che dalla forma dell’ “ultimo assalto decisivo”. Sarebbe stata la
coscienza e organizzazione del proletariato a determinare l’efficacia della sua azione, non le armi
o l’occupazione delle banche statali. I dirigenti del Bund, in qualche modo timorosi delle loro stesse
forze armate, ribadirono che la bandiera della rivolta dovesse essere brandita da un’ampia
organizzazione capace di adattarsi al mutamento delle circostanze politiche. In una situazione di
costante bisogno e crescente fiducia verso le BO, aumentava la possibilità che i gruppi armati del
Bund assumessero l’indipendenza degli SR, e acquisissero la loro stessa mentalità terroristica.
Una delle più sanguinose e memorabili settimane della rivoluzione ebbe luogo all’inizio di
luglio. A seguito di una battaglia tra i cosacchi e i manifestanti polacchi ed ebrei a Lodz, furono
indette nuove manifestazioni con l’appello a prendere le armerie. Il 6 luglio i lavoratori costruirono
barricate in vari quartieri della città, attaccarono la polizia e si armarono con le pistole sottratte ai
soldati governativi. Complessivamente l’esito della rivolta comportò oltre 1.500 tra morti e feriti.
Propaganda disfattista tra i soldati. I fatti di Lodz suscitarono nel Bund una nuova serie
di discussioni sulla tattica militare. Presto la stampa del Bund cominciò a pubblicare articoli su
come costruire buone barricate, la cui edificazione era un segno importante in direzione di una
guerra aperta. Ma anche in quel difficile momento, quando la sconfitta era considerata l’inizio della
vittoria finale, i bundisti ribadirono che i lavoratori sulle barricate non potevano competere con le
truppe dell’autocrazia schierate. A un certo punto essi speravano che la vista dei lavoratori
preparati a combattere e morire per la libertà avrebbe coinvolto gli stessi soldati. Quanto maggiore
la resistenza dei lavoratori, tanto maggiore la possibilità del venir meno della disciplina tra i soldati.
Non si trattava di una vana speranza, poiché l’esercito mostrava la tendenza alla rotta, per
l’influsso dello stesso impeto che spingeva il movimento operaio. Infatti durante la rivolta di Lodz i
comandanti militari furono costretti a inviare i soldati polacchi o ebrei fuori dalla città, perché
altrimenti si sarebbero uniti ai ribelli.
Il Bund riteneva che le organizzazioni rivoluzionarie, con forte disciplina e controllo,
dovessero guidare la rivolta finale. Esperti e armati, i loro quadri avrebbero fornito la leadership
necessaria per elevare l’azione al massimo grado di intensità, fino a quando lo stesso esercito,
asse portante del potere statale, sarebbe crollato di fronte all’eroismo e alla determinazione delle
masse e delle organizzazioni che le guidavano. I bundisti, guardando alle loro passate esperienze,
rifiutavano l’idea di una rivolta popolare che potesse avere successo di per sé.
Una tattica conseguente fu il tentativo di fiaccare il morale dell’esercito. I rivoluzionari
continuarono la propaganda di prima cercando di convincere i soldati che non dovevano
combattere la gente comune per un regime corrotto. Furono creati degli speciali gruppi militari
rivoluzionari, che lavoravano con sempre più intensità man mano che gli scontri tra operai e soldati
crescevano.
La campagna di propaganda verso i soldati non produsse nella Zona effetti sensazionali
come diserzioni di massa o simili. Ciononostante essa preoccupò il regime, e la continua
agitazione servì comunque a qualcosa. Gli ufficiali di un reggimento ricevettero l’ordine di stare
attenti ai soldati ebrei in abiti civili che partecipavano alle agitazioni anti-governative e invitavano
alla diserzione i loro compagni; molti erano stati individuati dalla polizia locale. A Grodno i
rivoluzionari riuscirono a organizzare assemblee e gruppi di soldati. Ma portare i soldati a fare
qualcosa di più era difficile, specialmente quando i comandanti provarono, come in Polonia, a
ostacolare la cooperazione cercando di sobillare i soldati russi contro i polacchi e gli ebrei. Durante
i tumultuosi giorni di ottobre il Comitato Centrale diffuse un volantino per convincere le reclute a
non compiere il loro dovere, che avrebbe voluto dire fare la guerra al loro popolo. “Compite un altro

414
Poslednia Izvestiia, 20 marzo 1905

206
giuramento – il sacro giuramento verso il popolo” diceva loro il volantino “E quando verrete inviati
nelle strade contro le masse, attaccate e uccidete i vostri ufficiali, e unitevi al popolo con le vostre
armi rafforzando i suoi ranghi”415. Nel momento cruciale questa propaganda era considerata
fondamentale per il successo della Rivoluzione.
Bundisti ed ebrei liberali nella Rivoluzione. Tra gli ebrei della Zona la risposta militante
del Bund agli sviluppi rivoluzionari non fu seconda a nessuno. Ma altri soggetti operarono per
trarre vantaggio dal nuovo corso politico, talvolta in contrasto con gli obiettivi dei bundisti, talaltra in
sintonia. Gli ebrei liberali volevano guadagnare il massimo dall’immediato svolgimento degli eventi.
Nella situazione di quasi-legalità creatasi dopo il gennaio essi riuscirono a rendere note le proprie
posizioni sia al governo che al popolo ebraico. Essi fecero molto affidamento sulle petizioni di
massa che chiedevano (con un linguaggio assai moderato) eguali diritti per gli ebrei. Una di queste
diceva “Ci aspettiamo uguali diritti in quanto esseri umani, nei quali vive il sentimento della dignità
umana…come cittadini consapevoli in uno stato moderno”416.
Alla fine di marzo rappresentanti sia dei liberali che dei sionisti si incontrarono a Vilna per
formare una Lega per l’Ottenimento di Pieni Diritti per il Popolo Ebraico in Russia. Il nuovo gruppo
non pretendeva di essere un partito politico, essendo formato da elementi di provenienza molto
diversa, ma cercò comunque di mettere insieme all’interno della comunità ebraica coloro che
avevano in comune un’idea di emancipazione. Andando oltre le richieste delle petizioni, la lega
chiese pieni diritti civili e politici, così come l’autodetrminazione nazional culturale. Essa chiese
anche il suffragio universale per la futura Duma e anche che gli assessori ebrei inseriti nelle dume
municipali rinunciassero ai loro posti.
Alla Sesta Conferenza i bundisti discussero del problema dei rapporti con la popolazione
non ebraica, e più specificamente di come capitalizzare la massimo l’influenza del movimento
socialdemocratico di cui il Bund era rappresentante. Come sempre essi si ritrovarono di fronte al
dilemma di lavorare con una borghesia liberale il cui appoggio sarebbe stato utile nel breve
periodo ma i cui obiettivi ultimi erano molto diversi, e anche pericolosi per il futuro della
socialdemocrazia.
Con l’inizio della campagna politica degli ebrei liberali, il Bund avviò un contrattacco. Le
prime petizioni, che avevano chiesto soltanto l’uguaglianza dei diritti, irritarono i bundisti, rivelando
soltanto che “gli schiavi di ieri non possono fare a meno della mentalità servile”417. Chiedere
l’uguaglianza dei diritti nella Russia zarista era come chiedere “l’assenza di diritti per tutti”418. I
bundisti criticarono gli ipocriti liberali, che erano usciti allo scoperto solo dopo aver preso coraggio
grazie alle azioni del proletariato; essi cercavano di accaparrarsi il tornaconto per il quale la classe
operaia e i suoi partiti rivoluzionari si erano battuti accanitamente, e provavano a orientare i
lavoratori verso un partito politico posto sotto al loro controllo, solo per sfruttarli di più. Nel
contempo, i bundisti ritenevano che per la borghesia ebraica anche queste prime modeste
petizioni fossero un gran passo avanti.
Quando il neonato Gruppo Democratico Ebraico annunciò un appello per la creazione di un
partito democratico a marzo, i bundisti in un lungo commento plaudirono all’iniziativa in quanto
progressista. Nel redigere il proprio appello il Gruppo era stato attento a non alienarsi il Bund. Al
contrario esso rendeva omaggio all’organizzazione che sola aveva mantenuto viva la protesta nel
corso degli anni. Ma, affermò il Gruppo, dal momento che il Bund poteva organizzare soltanto una
parte della popolazione ebraica, esso aveva fatto tutto ciò che poteva. Il nuovo partito si sarebbe
rivolto a strati più ampi della popolazione e avrebbe lavorato con altri partiti nel perseguire le
generali richieste democratiche, e l’opportunità per il giudaismo di realizzarsi.
“Progressista” o no, gli obiettivi proclamati dal Gruppo Democratico Ebraico dispiacquero ai
bundisti, al pari delle petizioni. Essi giudicarono l’appello a tutti gli ebrei come “un tutto
organizzato” vago e presuntuoso. Il Gruppo, rimarcarono, non affrontava la questione di come
sarebbe rinata la Russia, come monarchia costituzionale o con un’assemblea costituente. Inoltre,
l’assenza di rivendicazioni sociali era significativa. Anche l’appello all’autodeterminazione nazional
culturale e religiosa non soddisfece i bundisti, poiché la materia era lasciata all’iniziativa privata. Il
Bund sosteneva che l’uguaglianza nazionale richiedesse un’azione positiva da parte dello stato. I

415
Archivio del Bund
416
Posledniia Izvestiia, 30 marzo 1905
417
Archivio del Bund
418
ibidem

207
bundisti giudicarono l’appello frutto di liberali assimilazionisti: la proposta nel complesso era “un
programma liberale miseramente moderato” messo in piedi sul momento.
Dopo che a fine marzo, in base alle linee suggerite dal Gruppo Democratico Ebraico, fu
creata la Lega per l’Ottenimento dei Diritti, i bundisti continuarono il proprio attacco. Non c’era nulla
da aspettarsi da quella associazione moderata. Cosa avrebbe fatto? “Parole e solo parole! La
nuova Lega farà soltanto chiacchiere” Avrebbe combattuto? No, avrebbe soltanto “aspettato”,
parlando a vuoto419.
Molti, se non tutti, i liberali ebrei salutarono con grande entusiasmo l’annuncio della Duma
di Bulygin. Il settimanale liberale russo-ebraico Voshkod (Ascesa), che rappresentava la posizione
della Lega, giudicò la Duma un compromesso temporaneo, solo un primo passo verso la giustizia,
certo, ma senz’altro di un certo valore. “La cosa importante” diceva un editoriale “è il
riconoscimento del principio della rappresentanza ebraica al pari dei cristiani”. Avendo raggiunto
l’uguaglianza in linea di principio, gli ebrei potevano ora ottenere i diritti che ancora mancavano 420.
Il giornale liberale dunque fece propria una tattica gradualista, insistendo che le riforme
fondamentali non potessero essere ottenute direttamente.
La reazione dei liberali al programma di Bulygin convinse i bundisti della giustezza della
propria valutazione. Questi ultimi rimproverarono seccamente ai liberali ebrei di avere
abbandonato l’opposizione alla prima occasione, accontentandosi di una Duma ridicola, nella
quale vedevano “una nuova era…per gli ebrei”421. I bundisti conclusero che la sola strada per
spingere avanti i liberali, che volevano solo trarre vantaggio dalla cooperazione col governo, era
criticarli, rifiutarsi di avallare le loro posizioni, e dimostrare forza. Vi era assai poco spazio per il
compromesso e il riavvicinamento tra i due campi.
A livello locale le relazioni tra i bundisti e gli ebrei liberali variarono molto, passando dalla
collaborazione temporanea, all’indifferenza, all’ostilità. A Zhitomir, quando i liberali si riunirono in
una sinagoga per discutere la creazione di un Partito Liberale Ebraico, i bundisti provarono a
dissuadere la popolazione dal siglare le loro petizioni per l’uguaglianza dei diritti. A Grodno i
bundisti parteciparono a un incontro di liberali e discussero con loro la questione dell’attività
politica. Il reporter liberale presente non scrisse un resoconto del meeting, temendo che la legalità
liberale sarebbe stata compromessa. A Dvinsk, dove la “società” ebraica si riunì per scegliere i
rappresentanti da inviare al congresso fondativo della Lega a Vilna, oratori del Bund furono inviati
per mettere in discussione il diritto dei liberali di parlare a nome dell’intero popolo ebraico. Anche
se i bundisti ammettevano che vi fossero delle opportunità nell’attività politica liberale, essi la
contrastarono quanto più poterono.
L’autodifesa fu una particolare area di collaborazione nel 1905, ma anche qui emersero
delle difficoltà. A Bobruisk, per esempio, i bundisti rifiutarono categoricamente di formare forze
congiunte con la borghesia. L’autodifesa era un atto politico, dissero, e di conseguenza l’unità coi
liberali era impensabile. Parimenti a Zhitomir un tentativo liberale di unire gli ebrei in una
“autodifesa nazionale” fu respinto come un segno del desiderio liberale di egemonia sul movimento
operaio, e un segnale che “la guerra su due fronti” – contro l’autocrazia e i liberali – “inizia proprio
adesso”422.
Poco dopo il pogrom di Zhitomir i bundisti si occuparono più da vicino della questione
dell’autodifesa e dei liberali. Fino ad allora l’autodifesa non era stata una questione molto popolare
presso i liberali, notarono i bundisti; ora improvvisamente i socialdemocratici erano degli eroi. Ma
la visione liberale dell’autodifesa era politicamente limitata, poiché essi presumevano che
l’autodifesa fosse una lotta contro i gruppi paramilitari. Niente di tutto ciò, affermarono i bundisti;
essa era una parte della lotta politica, proprio come i pogrom erano parte della politica del governo
per autoproteggersi. Per tutti gli ebrei unirsi nella battaglia comune immediata, unirsi con coloro
che semplicemente volevano proteggere la proprietà e rinviavano la lotta politica ad altre fasi, non
era abbastanza. Solo un partito rivoluzionario che agisse apertamente e in ogni momento contro
l’autocrazia poteva reggere la vera battaglia contro lo Zar. Gli ebrei da un punto di vista di classe
non erano un tutt’uno, e in tali condizioni una perdita di coscienza di classe avrebbe indebolito il

419
Der Bund, maggio 1905
420
Voshkod, agosto 1905
421
DAS, settembre 1905
422
Posledniia Izvestiia, 9 agosto 1905

208
proletariato ebraico. Il proletariato doveva combattere nei ranghi “dell’unico partito che avanza
verso la via della vittoria – nei ranghi del Bund”423.
Forse i rapporti migliori tra i liberali e i bundisti si svilupparono a Pietrogrado, dove i bundisti
erano relativamente deboli e l’assenza di competizione nell’influenza sulle masse permise una
discussione meno aspra. Il Bund inviò nuovamente Abramovich a Pietrogrado nel febbraio 1905.
Come nel 1904 egli partecipò a incontri con le associazioni liberali, spiegando loro gli obiettivi del
Bund. Ivi trovò una calda accoglienza per la richiesta di uguali diritti ma poca comprensione o
entusiasmo per l’autonomia nazional culturale. Nell’atomosfera politica più scottante della Zona,
l’incontro tra bundisti ed ebrei liberali talvolta sfociò in violenza. Qui il Bund ebbe il supporto
aggiuntivo delle BO per affrontare gli eventi, ad esempio per interrompere le riunioni dei liberali
quando il Bund iniziò il boicottaggio della Duma di Bulygin.
Bundisti e sionisti nella Rivoluzione. Come cercarono di arginare le defezioni verso il
movimento liberale, così i bundisti furono costretti a combattere la stessa battaglia su un altro
fronte – contro l’attrattiva rappresentata dal sionismo laburista, che a sua volta era in auge. Le
relazioni tra bundisti e sionisti non cambiarono particolarmente dopo il gennaio 1905; l’ostilità e il
sospetto continuarono a dividerli.
La Sesta Conferenza del Bund, vedendo l’immediato futuro come un periodo preparatorio
alla rivoluzione, stabilirono dei criteri di cooperazione coi partiti non socialdemocratici, decidendo
che se necessario si dovessero creare stretti legami. Fu messo in chiaro che ogni organizzazione
sarebbe rimasta indipendente, semplicemente associandosi attraverso comitati ad hoc, che
lavorassero su tempi specifici. La Sesta Conferenza decise di non fare alcun accordo con partiti
che non chiedessero un’assemblea costituente democraticamente eletta, e anche con qualsiasi
gruppo che mirasse all’organizzazione del proletariato ebraico. I bundisti non specificarono a quali
partiti si riferivano, ma possiamo presumere che il secondo criterio di esclusione fosse rivolto ai
sionisti, che essi da tempo consideravano una forza distruttiva.
In realtà i due movimenti si unirono a volte nell’attività di autodifesa, con buoni risultati a
Odessa, Mogilev e Dvinsk. Altre zone, sebbene minacciate a loro volta dai pogrom, videro esiti
meno positivi. A Brest e Ekaterinoslav le due fazioni non si accordarono sulla distribuzione delle
armi, e a Berdichev sul piano di azione. Inoltre i bundisti non vollero mai prendere parte ai tentativi
di istituire una “autodifesa nazionale”, considerandoli di orientamento sionista.
Scambi di accuse, insinuazioni e anche scontri caratterizzarono i rapporti tra bundisti e
sionisti. La stampa del Bund riportava gli insuccessi dei sionisti laburisti con un’aria di sufficienza
annoiata, e ne mostrava i successi con notevole mancanza di entusiasmo. Parlando del Primo
Maggio, il corrispondente bundista da Plock ammise acidamente che “sfortunatamente i sionisti
hanno avuto grande influenza tra gli ebrei”. Quando i sionisti di Riga iniziarono autonomamente a
raccogliere fondi per l’autodifesa, i bundisti li accusarono di dare ai donatori l’impressione che il
loro denaro sarebbe andato al Bund.
I due gruppi si ritrovarono e spesso si scontrarono anche nella contesa per la direzione
delle lotte economiche. I sionisti laburisti ebbero un certo successo nell’organizzare nuovi gruppi di
lavoratori, specialmente tra gli impiegati. Ma sebbene i bundisti avessero dovuto apprezzare
l’ingresso di nuovi elementi nella lotta di classe, tuttavia furono molto infastiditi nel constatare la
crescente forza dei sionisti nell’atmosfera relativamente aperta del 1905. I corrispondenti del Bund
riportarono di un lavoro organizzato sionista a Lodz, Bobruisk, Borisov, Pinsk, Ekaterinoslav,
Mogilev, Zhitomir, Rovno, Bialystok e Kishinev, tra il gennaio e l’ottobre. Poiché la cooperazione
nel lavoro economico era meno importante che nell’autodifesa, i due gruppi furono meno inclini a
mascherare l’antagonismo reciproco nella contesa per influenzare i lavoratori ebrei.
Lo sviluppo più significativo nel movimento sionista laburista nel 1905, a parte la crescita
continua, fu la chiarificazione dal punto di vista ideologico e l’avvio verso un’organizzazione in
partito. La situazione rivoluzionaria contribuì in tal senso, come avvenne per altri partiti. I
territorialisti, le cui prime iniziative ufficiali si erano sentite al Sesto Congresso Sionista nel 1903,
nel febbraio 1905 si strutturarono formalmente nel Partito Operaio Sionista Socialista (SS). L’ala
laburista del sionismo continuò a differenziarsi in altre fazioni, con alcuni gruppi che insistevano
sulla Palestina (Poalei Zion) e altri che suggerivano la possibilità di una riforma parlamentare in
Russia e Polonia (sionisti seimisti424), sebbene nessuno di questi si strutturò formalmente prima di

423
Der Bund, maggio 1905
424
Da “sejm”, “dieta”, “parlamento”, in polacco.

209
ottobre. Il principale evento sionista in quell’anno fu il Settimo Congresso Sionista a Basilea,
nell’estate 1905, nel quale i territorialisti lasciarono formalmente il movimento sionista.
I bundisti giudicarono i vari sviluppi entro il movimento sionista (che si susseguivano come
“funghi dopo la pioggia”, per usare le parole di un loro corrispondente) con un misto di apprensione
e disprezzo. Allo stesso tempo essi trovarono positiva la tendenza generale del movimento, e
l’evoluzione dei sionisti laburisti da un orientamento laburista a un orientamento socialista.
Indipendentemente dagli slogan sionisti, ai bundisti sembrò che “non è lontano il momento in cui i
tratti nazionali del sionismo…si riveleranno una foglia di fico” e “un vero partito socialdemocratico”
sarebbe stato proclamato425.
I bundisti confidavano nella rivoluzione come momento della verità. Essi vedevano una
qualche possibilità nel movimento liberale, ma nessuna nel sionismo; l’epoca dei sogni insensati
era trascorsa da lungo tempo per il popolo ebraico. La scissione al Settimo Congresso Sionista
rafforzò la loro impressione che il sionismo stesse finendo in un fiasco. Non interessati ai sionisti
generali, i bundisti si volsero verso gli SS. Come potevano i territorialisti, che dissentivano con gli
altri gruppi sionisti sulla questione della Palestina, non dissentire con loro sul tema della lotta di
classe? Il sionismo era una scelta volontaria, e chi di orientamento socialista lo abbracciava e
lavorava con dei non socialisti era un traditore della rivoluzione. Non poteva esservi alcun accordo
col sionismo, che cercava di evitare la lotta di classe. O si abbandonava la lotta di classe o si
abbandonava il lavoro sionista. In effetti gli avvenimenti del 1905 toccarono scarsamente i sionisti
generali, come emerse al Settimo Congresso. Medem, che partecipò al congresso e al successivo
meeting dei dissidenti SS, vide nella confusione e nell’apparente inutilità dei lavori “un bambino
appena nato”426.
I bundisti furono piuttosto soddisfatti nel vedere che la discussione ideologica metteva i
sionisti sempre più ai margini. Inoltre essi ritenevano che la rivoluzione con la sua avanzata
avrebbe eliminato almeno alcuni delle ragioni materiali che avevano favorito il sionismo nella prima
fase. Confrontando l’apparente impossibilità dell’obiettivo sionista con la possibilità assai reale del
cambiamento in Russia, i bundisti giudicarono l’intera questione del sionismo come artificiosa – un
ostacolo all’ulteriore conseguimento di obiettivi che erano a portata di mano.

Bundisti e POSDR nella Rivoluzione. Il Bund e anche l’intera comunità rivoluzionaria in


Russia riconobbero l’urgente bisogno di cooperazione e azione coordinata nelle settimane critiche
dopo il gennaio. Per i bundisti ciò significava soprattutto unità nel campo socialdemocratico. Ma
per quanto i vari partiti fossero ansiosi di capitalizzare la spinta rivoluzionaria che attraversava
l’Impero, essi non potevano perdonare o dimenticare; il retaggio delle dispute e della
frammentazione ea troppo forte per essere cancellato in un momento. Tanto che solo con grande
difficoltà il Bund e i socialdemocratici lettoni convinsero alcuni partiti a riunirsi in gennaio per
discutere di politica, tattica e organizzazione.
La Conferenza di Riga mise in evidenza le continue divisioni presenti nel campo
socialdemocratico. I promotori, il Bund e i lettoni, avevano in mente alcuni obiettivi organizzativi
non impossibili; essi proposero niente più che i delegati presenti definissero la linea per le future
relazioni con i liberali, il Blocco di Parigi, e altre organizzazioni politiche non socialdemocratiche;
stabilissero dei meccanismi di ulteriore cooperazione tra le proprie organizzazioni; e diffondessero
una dichiarazione congiunta. Ma la delegazione del POSDR si impuntò anche di fronte a propositi
così limitati, cercando di minimizzare il significato della conferenza a favore dei tentativi del
POSDR all’estero di organizzare un incontro sotto gli auspici dell’Internazionale. Per i bundisti, che
udivano questa proposta per la prima volta, le organizzazioni potevano raggiungere un’unità più
effettiva in Russia che teorica all’estero. Nonostante le loro grandi speranze, tuttavia, a Riga si
ottenne ben poco. Nessuna delle risoluzioni approvate fu vincolante, e l’unico passo verso la
cooperazione fu la decisione di tenere conferenze sulle tattiche e azioni congiunte al massimo ogni
sei settimane. I menscevichi, che parteciparono ai lavori, chiesero e ottennero che questi incontri
futuri fossero soltanto scambi di idee, e inoltre insistettero per l’esclusione di alcune
organizzazioni, con il risultato che l’intero programma presto fu accantonato, stroncando ogni
speranza di un forte blocco socialdemocratico.

425
Posledniia Izvestiia, 6 aprile 1905
426
Vladimir Medem, Fun mein Leben, 1923

210
In ogni caso, ciascuna organizzazione si riservò il diritto di mettere a punto una propria
linea su alcune questioni cruciali come i rapporti tra i socialdemocratici e la borghesia, la corretta
azione in una situazione rivoluzionaria, e un eventuale accordo di cooperazione con un governo
borghese. Queste questioni continuarono a coinvolgere le organizzazioni socialdemocratiche
durante tutto il periodo rivoluzionario.
Per i socialdemocratici russi, l’inizio della Rivoluzione fu anche l’annuncio della tanto attesa
fase democratico-borghese della storia, che Plechanov aveva previsto una generazione prima.
Questa fu la posizione della Conferenza di Riga, con la richiesta di repubblica democratica che il
Bund sostenne pienamente. Conseguentemente, la conferenza riconobbe senza obiezioni la
necessità tattica di lavorare con i liberali borghesi a certe condizioni. Il cosidetto Terzo Congresso
del POSDR, al quale parteciparono soltanto i bolscevichi, in generale approvò a sua volta quella
linea.
Ma quando si arrivò a discutere di come accelerare la rivoluzione democratico-borghese le
organizzazioni socialdemocratiche si divisero. I bolscevichi, che erano per la linea dura,
sottolinearono la necessità di apposite unità di combattimento per guidare le masse, un’enfasi che
i bundisti giudicarono pericolosa, in quanto possibile distrazione dai più importanti compiti politici.
L’errore dei bolscevichi, dissero i bundisti, risiedeva nel loro tentativo di guidare la rivoluzione
dall’esterno. Essi sopravvalutavano la forza dei corpi speciali, e la propria capacità di armare le
masse. I bundisti temevano anche l’autonomia che le unità paramilitari potevano tentare di
assumere. Col passare dei giorni non intervenne nulla che facesse loro cambiare idea. Alla fine
dell’estate Di Arbeter Shtime, commentando il sogno bolscevico di suscitare un’insurrezione
armata, respinse tale tattica come totalmente errata. L’esperienza, scrisse il giornale, aveva
insegnato ai bundisti che sebbene potessero guidare i lavoratori nelle strade, essi non potevano
“creare la rabbia”: non potevano far altro che utilizzare la rabbia popolare una volta che fosse nata,
uno sviluppo che si poteva ottenere solo attraverso l’educazione.
Invece bundisti si trovarono in pieno accordo coi bolscevichi nel giudizio a proposito della
Duma di Bulygin. In settembre una conferenza di organizzazioni socialdemocratiche, alla quale
parteciparono il Partito Social Democratico Lettone, il Partito Rivoluzionario Ucraino, i menscevichi,
i bolscevichi e il Bund, dichiarò la proposta di Bulygin “un’enorme falsificazione della
rappresentanza popolare”427. La maggioranza della conferenza approvò la linea del sabotaggio
attraverso un boicottaggio attivo, incluso se necessario l’impedimento delle riunioni con la forza. I
bundisti moderarono il loro atteggiamento a favore della violenza, ma insieme ai bolscevichi
appoggiarono fermamente la linea del boicottaggio fino alla fine – ovvero all’insediamento della
Prima Duma.
Questo fu soltanto uno di una lunga serie di punti sui quali i menscevichi differirono dai
bundisti. I menscevichi espressero l’idea che fosse giunto il momento per un’insurrezione
popolare, e che di conseguenza la socialdemocrazia dovesse trasformarsi in un movimento di
massa. Ma riconobbero che le masse popolari, il cui compito era di compiere la rivoluzione, non
potevano essere unite sotto la bandiera di un unico partito. Di conseguenza si attribuirono il
compito di influenzare e dare direzione politica alle masse, piuttosto che fornire loro una leadership
ufficiale. Nell’ottica della democratizzazione, essi auspicarono la formazione di organismi di massa
non partitici. In seguito, quando in ottobre nacquero i consigli operai (soviet), i mescevichi li
sostennero entusiasticamente.
La tendenza di una larga parte dei dirigenti mescevichi a sottovalutare il ruolo del partito
infastidì i bundisti. Essi attribuirono quella tendenza al fallimento della socialdemocrazia russa
nella direzione del proletariato durante gli scioperi di gennaio. Partendo dalla propria esperienza,
essi continuarono a insistere che il risveglio dei lavoratori russi avrebbe permesso ai
socialdemocratici russi di assumere la guida di quei lavoratori, proprio come il Bund era riuscito a
porsi alla testa dei lavoratori ebrei. Le organizzazioni, a loro parere, dovevano evitare sia lo sterile
dottrinarismo che il pragmatismo senza principi.
Quando emerse la questione della Duma di Bulygin, i menscevichi, con Martov alla guida,
affermarono che i lavoratori dovevano svolgere un ruolo autonomo nella rivoluzione democratico-
borghese. Boicottare passivamente significava lasciare le masse nel disordine; boicottare
attivamente significava spingere gli elementi democratico borghesi nel campo dei reazionari. I
lavoratori avrebbero dovuto fare la campagna elettorale, affermarono i menscevichi, senza che gli

427
Di Letste Pasirungen, ottobre 1905

211
eletti entrassero nella Duma. Piuttosto, avrebbero dovuto formare un’assemblea rivoluzionaria del
popolo che funzionasse parallelamente a quella eletta. Quell’organismo avrebbe potuto esercitare
pressione sulla Duma statale, creando le condizioni per un futuro governo rivoluzionario. Nella
Duma in sé i menscevichi non vedevano alcuna utilità per i lavoratori.
I bundisti spesso si collocarono tra i bolscevichi e i menscevichi. Per spirito rivoluzionario e
prontezza all’azione, furono più vicini ai bolscevichi che ai menscevichi, ma enfatizzarono molto
più dei primi l’azione spontanea delle masse, che era il sogno dei menscevichi. I bundisti
ribadirono continuamente che le proprie scelte tattiche derivavano dall’esperienza pratica. Fu
l’esperienza, probabilmente, e fare si che il Bund si collocasse tra gli estremi delle due fazioni del
POSDR. Abituati a percorrere alle strade della Zona, i bundisti mescolarono prudenza e libertà
d’azione, per utilizzare al meglio le forze rivoluzionarie di quell’area. Essi erano consapevoli del
potere di cui disponevano nei grandi centri, ma erano anche consci che senza i lavoratori russi la
rivoluzione che desideravano non avrebbe avuto luogo.
In concreto, tutti questi dotti ragionamenti ebbero un impatto relativamente lieve nella Zona
tra il febbraio e l’ottobre. I dirigenti di partito, bundisti, menscevichi e bolscevichi, poterono solo
osservare gli eventi e analizzare i propri successi in un secondo momento. Solo in rari casi le loro
posizioni influenzarono le rispettive organizzazioni locali, e solo sui temi di maggiore importanza,
come le elezioni per la Duma (che ogni caso non ebbero grande risonanza se non dopo l’ottobre).
Le organizzazioni socialdemocratiche locali svolsero i propri compiti quanto meglio
poterono, talvolta in aspra competizione, talvolta in stretta collaborazione. Per lo più le prospettive
rivoluzionarie determinarono la fine delle vecchie ruggini, anche se qualche traccia rimase ancora.
In generale, i rapporti tra il Bund e i socialdemocratici lettoni furono gli unici che si possano definire
eccellenti, ma ebbero un’influenza estremamente limitata sul corso degli eventi.
La Sesta Conferenza del Bund, seguendo le raccomandazioni della Conferenza di Riga,
mise l’azione e l’agitazione al primo posto delle priorità del Bund. A tale scopo lo strumento
principale fu la commissione, della quale esistevano due tipi: un organismo federale permanente,
per tenere insieme le organizzazioni socialdemocratiche, e uno temporaneo con i partiti non
socialdemocratici, per coordinare scioperi, dimostrazioni e forze di autodifesa.
La stampa del Bund riporta numerosi episodi di cooperazione tra i gruppi del POSDR e le
organizzazioni locali fino all’ottobre 1905. Essi furono i più diversi: a Dvinsk manifestazioni
congiunte, con i vessilli rossi di ciascun partito a sfilare insieme, a Vilna scioperi politici unitari, a
Mogilev azioni coordinate di autodifesa, e assemblee e manifestazioni congiunte a Smorgon e
Gomel.
Vi sono anche varie tracce di continui dissidi tra i gruppi locali. La relativa debolezza degli
iskristi nelle roccaforti del Bund (i bundisti a livello locale raramente facevano distinzione tra
menscevichi e bolscevichi, anche nel 1905) suscitò le critiche e lo scherno da parte dei bundisti.
Durante uno sciopero a Polotsk, questi ultimi presero in giro i loro compagni socialdemocratici per
essere riusciti soltanto a reclutare soltanto alcuni “ex-bundisti” invece delle tanto attese masse
russe. Analogamente, l’incapacità degli iskristi di coinvolgere grandi numeri di lavoratori negli
scioperi a Kiev, dove i bundisti ebbero successo sebbene la popolazione ebraica fosse
relativamente limitata, provocò altre schermaglie. Dove il POSDR aveva ostacolato i tentativi di
radicamento del Bund, in particolare a Odessa, i bundisti criticarono il partito per lo stato di
debolezza del movimento tra i lavoratori ebrei. A Ekaterinoslav, dove il Bund aveva iniziato a
organizzarsi molto dopo rispetto al POSDR, i bundisti accusarono il partito perché si rifiutava di
cooperare, anche se non aveva ancora coinvolto le masse ebraiche. A volte le recriminazioni si
trasformarono in veri e propri scontri verbali. A Riga, dove vi erano dissapori di vecchia data, sulla
stampa del Bund comparvero rabbiosi attacchi per presunte dirette interferenze.
La medesima commistione di cooperazione e conflitto emerge nelle pubblicazioni
bolsceviche Vpered (Avanti) e Proletarii (Proletario). Il corrispondente del Vpered da Odessa a
gennaio affermò che un accordo temporaneo col Bund era inevitabile, e Piatnitsky, che allora
operava in quella città, parla di tentativi dei bundisti di unire i socialdemocratici. A Minsk il comitato
del POSDR lamentò che il Bund lo aveva informato solo all’ultimo minuto della decisione di uno
sciopero. Vi fu a volte una vera guerra interna, come quando il POSDR, nel tentativo di costringere
il Bund a tenerlo in considerazione, chiese ai propri lavoratori di non partecipare a uno sciopero
convocato dal Bund, che in tal modo sarebbe diventato un’agitazione solamente ebraica,
evocando antagonismi nazionali. La stampa bolsevica riporta anche di alcuni casi di cooperazione
locale, per lo più analoghi a quelli riportati dai periodici del Bund.

212
La maggiore differenza nei resoconti del Bund e degli iskristi sta nell’interpretazione
piuttosto che nei fatti. Sebbene gli iskristi riconoscessero nel Bund un’organizzazione più ampia e
forte, tuttavia lo accusavano di lavorare in modo divisivo ed esclusivo – accusa in linea con il punto
di vista anti-nazionale del POSDR. La critica maggiore da parte del Bund invece riguardava
l’intrusione del POSDR nell’organizzazione dei lavoratori ebrei. I bundisti pretendevano che il
partito organizzasse i lavoratori russi e non quelli ebrei, affermando che in caso contrario esso
avrebbe sprecato molte energie, limitandosi a sottrarre un esiguo numero di lavoratori al Bund. Nel
complesso questa accusa del Bund fu esagerata, in quanto il partito effettivamente nel 1905 si
rivolse ai lavoratori russi, lasciando al Bund il proletariato ebraico.
I report dei mescevichi sono molto simili a quelli dei bundisti, anche se i loro toni sono molto
meno bellicosi di quelli della stampa bundista o bolscevica. Come scrisse un corrispondente
menscevico da Odessa, le due ali del partito avevano più problemi tra di loro di quanti ne avessero
con il Bund. Un altro corrispondente menscevico riportò che un bundista fu inviato a parlare in
rappresentanza dei socialdemocratici a un pranzo di liberali a Vitebsk. Le critiche bundiste rivolte
specificamente ai menscevichi sono rare, essendoci così poca distinzione tra le due ali del partito
da parte dei bundisti locali.
I bundisti e gli altri partiti rivoluzionari. Le relazioni locali tra i bundisti e le organizzazioni
rivoluzionarie russe non socialdemocratiche furono per lo più peggiori di quelle interne al campo
socialdemocratico. Sebbene la militanza SR fosse oggetto di una certa stima da parte dei bundisti,
profonde differenze ideologiche separavano il Bund dal movimento socialista rivoluzionario, e
impedirono rapporti di collaborazione particolarmente stretti.
La comune disponibilità alla lotta fece avvicinare bundisti e SR sul terreno dell’autodifesa e
degli scioperi. In alcuni casi essi lavorarono fianco a fianco, in altri semplicemente si tenevano al
corrente dei reciproci movimenti. I metodi degli SR erano influenzati dalla loro attitudine
terroristica. In caso di voci di pogrom, ad esempio, essi spesso avvertivano gli amministratori locali
che li avrebbero considerati responsabili di eventuali disordini, una mossa che rincuorava gli ebrei
e intimoriva le autorità.
La disputa più seria tra SR e bundisti ebbe luogo a Bialystok, dove un gruppo di militanti di
impostazione anti-intellettuale e terroristica attaccò i bundisti, minacciandoli di morte. Il risultato fu
una sfida a suon di volantini da entrambe le parti, e anche alcuni tentativi di sabotaggio degli
scioperi. Anche altrove i rapporti non furono facili. Gli SR, consapevoli della propria scarsa
consistenza nei centri bundisti, a volte furono restii ad accettare che fosse il Bund a guidare le
forze di autodifesa e gli scioperi, quando il proprio contributo era insignificante. Ma questo
risentimento non turbò particolarmente i bundisti. Gli SR ebbero in generale un ruolo secondario
nella storia del Bund e tra gli ebrei.
Gli anarchici, che avevano costituito piccoli gruppi prima del 1905, ampliarono le proprie
attività nei turbolenti giorni della Rivoluzione. Essi riuscirono ad attirare un certo numero di
lavoratori ebrei disillusi dall’ideologia socialdemocratica del Bund e convinti di distruggere l’ordine
vigente il più presto possibile. I bundisti giudicavano l’azione diretta anarchica futile, specialmente
dopo la conquista delle strade da parte dei lavoratori e la crescita della violenza di massa. A
Bialystok, dove gli anarchici divennero una forza consistente, i loro aderenti organizzarono
scioperi, attaccarono la polizia – talvolta con bombe – e in generale spinsero per l’uso della
violenza in ogni occasione. I bundisti, fedeli alle proprie tattiche socialdemocratiche, discussero
sovente con loro. A seguito dell’arresto di alcuni bundisti in primavera, gli anarchici di Bialystok
arrivarono a spargere la voce che il Bund aveva cessato di esistere.
In maggio gli SR di Bialystok si unirono agli anarchici, formando una consistente porzione
del movimento rivoluzionario in quella città. Le loro violenze raggiunsero il massimo durante una
serie di “espropri”, termine eufemistico per indicare rapine e estorsioni ingiustificate. Per di più,
essi usarono il nome del Bund in alcune loro azioni. I bundisti, infuriati, li giudicarono alla stregua di
teppisti. Ma in generale gli anarchici ebbero sul Bund un’influenza ancor minore degli SR; e
iniziarono a perdere la propria influenza poco dopo l’ottobre.
Importanza molto maggiore per il Bund fu quella dei partiti socialisti polacchi. La definizione
delle posizioni che ebbe luogo a Riga, così come la storia passata, avvicinarono molto il Bund al
SDKPiL (PSD), sebbene il PPS avesse un’influenza molto maggiore tra i lavoratori polacchi. Il
Bund e il PSD avevano in comune l’orientamento unitario coi lavoratori rivoluzionari russi.
Il PPS andò incontro a notevoli tensioni interne come conseguenza della Rivoluzione.
Doveva il partito mantenere il proprio forte indirizzo verso l’indipendenza polacca e l’insurrezione

213
armata, o la solidarietà coi russi e le minoranze nazionali doveva prevalere? Alla conferenza del
Comitato Centrale del PPS, nel marzo 1905, i “giovani”, dissidenti, si schierarono per la seconda
ipotesi. Trasformando la conferenza in un congresso di partito, il Settimo, il PPS rimpiazzò la linea
dell’indipendenza polacca con la richiesta di un’assemblea costituente a Varsavia. Per il Bund,
questa fu un occasione di riavvicinamento. Il PPS stabilì di raggiungere un accordo con il Bund su
questioni pratiche, e il Bund espresse apprezzamento per la nuova linea del partito.
Quando il proletariato polacco scese in strada nel 1905, il Bund si trovò in una posizione
scomoda rispetto ai due partiti. La sua predilezione per il PSD irritò il PPS, e un lavoro congiunto a
tre fu spesso difficile da mettere in atto. In luglio il Bund e il PSD si riunirono in conferenza per
appianare le rispettive distanze. Essi concordarono sull’uso delle lingue native per l’agitazione, e
sul di mantenimento organizzazioni separate. Essi concordarono anche di consultarsi a vicenda
prima di fare accordi con altri partiti che influenzassero il lavoro reciproco. Il PSD cercava
appoggio contro il PPS, il Bund appoggio contro i sionisti laburisti. Pertanto, la conferenza stabilì
esplicitamente che i bundisti avrebbero appoggiato la posizione del PSD sulla partecipazione di
altre organizzazioni polacche alle conferenze internazionali, e i socialdemocratici polacchi
avrebbero sotenuto il Bund contro gli altri partiti ebraici.
I legami del Bund con il PSD produssero un buon livello di cooperazione. Il numero dei
socialdemocratici polacchi crebbe enormemente nel corso dell’anno, passando da poche centinaia
all’inizio del 1905 a circa 30.000 all’inizio del 1906. Come ad altri partiti, i bundisti si unirono al PSD
in scioperi e manifestazioni, sedendo con i suoi rappresentanti nelle commissioni, sia federative
che associative. Particolarmente fruttuosa fu la collaborazione a Lodz.
Nonostante il miglioramento della posizione del PPS nei confronti del Bund, la
cooperazione in questo caso fu difficile da mettere in atto. Un vero tentativo fu compiuto nelle città
maggiori, producendo diverse manifestazioni congiunte o coordinate e un livello di solidarietà
molto più alto di prima. Tuttavia vi fu anche un certo grado di dissapore, con il lancio di accuse da
una parte e dall’altra di lavorare solo per i propri interessi. Più tristi per il Bund furono le occasioni
in cui il clima anti-ebraico dell’epoca spinse il PPS maltrattare verbalmente le proprie sezioni
ebraiche. In tutta onestà, tuttavia, c’è da dire che anche il PSD cadde in questa trappola,
chiedendo al Bund di tenere incontri separati dei lavoratori ebrei; e che alla conferenza dei partiti
socialdemocratici tenutasi a settembre anche il Comitato Centrale del POSDR chiese ai bundisti di
siglare tutti i documenti solo con il termine “Bund”, omettendo “ebraico”. Nulla da stupirsi dunque
se i bundisti mantenessero un certo distacco verso i propri colleghi rivoluzionari.
L’aumento generale del livello di attività dei partiti rivoluzionari non creò problemi al lavoro
del Bund. Pur perdendo il monopolio in alcune città e subendo alcune defezioni a vantaggio delle
fazioni terroristiche, esso continuò a crescere e a mantenere le posizioni. Rimase la forza trainante
dei lavoratori ebrei. Molti centri erano senza ombra di dubbio “città del Bund”, tra di esse Dvinsk,
Vilna e a un certo grado anche Minsk. In altre località, soprattutto le grandi città polacche di
Varsavia e Lodz, che non potevano essere “città del Bund” nel vero senso della parola,
ciononostante esso seppe mobilitare forze consistenti. Il quadro complessivo della Russia del 1905
è caratterizzato da un’enorme espansione delle forze rivoluzionarie, un processo che riguardò il
Bund così come le altre componenti del movimento.

Il Sesto Congresso del Bund. La pubblicazione della bozza del manifesto di Bulygin (19
agosto) aveva alzato la temperatura politica in tutta la Russia, e spinse i bundisti all’azione. Il
Comitato Centrale immediatamente si riunì, e prese due importanti decisioni: il boicottaggio delle
elezioni della Duma e la convocazione di un regolare congresso per definire la linea del Bund nella
fase corrente. Come sede del congresso, il Sesto, fu scelta Zurigo, essendo la Russia ritenuta una
sede troppo pericolosa. Abramovich andò all’estero per fare i preparativi, dopo aver discusso
l’agenda con le organizzazioni locali. Mentre erano in viaggio, i delegati appresero del crescente
conflitto tra i ferrovieri e il governo, e dei preparativi per uno sciopero generale. Alcuni delegati,
Litvak e Rozen tra essi, si scusarono e informarono l’assise di Zurigo che l’urgenza del momento
rendeva impossibile per loro raggiungere i lavori. Comunque 30 delegati, in rappresentanza di 12
comitati e 6 organizzazioni, oltre al Comitato Centrale si riunirono nella città svizzera.
Lo scoppio delle nuove agitazioni in Russia scombussolò i piani del Sesto Congresso, che
ebbe inizio il 26 ottobre. Le notizie del precipitare degli eventi produssero confusione e agitazione
tra i delegati. Molti dirigenti del Bund si ritrovavano lontani dalle rispettive organizzazioni durante la

214
maggiore crisi rivoluzionaria del periodo. Kosovsky sgridò i delegati: “Non è decoroso che a un
Congresso del Bund ci si comporti come degli scolaretti”428.
I nuovi sviluppi portarono a una revisione dell’agenda dei lavori. Le questioni relative alla
tattica furono lasciate in sospeso, poiché come scrive Medem “sarebbe stato inutile impartire
qualunque tipo di direttiva tattica” in quelle circostanze429. Anche altri temi furono omessi,
compreso la discussione sulla Duma, le questioni organizzative, e la maggior parte dei quesiti che
non richiedevano risposte di principio. Così emendata, l’agenda includeva la questione nazionale
(e in particolare quella polacca), i principi territoriali, e il movimento sionista, oltre ai normali
resoconti e alle questioni di routine di ogni congresso. Ciò che doveva essere una profonda
revisione delle tattiche e delle questioni di principio lasciate in sospeso, si risolse con frettolose
risoluzioni. I delegati erano ansiosi di rientrare in Russia.
Il congresso passò comunque alla storia poiché approvò una risoluzione che rappresentava
la fine di un lungo percorso. Sebbene alcuni delegati non avessero cambiato posizione a proposito
della questione nazionale, la grande maggioranza diede il via libera al principio dell’autonomia
nazional culturale, come delineata nel 1901. La risoluzione chiese piena uguaglianza di diritti civili
per gli ebrei, provvedimenti statali che garantissero il diritto degli ebrei di usare la propria lingua nei
rapporti con le istituzioni, e l’autonomia ebraica nelle questioni culturali.
Le altre risoluzioni del Sesto Congresso furono meno importanti. La risposta del Bund alla
questione polacca rimase la medesima: esso non avrebbe accettato l’indipendenza come parte di
un programma socialdemocratico, poiché ciò poteva solo deviare il proletariato polacco, i cui reali
interessi si sarebbero compiuti in uno stato russo democratico con “ampio autogoverno
territoriale”430. Il Bund rimase fermamente socialdemocratico nel proprio approccio verso la
questione polacca, respingendo anche la soluzione di compromesso di un’assemblea costituente
separata per i polacchi. Simili richieste, affermarono i bundisti non erano nell’interesse di un
proletariato le cui forze dovevano essere concentrate nella lotta alla controrivoluzione.
In concreto, l’appoggio del Sesto Congresso all’autonomia nazional culturale non fu un
passo così decisivo come si possa credere. Quel principio, definito in maniera ufficiosa già al
Quarto Congresso, era stato presentato al pubblico dal Comitato Centrale ben prima del Sesto
Congresso, in un volantino del dicembre 1904. Medem suppone che il comitato fu spinto a
compiere quell’atto (tecnicamente irregolare) solo perché percepiva un grande aumento del
desiderio di pieni diritti nazionali da quando si era svolto il Quinto Congresso. I dirigenti del Bund si
attendevano una piena ratifica del loro operato, senza grande opposizione. L’importanza della
risoluzione del Sesto Congresso dunque fu di carattere simbolico. Essa segnò un completamento
dell’ideologia bundista, proprio nel momento in cui l’autocrazia sembrava sul punto di crollare.

428
Bainish Mikhalevich, Zikhroinos fun a Yidishen Sotsialist, 1921 - 29
429
Vladimir Medem, Fun mein Leben, 1923
430
Der Veker, 3 gennaio 1906

215
21. EPILOGO

Il Manifesto di Ottobre e le sue conseguenze. Il Manifesto del 30 ottobre fu l’evento


politico più significativo della Rivoluzione del 1905. Lo Zar, agendo su consiglio di Witte, reagì
all’ondata di disordini e scioperi concedendo ampi diritti ai popoli dell’Impero, incluso l’inviolabilità
personale e la libertà di pensiero, parola, riunione e associazione. Il Manifesto ribadì il principio di
una Duma quale elemento importante nel processo legislativo e accennò all’estensione del voto a
classi non comprese nei precedenti decreti.
Sempre cauti rispetto all’azione alla luce del sole e scettici rispetto agli eventi sensazionali,
molti dirigenti bundisti, e specialmente coloro di ritorno in Russia dal Sesto Congresso, trovarono
difficile credere che un serio cambiamento avesse avuto luogo. Izenshtat giudicò il Manifesto un
trucco della polizia per portare allo scoperto i rivoluzionari, un’opinione condivisa da altri quando il
Comitato Centrale si riunì a inizio novembre. Comunque i bundisti non poterono non riconoscere la
debolezza del governo, che fu evidente nei “giorni di libertà” che seguirono l’annuncio, quando i
vaghi diritti garantiti dal Manifesto furono “applicati” nelle strade. Da un punto di vista pratico, si
trattava ora di stabilire cosa introdurre di nuovo e cosa mantenere di vecchio. Il solo fatto che vi
fosse una discussione in tal senso è indice di una svolta nella storia russa, per quanto la direzione
degli eventi fosse tutt’altro che chiara.
Sia il manifesto che la situazione politica lasciavano intendere quali cambiamenti potessero
avere luogo. Se alcune cose ora erano legali, molte altre chiaramente sarebbero rimaste illegali. Il
passo più pericoloso di tutti, ovviamente, era che il Bund uscisse allo scoperto, e l’organizzazione
decise di restare nella clandestinità. Anche le sue armi più importanti dovevano essere mantenute
e tutelate: le BO, la stampa illegale, i periodici, e il Centro Estero. Nel contempo il Bund pensò di
sperimentare la nuova libertà dotandosi di altri strumenti conformi allo spirito di quei giorni e del
Manifesto.
La stampa parve essere il modo più semplice per saggiare le intenzioni del governo. Il
Comitato Centrale quasi immediatamente decise di creare un quotidiano yiddish a Vilna, Der
Veker, così come un settimanale in russo, Yevreiskii Rabochii (Il Lavoratore Ebreo). L’enorme
compito, che comportava grossi problemi tecnici e letterari (la censura esisteva ancora, e l’avallo
del regime doveva ancora essere ottenuto), fu qualcosa di nuovo nell’esperienza del Bund. Il
Comitato Centrale, ritenendo che tale lavoro dovesse avere la priorità su tutto, dovette
letteralmente mobilitare “tutti i militanti che sapevano tenere una penna in mano”.
A dispetto delle intenzioni del Comitato Centrale, i vecchi organi iniziarono a sparire. Di
Arbeter Shtime non riprese mai più le pubblicazioni (l’ultimo numero fu del settembre 1905); la fine
del principale strumento della stampa clandestina del Bund simbolizzò la fine di un’era. Der Bund
cessò le pubblicazioni nel novembre 1905 e Posledniia Izvestiia nel gennaio 1906.
Uno dei nuovi problemi più urgenti e importanti fu decidere che indirizzo dare alle
organizzazioni operaie. Con il diritto a formare dei sindacati si apriva la possibilità di organizzare i
lavoratori su vasta scala, e l’evidente vantaggio finanziario di avere un ampio numero di iscritti
sembrò un giusto risarcimento per quei lavoratori che avevano lottato così duramente per i primi
dieci mesi dell’anno. Ma i bundisti e i loro compagni rivoluzionari ebbero grossi dubbi ad
appoggiare il movimento sindacale. A parere del Bund, sarebbe poi stato difficile mantenere le
masse fedeli al lavoro rivoluzionario fino al raggiungimento dell’obiettivo finale, una società
socialista. Sebbene il lavoro politico e quello economico fossero nel Bund abbastanza differenziati
dopo il 1902, non vi era una distinzione così chiara a livello individuale, e molti svolgevano
entrambe le attività.
Ai partiti rivoluzionari la scelta sembrò essere tra un sindacato neutrale, senza legami
politici e che accettasse gli iscritti a prescindere dalle idee politiche, e un sindacato legato
ideologicamente e organizzativamente a un dato partito. Nelle province nordoccidentali il POSDR, i
sionisti socialisti e il PPS supportarono lo sviluppo di sindacati neutrali, il Bund invece no.
La maggioranza del bundisti, e alla fine del 1905 il Comitato Centrale, optarono per
sindacati di partito, per ragioni storiche, ideologiche e tattiche. Essi ritennero che lo sviluppo
economico e politico del movimento ebraico era stato un processo parallelo. Per un

216
socialdemocratico la lotta economica era solo parte della lotta di classe generale che sola avrebbe
portato alla piena liberazione del proletariato. I bundisti affermarono che il tradeunionismo avrebbe
condotto all’ “egoismo corporativo”, a concentrarsi su obiettivi limitati e a dimenticare i grandi
obiettivi futuri.
Sul piano pratico, i bundisti furono dell’idea che sindacati diretti dai partiti fossero una
necessità tattica. Poiché la Russia era in una fase di transizione e non vi erano ancora garanzie
politiche, i socialdemocratici non avevano ancora il potere di condurre la propria lotta politica alla
luce del sole. Di conseguenza, il sostegno ai sindacati neutrali avrebbe dato ai democratico-
borghesi l’opportunità di catturare i lavoratori nella propria rete. In breve, i bundisti giudicarono la
vittoria di ottobre come incompleta, e non furono disposti a mettere a rischio i risultati ottenuti
lasciando volontariamente la gestione della situazione al nemico. A loro parere, se la tensione
politica in Russia si fosse abbassata per un certo periodo, i sindacati neutrali avrebbero perso la
coscienza di classe; ma se i tumulti fossero andati avanti (e in dicembre le strade furono di nuovo
invase dai dimostranti) i sindacati sarebbero stati spinti dalle circostanze nella lotta politica, dove
avrebbero quasi certamente subito l’influenza democratico borghese. La lotta politica non partitica
non esisteva, affermò il Bund; tutta l’azione politica in ultima analisi doveva avvenire sotto la
direzione di un partito. Solo il sindacato di partito era ammissibile.
Presto anche l’organizzazione del Bund fu modificata per venire incontro alle nuove
condizioni. Nell’ottica di una democratizzazione attraverso la partecipazione di massa e di una
certa decentralizzazione, la Settima Conferenza (marzo – aprile 1906) attribuì notevoli poteri alla
base del partito. La scelta dei comitati locali, fino ad allora prerogativa del Comitato Centrale, fu
lasciata alle assemblee generali di skhodka e altri organismi locali, che ebbero anche il diritto di
nominare dei delegati per l’imminente Settimo Congresso. Queste scelte indicano che i bundisti
riconobbero almeno un miglioramento nella situazione politica; prima dell’Ottobre non si sarebbero
arrischiati a tali cambiamenti.
Anche i quadri clandestini si adeguarono ai nuovi tempi. Molti sentirono che alcuni compiti
particolari non erano più necessari, e che iniziava l’epoca dei dirigenti carismatici e degli abili
oratori. La moglie di Laibechke Berman lasciò il movimento, per rientrarvi dopo il successo della
controrivoluzione, nel 1907. La descrizione di Medem del clima di quei giorni è calzante: “Una cosa
fu chiara: quest’epoca non era soltanto di tempesta, non solo una rivolta respinta…una nuova era
stava iniziando, una rivoluzione o una mezza rivoluzione, ma pur sempre una rivoluzione”431.
Il regime in realtà fu più resistente di quanto i rivoluzionari avessero supposto, e i bundisti
furono presto alle prese con le sferzate della controrivoluzione. Per gli ebrei il Manifesto di Ottobre
portò con sé una nuova serie di tormenti, con un‘ondata di pogrom l’indomani che andò oltre i livelli
di violenza già perpetrati nei loro confronti. Le aree meridionali del paese, e in particolare Odessa,
furono colpite duramente. La complicità dello stato in questi atti fu in seguito provata al di là di ogni
ragionevole dubbio.
I delegati del Sesto Congresso rientrando in patria incontrarono i profughi dei pogrom di
Ekaterinoslav e Odessa, e a quella vista il loro entusiasmo si spense bruscamente. Come molti,
Medem fu preso dallo sconforto: “Per molti anni avevamo atteso il gran giorno, e quando arrivò fu
inondato da un fiume di sangue ebraico”432. Sorsero i dubbi del periodo post-Kishinev. Isaac
Devenishki, un importante membro del Comitato di Vilna nei giorni seguenti all’annuncio del
Manifesto, disse di aver iniziato a perdere la fiducia nel popolo. I Centoneri furono attivi come non
mai nelle loro azioni dopo l’Ottobre. Alcuni bundisti furono spinti a chiedersi se, nonostante le
promesse del manifesto, il futuro prospettasse tempi bui, e se questo fosse in realtà il segnale
dell’inizio della controrivoluzione.
Molti rivoluzionari però, e i bundisti tra loro, erano convinti che la vittoria di ottobre fosse
solo la prima, e che il governo stesse perdendo il controllo. Nonostante la dolorosa ferita dei
pogrom, i “giorni di libertà” dopo il 30 ottobre furono i più intensi di tutta la Rivoluzione. A Varsavia,
scrisse, Litvak, “la gente si baciava per le strade”. I cattolici organizzarono delle processioni, e
numerosi prigionieri politici furono liberati a furor di popolo (poche settimane dopo vi sarebbe stata
un’amnistia generale nei loro confronti). Il Bund raggiunse l’apice della fama. Devenishki iniziò a
essere indicato come “capo della polizia” di Vilna, e negoziò con il governo sulla presenza
dell’esercito in città. Un altro bundista che divenne famoso fu Shmeun Klevansky, la cui fluente

431
Vladimir Medem, Fun mein Leben, 1923
432
ibidem

217
oratoria riuscì a convincere una folla di migliaia di ferrovieri ostili a Riga. A tal punto che quando
iniziò a parlare venne insultato con l’epiteto “yid”, ebreo, mentre quando finì fu chiamato dagli
astanti “Maksim”, il loro eroe.
L’ultima ondata rivoluzionaria. La continuazione degli scioperi dopo la pubblicazione del
Manifesto contribuì alla sensazione che nuove vittorie fossero all’orizzonte. Sebbene in novembre
il numero degli scioperanti si fosse abbassato, comunque scesero in strada ancora 350.000
lavoratori; e il mese successivo il numero salì a oltre 400.000. Questi numeri erano inferiori a quelli
di ottobre, ma gli scioperi politici furono più numerosi rispetto a quelli che avevano portato al
Manifesto. Per due mesi e mezzo si susseguirono rivolte tra i marinai di Kronstadt e in altre basi
navali, insurrezioni contadine, la proclamazione della legge marziale in Polonia (dove gli scioperi
cessarono bruscamente), e la formazione del Soviet di Pietrogrado. Ogni nuovo accadimento
suscitò grande ottimismo tra i bundisti.
I bundisti lavorarono incessantemente per infondere nei lavoratori ebrei l’entusiasmo
necessario per affrontare una battaglia che sembrava certa. “Abbiamo già respirato l’aria della
libertà” proclamò il Comitato Centrale “e non ci lasceremo sfuggire ciò che ci è costato migliaia di
vittime”433. In una valutazione degli eventi post-ottobre, Der Bund affermò che “una rivolta generale
non è un sogno, ma un atto concreto che può diventare realtà in ogni momento”. Il Manifesto
portava soltanto a una “autocrazia costituzionale”434. L’obiettivo del proletariato e dei
socialdemocratici restava un’assemblea costituente e una repubblica democratica, il che
richiedeva una rivolta armata.
Il punto più alto dell’azione rivoluzionaria dopo l’Ottobre venne in dicembre, quando ebbe
luogo una rivolta di massa a Mosca. Si trattò della più grande esplosione di violenza urbana di tutta
la Rivoluzione. I bundisti cercarono di rispondere al nuovo appello rivoluzionario, il terzo di
quell’anno, ma in questo caso l’esito fu negativo rispetto a gennaio e ottobre. Abramovich
retrospettivamente suggerisce tre ragioni per la ridotta efficacia del Bund: i pogrom, la grande
fatica nel sostenere un’azione rivoluzionaria incessante, e la sensazione tra i dirigenti ebrei che i
lavoratori ebrei non fossero più all’avanguardia, come era stato per molti anni, e che la guida
stesse passando in mano ai lavoratori russi. Le prime due ragioni sono plausibili, la terza invece
sembra essere opinione del solo Abramovich (allora rappresentante del Bund nel Soviet di
Pietrogrado) piuttosto che dei bundisti in generale. Di maggiore importanza fu il fatto che il governo
gradualmente avesse recuperato le forze, e acquisito consenso verso le proprie azioni. In ottobre
quasi tutta la popolazione aveva solidarizzato con gli scioperanti, ma quella simpatia andò
scemando quando le rivendicazioni dei lavoratori si fecero più radicali.
Le Dume. Dando per scontato che l’ondata rivoluzionaria continuasse, i bundisti avevano
ben poche ragioni per accettare la Duma nei termini definiti da Witte. La nuova legge elettorale
varata il 24 dicembre non ammise ancora al voto, tra gli altri, coloro che lavoravano in imprese con
meno di 50 addetti maschi, una misura implicante l’esclusione di un ampio numero di lavoratori
ebrei. Mancando le garanzie che potessero portare a un’assemblea costituente su base realmente
democratica, i bundisti mantennero la linea del boicottaggio. Non si era verificato nulla,
affermarono, che giustificasse un cambiamento di tattica. La Settima Conferenza del Bund, che si
riunì pochi giorni prima della convocazione della Duma il 10 maggio 1906, ribadì la posizione del
boicottaggio sulla base del fatto che la contraddizione tra le forze sociali esistenti in Russia e
l’ordine politico vigente non potessero essere risolte, e che l’esistenza della Duma di per sè
avrebbe indebolito la lotta rivoluzionaria.
A differenza dei partiti dell’estrema sinistra (con l’eccezione dei mescevichi), il campo
liberale accettò il Manifesto di Ottobre, seppure con qualche esitazione. Gli ebrei liberali seguirono
il neonato Partito Costituzionale Democratico (KDP, o cadetti dalle iniziali k-d). Molti non
apprezzarono la legge elettorale del 24 dicembre ma pensarono che, una volta eletti, i
rappresentanti della Duma avrebbero potuto deliberare l’inclusione di coloro che in precedenza
erano stati esclusi. Lo scopo ultimo era screditare il governo e i suoi alleati nell’ottica di riformare la
Duma sulla base di una legge elettorale a suffragio universale.
L’unità degli oppositori al regime a questo punto iniziò a vacillare. I bundisti si rifiutarono di
credere che i liberali potessero o volessero cambiare la Duma dall’interno. In ogni caso, anche
prendendoli in parola, i liberali intendevano cambiare soltanto la legge elettorale. Secondo Der

433
Tsu ale fraie birger, 8 novembre 1905 (Archivio del Bund)
434
Der Bund, 22 novembre 1905

218
Veker, i liberali sarebbero stati invischiati i progetti e controprogetti, e alla fine avrebbero
inevitabilmente dato corpo a un organismo reazionario con sembianze di rappresentanza popolare,
a tutto vantaggio del regime. Se i liberali fossero stati seri, concludeva il giornale, avrebbero
seguito il boicottaggio; ma non erano degni fiducia.
La composizione della Prima Duma fu una sorpresa sia per la sinistra che per la destra.
Dodici ebrei, diversi mescevichi e un certo numero di esponenti di sinistra (di lì a poco noti come
trudoviki) ottennero dei seggi. I cadetti liberali, il partito con più seggi, poteva ottenere la
maggioranza con alcuni voti da sinistra e dalla destra moderata.
Per quanto debole, la Duma era chiaramente un elemento di preoccupazione per il regime.
Riconoscendo ciò, e l’inaspettato carattere liberale dell’assemblea, i bundisti abbandonarono la
tattica di completo boicottaggio e iniziarono a invocare una pressione dal basso per spingere i
deputati a promuovere cambiamenti radicali. Essi credevano che la contraddizione tra l’impotenza
della Duma e le crescenti richieste di cambiamento avrebbe favorito la spinta rivoluzionaria, che
ritenevano ancora assai viva. Il boicottaggio era stato giusto quando era stato lanciato, dissero, ma
ora all’atto pratico occorreva usare la Duma a scopo rivoluzionario.
Il clima nella Duma spinse il governo a scioglierla il 21 luglio 1906, meno di tre mesi dopo la
sua formazione. L’ampio supporto dell’assemblea per riforme agrarie attraverso l’esproprio, e le
richieste dei delegati di una lunga serie di provvedimenti tra cui un migliore trattamento degli ebrei,
fornirono allo stato la giustificazione per tale atto. Nello stesso giorno lo Zar fissò per il 5 marzo
1907 la convocazione di una Seconda Duma.
L’esperienza della Prima Duma aveva convinto i bundisti della necessità di fare uso di essa
per i propri scopi. Su questa base, essi pensarono che la partecipazione alle elezioni per la nuova
Duma potesse essere utile. Al Settimo Congresso, nel settembre 1906, il Bund si accordò con altri
partiti rivoluzionari, inclusi i bolscevichi, per porre fine al boicottaggio e trarre vantaggio dalla nuova
situazione435. Almeno temporaneamente l’attività legale avrebbe avuto la precedenza sulla
rivoluzionae armata.
La fine del boicottaggio significò l’accettazione delle conquiste dell’Ottobre 1905. Le limitate
libertà del 1906 soppiantarono l’ottimismo dell’anno precedente. Nel 1907 nuovi atti repressivi del
regime avrebbero in parte distrutto le conquiste dell’Ottobre, e riportato i bundisti alla clandestinità.

Valutazione finale. Nell’ottobre 1905 il Bund aveva acquisito una formidabile reputazione,
sia nella comunità ebraica che nel campo rivoluzionario dell’Impero russo. Questa posizione era
stata raggiunta grazie alla capacità di fornire risposte ai gravi problemi che attanagliavano non solo
gli ebrei, ma tutti i popoli dell’Impero. I principale problema per gli ebrei alla fine del XIX secolo fu
di adattarsi a una società che iniziava a vivere rapidi cambiamenti economici e di sviluppare una
nuova coscienza politica, pur mantenedo la propria identità. Sebbene il Bund avesse un terreno
comune con altri movimenti ebraici e importanti componenti del movimento rivoluzionario, le sue
risposte a quel problema lo resero una forza distinta rispetto a tutti gli altri gruppi.
Convinti marxisti e residenti nella Russia ebraica, i bundisti individuarono nel lavoratore
ebreo l’elemento chiave della modernizzazione che speravano di raggiungere. Essi lo collocarono
in una posizione duplice. Da una lato lo considerarono come legato da interessi di classe all’intero
proletariato dell’Impero, e videro la sua lotta come parte della generale lotta di classe per il
socialismo; dall’altra parte essi videro la sua identità culturale come elemento fondamentale della
sua vita. In sintesi, i bundisti allo stesso tempo legarono i lavoratori ebrei alla più ampia comunità
proletaria dell’Impero e valorizzarono la loro specificità rispetto agli altri gruppi etnici, cercando per
loro un’identità derivante da entrambi questi aspetti.
Il Bund fu la prima organizzazione nell’Impero russo a focalizzarsi sulla classe operaia
ebraica in maniera specifica, e a organizzarla come una forza in grado di agire autonomamente.
Concentrandosi sui lavoratori e insistendo sull’importanza della lotta di classe, i bundisti ruppero
l’ideologia dominante dell’identità ebraica, secondo la quale vi era un popolo unitario senza
distinzioni. Questo aspetto li mise in conflitto con la maggior parte delle altre organizzazioni
ebraiche, non solo sulla questione cruciale dell’identità ma anche sull’altrettanto cruciale questione
del loro posto nella società. Agli occhi dei sionisti, fautori di un’idea di unità nazionale e territoriale,
i bundisti sembravano trattare gli interessi ebraici in subordine rispetto agli interessi di classe. Agli

435
Nel maggio dello stesso anno il Quarto Congresso del POSDR aveva sancito, almeno formalmente, il rientro del
Bund nel Partito, il quale dunque per un periodo cercò di muoversi come un tutt’uno.

219
occhi dei liberali, l’elemento intellettuale e borghese della società ebraica, i bundisti sembravano
non solo distruggere l’unità degli ebrei ma anche essere portatori di valori democratici solo
parzialmente accettabili, e di valori socialisti totalmente inaccettabili.
Solo i sionisti socialisti, un movimento debole fino al 1905, condivisero la visione bundista
che la classe operaia ebraica fosse il principale fattore della modernizzazione. Ma la grande
differenza tra i due gruppi sull’idea di identità ebraica, e sulla definizione di nazionalità in termini
territoriali, li rese molto distanti, e ne fece degli avversari.
Per quanto riguarda i settori più tradizionali della società ebraica, il Bund apparve come
eretico ai religiosi, contro la legge ai più obbedienti alle regole, pericoloso agli occhi di coloro che
temevano la rappresaglia del regime su tutti gli ebrei, e radicale a coloro che accettavano i valori
sociali tradizionali. Il Bund ruppe i legami con la società tradizionale ebraica più di ogni altra
organizzazione ebraica dell’epoca.
Ciononostante, avendo avuto successo nell’istillare i valori della dignità e
dell’autodeterminazione nel lavoratore ebreo, i bundisti raggiunsero una posizione di leadership
che nessun altro organismo poteva rivendicare. Il Bund fu il leader incontrastato delle attività di
autodifesa quando le comunità ebraiche vennero sottoposte ad attacco, e molti settori di esse
dovettero ringraziarlo di ciò. Inoltre, esso contribuì alla produzione di una coscienza sociale e
politica che divenne parte importante del patrimonio ebraico. Seppure a denti stretti, anche i
sionisti e i liberali riconobbero il ruolo del Bund come guida e organismo di lotta, e gli portarono il
dovuto rispetto anche quando lo criticarono per le sue aspirazioni “erronee”.
Fu l’accettazione del contesto reale come terreno di lotta del lavoratore ebreo che diede al
Bund particolare forza. I lavoratori non dovevano rifutare la propria condizione, né credere che in
un futuro indeterminato avrebbero avuto a disposizione un territorio, nel Vicino Oriente o in
qualche altra parte del mondo. Il Bund offrì loro la possibilità della lotta immediata, e di giocare un
ruolo significativo per la propria emancipazione.
Lo stretto legame del Bund con la vita concreta dei lavoratori ebrei diede al movimento una
grande coesione. Le istituzioni del movimento operaio divennero estensioni della vita dei lavoratori
ebrei, con un nuovo spirito e una nuova organizzazione. Il lavoratori compresero la natura di
queste istituzioni e le fecero proprie, e i bundisti mantennero sempre questo contatto.
Questo profondo legame con il mondo ebraico ebbe comunque dei lati negativi. I bundisti
furono sempre consapevoli che i propri aderenti, inferiori di numero rispetto al proletariato russo,
non potessero dare corpo o portare a compimento grandi eventi, e che il potenziale della classe
operaia ebraica non potesse da solo garantire la rivoluzione. Il grande successo del Bund a livello
locale spesso aumentò l’isolamento del movimento – un fatto che i rivoluzionari di altre nazionalità,
i sionisti e anche il regime zarista notarono, e utilizzarono contro il Bund, ciascuno in vario modo.
Inoltre dopo i primi anni i bundisti dovettero badare a non distruggere gli elementi più deboli
dell’economia artigiana tra gli ebrei.
Il Bund ebbe scarso o nullo supporto da parte delle altre organizzazioni ebraiche che
lavoravano per il cambiamento in Russia, il che ridusse enormemente la sua efficacia.
Controllando solo una piccola parte delle masse potenzialmente rivoluzionarie, il Bund
necessariamente dovette dipendere da altre e più grandi forze per fare ulteriori passi avanti; e in
tali circostanze i bundisti vennero accusati di rinunciare alla propria indipendenza di azione. I
sionisti in particolare attaccarono i bundisti su questo terreno, e sfortunatamente per il Bund il
comportamento dei rivoluzionari russi e polacchi a volte favorì le posizioni sioniste. I sionisti, come
i russi e i polacchi, si consideravano un organismo rivoluzionario indipendente; i bundisti poterono
farlo solo in misura minore.
Né, agli occhi delle altre organizzazioni, l’ideologia marxista dei bundisti rispose in maniera
soddisfacente alla questione dell’identità nazionale. L’autonomia nazional culturale del Bund fu
qualcosa di estremamente moderato rispetto alla visione territorialista e culturalista dei sionisti.
Inoltre, l’autonomia per cui il Bund si batteva era qualcosa di vago. Le soluzioni territoriali erano più
facili da esporre e da comprendere: la soluzione sionista era chiara, anche se lontana dal punto di
vista della fattibilità concreta.
Il problema più difficile per il Bund fu la posizione economica e politica del lavoratore ebreo
in Russia. La vita economica ebraica era in declino, e il lavoratore ebreo, cercando di cogliere i
vantaggi della nuova società industriale, andava incontro a un muro di impedimenti legali e culturali
e di ostilità che rendevano la prospettiva proposta dal Bund poco credibile. L’emigrazione fu il
sintomo della mancanza di fiducia nel futuro in Russia, anche quando la simpatia per il Bund era

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elevata. La costante minaccia di pogrom significava che l’accettazione dell’ebreo come fratello di
classe era lungi dall’essere tale. In tali circostanze, i bundisti non poterono far altro che respingere
la tesi sionista che il problema dell’antisemitismo fosse irrisolvibile, e insistere sulla prospettiva di
lungo periodo dell’educazione e del socialismo.
Il Bund ebbe difficoltà anche a ottenere il sostegno del movimento rivoluzionario in
generale. Nella misura in cui si assunse il compito di organizzare e sobillare i lavoratori ebrei
dell’Impero, i bundisti rappresentarono un elemento fondamentale della socialdemocrazia in
Russia. Ma la volontà di mantenere un’identità organizzativa ed ebraica creò grossi fastidi ai
socialdemocratici russi di impostazione centralista e internazionalista. Come rapportarsi con il
Bund senza riconoscere un’identità futura per gli ebrei divenne un difficile problema per il POSDR,
sollevando questioni nazionali, culturali e organizzative di grande importanza. In questi primi anni,
più di ogni altro partito della socialdemocrazia russa il Bund cercò di dare una soluzione equilibrata
al problema dell’identità nazionale. Grazie al ruolo di primo piano nello sviluppo della
socialdemocrazia russa, il Bund potè giocare un ruolo di pungolo nel ricordare ai russi i doveri
verso le nazionalità – e lo fece pienamente negli anni tra il 1901 e il 1905, sebbene le sue
posizione fossero per lo più ignorate.
Più di ogni altro gruppo socialdemocratico in Russia, fino all’ottobre 1905, il Bund fu
un’organizzazione a carattere di massa; e per questo fu ammirato e studiato, anche dai suoi critici
più aspri. In realtà, l’ammirazione fu spesso riluttante, poiché la forza del Bund non poteva essere
spiegata soltanto in termini di meccanismi organizzativi, per quanto perfetti; è impossibile ignorare
l’aspetto della coesione nazional culturale – quel “surplus” in più di odio contro l’autocrazia e
desiderio di preservare la propria identità, che diede a molti partiti rivoluzionari nazionali un’unità
maggiore rispetto a quella raggiunta dai russi.
La volontà del Bund di combattere per cambiare il mondo fu un elemento piuttosto nuovo
per gli ebrei in Russia. Per migliaia di essi questo organismo fu pioniere della democrazia e del
socialismo, guida verso la modernità e simbolo di un radioso domani. Sorpattutto, esso creò una
generazione di ebrei non più disposti a sopportare il duplice giogo dell’oppressione etnica e di
classe.
Solo per questa ragione il Bund meriterebbe la propria pagina nella storia dei movimenti
rivoluzionari dell’epoca moderna.

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