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BERLUSCONI

Gli affari del Presidente

"Milano è la città in cui un certo Berlusconi di 34 anni costruisce “Milano 2”, cioè mette su un
cantiere che costa 500 milioni al giorno. Chi glieli ha dati? Non si sa. Come è possibile che un
giovanotto di 34 anni come questo Berlusconi abbia un “jet” personale con cui raggiunge nei
Caraibi la sua barca che sarebbe poi una nave oceanografica? Noi saremmo molto curiosi, molto
interessati a sapere dal signor Berlusconi la storia della sua vita: ci racconti come si fa a passare
dall'ago al milione o dal milione ai cento miliardi"

GIORGIO BOCCA Marzo 1976

Introduzione

Nell'autunno del 1993, mentre col collega Mario Guarino lavoravamo alla revisione e
all'aggiornamento del nostro libro Berlusconi. Inchiesta sul signor Tv, il Cavalier Berlusconi
divulgava una delle sue tante amenità attraverso le pagine dì uno dei suoi compiacenti settimanali:
"Fondare un nuovo partito? Ho sempre dichiarato il contrario e questa è la ventesima volta che lo
ripeto. Ma anche stavolta qualcuno farà finta di non aver sentito" 1.

Pochi mesi dopo, cioè nel gennaio 1994, mentre ultimavamo la nuova edizione del nostro
libroinchiesta, previa sceneggiata “amaro calice” lo scaltro Cavaliere “scendeva in campo”
ufficialmente, alla guida del partitosetta FININVEST (detto, con fantasiosità da spogliatoio
calcistico, “Forza Italia”) e alleato coi neofascisti, con l'obiettivo di conquistare il potere politico
alle elezioni del successivo 2728 marzo.

Rispetto alla travagliata prima edizione (marzo 1987), la nuova edizione di Berlusconi. Inchiesta
sul signor Tv, edita nel febbraio 1994, conteneva nuove e gravi notizie in merito ai trascorsi
berlusconiani e all'oscuro divenire del gruppo FININVEST 2, e la sua pubblicazione coincideva3
con l'inizio di una importante campagna elettorale che vedeva l'imprenditore craxiano candidato alla
presidenza del Consiglio. Mentre il nostro libroinchiesta si attestava ai primi posti delle classifiche
dei best seller librari, e mentre editori tedeschi, francesi, spagnoli, scandinavi trattavano i diritti di
edizione nei rispettivi

Paesi, aveva luogo una campagna elettorale nel corso della quale la grande stampa nazionale si
occupava diffusamente del “nuovo” candidato no 1 alla guida del Paese. Così, quotidiani e
settimanali informavano i propri lettorielettori che il Cavaliere ama il risotto, detesta le mani
sudaticce, ha cinque zìe suore e adora la sua mamma, calza scarpe coi rialzo per avere più statura, e
cela le sue rughe in Tv con una calza di nylon posta sull'obiettivo, mentre la sua fedele segretaria
Marinella lo segue sempre dappresso con un beautycase contenente make up capace di tamponare le
crudezze del vero sulla faccia finta del Magnetico Cavaliere; oppure, gli si dedicavano intere pagine
di forbite “analisi” e dotte dissertazioni sociologiche. Una sceneggiata pseudoinformativa,
rivelatrice dell'imminenza di un nuovo regime nel nome e nel segno di un premier già affiliato a una
setta massonica segreta sciolta a norma di legge, riconosciuto colpevole di falsa testimonianza da un
Tribunale della repubblica, già in affari col mandante di un tentato omicidio4, legatissimo al
supercorrotto Bettino Craxi, e organico alla banda politico-affaristica DcPsi; nel nome e nel segno
del capo di un gruppo plurinquisito per corruzione e gravi reati fiscali, dall'oscuro passato azionario
e finanziario, e sul quale gruppo gravano concreti sospetti di collusione con Cosa Nostra.
La sera del 10 febbraio 1994, sono stato invitato alla trasmissione Tv dì Rai 3 “Il Rosso e il Nero”
per parlare del libro. Subito dopo il mio intervento, il soggetto della nostra inchiesta ha fatto una
concitata irruzione via telefono nello studio televisivo. Nel corso del suo vaniloquio5, ha tra l'altro
affermato di avere querelato il nostro libro: ciò è falso, poiché si è limitato a intentare, nel 1987,
una semplice azione civile per “risarcimento danni” (!) a tutt'oggi ancora pendente presso il
Tribunale di Roma; poi, nel tentativo di screditarmi presso i telespettatori, ha sostenuto che sarei già
stato "condannato dai Tribunali italiani": anche questa essendo una falsità, ho provveduto a citare il
Cavaliere in Tribunale.

All'indomani della trasmissione di Rai 3, le reti del tycoon si sono precipitate a lavare l'onta di lesa
maestà. Dal Tg di “Italia 1”, l'avvocato Dotti ha svolto un'estemporanea arringa in difesa del suo
Sommo Cliente, definendo Inchiesta sul signor Tv "libro di ingiurie e di calunnie e di diffamazioni
nei confronti dei dottor Berlusconi"6. La stessa sera, dal podio dì casa Berlusconi “Radio Londra”,
il maestoso trombone della Fininvest Giuliano Ferrara (ex megafono della banda craxiana) non ha
trovato di meglio che definirmi "diffamatore di professione" (ne risponderà pure lui in Tribunale).

Che il Padreterno della Fininvest fosse destinato a diventare un “Intoccabile” del Potere, l'avevamo
compreso fin dal 1986, quando al solo annuncio della prossima pubblicazione del nostro libro
inchiesta venimmo fatti oggetto di pressioni, minacce, diffide.

Dapprima, il clan berlusconiano tentò di corromperci offrendoci denaro e altro in cambio dei diritti
del libro (che così non sarebbe mai stato pubblicato). La Fininvest diffidò poi tutta la stampa
italiana dallo scriverne, querelò a raffica interviste e articoli inerenti il libro (ma mai il libro stesso,
che infatti non è mai stato querelato), e mise in atto pressioni di vario tipo sugli Editori Riuniti
(editori della la edizione) affinché non venisse pubblicato. Così, la nostra Inchiesta sul signor Tv
venne edita dagli Editori Riuniti con sei mesi di ritardo sui tempi previsti; e a dispetto
dell'immediato successo, dopo due ristampe nell'arco di due mesi, la casa editrice del Pci lo eliminò
dal catalogo, e il libro risultò irreperibile.

Alcuni anni dopo, la vicenda del nostro libro è riemersa nell'ambito dell'inchiesta “Mani pulite”. Il 9
settembre 1993, i quotidiani informavano che, in seguito alle dichiarazioni dell'imprenditore librario
Flavio Di Lenardo (secondo il quale vi sarebbe stato un accordo tra la FININVEST e il Pci, avente
tra l'altro per oggetto il nostro libro e un contratto di Publitalia con l'URSS), "oggi su quel libro il
Pm Tiziana Parenti vuole vederci chiaro... Sta indagando sui presunti finanziamenti illeciti al Pci, ed
è su questo che il Pm vuole sentire come teste il “Signor tv” e Fedele Confalonieri... È probabile che
Berlusconi sarà sentito a metà ottobre"7.

Non è dato sapere se il Pm Parenti abbia poi “sentito” il teste Berlusconi per le “mazzette rosse” e i
maneggi intorno al nostro libro; è invece certo che lo ha “sentito” per potere diventare, quattro mesi
dopo, deputata berlusconiana.

Negli Stati Uniti, sempre decantati (a proposito e a sproposito) quale compiuto esempio di
“democrazia avanzata”, i mass media esercitano il ruolo di “controllori” del potere politico.
Nell'ambito dì questa essenziale funzione, la stampa Usa “viviseziona” il Presidente e i suoi ministri
e collaboratori, sondandone il passato e vigilandone il presente, fin dal momento della loro
candidatura (l'accanimento è tale che sì arriva a frugarne perfino il letto...).

Dopo Berlusconi. Inchiesta sul signor Tv, e dopo l'avvento dei rappresentanti della FININVEST
(con contorno di neofascisti) ai vertici dello Stato, ho ritenuto doveroso, come giornalista libero,
proseguire e approfondire l'inchiesta sui trascorsi del presidente del Consiglio Berlusconi, non
diversamente da come avrebbe fatto la stampa “anglosassone” nei leggendari Stati Uniti.
Consapevole come sono che né negli Usa, né in alcun'altra democrazia occidentale, potrebbe mai
accadere che un oscuro miliardario arrivi a insediarsi al vertice del potere politico mediante il
monopolistico controllo, diretto e indiretto, dei mass media.

l. IL PRIMO MIRACOLO ITALIANO

Denaro a Lugano, tangenti a Milano

Con l'aiuto di Dio

Nell'alto dei Cieli

Il silenzio è d'oro

Giustizia e misericordia

Denaro a Lugano, tangenti a Milano

Secondo la menzognera agiografia berlusconiana, la costruzione della “città satellite” Milano 2, nei
primissimi anni Settanta, sarebbe stato il primo “miracolo” compiuto dal Superimprenditore self
made man, il quale, senza disporre di capitali e col solo ausilio della sua straordinaria genialità,
sarebbe riuscito a edificare dal nulla l'avveniristica cittadella.

La realtà dei fatti è assai diversa: quella di Milano 2 e dintorni è una vicenda originata da misteriosi
capitali provenienti dalla Svizzera, scandita da prestanome e espedienti, da irregolarità e abusi una
vicenda accompagnata dal forte sentore dì tangenti e corruttele, e impregnata di collusioni col
potere politico.

***

Il 9 luglio 1963, il conte Leonardo Bonzi, proprietario di un'area di 712.000 metri quadrati a Segrate
(zona est dell'hinterland milanese), stipula col Comune una convenzione edilizia di urbanizzazione:
485.964 mq dell'area vengono destinati a zona residenziale, 114.200 mq a zona industriale, 105.667
mq riservati a verde; 30.000 mq vengono ceduti dal conte Bonzi al Comune. Successivamente
("Non è stato possibile rilevare la data", scriverà in un rapporto la Guardia di Finanza1), il Comune
stipula una seconda convenzione, in base alla quale il conte Bonzi si impegna a cedere al Comune
di Segrate, "senza corrispettivo in denaro", ulteriori 97.995 mq dell'area. In base alle due
convenzioni, dunque, il conte Bonzi cede gratuitamente al Comune segratese 127.995 mq dell'area
da urbanizzare.

Il 18 luglio 1967, il Consiglio comunale approva il Piano regolatore generale del Comune di
Segrate, nell'ambito del quale l'area Bonzi destinata a zona industriale (114.200 mq) viene
modificata da area verde. Ma il 27 giugno 1968, il Consiglio comunale torna sulle proprie decisioni
e delibera che l'area verde ex industriale di 144.200 mq venga destinata anch'essa ad area
residenziale. Intanto, l'organismo consultivo Pim (Piano intercomunale milanese) esprime parere
negativo in merito alla lottizzazione Bonzi, poiché "l'insediamento compromette una zona
delicatissima e di importanza strategica dal punto di vista intercomunale" - l'area, tra l'altro, sorge
infatti a poca distanza dall'aeroporto di Linate.

Il conte Leonardo Bonzi non si occupa di edilizia, né intende occuparsene: stipulando la


convenzione col Comune, mira a “valorizzare” i suoi terreni di Segrate per venderli poi a un prezzo
maggiorato. Dei resto, l'area è disgraziata: confina da un lato col cimitero di Lambrate, dall'altro
con un immondezzaio, e soprattutto è sorvolata dalle fragorose rotte degli aerei che decollano dal
vicino aeroporto di Linate - nessuno al mondo costruirebbe abitazioni in un luogo simile.

Il 25 settembre 1968, nello studio di un notaio milanese, viene costituita la società Edilnord Centri
Residenziali sas di Lidia Borsani & C., capitale sociale di 6 milioni di lire, oggetto dell'attività
"operazioni immobiliari": la Borsani (cugina trentunenne del trentaduenne Silvio Berlusconi, e sua
prestanome) ne è la socia accomandataria, con firma libera per somme inferiori a un milione - per
somme superiori, occorre la preventiva autorizzazione scritta del socio accomandante. Il socio
accomandante, cioè chi conferisce alla società i capitali, è la finanziaria Aktiengesellschaft fúr
Immobilienlagen Ag con sede a Lugano; gli anonimi capitali della finanziaria svizzera sono in parte
depositati presso la International Bank di Zurigo, e pervengono alla Edilnord Centri Residenziali
attraverso la Banca Rasini2.

Il giorno dopo, 26 settembre 1968, la società Edilnord Centri Residenziali sas di Lidia Borsani & C.
acquista dal conte Leonardo Bonzi, pagando la somma di oltre 3 miliardi di lire, l'area di 712.000
metri quadrati situata a Segrate, comprensiva delle convenzioni edilizie col Comune per la
costruzione di 2,5 milioni di metri cubi di "opere di urbanizzazione primaria e secondaria"3.

Coi capitali forniti dalla Aktiengeselìschaft fúr Immobilienlagen Ag4, sull'area segratese
(vendutagli dai Bonzi attraverso la cugina Lidia Borsani) il palazzinaro Berlusconi intende edificare
una cittadella sul modello dell'avveniristica edilizia nordeuropea - una “città satellite” che verrà
chiamata “Milano 2”5.

La Edilnord di Lidia Borsani & C. comunica al Comune di Segrate di avere acquisito la proprietà
dell'area Bonzi, e inoltra subito la proposta di una nuova soluzione planivolumetrica dell'area.

Il 12 maggio 1969, dopo il parere favorevole della Commissione edilizia, il sindaco di Segrate - il
socialista “autonomista”6 Renato Turri - approva il nuovo piano di lottizzazione dell'area ex Bonzi
proposto dalla Edilnord; del resto, già dal precedente 30 aprile il sindaco Turri ha cominciato a
firmare le prime licenze edilizie alla Edilnord Centri Residenziali sas. Ma il 16 settembre 1969, la
Giunta provinciale amministrativa respinge la delibera del 12 maggio; il Consiglio comunale
segratese, revocando la delibera del sindaco, ripristina la convenzione originaria, e perdipiù
limitatamente alla sola parte dell'area in origine a destinazione residenziale (cioè 485.964 mq) - per
la Edilnord e per i suoi piani speculativi è un grave smacco.

Il 15 aprile 1970, Lidia Borsani cessa nelle sue funzioni di prestanome-accomandataria della
“società svizzera” Edilnord; le subentra sua madre Maria Bossi vedova Borsani, zia di Berlusconi. Il
cambiamento di prestanome sembra propiziatorio per il costruttore milanese che si muove
nell'ombra: cinque giorni dopo, il Consiglio comunale, modificando la convenzione Bonzi del
luglio 1963, delibera che i 30.000 mq regalati al Comune divengano di proprietà della Edilnord, la
quale si impegna in cambio a costruire nel complesso Milano 2 "opere edilizie scolastiche".

Intanto, sono in corso serrate e riservate “trattative” per approdare a una nuova convenzione che
consenta alla Edilnord sas di attuare i suoi progetti speculativi. "Occorre avere contatti con le
segreterie provinciali dei partiti, con la Regione... Le segreterie provinciali dei partiti acquistano
una grande importanza nella definizione di queste decisioni... Il potere decisionale reale è delegato
agli organi politici, che hanno potere superiore agli organi tecnici, dì cui possono anche scavalcare
le indicazioni... Le strutture dei partiti diventano i canali reali di mediazione fra i livelli decisionali
locali e intercomunali"7.

Nel gennaio 1971 la Giunta comunale di Segrate (PciPsi, sindaco Turri) entra in crisi, ma la
Edilnord sembra aver già trovato la strada maestra da percorrere per superare le difficoltà che si
frappongono ai suoi disegni. Il 26 marzo 1971, il ministero dei Lavori Pubblici invita il Comune di
Segrate a modificare il Piano regolatore8, e il mese successivo un decreto dei ministero vieta di
edificare la zona segratese ex Bonzi già prevista a verde e modificata in abitativa dal Consiglio
comunale il 27 giugno 1968: ma l'invito del ministero cade nel vuoto, e al decreto ministeriale
"tocca una sorte misteriosa: nei registri del Comune non risulta protocollato e, secondo alcuni
consiglieri, “deve essersi smarrito”"9.

Nel settembre 1971 si insedia la nuova Giunta comunale segratese, di centrosinistra (DcPsi, sindaco
il democristiano Gianfranco Rosa, vicesindaco e assessore all'Urbanistica l'ex sindaco Psi Renato
Turri), e il 29 marzo 1972 "in una sola seduta il Consiglio comunale di Segrate approva tutto: la
nuova Convenzione [proposta dalla Edilnord] e le necessarie varianti del Piano regolatore generale
e del piano di fabbricazione. Rimane sempre in sospeso la questione della Giunta provinciale
amministrativa [organo burocratico, NdA], che ha il potere di bloccare tutto e che già in passato è
stata poco favorevole. Niente paura: pochi giorni dopo, esattamente il lo aprile 1972, la Giunta
provinciale amministrativa cessa di avere competenza sulla materia perché essa viene trasferita alla
Commissione regionale di controllo [organo politico, Nd,4], che in poche settimane approva ogni
cosa senza modifiche e senza inutili discussioni"10.

Nella sala del Consiglio comunale di Segrate sì parla di appartamenti in regalo a socialisti e
democristiani, e del regalo di una villa in Svizzera. Secondo Umberto Dragone (all'epoca
capogruppo del Psi nel Consiglio comunale di Milano), la Edilnord paga alla Dc e al Psi milanesi
tangenti tra il 5 e il 10 per cento sull'ammontare dell'operazione Milano 2. "Vengono concesse alla
Edilnord licenze edilizie in cambio di sostanziose somme di denaro... Qualche appartamento
arredato [di Milano 2] pare sia stato dato gratis ad assessori e tecnici Dc e socialisti. E' certo che
questo regalo lo ha avuto un tecnico del Psi che vive a Milano 2 con una fotomodella11.
"L'Edilnord ha ottenuto la revisione dell'originaria Convenzione ereditata dal Bonzi, sottoscrivendo
il 29 marzo 1972 una vantaggiosissima Convenzione che legittima ogni sua mira speculativa: si è
significativamente appena iniziata la campagna elettorale per le politiche del maggio, e i gruppi
politici dei vari partiti appetiscono, più del solito, finanziamenti e sovvenzioni... [Nella società
Edilnord] vi sono gli interessi del Monte dei Paschi di Siena, serbatoio e feudo del potente gruppo
democristiano capeggiato da Andreotti, e di finanziamenti svizzeri della Aktiengesellschaft für
Immobilienlagen in Residenzzentren Ag, leggi Banca Rasini... Berlusconi capeggia l'Edilnord
sas"12.

Alcuni consiglieri comunali dell'opposizione, e lo stesso capogruppo Dc Filippo Accinni,


denunciano alla Procura della Repubblica il sindaco Rosa e il vicesindaco Turri per "l'uso
continuato di un Programma di Fabbricazione non conforme a quello vigente, e di un Piano
Regolatore generale non conforme a quello in itinere; rilascio di licenze edilizie in contrasto col
P.d.F. veramente vigente; formazione di delibere consiliari con allegati e facenti parte integrante i
citati strumenti urbanistici irregolari; occultamento di atti pubblici". Il capogruppo consiliare
democristiano Filippo Accinni rassegnerà le dimissioni dalla DC "in segno di polemica" per le
corruttele13.
Scossa dal turbine di polemiche sintetizzate nell'espostodenuncia dei consiglieri comunali, la giunta
DcPsi rassegnerà le dimissioni, e a partire dal maggio 1974 l'amministrazione comunale di Segrate
verrà affidata a un commissario prefettizio.

Con la truffaldina delibera della Giunta comunale segratese Dc-Psi del marzo 1972, grazie alla
quale "con un colpo di mano la nuova Giunta [ha portato l'area edificabile della Edilnord] dagli
iniziali 400.000 metri quadrati a 700.000"14, la speculazione edilizia di Milano 2 può dispiegarsi
secondo i piani di Berlusconi e dei suoi anonimi finanziatori. La stessa Giunta esecutiva del Piano
intercomunale milanese, che a suo tempo aveva espresso parere negativo circa la lottizzazione della
zona (ritenuta "di importanza strategica dal punto di vista intercomunale"), l'8 giugno 1972
ratificherà il fatto compiuto: "Non si può che tener conto dell'esistente, e garantirne il
completamento al miglior livello possibile"15.

Forte dei capitali che affluiscono dalla Svizzera, dietro lo schermo societario prima della cugina e
poi della ziaprestanome, protetto dal potere politico milanese (DC e PSI), il palazzinaro Silvio
Berlusconi appalta la costruzione materiale della “cittadella satellite” ad alcune note imprese edili
(le quali spesso subappaltano a loro volta i lavori a piccole imprese e a cottimisti, ricorrendo anche
al “lavoro nero”); colui che diverrà celebre come “costruttore di città”, in realtà non costruisce
nulla: compra aree con capitali “svizzeri”, ottiene licenze, e dopo averne appaltata la realizzazione
si occupa della commercializzazione degli immobili.

E' proprio con la vicenda di Milano 2 (che segue il Centro residenziale di Brugherio16 e precede
Milano 3) che Berlusconi esprime per la prima volta il suo vero, formidabile talento di “persuasivo
interlocutore” del potere politico: non tanto e non solo di sindaci e assessori locali, ma anche e
soprattutto delle segreterie provinciali dei partiti di governo essenzialmente DC e PSI e le loro
“correnti” interne che si sostentano di tangenti ricavate principalmente dall'edilizia (licenze e
appalti). E sono ancora i “contatti eccellenti” col potere politico, anche attraverso il sodalizio con un
losco prete spretato, che consentiranno a Berlusconi di risolvere il grave inconveniente che grava
sulla sua ambiziosa speculazione segratese: le rotte aeree dei velivoli che, decollando dal vicino
aeroporto di Linate, transitano con fragore sul cielo di Milano 2, e rischiano di comprometterne la
commercializzazione.

Con l'aiuto di Dio

La convenzione stipulata nel 1963 dal conte Bonzi col Comune di Segrate era comprensiva di
un'area di 46.000 mq che il conte aveva venduto, nel 1966, a un oscuro Centro assistenza
ospedaliera Monte Tabor di don Luigi Maria Verzé; nel luglio 1967, il compiacente sindaco
segratese Turri aveva poi rilasciato a don Verzé licenza edilizia per la costruzione sull'area di una
clinica geriatrica privata (“Ospedale San Raffaele”). La losca vicenda della clinica segratese e del
suo spregiudicato promotore don Verzé si salda subito con quella di Milano 2 e del suo
spregiudicato (e occulto) promotore Berlusconi, dando luogo a uno scandalo nello scandalo a colpi
di abusi, irregolarità, e soprattutto collusioni politiche.

Don Luigi Verzé (prete “interdetto” dalla Curia milanese il 26 agosto 1964 con "la proibizione di
esercitare il Sacro ministero"17) aveva potuto acquistare l'area del conte Bonzi grazie a un
finanziamento statale di 600 milioni ottenuto attraverso i suoi stretti legami con alcuni leader della
Dc romana18; lo scaltro don Verzé intendeva edificare la sua clinica privata attraverso ulteriori
finanziamenti statali che gli sarebbero pervenuti grazie agli stessi politici19. Berlusconi, per ovvie
ragioni, vedeva con estremo favore il sorgere di una clinica ospedaliera nei pressi di Milano 2; ma
soprattutto, all'ombra dell'iniziativa “cattolicoumanitaria” di un don Verzé cosi ben introdotto nella
Dc romana, sarebbe stato più facile per la Edilnord risolvere il grave problema delle fragorose rotte
aeree nel cielo della zona. Dunque, la Edilnord si assume il compito di "costruire" la clinica del
prete spretato (si occupa cioè di appaltarne la costruzione alle imprese edili che edificheranno
Milano 2).

La costruzione della clinica “Ospedale San Raffaele” è oscura fin dall'inizio: "Non è stato possibile
rilevare la data di inizio dei lavori", scriverà in un rapporto la Guardia di Finanza. Ma la cerimonia
della “posa della prima pietra” avviene il 24 ottobre 1969 alla presenza del sindaco socialista di
Milano Aldo Aniasi è l'avvio di una sequela di irregolarità, abusi, colpi di mano e manovre
sotterranee, che la coppia di affaristi Berlusconidon Verzé attuerà nel segno di “sinergici” interessi
speculativi.

Nel 1970, don Verzé muta il suo Centro di assistenza ospedaliera in “Fondazione religiosa Centro
San Romanello del Monte Tabor”, e nel consiglio di amministrazione della Fondazione trovano
posto politici e imprenditori legati alla Dc; il 15 aprile 1971 il governo del Dc Emilio Colombo
riconosce "la personalità giuridica" della Fondazione, che dunque può essere ammessa a fruire degli
stanziamenti previsti dal Piano regionale ospedaliero. Ma l'assessore alla Sanità della Regione
Lombardia, il De Vittorio Rivolta, poiché il privatistico “ospedale” di don Verzé è estraneo al piano
ospedaliero lombardo, nega alla Fondazione i finanziamenti del Fondo nazionale ospedaliero. Dopo
pressioni, minacce, e tentata corruzione20, l'intraprendente don Verzé e i suoi protettori politici
romani trovano il modo di aggirare l'ostacolo.

Il 25 luglio 1972, con apposito decreto, il ministro della Sanità (il Dc Athos Valsecchi) e il ministro
della Pubblica Istruzione (il Dc Oscar Luigi Scalfaro) riconoscono alla rudimentale clinica privata
di don Verzé l'attestato di "Istituto di ricovero e cura a carattere scientifico": ancorché platealmente
truffaldino (verrà definito "un atto di pirateria politica", dal momento che il sedicente ospedale non
è neppure funzionante), il prestigiosissimo riconoscimento elargito dai due ministri Dc consente
allo spretato affarista democristiano di beneficiare di finanziamenti e agevolazioni varie, e
soprattutto sottrae la sua iniziativa "ospedaliera" alle competenze della Regione. Nel ricorso subito
inoltrato, la Regione Lombardia chiede infatti l'annullamento del decreto ministeriale perché viziato
da "eccesso di potere per difetto di istruttoria, erronea valutazione della realtà, illogicità,
sviamento", e nega che la clinica di don Verzé possa essere qualificata "Istituto a carattere
scientifico": si tratta di un espediente "strumentale rispetto al perseguimento di finalità diverse... 1
fini perseguiti [dall'iniziativa di don Verzé] sono completamente diversi da quelli assunti a base del
decreto di riconoscimento"21.

intanto, dopo che in precedenza la Commissione edilizia segratese aveva respinto JI progetto per
l'edificazione di un secondo lotto ospedaliero perché privo di benestare del medico provinciale e dei
Vigili del Fuoco, nello stesso luglio 1972 la clinica si vede negata l'agibilità perché "il sistema degli
scarichi delle acque non è conforme alle disposizioni del Consorzio di vigilanza igienica, ed è priva
di camera mortuaria".

Il 14 giugno 1973, il rettore dell'Università Statale di Milano, il democristiano Giuseppe


Schiavinato, sottoscrive una truffaldina convenzione tra la Facoltà di Medicina e il sedicente
“Ospedale San Raffaele” un nuovo, proditorio atto di “pirateria politica” tutto interno alla Dc e
mosso da interessi economicoclientelari. "L'obiettivo manifesto del Verzé è di procedere alla
costruzione di altri due mostruosi immobili per una volumetria [equivalente a] più dei doppio di
quella prevista dai piani urbanistici locali... Lo strumentale aggancio all'Università, aggiunto
all'abnorme riconoscimento ministeriale di "Istituto scientifico", potranno ulteriormente sottrarre la
Fondazione e la sua struttura edilizia in territorio milanese ai controlli regionali e a qualunque altro
controllo imposto dalla legge. A questo preciso scopo concordato, il Rettore Schiavinato [firmando
la convenzione ha offerto [a don Verzé], a fondo perduto, finanziamenti, strumenti, strutture,
docenti e personale, prostituendo le esigenze didattiche degli studenti alla speculazione dei gruppi
clericali amici"22.

Il 21 settembre 1973, un'ordinanza dei sindaco di Segrate interrompe la costruzione del secondo
lotto della clinica perché platealmente abusivo: "Nell'ordinanza, dopo aver considerato che la
Fondazione dell'ospedale “ha presentato un progetto di costruzione di ampliamento del secondo
lotto dell'ospedale medesimo e che lo stesso non è risultato, all'esame della Commissione edilizia
comunale, meritevole di approvazione”, si ingiunge la “sospensione immediata dei lavori edili
abusivamente intrapresi”. Circa il motivo per il quale è stata avviata la costruzione del secondo lotto
dell'ospedale senza l'autorizzazione prevista, don Verze' afferma che “secondo accordi verbali presi
con le autorità di Segrate, e di cui possiamo fornire testimonianze, ci fu detto di iniziare pure i
lavori e che la autorizzazione sarebbe giunta in un secondo tempo”"23 . Nell'occasione, l'ineffabile
prete “sospeso” dichiara alla stampa: "Non siamo lo specchietto delle allodole, come qualcuno vuol
vederci, di una grossa società immobiliare [cioè l'Edilnord, N.d.A.]. Siamo solo un ospedale che
vuole portare a termine il suo programma per funzionare sempre meglio".

Il 14 ottobre 1973, l'avvocato Giuseppe Melzi, a nome di un gruppo di studenti della Facoltà di
Medicina dell'Università di Milano, inoltra alla Procura della Repubblica una denuncia a carico del
Rettore Schiavinato e dei ministri Valsecchi e Scalfaro per i reati di peculato, abuso d'ufficio,
interesse privato in atti d'ufficio, falsità ideologica, truffa ai danni dello Stato don Luigi Verzé viene
denunciato per truffa ai danni dello Stato.

Nella denuncia viene ricostruita la vicenda della clinicaospedale San Raffaele, associandola a
tangenti e benemerenze politiche; vi si parla di "complessi e oscuri rapporti clientelari personali e
politici [del rettore] che, intrecciandosi al sedicente Ospedale San Raffaele, coinvolgono diverse
realtà e interessi di potere e economici... [La scandalosa convenzione firmata dal rettore] è una
chiara copertura di interessi politicoeconomici... La storia del San Raffaele si riannoda a quella di
una grossa iniziativa immobiliare a carattere speculativo, nota come "Milano 2" e patrocinata dalla
società Edilnord S.a.s. [dietro cui vi sono capitali svizzeri e interessi bancari democristiani, e
capeggiata da] Berlusconi... Le iniziative e i programmi edificatori di Milano 2 e del San Raffaele
superavano di gran lunga le volumetrie consentite anche dal Piano regolatore del Comune di
Segrate [mal l'Edilnord otteneva una vantaggiosissima convenzione [coincidente con] la campagna
elettorale per le politiche... Le fortune del San Raffaele coincidono in successione cronologica con
quelle di Milano 2 e con tali scadenze elettorali... [Vi sono prove] della collusione tra i due gruppi e
le due iniziative, o meglio, dell'asservimento del San Raffaele ai prevalenti scopi speculativi di
Milano 2... Milano 2 è indubbiamente interessata al connubio tra il San Raffaele e l'Università...
Schiavinato [ha cosi assunto] l'alto patrocinio dell'Edilnord, divenendo il padrino della speculazione
ospedaliera e immobiliare più sfacciata d'Italia ... ". I denuncianti sollecitano "una severa inchiesta
sui vari rapporti e sui vari personaggi ruotanti attorno al San Raffaele, all'Università, e all'iniziativa
Milano 2 [anche considerando] gli indubbi collegamenti speculativi tra l'Ospedale San Raffaele e
l'insediamento edilizio Milano 2, e il coinvolgimento degli uffici ministeriali prima, e
dell'Università poi, aventi come scopo la “valorizzazione” dell'Ospedale e di Milano 2".

La denuncia studentesca, presentata dall'avvocato Melzi, non manca di porre in rilievo la faccenda
più sporca tra le molte che stanno accompagnando la nascita di Milano 2San Raffaele, e che è alla
base del connubio Berlusconidon Verzé: "Quando al confine col San Raffaele inizia anche la
costruzione degli immobili di Milano 2, la combine tra le due iniziative si manifesta pubblicamente
in una comune, incalzante iniziativa mirante a ottenere lo spostamento delle rotte aeree, per la
ulteriore “valorizzazione” iniziativa immobiliare".

Nell'alto dei Cieli


Nella seconda metà degli anni Sessanta, l'aeroporto milanese di Linate aveva registrato un forte
incremento del traffico aereo: se nel 1961 dall'aerostazione decollavano 35 aerei al giorno, nel 1967
i decolli erano già 63 (dei quali 33 di jet), e due anni dopo erano saliti a 75 (con 65 jet)24. 1 potenti
e fragorosi aviogetti decollavano lungo l'asse SudNord, e l'incremento dei decolli aveva determinato
un progressivo aumento dell'inquinamento acustico a danno dei circa 10.000 residenti nella fascia
orientale del Comune di Segrate e degli abitanti dei comuni limitrofi.

Il 24 luglio 1969, la Direzione generale dell'Aviazione Civile (Civilavia) aveva emanato una prima
direttiva di regolamentazione dei corridoi di decollo da Linate; con la sigla “Notam”25 e il numero
d'ordine “AIII/69”, la disposizione stabiliva che subito dopo il decollo gli aerei procedessero dritti
lungo la rotta Sud-Nord, per poi virare a un'altezza di 3.6005.000 metri (a seconda del tipo di
aeromobile) dal punto di stacco: in tal modo, i jet evitavano gli abitati di Segrate, San Felice,
Vimodrone, Cologno e Brughiero, e sorvolavano la disabitata zona verde del conte Bonzi posta
oltre il confine orientale del Comune di Segrate.

L'area Bonzi sorvolata dal luglio 1969 è da qualche mese di proprietà della Edilnord Centri
Residenziali che intende costruirvi una cittadella. Secondo la Convenzione di Chicago sulla
Aviazione civile (che tra l'altro definisce le “servitù aeroportuali”), tale area posta proprio sull'asse
della pista n° 36 di Linate, e a pochi chilometri dall'aerostazione dovrebbe essere considerata
“inabitabile” e destinata a “zona verde”; anche per questa ragione, nel 1967 il Piano Intercomunale
Milanese si era chiaramente pronunciato contro la lottizzazione urbanistica dell'area Bonzi26.

Ma Berlusconi sembra ritenere la grave questione un problema ininfluente, e alla fine del 1970
l'edificazione di Milano 2 procede spedita sotto il costante fragore dei jet che sorvolano l'area
ridicolizzando lo slogan commerciale di Milano 2 "un'oasi di pace ai confini della città". In realtà, è
già operante il sodalizio Edilnord don Verzé, attraverso il quale, al più presto, si potrà “ripulire” il
cielo della zona dal micidiale inquinamento acustico: in quale Paese al mondo sarebbero ammessi
decolli aerei a ridosso di un ospedale?

Milano 2 conta circa 200 abitanti, quando, il 24 giugno 1971, il duo Berlusconidon Verzé inoltra al
ministero dei Trasporti una petizione: primi firmatari lo stesso don Luigi Verzé e Maria Bossi
vedova Borsani (zia di Berlusconi e sua prestanome nella Edilnord), la petizione sollecita
"immediati provvedimenti" per salvaguardare la quiete dei "cittadini"27 di Milano 2, e dei "degenti"
dell'Ospedale San Raffaele "che inizierà la sua attività nel luglio 1971 e che nel prossimo futuro
raggiungerà la potenzialità di 600 letti".

Con inopinata e sospetta tempestività, la direzione di Civilavia asseconda le “futuribili” esigenze


del potente binomio Edilnord San Raffaele: il 15 dicembre 1971, emanai “Notam A267/71” (che
entrerà in vigore il successivo 15 gennaio): “l'Avviso” dispone un dirottamento del corridoio di
uscita da Linate, allontanandolo "di circa 700 metri dal limite orientale della zona interessata (“San
Romanello”)"28. Coi nuovo “Notam”, la rotta diretta a Nord evita le zone di proprietà della
Edilnord con le sue poche centinaia di residenti, ma determina un aggravio dell'inquinamento,
acustico ai danni delle decine di migliaia di abitanti dei comuni di Segrate, Vímodrone, Cologno e
Brughiero.

Disposto quale semplice “aggiustamento tecnico”, il repentino dirottamento conseguito dal duo
Berlusconidon Verzé suscita la protesta dei piloti associati all'ANPAC (il maggiore sindacato
autonomo di categoria) e della direzione dell'ALITALIA: le nuove procedure di decollo, infatti,
comportano una drastica diminuzione dell'altitudine di virata dal punto di stacco dal suolo, con
conseguente riduzione dei margini di sicurezza. Civilavia deve quindi rivedere le disposizioni, e il
30 marzo 1972, col “Notam A107/72”, recepisce le obiezioni dei piloti e della compagnia di
bandiera nazionale.

Solo un mese dopo, al fine di “stabilizzare” in via definitiva la delicata questione delle rotte da
Linate, Civílavia, con il “Notam A128/72” (in vigore dal 25 maggio), allontana ulteriormente il
corridoio di decollo dall'area Milano 2Ospedale San Raffaele stabilendo che gli aerei seguano una
rotta di 010° in direzione Est fino all'attitudine di 2.000 piedi (poco più di 600 metri).

Ma la nuova disposizione “ispirata” da Berlusconidon Verzé danneggia gravemente la tranquillità


acustica degli abitanti di Segrate, e nel comune, a giugno, si forma il Comitato antirumore segratese
(Cas). Il Cas promuove una petizione popolare, raccogliendo oltre 3.000 firme in calce a una serie
di richieste, prima fra tutte il ripristino delle rotte in vigore fino al 1971. Il successivo 15 settembre
1972, una rappresentanza del Consiglio comunale di Segrate si reca a Roma, presso la direzione di
Civilavia, e ottiene una sensibile modifica della quota di virata, ratificata dal nuovo “Notam
A282/72” del 26 settembre 197229; nel cielo di Segrate e dei comuni della fascia settentrionale
torna la quiete, ma la berlusconiana Edilnord prepara la reazione.

Il 13 settembre 1972, gli sparuti abitanti di Milano 2 vengono allertati con un manifestoappello da
adunata: "A tutti gli abitanti di “Milano 2” L'Edilnord, nel reciproco interesse, chiede "una mano"
per risolvere alcuni dei problemi che intralciano “il cammino” di Milano 2. Il problema più attuale è
quello del passaggio degli aerei sopra il nostro quartiere. A Segrate si è da tempo costituito un
"Comitato Antirumore" [ ... ]. Dobbiamo a nostra volta formare un Comitato Antirumore per
sostenere che detti aerei debbano seguire una rotta leggermente spostata (8°) ad Est, come è
avvenuto per un certo periodo [ ... ]". A ottobre, prende forma il nuovo strumento di pressione
berlusconiano: coi pomposo appellativo di “Comitato intercomunale antirumore” (CIA), animato e
guidato da un ambiguo personaggio come Marcello Di Tondo30 il berlusconiano CIA riesce a
formare un gruppo di pressione che vede momentaneamente alleati otto comuni dell'hinterland
settentrionale (Brughiero, Vimodrone, Cernusco sul Naviglio, Cologno Monzese, Cassina
de'Pecchi, Carugate, Bussero e Pessano con Bornago) una lobby eterodiretta il cui reale obiettivo è
la salvaguardia della multimiliardaria speculazione edilizia della “svizzera” Edilnord.

A Roma, il berlusconiano CIA ha un esplicito santo in paradiso nella persona del deputato Dc
Egidio Carenini (futuro “fratello” di Berlusconi nella Loggia P2, e intimo amico del Venerabile
maestro Licio Gelli). E a Roma, il 13 marzo 1973, la direzione di Civilavia convoca un vertice
dedicato alla questione delle rotte da Linate: vi prendono parte l'on. Carenini, esponenti del Cia, i
direttori dei quattro ospedali dei comuni settentrionali, funzionari del ministero della Difesa
responsabili dei controllo aereo, dirigenti dell'Alitalia, e don Luigi Verzé in persona31 . Secondo un
esponente del Comitato antirumore segratese, nel corso di tale riunione vengono utilizzate carte
topografiche per Segrate e Pioltello risalenti al 1848, per Milano 2 (edificata solo al 25 per cento)
complete come se la cittadella fosse già stata ultimata.

I risultati del vertice romano si concretizzano il successivo 30 agosto, quando Civilavia emette il
“Notam A235/73” (che entra in vigore il 15 settembre, previa parziale modifica il 7 settembre): la
nuova rotta di decollo ha la prioritaria cura di evitare l'area di Berlusconidon Verzé, e stabilisce una
direttrice lungo la “radiale 244”, che passa dritta sopra il municipio di Segrate aggravando cosi
l'inquinamento acustico anche nel cielo di Pioltello, Limito e San Felice.

Per la berlusconiana Edilnord è una vittoria sul campo, celebrata da un volantino diffuso dalla
cosiddetta “Associazione dei residenti di Milano 2”: "[ ... ] I risultati della lunga e difficile azione
sono facilmente constatabili, e vanno a premiare gli sforzi di chi ha creduto ed aiutato l'impegno
civile dei Comuni e delle Amministrazioni Ospedaliere che si sono battuti per raggiungere gli
attuali risultati"32. Ma la vittoria berlusconiana è a scapito anzitutto degli otto comuni settentrionali
che pure si erano “alleati” al Cia: in seguito al “Notam A235/73”, essi accusano la EdilnordMilano
2 di strumentalizzazione per interessi di parte. Penalizzati dal nuovo provvedimento sono anche i
piloti aerei, i quali esprimono la loro ostilità alle nuove direttive di decollo (quelli dell'Alitalia
segnalano la pericolosità della virata "a coltello" necessaria per rispettare la “radiale 244”, mentre
quelli dell'Air France e della Klin affermano trattarsi di una rotta praticabile solo per decolli a
vuoto, con aeromobili di piccola stazza, e in condizioni metereologiche pressoché perfette). La
vicenda assume sempre più i connotati dello scandalo la stampa locale scrive di "“Dirottamenti”
aerei coi sistema della mafia"33.

IL 2 agosto 1973, l'avvocato Raffaele Della Valle inoltra alla Pretura di Monza un esposto con il
quale, premesse alcune considerazioni di ordine generale sulla "politica urbanistica quantomeno
imprevidente" che ha consentito insediamenti come quello di Milano 2 in zone originariamente
comprese nel piano di volo "degli aerei in partenza da Linate", denuncia "un vero e proprio
bombardamento del frastuono dei jet, dalle primissime ore dei mattino a notte inoltrata, nel
territorio del Comune di Brughiero", e chiede al Pretore di procedere "giudizialmente a carico dei
responsabili per il reato previsto e punito dall'art. 659 Cp."34.

Nell'ottobre 1973, il Comitato antirumore segratese inoltra un esposto alla magistratura in merito al
dirottamento dei voli in partenza da Linate, e sollecita un'inchiesta relativa agli "strumenti
urbanistici predisposti negli ultimi anni dal Comune di Segrate, con specifico riferimento
all'insediamento chiamato "Milano 2", e circa le autorizzazioni concesse perfino per la costruzione
di un "Istituto di ricovero e cura" San Raffaele [benché la zona fosse gravata da servitù aeree]". Una
mozione assembleare firmata dal Comitato segratese (e approvata all'unanimità dalla cittadinanza),
chiede "che il ministro della Pubblica Istruzione e quello della Sanità revochino congiuntamente la
qualifica di “Istituto a carattere scientifico” accordata al sedicente Ospedale San Raffaele... E' infatti
noto a tutti i Segratesi che il suddetto Istituto, sorto in aperto contrasto con la programmazione
ospedaliera regionale, non svolge né attività ospedaliera né attività di ricerca scientifica, ma esercita
una mera attività di ricovero di mutuati e solventi [come] una casa di cura privata... Altrettanto nota
a tutti è la funzione di specchietto per le allodole" che tale Istituto ha giocato nella questione del
cambiamento delle rotte degli aerei... L'assemblea dei cittadini di Segrate invita pressantemente la
Procura della Repubblica di Milano a dare corso alle indagini necessarie per accertare quali reati
siano stati commessi in tutti i fatti connessi con l'insediamento del quartiere "Milano 2" e con i
cambiamenti delle rotte. Questo, al fine di impedire che gli abitanti di Segrate siano vittime di un
incredibile sopruso destinato a far arricchire squallidi personaggi dalla smodata vocazione
speculativa".

Ma la Edilnord prosegue il suo incessante lavoro manipolatorio. Verso la fine del 1973, viene fatto
circolare un,ponderoso “studio scientifico” sul problema delle rotte: attribuito al prestigioso
Politecnico di Milano, “l'inparziale" studio indica nell'ultimo “Notam” del 1973 la “soluzione
ottimale” dell'inquinamento acustico a Segrate soluzione che, manco a dirlo, è quella vagheggiata
dalla berlusconiana “immobiliare svizzera” Edilnord. L'inganno durerà solo qualche mese: la
presidenza del Politecnico scoprirà che lo studio era stato commissionato dalla stessa Edilnord, con
“incarico privato”, a un gruppo di docenti dell'Istituto capeggiati dall'ing. Giovanni Da Rios i
docenti coinvolti nella truffaldina iniziativa si vedranno costretti, per evitare l'espulsione
dall'Istituto, a pubbliche scuse e a eliminare dallo studio proEdilnord ogni riferimento al
Politecnico.

Il silenzio è d'oro
Le vicende che a partire dal 1968 e fino a metà anni Settanta accompagnano il sorgere della "città
satellite" Milano 2 danno luogo al più grave scandalo urbanistico che si sia mai verificato
nell'hinterland milanese. L'operato di una strana società edilizia come la Edilnord (anonimi capitali
svizzeri, un enorme potere finanziario, e il vero promotore, tale Silvio Berlusconi nascosto da
prestanome) finisce sulle pagine locali dei quotidiani milanesi insieme alle scorrerie di don Luigi
Verzé, approdando poi nelle aule dei tribunali.

I mille volti della speculazione edilizia: a Segrate, 50. 000 persone ci rimettono la salute con lo
spostamento dei corridoi aerei, titola "il manifesto" nell'agosto 1973: "La Edilnord è riuscita a
mobilitare gli abitanti dei paesi limitrofi a "Milano 2" ed è andata a Roma alla testa di un finto
"Comitato intercomunale antirumore" a contrattare le rotte aeree... Il terreno [dove sorge "Milano 2]
è stato acquistato per un tozzo di pane, e gli appartamenti vengono venduti [dalla Edilnord] a prezzi
astronomici ... ".Per portare avanti la speculazione che si chiama Milano 2", prima rendono sordi i
Segratesi con i jet, ora li vogliono appestare con un immondezzaio: "Ci sono dentro tutti, la
Regione, i democristiani e anche i socialisti... Ma la più sporca di tutte l'ha fatta il Vaticano che, con
l'aiuto economico delle banche svizzere, ha appoggiato l'operazione "Milano 2" con l'insediamento
nella zona dell'Ospedale San Raffaele [...]. Intorno al villaggio di lusso "Milano 2" si sta
"purificando" tutto, per garantire che nulla turbi il pacifico insediamento dei "cittadini di prima
classe". C'è ad esempio una questione di fognatura: da oltre vent'anni nella zona adiacente quella
che avrebbe ospitato “Milano 2” c'è il deposito di immondizie dell'Amministrazione nettezza
urbana. E' evidente che questo deposito verrà spostato d'autorità, su questo non ci sono dubbi. Quel
che invece resta da discutere è “dove” lo si deve trasferire, visto che la zona è ormai tutta abitata ...
"35.

Il settimanale “Il Mondo” del 4 ottobre 1973, sotto il titolo Le rotte di cemento, scrive: "In un Paese
come l'Italia, distribuendo qualche bustarella è possibile riuscire a spostare le rotte aeree [dallo
scalo di Linate Appurarlo non è certo facile, perché i protagonisti di tali vicende amano la
discrezione [...]. Un'inchiesta del Pretore di Monza ha preso le mosse [dai rumori delle rotte] ma si è
presto estesa al tematabù delle licenze edilizie e della speculazione sulle aree fabbricabili... Per ora
al centro delle indagini [c'è] “Milano 2”, un complesso residenziale ultramoderno costruito alla
periferia della città dalla società Edilnord, ufficialmente controllata da una finanziaria svizzera [...].
Nel dopoguerra, spiegano gli urbanisti, per ottenere dall'amministrazione comunale le licenze
edilizie era necessario ungere le casse dei partiti... Negli anni Sessanta, per ottenere le licenze i
costruttori dovevano versare una tangente nelle casse dei partiti che controllavano la Giunta […].
Nelle immediate vicinanze dell'aeroporto di Linate sta nascendo (Milano 2), una piccola città di 9
mila abitanti che sarà ultimata nel 1975... Dei 2.500 appartamenti previsti, finora ne sono stati
costruiti circa un terzo, e ne sono stati venduti circa 600; l'operazione, quindi, è in una fase
estremamente delicata. Secondo il "Comitato antirumore" di Segrate, la Edilnord sarebbe riuscita a
far deviare le rotte degli aerei che decollano da Linate, per poter continuare a vendere i propri
appartamenti: che sono passati da 130 mila lire al metro quadrato, a 280 mila lire [...]. Alcuni anni
fa, sul territorio di "Milano 2", è stato costruito un "ospedale" in mezzo ai prati, retto da don Verzé,
un curioso prete spretato... Questo "ospedale", secondo gli abitanti di Segrate, avrebbe permesso
all'Edilnord di ottenere da Roma il recente mutamento delle rotte aeree: infatti, nelle carte di volo
fornite ai piloti dell'ALITALIA, la macchia nera della lottizzazione di "Milano 2" reca la scritta
“Hospital” come se l'intera area fosse zona ospedaliera anziché un colossale condominio di lusso
Ma probabilmente la verità non verrà mai a galla"

Nel dicembre del 1973, il quotidiano socialista "Avanti!" informa: "II Pretore di Monza che sta
conducendo l'inchiesta [sul dirottamento dei voli aerei da Linate] ha chiesto alla Procura della
Repubblica di Milano di incriminare [per corruzione, abuso e omissione di atti d'ufficio] il rettore
dell'Università Statale Giuseppe Schiavinato, l'assessore regionale all'Ecologia Filippo Bertani, il
sindaco di Segrate Gianfranco Rosa, e il direttore dell'Ospedale San Raffaele don Luigi Verzé. Nel
corso dell'inchiesta, infatti, il magistrato ha rilevato una serie di irregolarità nella costruzione della
clinica che si trova nel territorio del Comune di Segrate e che è stata costruita dopo una
convenzione tra l'Università di Stato e il Verzé".

Il “Corriere della Sera” del 18 aprile 1974 scrive: "Un presunto tentativo di corruzione nei confronti
dell'assessore regionale alla Sanità Vittorio Rivolta è oggetto di un'inchiesta giudiziaria da parte
della Procura della Repubblica. La magistratura ha inviato nei giorni scorsi un avviso di
procedimento a don Luigi Maria Verzé, direttore dell'ospedale San Raffaele di Segrate, per
informare il religioso che sul suo conto sono in corso accertamenti a proposito di illecite attività che
sarebbero state svolte in relazione alle richieste di finanziamenti per il nosocomio. In pratica, la
Procura della Repubblica sta cercando di stabilire se corrisponde al vero che don Verzé, in
occasione di un incontro avuto con Rivolta, abbia sollecitato un contributo di circa due miliardi di
lire da parte della Regione a favore del San Raffaele (promettendo all'assessore) in cambio il 5 per
cento dell'intero importo, vale a dire qualche cosa come cento milioni".

In data 25 giugno 1974, il quotidiano “Il Giorno” informa che "il pretore milanese Francesco
Dettori ha inviato un avviso di procedimento a 14 ex consiglieri del Comune di Segrate (che è
attualmente retto da un commissario prefettizio) per il reato di omissione di atti d'ufficio; la notifica
dice testualmente: 'Per aver indebitamente omesso di adottare le controdeduzioni alle proposte di
modifica del Piano regolatore generale del ministero dei Lavori Pubblici entro 90 giorni dalla
comunicazione di dette proposte, pervenuta il 2 febbraio 1971". E una grana grossa [...] che investe
tutta la storia del Piano regolatore di Segrate in barba al quale sono nati e cresciuti i centri
residenziali [...]. Una perizia sulla( convenzione stipulata tra il Comune e l'Edilnord ) concluse che
nell'operato dell'ex sindaco Renato Turri potevano ravvisarsi gli estremi per il reato di abuso di
autorità in atti d'ufficio; la Giunta presentò un esposto alla Procura: è li che dorme ... ".

Nell'edizione dei 27 giugno 1974, 1l Giorno" scrive: "II commissario prefettizio, dottor Ajello, si è
rifiutato di rilasciare le 3 licenze (le ultime) richieste dall'impresa costruttrice di Milano 2, perché
sono in contrasto con le norme di rispetto cimiteriale. Il cimitero è quello di Lambrate: per tre lati
confina col territorio del Comune di Milano e per un lato con quello di Segrate. La zona di rispetto è
di 200 metri: i costruttori di Milano 2, che sorge nel lato segratese, avrebbero voluto ridurla a 100
metri, ma ciò non è possibile. La società Edilnord ha criticato il commissario prefettizio [e poiché il
commissario è irremovibile, la Edilnord ha stabilito che] in mancanza delle licenze, non
[consegnerà] in tempo utile gli edifici scolastici. Risultato: disagio della popolazione di Milano 2,
perché si dovrebbe addivenire all'adozione dei doppi turni, eccetera. A questo punto la vertenza si fa
calda: c'è qualcuno che ha proposto per constatare la buona fede della società costruttrice di
eseguire una verifica delle cubature finora realizzate a Milano 2 e che dovrebbero ammontare
secondo la convenzione a un milione e 400.000 metri cubi: secondo quel qualcuno potrebbero
saltare fuori differenze sconcertanti, sia per la parte quantitativa (il numero dei metri cubi oltre la
prima soletta) sia per l'aspetto qualitativo (cioè l'accorgimento tecnico con cui si sarebbe saltato il
"fosso" della delibera comunale)".

Il settimanale milanese “L 'Ambrosiano”, nel dicembre del 1974, scrive: "La vita del villaggio
residenziale “Milano 2” continua a interessare le cronache giudiziarie. 1 cittadini di Segrate
accusano la Edilnord di aver ottenuto, con abusi e irregolarità, il dirottamento degli aerei in decollo
da Linate dal cielo di "Milano 2" a quello di Segrate. Inoltre, i clienti di "Milano 2" accusano la
stessa Edilnord di aver alterato, con incrementi fino al 61 per cento, i prezzi di acquisto [degli
appartamenti, espressi in franchi svizzeri] a suo tempo stipulati: cosi, mentre il Tribunale non ha
ancora chiuso il capitolo del “dirottamento all'italiana”, ecco aprirsi una nuova vicenda che
difficilmente si concluderà fuori dalle aule giudiziarie. Nello scandalo di “Milano 2” sono coinvolti
i partiti politici che vanno per la maggiore, uomini politici di grosso e piccolo calibro, e perfino un
prete spretato, direttore della clinica San Raffaele che è lo specchietto per le allodole al servizio
della Edilnord".

Il "Corriere della Sera" del 12 febbraio 1975 scrive: "L'ex sindaco di Segrate, il democristiano
Gianfranco Rosa, il legale rappresentante della Edilnord Giorgio Dall'Oglio [fratello della prima
moglie di Berlusconi, N.d.A.], e il direttore dei lavori della stessa Edilnord, sono stati indiziati di
reato in relazione a una serie di illeciti edilizi. Il primo dovrà rispondere di abuso continuato in atti
d'ufficio, mentre gli altri due hanno ricevuto mandati di comparizione per “uso di licenza edilizia
illegittima” Il Comune di Segrate aveva stipulato un accordo con l'impresa di costruzioni Edilnord
(a capitale svizzero), e per approvare la convenzione vennero modificate (dalla sola Giunta, senza
cioè presentarle al Consiglio) le previsioni del Piano regolatore generale e del Piano di
fabbricazione vigente. (La costruzione di Milano 2) avrebbe cosi usurpato anche parte del terreno
destinato ad ampliare il "polmone verde" del Parco Lambro [ ... ]. 1 rappresentanti della Edi1nord si
sono sempre difesi affermando di aver avuto regolare licenza edilizia, ma il pretore Francesco
Dettori ha emesso gli avvisi di reato in base all'art. 31 della "Legge ponte", secondo la quale le
imprese edili e i loro direttori dei lavori sono tenuti a conoscere la normativa edilizia e le
disposizioni di legge in materia urbanistica".

Il “Corriere d'Informazione” del 20 marzo 1975 scrive: "II commissario prefettizio dottor Ajello,
che sostituisce il sindaco di Segrate, ha sospeso la concessione delle licenze di abitabilità nelle
nuove case di Milano 2 Questo significa che al momento gli abitanti di Milano 2 non hanno la
sicurezza di ottenere la promessa esenzione fiscale venticinquennale sugli immobili, che è
subordinata, appunto, alla classificazione delle case: se venissero giudicate abitazioni di lusso, per i
proprietari si profilerebbe il pagamento di tasse per un ammontare non trascurabile. Toccati nel lato
debole il portafogli gli abitanti del quartiere più chiacchierato Lombardia hanno reagito, gettando
cosi benzina sul fuoco polemiche che coinvolgono interessi politici oltre che economici. Il chiasso
che si è creato intorno al caso di Milano 2 non giova certo alla chiarezza (né favorisce il compito
del pretore Francesco Dettori, incaricato dell'inchiesta). E forse proprio per questo il magistrato ha
sospeso l'esecuzione dell'ordinanza che la scorsa settimana aveva redatto e con la quale intendeva
mettere sotto sigillo le case sorte in luogo delle fabbriche grazie alla variante (oggetto delle
indagini) al programma di fabbricazione".

Il 20 giugno 1975, il "Corriere della Sera" informa che "la Pretura penale ha deciso di trasmettere
alla Procura della Repubblica tutti gli atti relativi al generale Paolo Moci, il direttore generale
dell'Aviazione civile che è il responsabile delle rotte imposte agli aerei. Tale decisione è stata presa
a conclusione di un processo, avvenuto alla Terza sezione penale davanti al Pretore Massimo
Amodio, nel quale il generale Moci - era imputato del reato previsto dall'articolo 659 del Codice
penale. “Predisponendo [nuove] rotte e orari di decollo e di atterraggio degli aerei diceva la
denuncia aveva organizzato l'esercizio di un mestiere rumoroso, in violazione dei regolamenti
comunali dei comuni di Segrate, San Donato, San Giuliano e Pioltello”. La denuncia accennava
anche a manovre speculative, intese ad aumentare il valore dei terreni sui quali è sorto il quartiere di
“Milano 2” [ ... ]. E' stata proprio la parte civile, nel corso della udienza, a adombrare il sospetto di
irregolarità che andrebbero oltre le dirette responsabilità del direttore generale dell'Aviazione civile.
La parte civile ha accennato anche a possibili abusi di ufficio e ha ipotizzato il reato di interessi
privati in atti di ufficio, commesso a favore della società immobiliare che ha costruito “Milano 2”".

Sul quotidiano “Il Giorno”, l'inviato Giorgio Bocca dedica alle vicende Segratesi un pungente
articolo, pubblicato nell'edizione del 13 giugno 1975 sotto il titolo Milano Uno Due Tre: "Storie di
astuzie, corruzioni, raggiri, guadagni giganteschi. Tutto risaputo, sperimentato: i comitati locali che
nascono battaglieri, decisi a fare i conti in tasca al padrone amministratore e dopo due anni sono già
addomesticati. Il filantropo che costruisce un ospedale come il San Raffaele che, combinazione,
servirà egregiamente alla campagna vendite... I comuni della periferia milanese hanno impiegato gli
ultimi vent'anni a fare piani regolatori, allo scopo unico, si direbbe, di trattarli e di modificarli: le
grandi immobiliari se li comprano e se li manipolano, fanno eleggere consiglieri i loro uomini e
procedono sempre per vie indirette. Sono disposte a offrire una scuola per avere in cambio una
modifica che vale cento scuole. Mandano avanti i genitori e i bambini del paese da corrompere, li
fanno dimostrare in piazza con i cartelli... Le immobiliari ti fregano, regolarmente; ti fanno pagare
ciò che ti avevano promesso in regalo, calcolano a loro comodo gli aumenti dei costi, costruiscono
dove nel plastico c'erano erbe e acque... “Un nuovo modo di abitare” come si legge nei depliant, ma
il vecchio modo di speculare sui terreni, sulle case, sulle ambizioni... E poi qui c'è don Luigi Maria
Verzé arrivato [ ... ] a fondare l'ospedale San Raffaele, quello che allontana gli aerei e nel quale si
curano non solo i malanni fisici ma anche le “anime praeternaturali” ... ".

Giustizia e misericordia

Nel dispositivo della sentenza relativa al processo che ha visto imputato (e condannato) il direttore
generale dell'Aviazione civile, generale Paolo Moci, per la modifica delle rotte aeree, il Pretore di
Monza Nicola Magrone scrive tra l'altro: "Dal 1969 all'agosto 1973 la “tendenza” costantemente
espressa dalle successive modifiche delle rotte di uscita da Linate è nel senso di un progressivo
allontanamento delle stesse [dal Milano 2 (con l'Ospedale San Raffaele)... Il ruolo oggettivo [di]
Milano 2 (col San Raffaele) nell'intera vicenda dei mutamenti delle rotte emerge con sorprendente
vistosità... Non può ignorarsi la perplessità suscitata in autorevoli organismi pubblici dall'iniziativa
[di insediamento] di Milano 2... Le successive variazioni apportate alle rotte di uscita da Linate,
soprattutto per il dimostrato costante collegamento con le vicende edilizie attorno all'aeroporto,
giustificano da sole [un rimprovero all'imputato) tanto più doveroso quando si pensi alle
conseguenze disastrose di una scelta apparentemente imparziale tra "opposti diritti",
sostanzialmente espressione vistosa di un inammissibile cedimento del pubblico amministratore a
pressioni settoriali, non controllate, non vagliate, non assoggettate a doverosa verifica, nemmeno
sotto il profilo della verità dei fatti (vedasi Ospedale San Raffaele)". E ancora: "La comparsa [nella
zona prima sorvolata] di nuovi “centri residenziali” uno dei quali [Milano 2] sorprendentemente
preceduto da un ospedale dai connotati molto ambigui [non costituisce] motivo sufficiente ad
invalidare la “scelta” originaria (da nessuno mai contestata) [delle rotte aeree] ed a far aprire la serie
di "ripensamenti" sempre più univoci in danno della "fascia nord"... L'indagine ha avuto occasione
di soffermarsi su "momenti" particolarmente allarmanti che hanno indotto questo Pretore a disporre
lo stralcio dal presente procedimento di alcuni atti che consentono ipotesi di ben diversi reati
[abuso d'ufficio, omissione atti d'ufficio, corruzione, a carico del rettore Giuseppe Schiavinato, del
sindaco di Segrate Gianfranco Rosa, dell'assessore regionale all'Ecologia Filippo Bertani, e di don
Luigi Verzè, N.d.A.] [i quali, nell'insieme, formano] il mosaico di una complessa e non rassicurante
vicenda"36.

In data 18 giugno 1975, il Pretore di Milano Massimo Amodio, nella sentenza relativa a un secondo
procedimento a carico del generale Paolo Moci per la vicenda delle rotte aeree, scrive tra l'altro:
"Per la questione della fissazione delle rotte (Notam), la competenza si ritiene essere della Procura
della Repubblica in quanto è chiara la connessione fra tali fatti ed eventuali fenomeni di
speculazione e di illeciti comportamenti da parte di pubblici amministratori (e di altri)... Vi furono
gravi illeciti da parte dei responsabili della cosa pubblica?... Dalle risultanze processuali, allo stesso
succedersi dei fatti, sembra che i sospetti [ ... ] abbiano un certo fondamento... [È opportuna]
un'approfondita analisi da parte del competente giudice in merito ad eventuali fatti di corruzione o
di interesse privato in atti d'ufficio... Perché è certo che [la modifica delle rotte] portò rumorosità su
paesi densamente abitati; ed inoltre perché si sospetta che mutamento delle rotte e conseguente
inquinamento acustico furono conseguenza di illeciti di grandi proporzioni implicanti responsabilità
di pubblici amministratori"37.

Il 3 marzo 1977, la Seconda sezione penale del Tribunale di Milano riconosce l'imputato don Luigi
Verzé colpevole di “istigazione alla corruzione” "per avere, quale Presidente dell'Ospedale San
Raffaele, con atti idonei diretti in modo non equivoco, ad indurre il dottor Rivolta, assessore alla
Sanità della Regione Lombardia, a compiere atti contrari ai doveri del proprio ufficio, promesso di
corrispondergli il 5 per cento sull'ammontare del residuo contributo pari a L. 1.500.000.000 circa,
quale corrispettivo della erogazione da parte dell'Ente Regione ad esso Verzé del predetto residuo
contributo".

Nella sentenza è scritto di "sorprendenti circostanze attraverso le quali l'ente di don Verzé era
riuscito a ottenere la qualifica di “Istituto scientifico”", del fatto che l'imputato era "strettamente
legato agli ambienti della Democrazia cristiana, ma egli aveva dimostrato di esercitare [anche] una
notevole influenza sulle pubbliche autorità"; dopo una minuziosa ricostruzione dell'intricato
tentativo di corruzione dell'imputato nei confronti dell'assessore Rivolta, il Tribunale conclude: "II
reato commesso da don Verzé non poteva essere considerato lieve, se valutato nel quadro delle
circostanze in cui era sorta e si era sviluppata l'iniziativa di costruire l'Ospedale San Raffaele. Da
questo punto di vista, don Verzé doveva essere ritenuto un imprenditore abile e spregiudicato,
inserito in ambienti finanziari e politici privi di scrupoli sul piano etico e giuridicopenale"38.

Ma nessuno degli strascichi giudiziari scaturiti dallo scandalo Milano 2San Raffaele (dalle denunce
a carico dei ministri Valsecchi e Scalfaro e del rettore Schiavinato, a quelle riguardanti i sindaci
Rosa e Turri e la stessa Edilnord) approderà a sentenze di condanna definitive. Tra archiviazioni,
stralci, rinvii a giudizio, ricorsi, assoluzioni, prescrizione di reati, perfino lo spretato don Verzé si
vedrà risparmiata (per intervenuta prescrizione) la condanna subita in primo grado per "tentata
corruzione". Del resto, il regime DcPsi è già operante, la prassi delle tangenti è già regola,
l'impunità per le corruttele polificoaffaristiche è già garantita; gli anni di “Mani pulite” sono ancora
molto lontani.

Solo un ventennio dopo, infatti, le inchieste giudiziarie di “Mani pulite” scoperchieranno


“Segratopoli”, rivelando il vermicaio di corruttele, scandali edilizi, mazzette e appalti truccati,
all'ombra del Comune di Segrate. Decine di amministratori e costruttori finiranno in carcere: tra
essi, il corrotto sindaco craxiano Renato Turri (arrestato sulla scia di una decina di ordini di
cattura); verrà arrestato per corruzione anche il costruttore Antonio D'Adamo (già dipendente e
prestanome della Edilnord negli anni di Milano 2). Berlusconi, da parte sua, sarà assiso alla
presidenza del Consiglio, capo di un governo che emanerà un “condono edilizio” e che tenterà di
varare un decreto “salvaladri” per sottrarre i corrotti al carcere.

Benché operi nell'ombra, coperto da prestanome e coi capitali di anonime finanziarie svizzere, sulla
figura del palazzinaro Silvio Berlusconi, in seguito alla scandalosa speculazione multimiliardaria di
Milano 2, comincia ad appuntarsi l'attenzione della stampa.

Tra i primi a occuparsi del misterioso affarista è Giorgio Bocca, che nel marzo 1976 scrive: "Milano
è la città in cui un certo Berlusconi di 34 anni costruisce "Milano 2” cioè mette su un cantiere che
costa 500 milioni al giorno. Chi glieli ha dati? Non si sa. Chi gli dà i permessi di costruzione e
dirotta gli aerei dal suo quartiere? Questo lo si sa, anche se si ignora il resto. Come è possibile che
un giovanotto di 34 anni come questo Berlusconi abbia un “jet” personale con cui raggiunge nei
Caraibi la sua barca che sarebbe poi una nave oceanografica? Noi saremmo molto curiosi, molto
interessati a sapere dal signor Berlusconi la storia della sua vita: ci racconti come si fa a passare
dall'ago al milione o dal milione ai cento miliardi"39.
"Berlusconi lavora sott'acqua, non appare mai", scrive il quotidiano “Lotta Continua” il 25 marzo
1977. "Gli strascichi amministrativi e giudiziari [dello scandalo di Milano 2] si sono risolti senza
danno per Berlusconi [...] Quel che sorprende è la capacità di Berlusconi di costruire una intera città
senza praticamente possedere nulla di suo. avvalendosi di potenti protezioni (e di alcune grosse
banche come il Monte dei Paschi di Siena e la Banca Nazionale del Lavoro) Berlusconi ha venduto
le case, e incassato i soldi, prima ancora di costruirle [...]. Mentre la Edilnord mette in cantiere un
nuovo villaggio residenziale, Milano 3, Berlusconi comincia a viaggiare, e avendo come
intermediarie banche panamensi e lussemburghesi, combina affari in Medio Oriente e in Libia".

Nello stesso marzo 1977 Berlusconi rilascia a Camilla Cederna "la sua prima intervista"; Cederna
descrive l'intervistato cosi: E' cattolico e praticante, e ha votato Dc... E' considerato uno dei
maggiori speculatori edilizi del nostro tempo. Si lega prima con la corrente di Base della Dc
(Marcora e Bassetti), poi col Centro, cosi che il segretario provinciale Roberto Mazzotta è il suo
uomo. Altro suo punto di riferimento è il PSI, cioè Craxi, che vuol dire Tognoli, cioè il Sindaco [di
Milano]. È allergico alle fotografie “Anche per via dei rapimenti” spiega con un sorriso ironico solo
a metà ( ... ) In settembre comincerà a trasmettere la sua “Telemilano” e pare che in questo suo
progetto sia stato aiutato dall'amico [democristiano] Vittorino Colombo, ministro delle Poste e della
Tv"40.

***

Nei primi anni Novanta, a distanza di un ventennio dagli scandali Segratesi che hanno
accompagnato il sorgere di Milano 2, la berlusconiana Edilnord (ormai intestata al fratello Paolo,
mentre Silvio è il nuovo presidente del Consiglio della “nuova" Repubblica italiana) riguadagna le
cronache giudiziarie, nell'ambito dell' inchiesta "Mani pulite", per numerose altre vicende di
speculazioni edilizie accompagnate da corruzioni e collusioni con esponenti politici speculazioni e
corruzioni risalenti agli anni Ottanta del regime detto "Caf' (CraxiAndreottiFininvest).

Una di esse in particolare ha avuto per scenario Pioltello, paese dell'hinterland milanese situato in
prossimità di Milano 2 e a suo tempo coinvolto nella vicenda del “dirottamento” dei voli aerei.

"Michele Rossetti, già sindaco socialista di Pioltello, in carcere per corruzione [una tangente di 800
milioni pagata dalla Edilnord per ottenere l`edificabilitá di un terreno, N.d.A.], ha raccontato che
nel febbraio 1988, dopo avere portato a Roma, nelle casse del PSI nazionale, 200 milioni ricevuti su
ordine di Paolo Berlusconi, fece il viaggio di ritorno a bordo del Gulf Stream privato di Silvio
Berlusconi, in compagnia dell'attuale presidente del Consiglio e di Fedele Gonfalonieri [...]. E, una
volta atterrati, Silvio Berlusconi ordinò che il sindaco di Pioltello venisse accompagnato da un'auto
della Fininvest in municipio, dove era atteso per presiedere il Consiglio comunale: l'auto era quella
di Carlo Bernasconi, amministratore delegato della Silvio Berlusconi Communications, anche lui a
bordo del Gulf Stream. Né con Berlusconi senior né con Confalonieri il sindaco Rossetti parlò di
tangenti. I rapporti in tema di quattrini ha spiegato di averli sempre tenuti con Sergio Roncucci,
infaticabile elemosiniere della Fininvest. Fu Roncucci a chiedere al Cavaliere di riportare a Milano
l'amico Rossetti dopo la sua "missione" in via del Corso. Messo a confronto nei giorni scorsi con
l'ex sindaco che da circa un mese è detenuto in carcere Roncucci ha confermato. Non si sa, invece,
se il factotum della Fininvest abbia confermato il resto del racconto dell'ex sindaco. Rossetti ha
sostenuto che i soldi dell'Edilnord gli vennero versati su indicazione del senatore craxiano Antonio
Natali, e che lo stesso Natali gli ordinò di passare la prima tranche al cassiere nazionale del partito,
Vincenzo Balzamo, e la seconda tranche al segretario regionale Sergio Moroni"41

Intanto, a Segrate è scoppiata “Segratopoli”, con raffiche di arresti: "Gli scandali edilizi e le
mazzette transitate sugli appalti e le concessioni edificatorie all'ombra del palazzo comunale di
Segrate continuano a rivelarsi un vero e proprio pozzo di San Patrizio. E' un'inchiesta senza fondo
[...]. Dopo la decapitazione del potente PSI del sindaco Renato Turri (fedelissimo di Bettino Craxi),
che ha collezionato una decina di ordini di arresto scontando in carcere più di 180 giorni di
detenzione preventiva, [altri assessori e funzionari del Comune di Segrate sono finiti in carcere] a
conferma che il sistema delle mazzette era diffuso a 360 gradi all'interno del vecchio Consiglio
comunale segratese [...]. E un terremoto giudiziario che negli ultimi dodici mesi [199394, Nd,A] ha
portato in carcere ben 32 persone tra politici e imprenditori"42.

Vent'anni dopo lo scandalo di Milano 2, riguadagnerà le cronache giornalistiche anche il vecchio


complice segratese di Berlusconi, don Luigi Verzé.

Come registrano i quotidiani del giugno 1994, il maneggione don Verzé ha incaricato il faccendiere
craxiano Sergio Cusani (condannato in primo grado a 8 anni per la vicenda della rnaxitangente
Enimont) di interessarsi all'acquisto di un terreno in Palestina, sul monte degli Ulivi, per costruirvi
una nuova "Clinica di Dio". La stampa sottolinea con rilievo il "promettente" sodalizio tra il
pretemanager democristiano e l'affarista craxiano, e nell'occasione don Verzé trova modo di
esprimere la sua pubblica stima per il corrotto (e contumace) Bettino Craxi: "Quando ha governato,
ha fatto progredire l'Italia... lo lo stimo. Comunque il cristiano non deve dimenticare che la
misericordia viene prima della giustizia".

La stampa informa anche che il sottosegretario Ombretta Fumagalli Cartilli, ex andreottiana e


neoberlusconiana, ha assicurato al misericordioso don Verzé "sollecitudine in sede di governo" a
sostegno delle nuove “iniziative” della Fondazione religiosa San Romanello del Monte Tabor tra le
virtù dei neopresidente del Consiglio Berlusconi, infatti, oltre alla specchiata cristianità e fede nel
Signore, c'è senz'altro anche l'imperitura gratitudine verso i compari.

2. SEGRETI ITALIANI IN TERRA ELVETICA

Pecunia non olet

Capitali al signor Uno per cento

Milano in Svizzera

Pecunia non olet

La mitomania berlusconiana del prodigioso imprenditore che costruisce un impero partendo dal
nulla, intende forse per “nulla” i capitali miliardari forniti a Berlusconi, a partire dai primi anni
Sessanta, dalle finanziarie elvetiche Finanzierungesellschaft für Residenzen Ag di Lugano,
Aktiengesellschaft für Immobilienlagen in Residenzzentren Ag di Lugano, Cofigen Sa di Lugano,
Eti Holding Ag di Chiasso. Un torrente di denaro anonimo domiciliato in Svizzera, convogliato in
società italo svizzere operanti in Italia e intestate a prestanome: come la Edilnord Centri Residen-
ziali S.a.s. (intestata prima alla cugina di Berlusconi, Lidia Borsani, quindi a sua zia Maria Bossi
vedova Borsani), e la Italcantieri S.r.l. (costituita a nome del “praticante notaio” Renato Pironi e
“casalinga” Elda Brovelli).
Perché le citate finanziarie svizzere, a partire dal 1963, affidano anonimi miliardi dell’epoca a un
anonimo giovanotto milanese di nome Silvio Berlusconi? E perché tali capitali vengono convogliati
in società italo svizzere operanti in Italia e intestate a prestanome? E di quale tipo di capitali si
tratta? Per cercare possibili risposte, occorre prima scoprire l’esatta identità e la reale natura della
Finanzierungesellschaft für Residenzen Ag, della Aktiengesellschaft für Immobilienlagen in
Residerizzentren Ag, della Cofigen Sa, e della Eti Holding un obiettivo arduo, poiché la loro
funzione è precisamente e prioritariamente quella di “schermare” e celare gli interessi che le
sottendono e i capitali che le sostanziano: non a caso, la loro domiciliazione è in terra elvetica.

***

Da molti ritenuta un Paese solido e ordinato, forte della sua storica neutralità bellica e di
un’operosità improntata alla più rigida etica calvinista, la Confederazione elvetica deve le sue
fortune al ruolo di storico “paradiso della finanza” e “cassaforte” di capitali provenienti da tutto il
mondo capitali in gran parte “sporchi”.

Affidata alla retorica turistica la rinomata produzione di orologi e cioccolata, la floridissima


economia svizzera è originata da un sistema bancario mastodontico, la cui articolazione è ormai tale
da soverchiare le stesse strutture politico amministrative del minuscolo Paese alpino (nel 1991, le
tre maggiori banche elvetiche potevano vantare da sole un giro d’affari complessivo di circa 17
volte superiore al bilancio dell’intera Confederazione). Dunque, la rilevanza strategica della
Svizzera negli scenari finanziari internazionali è di assoluta preminenza, al punto che “delle 1.000
holding americane che controllano le ditte statunitensi e le loro

succursali in tutto il mondo, 600 hanno sede in Svizzera”1

L’afflusso nel circuito bancario elvetico delle colossali masse finanziarie “estere” è sempre stato
favorito e tutelato da un ferreo segreto bancario (la cui violazione comporta salatissime ammende e
perfino pene detentive in base all’art. 47 della legge federale sul risparmio). “Da secoli ricettatrice
di tutto il denaro sospetto del Pianeta”2 la Svizzera è da sempre un autentico “paradiso” finanziario:
nessuna legge ha mai limitato l’ingresso, l’uscita, il cambio, A reinvestimento dei capitali, i quali
infatti hanno sempre potuto entrare e uscire dai forzieri delle banche, passare e ripassare i confini
della Confederazione in assoluta libertà, nella massima segretezza, e nei modi più disparati
(attraverso i canali bancari ufficiali, ma anche attraverso gli “spalloni” e i trafficanti di valuta). Ne
consegue come conferma il sociologo Jean Ziegler che la Svizzera è storicamente il principale
crocevia mondiale dei capitali sporchi, una tappa obbligata per i grandi boss del traffico interna-
zionale di armi e di stupefacenti3 e per i proventi delle corruttele e delle ruberie politico affaristiche.

All’insegna del motto “pecunia non olet”, il potentissimo sistema bancario elvetico è
notoriamente assai solerte con i propri “clienti”, e tutela i loro capitali perfino dalle insidie della
Giustizia nazionale e internazionale. Racconta Ziegler, a titolo di esempio: “Una richiesta italiana di
sequestro di conti (presso la Banca Centrale) era giunta a Zurigo. La giustizia italiana aveva infatti
identificato un conto di 10 milioni di dollari appartenente a una “famiglia” della mafia siciliana che
copriva il bottino di operazioni criminose. Che cosa fa la direzione della banca? Convoca d’urgenza
l’uomo di paglia del clan mafioso a Zurigo, gli comunica il pericolo che minaccia il conto e gli
consiglia di ritirare immediatamente il denaro. Gli indica anche il nome di una società fiduciaria con
sede a Zurigo. L’uomo di paglia chiude il conto, trasferisce il denaro alla fiduciaria che riapre un
conto a proprio nome presso la Centrale”.

Come l’indispensabile humus di un bosco rigoglioso, attigua al sistema bancario è radicata


in Svizzera una capillare struttura di supporto, formata da società di intermediazione finanziaria,
fiduciarie, studi legali, società parabancarie, ecc. Chiunque intenda avvalersi di un conto presso una
banca svizzera senza rivelare la propria identità, può farlo tramite un avvocato, il quale provvede in
sua vece vincolato dal segreto professionale a tutelare l’identità del cliente; i più diffidenti possono
interporre un ulteriore schermo tra l’avvocato e la banca, ricorrendo a una società fiduciaria che a
sua volta ricorre allo studio legale. Del resto, come rileva Ziegler, i confini tra “legalità” e
“illegalità” sono di fatto inesistenti: “Ginevra, Lugano e Zurigo ospitano molte società finanziarie
grazie alle quali transitano regolarmente (per venire poi reinvestite in Italia in modo legale) le
enormi somme estorte illegalmente dalla mafia”4.

In Italia, la criminalità organizzata e i suoi sporchi traffici lungo l’asse Palermo Milano, e la diffusa
criminalità finanziaria di tipo politico affaristico, hanno sempre trovato nei forzieri bancari della
vicina Svizzera un approdo ideale per rapidità, segretezza e sicurezza. Mentre i capitali sporchi di
Cosa Nostra rappresentano ormai uno dei cardini del sistema bancario elvetico, non vi è scandalo
politico affaristico italiano, fin dagli anni Sessanta, che non abbia rivelato propaggini nelle banche
svizzere (dal crac del bancarottiere Michele Sindona, alle trame finanziarie della Loggia P2, ai
maneggi del banchiere piduista Roberto Calvi, alle ruberie dei grandi ladri di Stato, fino alla
macrocorruttela oggetto delle inchieste di “Mani pulite”). L’obiettivo prevalente dell’approdo
svizzero è quello del riciclaggio delle masse di denaro sporco provento di illeciti, la loro discreta
tutela, il loro reinvestimento in normali attività economico finanziarie, e spesso il loro ritorno
“legale” in Italia.

Secondo Carla Del Ponte, valente procuratore generale della Confederazione (una delle massime
cariche giudiziarie svizzere), ormai le tecniche di riciclaggio impiegate da Cosa Nostra “sono quelle
della cosiddetta seconda e terza fase. Quando, risolto il problema di trasferire i soldi da un conto
all’altro, ci si preoccupa di immettere questi fondi in un settore economico per farli fruttare. Sono
state messe a punto operazioni molto sofisticate, vere e proprie acrobazie contabili. Per esempio, le
operazioni swap o quelle back to back, cioè fondi già ripuliti su banche straniere. Noi facciamo il
trasferimento tramite bonifico, ma l’operazione figura come un prestito, un mutuo della banca
svizzera. Cosi questi fondi entrano in un meccanismo legale. E poi c’è la Borsa. in questo caso non
c’è nemmeno circolazione di contante. Alla chiusura delle operazioni, il denaro è riciclato fino a tre,
quattro volte. Diventa impossibile ricostruire i passaggi precedenti. Non c’è più traccia dei fondi,
spariscono letteralmente, nessuno li può bloccare e confiscare e si tratta di masse monetarie enormi
che finiscono nel mercato legale. Comunque la questione è stabilire quando il denaro è sporco o
pulito. Ed è un problema: perché da noi l’evasione fiscale e il contrabbando non sono reato, e la
Svizzera è l’unico Paese in Europa, se non al mondo, che punisce la violazione del segreto bancario.
Manca un’omogeneità legislativa a livello europeo. E i canali dei fondi sporchi e dei fondi puliti,
spesso, sono gli stessi”5.

“Nel riciclaggio del denaro sporco, i “tangentisti” italiani hanno superato tutti per abilità, perfino il
narcotraffico e la mafia”, dichiarerà Jean Ziegler nel 1994, commentando la difficoltà dei magistrati
milanesi di “Mani pulite” alle prese con i meandri dei “conti cifrati accesi dai ladroni italiani nelle
banche elvetiche per occultarvi i proventi delle corruttele. “Nessuno è riuscito a sfruttare meglio il
segreto bancario e la connivenza dei banchieri svizzeri con le attività criminali... Chi ha inventato il
reticolo di società, conti e prestanome ha lavorato molto bene, il livello è assai più sofisticato di
quello riscontrato nelle inchieste di mafia. Il trucco sta nel cambiare più volte possibile identità
fisica del denaro. L’INTERPOL stessa ammette che dopo tre cambiamenti è praticamente
impossibile scoprire dove sia finito il denaro. In una situazione di completa disponibilità del sistema
finanziario internazionale a fare questo “lavoro sporco” non c’è abilità o velocità di un magistrato
che tenga. Il denaro è sempre più svelto... Ma il vero bubbone sta nella struttura stessa dello Stato
svizzero. La maggioranza dei deputati di Berna siede nei consigli di amministrazione delle banche e
delle finanziarie, tutte le leggi sono sempre a favore del sistema creditizio. E nella mentalità della
gente, qui da noi, bisogna difenderle, sennò i clienti scappano e la montagna di denaro sporco sulla
quale vive la Svizzera potrebbe sparire sotto i piedi”.

Secondo alcune stime recenti, “evasori fiscali, trafficanti di droga, politici corrotti, faccendieri,
trafficanti di armi, e manager infedeli delle aziende, potrebbero aver depositato nelle banche
svizzere oltre 500 miliardi di dollari (pari a 750 mila miliardi di lire). Ma il magistrato di Milano
Pierluigi Dell’Osso, che dall’83 ha tenacemente indagato sul conto “Protezione” presso la Ubs di
Lugano (terminale di tangenti destinate agli allora leader del PSI Bettino Craxi e Claudio Martelli),
ha individuato dietro le banche elvetiche anche quegli intrecci tra finanza perversa, criminalità
organizzata, corruzione politica e poteri occulti, che ha definito veri “mostri orribili””6. Dichiara un
banchiere ginevrino: “Gli gnomi svizzeri del riciclaggio offrono un pacchetto che include i servizi
di vari professionisti dell’illegalità. Si parte dai collettori di capitali e da spalloni che li esportano
illegalmente. Si passa dagli avvocati e dagli intermediari sparsi in una miriade di finanziarie, che
operano ai limiti della legalità per rinforzare il segreto sui depositi. Ma entrano in ballo anche
compiacenti certificatori di bilanci, esperti della falsa fatturazione, le solite società off shore
domiciliate fittiziamente nei paradisi fiscali, sempre per creare fondi neri ed evadere le tasse”.

Il “paradiso svizzero” è dunque il sintomatico scenario dal quale, nei primi anni Sessanta, prende le
mosse l’avventura imprenditoriale berlusconiana: mediante un occulto canale finanziario che,
approdato a Milano, viene ulteriormente “coperto” da prestanome.

Capitali al signor Uno per cento

Nel 1963 nasce a Milano la Edilnord S.a.s. di Silvio Berlusconi & C.; nella società, che ha per
obiettivo la realizzazione di un centro residenziale a Brugherio, il ventisettenne “Signor Nessuno
Berlusconi é il “socio d’opera”, cioè si limita ad apportare il proprio impegno (e per le sue
prestazioni, come è scritto nell’atto costitutivo, verrà compensato con l’1 per cento degli utili), il
socio che apporta i capitali è la finanziaria svizzera Finanzierungesellscbaft für Residenzen Ag,
domiciliata a Lugano.

Il 29 settembre 1968, in vista del progetto “Milano 2”, nasce a Milano una nuova “Edilnord”
italo svizzera: la Edilnord Centri Residenziali S.a.s. di Lidia Borsani & C.7; la “socia d’opera” è la
Borsani, mentre il socio finanziatore che apporta i capitali è la Aktiengeseilschaft flir
Immobilienlagen in Residenzzentren Ag, società svizzera costituita a Lugano solo dieci giorni
prima, il 19 settembre 19688.

Sia la FinanzierungeselIscbaft ftir Residenzen, sia la AktíengeselIschaft fúr Immobilienlagen in


Residenzzentren, sono legalmente rappresentate dall’avvocato ticinese Renzo Rezzonico, un
avvocato d’affari votato al più ferreo segreto professionale. Le due finanziarie elvetiche risultano
controllate dalla Discount Bank Overseas Limited, società con sede a Tel Aviv (Israele) e filiali
anche a Lugano, Ginevra e Milano9. È dietro lo “schermo fiduciario” della controllante Discount
Bank Overseas che si celano i veri promotori finanziatori della Finanzierungesellschaft e della Ak-
tiengesellschaft.

La società Edilnord S.a.s. di Silvio Berlusconi & C., ultimata la realizzazione del deludente
Centro residenziale di Brugherio10, verrà posta in liquidazione, con effetto 1° gennaio 1972,
unitamente alla finanziatrice svizzera Finanzierungesellschaft für Residenzen Ag. Anni dopo, un
costruttore milanese legato alla prima Edilnord S.a.s., Giovanni Botta, dichiarerà: “Non chiedetemi
se Berlusconi ha guadagnato con il centro di Brugherio. Non fatemi queste domande, non posso
rispondere... Chi ci finanziava? C’erano un pò di finanziamenti della Banca Rasini, e per il resto
non so. Di soldi è meglio non parlare: non sta bene curiosare su chi c’è dietro le società ... ”11.

La Edilnord Centri Residenziali S.a.s. di Lidia Borsani & C. (costituita per affrontare la
realizzazione della "cittadella satellite" Milano 2), il 6 dicembre 1977, dopo il succedersi dei vari
prestanome, avrà come socio accomandatario il commercialista romano Umberto Previti (padre
dell’avvocato Fininvest Cesare Previti); benché la costruzione di Milano 2 sia ancora in corso,
Previti procederà alla messa in liquidazione della società italo svizzera a partire dal 1° gennaio
1978, dopo avere ceduto il costruito e il costruendo della “città satellite” alla società Milano 2 SPA
(cioè alla ex Immobiliare San Martino SPA amministrata da Marcello Dell’Utri, trasformata
appunto in Milano 2 S.p.A. nel settembre 1977). Cessa l’attività, e viene posta in liquidazione,
anche la società svizzera che ha finanziato12 il progetto Milano 2, la Aktiengesellschaft für
Immobilienlagen in Resideuzzentren. Il senso di tutta l’operazione è evidente: i beni mobili e
immobili acquisiti attraverso l’attività della Edilnord Centri Residenziali sas grazie ai capitali
“svizzeri”, vengono convogliati a Roma nel nascente gruppo Fininvest e divengono di proprietà
degli anonimi soci che, coperti dalle due fiduciarie romane Servizio Italia e Saf Società azionaria
fiduciaria13 stanno infatti dando origine al gruppo Fininvest si compie cosi la direttrice Lugano
(capitali) Milano (beni) Rorna (proprietà). In tutta questa operazione, non si comprenderebbe il
tornaconto dei soci finanziatori “svizzeri” se essi fossero realmente svizzeri.

***
Il 2 febbraio 1973 nasce a Milano la società svizzera Italcantieri srl; i soci sono due finanziarie di
diritto elvetico la Cofigen Sa di Lugano, e la ETI Holding Ag di Chiasso legalmente rappresenta-
te da due prestanome: il praticante notaio Renato Pironi14 , e la “casalinga” Elda Brovelli. “Braccio,
esecutivo dei progetti edilizi berlusconiani, e canale collettore dei misteriosi finanziamenti pro-
venienti dalla Svizzera”15 la Italcantieri, società a capitale interamente svizzero, annovera nel suo
consiglio di amministrazione Luigi Foscale, zio di Berlusconi16.

Costituita a Lugano il 21 dicembre 1972 (poche settimane prima della Italcantieri srl), la
Cofigen Sa risulta controllata dalla Banca della Svizzera Italiana (al 50 per cento) e dalla svizzera
Privata Kredit Bank (al 48 per cento).

La Banca della Svizzera Italiana è controllata da Tito Tettamanti, finanziere vicino alla massoneria
internazionale, fervente "anticomunista", al centro di mille legami affaristici e trame finanziarie17 tra
l’altro in rapporti con uno dei legali di Licio Gelli, l’avvocato Giangiorgio Spiess.

La Privat Kredit Bank risulta controllata all’83 per cento dalla Cofi Compagnie de l’Occident pour
la Finance et l’Industrie; il controllo della Cofi è suddiviso tra la Banca della Svizzera Italiana di
Tettamanti, la Société de Banque Suisse, e la milanese Cassa Lombarda. “Ma proprio dalla Cofi
discende un’altra sorpresa della nebulosa Berlusconi. Fino al 1977, infatti, la Cofi si è chiamala
Milano Internazionale Sa, con sede in Lussemburgo. Il 99,9 per cento di questa società era
controllata da una sigla italiana, la Compagnia di Assicurazioni di Milano con sede nel capoluogo
lombardo, in via dell’Auro 7. A colpire l’attenzione è il nome del rappresentante legale di
quest’ultima società: il senatore Giuseppe Pella, scomparso da molti anni. Pella era stato leader
della destra democristiana e aveva ricoperto nei governi centristi cariche di rilievo: tra le altre il
ministero delle Finanze, quello degli Esteri, e per un breve periodo, fino alle sue dimissioni nel
gennaio 1954, addirittura la presidenza del Consiglio”18.

La Eti Holding Ag era stata costituita a Mendrisio nell’aprile 1969 (verrà liquidata
nel 1978), con un capitale di 50 mila franchi svizzeri suddiviso in 50 azioni da mille
franchi. Soci fondatori tre svizzeri: il ragionier Arno Ballinari e l’avvocato Ercole
Doninelli con un’azione ciascuno19, e le restanti 48 azioni intestate a Stefania Doninelli
(moglie di Ercole) in nome e per conto della Aurelius Financing Company Sa di
Chiasso.

“Parte da qui il gioco delle scatole cinesi: la Aurelius, fondata l’11 aprile del 1962, ha un capitale
sociale di 50 azioni, come la Eti. E, come nella Eti, Doninelli e Ballinari detengono una azione a
testa. Il pacchetto di maggioranza, 48 azioni su 50, è in mano allo svizzero Angelo Maternini e
all’italiano Dino Marini, che agiscono per conto della Interchange Bank. E il gioco delle scatole
prosegue ... ”20.

La Interchange Bank era stata fondata nel luglio 1956, con un capitale sociale di 400 mila franchi
svizzeri. Tra i soci fondatori (svizzeri, italiani e venezuelani), tre nomi interessanti: il costruttore
milanese Botta, lo svizzero Alfredo Noseda (coinvolto in uno dei primi scandali finanziari elvetici
per esportazione di capitali e frode fiscale), e “L’italiano di Caracas” Angelo Maternini; nel 1957,
nella compagine azionaria della Interchange Bank era entrato un secondo “finanziere di Caracas”
Remo Cademartori, che ne aveva assunto la presidenza dopo aver sottoscritto l’aumento di capitale
sociale a un milione di franchi svizzeri; successivamente, erano entrati il cittadino svizzero
residente a Corno Umberto Naccaroni (1959), il duo Ercole Doninelli Arno Ballinari (1961), e
infine, nel 1965, due nuovi “venezuelani” residenti a Caracas: W. Gerry William Rotenburg
Schwartz e Abramo Merulan, “Quando conferisce i capitali che, di passaggio in passaggio,
arriveranno alla Italcantieri di Berlusconi, nel 1973, la Interchange Bank è già in liquidazione. La
procedura, avviata nell’ottobre del 1967, si prolungherà fino al 15 dicembre 1989, data della
definitiva liquidazione della società. A gestire la liquidazione saranno Pierfrancesco e Pierluigi
Campana, Guido Caroni, Enzo Tognola; personaggi, l’ultimo in particolare, che appartengono
all’area politico finanziaria di Gianfranco Cotti, potente ex parlamentare della Democrazia Cristiana
svizzera e dirigente della Fimo, la chiacchierata finanziaria di Ercole Doninelli, un altro dei
finanziatori nascosti di Berlusconi”21

Come la Cofigen Sa ha il suo “uomo forte” nel finanziere Tito Tettamanti, cosi la ETI Holding Ag è
nel nome e nel segno del finanziere, Ercole Doninelli22 e della sua Fimo23 finanziaria svizzera
fondata nel 1956 (con la quale ha a che fare lo stesso Tettamanti).

“La Fimo è clamorosamente finita sotto inchiesta in Italia nel 1989, quando il ragioniere milanese
Giuseppe Lottusi venne colto sul fatto a riciclare, per conto della società svizzera, i soldi della mafia
colombiana24. I magistrati italiani sospettano che tramite i canali del narcotraffico giungessero in
Svizzera anche una parte dei ricavi delle tangenti pagate ai politici italiani. La Fimo è sotto
inchiesta anche in Francia, per riciclaggio di denaro sporco, e in Belgio, per la bancarotta
fraudolenta della Pibi Finance di Jean Verdoot, morto misteriosamente a Ginevra all’inizio del ‘93
dopo un incontro con i vertici della Fimo (che da parte loro negano l’incontro). Inoltre la Fimo è
sotto inchiesta per bancarotta fraudolenta in diverse procure del Friuli e del Veneto per il crac delle
società legate alla Sirix Intervitrum e al gruppo Cofibel francese e Pibi Finance belga. Per lo stesso
motivo è stata aperta un’inchiesta anche in Olanda, dato che alcune società del gruppo si trovano in
quella sede. La Fimo è accusata di aver partecipato al riciclaggio delle tangenti Enimont, delle
tangenti ENI, delle tangenti IRI, è coinvolta collateralmente nelle inchieste sulla Sanità, nel caso
KolIbrunner, nel caso Fidia, nelle tangenti della Carlo Gavazzi [ ... ]. Uno dei fiduciari dell’area
Fimo, Giancarlo Tramezzani, è morto in circostanze misteriose il 17 settembre 1993, a poche ore
dall’arrivo in Ticino [del magistrato] Antonio Di Pietro, che indagava sui risvolti elvetici dell’affare
Enimont”25.

La Fimo ha sede al n° 89 di via San Gottardo, a Chiasso, presso lo studio legale


Doninelli26. Una società collegata alla Fimo, la Fidinam, ha gli uffici al n° 2 di boulevard
Royal al Lussemburgo: nello stesso edificio ha sede una importante società del gruppo
FININVEST, la Silvio Berlusconi Finanziaria27.

L’ambigua finanziaria elvetica Fimo estende i suoi tentacoli affaristici anche in Italia: non solo
mediante società collegate28, ma anche attraverso una stranissima “Fimo italiana”. La Fimo italiana,
intestata ad anonimi, opera nel Nord Italia, a Chiasso, nel Liechtenstein, e i suoi legali
rappresentanti e prestanome riconducono alla Interchange Bank di Chiasso, e a finanziarie del giro
Lottusi Doninelli; vi è connessa una ragnatela di case d’arte e gallerie che si estende da Milano a
Como, dall’Alto Lario a Lugano e a Londra29.

“Chissà se un giorno Antonio Di Pietro riuscirà nell’impresa di leggere l’intera storia finanziaria di
una società svizzera che si chiama Fimo e che nella storia giudiziaria [italiana] è apparsa due volte:
nel 1991, in una storia di riciclaggio di soldi dei trafficanti di droga italiani; nel 1993, nella
ripulitura e spedizione in Italia delle tangenti pagate a Dc e Psi all’estero. Il magistrato di “Mani
pulite” ci sta provando e negli ultimi mesi ha chiesto più volte di avere accesso ai conti di transito di
questa società. Se riuscirà a leggere tutta la documentazione bancaria della Fimo, potrebbero
arrivare molte sorprese. Non solo si capirebbero meglio i movimenti dedicati al riciclaggio di
narcolire o i trucchi per riportare in Italia i miliardi delle mazzette ai politici, ma anche per alzare
qualche velo sulla storia, mai raccontata per intero, di come Silvio e Paolo Berlusconi hanno messo
insieme la loro fortuna. Storia che comincia nei lontani anni Settanta, quando i loro interessi erano
tutti diretti al mattone e dell’impero televisivo Fininvest non c’era ancora nulla. 1 due fratelli,
infatti, sono stati a lungo soci del primo presidente della Fimo che nei documenti della società
compare come il primo dei responsabile: Ercole Doninelli da Meride in Mendrisio. La società dove
si trovano insieme i Berlusconi e Doninelli (naturalmente attraverso il possesso di altre società) è la
Italcantieri srl che fino al 1991 resta nel gruppo Fininvest e poi viene ceduta, assieme a tutte le altre
attività edilizie, al fratello Paolo [ ... ]. Doninelli appare proprio attraverso la Eti Ag costituita il 24
aprile 1969 i cui soci erano lo stesso Doninelli, sua moglie Stefania e Arno Ballinari. L’intreccio
societario non è finito, perché i Doninelli nella ETI Ag rappresentano anche gli interessi della
Aurelius Financing Company Sa di Chiasso”30.

Nel consiglio di amministrazione della Fimo ticinese il 9 febbraio 1993 entra Valentino Foti, nato
a Fürci Siculo (Messina) e residente a Milano. Attraverso la sua finanziaria Valfin, nel 1989 Foti
aveva conteso a Silvio Berlusconi la Villa Belvedere di Macherio (messa all’asta dalla Provincia di
Milano); successivamente, Foti è finito in carcere, in Belgio, perché coinvolto in uno scandalo
finanziario.

***

Ma il 7 ottobre 1968 (cioè pochi giorni dopo la costituzione della Edilnord Centri Residenziali sas
di Lidia Borsani & C.), a Lugano, la Discount Bank Overseas Limited aveva dato origine a una so-
cietà “gemella” della Edilnord, la luganese Telecineton Sa, col medesimo fiduciario Renzo
Rezzonico, e con scopo sociale attività nel settore televisivo.

Il 22 ottobre 1979, la Telecineton aveva mutato denominazione sociale, assumendo quella di Open
Sa; il successivo 12 novembre, a Milano, nasceva la berlusconiana Canale 5 Music srl. Il 6 marzo
1980, la Open Sa mutava nuovamente nome trasformandosi in Open Service Sa; nel consiglio di
amministrazione figurava Giancarlo Foscale (cugino di Berlusconi). Il 23 ottobre 1986, la luganese
Open Servíce Sa, elevando il capitale sociale a un milione di franchi, diverrà Fininvest Service Sa,
“una società che oggi riveste il ruolo di capofila del gruppo Berlusconi in Svizzera: il 94 per cento
del pacchetto azionario è posseduto dalla Fininvest Servizi spa di Milano, mentre il restante 6 per
cento è dell’antico fondatore, la Discount Overseas Bank”31. In pratica, l’originaria Telecineton
approderà, diciotto anni dopo, nel gruppo Fininvest.

Dunque, entrambi i filoni delle attività berlusconiane sia quello edilizio, sia quello televisivo
hanno avuto dirette radici e connessioni in terra elvetica. E in Svizzera sono celati sia l’identità
degli originari promotori, sia la provenienza di capitali impiegati.
Milano in Svizzera

Nella notte del 14 febbraio 1983, nel corso di una massiccia operazione delle forze dell’ordine con
epicentro Milano, vengono arrestati decine di “insospettabili” esponenti della criminalità organiz-
zata.

“Nella notte di San Valentino è scattata la più imponente operazione degli ultimi anni contro la
mafia e la camorra. Nella rete non sono caduti semplici picciotti, ma per la prima volta i "colletti
bianchi", quei personaggi insospettabili con posizioni di rilievo nell’economia lombarda come
hanno detto i magistrati smascherati attraverso le indagini patrimoniali e i controlli bancari della
Guardia di Finanza. Il blitz si è sviluppato contemporaneamente a Milano, a Roma, a Palermo e in
altre città. Le cifre parlano chiaro: 130 fra ordini e mandati di cattura emessi, 200 perquisizioni,
decine di denunciati, sequestrati beni immobili, società, azioni, bloccati assegni e conti correnti per
diverse centinaia di miliardi [ ... ]. Solo a Milano i provvedimenti restrittivi emessi sono 52, dei
quali 30 eseguiti, 70 i provvedimenti di sequestro, 164 le persone denunciate. L’accusa che viene
contestata è quella indicata all’articolo 416 bis del Codice penale. Un comunicato della Procura
della Repubblica di Milano meglio specifica che il reato addebitato è quello di “appartenenza ad
associazione a delinquere finalizzata alla consumazione di una serie interminabile di delitti contro la
persona, quali omicidi e sequestri, contro il patrimonio, quali estorsioni e ricettazioni, contro
l’amministrazione della giustizia, quali favoreggiamento, contro la pubblica amministrazione, quali
corruzione, di delitti di detenzione e porto d’armi, di delitti legati alla gestione e al controllo delle
bische clandestine, e di delitti comunque diretti alla acquisizione del controllo e della gestione di
attività economiche e alla realizzazione di profitti e vantaggi ingiusti”. È stata individuata una
organizzazione che in stretto contatto con i clan della Sicilia Occidentale, della Campania, degli
Stati Uniti e dei Canada aveva il compito di riciclare i denari provenienti dai traffici di droga e dai
rapimenti in attività apparentemente legali e in particolar modo in società immobiliari, società
commerciali, società finanziarie e società di import export [ ... ]. Le indagini hanno poi consentito di
delineare la mappa di un numero considerevole di società collegate a esponenti mafiosi e
camorristici. Fra le persone catturate figurano Luigi Monti, Antonio Virgilio, Romano Conte,
Carmelo Gaeta, Antonio Enea, Giovanni Ingrassia, Claudio Giliberti [ ... ]. Ma accanto troviamo
nomi di boss conosciuti. È il caso di Giuseppe Bono, palermitano, fratello di Alfredo Bono detenuto
all’Ucciardone. Ordine di cattura hanno ricevuto inoltre Gaetano Fidanzati, Alfredo Bono, Vittorio
Mangano, Ugo Martello detto “Tonino”, mafiosi noti e da tempo in carcere [ ... ]. In moltissime
banche di Milano, in due giorni, gli inquirenti hanno sequestrato conti correnti, libretti di risparmio,
titoli di credito, azioni facenti capo a individui e imprese sospettate di collusioni con la mafia. Il
punto di partenza dell’inchiesta risale a circa due anni fa e al rapporto fatto dalla Criminalpol il 12
aprile 1981. Da allora si sono sviluppati accertamenti in Italia e all’estero che hanno coinvolto
anche l’Fbi e la Dea. È stato cosi possibile identificare i boss internazionali di Cosa Nostra e i loro
“amici” in Venezuela, in Canada, negli Stati Uniti, in Francia e, per finire, in Italia. e stato possibile
risalire ai canali del riciclaggio e del traffico di valuta. È stato possibile acquisire agli atti la certezza
di incontri al vertice fra esponenti della mafia e della camorra avvenuti a Milano, a Roma, in
Svizzera, nel Nord Europa e negli Usa”32.

Nel rapporto Criminalpol dell’aprile 1981 che ha dato origine alla “operazione San Valentino”,
veniva ricostruita la criminosa ragnatela affaristica tessuta dalla “mafia imprenditoriale” e dalla
cosiddetta “mafia dei colletti bianchi” a Milano, attraverso decine di “società commerciali” dedite al
riciclaggio di denaro sporco, e in rapporti con ambienti bancari e finanziari svizzeri: tra gli altri, con
la Banca della Svizzera Italiana (Mendrisio, Lugano e Zurigo), il Credito Svizzero (Bellinzona,
Chiasso e Zurigo), la Bankverem Schweízerischer (Chiasso), la Banque Société Alsacienne (Zuri-
go), la HandIess Bank (Zurigo), la Banca Hutton (Lugano), la Banca Rolmer (Chiasso), l’Unione
Banche Svízzere; tra le società finanziarie: con la Finagest Sa (Lugano), la Copfinanz (Breganzo-
na), la Traex Co. (Lugano), la Sogenal (Zurigo).

Alcuni dei boss colpiti da mandato di cattura risultano tra l’altro correntisti della Banca Rasini33
piccolo istituto di credito milanese (un solo sportello a Milano) del quale Luigi Berlusconi (padre di
Silvio) era stato per molti anni funzionario, e il cui titolare, Carlo Rasini, era stato tra i finanziatori
delle primissime iniziative edilizie di Silvio Berlusconi34. Presso la stessa Banca Rasini era affluita
buona parte dei capitali “svizzeri” destinati alle attività edilizie berlusconiane.

Ma il rapporto Criminalpol dell’aprile 1981 si occupava a lungo del boss mafioso Vittorio
Mangano, e citava il berlusconiano Marcello Dell’Utri per i suoi sospetti contatti con lo stesso
Mangano, definito nel rapporto “pericolosissimo pregiudicato, schedato mafioso, coinvolto,
interessato o cointeressato in imprese commerciali e finanziarie con vorticosi volumi di affari su
scala nazionale e intenzionale”35.

In un rapporto della polizia cantonale di Bellinzona datato 13 settembre 1991 (“Aggiornamento


operazioni Atlantida e Mato Grosso”36 firmato dal comandante della sezione “Informazioni droga”
del Canton Ticino Daniele Corazzini e dal comandante della polizia di Bellinzona Silvano Sulmeni,
a pag. 2 è scritto: “Per quanto riguarda il denaro da ricevere in provenienza dall’Italia (v. nostro
rapporto 10 6 91) il medesimo apparterrebbe al clan di Silvio Berlusconi. Già si dispone del codice
di chiamata (per il trasferimento del denaro dall’Italia): dovranno unicamente designare una persona
di fiducia di tale gruppo. Il nome di Berlusconi non deve impressionare più di quel tanto poiché
anni fa, segnatamente ai tempi della Pizza Connection, lo stesso era fortemente indiziato di essere il
capolinea dei soldi riciclati. All’epoca si interessava dell’indagine l’allora giudice Di Maggio, che
era stato anche in Ticino per conferire con l’ex procuratore pubblico on. Dick Marty”.

“A parlare per primi del presunto coinvolgimento di Silvio Berlusconi nell’inchiesta Mato Grosso”,
scrive il settimanale “Avvenimenti”, “furono i giornalisti dei quotidiano svizzero “L’Altranotizia”,
che pubblicarono una serie di servizi tra novembre e dicembre [1993]. Partendo da quella notizia,
abbiamo rintracciato il rapporto della polizia di Bellinzona: Silvio Berlusconi o più esattamente “il
clan Berlusconi”, come scrivono le autorità svizzere sarebbe coinvolto in una grossa operazione di
riciclaggio. Stando al testo del rapporto, il suo nome sarebbe stato fatto, in passato, nell’ambito
delle indagini sulla “Pizza Connection”, una gigantesca inchiesta sugli affari di grandi boss della
mafia turca e siciliana, che intrattenevano rapporti da un lato con i salotti buoni della finanza
svizzera, e dall’altra con il capo della P2 Licio Gelli”37.

Il rapporto della polizia di Bellinzona nasce dalle indagini condotte da un funzionario “coperto”
della polizia ticinese infiltratosi nel giro del narcotraffico internazionale: “Attraverso uno stra-
tagemma sono entrato in contatto col finanziere brasiliano Juan Ripoll Mari38 personaggio che in
Brasile gode di poderosi appoggi politici, specialmente quando era al potere l’ex presidente Collor,
destituito perché coinvolto in uno scandalo legato a un vasto giro di trafficanti di cocaina e
riciclatori... Juan Ripoll Mari dispone di quattro società paravento panamensi dislocate a Lugano,
dove tra l’altro è in contatto con un avvocato fiduciario con funzione di amministratore..
L’intenzione di Ripoll Mari era quella di riciclare 300 milioni di dollari provenienti dalla Francia,
dalla Spagna e dall’Italia, oltre ad altri 100 milioni del gruppo terroristico Eta... A suo dire, il
denaro fermo in Italia e da riciclare proveniva dall’impero finanziario di Silvio Berlusconi,
attualmente alle prese con grosse difficoltà finanziarie”39.

Il 25 settembre, la polizia di Ginevra arresta tale Winnie Kollbrunner, trovata in possesso di titoli
rubati provenienti da una stranissima rapina ai danni di una filiale romana del Banco di Santo
Spirito. La Kollbrunner risulta avere “trattato, per mesi, operazioni di cambio valuta fra banche per
tranches di 50 milioni di dollari la settimana. Nel passaggio si fingevano perdite sul cambio intorno
al 6 per cento, una parte delle quali (generalmente il 4 per cento) andavano a ingrassare i conti in
nero della Dc e del Psi. La Kollbrunner ha trattato anche affari immobiliari e operazioni di cambio
[tra gli altri] con Paolo Berlusconi”40. Ma l’ambigua Kollbrunner arrestata dalla polizia ginevrina è
anche una stretta collaboratrice del ministro di Grazia e Giustizia Claudio Martelli (a carico del
delfino di Craxi, infatti, la magistratura inoltrerà richiesta di autorizzazione a procedere per
ricettazione).

Martelli e Craxi risulteranno essere stati i beneficiari del conto cifrato “Protezione” 633369, aperto
presso l’Unione Banche Svizzere di Lugano dal faccendiere craxiano Silvano Larini (amico di
Silvio Berlusconi, e tramite dell’incontro Berlusconi Craxi sul finire degli anni Sessanta); nel conto
“Protezione”, tra il 1980 e 1,81, affluì una prima tangente di 7 milioni di dollari pagata dal
bancarottiere piduista Roberto Calvi con la regia del Venerabile maestro Licio Gelli l’operazione
venne concepita all’interno della Loggia P2 alla quale Berlusconi era affiliato, ed era a beneficio del
padrino politico della Fininvest (e intimo amico di Berlusconi)
In seguito al fallimento della sua finanziaria svizzera Sasea Holding Sa (un crac da 4,5 miliardi di
franchi svizzeri circa 5 mila miliardi di lire), nel novembre 1992 il faccendiere italiano Florio
Fiorini finisce nel carcere ginevrino di Champ Dollon per bancarotta.

Fiorini, nel 1980, era stato il direttore finanziario dell’Eni che, in combutta con Bettino Craxi e col
bancarottiere piduista Roberto Calvi, aveva propiziato l’operazione piduista “conto Protezione”
mediante un finanziamento dell’Eni per 220 miliardi di lire al Banco Ambrosiano. Ma Craxi e la
Loggia P2 non sono stati i soli punti di contatto tra Fiorini e Berlusconi: “Florio Fiorini è sempre
andato fiero dei suoi rapporti di amicizia con Silvio Berlusconi. A partire dal 1989, quando si mise
in testa di fare affari nel settore dei mass media (Odeon Tv, Pathé cinema, Mgm), Fiorini usò quei
rapporti come una specie di biglietto da visita in un mondo che gli era sconosciuto e che gli è poi
risultato fatale. Ai tempi d’oro della sua Sasea, quando Hollywood sembrava a portata di mano, non
si contano le interviste in cui Fiorini dava per imminente l’intervento al suo fianco dell’amico
Berlusconi. Da parte sua la Fininvest di Berlusconi partecipò, in veste di finanziatore, alla disastrosa
scalala alla Mgni tentata da Fiorini in coppia con Giancarlo Parretti. Un appoggio che è
puntualmente ricordato dall’ex patron di Sasea nelle sue deposizioni ai giudici”41. E mentre
“l’amicizia” Fiorini Berlusconi andava cementandosi, Fiorini era legato anche al boss mafioso
(residente a Lugano) Michele Amandini42 attraverso la finanziaria Blax Corporation di Vaduz (nel
“paradiso fiscale” del Liechtenstein).

Oggi, dal carcere ginevrino dove è detenuto, Fiorini invia alla magistratura periodici “memoriali”
nei quali ricorre spesso il nome di Silvio Berlusconi.

In un rapporto datato 27 novembre 1992 e inviato ai vertici della polizia cantonale ticinese, il già
citato funzionario svizzero “infiltrato" nel narcotraffico internazionale scrive: “Agli inizi dei 1991
alcune informazioni confidenziali rivelarono che presso la Banca Migros di Lugano venivano
riciclate forti somme di denaro provenienti dall’Italia... L’inchiesta produsse un primo significativo
effetto il 13 giugno 1991, a Lugano, quando fürono arrestati tali Edu de Toledo e Donizete Ferreira
Pena con circa un milione di franchi svizzeri in contanti. Unitamente a Gianmario Massa, cassiere
della Banca Migros di Lugano (pure arrestato), i due erano intenti nell’operazione di parziale
pagamento di una partita di 70 chili di cocaina giunta precedentemente a Rotterdam. La droga,
proveniente dal Brasile, era stata ritirata da emissari della criminalità organizzata italiana”; secondo
il funzionario, il riciclatore Giuseppe Lottusi “faceva capo, per le operazioni di riciclaggio, alla
piazza finanziaria svizzero italiana e, in particolare, alla Fimo Sa di Chiasso”.

Di sospetti rapporti tra società berlusconiane e gli ambienti finanziari italo svizzeri legati
alla “galassia Fimo” di Chiasso scriveranno le cronache giornalistiche nel marzo 1994, per una
oscura vicenda inerente l’acquisto di un calciatore da parte del Milan Fininvest. “Tutte le inchieste
portano a Chiasso. Al numero 89 di via San Gottardo, dove ci sono le sedi di una finanziaria e di
una banca che sono al centro di infinite indagini su mafia e tangenti. E dalle

quali si scopre che sono passati anche i soldi per il trasferimento di Gianluigi Lentini, l’attaccante
granata acquistato dal Milan a suon di miliardi. A parlare della vicenda è stato Mauro Borsano [ex
parlamentare Psi, e amico di Bettino Craxi, Nd 4], ex presidente del Torino, che ne curò la vendita
nel marzo 1992. Davanti al Pm. Gherardo Colombo, l’ex patron granata ha ricostruito la trattativa e
soprattutto i versamenti in nero estero su estero. Secondo Borsano, il primo accordo prevedeva un
prezzo ufficiale di 14 miliardi e mezzo più un anticipo di 4 miliardi in nero. Per la gestione degli
accrediti, Borsano si rivolge alla famiglia Aloisio, che controlla sia la banca Albis sia la finanziaria
Fimo: entrambe di Chiasso, entrambe protagoniste di una selva di vicende giudiziarie. La più
famosa è quella di Giuseppe Lottusi, il commercialista che attraverso la Banca Albis avrebbe
trasmesso tutti i pagamenti del clan Madonia ai “narcos” colombiani. Per questi fatti, Lottusi è stato
condannato a vent’anni in primo grado dai giudici di Palermo. Non solo. La sede di via San
Gottardo è stata fatta perquisire un anno fa su richiesta di Antonio Di Pietro: grazie a questa
struttura sono state distribuite a Dc e Psi tutte le mazzette del gruppo Eni. Si tratta di almeno
sessanta miliardi. E intorno agli uomini della Fimo e delle sigle collegate le istruttorie si sono
moltiplicate [ ]. Mauro Borsano ha rivelato al Pm Colombo che anche i soldi per la cessione di
Lentini sono transitati attraverso questa rete. Il finanziere torinese ha spiegato di essersi messo in
contatto con Emilio Aloisio, consigliere della Fimo, e di avere poi preso accordi per il versamento
con Adriano Galliani, amministratore del Milan [ ].

I primi quattro miliardi vengono quindi depositati sulla Banca Albis nella primavera 1992. Da li si
provvede a trasferirli alla società Cambio Corso di Torino, sempre di proprietà degli Aloisio, che
consegna il controvalore in titoli di Stato a Borsano. La scelta di rivolgersi all’istituto ticinese è
sorprendente: Lottusi era stato arrestato sei mesi prima e tutti i giornali avevano dedicato intere
pagine ai suoi rapporti con la Banca Albis per il riciclaggio dei narcocapitali [ ... ]. In tutto per il
contratto di Lentini sulla Banca Albis viene versata una cifra compresa tra i 6 miliardi e mezzo e gli
8 miliardi e mezzo […]. I soldi del Milan sono arrivati dalla banca Ubs di Chiasso, però Borsano
sospetta che non sia quella la sorgente dei fondi neri Ora i magistrati del pool “Mani pulite” cercano
di capire quale sia la caverna del tesoro dalla quale attingevano le società del gruppo Fininvest”43.

Attualmente il gruppo Fininvest è assai radicato in terra elvetica. “Non si tratta solo della parte
“evidente” del gruppo, vale a dire il “Punto Milan Estero” di via Besso a Massagno, frazione di
Lugano. Li ci si occupa dei tifosi rossoneri all’estero, e vi ha sede la Fininvest Services Sa,
presieduta dall’ex presidente ticinese del partito liberal radicale (maggioranza relativa) Pierfelice
Barchi ‘ uno dei più potenti notabili del cantone (il suo studio legale difende tradizionalmente gli
imputati di mafia). L’impero berlusconiano viene piuttosto gestito dagli uffici della Fiduciaria di

Giorgio e Renato Ferrecchi, situata al 6 di via Bossi, a Lugano, nel cuore della “city” luganese.
Ferrecchi gestisce tutta una serie di società di rilievo come la Brico Sa Lamone Cadempino, la
Edilnord Sa Biasca, il gruppo Precicast di Novazzano (cui è legata la Privat Kredit Bank attraverso
l’azionista Giuseppe Penati, a sua volta legato alla Fidinam di Tito Tettamanti), le fiduciarie Sogepa
e AlIfinanz (che legano Ferrecchi a un altro fiduciario del gruppo Berlusconi, l’avvocato Renzo
Rezzonico), il gruppo Alitec (gruppo italo brasiliano legato a Bemardino Bernardini e a Nuova Ri-
vista Internazionale), lo studio pubblicitario italo svizzero Publigoods di Paolo Spalluto, gli uffici
svizzeri del commerciante milanesi). In via Bossi 6 hanno sede anche la Orion Communication Sa e
la Dominfid, ovvero le due società che, secondo la magistratura napoletana, sono servite per
riciclare almeno 3 miliardi di lire di fondi neri creati all’interno del gruppo di Berlusconi con una
transazione sopravvalutata intercorsa tra Publitalia (società del gruppo Fininvest), il Milan, la Sme
(holding statale agroalimentare) e la Sport Events, una società di proprietà dell’ex arbitro italiano
Egidio Ballerini rivenduta nel 1992 alla Orion. La Dominfid appartiene alla Sirtis Sa di Lugano, che
a sua volta appartiene alla Dominion Fiduciaria di Chiasso, una holding italo svizzera (legata al
tivolino Renzo Bitocchi e al romano Michele Grimaldi) posta in fallimento nel giugno 1993, ovvero
nel periodo in cui partiva l’inchiesta dei magistrati napoletani. Oltre al “gruppo Ferrecchi”, in
questo troncone sono attivi tre fiduciari: Fabrizio Pessina, Edy Albisetti e Ettore Abeltino.
Quest’ultimo, a sua volta, è legato alla Fidinani di Tito Tettamanti attraverso la Coexsu”44. Intanto,
le cronache giudiziarie informano che il faccendiere romano Giancarlo Rossi (arrestato su mandato
dei magistrati milanesi nel giugno 1994) è l’intestatario del conto corrente “coperto” FF 2927
presso la Trade Development Bank di Ginevra, conto sul quale sono affluiti 2 milioni e 200 mila
dollari fornitigli dal piduista Luigi Bisignani e parte della maxitangente pagata dall’Enimont ai
partiti di governo; il faccendiere romano45 risulta intestatario anche di altri conti “coperti” presso
banche svizzere sui quali sono transitati un migliaio di miliardi, e dispone di due società off shore
domiciliate a Panama. Mentre la magistratura italiana indaga per corruzione, ricettazione e
violazione della legge sul finanziamento pubblico ai partiti, e la magistratura di Ginevra apre
un’inchiesta per riciclaggio, si apprende che Rossi è in rapporti col gruppo Fininvest, come
dimostrano i suoi contatti telefonici nelle settimane precedenti il suo arresto: “Una chiamata a un
numero intestato a Silvio Berlusconi (via Santa Maria dell’Anima 3 1/A, l’abitazione romana del
presidente del Consiglio). Con uomini legati a Berlusconi e al suo gruppo, Rossi ha avuto rapporti
frequenti: compaiono infatti chiamate a Antonio Tajani (portavoce del premier), a Fininvest
comunicazioni, Publitalia, e alla Diakron, la società che sforna i sondaggi per Forza Italia [ ]. Rossi
chiama per ben cinque volte direttamente il ministro della Difesa Cesare Previti, col quale si è
sempre dichiarato in ottimi rapporti: Previti viene chiamato sul suo cellulare, nell’abitazione
romana e persino a Porto Santo Stefano, sull’Argentario. Con numeri diversi, Rossi chiama anche
11 volte il ministero della Difesa”46.

La polizia elvetica, da parte sua, segnala ai magistrati milanesi che nell’inverno 1993 94 l’ex
segretario del Psi Bettino Craxi si è recato in Svizzera, utilizzando per il suo viaggio un aereo di
proprietà di Silvio Berlusconi. E nell’ottobre 1994, arrestato dai magistrati di “Mani pulite”,
l’imprenditore Giorgio Tradati (amico d’infanzia di Craxi) dichiara al Tribunale di Milano: “Nel
1981, Craxi mi chiese di fargli da prestanome per un conto in Svizzera [alla Sbs Société de Banque
Suisse di Chiasso aprii per lui un conto cifrato]. Poi i conti diventarono due [il secondo, lo aprii
all’American Express di Ginevra]. In totale, sui due conti, affluirono circa 30 miliardi di lire [di
tangenti]”47 ; nella vicenda dei due conti svizzeri craxiani risulta coinvolta la contessa Francesca
Vacca Agusta, la cui villa di Portofino è assiduamente frequentata da Silvio Berlusconi. Fin dai
primissimi anni Ottanta, ricorrenti sono state le voci di presunti comuni interessi affaristici tra
Berlusconi e Craxi, e insistenti le vociferazioni secondo le quali Bettino Craxi sarebbe uno dei soci
occulti del gruppo Fininvest.

***

Ma la presenza di Berlusconi in terra elvetica non è legata soltanto a meri interessi affaristici: in
Svizzera (ad Arlesheim), Miriam Bartolini (in arte Veronica Lario), seconda signora Berlusconi, ha
dato alla luce le loro figlie Barbara (luglio 1984) e Eleonora (maggio 1986); nella svizzera
Arlesheim, anche Marcello Dell’Utri, nel 1981 e nel 1985, è divenuto due volte padre.

1 Cfr. J. Ziegler, Una Svizzera al di sopra di ogni sospetto, Mondadori, Milano 1976, pag. 44.
Ziegler è docente di Sociologia all'Università di Ginevra, deputato, membro della Commissione
esteri del Parlamento della Confederazione.
2 J. Ziegler, La Svizzera lava più bianco, Mondadori, Milano 1992, pag. 26,

3 “La maggior parte di questi [boss mafiosi e trafficanti d'armi] vive da molti anni, sotto il vero
nome (più raramente con nome falso), in sontuose ville sulle rive del Lago di Zurigo o di Ginevra.
Ottimi clienti delle banche multinazionali elvetiche, godono della stima generale e, spesso, di
efficaci protezioni”; J. Zíegler, La Svizzera lava più bianco, cit., pag. 46.

4 Ibidem, pag. 26. Nel Rapporto ZSD/ 191 030 1/KI, dei 27 aprile 1992, firmato dal capo
dell'Ufficio federale antidroga della Confederazione Jacques Kaeslin, si legge: “[L'impiego di
agenti infiltrati] ha permesso di svelare i legami esistenti in Svizzera tra gli studi legali di Ginevra e
del Canton Ticino e le organizzazioni criminali”. In sostanza, le autorità investigative svizzere
confermano quanto rilevato in sede "sociologica" da Ziegler: “Si trovano a Ginevra un certo numero
di "società finanziarie" che tutti conoscono. Tanto le reti controllate direttamente dalle banche o
dalle società finanziarie, quanto quelle dirette da "portatori" indipendenti, si servono per
l'esecuzione dei compiti relativi di contrabbandieri, malviventi di professione” (J. Ziegler, Una
Svizzera al di sopra di ogni sospetto, cit., pag. 72).

5 "Panorama", 4 giugno 1994.

6 "Corriere della Sera", 31 gennaio 1994

7 Nel sospetto ruolo di accornandatari prestanorne della società, a Lidia Borsani succederanno la zia
di Berlusconi Maria Bossi vedova Borsani, e il dipendente della società Antonio D'Adarno. Molti
anni dopo, nel 1993, ormai costruttore in proprio, D'Adamo, forgiatosi alla scuola edilizia
berlusconiana, verrà arrestato perché accusato di corruzione, nell'ambito dell'inchiesta "Mani
pulite".

8 Nell'atto costitutivo, la finanziaria risulta gravata da "vincolo estero", può cioè operare soltanto
fuori dai confini della Confederazione elvetica.

9 “I soci della Discount Bank sono numerosi, e sparsi in tutto il mondo. Si tratta degli americani
Morton P. Hjman e Raphael Recanati, dei francesi Jean Frangois Charrey e Hemi Klein, dei greci
Maurice Nissim e Elía Molho, dei milanesi Henry Cohen, Aaron Benatoff e Franco Saminí, degli
israeliani Oudi Recanati e Joseph Assaraf, dello svizzero Jean Píerre Cottier” ("Avvenimenti", 9
febbraio 1994); Cottier (responsabile delle filiali svizzere della Discount Bank) siede anche nel
consiglio di amministrazione della Privat Kredit Bank.

10 “L'edificazione del centro residenziale di Brugherio da parte della Edílnord non si rivelerà l'affare
sperato: sarà infatti solo grazie ai massicci acquisti di appartamenti da parte del Fondo previdenza
dei dirigenti commerciali che l'iniziativa non si trasformerà in un fiasco [ ... ]. Il bilancio finale di
liquidazione [della Edílnord sas] è risibile: gli utili degli ultimi anni ammontano complessivamente
a poco più di 4 milioni di lire, che uniti al capitale sociale e al fondo accantonamento imposte
portano a 13,2 milioni, depositati presso la Banca Rasini”; G. Ruggeri, M. Guarino, op. cit., pagg.
40 e 48.

11 G. Ruggeri, M. Guarino, op. cit., pag. 39.

12 La Aktiengeselischaft ha infatti apportato il capitale sociale iniziale (50 mila franchi svizzeri), e
interamente sottoscritto i successivi aumenti di capitale: 600 milioni di lire nel 1974, e due miliardi
nel 1975.
13 Le due fiduciarie appartengono al parabancario della Banca Nazionale del Lavoro, all'epoca controllata dalla Loggia
P2. Tra gli altri, dello schermo della fiduciaria Servizio Italia si avvalgono il bancarottiere mafioso e piduista Michele
Sindona, il faccendiere Flavio Carboni, il bancarottiere piduista Roberto Calvi, e il Venerabile maestro Licio Gelli;
Berlusconi risulta essersi affiliato alla Loggia massonica segreta P2 in quello stesso gennaio 1978.

14 Pironi, oggi titolare di un avviato studio notarile, sostiene di avere prestato il proprio nome nella
Italcantieri “per semplice compiacenza verso il notaio che me lo aveva chiesto”, e di non avere
avuto alcuna parte reale o ruolo attivo nella società.

15 G. Ruggeri, M. Guarino, op. cit., pag. 49.

16 Nel luglio 1975, la Italcantieri srl muterà la propria ragione sociale in "società per azioni",
eleverà il capitale sociale a mezzo miliardo di lire, e a Foscale subentrerà Silvio Berlusconi in
persona, il quale assumerà la presidenza del consiglio di amministrazione. (In seguito, il capitale
sociale della Italcantieri spa verrà portato a 2 miliardi di lire, e verrà emesso un prestito
obbligazionario per ulteriori 2 miliardi.)

17 “Uomo potentissimo, a capo di una delle più importanti lobbies internazionali facenti capo alla
Svizzera, il gruppo Saurer, Tettamanti è al centro di una vasta rete di rapporti d'affari e d'amicizia
nel mondo della finanza europea. Socio di Vittorio Ghidella (ex numero due della Fiat, indagato a
Bari per truffa ai danni della Cassa del Mezzogiorno), grande amico dell'ex vicepresidente del
Banco Ambrosiano Orazio Bagnasco e del faccendiere, luganese Marco Gambazzi (coinvolto nelle
inchieste sul crac Ambrosiano, e più recentemente gestore del "Conto Cassonetto" del giudice
Diego Curtò), legato all'Opus Dei (e al suo boss zurighese Peter Duft, processato a Milano per
concorso in ricatto ai danni di Roberto Calvi), alla Banca Karfinco (il cui presidente, Hubert
BascImagel, è stato per anni l'analista economico del gruppo di Tettamanti), a Florio Fiorini, al
deus ex machina degli affari in Medio Oriente Nadhmi S. Auchi (coinvolto nel giro delle tangenti
del gruppo Eni ma anche punto di riferimento al Lussemburgo per l'area di Mauro Gíallombardo e
Jean Faber). Un socio di Tettamanti, John Rossi, fu incaricato da Larini e da Fiorini di opporsi alla
rogatoria italiana sul "Conto Protezione". Alla fiduciaria di Tettamanti, la Fidinam, e alla banca a
lui collegata, la Bsi (Banca della Svizzera Italiana), si rivolse il manager Pino Berfini per smistare la
"madre di tutte le tangenti del caso Enimont. Fidinam e Bsi, inoltre, sono entrate a più riprese nella
misteriosa nascita della Merchant Bank di Cragnotti & Partners, anch'essa coinvolta nell'affare Eni-
mont. Ma le due sigle compaiono anche in altre inchieste giudiziarie: il traffico di rifiuti, il caso
KolIbrunner, e indirettamente il caso Techint” ("Avvenimenti", 9 febbraio 1994).

18 "Avvenimenti", 9 febbraio 1994. La Milano Internazionale Sa (poi Cofi) era nata in Lussemburgo
nel 197 l; tra i soci fondatori Italiani: la Maa Assicurazioni, il Credito Lombardo, e la milanese
Agefin; tra i soci stranieri: la Banca della Svizzera Italiana, la AdIer Bank, la Suisse Italian Bank
Inc. di Nassau (Bahamas).

19 Cioè la quota minima per poter risultare azionisti della società; la presenza di Ballinari è
chiaramente di tipo "professionale".

20 "Avvemmenti”, 9 febbraio 1994. La brillante inchiesta pubblicata dal battagliero settimanale è


firmata da Michele Gambino Christopher Helti.

21 Ibidem.

22 Facoltoso e spregiudicato avvocato d'affari svizzero, politicamente legato a organizzazioni


anticomuniste di estrema destra, Doninelli è deceduto nel 1988.
23 “Volete far passare i vostri personali “fondi neri" attraverso la frontiera ítalo Svizzera?
Telefonate allo 0041 91 430101 e non resterete delusi. Da quasi quarant'anni, infatti, la Fimo si
occupa di far arrivare denaro (o altro) da un mittente che nessuno deve conoscere, a un destinatario
che vuole restare segreto” ("Avvenimenti", 9 febbraio 1994).

24 In un rapporto del novembre 1992 inviato ai vertici della Confederazione elvetica dalla Polizia
cantonale ticinese, si legge: “[ ... ] li 15 ottobre 1991 viene arrestato a Milano il quarantanovenne
Giuseppe Lottusi” il quale, con un solo viaggio settimanale in Svizzera e mediante contatti
telefonici dall'ufficio della sua società Interpart Finanziaria, nella milanese Piazza Santa Maria
Beltrade, ha riciclato 57 milioni di narcodollari e 15 miliardi di lire per conto del clan mafioso dei
Madonia; prosegue il rapporto: “II denaro, nascosto nei carichi di frutta, risaliva la penisola italiana
e giungeva al mercato ortofrutticolo di Milano; in seguito veniva consegnato a tale signor Rossi che
è poi risultato essere il Lottusi. Questi faceva capo, per le operazioni di riciclaggio, alla piazza
finanziaria svizzero italiana e, in particolare, alla Fimo di Chiasso”. Per le sue attività di riciclaggio
dei proventi dei narcotraffico, nel marzo 1993 Lottusi verrà condannato dal Tribunale di Palermo a
vent'anni di carcere.

25 "Avvenimenti", 9 febbraio 1994. “La versione ufficiale venne rivista almeno quattro volte. Per
uccidersi come pretende il referto ufficiale, Tramezzani avrebbe dovuto possedere la freddezza e la
lucidità necessari per spararsi ripetuti colpi di fucile mitragliatore alla testa senza mai sbagliare la
mira... Per gli inquirenti svizzeri, dato che è stata trovata una lettera, il caso è chiaro: suicidio”
(Ndem).

26 Fino a qualche anno fa, aveva sede in via San Gottardo 12, stesso recapito dello studio
dell'avvocato Elio Fiscalini. 1 due professionisti, soci nella Firno cosi come in numerose altre
società, erano anche parenti per via di Laura Fiscalini, moglie di un Doninelli. 1 rispettivi eredi
nascono figli d'arte: associati agli studi paterni, formano la più influente dinastia di avvocati d'affari
della Confederazione.

27 “La Silvio Berlusconi Finanziaria Sa Société Anonyme era stata fondata il 23 dicembre 1987
nello studio del notaio Mare Eíter con la ragione sociale di Finanziaria d'Investimento International
Sa. li capitale sociale iniziale non superava i 40 mila dollari ed era stato sottoscritto per un dollaro
da Giovanni Vittore e per fi resto dalla Fininvest spa. Fin dall'origine, alla presidenza della società
di diritto lussemburghese viene nominato Giancarlo Foscale, cugino di Silvio Berlusconi, Livio
Gironi è l'amministratore delegato. Nell'89 la società cambia nome e acquisisce la ragione sociale
attuale. Il capitale sale gradualmente a cento miliardi di lire. Nell'ultirna assemblea registrata al
Tribunale di Lussemburgo quella del 30 dicembre '92 si approva un bilancio del '91
singolarmente ricco (67 miliardi di utile) e appaiono le firme di Foscale e di due manager finanziari:
Ubaldo Livolsi e Alfredo Zuccotti, per il quale i magistrati milanesi hanno spiccato un ordine di
custodia cautelare”; L’Espresso 5 agosto 1994.

28 Nel 1969 Doninelli e il fido Ballinari hanno fondato a Milano la Socirni, Società Costruzioni
Industriali Milano; amministratore, fino al settembre 1993, ne è il presidente della Fimo Elio
Fiscalini. La Socimi (costruzione di armi pesanti, carrozze ferroviarie, autobus) il 28 maggio 1992 è
stata dichiarata insolvente dal Tribunale di Milano e successivamente posta in amministrazione
controllata con decreto del ministero dell'Industria. Sulla società grava il sospetto di traffico di armi,
e i magistrati di "Mani pulite" la accusano di avere pagato 13 miliardi di tangenti al socialista
Sergio Radaelli.
29 Pare che il commercio delle opere d'arte si presti ottimamente al riciclaggio e ad altro: Sergio
Vaccari, sospettato di avere organizzato il "suicidio" del banchiere piduista Roberto Calvi a Londra,
era commerciante d'arte...

30 “L’Espresso”, 11 febbraio 1994.

31 "Avvenimenti", 12 ottobre 1994. Paolo Fusi e Michele Gambino firmano l'articolo che rivela la
connessione Canale 5-Telecineton.

32 "Corriere della Sera", 16 febbraio 1983.

33 “Sul conto corrente n° 6861 acceso da Antonio Virgilio presso la Banca Rasini, transitano tra il
28 febbraio 1980 e il 31 maggio 1982 operazioni per circa 50 miliardi di lire. Inoltre, nel periodo
febbraio 1981 novembre 1982, la Rasini sconta a Virgilio 135 effetti per oltre un miliardo di lire;
parte degli effetti (esattamente 360 milioni) proveniva da una gioielleria di piazza di Spagna a
Roma, "riconosciuta" (secondo la requisitoria del Pubblico ministero nel troncone romano del
procedimento contro la "mafia dei colletti bianchi") "essere strumento di riciclaggio in favore di
Giuseppe Bono". Anche sul conto corrente n° 6410 presso la Banca Rasini transitano notevoli e
"ingiustificati" importi: il conto è intestato a Luigi Monti, socio di Virgilio in tutta una serie di
società, ma anche in operazioni che portano alla loro incriminazione”; cfr. G. Ruggeri, M. Guarino,
op. cít., pag. 50.

“La flagrante connivenza della Rasini con Monti e Virgilio rientra nel novero dei più vasti rapporti che la banca
intrattiene con esponenti della "mafia dei colletti bianchi", e con personaggi a essa mafia attigui, come il costruttore
Silvio Bonetti (condannato per il crac della Concordia a 9 anni di reclusione). Il comune tornaconto è tale che a un certo
punto il malavitoso "giro" manifesta alla Rasini la "disponibilità a trattare l'acquisto del pacchetto azionario di controllo
della banca dal 51 al 73 per cento sulla base di una valutazione dell'intero pacchetto di lire 40 miliardi” (Ibidem, pag. 5
1). L'operazione di compravendita della banca non andrà in porto, ma è un fatto che la Rasini risulterà particolarmente
compiacente con i correntisti mafiosi: il suo direttore generale, Antonio Vecchione, verrà rinviato a giudizio per
“violazione dei doveri inerenti al pubblico esercizio del credito”.

4
La Rasini, nei primi anni Sessanta, aveva garantito a Berlusconi una sostanziosa fideiussione per l'acquisto di un
terreno in via Alciati, a Milano.

35 La vicenda dei rapporti tra Mangano, Dell'Utri e Berlusconi verrà diffusamente trattata nel
capitolo "L'amico siciliano degli amici siciliani pagg. 151 213

36 Il rapporto, rivelato dal settimanale "Avvenimenti" (23 marzo 1994), risulta essere stato inviato, come scrivono Paolo
Fusi e Michele Gambino, “al comandante della polizia cantonale Mauro Dell'Ambrogio, al Procuratore pubblico di
Lugano Carla Del Ponte, e a quello di Bellinzona Jacques Ducry”.

37 Ibidem. “Un funzionario della polizia elvetica, che chiameremo convenzionalmente A.B., ha detto a "Avvenimenti":
'Nel 1989 DI Maggio stava lavorando insieme a un colonnello della Guardia di Finanza a una inchiesta sul casinò di
Nizza, ed era inciampato nel nome di Renato Della Valle (socio di Berlusconi in Telepiù). La Guardia di Finanza aveva
intercettato delle telefonate tra Della Valle e un certo Macolin, un torinese, in cui si parlava anche di Berlusconi. Senza
informare la magistratura, un corpo di polizia italiano mise sotto controllo anche i telefoni di Silvio Berlusconi.
Successivamente Di Maggio venne in Svizzera per interrogare un ticinese che già in passato aveva collaborato con le
forze di polizia e che conosceva bene gli ambienti finanziari elvetici e italiani ( -). Di Maggio, però, smentisce che siano
state messe a verbale circostanze riguardanti Berlusconi”.
3
8
“Ripoll Mari è un grande esperto in tecniche di riciclaggio del denaro sporco. A lui, secondo le polizie di mezza
Europa, si rivolgevano tutti coloro (imprenditori, mafiosi, politici e narcotrafficanti) che avevano necessità di far uscire
dai loro Paesi grosse quantità di denaro di provenienza oscura: dall'evasione fiscale, alle tangenti, fino alla vendita di
droga” ("Avvenimenti", 23 marzo 1994).

39 Dichiarazione rilasciata dal funzionario all'Autore nel luglio 1994, senza tuttavia esibire alcun
documento o ulteriori dettagli probatori.

40 Cfr. F. Forgione, P. Mondani, Oltre la cupola, Rizzoli, Milano 1994, pag. 195.

41 “Il Mondo”, 13 giugno 1994. “Il prezzo d'acquisto definitivo di Mgm” ha dichiarato Fioriffi ai
magistrati di Ginevra in un interrogatorio dei 12 ottobre 1993, "fu di 1.312 milioni di dollari".
Secondo il racconto dell'imputato 862 milioni di dollari furono forniti direttamente dal gruppo
Crédit Lyonnais. In particolare Mgm aveva raggiunto un accordo per cedere i diritti di trasmissione
dei film della sua biblioteca. Tra gli acquirenti secondo Fiorini c'era anche Fininvest Spagna. 11
Crédit Lyonnaís di New York, ha fatto mettere a verbale l'ex patron di Sasea, "scontò il contratto
d'acquisto di Fininvest Spagna per 66 milioni di dollari". Per quanto riguarda altri 160 milioni di
dollari forniti dal Crédit Lyonnais, Fiorini precisa che erano in parte garantiti da un "impegno della
Fininvest a comprare azioni Mgm per 50 milioni di dollari". Un impegno che deve essere caduto nel
vuoto: non risulta che la Fininvest abbia mai comprato una partecipazione azionaria della casa
cinematografica dei leone ruggente. E, infatti, in un successivo interrogatorio lo stesso Fiorini ha
fatto notare che in seguito il Crédit Lyonnais rinunció a far valere le garanzie fornite da Fininvest.
In quelle convulse giornate dell'ottobre del 1990, che videro Parretti e Fiorini conquistare la Mgm,
anche la Popolare di Novara allora guidata da Piero Bongianino fece la sua parte. Dei 112 milioni di
dollari che rappresentavano l’impegno diretto (in seguito destinato ad aumentare notevolmente) di
Sasea Holding nell'operazione, circa 50 milioni di dollari (oltre 70 miliardi di lire) furono forniti
dall’istituto piemontese. Un prestito, ha confermato Fiorini ai giudici, che era garantito dalla stessa
Fininvest” “bidem).

Per la vicenda Mgm/Fininvest, cfr. pagg. 244 48.

42 “Nella recente maxi inchiesta antimafia chiamata Nord Sud, Amandini [è risultato] affiliato a
un'organizzazione mafiosa che fa capo alle famiglie calabresi ffisediate a Milano: le famiglie
Morabíto, Sergi e Papalia. Amandini è personalmente coinvolto nel traffico d'eroina e in alcuni
sequestri di persona”; '11 Mondo", 18 aprile 1994.

Amandim è stato in affari anche col faccendiere sardo Flavio Carboni, a sua volta in affari con Berlusconi.

43 "Corriere della Sera", 6 marzo 1994.

44 "Avvenimenti", 9 febbraio 1994.

45 “Gestendo i miliardi di tanti potenti, Rossi è diventato il simbolo dei rampantismo finanziario "alla romana", basato
sulla furbizia e sul moltiplicare le conoscenze giuste. Quando il magistrato Di Pietro l'ha fatto arrestare, sono emersi i
suoi rapporti con la Dc andreottiana, con il ministro della Difesa Cesare Previti di Forza Italia, con l'ex ministro Pri
Antonio Maccanico, con l'ex agente segreto del Sisde Michele Finocchi e con tanti altri vip” ("Corriere della Sera", 5
settembre 1994). “Rossi sta emergendo come un crocevia negli intrecci della politica e della finanza di Roma [ …] al
punto di poter essere considerato il cassiere occulto non solo della corrente andreottiana, ma di tutta la Dc”
("L'Espresso", 15 luglio 1994).
46 "Panorama", 9 luglio 1994.

47 Secondo i magistrati di "Mani pulite", il padrino politico di Berlusconi ha tessuto negli anni una ragnatela di conti
bancari cifrati, intestati a prestanome, dove confluivano le tangenti riscosse: oltre che in Svizzera (Giorgio Tradati), in
Lussemburgo (Mauro Giallombardo), alla Bahamas (Giancarlo Troielli), a Hong Kong (Troielli e Agostino Ruju).

3. IL GRANDE IMBROGLIO

Sesso, sangue, soldi

Avvoltoi sulla preda

Cusago: il gioco delle tre carte

Arcore: nelle fauci dell'Idra

Buckingham Palace in Brianza

L'avvocato del Potere

Sesso, sangue, soldi

Il secondo “miracolo italiano” del millantato self made man Silvio Berlusconi è una faccenda le cui
radici affondano nella cronaca nera. Per compiersi, la magia berlusconiana no 2 un raggiro
multimiliardario si avvale dell'estro compiacente di un versatile uomo d'affari e dì mondo:
l'avvocato della cupola Fininvest Cesare Previti.

Ma per cogliere appieno questo nuovo “miracolo” nel suo mirabolante divenire, occorre conoscere
nel dettaglio gli antefatti che lo hanno reso possibile.

***

Nella sontuosa residenza romana dei marchesi Casati Stampa (attico e superattico con giardini
pensili, in via Puccini 9), la sera di domenica 30 agosto 1970 vengono rinvenuti, chiusi dentro un
salone, tre cadaveri: quello del marchese Camillo Casati Stampa di Soncino, quello di sua moglie
Anna Fallarino,

studente Massimo Minorenti. Dinamica e movente della tragedia sembrano subito chiari: il
marchese, in preda a un raptus dì gelosia, imbracciato uno dei suoi fucili da caccia avrebbe sparato
più colpi alla marchesa e al di lei amante, quindi avrebbe rivolto l'arma su di sé e si sarebbe
suicidato. L'indomani, lo scandalo "blasonato" campeggia sulle prime pagine dei quotidiani
nazionali.

Il marchese Camillo Casati Stampa di Soncino, nato a Roma nel 1927, discendente dall'omonima
famiglia patrizia lombarda dalla quale aveva ereditato cospicue proprietà, studi in un collegio
svizzero, in prime nozze aveva sposato la ballerina napoletana Letizia Izzo, e dall'unione era nata la
figlia Annamaria. Conosciuta Anna Fallarino, moglie di un amico, il marchese Camillo aveva
ottenuto dalla Sacra Rota l'annullamento del proprio matrimonio (gennaio 1959), e alla Izzo aveva
riconosciuto, a titolo di “liquidazione”, la somma di un miliardo di lire e la proprietà della
cappellatomba dei Casati Stampa1.
Anna Fallarino, nata a Benevento nel 1929, procace ex modella, era stata sposata in prime nozze
con l'imprenditore romano Giuseppe Drommi, amico d'infanzia del marchese Camillo; nell'aprile
del 1959 aveva anch'essa ottenuto dalla sempre compiacente Sacra Rota l'annullamento del
matrimonio2 e il 21 giugno 1961 il suo nuovo matrimonio religioso col marchese Camillo
(preceduto, l'anno prima, da una unione civile in Svizzera) l'aveva consacrata legittima marchesa
Casati Stampa di Soncino.

Il venticinquenne romano Massimo Minorenti, figlio di un ex funzionario statale, studente


universitario fuori corso, attivista del Movimento sociale, si muoveva da aitante playboygigolò
negli ambienti della Romabene. Da alcune settimane, era l'amante della marchesa Anna Fallarino.

I marchesi Casati Stampa erano tra gli esponenti più in vista dell'aristocrazia liberale3 un ambiente
che l'eccentrico marchese Camillo arrivava a snobbare. "Nei periodi in cui soggiornava a Palazzo
Soncino, a Milano", ricorda uno dei suoi ex dipendenti, "il marchese scendeva in strada portandosi
appresso una borsa con dentro delle uova sode, entrava in un bar di piazza Santa Maria Beltrade, e
ci bivaccava tutto il giorno: li chiacchierava con gli avventori, mentre mangiava le sue uova
bevendo champagne... La sera rientrava a Palazzo, ma non mancava di lasciare nel bar 100 mila lire
di mancia"4.

Le proprietà lasciate dai defunti marchesi Casati Stampa sono ingenti: i giornali scrivono di beni
mobili e immobili valutabili fra i 300 e i 400 miliardi di lire. Amministrate a Milano, negli uffici di
Palazzo Soncino, dall'anziano ragionier Lorenzo Saracchi, le proprietà terriere e immobiliari della
nobile famiglia sono concentrate essenzialmente in Lombardia: a Milano, Cinisello Balsamo,
Usmate Velate, Muggiò, Nova Milanese, Trezzano sul Naviglio, Gaggiano, Bareggio; a Cusago, le
vastissime proprietà comprendono un castello visconteo; nella tenuta di Arcore, estesa per un
milione di metri quadrati e "cuore" del patrimonio dei marchesi, sorge una villa settecentesca di
circa 3.500 mq impreziosita da una collezione di quadri del Quattrocento e del Cinquecento e da
una biblioteca ricca di diecimila volumi (è proprio nella villa di Arcore che la marchesa Anna
Fallarino aveva stabilito la sua residenza ufficiale, ed è nella villa di Arcore che i marchesi
risiedevano di tanto in tanto, quando soggiornavano al Nord).

Oltre a scuderie di cavalli purosangue, aziende agricole, allevamenti, immobili a Roma e altrove5
gioielli, quadri antichi (tra gli altri, del Tiepolo e del Tintoretto), il patrimonio dei Casati Stampa
comprende rendite finanziarie, investimenti azionari, e consistenti partecipazioni nel comparto
assicurativo.

Tre settimane dopo la tragedia, il notaio romano Carlo Pantalani rende pubbliche le volontà
testamentarie manoscritte dal marchese Casati Stampa in data 19 luglio 1961: "Nomino mia erede
universale mia moglie Anna Fallarino che mi ha reso tutti gli anni in cui mi è stata vicino,
felicissimo, e che ho sposato in chiesa il 21 giugno 1961 A mia figlia Annamaria, di Letizia Izzo,
spetterà la legittima, con in più l'assicurazione di cento milioni stipulata nell'estate del 1961 ed il
quadro raffigurante la Madonna col Bambino attribuita a Lorenzo di Credi".

Il dispositivo testamentario induce i parenti diretti della marchesa Anna Fallarino (i genitori e la
sorella) ad avviare un'azione legale: se la loro congiunta la sera del 30 agosto fosse spirata anche un
solo secondo dopo il marchese Camillo, l'eredità dei Casati Stampa sarebbe di loro spettanza un
settimanale scrive infatti "E legata a un respiro l'eredità del marchese"6. I parenti della Fallarino
affidano l'azione legale al trentaseienne avvocato romano di origine calabrese Cesare Previti, buon
amico della sorella della defunta marchesa Anna.
Ma le perizie medicolegali stabiliscono che i colpi esplosi dal marchese la tragica sera del 30 agosto
hanno ucciso Anna Fallarino all'istante; ne consegue che l'intera eredità dei Casati Stampa spetta di
diritto alla figlia di primo letto del marchese, Annamaria, che tuttavia, essendo minorenne (è nata a
Roma il 22 maggio 1951), deve essere affidata dal Tribunale dei minori a un tutore fino al
compimento del ventunesimo anno di età. A quel punto, l'intraprendente avvocato Previti contatta
Annamaria Casati, e benché disponga del mandato per la tutela dei Fallarino, offre alla
giovanissima ereditiera la propria assistenza sola e sconvolta dalla tragedia, accetta.

Intanto, Emilia Izzo, zia materna di Annamaria Casati Stampa, residente a Napoli, e unica parente
vivente della ragazza, fin dai primi giorni di settembre ha inoltrato istanza al Tribunale di Roma
chiedendo appunto di essere nominata tutrice della nipote minorenne.

Il 7 settembre, a una settimana dall'oscura tragedia di via Pucciní, la minorenne Annamaria Casati
Stampa si reca al Palazzo di Giustizia di Roma scortata da due accompagnatori: l'avvocato Cesare
Previti, e il senatore liberale Giorgio Bergamasco (vecchio amico dei marchesi Casati). Al giudice
che deve pronunciarsi circa la sua tutela, la giovane ereditiera precisa di non voler essere affidata
alla zia materna Emilia Izzo bensì al senatore Bergamasco.

Il Tribunale di Roma demanda per competenza a quello di Milano la decisione inerente


l'affidamento della marchesina. E benché il Codice preveda la nomina del tutore preferibilmente
"tra gli ascendenti o tra gli altri prossimi parenti o affini del minore", il 15 settembre il pretore di
Milano Antonio De Falco stabilisce che sia il senatore Bergamasco il tutore dell'ereditiera
minorenne, cioè colui che si occuperà "della sua educazione e dell'amministrazione del suo ingente
patrimonio".

Il 16 settembre, cioè il giorno dopo la sentenza di affidamento, il solerte avvocato Previti si


precipita al Palazzo di Giustizia di Roma con Annamaria Casati Stampa; dopo un breve colloquio,
ottiene dal magistrato "l'autorizzazione a prendere possesso dell'attico superattico di via Puccini,
compreso il saloncino in cui è avvenuta la tragedia. La giovane tornerà perciò nella casa paterna
accompagnata dall'avvocato Previti e dal tutore, senatore Bergamasco; insieme, procederanno
all'inventario di tutto quanto è contenuto nella casa, una ventina di stanze per oltre 500 metri
quadrati, arredata con pezzi di grande valore"7.

A partire dalla metà di settembre del 1970, dunque, l'ingente patrimonio dei Casati Stampa di
Soncino, in seguito alla morte del marchese Camillo e della marchesa Anna, è giuridicamente
amministrato dal senatore Giorgio Bergamasco, che è il tutore della

minorenne marchesina Annamaria. Nato a Milano nel 1904, di professione avvocato, Bergamasco
era stato eletto senatore per il Partito liberale nel 1958; rieletto nel 1963 e nel 1968, ha fatto parte
della Commissione Finanze e Tesoro del Senato, e in Parlamento presiede il Gruppo liberale al
Senato.

Il ruolo di protutore della giovane ereditiera dei Casati Stampa (cioè il legale della minore e suo
rappresentante nel caso di un conflitto di interessi tra essa e il tutore) è esercitato dall'avvocato
Cesare Previti. Nato a Reggio Calabria nel 1934, a Roma fin dal 1949, figlio del commercialista
missino Umberto Previti, lui stesso di orientamento fascista8, Cesare Previti disattende dunque il
mandato dei Fallarino, e assiste l'ereditiera Annamaria. Da tempo e non è dato sapere per quali
circostanze l'avvocato Previti è in rapporti con l'ancora anonimo palazzinaro milanese Silvio
Berlusconi..
L'ereditiera minorenne Annamaria, da parte sua, è duramente provata e gravemente scossa dalla
tragedia familiare, ed è stretta d'assedio dalla stampa e braccata dal business giornalistico che è
sorto intorno allo scandalo dei Casati Stampa9. Cosi, con tutte le incombenze burocraticofiscali e
amministrative legate all'eredità nelle mani della coppia PrevitiBergamasco, la marchesina lascia
subito l'Italia e si rifugia alle Seychelles (dove acquisterà e gestirà un albergo)10. La reale cura
degli affari legati all'eredità Casati Stampa è virtualmente nelle mani del protutore Previti: l'anziano
tutore Bergamasco, infatti, si limita alla gestione burocratica, ratificando con la sua firma le
decisioni assunte dall'avvocato Previti nella sua veste di avvocatoprotutore della marchesina11.

A quasi un anno dalla tragedia di via Puccini, il 26 giugno 1971, il senatore Bergamasco presenta
all'Ufficio imposte la “denuncia di successione” comprendente un inventario analitico (64 pagine
dattiloscritte) dei molti beni mobili e immobili passati in proprietà alla marchesina Annamaria.

L'elencoinventario si apre col palazzo Casati Stampa di via Soncino 2, nel centro di Milano (un
solenne edificio di tre piani, per i pregi storici e architettonici dichiarato monumento nazionale): il
valore d'inventario è indicato in soli 216 milioni di lire. Segue la descrizione di fabbricati, parchi,
aree edificabili, terreni agricoli, rustici, disseminati in vari comuni dell'hinterland milanese; in
totale, il valore dichiarato dei beni è di 1 miliardo e 782 milioni12. Con i crediti, i titoli azionari13 i
mobili, i gioielli e le disponibilità liquide, il totale patrimoniale è denunciato in 2 miliardi e 403
milioni, a fronte dei quali vengono indicati debiti, imposte e tasse da pagare per 538 milioni. Forse
per la complessità dei patrimonio da censire, dall'inventario risultano mancanti alcuni piccoli lotti
dei terreni di Cusago.

Nella “denuncia” si accenna al contenzioso aperto tra l'Erario e il contribuente Camillo Casati
Stampa, le cui dichiarazioni dei redditi il ministro delle Finanze aveva avuto modo di definire
"palesemente risibili"14. Benché lontano dai 300400 miliardi di cui favoleggia la stampa15 il
patrimonio dei Casati Stampa è comunque cospicuo e assai superiore al modestissimo valore
indicato nella “denuncia di successione” (2 miliardi e 400 milioni).

Vero è che il senatore liberale Bergamasco è un esperto in materia fiscale e tributaria: dopo avere
fatto parte della Commissione Finanze e Tesoro del Senato (195868), tra il 1972 e il 1976 (VI
legislatura) presenterà disegni di legge e interverrà in aula su temi quali: concessione di amnistia in
materia di reati finanziari, e disposizioni in materia di imposte sui redditi e sulle successioni. Anche
il. padre del protutore, il commercialista Umberto Previti, è un vero “mago” in materia tributaria e
societaria.

Il 26 giugno 1972 si insedia il 2° governo Andreotti (una coalizione di centrodestra DcPartito


liberale, noto come governo AndreottiMalagodi), nell'ambito del quale il senatore Bergamasco
ricopre la carica di ministro per i Rapporti col Parlamento. L'avvocato Cesare Previti ha modo di
conoscere il presidente Andreotti "per una questione professionale che riguarda il governo" (come
dirà lui stesso). Il precedente 22 maggio, la marchesina Annamaria ha compiuto i ventun anni ed è
divenuta maggiorenne, emancipandosi dal tutore e acquisendo la piena e diretta disponibilità del
patrimonio ereditato. Ma Annamaria Casati ha deciso di vivere all'estero, e dunque è nella necessità
di delegare la gestione dei suoi interessi e dei suoi beni in Italia. Cosi, il 27 settembre 1972, in
occasione di un suo brevissimo soggiorno a Milano, sottoscrive nello studio del notaio Michele
Zanuso un “mandato generale” che riaffida tutti i poteri al senatore Bergamasco: nell'atto è
precisato che il senatoreministro, nominato procuratore generale, rappresenterà la marchesina Casati
Stampa "in tutti gli atti di ordinaria e straordinaria amministrazione relativa a tutti i beni immobili e
mobili da essa posseduti o da possedere in Italia [ ...]. In una parola, tutto quanto esso procuratore
crederà del caso, rimossa ogni limitazione di mandato"16.
Tre mesi dopo la cessazione della sua tutela legale, il ministro Bergamasco ríacquisisce dunque la
piena disponibilità del patrimonio dei Casati Stampa; e non più implicitamente in quanto tutore
della minore, bensì per esplicito mandato dell'ereditiera

ormai maggiorenne. Annamaria Casati, nel luglio 1973, sposerà Pier Donà Dalle Rose, e prenderà
residenza in Brasile, a Brasilia; la gestione e la cura dei suoi interessi, in Italia, è affidata a un
ministro della Repubblica esperto fiscalista, affiancato da un “avvocato di fiducia” figlio di un noto
commercialista.

Avvoltoi sulla preda

Pressata da tasse arretrate e scadenze di imposte di successione, nell'autunno del 1973 Annamaria
Casati incarica l'avvocato Previti di trattare la cessione della sola villa di Arcore e del relativo
parco, con espressa esclusione degli arredi, della pinacoteca, della biblioteca, e delle circostanti
proprietà terriere.

Senza alcun tipo di preventivi contatti o consultazioni, primavera del 1974 l'avvocato Previti
telefona alla sua assistita, a Brasilia, e trionfante le annuncia di avere concluso per lei “un vero
affare”: ponendola di fronte al fatto compiuto, Previti le comunica di avere venduto per la somma di
500 milioni di lire la villa di Arcore al completo (compresi quadri, biblioteca e arredi), e i
circostanti terreni.

Nella concitatezza emotiva di una questione che la ripiomba nel ricordo della tragedia familiare,
Annamaria Casati, dal lontano

Brasile, non ha elementi per comprendere la risibilità della somma di 500 milioni in rapporto al
reale valore, enormemente superiore, delle proprietà di Arcore cedute; e del resto, il senatore
Bergamasco preme perché si reperisca denaro per poter fronteggiare le varie scadenze fiscali che
incombono.

Nella stessa primavera del 1974, l'“acquirente”, cioè il costruttore milanese Silvio Berlusconi, si
insedia nella sontuosa villa di Arcore dei Casati Stampa, prendendo possesso di tutto quanto vi è
contenuto. Ma non paga i 500 milioni annunciati dall'avvocato

Previti: li pagherà nel tempo, in comode e indefinite rate annue coincidenti per scadenze ed entità
con le scadenze fiscali di Annamaria Casati verso l'Erario.

Berlusconi non si intesta la villa e i circostanti terreni di Arcore dei quali è entrato in possesso
grazie all'avvocato Previti (il rogito verrà stipulato solo sei anni dopo, nel 1980). Infatti, Previti
comunica alla sua assistita che l'acquirente Berlusconi è in attesa di non meglio precisate pratiche
burocratiche edilizie, che non è opportuno per il momento stipulare l'atto notarile, e che insomma è
meglio per tutti lasciare per ora le cose come stanno. Cosi, di anno in anno, fino al 1980, le
proprietà di Arcore di cui Berlusconi dispone e usufruisce a partire dalla primavera 1974
continueranno a risultare intestate ad Annamaria Casati, e la stessa continuerà, per ben sette anni, a
pagare le relative tasse di proprietà, tasse “risparmiate” dal Magico Imprenditore Berlusconi grazie
all'avvocato Previti. Benché sia arduo conciliare gli interessi della sua assistita con quelli, avversi,
del palazzinaro milanese, e come si vedrà anche con i propri, Previti riuscirà nella prodezza...

Ma Previti e Berlusconi intendono comunque cautelarsi rispetto a un “affare” che, in quanto privo
di rogito notarile, risulta troppo precario. Cosi l'avvocato romano, nella stessa primavera 1974, vola
a Brasilia dalla sua cliente, e riesce a ottenere la firma di Annamaria Casati in calce a una delega,
congiuntamente intestata allo stesso Previti e a Berlusconi, che li nomina “amministratori” della
tenuta e dei beni di Arcore.

Nell'estate del 1974, dunque, Berlusconi abita stabilmente la villa di Arcore con annesso parco, e
benché non abbia ancora pagato la pur modesta somma pattuita con Previti, ne dispone già come di
sua proprietà. Ma nella villa, con Berlusconi, si sono insediati anche Marcello Dell'Utri17, e il
pluripregiudicato boss di Cosa Nostra Vittorio Mangano18.

Poco tempo dopo, nel Palazzo Soncino di Milano, dove hanno sede gli uffici che amministrano il
patrimonio Casati Stampa, allo storico e anziano ragionier Lorenzo Saracchi viene affiancato tale
Egidio Lo Baido, originario di Palermo. Lo Baido si muove negli uffici amministrativi di Palazzo
Soncino con molta sicurezza e disinvoltura, assumendo ben presto un ruolo dirigente. Fatto è che le
abitazioni dei Casati Stampa situate a Cinisello Balsamo (Milano) vengono affidate in locazione a
un gruppo di siculocalabresi, i quali nel tempo, attraverso pressanti avvertimenti, intimidazioni e
minacce rivolti in puro stile mafioso all'amministrazione dei Casati, riusciranno infine a divenire
“legittimi proprietari” delle abitazioni.

Secondo una testimonianza19, all'inizio del luglio 1975 la villa di Arcore è presidiata da “gorilla”
armati di fucili a canne mozze; all'interno, Berlusconi e Previti sono guardati a vista da altri ceffi
siculocalabresi armati. Il precedente 26 giugno, la sede delle attività berlusconiane, nella milanese
via Rovani, era stata oggetto di un misterioso attentato dinamitardo.

Nell'inverno 197778, l'avvocato Previti vola in Brasile dalla sua assistita, e le avanza nuove,
pressanti richieste inerenti i beni ereditari. Ma Annamaria Casati, stavolta, è irremovibile: non solo
rifiuta di assecondare le pretese del suo “avvocato di fiducia”, ma gli pone in termini ultimativi la
questione del rogito notarile per le proprietà di Arcore sulle quali essa continua a pagare le tasse
benché da ormai quattro anni tali proprietà siano in realtà di Berlusconi. I fumosi pretesti che ancora
una volta Previti le oppone per rinviare ulteriormente l'atto notarile portano cliente e avvocato a un
contrasto che costituirà la premessa alla revoca del mandato fiduciario.

Ormai, Annamaria Casati comincia a temere che dietro le ambiguità dell'avvocato Previti20 vi sia, o
vi possa essere, qualcosa che non quadra; né riesce a spiegarsi per quale ragione l'acquirente
Berlusconi continui a eludere il rogito, rinviando nel tempo il saldo dei 500 milioni pattuiti21.

Ciò che l'ereditiera non può sapere, è che il suo legale avvocato Previti siede nel collegio sindacale
(insieme al padre Umberto) della Immobiliare Idra srl costituita il precedente maggio 1977: e cioè
parte della società cui due anni dopo verranno intestati la villa e i circostanti terreni di Arcore, ed è
la società dove approderanno anche tutti i superstiti beni terrieri di Arcore dei Casati Stampa. Né
Annamaria Casati può sospettare che l'anno dopo sarà vittima di una prima truffaldina transazione i
cui beneficiari risulteranno essere Silvio Berlusconi e i soci occulti delle sue attività.

Cusago: il gioco delle tre carte

Il 30 luglio 1979, a nove anni dalla morte dei marchesi Casati Stampa, il notaio di fiducia di
Berlusconi, Guido Rodeva, registra l'atto di deposito di una "scrittura privata di permuta registrata
in data odierna, recante scambio di immobili in Cusago e azioni tra Annamaria Casati Stampa di
Soncino e la Immobiliare Coriasco spa con sede in Milano".

Nel documento vi è scritto: "Tra i signori: senatore Giorgio Bergamasco [procuratore generale della
signora Annamaria Casati Stampa di Soncino in Donà Dalle Rose] e il ragionier Giuseppino Scabini
impiegato22, amministratore unico e legale rappresentante della Immobiliare Coriasco spa] si
stipula quanto segue: la signora Annamaria Casati Stampa [rappresentata dal senatore Bergamasco
trasferisce a titolo di permuta alla Immobiliare Coriasco spa che, allo stesso titolo, acquista:
appezzamenti di terreni con sovrastanti fabbricati, sia rustici che urbani, compresi nel comune di
Cusago, della superficie catastale complessiva di circa 246.60.6323. La Immobiliare Coriasco spa
[rappresentata dal ragionier Scabini] trasferisce a titolo di permuta alla signora Annamaria Casati
Stampa [ ... ] no 800.000 azioni della Cantieri Riuniti Milanesi spa del valore nominale di L. 1.000
ciascuna. I beni immobili permutati dalla signora Annamaria Casati Stampa alla Immobiliare
Coriasco spa hanno un complessivo valore di L. 1.700.000.000. Egualmente le no 800.000 azioni di
cui sopra costituenti parte del capitale sociale della Cantieri Riuniti Milanesi spa [ ... ] hanno il
valore di L. 1.700.000.000, per cui non si fa luogo a conguaglio"24.

Sette anni prima, quelle medesime proprietà di Cusago erano state denunciate all'Erario da
Bergamasco e Previti per un valore di 367 milioni; ora, i due professionisti le cedono a una società
“berlusconiana” per l'ipotetico controvalore di 1,7 miliardi sotto forma di “azioni” di un'altra società
“berlusconiana”. Promotore e artefice primo dell'assurda transazione è Cesare Previti, il quale è si
l'avvocato di fiducia della venditrice marchesina Casati Stampa, ma al tempo stesso, e all'insaputa
della sua assistita, ha diretti interessi nel gruppo berlusconiano del quale le società “acquirenti”
sono parte.

La Immobiliare Coriasco e la Cantieri Riuniti Milanesi, infatti, sono società appartenenti al nascente
gruppo Fininvest, gruppo nel quale hanno ruolichiave sia l'avvocato Cesare Previti, sia suo padre, il
commercialista Umberto Previti25. La Immobiliare Coriasco spa è una delle più ambigue società
berluscomane: sede a Ciriè (provincia di Torino), e “gemella” della Immobiliare Romano Paltano
spa (anch'essa con sede a Ciriè, dal 1975 amministrata da Marcello Dell'Utri) dalla quale il 12
maggio 1978 era nata la Cantieri Riuniti Milanesi spa26.

La transazione è chiaramente assurda: quale valore reale possono infatti avere azioni non quotate da
nessuna parte, e relative a una società la Cantieri Riuniti Milanesi che è una semplice “scatola
vuota” la cui attività si avvale di soli 7 dipendenti?27. La stessa somma nominale di L.
1.700.000.000 è di entità risibile, sia in termini assoluti rispetto al reale valore del patrimonio
acquisito, sia dei termini relativi al valore già "palesemente risibile" indicato nella “denuncia di
successione” del 1971.

Quando il senatore Bergamasco, su disposizione di Annamaria Casati, cercherà di monetizzare le


azioni della Cantieri Riuniti

Milanesi avute “in permuta” i contorni della truffa diverranno ulteriormente palesi.

Non riuscendo ovviamente a trovare sul mercato qualche sprovveduto disposto ad acquistare
“azioni” della società-fantasma, nella primavera del 1980 l'anziano procuratore è costretto a
rivolgersi alla stessa Cantieri Riuniti Milanesi: la società riacquista

le proprie azioni, nominalmente di L. 1.700.000.000, per lire 850 milioni cioè al 50 per cento in
meno del valore dichiarato al momento della loro cessione solo l'anno prima. Una truffa nella
truffa, la cui entità risulta ancora più chiara se si considera che la vendita di alcuni “scampoli” di
terreni agricoli di Cusago sfuggiti alla “permuta” berlusconiana perché non compresi nella
“denuncia di successione” rendono alla marchesa Annamaria Casati Stampa la somma di circa 6
miliardi (regolarmente denunciata al Fisco).

A questo punto, Annamaria Casati ha la piena consapevolezza di quanto è accaduto, e decide


finalmente di revocare la procura ai propri fiduciari. Ma prima, è per lei opportuno ottenere la
stipula del rogito della villa e circostanti terreni di Arcore, beni che risultano ancora intestati a suo
nome benché da anni siano di proprietà berlusconiana.

***

Intanto, la vicenda dei terreni di Cusago ex Casati Stampa registra importanti novità. La
Immobiliare Coriasco ne vende alla Cantieri Riuniti Milanesi una parte, destinata a un nuovo
insediamento residenziale per 122.470 metri cubi edificabili. La seconda società subentra alla prima
nel piano di lottizzazione, e il 15 novembre 1989 la Cantieri Riuniti Milanesi firma col Comune di
Cusago la relativa convenzione urbanistica: essa prevede la costruzione di un complesso di edifici
su tre piani in condomini raggruppati “a schiere” formanti “corti”; nella parte centrale
dell'insediamento, case unifamiliari “a schiera” con giardino, e all'estremità orientale ville “binate”
con ampio giardino privato (è prevista anche la dotazione di una piscina e di un campogiochi).

Il piano di lottizzazione viene puntualmente approvato a maggioranza dalla giunta comunale Dc, col
voto contrario dell'opposizione di sinistra, secondo la quale "l'arnimmstrazione democristiana non
governa Cusago, ma spadroneggia in questo nostro povero paese facendo il bello e il cattivo tempo
a proprio piacimento senza tener conto delle esigenze dei cittadini... Si deve approvare e basta,
senza fiatare, che poi a tutto penserà il nostro caro sindaco, purché non vengano toccati gli interessi
della Coriasco... Il sindaco ragionier Luigi Cairati si arrabbia soprattutto quando si parla di tutela
dell'ambiente e dei beni storici, di sviluppo dei servizi sociali, perché queste non sono voci
economicamente utili per le immobiliari"28.

La speculazione berlusconiana a Cusago trasformerà in edificabili buona parte dei terreni agricoli e
delle aree verdi ex Casati Stampa. Dichiara un consigliere comunale: "In Monzoro, una frazione di
Cusago, c'era un'area verde che era parte dell'acquisto Coriasco. Doveva rimanere verde, ma ci
hanno costruito sopra delle case in cooperativa, come al solito assegnate agli amici". Ancora oggi
sono in corso iniziative immobiliari di varie società che fanno capo alla Fininvest (col “marchio”
Milano Visconti) sulle aree cusaghesi dell'eredità Casati Stampa acquisite nel 1979 dalla Coriasco a
345 lire al metro quadro; e gli edifici costruiti vengono venduti fra i 3 e i 4 milioni al metro
quadro29.

A Cusago è convinzione diffusa che il “regista sul campo” della locale speculazione edilizia sia
l'avvocato Cesare Previti (coadiuvato da Enrico Hoffer, architetto Fininvest beneficiario nel 1991 di
una “donazione” berlusconiana di oltre un miliardo).

Fa tutto l'avvocato Previti , qui comanda lui: senza di lui qui non si muove foglia. In paese si dice
anche che è proprio grazie al Colossale business di Cusago che l'avvocato Previti ha potuto
acquistare l'edificio di via Cicerone 60, a Roma (al momento dell'Acquisto era una caserma dei
Carabinieri , ma l'onnipotente Previti nel giro di pochi mesi sarebbe riuscito nella miracolistica
Impresa di sloggiare la Benemerita).

Nel 1994, a Cusago, nella piazza Soncino (di fronte al castello visconteo appartenuto ai Casati
Stampa e finito alla Coriasco), viene avviata dalle imprese berlusconiane una ampia
"ristrutturazione" che nei fatti è una nuova edificazione: infatti, i vecchi fabbricati rustici risultano
completamente demoliti (tra questi, vi era l'abitazione del padre del sindaco, che in cambio si è fatto
costruire una comoda palazzina), e dunque le licenze rilasciate per “ristrutturazione” sarebbero in
realtà una commedia.
Il progetto della “ristrutturazione” è firmato dall'architetto Roberto Rizzini, che è sì il tecnico
progettista dell'edilizia Fininvest, ma è anche l'estensore del Piano regolatore di Cusago, nonché
membro della Commissione edilizia.

Arcore nelle fauci dell'Idra

Il 2 ottobre 1980, a quasi sette anni dall'effettiva cessione dei beni, viene sottoscritto il rogito per la
villa di Arcore e circostanti terreni. Ancora sotto la sapiente regia dell'avvocato Previti nel versatile
ruolo di legale di fiducia della lontana “cedente” Annamaria Casati Stampa e di sodale affaristico
dell'“acquirente” BerlusconiFininvest, viene stipulato l'atto di compravendita repertato al n° 36110
del notaio milanese Guido Rodeva.

"La signora Annamaria Casati Stampa di Soncino in Donà Dalle Rose [rappresentata dal
procuratore senatore Giorgio Bergamasco] vende alla Società Immobiliare Idra srl (rappresentata
dal signor Giovanni Dal Santo30, amministratore unico della società] che acquista" la villa di
Arcore e i circostanti possedimenti terrieri (oltre 200 mila mq); "Il prezzo della presente vendita è
stato convenuto in complessive lire 500 milioni che la parte venditrice dichiara di aver prima d'ora
ricevuto dalla parte acquirente alla quale rilascia corrispondente quietanza" firmato: Giorgio
Bergamasco (procuratore, a nome della “venditrice”) e Giovanni Dal Santo (amministratore, per
conto della “acquirente”).

La valutazione di 500 milioni di lire “già pagate” per la tenuta e la principesca villa di Arcore
(nell'atto notarile disinvoltamente definite "casa di abitazione con circostanti fabbricati rurali e
terreni a varia destinazione") è un macroscopico imbroglio, anche sotto l'aspetto del danno
all'Erario. Infatti, subito dopo, la Cassa di Risparmio delle Provincie Lombarde riterrà la villa di
Arcore una garanzia congrua per erogare un finanziamento di 7 miliardi e 300 milioni (fideiussione
dell'Immobiliare Idra in favore della Cantieri Riuniti Milanesi), mentre il Monte dei Paschi di Siena,
con quella stessa garanzia, accorderà un ulteriore finanziamento di 680

milioni alla Immobiliare Idra. Del resto, secondo una conoscente della marchesina Casati, "la
somma di 500 milioni è il valore della sola Via Crucis del Luini, in 14 quadri che pendevano nella
quadreria della villa accanto a un Tintoretto e a un Tiepolo ... "31. Nel bilancio 1980 della
Immobiliare Idra si leggerà che la società ha acquistato "una villa con parco, di notevole valore e
prestigio, sita in Arcore, al prezzo storico di mezzo míliardo".

La “acquirente” Immobiliare Idra srl era stata costituita a Roma nel maggio 1977, e nel suo collegio
sindacale figuravano sia Umberto Previti, sia Cesare Previti; il 28 giugno 1979, nel collegio
sindacale della società era rimasto solo Previti senior -

il dimissionario Previti junior, il mese successivo, sarebbe stato impegnato nella prima parte del
berlusconiano “miracolo italiano” avente per oggetto i cespiti più ghiotti del patrimonio Casati
Stampa situati a Cusago e di proprietà della sua assistita.

L'atto notarile del 2 ottobre 1980, che sancisce ufficialmente l'acquisizione di una parte del
patrimonio Casati Stampa di Arcore da parte del gruppo Fininvest (villa e tenuta delle quali, come
si visto, Berlusconi già dispone di fatto e personalmente da circa sette anni), è stato preceduto di
pochi giorni da una provvidenziale “coincidenza”: il 12 settembre, infatti, il Comune di Arcore
aveva deliberato la destinazione urbanistica di una parte oggetto della compravendita.

Con questa sfacciata “transazione”, il poliedrico avvocato Previti arriva a eguagliare i più
mirabolanti sortilegi di matrice berlusconiana: aliena una parte del patrimonio della sua assistita
Annamaria Casati in favore di una società Fininvest nella quale è parte suo padre e nella quale è
stato parte lui stesso.

Ma il 2 ottobre 1980, il notaio Guido Roveda autentica anche un secondo atto di compravendita:
riguarda tutti i superstiti possedimenti terrieri di Arcore dei Casati Stampa non compresi nel primo
rogito, che vengono ceduti sottoforma di “permuta” a una società del gruppo Fininvest, la
Immobiliare Briantea srl (rappresentata dall'amministratore unico Giovanni Bottino un prestanome
residente a Milano 2).

Nel documento è scritto infatti che il senatore Bergamasco, nella sua veste di procuratore generale
di Annamaria Casati, cede alla Immobiliare Briantea srl tutti i residui beni posseduti dai Casati
Stampa a Arcore: circa 70 ettari di terreni agricoli, parte dei quali consistenti in poderi a coltura
intensiva e per il resto in appezzamenti seminativi, prati, boschi e pascoli, comprese le cascine e
tutti i fabbricati rurali sovrastanti32. Come già l'anno prima per i beni di Cusago, anche in questo
caso la transazione non avviene per denaro, bensì attraverso un “permuta” truffaldina: in cambio dei
possedimenti terrieri, infatti, la Immobiliare Briantea srl "trasferisce a titolo di permuta alla signora
Annamaria Casati Stampa di Soncino in Donà Dalle Rose numero 55.000 azioni del valore
nominale di lire 1.000 ciascuna, della Infrastrutture Immobiliari spa, con sede a Milano, via Rovani
2 [ ... ]. I beni permutati hanno il complessivo valore di lire 250 milioni. Egualmente le 55.000
azioni della Infrastrutture Immobiliari spa hanno il valore di lire 250 milioni, per cui non si fa luogo
ad alcun conguaglio".

Poiché il capitale sociale della Infrastrutture Immobiliari spa è di 400 milioni, l'importo di 250
milioni attribuiti alla transazione equivale al 62,5 per cento del capitale della società “acquirente”;
ma la vittima del raggiro, la “cedente” e ignara Annamaria Casati, non acquisisce affatto la
maggioranza della Infrastrutture Immobiliari spa: gli artefici dei raggiro attribuiscono infatti alle
55.000 azioni un valore equivalente al 13,75 per cento del capitale sociale in pratica, azioni senza
mercato di una società sconosciuta e inattiva vengono valutate dagli stessi interessati quattro volte e
mezzo il loro valore nominale...

Arteficeregista della sconcertante operazione è come sempre l'avvocato Previti: grazie a lui, infatti, i
superstiti e ingenti beni terrieri di Arcore della sua assistita vengono in pratica regalati in cambio
del simbolico importo di 250 milioni (cioè 357 lire al metro quadro), somma non già in denaro
bensì sottoforma di cartacee “azioni” della vacua e oscura Infrastrutture Immobiliari spa, azioni del
tutto prive di valore certo e che saranno anzi fonte di grane per la vittima del raggiro; beneficiaria
del “regalo” è una società del gruppo Fininvest, gruppo del quale l'avvocato Previti è parte.

La società Infrastrutture Immobiliari era stata costituita a Roma il 30 dicembre 1977, e nel 1978 la
Fininvest Roma ne aveva assunto il controllo. Nel 1980, poco prima della “operazione permuta”, a
danno di Annamaria Casati, il capitale sociale era stato portato a 400 milioni, e il solito Luigi
Restelli ne era stato nominato amministratore unico.

La Immobiliare Briantea srl (nata a Milano il 30 settembre come Edizioni Sociali Villanova srl con
900 mila lire di capitale, aveva assunto la nuova denominazione nel 1978) è una scatola vuota fino
ai primi mesi del 1980, quando l'amministratore della Infrastrutture Immobiliari, Luigi Restelli, la
convoglia nel gruppo Fininvest: ciò accade il 2 giugno 1980, con l'aumento di capitale a 450 milioni
e la nomina del prestanome Giovarmi Bottino ad amministratore unico. Dopo avere acquisito, col
secondo atto notarile del 2 ottobre 1980, gli ultimi beni terrieri dei Casati Stampa, la Immobiliare
Briantea srl si dedicherà al compito di sloggiare dai terreni di Arcore i contadini che vi sono
residenti33; risolto il problema, e “ripulite” le aree per potervi procedere alle speculazioni edilizie,
il 4 luglio 1988 la Immobiliare Briantea verrà incorporata, dalla Immobiliare Idra srl, approdo finale
del colossale "bottino".

La Immobiliare Idra è uno degli anfratti più oscuri tra le molte oscurità che caratterizzano il
divenire dell'impero Fininvest. La società viene costituita a Roma il 4 maggio 1977 (pochi mesi
prima della affiliazione di Berlusconi alla Loggia P2) dalle due stesse fiduciarie Servizio Italia spa e
Saf spa della Banca Nazionale dei Lavoro che originano la Fininvest; la BNL è controllata da
banchieri affiliati alla Loggia P234, e gli stessi piduisti controllano le due fiduciarie dietro le quali
si celano i promotori della Immobiliare Idra. La società nasce con un capitale di un milione (verrà
elevato a 900 l'anno successivo), risulta amministrata dal prestano me Giovanni Dal Santo, e nel suo
collegio sindacale figura, oltre a Cesare Previti, suo padre Umberto; Umberto Previti è un
commercialista legato al parabancario BNL nel quale operano le due fiduciarie piduiste. Il 28
giugno 1979 la sede sociale della Immobiliare Idra viene trasferita a Milano, in via Rovani 2 (sede
delle attività berlusconiane) e lo stesso giorno Cesare Previti lascia il collegio sindacale: nella sua
veste di “fiduciario” degli eredi Casati Stampa, come si è visto, il 2 ottobre dell'anno dopo
propizierà il passaggio dei beni di Arcore di proprietà della sua assistita alla Immobiliare Idra e alla
Immobiliare Briantea.

Tra il 1984 e il 1985, l'Immobiliare Idra acquista una faraonica villa a Punta Lada, in Sardegna (28
stanze e 12 bagni per 2.500 mq, e 7 ettari di parco), al “prezzo storico” di 1 miliardo e 500
milioni35: venditore è Flavio Carboni, il losco faccendiere sardo (condannato a quindici anni di
carcere per il crac del Banco Ambrosiano del píduista Roberto Calvi, e a 10 anni e 4 mesi quale
mandante del tentato omicidio di Roberto Rosone, direttore ai tempi in società con Berlusconi36.

Il 10 dicembre 1986, la Immobiliare Idra incorpora la GirGestioni immobiliari romane srl, una
società che da un lato riconduce a misteriosi ambienti svizzeri, e dall'altro a operazioni immobiliari
col boss mafioso Pippo Calò. Intatti la Gir è la ex Pinki srl (orbita Fininvest) costituita a Milano il
23 settembre 1982 dalla cittadina svizzera Monica Merzaghi e dal prestanome Pasquale
Guaglianone; interessata a un edificio di Portorotondo (in Sardegna) costruito, per conto della
Marius srl di Pippo Calò, dal palazzinaro mafioso Luigi Faldetta, la Gir ha acquistato dal “cassiere
della mafia” un appartamento.

Nel 1993, la Immobiliare Idra viene acquisita personalmente da Silvio Berlusconi: "Al centro
dell'operazione c'è l'Immobiliare Idra, sede a Milano, 10 miliardi di capitale sociale, proprietaria, tra
l'altro, della Ala di Arcore. Fino all'anno scorso questa società faceva capo alla Fininvest. Poi è stata
ceduta, come risulta dal bilancio 1993 della holding del Biscione. In veste di compratore e
intervenuto Silvio Berlusconi in persona [ ... ]. Prezzo pattuito: 10 miliardi. La Fininvest però aveva
in carico la controllata Idra per 16 miliardi, cosi l'operazione si è risolta in una perdita di 6 miliardi
per la holding. Poca cosa rispetto alle perdite registrate dall'Immobiliare Idra negli ultimi esercizi:
14 miliardi nel 1991 e 20 miliardi nel 1992, secondo gli ultimi due bilanci disponibili"37.

La singolare operazione, cui viene sbrigativamente attribuito lo scopo di “alleviare” il bilancio


Fininvest delle passività della Idra, in realtà sembra costituire piuttosto una “spartizione di beni”
dato il sempre più incerto futuro dell'impero: ma una spartizione tra Berlusconi e chi?

Buckingham Palace in Brianza

Informata dell'avvenuto rogito dei 2 ottobre 1980 relativo alla villa di Arcore e terreni circostanti,
ma posta anche di fronte al fatto compiuto del secondo e sbalorditivo atto notarile di “permuta” di
tutte le superstiti proprietà terriere, Annamaria Casati revoca il mandato all'avvocato Previti, e
nomina suo procuratore generale e suo nuovo legale di fiducia l'avvocato Ferdinando Carabba dello
studio Carnelutti.

Dal lontano Brasile, Annamaria Casati tutto desidera fuorché tornare alla ribalta delle cronache
giornalistiche e nelle aule dei tribunali italiani. Cosi, insiste presso l'avvocato Carabba perché
risolva al più presto il residuo strascico delle “permute”. "Da atti pubblici risultava che per due
transazioni su tre Annamaria era entrata in possesso di strane azioni di oscure società, e lei temeva
di venire coinvolta in fallimenti, o in dissesti, o anche peggio ... ", ricorda un amico di famiglia38.
Le preoccupazioni della marchesina Casati Stampa per le strane permute con ignote società
vengono espresse a Berlusconi, il quale alzando le spalle risponde: "Non c'è niente di cui ci si debba
preoccupare, e in ogni caso io sono in grado di sistemare tutto. Tutto ha un prezzo: basta pagare ...
"39.

La principesca villa di Arcore appartenuta ai Casati Stampa è ormai da molti anni il quartiere
generale di Berlusconi e la sua personale reggia. L'ha radicalmente ristrutturata, e le ha attribuito un
nuovo nome, “Villa San Martino” (dal monastero San Martino delle suore benedettine che vi
sorgeva fino al Quattrocento, nel Settecento trasformato in villa dal conte Giorgio Giuliani); ne ha
fatta “riconsacrare” la cappella (dove la domenica vi si celebra una esclusiva santa messa per il
Sovrano e per i suoi Cari), ha provveduto a far benedire le decine di stanze e saloni (per
esorcizzarne le volte dal Maligno portatovi dai peccaminosi marchesi Anna e Camillo Casati
Stampa), e nei sotterranei che furono del convento vi ha fatto ricavare tra l'altro una sala da
concerto (per cantanti, cabarettisti e ballerine).

"Attraversando un labirinto di scantinati, sottosuoli, cunicoli, Berlusconi guida gli invitati fino al
bordo di un'ampia piscina coperta dove un soffio artificiale increspa l'acqua. Il locale è stato
ricavato dalla vecchia casa dei custodi ed è stipato di congegni elettronici: su una parete c'è un
enorme schermo che trasmette i programmi di Canale 5. Intorno, altri televisori diramano i
programmi dei canali controllati dalla Fininvest in tutt'Europa [ ... ]. Procedendo da uno all'altro di
questi locali, mostra un locale per lo squash, si ferma in una sala piena di attrezzi ginnici, attraversa
una palestra per la boxe, e poi saune, bagnoturco, idromassaggi. Da qui si può uscire all'aperto,
rientrare nella villa passando per il giardino, oppure ci si può inoltrare all'interno del parco popolato
di animali comprati dagli zoo smantellati. Singolarità del posto e orgoglio del padrone di casa è il
mausoleo che ha fatto erigere su un lato dei parco e dove ha sepolto suo padre disponendo fin d'ora
che un giorno vi riposerà lui stesso accanto ai fidi Gonfalonieri e Dell'Utri [ ... ]. In fondo al parco
c'è la pista di atterraggio dei suoi due elicotteri [ ... ]. Berlusconi va molto fiero dello studio che gli
ha progettato l'amico architetto Claudio Dini, uno degli inquisiti di Tangentopoli. Questo locale
rompe completamente con gli ambienti monastici o barocchi o settecenteschi della villa [ ... ]. Tutte
le serate finiscono nell'ampio locale che ai tempi dei marchesi Casati era la grande sala da ballo e
che ora viene chiamata la sala della musica, poiché vi troneggia un pianoforte. Non di rado il patron
della Fininvest si lancia in motivetti anni Sessanta o improvvisa un duetto con Confalonieri, come
ai bei tempi quando avevano creato un complesso musicale"40.

Piantonata a vista da decine di guardie del corpo che proteggono giorno e notte questa specie di
Buckingham Palace della Brianza, Villa San Martino di Arcore rappresenta nei fatti il vero, grande
“miracolo italiano” di Berlusconi, non a caso emblema del suo potere: grazie al talento
dell'avvocato Previti, il Superimprenditore nel 1974 è riuscito a impossessarsi di una
multimiliardaria reggia, con pinacoteca e parco e terreni, sborsando a rate nell'arco di anni (e
dunque sottraendosi per armi alle relative tasse di proprietà, né pagando alcun “affitto”) il prezzo
equivalente a un appartamento del centrocíttà.
Nel 1994, intervistato da Giorgio Bocca41 l'ineffabile avvocato Previti dichiara: "[Ho conosciuto]
Berlusconi molto tempo fa, negli anni Settanta42. Allora curavo gli interessi della contessa Casati
Stampa43, ricorda quella poveretta che fu uccisa con il suo amante dal marito, Camillo Casati
Stampa? Rimase una figlia, Annamaria, giovanissima [ ... ]. La Annamaria non voleva stare in
quella villa dalle tragiche memorie, volle che la vendessi. Provai con dei brianzoli, degli speculatori
che prima o poi l'avrebbero lottizzata. In quei giorni avevo avuto un lavoro dalla Edilnord di Silvio
e gli dissi: “Berlusconi, lei deve farmi un grande piacere”. “Si, e quale?”. “Mi comperi la villa San
Martino dei Casati Stampa, ad Arcore”. “Ma avvocato cosa me ne faccio di una villa, io sto in città,
in viale San Gimignano, ho i miei affari in città”. “Venga a vederla”. Andammo a vederla e alla fine
lui mi fece una proposta tipicamente sua: “Me la lasci provare, ci sono le vacanze di Pasqua, ci vado
per qualche giorno e la provo”. La provò e non se n'è più andato".

L'avvocato del Potere

Non è dato sapere né come né quando Berlusconi sia entrato in contatto con loro, ma è certo che
Previti padre e figlio hanno avuto un ruolocardine nell'ambiguo divenire del gruppo Fininvest, e
oggi Cesare Previti siede stabilmente al vertice della cupola berlusconiana.

Umberto Previti (nato nel 1901 a Reggio Calabria, romano ) è l'ultimo degli amministratori che si
sono succeduti alla Edilnord44, l'oscura società a capitale “svizzero” che lo stesso Umberto Previti
nel gennaio 1978 ha posto in liquidazione, previa vendita a Milano 2 spa (nuova intestazione della
Immobiliare San Martino, fondata da anonimi nel 1974 e amministrata da Marcello Dell'Utri) di
tutto il costruito e il costruendo della “città satellite” Milano 2. E' ancora Umberto Previti che nella
sua veste di amministratore della neocostituita Fininvest Roma il 30 giugno 1978 (5 mesi dopo
l'affiliazione di Berlusconi alla Loggia P2) ha proposto di elevarne il capitale sociale da 20 milioni a
50 miliardi45. Del resto, Previti è interno al parabancario della Banca Nazionale del Lavoro
(all'epoca controllata dalla Loggia P2) Bnl Holding le cui fiduciarie Servizio Italia e Sfa sono
all'origine del gruppo Fininvest celando Identità dei veri promotori46.

Cesare Previti nel 1975 sedeva nel collegio sindacale della romana Fininvest srl (e nel 1977 in
quello della neocostituita Immobiliare Idra srl) una presenza che sembra essere a tutela di precisi
interessi. Negli anni Ottanta, il suo nome comparirà al vertice di numerose società del gruppo
Fininvest (nel consiglio di amministrazione della Standa, di Euromercato, di Mediolanum Factor,
alla vicepresidenza della Fininvest Comunicazioni e della Rti), mentre il suo personale potere andrà
consolidandosi di pari passo. Come avvocato civilista, Previti assiste il palazzinaro andreottiano
Gaetano Caltagirone47 alle prese con un crac multimiliardario, e il craxiano Enrico Manca
coinvolto nello scandalo P248; ricopre per anni l'incarico, si dice per conto del Psi craxiano, di
vicepresidente della Selenia (azienda bellica statale del gruppo IRI), e allaccia molte relazioni
eccellenti49. Grazie al suo sodale Berlusconi, conosce anche Bettino Craxi, del quale diviene
anch'egli un assai intimo amico50.

Benché il suo nome non comparisse negli elenchi degli affiliati alla Loggia P251 Cesare Previti era
in contatto col Venerabile maestro Licio Gelli un rapporto, quello tra i due, rimasto sempre
supersegreto, e casualmente emerso solo nel 1988: "Ore 13,40 del 23 maggio 1988. Gli uomini
della Digos di Arezzo fermano un'auto che sta entrando a Villa Wanda, residenza di Licio Gelli. È
la prassi, dopo che il Venerabile il 17 febbraio è stato finalmente estradato dalla Svizzera: nessuno
può incontrarlo senza essere identificato. E quel giorno, sul brogliaccio della Digos, compare
l'annotazione “Avvocato Cesare Previdi, Roma. Senza documenti”. Pochi mesi dopo, esattamente il
10 settembre, la stessa persona viene identificata mentre va di nuovo a visitare Gelli presso l'hotel
Continentale di Arezzo, uno dei luoghi dove il Gran maestro della P2 teneva i suoi incontri. Ma chi
è questo misterioso personaggio? Da una ricerca presso la Cassazione non risulta a Roma nessun
avvocato Cesare Previdi, ma solo un avvocato Cesare Previti. Proprio lui, l'ex vicepresidente della
Fininvest, da anni tra i più stretti collaboratori di Silvio Berlusconi, l'uomo che favori l'acquisto
della villa di Arcore [ ... ]. Era lui a incontrare Gelli, già condannato per la strage dell'Italicus e sotto
inchiesta in numerose Procure Sul nome non dovrebbero esserci dubbi, anche perché nel tabulato
della Digos gli errori sui nomi sono molto frequenti. Inoltre, sotto le indicazioni delle due visite, vi
è una strana sigla: “0859/K/89/S.D.S./559”. A quanto sembra questo tipo di annotazioni veniva
posto solo per quei visitatori per i quali si riteneva necessario compiere accertamenti che, come
risulterebbe da uno dei numeri, sarebbero datati 1989. Perché furono fatti?"52.

Nei primi giorni di maggio del 1994, durante la formazione del governo Fininvest, solo il veto del
Presidente della Repubblica impedisce a Berlusconi di nominare l'avvocato Cesare Previti ministro
dell'Interno, e in subordine ministro di Grazia e Giustizia (il neosenatore Previti dovrà
“accontentarsi” della poltrona di ministro della Difesa dalla quale può comunque controllare il
Servizio segreto militare, l'Arma dei Carabinieri, e le pingui commesse di armamenti)53.

Sotto le luci della ribalta del potere, l'avvocatoentità della Fininvest, neoministro nel gabinetto del
suo sodale affaristico assiso alla Presidenza del Consiglio, ha modo di dichiarare: "Si. Ero protutore
della marchesa Casati. Lei aveva deciso di vendere la villa di Arcore a delle persone che a me non
piacevano. Cosi ho detto a Silvio di non farsi scappare questa casa, che era molto bella e stava
meglio in mano sua che in mano altrui"54.

Intanto, un'anziana signora romana, Giovanna Ralli, denuncia di essere vittima di una disinvolta
operazione che ha per protagonista Clelia Previti (sorella di Cesare, e figlia di Umberto) attraverso
una strana società previtiana, e per oggetto un immobile della Ralli situato sulle scogliere
dell'Argentario, a Punta Maddalena una splendida torre spagnola, per il cui acquisto Clelia Previti
ha rilasciato alla Ralli 700 milioni di cambiali parte delle quali finite in protesto55. La Ralli si
rivolge al neoministro Previti, e l'avvocato Romano Vaccarella per conto del ministroFininvest le
risponde: "Le debbo, purtroppo, comunicare che pur immedesimandosi nel Suo problema, l'avv.
Previti non è in grado di compiere alcun intervento sulla sorella Clelia [ ... ]. Pur manifestandoLe
mio tramite la Sua comprensione, nulla può egli fare di concreto neanche per approfondire i termini
della questione da Lei sottopostagli".

Le cronache giornalistiche registrano inoltre il coinvolgimento di Giuseppe Previti (fratello di


Cesare e figlio di Umberto) nello scandalo massonicoaffaristíco della Cassa di Risparmio di
Firenze: "Oltre 100 miliardi di fidi non iscritti a bilancio e ormai inesigibili, affidamenti erogati
senza garanzie a imprenditori di dubbia solidità Comune denominatore del comitato d'affari che
dettava legge nella Carifi è l'appartenenza alla Massoneria. [Coinvolto nella vicenda] anche
Giuseppe Previti, fratello maggiore di Cesare, ministro della Difesa"56. Giuseppe Previti risulta
indagato dalla Procura della Repubblica di Firenze per associazione a delinquere finalizzata alla
truffa e all'appropriazione indebita.

Il 21 giugno 1994, la magistratura milanese dispone l'arresto del faccendiere romano Giancarlo
Rossi. Rossi è l'intestatario occulto del conto corrente “cifrato” FF 2927, presso la Trade
Development Bank di Ginevra, sul quale sono transitati 2 milioni e 200 mila dollari della maxi
tangente Enimont destinati alla Dc57. Ma i magistrati hanno scoperto anche altro sull'oscuro
faccendiere: "Sei banche sparse fra New York e Lugano. Due società offshore domiciliate a
Panama. Altrettanti conti cifrati su cui è passato un migliaio di miliardi. E tre magistrature che
indagano: quella di Ginevra per riciclaggio, quella di Roma per concorso in corruzione e quella di
Milano per violazione della legge sul finanziamento dei partiti. Brutta storia quella del signor
Giancarlo Rossi, professione agente di cambio, finito a San Vittore lo scorso 21 giugno. Una storia
in cui compaiono vecchie conoscenze di Tangentopoli. Per esempio il finanziere Sergio Cusani e
l'ex responsabile delle relazioni esterne del gruppo Ferruzzi, Luigi Bisignani [ già affliato alla P2,
N.d.A.], finiti nel mirino di Mani pulite per la tangente Enimont. E anche Francesco Pacini
Battaglia, quello della Karfínco di Ginevra, da cui transitavano le mazzette pagate a Psi e Dc dalle
società dell'ENI. Ma è una storia, quella di Rossi, in cui oltre a quattrini, tangenti e conti svizzeri
forse c'è anche dell'altro. Quando l'agente di cambio è stato arrestato, nella ventiquattro ore aveva
delle carte che Antonio Di Pietro non s'aspettava di trovare [ ... ]. Dalla valigetta di Rossi è spuntato
uno strano fascicolo d'appunti “riguardanti il Sismi (il servizio segreto militare) e l'Organizzazione
centrale della Difesa”. Cosa se ne faceva di quei nomi e di quegli organigrammi l'agente di cambio
Rossi? “Al riguardo dichiaro che io ho ottimi rapporti con l'attuale ministro della Difesa Previti” ha
detto a Di Pietro. “Mi sono documentato sull'organigramma della Difesa per parlarne con Cesare
Previti, per scambiare con lui opinioni e dare le mie valutazioni”. Una spiegazione quantomeno
singolare58.

"L'arresto dell'agente di cambio romano Giancarlo Rossi [ ... ] sta creando più di un imbarazzo al
governo Berlusconi. t stato lo stesso operatore di Borsa a rivelare i suoi rapporti con Cesare Previti,
ministro della Difesa [ ... ] al sostituto procuratore Antonio Di Pietro. Previti ha replicato dicendo di
avere visto Rossi occasionalmente e di non aver mai fatto affari con lui. La realtà è un po' più
complicata. Stefano Prevíti, figlio del ministro, avvocato come il padre, ha lavorato per il recupero
crediti della Fincom, controllata fino al 1989 dalla famiglia Lefebvre d'Ovidio, e dallo stesso Rossi
attraverso una quota minoritaria intestata alla sorella Stefania. C'è di più. In occasione delle ultime
elezioni politiche Rossi ha svolto durante la campagna elettorale attività a favore di due candidati.
Uno è il suo ex socio e agente di cambio Fabrizio Sacerdoti [già] segretario amministrativo della Dc
romana quando Vittorio Sbardella ne era il leader incontrastato [Sacerdoti è stato eletto deputato
nella lista “Forza Italia”]. L'altro candidato di Rossi era proprio Previti. Lo studio legale dell'attuale
ministro della Difesa era uno dei recapiti ufficiali di Rossi a Roma [ ... ]. Le relazioni RossiPreviti,
per quanto inquadrate in un rapporto fra professionisti, non sembrano proprio occasionali. E' stato
Rossi per esempio a presentare Previti a Fabrizio Cerina, titolare dei gruppo bancariofinanziario in
liquidazione Attel. E alla luce di alcune circostanze non sono casuali i rapporti fra società di Rossi e
società appartenenti al gruppo Fininvest. Nel dicembre 1993 la Cofiniab di Rossi ha comprato
appunto per 3,3 miliardi di lire un immobile dalla Edilnord di Paolo Berlusconi"59.

Benché l'ineffabile ministro Previti “smentisca” e minacci querele ("E' una montatura
polilicogiornalistica!"), già i contatti telefonici di Rossi, nel periodo che precede il suo arresto,
risultano illuminanti: "Previti viene chiamato [da Rossi] cinque volte: sul suo cellulare,
nell'abitazione romana, e persino a Porto Santo Stefano, sull'Argentario. Con numeri diversi, Rossi
chiama anche 11 volte il ministero della Difesa. Ma ministri e ministeri non finiscono qui. Rossi
cerca Alfredo Biondi, responsabile della Giustizia (sia nella sua città, Genova, sia sul cellulare),
Francesco D'Onofrio (ministro della Pubblica Istruzione), e più volte i ministeri dell'Interno, della
Giustizia, oltre alla Banca d'Italia e al Vaticano. Nell'elenco nelle mani di Di Pietro compare anche
una chiamata a un numero intestato a Silvio Berlusconi, via Santa Maria dell'Anima 31/A,
l'abitazione romana del presidente del Consiglio. Con uomini legati a Berlusconi e al suo gruppo,
Rossi ha avuto rapporti frequenti: compaiono infatti chiamate a Antonio Tajani, portavoce del
premier, a Fininvest comunicazioni, Publitalia e alla Diakron, la società che sforna i sondaggi per
“Forza Italia”"60.

Nel settembre 1994, la cupola berlusconiana decide di dotare il partitosetta “Forza Italia” di un
“segretario politico”. Il candidato naturale alla pseudocarica al vertice dello pseudopartito è il suo
creatore Marcello Dell'Utri; ma il personaggio è ormai di quelli pubblicamente “bruciati” per via
delle numerose vicende giudiziarie nelle quali è coinvolto, e per le sue notorie frequentazioni
mafiose. Per cui, il “segretario” del partitosetta Fininvest non può che essere l'altra entità della
Fininvest: l'avvocatoministro Previti. Eletto all'alta carica da due soli “voti”: quello di Berlusconi, e
quello di Dell'Utri61.

Intanto, il contumace Bettino Craxi (supercorrotto ex segretario del Psi, e ex padrino politico della
setta berlusconiana), dal suo dorato rifugio di Hammameth conferma al “New York Times” che
anche la Fininvest è stata parte attiva della maxicorruttela politico affaristica della cosiddetta
“Tangentopoli”62. Previti, che sul tema la sa lunga e non può certo smentire l'autorevolissimo
sodale, ed è anche un tipo sottile, precisa: "Si, ma quello della Fininvest è stato un coinvolgimento
minimale, non è stato un coinvolgimento strutturale".

La parlamentare di 'Forza Italia" Cristina Matranga, da parte sua, trova il modo di dichiarare:
"Dicono che Previti è l'avvocato

degli affari illegali di Berlusconi ? È vero…."63.

4. GRANDE FRATELLO DEL POTERE OCCULTO

Niente rose alla signora

Le mani sulla Cassa

Leoni, Lupi e Cavalieri

"Associati a delinquere"

Il venerabile Berlusconi

Niente rose alla signora

Intorno alla seconda metà degli anni Settanta, nella Roma dei Palazzi del Potere si muoveva il
giornalista Carmine Pecorelli detto Mino. Avvalendosi di entrature nei servizi segreti e nel
sottobosco politico, Pecorelli confezionava il settimanale “OpOsservatore Politico” sul quale
pubblicava “notizie riservate”. Benché ritenuto strumento di ricatto e pressione alimentato dalle
fazioni dei servizi cosiddetti "deviati" e manovrato da settori della classe politica nelle faide di
potere, “Op” pubblicava notizie perlopiù attendibili: scritte con linguaggio sibillino e “cifrato”,
spesso velenosamente allusivo, le pagine del settimanale risultavano puntuali e circostanziate, e non
di rado perfino “preveggenti”1. Del resto, Pecorelli non era solo finanziato e manovrato da settori
del potere ufficiale: era anche interno alla Loggia massonica segreta Propaganda 2 del Venerabile
maestro Licio Gelli (data affiliazione 1 gennaio 1977, tessera 1750).

Nel dicembre 1978, Pecorelli si occupava per la prima volta del “fratello” piduista Silvio Berlusconi
(affiliatosi alla Loggia gelliana il precedente 26 gennaio, tessera 1816); sotto il titolo Silvio
Berlusconi morde e fugge, “Op” scriveva:

"Silvio Berlusconi, il noto costruttore milanese, è uscito dalle difficoltà finanziarie che da tempo lo
angustiavano. Per via dell'equo canone, nessuno voleva più saperne dei suoi appartamenti di lusso. I
privati, temendo fisco e Brigate rosse, evitavano accuratamente di mettersi in mostra in superattici
con piscine e tennis; gli enti pubblici, per via dell'equo canone, non investono più in appartamenti
dai quali non possono ricavare un adeguato reddito. Per fortuna di Berlusconi, é intervenuto
Carmelo Conte, un palermitano dalle mille maniglie, che gli ha fatto vendere all'Ordine dei medici
appartamenti di Milano 2 per complessivi 33 miliardi. Ma concluso l'affare, Berlusconi si è
eclissato col suo Rivera... senza nemmeno inviare un cesto di rose alla signora Conte, a titolo di
ringraziamento"2.

Secondo l'informatissimo Pecorelli, dunque, il costruttore della “città satellite” Milano 2, angustiato
dalla crudeltà di un mercato immobiliare che non sembrava apprezzare il lussuoso prodotto edilizio,
e dalla ritrosia degli enti pubblici, aveva potuto rimediare alle difficoltà solo grazie all'“aiuto” di un
palermitano dalle mille maniglie: un “siciliano”, tale Carmelo Conte, aveva soccorso il costruttore
piduista (finanziato da misteriosi capitali provenienti dalla Svizzera3) mediante un provvidenziale
quanto ingente acquisto di appartamenti da parte dell'Ordine dei medici.

In effetti, “Op” rilevava quella che è stata una delle reali costanti dell'avventura edilizia
berlusconiana. Contrariamente alla sua menzognera agiografia, le attività del Berlusconi
“costruttore” si sono dimostrate infauste alla prova del mercato, e il palazzinaro milanese ha potuto
evitare il naufragio solo grazie al sistematico e provvidenziale intervento di enti e istituti
previdenziali pubblici e privati.

Nel caso del quartiere residenziale di Brughiero, ad esempio, edificato dalla berlusconiana Edilnord
a metà anni Sessanta, fu solo grazie al massiccio acquisto di appartamenti da parte dei Fondo
previdenza dirigenti commerciali che l'iniziativa non si trasformò in un fallimento.

Nel più recente caso di Milano 3, saranno le cronache di “Tangentopoli” a svelare le transazioni
berlusconiane con alcuni enti pubblici, e la loro natura. Nel novembre 1992, si attiva la Procura di
Roma: "Anche Paolo Berlusconi, fratello minore del fondatore di Canale 5, oggi alla guida
dell'impero delle costruzioni che fa capo alla holding Cantieri riuniti milanesi, avrebbe finito per
pagare tangenti miliardarie con l'obiettivo di favorire la vendita di una decina di edifici, destinati ad
abitazioni e acquistati, nel corso degli anni Ottanta, da alcuni enti previdenziali pubblici nel
capoluogo lombardo [ ... ]. Una parte delle operazioni all'esame dei magistrati ha certamente per
teatro Basiglio, il comune della periferia sud di Milano nel cui territorio sorge la cittadella
berlusconiana di Milano 3. È qui che sono avvenute almeno cinque delle compravendite che ora
stanno attirando l'attenzione degli inquirenti: tre chiamano in causa l'Inadel, l'Istituto nazionale di
assistenza dei dipendenti degli enti locali il cui ex commissario e un tempo deputato socialista,
Nevol Querci, è stato arrestato nei giorni scorsi e scarcerato dopo aver ammesso di aver richiesto
600 milioni di tangenti per facilitare l'acquisto da parte dell'Istituto di alcuni immobili romani; due
riguardano invece l'Inail, l'Istituto che assicura gli infortuni sul lavoro. Le prime tre operazioni,
avvenute fra il 1986 e il 1988, hanno per oggetto la vendita di sei edifici con quasi 250 appartamenti
e oltre 270 autorimesse, pari a un importo totale di quasi 67 miliardi. Le due vendite concluse
invece con l'Inail nel 1984 e nel 1987 riguardano altri otto edifici con quasi 300 appartamenti
venduti per oltre 42 miliardi. A tirare le somme, la Cantieri riuniti milanesi incassò in queste
operazioni oltre 109 miliardi (ma, come lasciano intendere gli inquirenti romani, gli istituti
previdenziali su cui si sta indagando sono anche altri)"4.

I maneggi berlusconiani con il parastato romano gestito da esponenti del clan craxiano danno luogo
a un'ulteriore inchiesta da parte della Procura di Brescia: "[Il 30 marzo 1994] Paolo Berlusconi è
stato interrogato dal sostituto procuratore di Brescia Guglielmo Ascione e ha scoperto di essere
sotto inchiesta per corruzione e violazione della legge sul finanziamento pubblico ai partiti. Al
centro di tutto c'è un business immobiliare da 20 miliardi, concluso il 17 luglio 1991 dal gruppo
Fininvest con l'Inadel, l'Istituto di assistenza dei dipendenti degli enti locali. Un affare denunciato
[ ... ] alla Procura della Repubblica di Brescia dai consiglieri del Pds di Desenzano. [A Desenzano]
si erge infatti la pietra dello scandalo: un grande centro commerciale acquistato nel 1989 dalla
Standa e dai Cantieri riuniti per circa 11 miliardi. E rivenduto all'ente pubblico, meno di due anni
dopo, a quasi il doppio. “Una delle cose che ci aveva maggiormente insospettito era il fatto che la
Standa, dopo la compravendita, fosse rimasta nel centro pagando un canone all'Inadel”, spiega
Adriano Papa, segretario del partito della Quercia di Desenzano e primo firmatario della denuncia.
“Quando a Roma è scoppiato il caso dei palazzi d'oro acquistati proprio dall'ex parlamentare
socialista Nevol Querci, a quell'epoca commissario straordinario dell'ente assistenziale, abbiamo
sottoposto il caso alla magistratura”. E cosi, tra gli atti in mano ad Ascione, è finito anche un
interrogatorio di Querci davanti a Di Pietro. L'ex socialista, arrestato nell'ottobre del '92, il 14
dicembre aveva dichiarato: “L'Inadel ha effettuato una serie di compravendite immobiliari con un
ristretto gruppo d'imprenditori, tra cui Paolo Berlusconi. Tali imprenditori, circa una ventina,
venivano privilegiati nella ricerca del contraente da cui acquistare l'immobile in cambio di un
contributo alla segreteria nazionale [del Psi]"5

Nell'aprile 1994, anche la Procura di Milano, dopo averlo arrestato, dispone il rinvio a giudizio di
Paolo Berlusconi per corruzione: secondo l'accusa, "avrebbe versato tangenti del 5 per cento all'ex
funzionario Cariplo Giuseppe Clerici, a sua volta inquisito, per sbloccare la vendita di tre palazzi di
Milano 3 al Fondo pensioni della banca. Un affare da 22 miliardi, con mazzette per 1.227 milioni,
60 dei quali pagati in nero attraverso fatture false"6.

Del resto, Silvio Berlusconi aveva già manifestato la sua fatale attrazione per le banche e per i
Fondi pensione, e esplicitato la sua cronica insofferenza per la Legge e i Codici ("Lacci e
lacciuoli"), fin dagli anni Settanta, quando aveva bersagliato di iracondi strali la legge sull'equo
canone citando ad esempio un suo business col Fondo pensioni della Banca d'Italia: "Costruiarno un
villaggio per conto del Fondo pensioni della Banca d'Italia; il Fondo pensioni propone affitti sui
cinque milioni l'anno Arriva l'equo canone: gli affitti, ope legis, sono dimezzati, e i pensionati della
Banca d'Italia devono regalare due milioni e mezzo per ogni alloggio ... "7.

***

Pecorelli era consapevole dei pericoli insiti nella sua “attività giornalistica”: in una nota di “Op” del
settembre 1976, intitolata Avviso a futura memoria, aveva accennato a minacce ricevute, e aveva
indicato nel "Biscione,8 colui che avrebbe potuto riservargli violenze di tipo fisico. D'altro canto,
dopo le sue polemiche “dimissioni” dalla Loggia P29, Pecorelli manteneva col Venerabile maestro
un rapporto pericolosamente conflittuale, non peritandosi di attaccare, attraverso le sue sibilline
“note”, lo stesso Gelli e singoli affiliati alla Loggia segreta (come nel caso del “fratello” Berlusconi,
“aiutato” da “un palermitano dalle mille maniglie”).

Mino Pecorelli venne zittito per sempre la sera del 20 marzo 1979, a Roma, con quattro colpi di
pistola sparatigli da un misterioso killer. Nel 1982, il Venerabile Gelli veniva indiziato quale
mandante dell'omicidio. Interrogato dalla Commissione parlamentare d'inchiesta sulla P2, il 26
ottobre 1981, il piduista Berlusconi aveva dichiarato: "Nulla so dei rapporti di Gelli con Carmine
Pecorelli".

Benché il Venerabile maestro sia stato poi prosciolto dall'accusa di essere stato il mandante
dell'omicidio Pecorelli (dicembre 1991), la successiva domanda di autorizzazione a procedere nei
confronti del senatore Giulio Andreotti per il medesimo reato conterrà precisi elementi e riscontri
sul conflitto GelliPecorelli e sui legami tra la Loggia P2 e Cosa Nostra: "Nel procedimento contro
Licio Gelli e altri per l'omicidio Pecorelli si raccolsero notevoli elementi di prova circa: a)
l'esistenza di un movente, b) la volontà di Gelli di risolvere la questione costituita dagli attacchi del
giornalista. Un aspetto importante delle indagini, per le quali si chiede l'autorizzazione a procedere
[nei confronti di Giulio Andreotti N.d.A.] , è costituito dalla verifica della compatibilità di quegli
elementi con quanto in seguito emerso. Si osserva che tale indagine è indispensabile, giacché vi
sono elementi [ ...] che indicano una stretta connessione tra due diversi ordini di moventi. Tra
questi, di assoluto rilievo appaiono gli aspetti concernenti i legami tra Cosa Nostra e la Loggia
massonica P210, ampiamente sottolineati nella relazione sui rapporti tra mafia e politica presentata
il 6 aprile 1993 dalla Commissione parlamentare d'inchiesta sul fenomeno della mafia e sulle altre
associazioni criminali similari [ ... ]. In ogni caso, la conclusione del procedimento a carico di Gelli
fu di proscioglimento proprio perché non fu possibile individuare quel collegamento tra mandanti e
possibili esecutori materiali, che è invece prospettabile nel caso de quo"11.

Le mani sulla Cassa

Alla fine di gennaio 1979, il “fratello” Silvio Berlusconi era stato di nuovo oggetto delle attenzioni
di “Op”. Secondo Pecorelli, in quel periodo il costruttore milanese stava brigando per insediarsi alla
guida della più importante Cassa di risparmio del mondo, la Cassa di Risparmio delle Provincie
Lombarde:

"Stupore e incredulità nel inondo bancario per la candidatura del cavaliere del lavoro Silvio
Berlusconi alla presidenza della Cariplo. Viviamo in tempi modesti e nonostante per le nomine si
continui a promettere il primato della competenza, si finisce sempre per mandare alla Consob un
Pazzi qualunque. Ma affidare al primo che capita anche lo scettro della Cassa di Risparmio delle
Provincie Lombarde, a Milano sarebbe considerato un affronto. Con tanti imprenditori, con tanti
valenti manager su piazza, ci si chiede perché tanta smania di salire sul gradino più alto in un
imprenditore che al suo attivo vanta una sola opera di spicco, il complesso immobiliare Milano 2.
Dunque Berlusconi è un candidato senza speranza? Non è detto: controlla il 12,5 per cento delle
azioni del “Giornale” di Montanelli e di recente ha dichiarato di voler accentuare la sua presenza nel
settore giornalistico. A qualcuno potrebbe venire in mente di premiare il suo impegno politico12.

Che anche in questo caso le “informazioni” di Pecorelli fossero attendibili, lo confermerà


indirettamente, anni dopo, l'ex ministro del Tesoro Beniamino Andreatta: "Quando ero ministro del
Tesoro [nel 1980, NdA], Silvio Berlusconi, più o meno nel periodo in cui aveva quasi concluso il
ciclo edilizio e non aveva ancora iniziato quello televisivo, una mattina venne da me in pantaloni
grigi e neri e giacca nera, come i banchieri di Dallas per autocandidarsi alla presidenza della
Cariplo. Quando gli feci presente che forse c'era qualche incompatibilità per la possibilità della
banca di concedere crediti edilizi, il futuro patron della Fininvest mi precisò prontamente che
avrebbe lasciato tutti i suoi interessi nel settore al fratello Paolo, l'onnipresente secondo, già allora
sempre pronto. A quel punto non potevo fare a meno di osservare che così si veniva a realizzare un
interessante esempio di impresa domestica. Berlusconi non gradi molto e, per tutta risposta,
cominciò a tessermi le lodi di Bettino Craxi"13.

Uno dei capisaldi tattici per l'attuazione del corruttivo “Piano di rinascita” elaborato dalla P2 tra il
1975 e il 197614 prevedeva infatti l'infiltrazione della Loggia nel sistema bancario; ma a
prescindere dai suoi obiettivi politicostrategici, il presente della Loggia piduista era essenzialmente
caratterizzato sul versante affaristico15. Nel 1978, il Venerabile maestro aveva già acquisito alla
sua Loggia segreta il controllo del Banco Ambrosiano (la più importante banca privata italiana),
della Banca Nazionale del Lavoro (la più importante banca di interesse nazionale), e del potente
Monte dei Paschi di Siena16. Per il tramite dell'affiliato Silvio Berlusconi (anche in rapporto al
nascente gruppo Fininvest), la Loggia piduista intendeva assumere inoltre il controllo della Cariplo,
la più importante cassa di risparmio del mondo17.

Nel suo tentativo di insediarsi al vertice della Cariplo, il rampante Cavaliere tessera P2 1816, oltre
ad avvalersi del suo già stretto sodalizio col segretario del Psi Bettino Craxi (a sua volta interessato
al controllo del sistema bancario), oltre a cercare benemerenze in casa Dc (presso l'allora ministro
del Tesoro Andreatta, ma soprattutto presso Andreotti e Fanfani), oltre a essersi munito di un
proprio quotidiano ("Il Giornale" di Montanelli), utilizzava i mezzi di comunicazione di cui la
Loggia P2 già disponeva. Come ad esempio il più diffuso e autorevole quotidiano nazionale, diretto
dal piduista Franco Di Bella, gestito dai piduisti Angelo Rizzoli e Bruno Tassan Din, finanziato dal
piduista Roberto Calvi del Banco Ambrosiano.

Nell'edizione di venerdì 4 agosto 1978, il “Corriere della Sera” ospitava un inopinato articolo
firmato "Silvio Berlusconi"18; sotto il titolo Chi guida la politica creditizia? Programmazione e
sistemi bancari, “L'aspirante banchiere” dissertava di politica creditizia sulle ali della sua prosa da
ragioniere commercialista, e concludeva enigmatico: "Ci si domanda attraverso quali canali
potranno filtrare le istruzioni governative di politica industriale al sistema bancario, rimasto l'unico
incontrollato gestore della politica creditizia. Che il canale sia stato trovato ancora una volta
all'italiana, attraverso il controllo politico delle massime “poltrone”?".

All'inizio del 1979, dunque, l'ex piduista Mino Pecorelli “disturbava” una sotterranea manovra di
potere rivelando che il palazzinaro Silvio Berlusconi ("il primo che capita") era “smanioso” di
insediarsi al vertice della Cariplo; e dopo avere sottolineato l'inadeguatezza del personaggio,
l'editoredírettore di “Op” concludeva, col suo tipico linguaggio allusivo: "A qualcuno potrebbe
venire in mente di premiare il suo impegno politico".

Pecorelli era assai bene informato circa i retroscena del correttivo connubio politicabanche. La
CARIPLO era il cardine dell'Iccri (Istituto centrale delle casse di risparmio italiane, più noto come
Italcasse), e a fine gennaio 1978 “Op” si apprestava a pubblicare clamorose rivelazioni in merito
allo scandalo SirAndreottiCaltagironeArcainiItalcasse19: “Op” n° 5 (in uscita il 6 febbraio 1979,
poche settimane prima che Pecorelli venisse assassinato) avrebbe dovuto avere in copertina una foto
di Andreotti e il cubitale titolo Gli assegni del Presidente20. Pecorelli era anche a conoscenza di
come nella sporca vicenda che si apprestava a rivelare nei suoi più scabrosi dettagli, fossero
direttamente e indirettamente coinvolti il faccendiere italosvizzero Fiorenzo Ravello (alias Florence
Ley Ravello) e i boss mafiosi Giuseppe “Pippo” Calò e Domenico Balducci, i quali erano in stretti
rapporti col faccendiere Flavio Carboni, a sua volta in affari con Berlusconi attraverso il
prestanomeFininvest Romano Comincioli21.

Morto ammazzato Pecorelli nel marzo 1979, e soffocato lo scandalo AndreottiItalcasseCaltagirone,


della vicenda si torna a parlare nell'estate dell'anno dopo, quando Berlusconi è alle prese con un
ingente affare appunto legato all'Italcasse e al crac dei palazzinari andreottiani Caltagirone: "I
Caltagirone e le loro società sono stati dichiarati falliti e tutto è in mano alla magistratura, ma le
banche (con in testa l'Italcasse) sperano ancora di concludere un compromesso extragiudiziale dal
quale ricavare qualcosa in più che dal fallimento. Il patrimonio immobiliare è di circa un milione di
metri quadri, anche se molti immobili sono da ultimare. Chi se lo aggiudica può farci sopra un
guadagno di molti miliardi, e Berlusconi oggi avrebbe particolarmente bisogno di sostanziosi
guadagni [ ... ]. Fino a poco tempo fa, infatti, era convinto di potersi aggiudicare. “L'affare
Caltagirone” senza difficoltà.. Grazie a vari legami, si era assicurato l'appoggio del presidente
dell'Italcasse Remo Cacciafesta, molto vicino (anche se non solo) al presidente del Senato
Animatore Fanfani, che in più circostanze ha dimostrato grande simpatia per Berlusconi.
Cacciafesta è arrivato all'Italcasse dopo una sorta di compromesso tra Fanfani e Giulio Andreotti,
interessato a vedere chiuso l'affare Caltagirone. Occupandosi di questa vicenda, Berlusconi, dunque,
oltre che molti miliardi, potrebbe conquistare la riconoscenza dei due leader Dc. Ma quando era
ormai in dirittura d'arrivo è arrivata alle banche l'offerta di un temibile concorrente: il gruppo
svizzero Interprogramme, che fra l'altro gestisce il fondo d'investimento Europrogramme. Per
Berlusconi l'Interprogramme è pericolosa soprattutto per un motivo: è in grado di disporre di decine
di miliardi in contanti [ ... ], mentre lui è comunque obbligato a far ricorso al credito di altre banche
per rimborsare quelle implicate nell'affare Caltagirone. Quando al consiglio Italcasse pochi giorni fa
sembrava che il presidente Cacciafesta potesse avviare a soluzione il problema con l'offerta di
Berlusconi, i consiglieri hanno richiesto invece un ulteriore approfondimento delle offerte, dando
mandato al direttore generale dell'Italcasse, Luciano Maccari, di presentare alla seduta del 30 luglio
le varie proposte più dettagliate"22.

Benché nel 197879 la scalata della triade GelliBerlusconiCraxi al vertice della Cariplo non
raggiunga l'obiettivo, di li a qualche anno nel 1986 il presidente del Consiglio Craxi e il suo sodale
politicoaffaristico Berlusconi riescono comunque ad arrivare al vertice della potentissima Cassa di
Risparmio delle Provincie Lombarde attraverso l'insediamento di un presidente di loro stretta
fiducia: il vicesegretario della Dc Roberto Mazzotta.

Il legame di Berlusconi con Mazzotta (esponente della destra democristiana) era di vecchia data. "In
Lombardia e a Milano, un uomo di grande valore come Mazzotta ha conquistato la federazione Dc,
coagulando la sinistra anticomunista della Base e di Forze Nuove, della Coldiretti, di Comunione e
Liberazione", annunciava compiaciuto, nel 1977, l'allora palazzinaro milanese23; e nel 1979, ormai
effettivo nei ranghi della Loggia massonica segreta P2, e legato al neosegretario Psi Bettino Craxi,
confer mava: "Sono stato vicino a Mazzotta e ai suoi amici e a quanti cercavano di fare della Dc un
partito moderno". Fatto è che nel 1986 Roberto Mazzotta lascia la vicesegretaria Dc e si insedia al
vertice della Cariplo.

Nel febbraio del 1994, mentre la Cariplo risulta essere la banca più esposta (insieme alla Comit)
verso l'indebitatissima Fininvest avendole accordato ingenti finanziamenti, il suo presidente
Roberto Mazzotta finirà in carcere per corruzione, ricettazione e violazione della legge sul
finanziamento ai partiti. Pochi giorni dopo, il 12 febbraio, verrà arrestato anche Paolo Berlusconi
per una vicenda di ordinaria corruzione inerente la stessa Cassa di Risparmio delle Provincie
Lombarde: "Paolo Berlusconi [ ... ] è accusato di aver corrisposto all'ex segretario del Fondo
pensioni della Cariplo, Luigi Mosca, somme pari al 4 per cento del valore degli immobili costruiti a
Milano 3 dalla sua Cantieri riuniti milanesi al fine di favorirne la vendita all'istituto: due volte 300
milioni per i complessi residenziali “Il Giunco 1 e 2” ceduti il 10 maggio 1983 e il 17 aprile 1984
per 7 miliardi e 300 milioni l'uno, ed altri 310 milioni per “I Faggi” venduti il 21 marzo 1986 per 7
miliardi e 550 milioni [ ... ]. All'epoca dei fatti, la Cantieri riuniti milanesi era interamente
controllata dalla Fininvest di Silvio Berlusconi. I magistrati contestano la corruzione al fratello
Paolo come “responsabile" della società nel cui consiglio d'amministrazione non sedeva, ed egli del
resto ha spiegato ieri che trattava da “operativo” in quanto presidente della Edilnord, la cui struttura
commerciale seguiva le compravendite. Altro nodo sciolto dai magistrati è quello della veste
giuridica dei funzionari Cariplo che si sostiene corrotti: “Incaricati di pubblico servizio, e comunque
pubblici ufficiali”, sul presupposto che il Fondo pensioni gestisce in maniera esclusiva ed
alternativa all'Inps le prestazioni previdenziali dei dipendenti, tanto da rientrare sotto l'ala del
ministero del Lavoro".24

Tra i rinviati a giudizio per gli “affari” detti “tangenti Cariplo”, oltre al presidente Mazzotta e a
Berlusconi (Paolo), vi sarà anche Bettino Craxi.

Leoni, Lupi e Cavalieri

Cinque settimane prima di venire ucciso, Pecorelli era tornato a occuparsi della vicenda
BerlusconiCariploItalcasse; col titolo Berlusconi lupo di mare per la Cariplo, “Op” del 13 febbraio
1979 scriveva: "Festa grande a Cap d'Antibes il 27 dicembre. Il costruttore milanese, creato
cavaliere del lavoro nell'ultima infornata di Leone Giovanni, ha invitato nel suo yacht il fior fiore
della stampa lombarda, rappresentata da Nutrizio, Di Bella e Montanelli. Tra caviale sorrisi e
champagne, si sarebbe parlato della presidenza della Cariplo e del modo più acconcio per
assicurarsi la successione a Giordano Dell'Amore, il cui prestigio è stato giudicato troppo scosso
dalla vicenda Italcasse".

Il 2 giugno 1977, in occasione del trentunesimo anniversario della Repubblica, il Capo dello Stato
Giovanni Leone su proposta del ministro dell'Industria Carlo Donat Cattin di concerto col ministro
dell'Agricoltura Giovanni Marcora aveva conferito l'onorificenza di Cavaliere al merito del lavoro
ad alcuni "cittadini distintisi per particolari benemerenze nei vari settori dell'economia nazionale";
tra gli insigniti dell'alta onorificenza, il palazzinaro andreottiano Gaetano Caltagirone, e il
palazzinaro milanese Silvio Berlusconi.

Un mese più tardi, il neoCavalier Berlusconi aveva reso pubblico il suo sostegno a due correnti
della Democrazia cristiana: quella di Base, capeggiata dal ministro dell'Agricoltura Marcora, e
quella di Forze Nuove, guidata dal ministro dell'Industria Donat Cattin, annunciando che avrebbe
messo a loro disposizione i suoi mass media, “Telemilano” e “Il Giornale nuovo”25.

Dichiarerà il piduista Bruno Tassan Din alla Commissione parlamentare d'inchiesta sulla P2: "Io e
Rizzoli incontrammo Gelli nello studio di Donat Cattin, che era ministro dell'Industria. Ero stato
accompagnato da un certo Giasoli [Ilio Giasoli], uomo di fiducia di Donat Cattin e grande amico di
Gelli".

In una lettera inviata alla stessa Commissione, il generale massone Salvatore Scibetta (tessera P2
1773) scriverà tra l'altro: "Incrociai Gelli all'Hotel Excelsior durante un ricevimento offerto dai
Cavalieri del Lavoro [ ... ] al quale partecipai in rappresentanza della Guardia di Finanza".

I rapporti tra il Venerabile maestro e il Presidente della Repubblica “Leone Giovanni" erano di
vecchia data, come racconterà lo stesso Gelli: "L'avv. Venturi [che nel 1971 era] in società col sen.
Giovanni Leone, mi rivolse un invito e una preghiera molto delicati [ ... ]: ero disposto ad
appoggiare, nell'ambito dei numerosi confratelli iscritti alla Loggia P2 e dei loro amici e parenti, la
elezione di Giovanni Leone a Presidente della Repubblica? L'interessato, a nome del quale l'avv.
Venturi stava parlandomi, avrebbe ricordato in eterno il mio intervento e, da buon napoletano, non
avrebbe trascurato un'occasione per manifestarmi la sua riconoscenza. Risposi che poteva fare
assegnamento su di me e che mi sarei messo subito in azione, iniziando una penetrante campagna
presso quei gruppi di potere che avrebbero potuto orientare buona parte dell'elettorato a vantaggio
di Giovanni Leone. Il giorno prima delle elezioni, nella mia qualità di segretario organizzativo della
Loggia massonica P2, scrissi al senatore Leone per confermargli che avevo mantenuto pienamente
l'impegno assunto con il collega Venturi [ ... ]. L'avv. Venturi mi espresse più di una volta i suoi
personali ringraziamenti e quelli entusiastici del neopresidente. In epoca successiva, il Gran
Maestro Lino Salvini e io fummo ricevuti al Quirinale. L'accoglienza del Presidente Leone fu
quanto mai cordiale, anzi calorosa. In quella occasione gli consegnammo, ritenendolo la sola
autorità dello Stato competente a riceverlo, un progetto di riforma costituzionale che avevo
denominato “Schema R”. Il Presidente ascoltò con interesse la mia esposizione, quindi ci assicurò
che avrebbe preso visione del progetto [ ... ]. Mi espresse il suo compiacimento per lo spirito di
collaborazione che mi animava e mi invitò a tenermi in contatto con il suo segretario particolare,
dott. Nino Valentino, per ogni altra futura eventualità"26.

Il Di Bella che, secondo Pecorelli, il 27 dicembre 1978 si trovava ospite dello yacht del piduista
Berlusconi a Cap d'Antibes, era il direttore del “Corriere della Sera” Franco Di Bella, da poche
settimane anche lui effettivo nei ranghi della Loggia P2 (tessera 1877, codice massonico E. 19.78,
data affiliazione 10 ottobre 1978).
Deponendo in veste di testimone nell'ambito del processo P2 presso la Corte d'Assise di Roma, il 3
novembre 1993, Berlusconi sosterrà di essersi affiliato alla setta gelliana ritenendola una “normale”
Loggia massonica, anche perché “rassicurato” sul conto del Venerabile maestro dall'amico Franco
Di Bella, il quale infatti "conosceva, stimava e apprezzava" Licio Gelli; ma soprattutto, il tycoon
della Fininvest ribadirà la stravagante tesi di essere entrato nella P2 per compiacere il suo caro
amico Roberto Gervaso: "II motivo principale [della mia affiliazione alla P2] è stato l'insistenza di
Roberto Gervaso, che è un mio carissimo amico... Lui aveva bisogno di scrivere sul “Corriere della
Sera”, e voleva rendersi utile [alla Loggia]27... Ci fu anche un altro motivo, diciamo così, pratico:
Gervaso mi andava dicendo che Gelli era molto introdotto presso le autorità politiche argentine, e
che in Argentina si doveva sviluppare una grande serie di lavori pubblici. lo allora ero presidente di
un Consorzio per l'edilizia industrializzata ... ".

Il controllo da parte della P2 del più diffuso quotidiano italiano controllo dapprima finanziario, e
quindi editoriale risaliva al 1977, e aveva visto protagonista della manovra, insieme al Venerabile
Gelli e al banchiere Roberto Calvi, lo stesso Berlusconi. In un suo libro autobiografico, Di Bella
scriverà: "Un giorno [settembre 1977, NdA] venne a trovarmi a Bologna Silvio Berlusconi. Non mi
legavano allora a Berlusconi vincoli di particolare familiarità [ ... ]. Silvio Berlusconi, cointeressato
nell'editoriale del “Giornale nuovo” di Indro Montanelli, mi fece presente che, come coeditore,
avrebbe dovuto sperare in un mio rifiuto [ad accettare la direzione del “Corriere della Sera”,
NdA] perché il suo giornale avrebbe avuto sicuramente maggiore spazio di diffusione con un
“Corriere” tutto a sinistra [quello diretto da Piero Ottone, NdA]. Ma un “Corriere” che fosse
riportato su una via meno radicale gli premeva più dei suoi personali interessi"28.

Il giornalista piduista Roberto Gervaso, da parte sua, scriveva al Venerabile maestro (padrino del
“Corriere della Sera”) una lettera del seguente tenore: "Caro Licio, [ ... ] al "Corriere" stanno
succedendo cose molto gravi. Il Barba [l'editore piduista Angelo Rizzoli, NdA], a dispetto di tanti
discorsi [ ... ], ha imposto a Di Bella l'assunzione di quelli che sono, forse, i due radicalchc più
rappresentativi della nostra cultura: Enzo Siciliano [ ... ] e Alberto Arbasino [ ... ]. Io, caro Licio,
credimi, a questo punto non capisco più niente. Ho il timore che il Barba ci stia prendendo tutti per i
fondelli. Dice una cosa, e fa l'opposto [ ... ]. Ho chiesto a Di Bella di farmi collaborare al “Corriere”
[ ... ]. t bene che tutti capiscano che blandire i nemici non serve a niente. Restano nemici. Bisogna
premiare gli amici. [ ... ]. Oggi Di Bella parlerà della mia collaborazione con Tassan Din e il Barba.
Vedi di fare, se puoi, una telefonata a Tassan Din, affinché non mi metta i bastoni tra le ruote [ ... ].
T'abbraccio, tuo Roberto".

Stando alla nota di “Op”, oltre a Di Bella (direttore del più importante quotidiano nazionale) e a
Nino Nutrizio (direttore del quotidiano lombardo “La Notte”) a Cap d'Antibes il piduista “aspirante
banchiere” Berlusconi, intenzionato a scalare il vertice della Cariplo, ospitava anche Indro
Montanelli, direttorefondatore del quotidiano milanese “Il Giornale nuovo”.

Del “Giornale nuovo”, Berlusconi nella primavera del 1977 era divenuto azionista col 12 per cento
delle quote, primo passo verso la progressiva acquisizione del controllo del quotidiano.
Un'acquisizione non imprenditoriale, bensì dichiaratamente politica29; un'acquisizione di potere
finanziariamente assai onerosa30 ma connessa al “Piano” piduista di progressiva infiltrazione e
conquista dei mass media, non a caso condotta in parallelo anche dal Venerabile maestro in
persona: "Montanelli mi illustrò le difficoltà del suo “Giornale” e mi pregò di fargli avere un
finanziamento da qualche istituto dì credito [ ... ]. Provvidi presentandolo al Banco Ambrosiano che
gli accordò un'apertura di credito. In una successiva occasione, gli ottenni un incontro a colazione
con il presidente, Roberto Calvi"31.
Nell'estate dei 1980, la proverbiale riottosità di Montanelli entra in collisione con gli interessi
piduisti rappresentati da Berlusconi (ormai azionista di controllo del “Giornale” col 37,5 per cento):
"Berlusconi ha dovuto far rientrare una lettera di dimissioni presentata contro di lui da Montanelli:
il più famoso giornalista d'Italia ha protestato contro l'interferenza di Berlusconi in una serie di
articoli dedicati al banchiere [piduista] Roberto Calvi e che il giovane azionista del “Giornale”
aveva cercato di bloccare"32.

Montanelli verrà indotto a lasciare la direzione del “Giornale” nel gennaio del 1994, reo di non
voler schierare il quotidiano a sostegno della candidatura politica del suo editorepadrone33;
nell'occasione, l'anziano direttore dichiarerà: "C'erano già stati [negli anni Ottanta, NdA] degli
stridori, tra di noi, quando [Silvio Berlusconi] pretendeva che “Il Giornale” si schierasse con Craxi
[ma io] non volevo legare le sorti del giornale a un partito"34.

Associati a delinquere

Il formidabile imprenditore che secondo la truffaldina mitologia berlusconiana stava “facendosi da


sé” senza “appoggi” né “aiuti”, lo straordinario self made man che stava edificando dal nulla un
impero economico col solo ausilio della sua fantasmagorica genialità, a metà anni Settanta era in
realtà un palazzinaro tanto ambizioso quanto spregiudicato, oscuramente finanziato, in procinto di
scalare la vetta del potere politicoaffaristico; la sua avventura edilizia era giunta infatti al capolinea,
come rilevava Pecorelli. Nella sua scalata, Berlusconi si avvaleva di due strade parallele e
convergenti: quella del potere occulto massonicoaffaristico del Venerabile maestro Licio Gelli, e
quella del potere politicoaffaristico della destra Dc e dei Psi di Bettino Craxi.

Licio Gelli diviene Gran maestro della Loggia massonica “coperta” Propaganda 2 il 9 maggio 1975;
Bettino Craxi viene eletto alla segreteria del Psi il 15 luglio 197635. Non a caso, è tra il 1975 e il
1980 che la Loggia gelliana dispiega la sua corruttiva opera di infiltrazione nei gangli vitali dello
Stato e nell'ambito dei mass media; non a caso, è nella seconda metà degli anni Settanta che Bettino
Craxi si consolida al vertice del Psi come nuovo “uomo forte” dei potere politico nazionale, mentre
la destra democristiana, dopo la morte di Aldo Moro, assume la leadership della Dc. E non a caso, è
tra il 1975 e il 1980 che si pongono le basi del gruppo politicoaffaristico Fininvest, ed è in quello
stesso periodo che Berlusconi esce allo scoperto, affacciandosi alla ribalta dell'imprenditoria
nazionale in forza dei suoi legami di potere.

Benché ufficialmente affiliato alla Loggia massonica segreta in data 26 gennaio 1978 (tessera 1816,
codice E 19.78, gruppo 17, fascicolo 0625, versamento per quote '78 L. 100.000 con ricevuta no
104 del 5578)36, i contatti di Berlusconi col Venerabile maestro e con gli ambienti piduisti erano
antecedenti.

Infatti, il segreto “Piano di rinascita” elaborato dalla P2 tra il 1975 e il 1976 conteneva un preciso
riferimento all'attività di Berlusconi, là dove prevedeva la necessità di introdurre nell'ordinamento
una "nuova legislazione urbanistica favorendo le città satellite" (e il primo e il solo costruttore
italiano alle prese con 14città satellite" era per l'appunto Berlusconi con Milano 2). Inoltre, fin dal
luglio 1977 Berlusconi aveva espresso tesi e concetti politici totalmente coincidenti con i
“presupposti politici” indicati nel segretissimo “Piano” piduista, esplicitando l'utilizzo dei suoi mass
media (“Il Giornale nuovo” e “Telemilano”) in chiave di strumento politico “anticomunista”
esattamente come indicato nel “Piano” della Loggia segreta37.

La stessa genesi del gruppo Fininvest si sviluppa all'ombra della Loggia massonica segreta. Il 21
marzo 1975 viene costituita a Roma la Fininvest srl (che il successivo 11 novembre viene
trasformata in “spa” e trasferita a Milano): l'identità dei suoi promotori è occulta perché coperta
dallo schermo di due fiduciarie Servizio Italia spa e Società azionaria fiduciaria spa38 facenti capo
alla Banca Nazionale del Lavoro, istituto di credito infiltrato e controllato dalla Loggia P2. L'8
giugno 1978, le due fiduciarie Bnl costituiscono la Fininvest Roma srl. Il 26 gennaio 1979, la
Fininvest Roma srl delibera l'incorporazione per fusione della Fininvest spa di Milano; il successivo
28 giugno, la Fininvest Roma srl assume la nuova denominazione di Finanziaria di
InvestimentoFininvest srl, e trasferisce la propria sede sociale a Milano.

L'occulto divenire del gruppo Fininvest e le scorribande berlusconiane e gelliane nei segreti
meandri del credito bancario si avvalgono di coperture e complicità ai massimi livelli. La Loggia
P2 non controlla soltanto il vertice della Banca Nazionale del Lavoro39 e le due fiduciarie Bnl che
danno origine alla Fininvest: affiliato alla Loggia segreta è anche il ministro andreottiano Gaetano
Stammati (tessera P2 1636), alle Finanze nel V governo Moro (1976) e ministro del Tesoro nel III
governo Andreotti (197678); dopo il piduista Stammati, al ministero del Tesoro (responsabile della
politica creditizia, e detentore del capitale Bnl) si insedierà il democristiano Filippo Maria Pandolfi
(197880), del quale Berlusconi, fin dal 1977, era andato tessendo pubblici elogi40 benché Pandolfi
fosse un politico di assai modesta levatura nell'ambito della stessa Dc. Ma la banda gelliana
controllava soprattutto la Guardia di Finanza: piduisti erano sia il corrotto comandante del Corpo,
generale Raffaele Giudice (tessera P2 1634), sia il capo di Stato maggiore della Gdf generale
Donato Lo Prete (tessera P2 1600).

Nel 1980, il fratello piduista costruttore di “città satellite” (Milano 2) è alle prese con speculazioni
edilizie in Sardegna, dove intende edificare Olbia 2. Suo rappresentanteprestanome è il funzionario
Fininvest Romano Comincioli, il quale è in società in nome e per conto di Berlusconi col
faccendiere Flavio Carboni (a sua volta in traffici col banchiere piduista Roberto Calvi).

È per via della progettata speculazione a Olbia 2 che il nascente gruppo Fininvest allaccia rapporti
col “fratello” Armando Corona, futuro Gran maestro della massoneria italiana (verrà eletto al
vertice del Grande Oriente d'Italia nel marzo 1982). "Conobbi il Carboni nel gennaio 1981",
dichiara il Gran Maestro Corona al Tribunale di Milano nel 1982; "All'epoca io ero presidente
dell'Assemblea regionale sarda [ ... ]. Il Carboni mi parlò appunto di questa sua attività e mi disse
che intendeva presentarmi il signor Berlusconi Silvio, imprenditore milanese, che aveva interessi
con lui e che era orientato a operare in Sardegna. In effetti successivamente il Carboni venne con il
predetto Berlusconi ed entrambi mi dissero che avevano dei grossi progetti per la Sardegna. Preciso
che dai termini con i quali si esprimevano traspariva chiaramente una comunanza di interessi, nel
senso che apparivano soci nel progetto del quale parlavano. Dissero in particolare che avrebbero
voluto costruire una seconda Olbia, Olbia 2".

Secondo Emilio Pellicani (segretariofactotum di Carboni), "il periodo in cui Corona inizia a
prendere dei soldi da Carboni parte dal 1980, quando lui era ancora presidente della Regione sarda.
In quella occasione credo che abbia avuto da parte di Carboni dei finanziamenti provenienti dal
gruppo Berlusconi per l'operazione Olbia 2 [ ... ]. Carboni mi disse di aver già “bonificato” varie
persone della Sardegna, tra cui l'onorevole Corona, per circa 300 milioni, 200 dati all'on. Corona, e
altri ad altre persone... Lo so, perché ci furono addebitati 500 milioni che furono portati da Fedele
Confalonieri tutti in contanti a Cagliari mentre Carboni, Berlusconi e Corona erano a Cagliari.
Confalonieri [portò] 500 milioni in contanti [dentro una] valigetta ventiquattr'ore". Secondo il
braccio destro di Carboni, altri 150 milioni (prelevati il 14 maggio 1981) sono serviti a corrompere i
politici sardi: in questo caso ne avrebbero beneficiato la segreteria del presidente della Regione
Angelo Roich per "l'operazione SardegnaBerlusconi", e altri "politici sardi sempre in relazione alla
famosa operazione"; complessivamente, secondo Pellicani, "Carboni aveva stabilito con Berlusconi
7 miliardi di spese politiche. Era il costo politico dell'operazione [Olbia 2]"41.
La Loggia massonica segreta Propaganda 2 (definita dal Presidente della Repubblica Pertini "una
associazione a delinquere") viene “scoperta” dalla magistratura di Milano il 17 marzo 1981. Lo
scandalo porterà alla crisi dei governo Forlani42 e all'istituzione di una apposita Commissione
parlamentare d'inchiesta.

Il 26 ottobre 1981, interrogato dalla Commissione parlamentare nella sua qualità di affiliato alla
Loggia, Berlusconi tra l'altro dichiara: "Mi sono iscritto alla P2 nei primi mesi del 1978, su invito di
Licio Gelli che conoscevo da circa sei mesi e che avevo visto solo due volte. Ero convinto che la
Loggia fosse parte del Grande Oriente d'Italia. Non ho mai versato contributi [ ... ]. Gelli mi chiari
che tramite la Massoneria, organizzazione internazionale, avrei potuto avere dei canali di lavoro, e
contatti internazionali utili per la mia attività di presidente del Consorzio per l'edilizia
industrializzata. Non vi fu cerimonia di iniziazione; non ho avuto alcun rapporto con altri affiliati
Nulla so dei rapporti di Gelli con

Carmine Pecorelli".

Ma l'ex senatore Sergio Flamigni, già componente della Commissione parlamentare d'inchiesta,
preciserà: "La deposizione di Berlusconi davanti alla Commissione fu menzognera e reticente.
Berlusconi menti quando affermò di non avere versato contributi: il 22 marzo 1982 la Guardia di
Finanza verificò la piena corrispondenza tra la quota pagata di L. 100.000, la ricevuta trovata
nell'ufficio di Gelli, e i versamenti sul conto “Primavera” presso la Banca dell'Etruria che Gelli
utilizzava per i pagamenti delle quote degli affiliati. Menti quando negò la cerimonia di iniziazione:
la Commissione acquisì un documento proveniente dall'archivio di Gelli in Uruguay nel quale, a
fianco del nome “Berlusconi Silvio” vi era l'annotazione “Juramento Firmado”. Berlusconi menti
anche e soprattutto quando affermò di non avere avuto alcun rapporto con altri affiliati: basti
considerare tutti i rapporti avuti con i banchieri piduisti del Monte dei Paschi di Siena e della Bnl, e
a quelli che intrattenne con giornalisti (Gervaso, Di Bella) e editori (Rizzoli e Tassan Din). Del
resto, la stessa storia della P2 dimostra come la falsa testimonianza sia essa stessa prova di
“appartenenza” alla Loggia segreta, proprio perché i “fratelli” piduisti erano vincolati alla
segretezza da un giuramento e da regole che li vincolavano alla fedeltà alla Loggia".

Nel corso della deposizione resa alla Commissione parlamentare d'inchiesta, il piduista Bruno
Tassan Din (amministratore delegato del gruppo RizzoliCorriere della Sera) confermerà: "Gelli era
molto amico di Berlusconi, e in diverse occasioni mi disse di fare degli accordi con lui sia nel
settore della televisione che dell'editoria. lo conoscevo Berlusconi direttamente, e questi in verità mi
fece riferimento alla opportunità di un accordo nel quadro anche dei contatti che lui aveva con
Gelli".

Al termine dei suoi lavori, la Commissione parlamentare d'inchiesta stabilirà che la Loggia P2 "si è
posta come motivo di inquinamento della vita nazionale mirando ad alterare in modo spesso
determinante il corretto funzionamento delle istituzioni secondo un progetto che mirava allo
snervamento della democrazia... Tale organizzazione, per le connivenze stabilite in ogni direzione e
a ogni livello, e per le attività poste in essere, ha costituito motivi di pericolo per la compiuta
realizzazione del sistema democratico". La Loggia P2 verrà dichiarata sciolta a norma di legge.

Il Venerabile maestro Licio Gelli (latitante dal marzo 1981, arrestato in Svizzera nel settembre
1982, evaso dal carcere ginevrino di Champ Dollon nel settembre 1983, costituitosi in terra elvetica
nel settembre 1987 e subito estradato in Italia) verrà inquisito dalla magistratura per numerosi e
gravissimi reati: omicidio Pecorelli; concorso in bancarotta per il crac del Banco Ambrosiano, e
quale mandante dell'omicidio Calvi; costituzione di capitali all'estero; cospirazione politica;
cospirazione militare; spionaggio; interesse privato in atti d'ufficio; rivelazione di segreti di Stato;
finanziamento di gruppi armati a scopi eversivi; associazione sovversiva con finalità di strage;
depistaggio di indagini; calunnia; millantato credito; associazione a delinquere; truffa aggravata...

Nel dicembre 1988, il piduista Berlusconi ormai potentissimo tycoon legato a doppio filo al
potentissimo Bettino Craxi dichiara polemico: "Sono sempre in attesa di conoscere quali fatti o
misfatti siano effettivamente addebitati a Licio Gelli"43. L'interessata "attesa" del tycoon piduista
per le vicende giudiziarie del suo Venerabile maestro verrà parzialmente appagata poco tempo
dopo: nel 1992, Gelli verrà condannato a 19 anni di carcere per concorso nella bancarotta del Banco
Ambrosiano; nel 1994, verrà condannato a 10 anni nell'ambito del processo per la strage di Bologna
del 2 agosto 1980 ("calunnia aggravata da finalità di terrorismo"); ancora nel 1994, verrà
condannato a 17 anni di reclusione dalla Corte d'Assise di Roma per vari reati connessi alla vicenda
della Loggia P2.

Il venerabile Berlusconi

Nell'ambito della inchiesta sulla massoneria “deviata” condotta dalla Procura della Repubblica di
Palmi, il 23 marzo 1994 (a quattro giorni dalle elezioni politiche) il sostituto procuratore Maria
Grazia Omboni dispone l'acquisizione degli elenchi dei candidati nel partitosetta “Forza Italia”.
Alcuni agenti della Digos eseguono l'ordine del magistrato presso la sede romana del
partitoFininvest, suscitando la furente reazione del suo messianico leader: "È una provocazione
contro la libertà degli italiani... Queste cose avvengono solo nei Paesi totalitari... La situazione in
Italia sta degenerando e trasformando una democrazia in uno Stato giustizialista e poliziesco"44.

Ventiquattro ore dopo, il Pm Omboni viene convocata al cospetto della prima commissione del
Consiglio superiore della magistratura per "giustificare" il proprio operato. "Per quattro ore la
Omboni ha raccontato dei voti che alcune Logge coperte della massoneria avrebbero dirottato su
candidati di Forza Italia Ha rivelato l'esistenza di una Loggia coperta che già sta lavorando per
garantirsi appalti e commesse per l'Anno Santo del Duemila. Ha accennato a un contributo di 100
milioni versato da Berlusconi all'ex ministro degli Esteri, il socialista Gianni De Michelis", scrive il
settimanale “L'Europeo”. "La Omboni sostiene di avere deciso il blitz a Forza Italia dopo avere
ricevuto due rapporti dalla Digos, di Cagliari e di Roma. E primo, datato 23 marzo, proverebbe gli
stretti legami tra massoneria e partito di Berlusconi. “La Digos di Cagliari”, ha detto la Omboni, "ci
ha comunicato che il potente gruppo massonico, che fa capo all'ex gran maestro del Grande Oriente
d'Italia Armando Corona, appoggia il partito 'Forza Italia'. Lo provano alcune intercettazioni
telefoniche. In una, un certo Locatelli rassicura cosi Corona: 'Tutti i fratelli sono coinvolti, un
mucchio di loro amici stanno organizzando club di Forza Italia'. li rapporto della Digos riferisce poi
di una conversazione tra un medico (rimasto senza nome) e Ketty Corona, figlia dell'ex Gran
maestro. Forza Italia, spiega il medico, incontra qualche difficoltà nella raccolta delle firme per la
presentazione delle liste a Carbonia. 'Avvisa tuo padre', dice il misterioso dottore a Ketty, 'e digli di
chiamare tutti i fratelli della zona, di mobilitarli, di muoverli, altrimenti non ce la facciamo'”. La
Omboni commenta: “Questi sono i dati dai quali già emergevano buone ragioni per pensare che la
massoneria, al di là della sua sbandierata apoliticità, fosse impegnata nel sostenere alcune forze
politiche in maniera del tutto occulta. Apparentemente i massoni non vogliono occuparsi di politica,
né interferire nelle scelte elettorali dei fratelli. In realtà, e ciò emerge da molti atti processuali, vi
sono inviti a votare questo o quel candidato, non tanto perché appartenente ad un certo partito bensì
perché massone”. E l'ipotesi di lavoro su cui si basa la maxiindagine avviata dall'ex procuratore di
Palmi Agostino Cordova, che vede indagate oltre 400 persone in tutta Italia, viene sintetizzata dalla
Omboni con queste parole: “Secondo la nostra ipotesi, la massoneria costituirebbe un partito
trasversale che intende mettere nei vertici di potere i suoi uomini di potere, fratelli e affiliati, palesi
e no, per essere poi in condizione di governare” [ ... ]. In gennaio la Procura di Palmi, sulla scia
delle stesse indagini, ha scoperto l'esistenza di una Loggia segreta, coperta dalle insegne di una
“società di servizi” che sarebbe servita per la trattazione di affari in vista dell'Anno Santo previsto
per il Duemila. “Il gruppo di affari”, ha spiegato la Omboni, “mirava ad accaparrare commesse e
appalti”. In Sardegna, poi, è venuta fuori la storia del finanziamento di Silvio Berlusconi a Gianni
De Michelis. “La Digos di Cagliari”, ha spiegato la Omboni al Csm, “ha intercettato una
conversazione in cui emerge un incontro interessante. Una delle ex segretarie dell'onorevole De
Michelis va a trovare l'avvocato Frongia, massone, molto legato al Gran maestro Corona, e curatore
di molti dei suoi affari. La donna chiede a Frongia notizie sull'andamento dei club di Forza Italia a
Cagliari. Poi, tra le altre cose, racconta anche che nel giro di De Michelis c'è inquietudine. Si teme
che un'altra segretaria dell'ex ministro riveli ai giudici che De Michelis avrebbe ricevuto da
Berlusconi 100 milioni”. Così la Omboni ha deciso, nonostante la vicinanza delle elezioni, di
spedire la Digos a Forza Italia. “Ma perché non ha aspettato le elezioni? Perché tanta fretta?”,
chiede un consigliere del Csm. E Omboni ribatte: “Per verificare se era in atto un'interferenza nella
propaganda elettorale, dovevamo capire cosa stava succedendo prima delle elezioni” [ ... ]"45.

Dopo l'audizione, il Csm non adotterà alcun provvedimento disciplinare nei confronti del Pm
Omboni, né esprimerà censure verso il suo operato, la cui puntualità troverà anzi una indiretta
conferma il successivo 11 maggio, con l'arresto di quattro “fratelli” della massoneria “deviata”:
"Sono: il principe Giovanni Alliata di Montereale, 73 anni, già coinvolto nel golpe Borghese,
Sovrano dell'associazione segreta Obbedienza; il colonnello Benedetto Miseria, Gran Maestro
dell'Obbedienza di Alliata; Cosmo Sallustio Salvemini, massone di una Loggia coperta e fondatore
del Movimento Salvemini intitolato al grande storico Gaetano di cui è nipote; e Alfredo Rasoli,
segretario del Movimento Salvemini. L'accusa: il principe Alliata aveva promesso al gruppo
Solidarietà, la lista antiRutelli del colonnello Pappalardo, e in particolare ai candidati Salvemini e
Rasoli, un finanziamento di 500 milioni e 2500 voti a patto della loro affiliazione alla sua Loggia
segreta. Le prove: 45 intercettazioni telefoniche fatte tra il giugno '93 e l'aprile di quest'anno.
Scrivono i giudici del pool di Palmi che ha condotto l'inchiesta: “Ernergono in maniera
inequivocabile le finalità illecite che la Loggia persegue come centro di affari attraverso non ben
definibili collegamenti con il Vaticano, con la famigerata Banda della Magliana, con l'Fbi e i servizi
segreti americani [ ... ]. Risulta che Alfredo Rasoli, vero braccio destro di Salvemini, si è presentato
alle recenti consultazioni politiche in qualità di presidente di un club di Forza Italia, mentre Antonio
Pappalardo, già candidato per la lista Solidarietà democratica facente capo al Salvemini, parteciperà
come testimonial a un incontro elettorale organizzato dal club di Forza Italia”. I giudici scrivono
anche che “tale Gustavo Selva [il cui nome era negli elenchi di affiliati alla Loggia P2, NdA], già
appartenente al Movimento Salvemini, ha avanzato la sua candidatura nelle liste di Forza Italia su
sollecitazione dello stesso Salvemini che a tale scopo aveva convocato una riunione”"46.

A distanza di tredici anni dalla “scoperta” della Loggia segreta del Venerabile Gelli, il 16 aprile
1994 la seconda sezione della Corte d'Assise di Roma emette la prima sentenza giudiziaria sul conto
di alcuni esponenti della banda massonica P2. Nell'ambito del procedimento, a Gelli non viene
addebitata la principale accusa “cospirazione politica mediante associazione” perché estradato dalla
Svizzera con esclusione di tale imputazione: ma il Venerabile viene comunque condannato a 17
anni di reclusione perché riconosciuto colpevole di millantato credito, di calunnia e procacciamento
di notizie segrete47.

Con una sentenza che ribalta le conclusioni cui era pervenuta la Commissione parlamentare
d'inchiesta, e che disattende la stessa requisitoria dei Pm Elisabetta Cesqui ("La P2 è stata
un'associazione delittuosa volta a commettere molteplici atti di spionaggio, di violazione di segreti
rilevanti per la sicurezza nazionale. Un'associazione tesa a modificare la Costituzione dello Stato
con mezzi non consentiti e diretta a turbare l'esercizio e le prerogative del governo e del
Parlamento"), la Corte d'Assise assolve gli imputati dall'accusa di cospirazione politica.
Mentre il Pm Cesqui annuncia il ricorso in Appello, la sentenza “assolutoria” desta sensazione nel
mondo politico48. L'ex magistrato Ferdinando Imposimato commenta: "Che brutto segnale. La
massoneria e la P2 stanno recuperando su tutti i fronti. Purtroppo anche in magistratura".

Il più illustre degli affiliati alla Loggia segreta, il presidente del Consiglio incaricato Berlusconi,
dichiara: "Significa che non c'erano gli estremi per una sentenza diversa... Saranno gli storici a
giudicare se quella cosa [la Loggia P2, Nd4] è stata uno scoop giornalistico prolungato o qualcosa
di più sostanzioso". Commenta Alessandro Galante Garrone: " [A Berlusconi] si deve rispondere
che, allo stato degli atti, non abbiamo alcun diritto di affermare o escludere la sussistenza di quegli
“estremi”. E mi pare, inoltre, piuttosto ingenuo rimettersi, come egli fa, agli "storici" del futuro.
Prima degli storici, altri giudici dovranno pronunciarsi in questa causa. Detto questo, non possiamo
tacere una certa inquietudine che questa decisione ha suscitato in noi. Da anni ormai abbiamo avuto
la possibilità di conoscere tutti gli elementi raccolti da una famosa Commissione parlamentare, e la
precisa e documentata relazione di maggioranza, redatta dalla sua presidente Tina Anselmi, una
delle persone più serie, oneste, coraggiose della nostra vita parlamentare. Siamo veramente ansiosi
di sapere quali documenti e argomenti siano stati portati, dall'odierna sentenza, per infirmare o
distruggere quella relazione"49.

Nel governo di destra scaturito dalle elezioni politiche del 2728 marzo 1994 e guidato dal piduista
Berlusconi, trova posto, quale ministro dei Trasporti, l'ex democristiano e neoneofascista Publio
Fiori, il cui nominativo era presente negli elenchi P2 (tessera 1878, codice E. 19.78, data
affiliazione 10 ottobre 1978). Alla presidenza della Commissione Affari costituzionali della
Camera, la maggioranza governativa (formata dal partitoFininvest con neofascisti e leghisti) insedia
Gustavo Selva, indicato negli elenchi piduisti con tessera 1814, codice E. 19.78, data di affiliazione
26 gennaio 1978 (cioè lo stesso giorno nel quale si era affiliato il “fratello” Berlusconi).

All'importante dicastero degli Esteri, il presidente del Consiglio piduista nomina l'ex “aspirante
piduista” Antonio Martino, a proposito del quale Sergio Flamigni conferma: "Tra i documenti
sequestrati al Venerabile maestro vi era la domanda di affiliazione alla Loggia segreta firmata da
Antonio Martino e inoltrata a Gelli poco prima che scoppiasse lo scandalo. Le aspirazioni piduiste
del berlusconiano professor Martino forse rientrano nella tradizione della sua famiglia: il nome di
suo padre l'on. Gaetano Martino era infatti compreso nell'elenco dei massoni iscritti alla P2 e
restituiti al Grande Oriente nel 1975, elenco consegnato da Salvini e Gelli ai giudici di Firenze che
indagavano sul delitto del magistrato romano Vittorio Occorsio".

Nella disputa che si accenderà per la carica di presidente dei deputati di “Forza Italia”, si
fronteggeranno le candidature degli onorevoli Alessandro Meluzzi e Umberto Cecchi, entrambi
affiliati alla massoneria.

Il 17 luglio 1994, il presidente del Consiglio Berlusconi ha un “incontro riservato” con l'ex
presidente Ciriaco De Mita. L'incontro tra i due avviene a Roma, in via Nicotera 8, presso lo studio
del consulente Fininvest avvocato Elio Siggia.

5. L'AMICO SICILIANO DEGLI AMICI SICILIANI

Belzebù (o lo Spirito Santo)

Cosa Nostra ad Arcore

Nel ventre della "rnafia bianca"


Uomini d'onore e di rispetto

Mani sporche contro Mani pulite

Sotto le volte della Cupola

Belzebù (o lo Spirito Santo)

Nella cupola dell'impero Fininvest, Marcello Dell'Utri non è, come scrive la stampa, "il numero 3",
né "uno dei dirigenti": è il numero Uno bis. Là dove Berlusconi è il Padreterno, Dell'Utri è lo
Spirito Santo - un potentissimo Belzebù nell'ombra, la cui ombra è speculare alla 1uce"
berlusconiana. Non a caso, Dell'Utri è stato il primo amministratore della prima pietra societaria del
futuro gruppo Fininvest (Immobiliare San Martino, 1974); non a caso, rimarranno sempre nelle sue
mani le chiavi della cassa dell'impero (Publitalia '80, l'aorta finanziaria della Fininvest); e non a
caso, Dell'Utri sarà l'ideatore-regista-organizzatore del partito-setta “Forza Italia”. Nell'artistica
tomba-mausoleo fatta erigere da Berlusconi nei giardini della villa di Arcore, infatti, è stato previsto
anche il sacro loculo che ospiterà le spoglie del Belzebù della Fininvest quando egli passerà a
miglior vita.

Marcello Dell'Utri è stato - insieme all'altra entità della cupola Fininvest, Cesare Previti - uno dei
crocevia nell'oscuro divenire del gruppo politico-affaristico che ha in Berlusconi il rappresentante
ufficiale, ed è soprattutto attraverso l'ambigua figura di Dell'Utri e il suo enigmatico ruolo che
sull'impero Fininvest si staglia l'ombra di Cosa Nostra.

***

Sul conto di Dell'Utri fino ai primi anni Settanta si hanno notizie lapidarie: nato a Palermo l'11
settembre 1941 (come il fratello gemello Alberto), laureato in legge, ha lavorato per un breve
periodo in una banca siciliana. Non è dato sapere quando e perché Dell'Utri abbia lasciato Palermo
per Milano, né quando abbia avuto luogo il suo incontro con Berlusconi e in quali circostanze lo
stesso Berlusconi, a domanda di un magistrato, avrà modo di non rispondere dichiarando reticente:
"Conosco Dell'Utri fin da quando eravamo ragazzi"1.

Stando a una testimonianza priva di riferimenti temporali, Dell'Utri avrebbe svolto un'opera di
mediazione tra Cosa Nostra e Berlusconi avendo la mafia appuntato la sua criminosa attenzione sul
giovane costruttore milanese con minacce estorsive2. Secondo altre voci (allo stato prive di
riscontri), intorno a metà degli anni Sessanta le prime cosche mafiose radicate a Milano e in
Lombardia e attive nel settore edilizioimmobiliare avrebbero progettato un sequestro di persona ai
danni di Berlusconi: la vicenda avrebbe poi avuto una qualche soluzione proprio grazie a Dell'Utri3.

È certo che il 16 settembre 1974, il palermitano Marcello Dell'Utri, già residente a Milano4, si reca
a Roma, al no 1/b di Salita San Nicola da Tolentino (una via attigua alla sede centrale della Banca
Nazionale del Lavoro), e presenzia alla costituzione della società Immobiliare San Martino spa,
della quale viene nominato amministratore unico. 1 promotori della società sono coperti
dall'anonimato e rappresentati da Servizio Italia spa e Società azionaria fiduciaria spa (due
fiduciarie della Bnl Holding)5.

L'enigmatica Immobiliare San Martino (“prima pietra” del futuro gruppo Fininvest, l'identità dei cui
promotori, celati dalle due fiduciarie Bnl, ovviamente Dell'Utri conosce) è una società ulteriormente
strana, poiché rimane del tutto inattiva e “in sonno” fino all'estate del 1977, quando all'improvviso
aumenta il capitale sociale da 1 a 500 milioni, trasferisce la sede sociale da Roma a Milano, e muta
la propria ragione sociale in Milano 2 spa.

Il 13 settembre 1977, Dell'Utri lascia la carica di amministratore unico, e quale amministratore della
Milano 2 spa ex Immobiliare San Martino spa gli subentra il prestanome Giovanni Dal Santo
(commercialista milanese originario di Caltanissetta). Due giorni dopo, il 15 settembre, la Milano 2
spa acquista dalla “società svizzera” Edilnord alcuni terreni di Segrate (Milano) relativi alla
cittadella segratese Milano 2: è l'inizio della progressiva acquisizione della “città satellite” da parte
della Fininvest (costituita anch'essa a Roma, il 21 marzo 1975, da anonimi coperti dalle due
fiduciarie della Bnl6) la quale Fininvest assumerà infatti il controllo della Milano 2 spa e della
Italcantieri, mentre l'imbarazzante Edilnord viene posta in liquidazione a fine '77 dal commercialista
romano Umberto Previti.

La nascita della Immobiliare San Martino, che dà il via all'intricato gioco “incestuoso” di scatole
cinesi originatosi nella romana Salita San Nicola da Tolentino (presso la sede delle due fiduciarie
Bnl), sembra avere lo scopo di portare nel misterioso alveo Fininvest tutto il costruito e il
costruendo della “città satellite” di Segrate, comprese le aree ancora da edificare. In pratica, tutti i
beni e i mezzi acquisiti attraverso le società “svizzere” Edilnord e Italcantieri grazie ai capitali della
Finanzierungesellschaft fúr Residenzen, della Aktiengesellschaft für Immobilienlagen in
Resindenzzentren, della Cofigen e della Eti Holding, divengono proprietà degli anonimi soci della
Fininvest romana, celati dalle due fiduciarie Bnl. Gli ingenti capitali “svizzeri” trasformati da
Edilnord e Italcantieri in beni immobiliari, divengono dunque proprietà degli occulti soci fondatori
della Fininvest.

In data 2 dicembre 1974, due mesi dopo avere assunto la carica di amministratore della romana
Immobiliare San Martino, Marcello Dell'Utri risulta essere anche l'amministratore unico della
Immobiliare Romano Paltano spa (società proprietaria delle tenute agricole Muggiano e Romano
Paltano situate nel comune di Basiglio, a sud di Milano, sulle quali sorgerà poi la berlusconiana
Milano 3).

Benché fondata a Milano nel 1949, la Immobiliare Romano Paltano spa aveva sede a Ciriè (Torino)
fin dal 1952; è con l'assunzione da parte di Dell'Utri della carica di amministratore che la sede
sociale viene riportata a Milano, presso lo studio del commercialista Walter Donati, in via Sacchi 3
(mentre a Torino, in via Donati 12, rimane attiva ancora per qualche tempo una sede secondaria).
Questo singolare andirivieni di sedi, e la loro stessa ubicazione, richiama assai da vicino prassi
analogamente strane proprie di varie società appartenenti al boss mafioso Vito Ciancimino, le quali
fanno la spola tra Milano, Torino e altre località piemontesi minori ben altro che una semplice
coincidenza, come si vedrà.

A Ciriè, la Immobiliare Paltano risultava essere inattiva; evidenziava nei suoi bilanci 25 milioni in
immobili (terreni e cascine), che dati in affitto le rendevano 5 milioni l'anno. Dopo la nomina di
Dell'Utri, all'inizio del 1975 la sede viene riportata a Milano, e mutato lo scopo sociale: "La società
ha per oggetto l'acquisto, la costruzione, la vendita, l'amministrazione di beni immobili" (il
trasparente riferimento è al nuovo centro residenziale berlusconiano che sorgerà col nome di Milano
3). L'anno successivo, il capitale sociale verrà elevato da 12 a 500 milioni, e il Monte dei Paschi di
Siena (ormai infiltrato dalla Loggia massonica P2) rilascerà una fideiussione di 3 miliardi in favore
del Comune di Basiglio per garantire le opere di urbanizzazione promesse dalla società. Il 25
maggio 1977 si registrerà un nuovo aumento di capitale: un miliardo di lire. L'anno dopo, il 12
maggio 1978, la società muterà nuovamente: si trasformerà in Cantieri riuniti milanesi, con la sede
trasferita in via Rovani 2, quartier generale della Fininvest: a quel punto, di nuovo, Marcello
Dell'Utri uscirà di scena, per comparire subito dopo nell'ambito di alcune società del giro mafioso di
Vito Ciancimino e dei suoi "amici" palermitani.

Perlomeno a partire dal 1974, dunque, Marcello Dell'Utri è certamente e ufficialmente sulla scena
imprenditoriale a fianco di Berlusconi, col quale condivide iniziative e interessi affaristici al punto
da assumere in prima persona le cariche di amministratore unico delle enigmatiche e strategiche
società Immobiliare San Martino e Immobiliare Romano Paltano.

Tuttavia, Berlusconi e lo stesso Dell'Utri nasconderanno accuratamente tali circostanze al Tribunale


di Milano. Nel giugno 1987, nel corso di una reticente deposizione7, Berlusconi dichiarerà infatti
che a metà anni Settanta "Dell'Utri [svolgeva per me] esclusivamente attività di segretariato
personale e di assistente a tutto quello che atteneva [la mia villa] di Arcore" secondo Berlusconi, il
laureato Dell'Utri era insomma una specie di sua personale colftuttofare, anche perché "non mi
risulta che Dell'Utri avesse esperienze e capacità [di amministratore]"; lo stesso Dell'Utri, nel 1982,
aveva avuto modo di rendere un'omissoria deposizione in Tribunale8 dichiarando di essere stato, a
metà anni Settanta, "l'assistente" di Berlusconi. Si tratta di evidenti falsità e reticenze tese a
mantenere nell'ombra la scabrosa figura di Dell'Utri e il fondamentale ruolo da lui avuto nel
divenire del gruppo Fininvest.

Cosa Nostra ad Arcore

Nell'estate del 1974 (poche settimane prima che Dell'Utri divenga amministratore dell'Immobiliare
San Martino, e pochi mesi prima che assuma la carica di amministratore della Immobiliare Romano
Paltano), un pericoloso pregiudicato proveniente da Palermo si insedia nella residenza di
Berlusconi, la villa ex Casati Stampa di Arcore: si tratta del boss Vittorio Mangano, che sei anni
dopo un rapporto della Criminalpol di Milano definirà "pericolosissimo pregiudicato, schedato
mafioso, dalla spiccata personalità criminale"9.

La presenza di Mangano nella berlusconiana villa di Arcore a partire dall'estate 1974, è una vicenda
oscura e nebulosa (sono incerte perfino le date che scandiscono i fatti) con la quale ha stretta
attinenza Marcello Dell'Utri. Il quale Dell'Utri in quel periodo è in "rapporti non solo di dipendenza
ma anche di amicizia con il Berlusconi", essendone "il suo assistente ed abitando addirittura nella
villa [di Arcore] di sua proprietà"10. Dunque, nell'estate del 1974, nella villa di Arcore ex Casati
Stampa risiedono Berlusconi, il suo sodale e presunto “assistente” Dell'Utri, e il boss mafioso
Vittorio Mangano.

Secondo una deposizione di Berlusconi al Tribunale di Milano, il merito della vicenda sarebbe stato
il seguente: "[Avevo] bisogno, ad Arcore, di un fattore, più precisamente di un responsabile della
manutenzione dei terreni e della cura degli animali, cioè cavalli avendo in animo di impostare una
attività di allevamento di cavalli [ ... ]. Avendo bisogno di un responsabile per la cura della suddetta
attività, chiesi a Dell'Utri Marcello di interessarsi anch'egli di trovare una persona adatta, ed egli mi
aveva appunto presentato il Mangano Vittorio come persona a lui conosciuta, più precisamente
conosciuta da un suo amico [di Palermo]. Il Mangano si era sistemato con la sua famiglia ad Arcore
e cioè nella mia villa, ex villa Casati, e ricordo che poco tempo dopo, dopo un pranzo avvenuto
nella villa, uno dei convitati, il signor Luigi D'Angerio, era stato vittima di un sequestro di persona
casualmente sventato dall'arrivo [dei Carabinieri]. Nell'ambito delle indagini seguite a questo
sequestro emerse che il Mangano Vittorio era un pregiudicato. Non ricordo come il rapporto
lavorativo del Mangano cessò, se cioè per prelevamento da parte delle Forze dell'ordine o per suo
spontaneo allontanamento; ricordo comunque che qualche tempo dopo fu tradotto in carcere. Non
conoscevo il Mangano prima che me lo presentasse il Dell'Utri Marcello. Tengo a precisare che non
è che Dell'Utri mi abbia direttamente proposto il Mangano Vittorio, ma fu una mia scelta su una
rosa di nomi che mi si prospettavano. Non feci preventivamente indagini su Mangano Vittorio, e la
mia scelta cadde su di lui in quanto mi diede l'impressione di una persona a posto e competente"11.

Secondo il settimanale “L'Espresso”, Mangano "venne arrestato il 27 dicembre 1974 e trasferito da


Arcore in un carcere siciliano: ma in cella restò meno di un mese perché il 22 gennaio del 1975
tornò libero. Il suo peregrinare tra denunce, condanne, processi, arresti e scarcerazioni continuò
senza soste [ ... ]. Nella stagione milanese, forse quando ancora lavorava [per Berlusconi] ad Arco
re, accadde qualcosa che solo anni dopo finì in un rapporto della polizia con tanti interrogativi: una
lettera di minacce a Berlusconi, il cui contenuto è sconosciuto e, subito dopo (26 giugno 1975), una
bomba a via Rovani, negli ufficiresidenza di Milano della Fininvest. Si legge in un rapporto della
Direzione centrale della polizia criminale nella parte dedicata ai rapporti tra Mangano, Dell'Utri e
Berlusconi: “All'epoca le indagini non portarono ad alcun esito, anche perché nessuno informò gli
inquirenti che lo stabile era di Berlusconi, ma lo dichiararono di proprietà della Società generale
attrezzature sas”"12.

Secondo il settimanale “Avvenimenti”, "a Milano (dove soggiornava al lussuoso Hotel Duca di
York) Mangano rischiava il foglio di via dalla Questura a causa dei suoi precedenti penali e della
mancanza di un lavoro che ne giustificasse la presenza in Lombardia": dunque, il lavoro ad Arcore,
alle dipendenze di Berlusconi con mansioni di “stalliere”, sarebbe stato il provvidenziale espediente
volto a garantire al boss mafioso la presenza a Milano e la copertura alla sua criminosa attività
infatti, "il licenziamento [di Mangano da parte di Berlusconi] arrivò solo nel 1980, pochi giorni
prima del suo arresto per traffico di stupefacenti e altri reati"13.

"Interrogato dal G.I. di Palermo, in data 10 luglio 1980, il Mangano dichiarava che: in Arcore si
serviva della scuderia “Garcia Pepito” per custodire i cavalli da lui acquistati e che faceva poi
trasportare a Boccadifalco (Palermo), dove li vendeva. [Ma] non sapeva indicare alcun nominativo
di acquirenti, né l'esatto luogo, in Boccadifalco, dove erano custoditi... [Il Mangano dichiarava
inoltre] di essere sorvegliato speciale da tre anni, con divieto di soggiorno a Milano"14.

Secondo il boss Giovanni Ingrassia, "il Mangano si occupava del settore dei cavalli in Milano, dove
ne aveva fatto comprare a Berlusconi e li aveva anche allevati durante la sua residenza ad Arcore...
[E quando Ingrassia aveva manifestato l'intenzione di svolgere un'attività nel settore televisivo] il
Mangano aveva detto di poter spendere una parola in suo favore col Berlusconi"15.

Certo è che il singolare “stalliere” berlusconiano Vittorio Mangano, noto mafioso e


pluripregiudicato, amante dei cavalli ma “commerciante” di “cavalli” intesi nel lessico di Cosa
Nostra come partite di droga, tra il 1975 e il 1980, fra arresti e scarcerazioni, continua a muoversi
lungo la direttrice ArcoreMilanoPalermo; ormai quotato boss di Cosa Nostra dedito alla criminalità
finanziaria sulla piazza milanese, continua anche a mantenere stretti contatti con Marcello Dell'Utri.

Nel rapporto della Criminalpol datato 13 aprile 1981 e dedicato alle propaggini di Cosa Nostra
radicate a Milano e infiltrate nei settori "dell'edilizia, delle società commerciali in genere, quelle
immobiliari e finanziarie in particolare"16, è scritto: "Uno dei personaggichiave che ha consentito
di penetrare nell'ambiente della malavita organizzata [radicatasi a Milano] è indubbiamente
Mangano Vittorio, nato a Palermo il 1881940 [ ... ]. Con costui siamo di fronte a un pericolosissimo
pregiudicato, schedato mafioso, più volte denunziato per gravi reati e soprattutto per estorsioni,
sottoposto alla misura della sorveglianza speciale della Pubblica sicurezza con l'obbligo di
soggiorno a Palermo, arrestato per ultimo in data 6 maggio 1980 dalla Squadra mobile di Palermo e
denunziato unitamente ad altri 54 individui per associazione per delinquere di tipo mafioso
finalizzata al traffico internazionale di sostanze stupefacenti"17.
Sottoposto a intercettazioni telefoniche nel periodo 515 febbraio 1980, il Mangano ("restio a
parlare dal suo telefono di casa [perché] ha sempre la preoccupazione che sia tenuto sotto
controllo", precisa il rapporto) risulta "coinvolto, interessato o cointeressato in imprese commerciali
e finanziarie con vorticosi volumi di affari su scala nazionale e internazionale. Sono le imprese di
cui i mafiosi si servono sia per riciclare il denaro sporco provento delle molteplici attività illecite di
cui quotidianamente si occupano, e sia per dare una facciata ufficiale di legalità e di copertura alle
loro azioni criminali. Spesso [intestatari di tali società] compaiono uomini di paglia o teste di
legno ... ".

Nel suo rapporto, la Criminalpol registra numerose connessioni tra il Mangano e Arcore nel corso
del 1980: in una conversazione telefonica tra due boss, uno dice all'altro "che attende la chiamata di
Vittorio e che ad una certa ora dovrà accompagnarlo ad Arcore. Il Vittorio è senza alcun dubbio il
Mangano Vittorio, che ad Arcore possiede o sarebbe interessato a una scuderia di cavalli". Secondo
altre intercettazioni telefoniche, ad, Arcore si tiene un summit mafioso alla presenza del Mangano;
ancora: "Giovanni Ingrassia chiama l'utenza 039/617051 e parla con Mangano Vittorio [ ... ].
L'utenza risulta intestata a Legalupi Edilio TrattoriaPensione di Arcore" conclude la Criminalpol:
"Mangano Vittorio, ad Arcore, per conto proprio o per conto terzi, curerebbe un allevamento di
cavalli". Dunque, cinque anni dopo essere stato lo strano "stalliere" dei supposti progetti equestri di
Berlusconi, il Mangano, amico palermitano del palermitano Dell'Utri, ormai potente boss mafioso
dedito al riciclaggio e alla criminalità finanziaria radicata a Milano, eserciterebbe ancora la
professione di “stalliere” ad Arcore.

Nel citato rapporto, è anche riportata una prima conversazione telefonica tra due boss, ancora
risalente al 5 15 febbraio 1980, nel corso della quale viene esplicitamente evocato il nome di
Berlusconi: "Conversazione tra Giliberti Claudio e Ingrassia Giovanni. Giliberti chiede al suo
interlocutore se ha letto l'articolo su Berlusconi. L'Ingrassia risponde negativamente e poi aggiunge:
“Porca puttana, ragazzi... è il massimo, no? Ma di fatti è la nostra prossima pedina... Perché, ti
vergogni a dirlo?”. Giliberti risponde di no". Giliberti e Ingrassia risultano essere alle dipendenze di
Vittorio Mangano: sono infatti gli amministratoriprestanome della sua società Promotion Team 2
srl.

La prova provata dei perduranti rapporti e degli incontri a tutto il 1980 tra Marcello Dell'Utri e lo
“stalliere” esponente di Cosa Nostra, è in una conversazione telefonica riportata a pag. 37 del
rapporto Criminalpol, nel corso della quale viene nuovamente evocato Berlusconi: "Mangano parla
con tale Dell'Utri e, dopo averlo salutato cordialmente, gli chiede se ha telefonato “Tony
Tarantino”. L'interlocutore risponde affermativamente e aggiunge che “Tony Tarantino” ha lasciato
detto che avrebbe chiamato il Mangano in albergo alle ore 16. Il Mangano riferisce allora a
Dell'Utri che ha un affare da proporgli e che ha anche il “cavallo” che fa per lui18. Dell'Utri sorride
e risponde che per il cavallo occorrono “piccioli” e lui non ne ha. Mangano non ci crede, [ ... ] e con
tono scherzoso gli dice di farseli dare dal suo amico “Silvio”. [Dopo aver parlato di Alberto
Dell'Utri, fratello di Marcello, detenuto nel carcere di Torino in seguito al fallimento della Venchi
Unica], Mangano chiede notizie dell'ufficio. Dell'Utri risponde che quello dove era stato anche il
Mangano ha chiuso perché la società è fallita [ ... ]. Mangano chiede quindi se ha sentito “Tonino”.
Dell'Utri risponde negativamente. La conversazione poi si chiude e i due interlocutori fissano un
appuntamento cui parteciperà anche “Tonino”, in albergo da Mangano, e cercheranno di
"sbrogliare" una situazione ... ".

Dunque, a tutto il 1980 Marcello Dell'Utri continua a mantenere stretti rapporti col potente boss di
Cosa Nostra Vittorio Mangano, esponente di primo piano della ragnatela mafiosa di tipo finanziario
che è "il vero cervello e il centro motore del crimine organizzato in Lombardia", della quale sono
parte anche alcune società appartenenti "ai fratelli Fidanzati [Gaetano, Antonio, Giuseppe, Carlo],
pericolosissimi pregiudicati mafiosi palermitani", e le cui propaggini arrivano alle banche
svizzere19. Del resto, secondo un'attendibile testimonianza, Dell'Utri fin dal 1975 è di casa al
ristorante milanese “Il Viceré”, gestito da mafiosi e frequentato da mafiosi: "Dell'Utri frequentava e
aveva stretti contatti con quel giro di siciliani e palermitani"20.

Del boss Vittorio Mangano, amico di Dell'Utri e “stalliere” alla corte di Berlusconi, accertato
“uomo d'onore” dedito alla criminalità finanziaria sulla piazza milanese quale nevralgico crocevia
del traffico di droga e del riciclaggio, ha modo di parlare il magistrato Paolo Borsellino nel corso di
un'intervista risalente al maggio 1992 (due mesi prima di morire per mano di Cosa Nostra)21.

Dichiara Borsellino: "Vittorio Mangano l'ho conosciuto negli anni fra il '75 e l'80. Ricordo di avere
istruito un procedimento che riguardava delle estorsioni fatte a carico di talune cliniche private
palermitane e che presentavano una caratteristica particolare: ai titolari di queste cliniche venivano
inviati dei cartoni con [dentro] una testa di cane mozzata [ ... ]. Attraverso un'ispezione fatta in un
giardino di una salumeria che risultava aver acquistato questi cartoni, in giardino ci scoprimmo
sepolti i cani con la testa mozzata. Mangano restò coinvolto in questa vicenda perché venne
accertata la sua presenza in quel periodo come ospite di questa famiglia che era stata l'autrice
dell'estorsione [ ... ]. Poi l'ho ritrovato nel maxiprocesso [di Palermo] perché il Mangano fu indicato
sia da Buscetta che da Contorno come uomo d'onore appartenente a Cosa Nostra, della famiglia di
Pippo Calò22 [ ... ]. Si accertò che Mangano risiedeva abitualmente a Milano, città dove, come
risultò da numerose intercettazioni telefoniche, costituiva un terminale dei traffici di droga che
conducevano alle famiglie palermitane [ ... ]. Il Mangano è stato poi condannato per questo traffico
di droga... in primo grado a una pena di 13 anni e 4 mesi di reclusione (pena confermata dalla Corte
d'Appello) [ ... ]. Mangano era una delle "teste di ponte" dell'organizzazione mafiosa nel Nord
d'Italia... un personaggio che suscitò [negli inquirenti] parecchio interesse anche per questo suo
ruolo un po'diverso da quello attinente alla mafia militare [anche se comunque] non disdegnava il
ruolo militare all'interno dell'organizzazione mafiosa [ ... ]. Marcello Dell'Utri non è stato imputato
nel maxiprocesso [di Palermo], ma so che esistono indagini che lo riguardano, e che riguardano
insieme Mangano [ ... ]".

Nel corso della intervista, il giudice Borsellino ricostruisce così l'infiltrazione mafiosa nel Nord
d'Italia: "All'inizio degli anni Settanta Cosa Nostra cominciò a diventare un'impresa anch'essa.
Un'impresa nel senso che attraverso l'inserimento sempre più notevole, che a un certo punto diventò
addirittura monopolistico, nel traffico di sostanze stupefacenti, Cosa Nostra cominciò a gestire una
massa enorme di capitali. Una massa enorme di capitali dei quali, naturalmente, cercò lo sbocco.
Cercò lo sbocco perché questi capitali in parte venivano esportati o depositati all'estero e allora così
si spiega la vicinanza fra elementi di Cosa Nostra e certi finanzieri che si occupavano di questi
movimenti di capitali, contestualmente Cosa Nostra cominciò a porsi il problema di effettuare
investimenti. Naturalmente, per questa ragione, cominciò a seguire una via parallela e talvolta
tangenziale all'industria operante anche nel Nord o a inserirsi in modo di poter utilizzare le capacità,
quelle capacità imprenditoriali, al fine di far fruttificare questi capitali dei quali si erano trovati in
possesso".

Gli intervistatori a quel punto domandano al magistrato antimafia: "Dunque, lei dice che è normale
che Cosa Nostra si interessi a Berlusconi?", e Borsellino risponde: "t normale il fatto che chi [come
Cosa Nostra] è titolare di grosse quantità di denaro cerchi gli strumenti per potere questo denaro
impiegare. Sia dal punto di vista del riciclaggio, sia dal punto di vista di far fruttare questo denaro.
Naturalmente questa esigenza, questa necessità per la quale l'organizzazione criminale a un certo
punto della sua storia si è trovata di fronte, è stata portata a una naturale ricerca degli strumenti
industriali e degli strumenti commerciali per trovare uno sbocco a questi capitali e quindi non
meraviglia affatto che, a un certo punto della sua storia, Cosa Nostra si è trovata in contatto con
questi ambienti industriali [ ... ]. Mangano era una persona che già in epoca oramai diciamo databile
abbondantemente da due decadi, era una persona che già operava a Milano, era inserita in qualche
modo in un'attività commerciale. È chiaro che era una delle poche persone di Cosa Nostra in grado
di gestire questi rapporti [ ... ]. Ma tutti questi mafiosi che in quegli anni siamo probabilmente alla
fine degli anni Sessanta e agli inizi degli anni Settanta appaiono a Milano, e fra questi non
dimentichiamo c'è pure Luciano Liggio, cercarono di procurarsi quei capitali, che poi investirono
negli stupefacenti, anche con il sequestro di persona".

Al rapporto Criminalpol datato 1341981, la magistratura farà seguire una raffica di arresti a Milano
e in altre città (il blitz, effettuato dalle forze dell'ordine il 14 febbraio 1983, verrà ribattezzato
“Operazione San Valentino”). Tra la selva di arrestati appartenenti alla galassia mafiosa dedita alla
criminalità finanzia ria, anche i boss Antonio Virgilio e Luigi Monti, poi rinviati a giudizio come
scritto dalla Criminalpol perché "a capo di un complesso di società immobiliari, perlopiù costituite
in forma di srl, [società da ritenersi probabili] canali di immissione e “riciclaggio” di masse di
denaro di dubbia provenienza"23.

Al momento dell'arresto, Virgilio e Monti (così come altri boss, ad esempio Salvatore Enea)
risultavano avvalersi, per i loro sporchi traffici finanziari, della Banca Rasini (un piccolo istituto di
credito milanese, con un solo sportello)24. Della stessa Banca Rasini, Luigi Berlusconi (padre di
Silvio) era stato un funzionario fino alla fine degli anni Settanta; la Banca Rasini, negli anni
Sessanta, aveva sostenuto le prime speculazioni edilizie di Silvio Berlusconi25; presso la Banca
Rasini erano affluiti parte dei capitali “svizzeri” delle anonime Finanzierungesellschaft fúr
Residenzen (Lugano), Aktiengesellschaft fúr Immobilienlagen in Residenzzentren (Lugano),
Cofigen (Lugano) e Eti Holding (Chiasso), utilizzati da Berlusconi per finanziare l'attività della
Edilnord srl e della Italcantieri srl.

"La flagrante connivenza della Rasini con Monti e Virgilio rientra nel novero dei più vasti rapporti
che la banca intrattiene con esponenti della “mafia dei colletti bianchi” e con personaggi a essa
mafia attigui, come il costruttore Silvio Bonetti. Il comune tornaconto è tale che a un certo punto il
malavitoso “giro” mafioso manifesta alla Rasini la “disponibilità a trattare l'acquisto del pacchetto
azionario di controllo della banca sulla base di una valutazione dell'intero pacchetto di lire 40
miliardi”"26.

Stando alle ammissioni del boss mafioso “pentito” Salvatore Caricemi (già fedelissimo di Totò
Riina)27, la Fininvest, negli anni Ottanta, pagava il “pizzo” a Cosa Nostra 200 milioni l'anno (forse
per proteggere gli impianti televisivi dei networks installati in Sicilia). Secondo Cancemi, il pizzo
della Fininvest perveniva a Cosa Nostra in una valigetta per il tramite di un misterioso “ragioniere"
che fungeva da ufficiale pagatore a nome di Marcello Dell'Utri, e veniva riscosso da Vittorio
Mangano. Nel 1987, il Superboss Totò Riina aveva avocato a sé il rapporto col misterioso emissario
di Dell'Utri: il Mangano sempre secondo Cancemi ne era rimasto molto contrariato, ma infine aveva
dovuto prendere atto dell'esautoramento.

"II nome di Dell'Utri e della Fininvest è stato fatto da Cancemi anche a proposito di altri due
episodi, raccontati con meno particolari. Il primo, a proposito di un interesse della Fininvest nel
campo immobiliare a Palermo, senza però citare uomini o società impegnate. Il secondo, sempre
con [Marcello Dell'Utri] a far da protagonista, a proposito di ospitalità e riunioni offerte da Dell'Utri
in una sua villa in Lombardia. Forse, ha aggiunto Cancemi, a casa Dell'Utri potrebbero essere stati
ospitati anche dei latitanti. E per questo il primo obiettivo [degli inquirenti] è stato quello di
ordinare i riscontri delle cose dette da Cancemi, dunque verificare l'esistenza di una villa e sondare i
mafiosi indicati dal pentito come ospiti di casa Dell'Utri"28.
***

In merito alla misteriosissima vicenda del boss mafioso Vittorio Mangano insediato nella sua villa
di Arcore, Berlusconi nel marzo 1994 troverà modo di fornire una nuova versione in aperto
contrasto con quanto aveva affermato al Tribunale di Milano sette anni prima (quando aveva
dichiarato di "non ricordare" come fosse finito il suo rapporto con lo “stalliere” mafioso insediato
nella sua villa di Arcore): " [Mangano] lo licenziammo non appena scoprimmo che si stava
adoperando per organizzare il rapimento di un mio ospite"29; ma ciò che il disinvolto presidente del
Consiglio in pectore evita comunque e accuratamente di chiarire, è il perdurare perlomeno a tutto il
1980 dei rapporti e degli incontri tra il suo sodale Marcello Dell'Utri e il potente boss mafioso
presuntamente “licenziato” anni prima.

Nello stesso marzo 1994, anche Dell'Utri offre una sua nuova versione30 della scottante vicenda:
"Ho conosciuto Mangano nella Palermo anni Sessanta: ero allenatore della Bacigalupo, squadra di
calcio giovanile. Era una specie di tifoso. Commerciava cavalli. Me ne ricordai nel 1975. Mi ero
trasferito a Milano (1961), ero diventato assistente di Berlusconi (1973). Mi incaricò di cercare una
persona esperta di conduzione agricola. Così chiamai Mangano. Rimase ad Arcore due anni. E si
comportò benissimo. Trattava con i contadini, si occupava dei cavalli. Ma la notte di Sant'Ambrogio
del 1975, dopo aver cenato con noi, il principe di Santagata fu sequestrato vicino ad Arcore. C'era
una nebbia terribile. L'auto dei rapitori andò a sbattere. E il principe riuscì a fuggire. Le indagini
lanciarono sospetti su Mangano, svelarono che non aveva un passato immacolato. Fu allontanato.
Poi finì in carcere. Mi telefonò anni dopo: voleva vendere un cavallo a Berlusconi [ ... ]. Poco dopo
arrivò la polizia. Intercettavano le telefonate, pensavano a linguaggi cifrati: giri di droga".

Nel ventre della “mafia bianca”

Il rapporto Criminalpol del 13 aprile 1981 appuntava l'attenzione su Marcello Dell'Utri (e sul suo
gemello Alberto) alle pagine 17576, dove rilevava: "Si è accertato che il Dell'Utri con cui il
Mangano Vittorio conversa amichevolmente nel corso della intercettazione è Dell'Utri Marcello,
domiciliato in via Chiaraválle 7, fratello di quel Dell'Utri Alberto nato a Palermo l'11 settembre
1941, domiciliato anche lui a Milano in via Chiaravalle 7, nei cui confronti in data 2 aprile 1979 fu
emesso [ ... ] mandato di cattura per concorso in bancarotta fraudolenta. Tale provvedimento di
cattura fu emesso anche nei confronti di Rapisarda Filippo Alberto, nato a Sommatino
(Caltanissetta), nei confronti di Alamia Francesco Paolo, nato a Villabate (Palermo), e nei confronti
di Breffani Giorgio [ ... ]. 1 predetti, legati al noto Vito Ciancimino, ex sindaco di Palermo [ ... ]
originario di Corleone, indiziato da tempo di collusione con la mafia, erano e sono tuttora
interessati, insieme al medesimo Vito Ciancimino, alla InimInternazionale Immobiliare spa, con
sede in Palermo in via Rapisardi 9, e a Milano in via Chiaravalle 7".

"La Inim", proseguiva la Criminalpol, "risulta iscritta alla Camera di Commercio [di Milano] in
data 10 luglio 1978 ed ha come oggetto d'esercizio la mediazione e l'intermediazione di immobili.
Soci risultano Caristi Angelo (nato a Messina), Silvestri Felice (nato a Palermo), e il citato Alamia
Francesco. Nel novembre 1978 viene registrato il trasferimento della sede e della direzione generale
sempre in Milano [ ... ]. In via Chiaravalle 7/9 risulta avere sede anche la Raca spa avente per
oggetto d'esercizio l'esecuzione di lavori di costruzioni edili, civili, industriali [e] compravendite di
immobili. Soci risultano, oltre ai citati Caristi Angelo e Rapisarda Filippo Alberto, anche Della
Puppa Gaetano [ ... ]".

"L'aver accertato", concludeva il rapporto della Criminalpol, "attraverso la citata intercettazione


telefonica il "contatto" tra il Mangano Vittorio, di cui è bene ricordare sempre la sua particolare
pericolosità criminale, e il Dell'Utri Marcello, ne consegue necessariamente che anche la Inim spa e
la Raca spa, operanti in Milano, sono società commerciali gestite anch'esse dalla Mafia e di cui la
Mafia si serve per riciclare il denaro sporco provento di illeciti".

Ciò di cui la Criminalpol non si avvedeva in merito alla Inimferma restando la peculiarità di
"società commerciale gestita dalla mafia e di cui la mafia si serve per riciclare denaro sporco" è che
di società chiamate Inim ve ne erano ben tre, tutte e tre interne allo stesso giro palermitanomilanese
e legate tra loro da un intricato assetto “incestuoso”31.

Ma l'intrico societario dei cianciminiani a Milano non si limitava alle Inim. In via Chiaravalle 7/9
avevano sede molte altre società: ad esempio la Cofire (intestata a quattro commercialisti, 100
milioni di capitale), la Raca (impresa edile, 100 milioni di capita le), la Sofin (finanziaria
immobiliare che nel 1977 aveva deliberato un aumento di capitale da 100 milioni a 20 miliardi), e
una selva di altre società immobiliari tra loro legate da intricatissimi assetti azionari. Si trattava di
un gruppo finanziarioimmobiliare caratterizzato dalla ingente liquidità: benché dalle oscure e
repentine origini e dagli incerti e intricati contorni, il gruppo InimSofin nel biennio '7677 sulla
piazza milanese era ritenuto un colosso immobiliare nazionale secondo solo alla Beni Immobili
Italia di Anna Bonomi. Proprio grazie all'ingente disponibilità di capitali, il gruppo cianciminiano si
era subito specializzato nel rilevare aziende in crisi: come nel caso della gloriosa immobiliare
milanese Facchin & Gianni (per la quale nel 1976 la InimSofin aveva sborsato 6 miliardi in
contanti, impegnandosi a pagarne altri 22, e rilevando così vaste proprietà terriere e immobiliari)32,
dell'impresa edile di Mondovì Bresciano sas33, e della nota azienda dolciaria torinese Venchi
Unica34.

Alla guida del gruppo InimSofin erano stati posti Francesco Paolo Alamia e Filippo Alberto
Rapisarda35, con la regia occulta (ma non troppo) del boss mafioso Vito Ciancimino. "Alamia e
Ciancimino dispongono di centinaia di miliardi [che utilizzano per rilevare attività fallimentari].
Sulla provenienza [degli ingenti capitali] si fanno molte ipotesi. Una di queste ipotesi è che i
miliardi arrivino dall'estero [provenienti] dai boss che fanno traffici internazionali e che hanno
bisogno di riciclare i loro guadagni [ ... ]. I mafiosi pagherebbero il denaro, pulito in Svizzera, al 30
per cento del suo valore"36. Era convinzione diffusa che l'Inim fosse un gruppo originato dal clan
dei siciliani capeggiato da Vito Ciancimino e appoggiato da potenti esponenti politici Dc della
corrente andreottiana: "Non un solo “cervello”, ma più di uno: a Palermo, a Roma, a Milano, e
anche all'estero. Nomi grossi, gente importante", ammetterà, nel 1979, il latitante Filippo Rapisarda.

Nell'intrico mafioso del gruppo InimSofin formato dal clan dei cianciminiani, Marcello Dell'Utri vi
era entrato ufficialmente nel marzo 1978, con la carica di consigliere di amministrazione della Inim
sas. Stabilendo la sua residenza privata nel palazzo di via Chiaravalle dove il gruppo aveva sede,
Dell'Utri aveva poi assunto altre cariche di primo piano nello scabroso arcipelago societario del giro
finanziarioimmobiliare gestito dal duo AlamiaRapisarda: presidente del consiglio di
amministrazione della Cofire, rappresentante legale delle "controllate" Immobilnord spa e
Immobiliare Concordia srl, e consigliere e amministratore delegato della Bresciano spa37; suo
fratello, Alberto Dell'Utri, aveva assunto la carica di amministratore delegato della Venchi Unica
Duemila. Nel 1979, l'improvvisa interruzione dei flussi finanziari aveva determinato il fallimento a
catena di molte società del gruppo, e aveva poi fatto emergere la natura malavitosa del gruppo
InimSofin e la dedizione alla criminalità finanziaria dei suoi gestori. Il fallimento con bancarotta
della Venchi Unica Duemila38, e della Bresciano39, avevano inoltre reso evidente la strumentalità
del loro “salvataggio” da parte del gruppo finanziario mafioso.

Perché il berlusconiano Marcello Dell'Utri (insieme al gemello Alberto) era entrato nel gruppo
finanziarioimmobiliare dei cianciminiani, gruppo "in concorrenza" col gruppo Berlusconi? E
attraverso quali passaggi questa misteriosa operazione era stata possibile? Perché Dell'Utri, nella
primavera del 1978, era al tempo stesso amministratore della berlusconiana Immobiliare Romano
Paltano e contemporaneamente amministratore di una società (la Bresciano) del gruppo InimSofin?
C'erano forse convergenze affaristicofinanziarie tra il gruppo Berlusconi in crisi di liquidità e il
gruppo Ciancimino ricco di ingenti capitali? Vi era un qualche nesso tra “L'operazione
Dell'UtriInim” e la concomitante affiliazione di Berlusconi (gennaio 1978) alla Loggia P2?

Al Tribunale, Dell'Utri fornirà una versione dei fatti elusiva, menzognera e contraddittoria, fin
dall'inizio: "Conobbi il Rapisarda la prima volta all'incirca nel 1975; egli mi propose degli affari che
non andarono in porto, e tutto per il momento finì lì"40. Ben diverso, e ben altrimenti
circostanziato, il racconto del Rapisarda in merito al suo incontro con Marcello Dell'Utri: "Ebbi a
conoscere Dell'Utri Alberto e Caronna Marcello, nel 1976, in quanto vennero da me negli uffici di
via Chiaravalle per propormi la costituzione di una società [ ... ]; i predetti mi erano stati
raccomandati da Cinà Gaetano di Palermo, che io conoscevo da tanti anni. Dopo qualche mese si
presentò da me Dell'Utri Marcello accompagnato da Cinà Gaetano, e in quella occasione il Cinà mi
pregò di far lavorare da me i fratelli Dell'Utri Alberto e Marcello. Il Dell'Utri Marcello già lavorava
per il gruppo Berlusconi, senonché il Dell'Utri Marcello e il Cinà mi dissero che il Berlusconi in
quel momento era in cattive acque, non aveva soldi e pagava poco il Dell'Utri [ ... ]. Conoscevo
Cinà Gaetano da anni, fin dagli anni Cinquanta, avendolo conosciuto insieme a Mimmo Teresi e
Stefano Bontate [boss mafiosi, NdA]. Effettivamente ho assunto Marcello Dell'Utri nel mio gruppo
societario perché era "difficilissimo" poter dire no al Cinà Gaetano dal momento che il Cinà
rappresentava il gruppo in odore di mafia facente capo a Bontate-TeresiMarchese Filippo. Marcello
Dell'Utri poi mi disse che la sua conoscenza con tutti questi personaggi mafiosi era dovuta al fatto
che si era dovuto interessare per mediare tra coloro che avevano fatto estorsioni e minacce a
Berlusconi e il Berlusconi stesso. Mi precisò Dell'Utri Marcello che a seguito di tali minacce
estorsive il Berlusconi aveva fatto andare all'estero provvisoriamente la moglie e i figli. Il Dell'Utri
mi disse anche che la sua attività di mediazione era servita a ridurre le pretese di denaro dei
mafiosi"41.

La versione di Dell'Utri in merito al suo ingresso nel gruppo Inim dei cianciminiani di Palermo sarà
costellata di inverosimiglianze: "[Nel 1977] ebbi nuovamente un contatto col Rapisarda [che] aveva
ormai assunto il concordato Facchin & Gianni, che era la più prestigiosa impresa immobiliare di
Milano. Il Rapisarda [ ... ] mi parlò di sue proprietà in quel di Peschiera Borromeo, mi portò a
visitarle, e poi mi propose di collaborare con lui nella Bresciano (società di costruzione che aveva
da poco rilevato); mi disse che se avessi accettato mi avrebbe dato il 5 per cento delle azioni della
società [ ... ]; disse anche che la Bresciano aveva lavori in Siria [ ... ], io [andai in Siria] e constatai
che in effetti l'impresa Bresciano stava lavorando in Siria. Man mano che il Rapisarda mi faceva le
sue proposte io ne parlavo con il dottor Berluscon4 col quale ero quotidianamente in contatto.
Faccio notare che il Rapisarda mi aveva proposto uno stipendio all'incirca doppio di quello che mi
dava il Berlusconi. Debbo dire che il Berlusconi, persona molto esperta, manifestò subito grande
perplessità [per la proposta di Rapisarda, ma alla fine] mi suggerì lui stesso di provare ad accettare,
promettendomi che, se la cosa non fosse andata bene, mi avrebbe ripreso con sé: cosa che in effetti
è poi avvenuta. Fu così che entrai alle dipendenze del Rapisarda"42. E ancora: "Fu alla fine del
1977 che io entrai alle dipendenze del Rapisarda. Nel 1978 divenni amministratore delegato della
Bresciano. Faccio ancora notare che per consiglio del dottor Berlusconi, a un certo punto, vedendo
che le cose non erano chiare, consigliai al Rapisarda di assumere come consulente tal ing. Garofalo
Giuseppe affinché egli compisse una sorta di “radiografia” dell'impresa [ ... ]. Di fatto, chi
amministrava la Bresciano era il Rapisarda: io ero amministratore solo di nome; egli mi lasciava
autonomia soltanto per le piccole cose di routine [ ... ]. Mi resi conto immediatamente che [alla
Bresciano] non vi erano dirigenti all'altezza della situazione; i lavori erano in corso ma a rilento; la
società aveva continue necessità di sovvenzioni, che provenivano da banche e dallo stesso
Rapisarda, che non so dove attingesse ai fondi [ ... ]. Il Rapisarda avrebbe voluto che io gli
conferissi procura generale anche con riferimento alla Bresciano, ma io non volli dargliela e ciò
incrinò i nostri rapporti [ ... ]. Quando la Bresciano venne dichiarata fallita, nel gennaio 1979 [in
realtà, nel gennaio 1980, NdA], ovviamente cessai dalla mia carica [di amministratore] e ritornai
non subito, peraltro da Berlusconi"43. "Faccio presente che io ero il firmatario quale amministratore
della domanda di amministrazione controllata [per la Bresciano], ma in realtà tutto era già stato
deciso dal Rapisarda [ ... ]. lo al momento non mi rendevo conto, non essendo esperto in materia [ ...
]. Preciso che il Rapisarda era un “incantatore”, nel senso che riusciva a imporre la sua visione a
tutti"44.

L'equivoco intreccio Dell'UtriRapisardaBrescianoBerlusconi assume tratti grotteschi nella versione


che ne darà lo stesso Berlusconi al Tribunale di Milano una mera “questione salariale” e
“carrieristica” riguardante il suo improvvido e maldestro “segretario personale”: "Marcello Dell'Utri
lo conosco fin da quando eravamo ragazzi, e ricordo che dopo che era venuto a lavorare con me mal
sopportava di svolgere esclusivamente attività di segretariato personale e di assistente a tutto quello
che atteneva casa di Arcore, mentre avrebbe desiderato fare una esperienza dirigenziale e comunque
attivarsi avendo una certa sfera di iniziative nel campo tecnicoprofessionale. Fu per questo, come
egli ebbe a dirmi, che quando gli fu offerto dal Rapisarda di andare a lavorare da lui con un ruolo di
dirigente egli accettò di buon grado, e non soltanto perché avrebbe percepito il doppio di ciò che
prendeva lavorando da me. Tuttavia, dopo l'andamento negativo della sua esperienza nel gruppo
societario del Rapisarda fui io stesso a dirgli di ritornare da me. Non so se subito o successivamente
venne determinato il settore in cui egli avrebbe nuovamente operato, sta di fatto che lo ritrovai più
maturo, tant'è che io gli affidai un incarico all'interno di Publitalia '80, che è la concessionaria di
pubblicità del nostro gruppo45. Mi si chiede se Dell'Utri Marcello, prima e dopo l'esperienza
lavorativa presso il gruppo Rapisarda, avesse una esperienza di amministratore nel senso di una
capacità di amministrare autonomamente un'impresa, e rispondo che né prima, né dopo l'esperienza
lavorativa presso il gruppo Rapisarda il Dell'Utri mi risulta avesse una simile esperienza e
capacità46. Non ricordo quanto effettivamente percepisse il Dell'Utri all'epoca in cui smise di
lavorare presso di me, ma mi riservo di consultare la documentazione eventualmente in mio
possesso e comunicarlo [ ... ]. Posso precisare che le entrate del Dell'Utri, a quanto mi consta
provenienti dall'attività lavorativa, erano esclusivamente quelle derivantigli dallo stipendio che gli
davo, e ribadisco comunque che dal Rapisarda avrebbe preso più del doppio di quello che prendeva
da me"47.

Diversamente dalle fuorvianti amenità berlusconiane, l'ingresso di Dell'Utri nel gruppo mafioso
Inim con funzioni dirigenziali è una vicenda oscura e densa di sospetti. Sospetti che si appuntano ad
esempio sulla questione dei terreni di Peschiera Borromeo della Facchin & Gianni acquisiti dal
gruppo Inim e finiti, nel bel mezzo della vicenda Bresciano, alla Cassa di Risparmio di Asti.
Dichiarerà Rapisarda al magistrato: "[Quando il boss Cirtà mi invitò ad assumere i fratelli Dell'Utri]
sapevo che il Berlusconi aveva chiesto di rilevare la Facchin & Gianni [ma occorrevano] 12
miliardi e non se n'era fatto niente perché il Berlusconi offriva soltanto 6/7 miliardi con un acconto
solo di 300 milioni in quanto non aveva mezzi"48; ma di tutto questo, il supposto “ex segretario
personale” di Berlusconi, Dell'Utri, nulla avrebbe saputo: "Io dei terreni di Peschiera Borromeo
della Milano Parco Est sapevo che c'erano [solo perché] mi ci portava H Rapisarda a fare
equitazione"49.

L'attenzione dei magistrati, tuttavia, si focalizza proprio sulla faccenda dei terreni di Peschiera
Borromeo: finiti alla Cassa di Risparmio di Asti a fronte dell'ingentissima esposizione della
Bresciano, Berlusconi aveva allacciato una trattativa con la Cassa per entrarne in possesso. Ma
Dell'Utri dichiara al magistrato di non esserne a conoscenza, anzi nega risolutamente qualunque
trattativa, ammettendo solo un vago “contatto” del seguente tenore: "Il Marrandino [funzionario
della Cassa di Risparmio di Asti, NdA] una volta mi chiese, nel '7879, non ricordo, di interessarmi
presso Berlusconi alla Edilnord se voleva acquistare i terreni di Peschiera Borromeo intestati alle
Milano Parco Est [ ... ], cosa che in effetti feci, ma non parlando direttamente con Berlusconi, in
quanto sapevo che non avrebbe aderito [poiché] la situazione edilizia anche di Milano 3 era in crisi;
parlai invece, della proposta della Cassa di Asti, alla Edilnord, a persona che ora non ricordo, o a
un architetto dell'ufficio progettazione della Edilnord [ ... ]. Non si trattò in realtà di trattative [ma
solo del fatto che il funzionario della Cassa di Asti] mi disse una frase di questo genere: “Veda un
po', lei che conosce Berlusconi, se è interessato all'acquisto di questi terreni che la Banca intende
vendere” [ ... ]. Si trattò solo di una richiesta di presa di contatti con Berlusconi, ma si trattava di
una proposta generica che finì lì, nel senso che io risposi, pressoché subito, che l'acquisto non
interessava l'Edilnord. Ripeto che non si fecero mai trattative in merito all'acquisto dei suddetti
terreni da parte di Berlusconi o di società del suo gruppo. Escludo che vi siano state delle trattative
con la Cassa di Asti in merito all'acquisto dei terreni di Peschiera Borromeo da parte di Berlusconi o
di società facenti parte del suo gruppo [ ... ]. Ribadisco che trattative concrete per l'acquisto dei
terreni suddetti da parte del gruppo Berlusconi non vi sono mai state, e ribadisco che non vi fu mai
interesse da parte della Edilnord o di Silvio Berlusconi o di società del suo gruppo all'acquisto di
detti terreni [ ... ]. Prendo atto che dalla documentazione acquisita agli atti risulta che la Cassa di
Risparmio di Asti faceva presente nel 1978 alla Banca d'Italia che la situazione inerente la Inim
della esposizione Bresciano era in fase di definizione [poiché] l'imprenditore Silvio Berlusconi era
pronto ad acquistare i terreni siti in Peschiera Borromeo delle Milano Parco Est a ben precise
modalità e prezzi, e rispondo che assolutamente non mi risulta questa situazione"50.

La versione resa al Tribunale di Milano da Berlusconi circa le sue trattative con la Cassa di Asti
aventi per oggetto i terreni di Peschiera Borromeo, nell'ambito della vicenda BrescianoInim, è
l'apoteosi della vaghezza, dell'elusività, dell'ambiguità: "Escludo che nel 1975, a quanto mi posso
ricordare, vi sia stato un interessamento e comunque trattativa, anzi trattative mi sento proprio di
escluderle, per l'acquisto dei terreni di Peschiera Borromeo della Facchin & Gianni, anche perché
all'epoca la Edilnord era impegnata nelle attività edilizie di Milano 2 e Milano 3. Fu soltanto
nell'agosto di circa dieci anni fa [circa 1977] che fui contattato personalmente da un funzionario
della Cassa di Risparmio di Asti, che venne ad Arcore proponendomi l'acquisto di proprietà terriere
in Peschiera Borromeo. Ricordo di essermi [poi] recato ad Asti, nella sede della Cassa di Asti,
nell'agosto di una decina di anni fa, [dopodiché] dieciquindici giorni dopo, anzi non posso
precisare dopo quale tempo, risposi definitivamente che non ero interessato all'acquisto dei terreni.
Tengo a precisare che in realtà non ci fu mai un mio interesse reale all'acquisto di quei terreni: mi
sembrava infatti che l'iter di approvazione degli strumenti urbanistici fosse ancora di lunga
durata51, così almeno mi sembra di ricordare; tuttavia ricordo che per motivi diplomatici e cioè per
evitare di deludere funzionari di istituti bancari e chi me li aveva presentati di cui non ricordo il
nome, atteggiai il mio comportamento nel senso di dare l'impressione di un mio possibile
interessamento futuro"52 ; ma i troppo labili e sfuggenti “ricordi” di Berlusconi non persuadono il
magistrato, che, spazientito, verbalizza: "L'Ufficio fa presente [al teste Berlusconi] l'importanza
processuale in ordine alla circostanza delle trattative svoltesi o meno con la Cassa di Asti per
l'acquisto dei terreni siti in Peschiera Borromeo [ ... ] e invita il teste a essere preciso sul punto,
posto che pur non emergendo allo stato degli atti un suo concreto interesse quale parte privata nel
procedimento penale [a carico di RapisardaDell'Utri], tant'è che viene sentito come testimone, la
risposta in ordine alla questione dell'esistenza o meno di trattative circa l'acquisto di terreni di
Peschiera Borromeo appare essenziale nel presente procedimento ed eventuali reticenze o
imprecisioni sul punto da parte del teste potrebbero fare scattare la necessità di indagini anche nella
direzione del gruppo societario facente capo a detto teste, posto che un'operazione di acquisizione
da parte della Cassa di Asti dei terreni è configurato allo stato degli atti come attività di bancarotta
fraudolenta e tale operazione si è svolta in corrispondenza cronologica col distacco di Marcello
Dell'Utri dalla dipendenza del gruppo societario di Berlusconi e ad operazione compiuta il rientro
dello stesso Dell'Utri alle dipendenze del gruppo Berlusconi medesimo[…]. Si invita pertanto il
teste a rispondere con la massima precisione e chiarezza" e il teste Berlusconi dichiara: "Il tempo
passato è notevole [ ... ], non essendo in grado di fornire attualmente risposte precise alle domande
rivoltemi, mi sembra corretto esperire sulle agende che riguardano quel periodo un'indagine rapida [
... ]. A memoria d'uomo, per quello che posso ricordare, la nostra società non mi sembra, al
riguardo, abbia fatto offerte precise di prezzo d'acquisto dei terreni di Peschiera Borromeo [ ... ].
Escludo che Marcello Dell'Utri si sia interessato presso di me per caldeggiare o per farmi offerte o
in ogni caso per fare da tramite per la vendita dei terreni di Peschiera Borromeo a me o al mio
gruppo [ ... ]. Durante la fuoriuscita del Dell'Utri dal mio gruppo societario, i rapporti tra me e il
Dell'Utri non furono continuativi e posso immaginare per una specie di pudore derivante dal fatto
che io lo avevo sconsigliato di intraprendere quella attività, cioè quella del Rapisarda; il Dell'Utri
non mi tenne al corrente di cose che riguardavano la sua attività lavorativa con il Rapisarda"53.

In data 18 febbraio 1987, Filippo Alberto Rapisarda inoltra una denuncia contro ignoti per minacce
che avrebbe ricevute: "Sospetto che [tali] minacce possano provenire [tra gli altri] dai fratelli Bono,
o da Virgilio Antonio ultima direzione da cui proviene la ,minaccia di cui alla mia denuncia è dal
gruppo Berlusconi per le denunce da me fatte nei confronti di Dell'Utri Marcello e Alberto"54.
Dopo il crac della Bresciano e della Venchi Unica Duemila, infatti, i Dell'Utri e Rapisarda si
palleggiano le responsabilità penali in un ambiguo gioco delle parti.

Il successivo 13 novembre, Rapisarda ha modo di fornire al magistrato la seguente deposizione sul


conto di Marcello Dell'Utri: "Al ristorante “Il Viceré” [di Milano] andavano a mangiare una
quantità di palermitani e siciliani, e tra questi vi era anche Marcello Dell'Utri, e il Dell'Utri era già
frequentatore e amico del Brucia Domenico [e aveva] stretti contatti con quel giro di siciliani, tant'è
vero che veniva spesso nei suoi uffici della Bresciano in via Chiaravalle un suo amico, che il
Dell'Utri ebbe modo di presentarmi, e che poi seppi dai giornali che era Ugo Martello. Ricordo che
quando costui si recava negli uffici di Dell'Utri, si chiudeva negli uffici stessi del Dell'Utri a
confabulare, e mi ricordo che quando il Dell'Utri mi presentò come suo amico quell'uomo che poi
seppi essere il ricercato Ugo Martello, mi disse che si trattava di un suo carissimo amico, che la sua
società era rimasta creditrice della Venchi Unica Duemila, che si trattava di una persona di tutto
rispetto, e che quindi quel debito della Venchi Unica Duemila verso la società del suo amico "o
fallimento o non fallimento, andava pagato, se non si voleva incorrere in dispiaceri". lo risposi a
Dell'Utri che non era possibile pagare un creditore a preferenza di altri, e gli dissi che se lo voleva
fare, poiché l'amministratore

ra suo fratello Alberto, dicesse a lui di pagare, io non ne volevo sapere. A proposito di quell'uomo
che anni dopo, a seguito del suo arresto, seppi dai giornali essere Ugo Martello, ricordo che dopo la
presentazione fattami dal Dell'Utri, lo vidi frequentare assiduamente gli uffici di Dell'Utri [quando
era] amministratore della Bresciano [ ... ]. Tra i frequentatori abituali del ristorante "Il Viceré" di
Brucia Domenico, vi era una persona da me conosciuta da oltre venticinque anni, di nome Bosco
Emanuele, e costui spesso lo avevo visto insieme a pranzo insieme con Ugo Martello, Mingiardi
Salvatore detto Turi, con Bono Alfredo e con tutta la malavita siciliana che frequentava il ristorante
di Brucia Domenico. Nel ristorante del Brucia ci andavano spesso Marcello Dell'Utri e Ugo
Martello, che erano intimi amici tra loro e amici del Brucia. Il Dell'Utri si vantava anche di essere
amico di Marchese Filippo di Palermo, e offrì a Caristi di dare la copertura dei Marchese per le
filiali di Palermo e di Catania della Inim, nel senso di avere una protezione da parte di quei
personaggi. Seppi poi, quando ero all'estero, che in appartamenti del palazzo di piazza Concordia 1,
in Milano, all'epoca in cui a Milano era rimasto Dell'Utri Marcello a gestire quello che era rimasto
del gruppo Inim, erano andati ad abitare Bono Alfredo, Emanuele Bosco e Mongiovi Angelo, e un
ragioniere della famiglia mafiosa di Raffadali"55.
"Quando Dell'Utri Marcello lavorava negli uffici di via Chiaravalle", dirà ancora Rapisarda,
"venivano frequentemente e abitualmente a trovarlo Ugo Martello, Stefano Bontate, Teresi
Domenico e Cinà Gaetano che, praticamente, era di casa nell'ufficio di Marcello Dell'Utri [ ... ].
Negli ultimi mesi del 1978 incontrai in piazza Castello Mimmo Teresi e Stefano Bontate che mi
invitarono a prendere un caffè insieme a loro, e il Teresi nella circostanza mi disse che stava per
diventare socio di Berlusconi Silvio in una società televisiva privata dicendomi che ci volevano 10
miliardi e mi chiese un parere, tra il serio e lo scherzoso, se era un buon affare. Ritengo che Caristi
Angelo sappia qualcosa in merito alla società tra il Berlusconi Silvio e Mimmo Teresi. Mi risulta
che il Teresi e lo Stefano Bontate operassero insieme nelle imprese immobiliari e negli affari in
genere. Successivamente ricordo che Caristi Angelo, responsabile amministrativo della Inim,
reparto filiali, mi disse che Dell'Utri Marcello gli aveva offerto la protezione di Filippo Marchese al
fine di fargli acquisire immobili sulla piazza di Palermo. lo dissi al Caristi di tenersi però lontano da
quella gente trattandosi di mafiosi molto pericolosi"56. Rapisarda, ai tempi, era proprietario
dell'emittente Milano Telenord, e intratteneva stretti rapporti col boss Vittorio Mangano, a sua volta
interessato all'emittenza televisiva. Rapisarda aveva costituito la Milano Telenord srl il 14 gennaio
1977, e secondo alcune voci avrebbe a lungo cercato di associare Berlusconi al suo progetto
televisivo.

Un rapporto del Nucleo operativo dei Carabinieri di Pistoia datato 25 aprile 1983 accertava che
"Francesco Paolo Alamia faceva parte, con compiti dirigenziali e organizzativi, di un illecito
sodalizio che traeva profitto da attività edilizie ed immobiliari ove confluivano ingenti somme di
dubbia provenienza [ ... ]. Da qui il sospetto che le stesse attività imprenditoriali servissero da
copertura per riciclare il denaro sporco investendolo in attività lecite".

In un'ordinanza di rinvio a giudizio del gennaio 1989, il sostituto procuratore del Tribunale di
Palermo Alberto Di Pisa scriverà: "[Dalle indagini] si rilevava che il direttore generale Rapisarda e
la Inim erano stati in contatto, apparentemente per questioni attinenti alla dichiarata attività
commerciale della Inim, con le famiglie di alcune vittime di sequestri di persona [ ... ]. Le indagini
[condotte dal Nucleo dei Carabinieri di Torino] inducono fondatamente a ritenere che la Inim altro
non fosse che il paravento per riciclare denaro proveniente da attività illecite".

Tra i 101 esponenti della criminalità organizzata "imperante in Milano e Lombardia" elencati dal
rapporto Criminalpol del 13 aprile 1981, vi era anche il nome di Francesco Turatello, la cui madre
veniva indicata residente in un appartamento di Milano 2 sotto il falso nome di “Giovenco
Luigia”57.

Nel marzo 1985, lo screditato camorrista “pentito” Gianni Melkuso rivolgerà accuse a un
"potentissimo personaggio di Milano... E uno che ha costruito mezza Milano, che nel 197778 era
stramiliardario e legatissimo a Turatello. Era lui a prendere i soldi dei sequestri di Turatello. Per
esempio, Turatello gli dava un miliardo sporco e lui gli passava trecento milioni puliti. E il miliardo
finiva al sicuro nelle banche. Tra l'altro, Turatello ebbe in regalo un appartamento grandissimo... Il
guaio è che è un personaggio intoccabile, amico di potenti politici italiani. Un magistrato mi ha
detto: “Gianni, qui passiamo brutti guai”. E sono sicuro che, quando farò il suo nome, lui mi
attaccherà, perché ha le possibilità di farlo a livello nazionale. Ma quando le cose si mettono male,
conviene dire tutto. D'altra parte, Epaminonda il suo nome l'ha già fatto. E lui deve avere paura più
di Epaminonda che di me, perché Epaminonda è rimasto in libertà fino a poco tempo fa e sa tante
cose che io non so. Sia chiaro che il mio non è un ricatto, io non ho bisogno dei suoi soldi"58.

Uomini d'onore e di rispetto


Il fallimento della Venchi Unica Duemila spa amministrata da Alberto Dell'Utri (dichiarato dal
Tribunale di Torino nel luglio 1978) determina il crollo a catena del gruppo InimSofin, crollo che
culmina col fallimento (gennaio 1980) della Bresciano spa amministrata da Marcello Dell'Utri.
Emerge così una selva di irregolarità, malversazioni e ammanchi che porta ad arresti per bancarotta
fraudolenta (tra gli altri, di Alberto Dell'Utri), mandati di cattura (Rapisarda), e imputazioni per
reati di criminalità finanziaria (tra gli altri, a carico di Marcello Dell'Utri)59.

Risulteranno così evidenti la natura malavitosa del gruppo Inim, la sua connotazione di propaggine
“imprenditoriale” della malavita organizzata, e la sua funzione di struttura dedita al riciclaggio di
capitali sporchi. E risulterà vieppiù evidente come l'acquisizione da parte del gruppo
finanziarioimmobiliare siculomilanese delle società Bresciano e Venchi Unica avesse avuto quale
reale obiettivo l'accesso a ingenti crediti bancari, e come i terreni di Peschiera Borromeo rilevati dal
fallimento Facchin & Gianni avessero avuto grande parte nella losca vicenda. Ma non verrà mai
appurato quale esatto ruolo vi abbiano avuto i "berlusconiani" Marcello e Alberto Dell'Utri, subito
posti al vertice delle due società fallite, né quale disegno fosse sotteso alla loro repentina presenza
nel mafioso gruppo finanziarioimmobiliare dei cianciminiani.

Vero è che l'ingresso dei “berlusconiani” Dell'Utri nel gruppo-cianciminiano è contestuale


all'ingresso di Berlusconi nella Loggia massonica P2, e alle due operazioni seguirà il superamento
della crisi finanziaria delle attività berlusconiane e il tumultuoso sviluppo del gruppo Fininvest (con
il varo delle "operazioni televisive") grazie alla disponibilità di nuovi e ingentissimi capitali. Del
resto, il Venerabile piduista Licio Gelli, oltre a controllare numerose banche e a manovrare cospicui
capitali esteri, avrebbe intrattenuto rapporti finanziari anche con Cosa Nostra: "Marino Mannoia ha
riferito di avere appreso da Stefano Bontate e da altri uomini d'onore della sua famiglia che Calò
Giuseppe, Riina Salvatore, Madonia Francesco e altri dello stesso gruppo (“corleonese”) si
avvalevano di Licio Gelli per i loro investimenti a Roma. Gelli era il “banchiere” di questo gruppo
come Sindona lo era stato per quello di Bontate Francesco e di Inzerillo Salvatore"60.

Tra il settembre 1979 e il febbraio 1980, il latitante Filippo Alberto Rapisarda, rifugiatosi dapprima
in Svizzera e quindi in Venezuela per sfuggire al mandato di cattura, divulga un sibillino
“memoriale” (attraverso una strana agenzia giornalistica, “AnipeAgenzia nazionale informazioni
politiche economiche”)61, nel quale il pluripregiudicato finanziere indiziato di associazione a
delinquere di stampo mafioso si difende dalle imputazioni e lancia avvertimenti.

Il gruppo Inim, scrive Rapisarda, "avrebbe potuto dare lavoro a migliaia di impiegati e operai, ma
gli appetiti e l'invidia di alcuni gruppi finanziari e politici hanno fatto si che succedesse tutto questo,
forse perché non mi sono piegato fino in fondo alle molteplici pressioni ricevute, vedasi il caso
delle licenze edilizie la cui mancata concessione non mi ha permesso di realizzare niente"; il
finanziere latitante dichiara di essere in pericolo di vita e costretto a tacere molte cose, ma precisa di
avere "messo per iscritto" retroscena, colpe e responsabilità di "tutto quanto è successo in questi
anni", e di avere affidato il tutto "nelle mani di un notaio che ha l'ordine di [rendere pubblico lo
scritto] qualora fisicamente mi succedesse qualcosa... Chi deve avere da me quella grossa cifra, se
eliminerà me, eliminerà domani anche voi". Nel merito della vicenda Venchi Unica, Rapisarda
afferma che il gruppo Inirn avrebbe rilevato l'azienda dolciaria torinese su pressione del clan
politico AndreottiScotti, e che il successivo, repentino fallimento sarebbe stato propiziato dal clan
torinese del ministro Carlo Donat Cattin in guerra con Andreotti nell'ambito delle faide interne alla
Dc.

L'agenzia “Anipe” che riporta il “memoriale” di Rapisarda dalla latitanza risulta diretta da tale Tito
Livio Ricci, vero cognome D'Arcangelo, fratello di Michele D'Arcangelo: i due hanno lavorato alle
dipendenze del Rapisarda curando le pubbliche relazioni del gruppo Inim. Secondo Michele
D'Arcangelo, nel 1983 Marcello Dell'Utri lo invitò in una villa in Brianza per metterlo in contatto
con personaggi che avrebbero potuto affidargli le pubbliche relazioni per il Casinò di Campione; ma
a tarda sera, la polizia fece irruzione nella villa e portò tutti al commissariato (l'operazione di polizia
era legata all'inchiesta sulla “mafia dei colletti bianchi”): D'Arcangelo e Dell'Utri vennero
interrogati, e l'indomani tornarono in libertà.

Durante il periodo di latitanza trascorso in Venezuela, a Caracas, Rapisarda incontra molti “uomini
d'onore”: anzitutto Giuseppe Bono, fratello di Alfredo62, quindi il boss Paolo Cuntrera (esponente
dell'omonima famiglia ritenuta uno dei crocevia del traffico internazionale di stupefacenti), e i boss
Romano Conte e Antonio Virgilio (anch'essi, come i fratelli Bono, indicati nel citato rapporto
Criminalpol del 1981 tra i principali esponenti delle cosche della "mafia finanziaria" radicata a
Milano). Da Caracas, il giro mafioso si attiva tra l'altro per tentare di salvare il salvabile dell'ex
gruppo Inim, con particolare interesse per la parte dei terreni di Peschiera Borromeo ex Facchin &
Gianni intestati alla Milano Santa Maria al Bosco spa (altra società del gruppo); ma i maneggi
intorno alle spoglie dell'ex impero finanziarioimmobiliare, con andirivieni di commercialisti e boss
da Milano a Caracas, non sortiscono alcun esito: tutto è ormai nelle mani dei Tribunali di Torino e
Milano.

Dalla latitanza, Rapisarda dichiara all'“Espresso”: "Quello della Inim era un progetto ambizioso
fallito soprattutto per colpa di feroci contrasti tra fazioni politiche. Ciancimino non era il cervello
dell'Inim, era qualcosa di più... Di cervelli non ce n'era uno solo, ma più d'uno: erano a Palermo, a
Roma, a Milano, e anche all'estero. Nomi grossi, gente importante... Il gruppo doveva essere
costituito da molte aziende, l'obiettivo era di dare vita a un gruppo molto forte in alternativa ad altri
gruppi del Sud e del Nord... Chi erano i finanziatori dell'Inim. [non lo posso dire]: io tengo alla mia
vita, quelli là mi troverebbero anche in capo al mondo".

Un nuovo rapporto redatto dalla Criminalpol in data 28 marzo 1985, intitolato “Indagini su
esponenti del crimine organizzato facenti capo al gruppo mafioso CuntreraCaruana ed a Rapisarda
Filippo Alberto” scriverà: "In relazione ad una serie di reati fallimentari [riguardanti la Venchi
Unica Duemila e la Bresciano spa, NdA] venne colpito da ordine di cattura, assieme al Rapisarda,
anche il suo autista Dell'Utri Alberto. Costui è il fratello gemello di Dell'Utri Marcello, collegato al
boss mafioso Mangano Vittorio e uomo di fiducia di Berlusconi Silvio e di Rapisarda Alberto";
attribuendo al Rapisarda un ruolo dirigenziale e di primo piano nell'ambito della criminalità
organizzata nazionale e internazionale e un ruolo cardine nella mafia “imprenditoriale” il nuovo
rapporto Criminalpol imputerà al pluripregiudicato faccendiere siciliano di avere fornito falsi
passaporti ad alcuni responsabili di sequestri di persona a scopo estorsivo, favorendone l'espatrio in
Venezuela dove essi avevano riciclato parte delle somme dei riscatti nell'acquisto di immobili.

Il crac del gruppo Inim. è di ingenti dimensioni. La sola Bresciano risulta debitrice verso la Cassa di
Risparmio di Asti per un'esposizione di 33 miliardi, e nei suoi conti vi è un ulteriore passivo di circa
10 miliardi.

Nell'aggrovigliata contabilità della Venchi Unica Duemila, viene accertato un ammanco di L.


807.050.837. Tra l'altro, assegni di clienti della Venchi Unica Duemila (amministrata da Alberto
Dell'Utri) risultano finiti su un conto personale di Alberto Dell'Utri63, mentre un assegno della
Venchi Unica Duemila risulta incassato da Marcello Dell'Utri. Un assegno di L. 10 milioni, tratto
da uno dei conti bancari della Bresciano, datato 10 luglio 1978, risulta incassato dal boss mafioso
Gaetano Cinà.

Quando il Tribunale revoca il mandato di cattura a carico di Rapisarda, il finanziere torna in Italia e
inoltra al Tribunale di Milano una raffica di esposti e denunce (in particolare contro la Cassa di
Risparmio di Asti), una delle quali a carico dei fratelli Dell'Utri. "[Nella denuncia di Rapisarda, tra
l'altro] è descritto un movimento di denaro di L. 29 milioni tra la Venchi Unica Duemila
(amministrata da Alberto Dell'Utri) e la Bresciano (amministrata da Marcello Dell'Utri) attraverso
cui vennero distratti L. 8 milioni personalmente dall'Alberto Dell'Utri. Dai documenti indicati e
allegati [alla denuncia] emerge in modo evidente che Marcello Dell'Utri si prestò e cooperò
all'occultamento ed alla distrazione della somma, facendo risultare entrati alla Bresciano solamente
21 milioni, avendone però ricevuti 29 [ ... ]"64. I termini della contesa sono evidenti: i due Dell'Utri
affermano che la loro carica societaria di amministratori delle due società fallite era una canca
puramente formale, e che essi erano in sostanza dei prestanomeparavento del Rapisarda65; il
Rapisarda sostiene l'esatto contrario lamentando di essere stato perfino "licenziato" dai due
Dell'Utri, e arriva a denunciare di essere fatto oggetto di anonime "minacce" dietro le quali sospetta
esservi "il gruppo Berlusconi per le denunce da me fatte nei confronti di Dell'Utri Marcello e
Alberto"66. A sua volta, Marcello Dell'Utri denuncia Rapisarda per truffa.

Il conflitto RapisardaDell'Utri nelle aule di Giustizia si protrae non troppo cruento parallelo al
lentissimo e complicatissimo iter dei vari fascicoli giudiziari. "I due fratelli gemelli Alberto e
Marcello Dell'Utri, amministratore delegato il primo della Venchi Unica Duemila spa ed il secondo
della Bresciano spa, agivano in modo del tutto autonomo e indipendente dal Rapisarda: per essere
esatti bisogna dire che erano del tutto incontrollabili e si erano apertamente ribellati, insieme ad
Alamia e Caristi. Il Rapisarda non aveva più, nel 1978, alcun potere di interferire nel loro operato,
tanto che proprio in quel periodo costoro provvidero addirittura ad estromettere [il Rapisarda] dal
gruppo Inim, giungendo persino a "licenziarlo" quale direttore generale, revocandogli tutte le
procure nelle varie società. Essi posero in atto una serie di comportamenti lesivi per le società e
lesivi per il Rapisarda, dei quali, forse, ebbero successivamente a pentirsi [ ... ]"67.

In effetti, il gioco delle parti sembra avere registrato come sostiene Rapisarda un qualche successivo
"pentimento" dei suoi ex soci fratelli Dell'Utri, ristabilendo tra gli antagonisti un saldo rapporto di
rispetto. Il 14 ottobre 1989, infatti, la moglie di Marcello Dell'Utri, Miranda Ratti. ha tenuto a
battesimo Cristina Elisabetta Rapisarda, figlia di Filippo Alberto. Uno dei club milanesi di “Forza
Italia” (il partitosetta creato dai gemelli Dell'Utri) avrà sede nel covo dell'ex gruppo Inim e ex
abitazione dei Dell'Utri, in via Chiaravalle 7/9. Secondo "Il Mondo", invia Chiaravalle 7/9, nel 1993
Rapisarda e i Dell'Utri discutono "dell'opportunità di creare un network televisivo in Argentina"68;
inoltre, il "delinquente abituale" Rapisarda, forte di un certificato penale ormai lungo 12 pagine, nel
199394 è un assiduo frequentatore della "casa romana di Alberto Dell'Utri, in via Guido d'Arezzo,
ai Parioli. Il gemello di Marcello [ ... ] usa presentare ai suoi ospiti il Rapisarda come finanziere e
imprenditore attivo nel campo del trasporto aereo [ ... ]. Il salotto romano di Alberto Dell'Utri,
responsabile di “Forza Italia” per la Capitale, svolge una funzione importante nei rapporti
diplomatici del gruppo Fininvest"69.

Da parte sua, Silvio Berlusconi, tra il 1989 e il 1991, ha spostato dalle sue tasche a quelle di
Marcello Dell'Utri la somma di L. 3 miliardi e 441 milioni, sottoforma di magnanime “donazioni”
(in quanto tali sottratte alla tassazione Irpef). E nel settembre 1991, intervistato sul tema “La mafia
a Milano”70 Berlusconi dichiara: "Io il fiato della mafia non lo avverto"; benché la criminalità
organizzata radicata in Lombardia abbia ormai fatto di Milano la vera capitale "imprenditoriale" di
Cosa Nostra71, Berlusconi dichiara: "[Non sono] in grado di sapere se H negoziante [milanese] è
attanagliato dalla mafia [ ... ]. Non credo che il vero problema [di Milano] sia la pressione mafiosa".

Nel marzo 1994, le cronache registrano nuovi sviluppi nell'intrico giudiziario seguito al crac della
Bresciano spa amministrata da Marcello Dell'Utri: "Dopo quasi due anni di udienze, si è concluso
con un'assoluzione generale il processo che ha visto di fronte il finanziere Filippo Alberto
Rapisarda e la Cassa di Risparmio di Asti. Ieri 46 amministratori e dirigenti della banca, avvocati,
commercialisti, imprenditori e funzionari della Banca d'Italia sono stati assolti da reati come falso in
bilancio, estorsione e bancarotta perché i fatti ad essi attribuiti non sussistono. Il Tribunale di
Milano ha anche disposto la restituzione dei beni sequestrati nell'ambito della causa: un milione e
300 mila metri quadrati di terreni nel comune di Peschiera Borromeo, in provincia di Milano, e 30
miliardi in contanti bloccati all'istituto di credito piemontese. La conseguenza dell'assoluzione dei
dirigenti della banca piemontese e dei loro consulenti è la richiesta di rinvio a giudizio nei confronti
di Rapisarda e del suo collaboratore più stretto: Marcello Dell'Utri, attualmente al vertice del
gruppo Fininvest e in passato amministratore delegato della società di costruzioni Bresciano spa
prima del fallimento, avvenuto nel gennaio 1980. 1 due sono accusati di un crac per circa una
decina di miliardi dell'epoca. Il collegio della Prima sezione penale del Tribunale di Milano ha
disposto di procedere nei confronti di Rapisarda e Dell'Utri. Lo stesso Pm, al termine della
requisitoria, aveva chiesto l'assoluzione generale del vertice della Cassa di Asti [ ... ]. Tra gli attori
del processo vi è Diego Curtò: nel luglio 1992 Curtò concesse il sequestro di beni della banca
richiesto da Rapisarda"72. Si apprende inoltre che Rapisarda e sua moglie sono indagati dalla
Procura di Brescia per corruzione dei giudici Della Lucia e Curtò.

Intanto Marcello Dell'Utri dichiara: "Rapisarda lo conosco bene. Molti dicevano che fosse un
mafioso, ma io non l'ho mai creduto. Le voci nascevano dal fatto che il suo socio Francesco Alamia
era consigliere comunale della corrente di Ciancimino. Ma io sono certo che lui non ha frequentato
Ciancimino, e neppure l'ha mai visto ... "; quanto alle accuse rivoltegli dal Rapisarda di essere stato
un assiduo frequentatore di boss mafiosi, Dell'Utri dichiara: "Tutte falsità totali... Rapisarda mi ha
confessato di essersi inventato tutto"73.

L'8 aprile 1994, H nome di Marcello Dell'Utri risulta iscritto nel registro degli indagati della
Procura milanese, insieme a quello di Rapisarda e Francesco Paolo Alamia. "Concorso in bancarotta
fraudolenta aggravata, l'ipotesi di reato contro Dell'Utri e gli altri. La vicenda su cui sta indagando il
magistrato Francesco Prete prende il via dal fallimento della Bresciano sas di Mondovi e fa
riferimento alla sentenza con cui il Tribunale, il 17 marzo scorso, ha assolto i vertici della Cassa di
Risparmio di Asti, in un primo tempo indicati come i responsabili del crac. Il vorticoso giro di
miliardi della società inizia nel 1976. La Bresciano sas non riesce a rientrare nel debito di oltre 10
miliardi accumulato nei confronti della Cassa di Risparmio di Asti. Il fallimento è alle porte, ma il
finanziere Rapisarda si offre di salvare la situazione. In cambio, però, vuole nuove aperture di
credito dalla banca. Esautorati i Bresciano, al vertice della società c'è adesso Marcello Dell'Utri. Ma
la situazione, 3 anni dopo, peggiora. Il buco iniziale di 10 miliardi non solo non è ripianato, ma i
debiti, nel'79, ammontano a ben 33 miliardi. Rapisarda fugge all'estero. Latitante in Venezuela,
ospite della famiglia Cuntrera, indicata ai vertici del traffico internazionale di droga, Rapisarda
comincia a preparare il terreno per rientrare in Europa. Quando lo fa ha un solo obiettivo: dare
l'assalto alla Cassa di Risparmio di Asti. Ma dopo la sentenza del 17 marzo la “patata bollente”
torna nelle mani dei manager della Bresciano sas. Prima di tutto Filippo Rapisarda, indicato come
amministratore di fatto, poi Marcello Dell'Utri, amministratore effettivo dell'azienda"74.

Anche la sede del club “Forza Italia” situata nel famigerato palazzo di via Chiaravalle 7/9, a
Milano, trova spazio nelle cronache giornalistiche del marzo 1994: "Quindici giorni fa Rapisarda ha
messo a disposizione di Forza Italia i locali dove proprio Dell'Utri tiene vibranti prolusioni [è in
corso la campagna elettorale, NdA]", scrive La Repubblica”. "Ma i locali di Rapisarda non
appartengono affatto a Rapisarda. Secondo una sentenza della Cassazione di tre anni fa, lo ~tabiIe
di via Chiaravalle deve essere restituito al curatore del fallimento [di una delle società del crac del
gruppo Inim] dal cui patrimonio venne fatto sparire poco prima dei fallimento. Nonostante la
Cassazione, H curatore non èancora riuscito a farsi ridare lo stabile. La sede di via Chiaravalle,
insomma, è stata offerta a Forza Italia da un signore [Rapisarda] che non risulta avere alcun titolo su
di essa"75; e ai cronisti che gliene chiedono conto, Marcello Dell'Utri risponde: "La sede? Che
cazzo ne so! Chiedetelo a Rapisarda".

Mani sporche contro Mani pulite

Tra la fine del 1993 e i primi mesi del 1994, Marcello Dell'Utri esce suo malgrado dal discreto cono
d'ombra rappresentato dalla carica di amministratore delegato di Publitalia (la "cassaforte" della
Fininvest), e la sua figura e il suo ruolo cominciano a rivelare più precisi contorni. Del resto, la
contingenza lo richiede: il crollo del craxismo e del regime DcPsi priva la Fininvest
dell'indispensabile “copertura” politica, protezione ancor più indispensabile in rapporto alla grave
situazione finanziaria del gruppo berlusconiano oppresso da qualche migliaio di miliardi di debiti.

Attivando in forma semiclandestina la capillare struttura di Publitalia (nel cui ambito il gemello
Alberto è direttore della nevralgica sede romana), Marcello Dell'Utri organizza nel volgere di poche
settimane lo pseudopartito “Forza Italia” (cioè lo strumento attraverso il quale, anche grazie ai suoi
networks televisivi, la Fininvest arriverà a conquistare il potere politico nazionale). L'obiettivo
dell'avventura politica è palese e articolato: salvare dal crac il gruppo Fininvest, salvaguardandone
così anche gli innumerevoli segreti finanziarioazionari e gli occulti interessi che vi sono sottesi;
occupare direttamente il vuoto di potere lasciato dal crollo del regime DcPsi (all'ombra del quale e
solo grazie al quale il gruppo Fininvest ha potuto costituirsi e prosperare); stroncare l'inchiesta della
Procura della Repubblica di Milano (“Mani pulite") che ha determinato il crollo del regime
CraxiAndreottiForlani e che ormai rischia di smascherare molte delle corruttive pratiche dello
stesso gruppo Fininvest e i suoi intrichi societari e finanziari nazionali e internazionali76.

Di tutta l'operazione “politica”, che porterà alla formazione del governoFininvest, Berlusconi è il
primattore, ma il regista è Marcello Dell'Utri. Non a caso, Dell'Utri presenzierà (senza averne alcun
titolo ufficiale) perfino alle trattative del presidente incaricato Berlusconi per la formazione del
governo: ad esempio, sarà presente al vertice romano del 4 maggio 1994 (presente anche il gemello
Alberto), e a una riunione dedicata alla lista dei ministri tenutasi ad Arcore il successivo 8
maggio77. Non a caso, secondo attendibili indiscrezioni, Dell'Utri è il primo candidato ministro
degli Interni nel governo Berlusconi.

Intanto, all'interno del gruppo Fininvest, Marcello Dell'Utri ufficialmente semplice manager di una
società controllata può liberamente e pubblicamente attaccare l'amministratore delegato della
holding Fininvest Franco Tatò (imposto dalle banche ai vertici del gruppo nell'estate 1993 col
compito di risanarne la grave situazione finanziaria): "Tatò non ha ancora compreso in pieno lo
sviluppo del gruppo" polemizza Dell'Utri, e aggiunge sprezzante: "Qui per la gestione non basta la
filosofia numeraria [ ... ]. Serve un'anima più larga rispetto a quella di chi [Franco Tatò, NdA] si
fissa sui conti. Serve più umanità, più capacità di vedere le cose in grande ... ", e conclude sibillino:
"Credo che Tatò sappia prontamente assorbire le nostre osservazioni ... "78. Dunque, “il manager"
dice che l'amministratore delegato non ha capito niente, e si augura che sappia prontamente capire...
Può farlo, poiché Dell'Utri non parla da subalterno: la sua, è la voce del padrone.

***

Nel marzo 1994, l'inchiesta giudiziaria “Mani pulite” si imbatte in un torrente di “fondi neri”
Fininvest, ottenuti mediante fatturazioni fasulle, artifici contabili e strane società. Al centro di tutto,
Publitalia'80 e il suo vate Marcello Dell'Utri, e cinque pittoreschi personaggi (tra essi, il
pornoregista romano Lorenzo Onorati, l'ex maestro di tennis di Berlusconi Romano Luzi, e l'ex
dirigente di Publitalia Valerio Ghirardelli). Una tempestiva 'Tuga di notizie", attraverso il
telegiornale Fininvest “Tg5”, vanifica di fatto le richieste che i magistrati hanno inoltrato al Gip per
l'arresto di Dell'Utri e dei cinque coinvolti nella vicenda.

Nel rapporto della Guardia di Finanza che ha attivato i magistrati è scritto tra l'altro: "Gli elementi
acquisiti inducono a ritenere fittizie le prestazioni di cui alle fatture n. 74 e n. 88 emesse dalla
società Panam srl [di Lorenzo Onorati] nei confronti di Publitalia '80 spa... E' evidente come la
società Panam è stata utilizzata nell'operazione come soggetto di comodo al quale intestare le
fatture. Le indagini svolte nei confronti di tale società hanno messo in luce come la stessa manchi di
concreta organizzazione produttiva, risulti priva di personale dipendente o di collaboratori. Non ha
alcuna sede effettiva, ha radicalmente disatteso gli obblighi fiscali, è stata utilizzata per la
produzione di filmati pornografici e per l'emissione di fatture fittizie nel settore pubblicitario". Nel
giro di pochi giorni, gli inquirenti hanno individuato 'Tondi neri" Fininvest per circa 20 miliardi.

La magistratura milanese indaga sulla "contabilità segreta della Valcat, una piccola società di cui
Valerio Ghirardelli [ex manager di Publitalia, e attuale direttore generale di Telepiù] è titolare. Un
gruppo di esperti è al lavoro per rendere leggibili le memorie dei computer e i dischetti sequestrati
nella sede della Valcat. Una parte del materiale, superprotetto elettronicamente, è stata inviata per la
traduzione negli Stati Uniti, al produttore del computer. Ma già da quello che è stato esaminato dai
tecnici italiani appare chiaro che la Valcat funzionava da “cartiera” per conto della Fininvest.
Produceva cioè “carte”, fatture, per giustificare movimenti di denaro altrimenti non spiegabili e far
quadrare bilanci zoppicanti. Ghirardelli è accusato di falso in bilancio e frode fiscale, in compagnia
di altri gestori di “cartiere” (come Romano Luzi, l'ex maestro di tennis di Silvio Berlusconi, poi
diventato titolare della Conaia srl) e dell'amministratore delegato di Publitalia, Marcello Dell'Utri.
Ora gli esperti incaricati dalla Procura di Milano hanno estratto dai computer della Valcat una
contabilità a dir poco confusa: fatture emesse per cifre diverse da quelle indicate ufficialmente,
oppure intestate a società diverse del gruppo Fininvest (per esempio Rti invece che Publitalia).
Esistono anche fatture doppie (ossia due documenti diversi registrati con lo stesso numero).
Secondo quanto i giudici stanno accertando, la contabilità miliardaria della Valcat e delle altre
“cartiere” Fininvest serviva, fra l'altro, a occultare pagamenti fuori bilancio a Dell'Utri e ad altri
dirigenti di Publitalia, oppure nascondeva regalie, sempre in nero, ai manager di aziende (per
esempio Swatch, Seat, De Cecco) che decidevano grossi investimenti pubblicitari sulle reti
Fininvest"79.

Mentre il candidatopremier Berlusconi attacca con violenza i magistrati di “Mani pulite”80 che
hanno osato avvicinarsi al “nervo scoperto” Dell'Utri, l'amministratore delegato di Publitalia si reca
“spontaneamente” a Palazzo di giustizia, e alle prime contestazioni dichiara: "Non ricordo... Mi
riservo di rispondere dopo essermi documentato ... ". Ma negli atti giudiziari risulterà scritto tra
l'altro: "Generiche e apodittiche negazioni dei fatti [da parte di Dell'Utri] ... Amnesie che trovano
giustificazione solo in un'ottica difensiva ... [Dell'Utri e soci hanno] fraudolentemente esposto nei
bilanci e nelle altre comunicazioni sociali fatti non rispondenti al vero, simulando l'esistenza di
rapporti economici in effetti inesistenti, nonché utilizzando molteplici artifici contabili, al fine di
distrarre rilevanti risorse societarie, con ciò occultando le effettive condizioni economiche delle
rispettive società... Il sistema utilizzato da Publitalia si basa sulla simulazione di costi, attraverso
l'annotazione di fatture per operazioni inesistenti, finalizzata a giustificare uscite finanziarie al fine
di appropriarsene indebitamente".

L'inchiesta dei magistrati porta a galla intrecci rivelatori, come ad esempio quelli che intercorrono
fra Dell'Utri e l'ex “maestro di tennis” berlusconiano Romano Luzi: "A Marcello Dell'Utri, la
Conaia di Luzi ha riservato favori vari, definiti dagli inquirenti “elargizioni”: ha pagato alla
famiglia del ricco e potente manager Fininvest le vacanze natalizie '92 e '93 a Madonna di
Campiglio e gli ha concesso l'uso del motoscafo Biba. Eppure, anche se il natante è di proprietà
della Conaia, è successo che sia stato lo stesso Dell'Utri a liquidare le spese di rimessaggio. Perché?
Risponde Luzi: “Perché io gli ho prestato la barca... Penso che l'intestazione degli estratti conto
relativi al rimessaggio dipenda da un errore del cantiere. La fattura l'ho pagata infatti io”. Luzi ha
anche prestato soldi a Dell'Utri (“Siamo amici da vent'anni”): 60 milioni con un assegno del 16
febbraio '93. Con quale giustificazione? Ecco la sua versione: “Dell'Utri mi ha chiesto un prestito.
Non so se aveva qualcosa in scadenza, un mutuo quasi sicuramente. Mi ha chiesto del denaro per
farvi fronte e io gliel'ho dato. Dell'Utri non mi ha ancora restituito il denaro. Non c'era alcuna data
di scadenza”. E Dell'Utri, interrogato il 9 marzo, ha detto: “È stato un prestito che ho chiesto a Luzi
per pagare un mutuo o parte di esso. t un mutuo per la casa di Milano 2”. Spiegazione poco
convincente. Ma tant'è. Forse che la casa madre, la Fininvest, non è stata a sua volta generosa con la
Conaia di Luzi? Puntuale quindi la domanda dei magistrati a Dell'Utri: “Il Luzi ha un'esposizione
superiore al miliardo presso il Monte dei Paschi di Siena, garantita da una fideiussione Fininvest.
Conosceva questa circostanza?”. Risposta di Dell'Utri: “Sapevo che Luzi aveva chiesto un prestito
alla cassa centrale, alla Fininvest, ma non ne conoscevo l'entità... Non mi sembra una cosa strana.
Essendo il Luzi un intermediario che aveva un flusso continuo, il gruppo ha ritenuto di concedere la
fideiussione”"81.

Il 2 maggio 1994, il Tribunale della Libertà conferma le richieste di arresto avanzate dai magistrati
di “Mani pulite” a carico di Dell'Utri e soci. Nella loro ordinanza, i giudici scrivono: "Si evidenzia
il ruolo decisamente primario, rispetto agli altri indagati, del Dell'Utri. È certamente all'interno di
Publitalia che nasce la necessità di servirsi delle due società affiliate (la Conaia e la Panam) per
movimentazioni economiche non compatibili con regolari prestazioni"; i giudici scrivono anche di
"evidente capacità [della Fininvest] nel controllare le attività investigative e ispettive": il riferimento
è al rapporto dei finanzieri del Secit che ha originato l'inchiesta, copia del quale è stata sequestrata
al responsabile fiscale della Fininvest Salvatore Sciascia che ne è risultato misteriosamente in
possesso. "E da quel documento si arriva ad un'altra vicenda su cui sta indagando la Procura. Di
cosa si tratta? Ludovico Verzellesi (allora direttore generale delle imposte indirette) venne
contattato da Salvatore Sciascia per far ottenere alla Fininvest una aliquota più bassa per gli
abbonamenti per le paytv, cosa che poi avvenne, in cambio di un avanzamento di carriera. Svela il
Tribunale della Libertà: “Lo Sciascia si interessò dell'incarico desiderato da Verzellesi, inviando
anche una lettera al dottor Silvio Berlusconi in data 24 gennaio '92. Proposto come consigliere della
Corte dei conti [dall'allora ministro delle Finanze craxiano Rino Formica, NdA], Verzellesi non
ottenne l'incarico per la caduta del governo Andreotti, a cui subentrò Giuliano Amato”. E intanto si
indaga sulle fatture false. Al centro della vicenda ci sono le società Panam International, Conaia e
Valcat che “emettevano fatture per operazioni in tutto o in parte inesistenti a carico di Publitalia
'80”. A cosa servivano questi fondi neri? Scrivono i giudici: “Al pagamento di compensi occulti e
all'acquisto di beni di lusso non pertinenti all'oggetto sociale dell'impresa”. Tra i “beni di lusso”
individuati dalla procura ci sono una serie di auto sportive (Porsche e Aston Martiri), oggetti
d'antiquariato e preziosi, barche. E pure tre fatture per un ammontare di oltre 34 milioni per “spese
di abbigliamento per acquisti effettuati dal dottor Silvio Berlusconi e dalla signora Berlusconi”"82.

Mentre il presidente del Consiglio incaricato soccorre nuovamente il suo sodale Dell'Utri e il loro
impero dichiarando che "il Tribunale della Libertà ha preso un granchio colossale... Sono sicuro che
la Cassazione metterà le cose a posto", Dell'Utri ricorre appunto in Cassazione dichiarando: "Questa
non è indagine, è inquisizione". L'obiettivo è chiaro: prendere tempo, per poter varare il governo
Berlusconi che provvederà subito a fermare i magistrati di "Mani pulite" prima che si addentrino
nelle "segrete stanze" dei meandri Fininvest. Del resto, il gruppo è nel mirino della magistratura per
numerose altre vicende le inchieste in corso sono innumerevoli e riguardano un po' tutti i settori
delle attività berlusconiane: calcio, Tv, edilizia, finanza, grande distribuzione, con ipotesi di reato
che vanno dalla corruzione al falso in bilancio, dalla frode fiscale al finanziamento illecito dei
partiti.
Nel delicato frangente che vede Marcello Dell'Utri alla ribalta della cronaca giudiziaria, non manca
di attivarsi anche suo fratello Alberto, il quale rivolge minacce telefoniche in puro stile mafioso a
un giornalista della "Stampa", Alberto Statera, reo di aver informato i lettori del quotidiano torinese
circa gli scabrosi trascorsi di Marcello: "Guardi che queste cose non si fanno... Guardi che lei
potrebbe avere anche dei grossi dispiaceri", dice Dell'Utri al giornalista e Statera gli risponde:
"Guardi che se lei continua con questo tono, io sono costretto a chiamare i carabinieri"83.

Il primo tentativo di scardinare il pool dei magistrati milanesi avviene, nel puro stile berlusconiano,
attraverso la lusinga: il presidente del Consiglio incaricato, il 7 maggio 1994, offre al
magistratosimbolo di “Mani pulite” Antonio Di Pietro, una poltrona di ministro nel costituendo
governo84. E poiché il magistrato declina l'invito, il governo Fininvest procederà altrimenti, a
norma di decretolegge.

Il 13 luglio, un decretolegge del governo Berlusconi (detto per l'appunto “Decreto salvaladri”) vieta
l'arresto cautelativo per i reati di corruzione, concussione, peculato e ricettazione, e soprattutto per
quelli di bancarotta fraudolenta, falso in bilancio, frode fiscale, e limita inoltre la libertà di stampa
in merito agli “avvisi di garanzia”. È il primo passo del governoFininvest per stroncare le inchieste
di "Mani pulite" che stringono d'assedio il gruppo Fininvest, e per ledere l'autonomia della
magistratura.

Scriverà il giurista Guido Neppi Modona: "La “Disciplina della custodia cautelare” (art. 2) è la
parte del decreto in cui l'impudenza e la protervia del governo nel privilegiare la nuova categoria
degli imputati eccellenti emergono con maggiore evidenza. La possibilità di ricorrere alla custodia
in carcere è in primo luogo esclusa per tutti i delitti contro la pubblica amministrazione (peculato,
concussione, corruzione, abuso d'ufficio, ecc.), nonché per quelli tipici della criminalità economica
e dei “colletti bianchi” (bancarotta fraudolenta, falso in bilancio, frode fiscale, ricettazione, truffa in
danno dello Stato, di enti pubblici, o per ottenere contributi, agevolazioni e finanziamenti pubblici).
Questi reati possono evidentemente essere commessi solo da persone inserite nei circuiti del potere
economico e politico: l'ombrello protettivo non copre quindi solo gli attuali imputati di
Tangentopoli, ma tutti coloro che sono stati o saranno in grado di sfruttare la loro posizione e le loro
entrature sociali per trarne illeciti profitti in danno della collettività [ ... ]. Addirittura oltraggiosa è
la macroscopica disparità di trattamento tra un bancarottiere che ha distratto centinaia di miliardi ed
il ladruncolo di strada che si è impossessato di poche migliaia di lire: il primo esente dalla custodia
in carcere anche se ha già in tasca il biglietto aereo per le Baliamas, il secondo destinato a finire in
galera se, come assai probabile, vi è il pericolo concreto che continuerà a scippare"85.

Il proditorio decretoFininvest darà origine a uno scandalo dall'eco internazionale, tale da rischiare la
repentina caduta del neocostituito governo Berlusconi, e verrà subito ritirato. Ma la lotta di Mani
sporche contro Mani pulite prosegue...

Sotto le volte della Cupola

I quotidiani di domenica 20 marzo 1994 informano che in seguito alle confessioni dei mafiosi
pentiti Totò Cancemi e Gioacchino La Barbera, le Procure distrettuali antimafia di Caltanissetta,
Palermo, Catania e Firenze stanno svolgendo indagini sul conto di Silvio Berlusconi e dei fratelli
Marcello e Alberto Dell'Utri.

"L'inchiesta incrociata sui vertici della Fininvest ha il suo epicentro in Sicilia, laddove Totò
Cancemi ha compiuto una lunga carriera criminale da semplice soldato della "famiglia" di Porta
Nuova a rappresentante della Commissione provinciale di Palermo. Il mafioso ha confessato ai
giudici e ai carabinieri del Raggruppamento operativo speciale (Ros) i legami che stringono
Marcello Dell'Utri e alcuni esponenti di Cosa Nostra. Un elenco lunghissimo, composto non da
uomini d'onore qualunque ma dai capi, dai sottocapi e dai consiglieri di due delle più importanti
“famiglie” di Palermo: quella di Porta Nuova e quella di Santa Maria dei Gesù. Girolamo “Mimmo”
Teresi è il primo personaggio della lista fatta dal pentito Totò Cancemi. Mimmo Teresi era il più
fidato amico di Stefano Bontate e suo consigliori. Furono uccisi entrambi, nel 1981, a distanza di un
mese. Gli altri due nomi citati da Cancemi sono quelli di Pietro Lo Jacono e di Ignazio Pullarà, una
volta capidecina di Bontate e poi passati nelle fila dei Corleonesi di Riina. Ma Totò Cancemi parla
anche della sua “famiglia” e, soprattutto, del "punto di riferimento" che aveva in Lombardia:
Vittorio Mangano [ ... ]. Mangano è stato stalliere ad Arcore (nella tenuta di Berlusconi) nella
seconda metà degli anni Settanta. [Secondo Cancemi] nella "tenuta" tra Monza e Milano trovarono
rifugio Ciccio Mafara (un boss ucciso nei primi anni Ottanta nella guerra di mafia) e, durante la
latitanza, i fratelli Grado e Contorno, anche loro uomini d'onore di Santa Maria del Gesù. Gli
investigatori hanno ritenuto che si trattasse di Totuccio Contorno. Ma il pentito ha spiegato: “No,
non sono io. Credo che sia Giuseppe Contorno... In quegli anni lui aveva interessi a Milano con i
Pullarà, Ignazio e Giovambattista”. Le rivelazioni di Totò Cancemi non si fermano però alle
amicizie e alle frequentazioni mafiose di Marcello Dell'Utri. Il boss svela i retroscena del grande
affare del centro storico [di Palermo]. Parla degli investimenti che Silvio Berlusconi avrebbe fatto
in attesa del secondo “grande sacco” della città, quello che la mafia stava preparando dai tempi di
Lima e Ciancimino, Calò e Buscetta. Totò Cancemi indica espressamente l'acquisto di immobili da
parte del Cavaliere. E poi fa entrare in scena un misteriosissimo personaggio che avrebbe fatto da
intermediario, a Palermo, nell'affare centro storico”. Il pentito lo chiama “il ragioniere”. Sarebbe
stato “il ragioniere”, in nome e per conto di Berlusconi, a trattare direttamente l'operazione. Sarebbe
stata, dunque, la mafia a favorire l'ingresso in Sicilia del Cavaliere per spartire la "torta" del grande
risanamento di uno dei centri storici più belli d'Europa? Su tutte queste dichiarazioni del pentito di
Porta Nuova sono in corso investigazioni in tutta la Sicilia occidentale. Indaga la Procura antimafia
di Palermo, ma anche quella di Caltanissetta dove Cancemi per la prima volta ha deciso di vuotare il
sacco sulle stragi mafiose dell'estate 1992. Sono investigazioni partite alla fine dello scorso febbraio
e concentrate soprattutto nella città di Palermo. Si cercano anche società in qualche modo legate a
Marcello Dell'Utri e a suo fratello Alberto, società costituite negli ultimi anni a Palermo. Più
complessa e articolata l'inchiesta dei magistrati della Procura antimafia di Catania. Anche lì s'indaga
sullo staff del Cavaliere, seguendo le tracce di un fiume di soldi. L'inchiesta era cominciata
indagando sul "tesoro" di Benedetto “Nitto” Santapaola e dei suoi fedelissimi prestanome. 1 giudici
hanno trovato collegamenti con alcune società di Alberto Dell'Utri, il fratello di Marcello.
Collegamenti che hanno lasciato una traccia: intercettazioni telefoniche. Questa di Catania è una
investigazione difficilissima, gli esperti partono da centinaia di migliaia di dollari, i proventi del
riciclaggio della “Santapaola spa”"86.

"Secondo alcune indiscrezioni, confermate in ambienti giudiziari, la Direzione distrettuale antimafia


di Palermo (Dda) indaga su Dell'Utri in relazione ad una vicenda di riciclaggio di denaro
proveniente dal traffico internazionale di stupefacenti affidato da Cosa Nostra direttamente o
indirettamente all'amministratore delegato di Publitalia [ ... ]. Il quadro che fa Cancemi ritrae un
Marcello Dell'Utri abbastanza in confidenza con alcune '1amiglie" di Cosa Nostra, e precisamente
quelle di Santa Maria del Gesù e quella di Porta Nuova. Il pentito parla di "gite" milanesi (nella
villa di Dell'Utri) di uomini come Stefano Bontate, Mimmo Teresi, Pietro Lo Jacono, i fratelli
Pullarà e i cugini Grado. L'altro collaboratore, La Barbera, sembra sia stato un po' più generico. Ha
detto di [ ... ] poter affermare che nell'ambito di Cosa Nostra Berlusconi veniva considerato amico
[ ... ]. Pietro Marchese ha raccontato che la mafia, a suo tempo, intervenne per salvare dal sequestro
il figlio di Silvio Berlusconi che fu portato fuori dall'Italia [ ... ]. Cancemi parla dei rapporti tra
Fininvest e Cosa Nostra, ipotizzando una sorta di "patto" insorto dopo che la mafia aveva avviato
una campagna di taglieggiamento nel settore della grande distribuzione in Sicilia. Il boss racconta di
un'estorsione che, nel tempo, sarebbe divenuta un tacito accordo (con pagamento di circa 600
milioni all'anno) per avere una specie di esclusiva. La storia dell'inchiesta sugli attentati alla Standa
di Catania non è nuova e la Procura di Catania avrebbe accertato molte circostanze che
proverebbero l'esistenza di una vera e propria “guerra di mafia” per accaparrarsi la piazza della
grande distribuzione nell'Isola [ ... ]"87.

"I magistrati sembrano intenzionati a ricostruire l'intera carriera dei due Dell'Utri: da quando hanno
lasciato la Sicilia per insediarsi a Milano, fino all'ascesa ai massimi vertici dell'impero del
Cavaliere. Ci sono già testimonianze che inquadrano le pericolose amicizie di Marcello Dell'Utri e
la frenetica attività di Alberto, suo fratello gemello. Di Alberto si sta occupando soprattutto, ma non
solo, la Procura antimafia di Catania. I magistrati vogliono capire le ragioni del vorticoso nascere e
morire di società che ad Alberto Dell'Utri farebbero riferimento. Società che, in alcuni casi, si
intersecherebbero con i canali di riciclaggio predisposti da un prestanome del boss catanese Nitto
Santapaola"88.

Il vertice della Fininvest reagisce alle indiscrezioni pubblicate con risalto dalla stampa: parla di
"una manovra" calunniosa, e cavalcando la campagna elettorale in corso, grida al complotto.
L'aspirante premier Berlusconi dichiara: "Comincio a pensare che in fondo a questa manovra
potrebbe esserci un rischio enorme, quello della perdita della libertà nel nostro Paese". E Dell'Utri,
“motore” del partitosetta “Forza Italia”: "Pazzesco. Tutto assurdo: il mio è come il caso Tortora... t
tutto falso... Ignobili calunnie... Ci avevano avvertito: chi tocca i fili [della politica] muore".

Il 22 marzo 1994, il quotidiano “La Stampa” attribuisce al presidente della Commissione


parlamentare Antimafia Luciano Violante una dichiarazione che indurrà Violante a rassegnare le
dimissioni dalla Commissione in seguito alle violente polemiche suscitate: "La verità è che
Dell'Utri è iscritto sul registro degli indagati della Procura di Catania, non di quella di Caltanissetta.
E non si tratta di pentiti questa volta. C'è un Pm di lì, si chiama Marino, che sta conducendo
un'indagine di mafia su un traffico di armi e di stupefacenti. L'inchiesta non si basa su dichiarazioni
di pentiti ma, a quanto pare, su intercettazioni ambientali". La reazione del partitoFininvest è
furibonda: Berlusconi denuncia un "complotto comunista" capeggiato dal "comunista Violante" con
la complicità di "certa magistratura".

Ma le "indiscrezioni" attribuite a Violante trovano una qualche conferma a Catania: "Centinaia di


migliaia di dollari, un traffico d'armi, aziende alimentate dal denaro dell'eroina e della coca. E poi
una miriade di prestanome, di sigle, di coperture, società che aprono e chiudono, movimenti
finanziari con la Svizzera. Nell'inchiesta giudiziaria sul "tesoro" di Cosa Nostra catanese, c'è una
traccia che porta anche ad Alberto Dell'Utri, il fratello gemello di Marcello, il presidente di
Publitalia. E' un'indagine cominciata con l'“ascolto” di alcuni personaggi e continuata poi con la
decifrazione di carte e documenti. Se alla Procura antimafia di Palermo dentro un'indagine sul
riciclaggio c'è Marcello Dell'Utri, alla Procura antimafia di Catania si indaga su suo fratello
Alberto. L'inchiesta palermitana è nella fase preliminare, un pò più avanti sono le indagini catanesi
del sostituto procuratore della Repubblica Nicolò Marino"89.

Il 12 aprile 1994, l'ex magistrato Tiziana Parenti, detta Titti la Rossa (neoonorevole eletta nelle liste
del partito creato dai Dell'Utri), preda di un estemporaneo sussulto di arguzia dichiara: "“Forza
Italia” è a rischio mafia... La rapidità con cui è cresciuto questo movimento può farci temere un
pericolo concreto di infiltrazioni mafiose... In “Forza Italia” ci sono nomi che suonano come
campanelli d'allarme ... "90. Le risponde uno dei massimi conoscitori di Cosa Nostra, Pino
Arlacchi: "Per cogliere un certo tipo di inquinamento in “Forza Italia” basterebbe guardare
all'entourage di Silvio Berlusconi, agli uomini forti della sua "azienda". I nomi allarmanti che
l'onorevole Parenti non ha pronunciato mi sembrano quelli dei fratelli Dell'Utri... Ho trovato i nomi
dei Dell'Utri in un rapporto di polizia [dove] non si parlava di leasing o Tv. Si parlava di
riciclaggio, riciclaggio di denaro sporco... La polizia stava indagando su un reticolo di “riciclatori”
che operavano a Milano nella seconda metà degli anni Settanta e avevano collegamenti, da una
parte con Vito Ciancimino in Sicilia, dall'altro con i CuntreraCaruana in America Latina... Non è un
mistero che in tanti Paesi del Sud, in zone ad alto tasso di inquinamento mafioso, sono sorti
numerosi club di "Forza Italia” sospetti, e che durante la campagna elettorale esponenti mafiosi
hanno appoggiato in maniera più o meno occulta candidati di “Forza Italia”".

Il 17 aprile 1994, la stampa informa: "È il primo indagato della Seconda Repubblica. Ilario Floresta,
53 anni, imprenditore, eletto alla Camera dei Deputati per il movimento "“Forza Italia”: il suo nome
è iscritto nel registro degli indagati di Catania. Ad avviare l'indagine su Floresta sono stati i
magistrati della Direzione Antimafia di Catania, che nei giorni scorsi hanno arrestato un cugino e
collaboratore dell'esponente di "“Forza Italia” [ ... ] "91.

Nell'ambito dell'inchiesta dei magistrati milanesi di “Mani pulite" per le mazzette pagate dalla
Fininvest ad alcuni ufficiali e sottufficiali della Guardia di Finanza (primaveraestate del 1994),
emerge la testimonianza del maresciallo Giuseppe Capone, il quale ha dichiarato agli inquirenti che
il collega maresciallo Francesco Nanocchio (coinvolto, come Capone, nello scandalo) avrebbe
affermato in due occasioni: "Se Nitto Santapaola e la mafia lo abbandonassero, Silvio Berlusconi
sarebbe spacciato"92.

Intanto, si apprende che la Dia (Direzione investigativa antimafia) ha da tempo avviato "indagini
accurate a Milano, in Sicilia e a Montecarlo su eventuali, presunti rapporti tra uomini del gruppo
Fininvest (primo fra tutti Marcello Dell'Utri) e società o personaggi legati a Cosa Nostra. E alcuni
inquirenti non avrebbero escluso la possibilità che gli ufficiali [della Guardia di Finanza] già
"ammorbiditi" dalla Fininvest durante le verifiche fiscali potessero ricevere richieste e pressioni,
una volta passati alla Dia [come nel caso del colonnelloAngelo Tanca, passato dalla GdFalla Dia,
NdA], anche a proposito di altre, più delicate indagini"93.

Il successo elettorale del partito di Dell'Utri alle elezioni politiche dei marzo 1994 (in Sicilia,
"“Forza Italia” si afferma quale primo partito, col 33 per cento dei voti) e la formazione del governo
Berlusconi, pongono la setta politicoaffaristica Fininvest nelle condizioni di poter correre ai ripari
rispetto a una questione quella dei pentiti di mafia e delle indagini antimafia che potrebbe risultarle
esiziale. Del resto, già prima del voto, quando la stampa aveva informato delle prime ammissioni
del boss Totò Cancemi e delle indagini delle Procure siciliane, Berlusconi aveva dichiarato guerra
ai pentiti di mafia e alla legge che li tutela ("Basta coi pentiti... La legge è da rifare").

Nei primi giorni di aprile 1994, la strategia Fininvest viene espressa, al suo massimo grado di
autorevolezza, dal neosenatore avvocato Cesare Previti, candidato alla poltrona di ministro della
Giustizia. Previti tuona contro "l'uso distorto dei pentiti", e dichiara: "Non mi meraviglierei se in
qualche Procura, da Palermo a Milano, si inducesse qualche mafioso pentito di dubbia affidabilità a
coinvolgere esponenti Fininvest o di Forza Italia..."94; quindi enuncia un progetto di "riforma" che
finirebbe per assoggettare la magistratura al controllo del potere politico. E' l'avvio ufficiale della
campagna berlusconiana volta a delegittimare la legislazione antimafia, a smantellare gli apparati
statali che combattono Cosa Nostra, e a imbrigliare la magistratura.

Mentre la campagna berlusconiana si dispiega, l'esperto antimafia Pino Arlacchi dichiara: "Vedo in
Forza Italia massoni riciclati e strani personaggi del vecchio sistema. Leggo che si vuole buttare
all'aria la legislazione sui pentiti. Raccolgo voci di un azzeramento indiscriminato dei vertici di tutta
la struttura antimafia [ ... ]. Temo che si voglia passare un colpo di spugna su dieci anni di lotta alla
criminalità organizzata... Vedo che è incominciata, da un giorno all'altro, una violentissima
campagna d'opinione contro i pentiti. Inspiegabile, se si pensa ai successi che questa strategia,
ricalcata sull'esempio degli Stati Uniti, ha consentito: sostengo che un pentito di un certo peso può
far risparmiare cinquedieci anni di indagini; aggiungo che senza Tommaso Buscetta staremmo
ancora qui a domandarci che cos'è la mafia e se esiste davvero. E mi chiedo anche: possibile che si
usi una tale potenza di fuoco contro l'anello più debole della catena, contro l'ex criminale che ha
deciso di collaborare con la giustizia?... Tutto questo gran vociare mira in realtà a intimidire e
delegittimare non solo l'ex mafioso, ma soprattutto chi lavora con lui: poliziotti, investigatori,
magistrati... Penso che si tratti di una “manovra di prevenzione”. Ci sono decine di processi aperti,
di dibattimenti avviati che devono concludersi presto con condanne e conferme di accusa
gravissime. E poi ci sono indagini partite in tutt'Italia proprio sulla scorta delle rivelazioni di pentiti
che vanno tutte in una sola direzione: il rapporto tra la mafia e la criminalità del Nord"95.

Poco tempo dopo, Arlacchi avrà modo di ribadire: "Questa campagna di intimidazione ha due
obiettivi precisi: impedire che vengano toccati i meccanismi di riciclaggio del denaro sporco, i
rapporti tra Cosa Nostra e pezzi importanti dell'economia e della finanza nazionale e internazionale;
evitare che si accendano i riflettori sui collegamenti tra mafia e centri di potere occulto come la
massoneria deviata"; ma Arlacchi ribadirà anche: "Dietro questa polemica sui pentiti c'è un aspetto
ancora più grave: si vogliono colpire i singoli magistrati, i singoli investigatori [ ... ]. Si vuole
evitare che si celebrino i processi, che i mafiosi vengano condannati. Attualmente, grazie alle
dichiarazioni dei collaboratori e ai riscontri effettuati da giudici inquirenti e polizia giudiziaria,
abbiamo un tasso di condanne che supera l'80 per cento. C'è un'intera lobby mafiosa ma anche
politicogiudiziaria in allarme. E così si tenta di far celebrare i processi in un clima generale di
discredito (lei pentiti... La strategia vincente da parte dello Stato in questi ultimi due anni aveva tre
punti cardine: la legislazione premiale, la creazione di strutture investigative specializzate,
l'appoggio incondizionato e totale dell'opinione pubblica. Tutti questi punti sono stati colpiti nelle
ultime settimane"96.

Il 25 maggio 1994, a Reggio Calabria, dove si svolge il processo per l'omicidio del giudice Antonio
Scopelliti, l'imputato Totò Riina (il "Boss dei boss" catturato grazie ad alcuni pentiti, dopo 19 anni
di latitanza) rilascia dichiarazioni che suscitano grande clamore: "La legge sui pentiti deve essere
abolita [perché] i pentiti si inventano tutto... lo sono un po' come il "caso Tortora""; e dopo essersi
scagliato contro l'isolamento carcerario cui è sottoposto a norma dell'articolo 41 bis del regolamento
penitenziario per i mafiosi ("Vivo isolato in carcere da sedici mesi... Mi trattano come un cane, ma
nemmeno i cani vivono come vivo io: sono isolato"), il proclama del superboss corleonese diviene
più “politico”: "Sono i comunisti che portano avanti un particolare disegno... Ci sono i Caselli97, i
Violante98, e questo Arlacchi99 che scrive libri... Ecco, secondo me il nuovo governo [Berlusconi]
si deve guardare dagli attacchi dei comunisti"100.

"E la prima volta che un mafioso di alto livello si permette una audacia come questa", commenta
Pino Arlacchi. "Perché lo fa adesso? Si vede che si sente più sicuro... Ora poi è entrato direttamente
in una tematica politica... Sono segnali lanciati alle forze di governo, come per indicare che mafiosi
e governo hanno gli stessi nemici ... ".

Scrive Paolo Franchi sul “Corriere della Sera”: "Primo: abolire la legge sui pentiti. Secondo:
mettere in scacco il complotto “comunista" che la sottende, e che avrebbe per protagonisti Gian
Carlo Caselli, Luciano Violante, Pino Arlacchi, additati pubblicamente come bersagli. Questo è il
messaggio che il governo e decine di milioni di italiani si sono incredibilmente visti recapitare da
un'aula di giustizia, a mezzo Tv, da Totò Riina. Se qualcuno nutriva ancora dei dubbi, adesso può
esserne certo: il sensorio politico di Cosa Nostra è quanto mai vigile. Per anni, in particolare dal
luglio del '92, quando all'indomani delle stragi di Capaci e via D'Amelio fu varato il superdecreto
antimafia, Cosa Nostra ha subito colpi durissimi. Adesso avverte che qualcosa può cambiare a suo
vantaggio, che la macchina da guerra apprestata per combatterla può andare in panne. E si muove di
conseguenza. Da cosa abbia tratto la convinzione che sia giunta l'ora di tornare all'attacco è presto
detto. Sono settimane che la legislazione sui pentiti è oggetto di polemiche politiche assai più che
giuridiche. E in queste polemiche uomini [dei governo Berlusconi] ed esponenti della maggioranza
[cioè di “Forza Italia”, NdA] si sono addentrati in forme per nulla rassicuranti. Ora presentando la
legislazione in questione come un mostro giuridico da abbattere in nome di elementari principi
garantisti, ora asserendo viceversa che si tratta di ritoccarne solo questo o quell'aspetto. Ora dando
ad intendere di considerare i magistrati più impegnati nella lotta alla mafia come degli avversari, ora
cercando invece di assumerli come interlocutori[ ... ]"101.

Nella notte di sabato 2 luglio 1994, una catena di attentati incendiari colpisce le filiali standa
ubicate a Roma , Firenze, Modena, Milano, Brescia, Trento; il precedente 24 maggio, analoghi
attentati avevano raggiunto i supermercati Standa di Aosta e Ivrea. La sequela di attentati, dunque,
colpisce la catena di grandi magazzini della Fininvest da Roma fino a tutto il Nord Italia,
escludendo quelli situati nelle regioni del Sud. La stampa ipotizza una “azione terroristica” di
matrice politica; ma altri avanzano il sospetto di possibili “avvertimenti” e “solleciti” rivolti da
Cosa Nostra al governo Berlusconi.

Quattro anni prima, tra il 19 gennaio e il 16 febbraio 1990, alcuni attentati incendiari avevano
colpito i magazzini Standa di Catania e Paternò (il pentito Claudio Saverio Samperi, ex affiliato al
clan mafioso di Nitto Santapaola, si autoaccuserà per l'attentato del 19 gennaio alla sede centrale
della Standa a Catania). Da allora, le filiali dei grandi magazzini Fininvest situate nelle province
siciliane non avevano più registrato azioni delittuose; il sindaco di Palermo Leoluca Orlando, nel
marzo 1994, aveva dichiarato: "Anche i bambini sanno che in Sicilia la Standa è cogestita [dalla
Fininvest] a Catania con Santapaola, e a Palermo con Riina".

Ma proprio la “questione Standa”, in Sicilia, è oggetto di rivelazioni dei mafiosi pentiti e di indagini
antimafia. "Un rapporto dei carabinieri di Corleone del dicembre 1990 sul quale Falcone puntava
molto. Intercettazioni telefoniche di personaggi sospettati di essere vicini a Totò Riina. Ma con loro
anche la responsabilità di un'affiliata Standa di Palermo. L'argomento è l'acquisto di supermercati in
fallimento. E, in particolare, scrivono i carabinieri, la vicenda del fallimento della Comega, "voluto
ed in qualche modo pilotato da chi ha interesse a monopolizzare il controllo di affiliati Standa". Ma
si parla anche di un complesso alberghiero in fallimento al quale sarebbe interessato Silvio
Berlusconi. Insomma, proprio i settori dei quali si starebbero occupando alcune Procure siciliane.
Tra i personaggi intercettati Pino Mandalari, sospettato di essere il commercialista di Totò Riina,
condannato per riciclaggio di denaro sporco, massone appartenente alla Loggia di Trapani Iside 2, i
cui responsabili sono stati recentemente condannati per costituzione di società segreta. E' lui al
centro delle operazioni “commerciali” su cui indagavano i carabinieri. Un rapporto delicatissimo in
cui si parla dei rapporti tra mafia e massoneria e degli interessi economici di Cosa Nostra. Eppure
rimasto a lungo nei cassetti della Procura di Palermo malgrado Falcone lo considerasse molto
importante. Ma erano gli ultimi mesi della permanenza nell'Isola e i rapporti col suo "capo" Pietro
Giammanco erano diventati pessimi. E quel rapporto non ebbe seguito. Fino a quando,
recentemente, è stato “riesumato” ed è finito nella megainchiesta su mafia e massoneria in corso a
Palermo. La prima telefonata citata nel rapporto è del 15 ottobre '90. Pino Mandalari telefona
all'avvocato Antonino Messineo102 [ ... ]. Ed ecco la prima citazione importante. Ignazio Momino è
l'avvocato di Totò Riina. E secondo le cronache dei giornali di ieri era presente alla manifestazione
del candidato a Bagheria di Alleanza nazionale Forza Italia, Antonio Battaglia, avvocato di Leoluca
Bagarella, cognato di Riina, latitante e, probabilmente, attualmente alla guida della "cupola". Ma
qual è l'argomento del colloquio tra Mandalari e Messineo? L'acquisto di supermercati. E qui
compare, per la prima volta, la Standa. Ed è proprio Mandalari a dirlo a Messineo. “Io sono
diventato il supervisore... perché abbiamo trattative con la Standa e tanti altri problemi da
sistemare”. La conferma arriva il giorno dopo. Mandalari telefona al numero intestato all'Affiliato
Standa, in via Croce Rossa a Palermo, e parla con una certa Nicoletta Palumbo, responsabile del
supermercato103 [ ... ]. Chi è quel Totò? I carabinieri non lo dicono, ma la citazione dei brano non
sembra casuale. E non è comunque l'unica conversazione tra i due. Il 5 novembre è la Palumbo a
telefonare al Mandalari. Questi, si legge nel documento, “asserisce che il negozio lo potranno
rilevare per quattro soldi da un eventuale fallimento, mentre la Palumbo sostiene che non è proprio
possibile fallire in quanto lo sa tutta Palermo”. Un rapporto stretto quello tra i due. Il precedente 12
ottobre, infatti, con un'altra telefonata la Palumbo viene “inviata a Milano dal Mandalari per
condurre una non meglio precisata trattativa per svariati miliardi di lire”. Ma nelle intercettazioni
telefoniche non si parla solo di supermercati. Il 6 novembre sempre Mandalari telefona a Roma
all'avvocato Antonio Juvara, anche lui massone. L'argomento è l'acquisizione di un albergo in
fallimento a Punta Favaro di Favignana. Si parla del prezzo e a un certo punto Mandalari, si legge
nel rapporto, “raccomanda l'urgenza spiegando che, se si arriva all'asta, si infila Berlusconi". Un
evidente interesse del Cavaliere ad acquistare immobili sotto fallimento in Sicilia [smentito dalla
Fininvest]"104.

Il testo del decreto legge sulla custodia cautelare frettolosamente predisposto (prima varato, e poi
ritirato) dal governo Berlusconi il 14 luglio 1994 col primario scopo di contrastare l'azione dei
magistrati di “Mani pulite”, contiene una norma (art. 9) ritagliata su misura per Cosa Nostra un
quotidiano titola infatti: Nel decreto salvaladri un regalo anche alle cosche105. Nel decreto legge,
dello stesso luglio, che contempla il condono edilizio, l'art. 6 stabilisce la soppressione delle vigenti
norme di legge che prevedono la sospensione e la cancellazione dall'Albo costruttori delle imprese
edili colluse con la mafia; ma l'intero dispositivo come verrà documentato e denunciato dalla Lega
ambiente "è un regalo alla mafia"106. Intanto, alcuni parlamentari di “Forza Italia” si dichiarano
favorevoli all'abolizione dell'articolo 41 bis del regolamento carcerario che prevede l'isolamento dei
boss mafiosi detenuti, dando inizio a una campagna contro il dispositivo antimafia.

Il 5 agosto 1994, la rappresentante di “Forza Italia” Tiziana Parenti (non più turbata dalle possibili
infiltrazioni mafiose nel suo “partito”) assume la presidenza della Commissione parlamentare
Antimafia già presieduta da Luciano Violante. Il 21 agosto, il responsabile dell'amministrazione
penitenziaria, Francesco Di Maggio, viene indotto dal governo a lasciare il suo incarico, forse
perché contrario all'abolizione dell'articolo 41 bis. Il 26 agosto, Gianni De Gennaro, valente capo
della Dia (Dipartimento investigativo antimafia), viene rimosso dall'incarico e “promosso” a capo
della Criminalpol; De Gennaro viene allontanato dalla Dia perché "ha dei nemici in "Forza Italia"
[che lo vogliono lontano dalla Dia] per le indagini sui rapporti tra mafia e politica"107.

"La promozione di De Gennaro alla Criminalpol, in un posto formalmente più elevato, appare come
una retrocessione sostanziale, dal punto di vista dell'operatività anticrimine. La verità è che
gliel'avevano giurata, a De Gennaro [ ... ]. Non è un mistero che De Gennaro sia considerato da
Previti e da Berlusconi, ma più in generale dalla maggioranza di governo, il braccio operativo di
un'antimafia da dimenticare. L'antimafia che ha saputo ottenere successi fino a ieri impensabili
contro Cosa Nostra, anche grazie all'utilizzo dei collaboratori di giustizia e dell'articolo 41 bis del
regolamento penitenziario [ ... ]. Anche Di Maggio, come De Gennaro, come Violante, come
Arlacchi, come Caselli, è stato tra i protagonisti di quella stagione straordinaria della lotta alla
criminalità che, dalla metà del 1991 all'inizio del 1994, ha visto Cosa Nostra finalmente attaccata e
messa alle corde, la Cupola disarticolata, alcuni dei maggiori latitanti, da Totò Riina a Nitto
Santapaola, arrestati e costretti all'isolamento in carcere [ ... ]. Di quella stagione, De Gennaro con
la Dia è stato forse la più lucida delle menti d'intelligence e il più abile dei bracci operativi. Eppure
non piace a molti della nuova maggioranza [ ... ]. Troppo indipendente, De Gennaro, dal nuovo
potere politico. Troppo incontrollabile. E troppo pericoloso: tanto da avere avviato indagini a
Catania, a Milano e a Montecarlo su presunti contatti tra uomini Fininvest e uomini di Cosa
Nostra"108.
Il 30 agosto, si apprende che il ministro Guardasigilli del governo berlusconiano, il superriciclato
onorevole avvocato Alfredo Biondi, ha predisposto, col partecipe assenso di Berlusconi, un nuovo
testo di legge volto a “sfoltire” le carceri; il “Corriere della Sera" scrive che nel testo vi è un
"rischio di benefici anche ai mafiosi".

***

L'estate 1994 è cruciale anche per il redivivo “finanziere” in odore di mafia Filippo Alberto
Rapisarda, il quale accarezza un ambizioso progetto “siciliano”: la costruzione di un aeroporto
nell'isola più esclusiva dell'arcipelago delle Eolie, Panarea. Nell'attesa di attuare il suo progetto, il
pluripregiudicato "delinquente abituale" amico e sodale dei Dell'Utri si è scoperto una vocazione
politica naturalmente, nel partitosetta “Forza Italia”; e ospita nella sua villa di Panarea (planatovi
con un elicottero privato) il vertice Fininvest nella persona del ministro della Difesa Cesare Previti.

6. 1 MANISCALCHI DEL CAVALIERE

Prestanome di famiglia

Scandali nell'etere

Guardie e ladri

Chiasso Torino Milano Agrigento

Biscioni ruggenti

Vassalli, valvassori, valvassini

Calze, false fatture, truffe e elicotteri

Prestanome di famiglia

Paolo Berlusconi ha accompagnato e accompagna la rutilante avventura del grande fratello Silvio
nel ruolo di suo prestanome parafulmine; la carriera del minore Paolo all'ombra del maggiore Silvio
è una sostanziale collezione di cariche formali all'interno del gruppo Fininvest (tra le altre,
presidente della Mediolanum Assicurazioni e vicepresidente della Standa) e attiguamente a esso (le
attività immobiliari). Al piccolo Paolo, per gli amici Berluschino, sono attribuiti il motto
esistenziale "Quando sono solo, Berlusconi sono io", e il tratto autobiografico "Se devo decidere
qualcosa, mi fermo a chiedermi cosa farebbe Silvio al posto mio"; ma tra Paolo e Silvio, oltre agli
affari familiari, c'è la comune passione per il Milan calcio e per il gentil sesso.

Nel 1992, allo scopo di aggirare il dispositivo della Legge Mammì che vieta di detenere la proprietà
di networks televisivi e di giornali quotidiani, il fratello maggiore Silvio infila la maggioranza
azionaria del "Giornale" di Montanelli nella tasca del fratello minore Paolo (con un guizzo di
preveggente accortezza, sposta nelle mani del fratelloombra anche tutte le attività immobiliari). Ma
l'estemporaneo neoeditore Paolo si rivela subito piuttosto maldestro: "Ancora non è diventato il
padrone del "Giornale" (Silvio se lo tiene stretto fino agli ultimi giorni consentitigli dalla legge) e
già Paolo calpesta una chiazza di guano: nella primavera del '92 si palesa in redazione, in via
Gaetano Negri 4, sotto braccio all'allora potente ras socialista [craxiano] Ugo Finetti (poi finito a
San Vittore per tangenti), che si lamenta per l'ostilità di un paio di cronisti nei confronti del Psi.
Montanelli fa sapere che avrebbe “cacciato a calci nel sedere” i politici intenzionati a fare pressioni
sui. suoi giornalisti utilizzando i rapporti con la proprietà. Nel luglio del '92 Paolo s'impossessa
infine del "Giornale". Subito dopo il primo incontro con il comitato di redazione, i giornalisti
entrano in sciopero per otto giorni filati, un record assoluto nella storia della testata. Un successone,
insomma. Poi le acque si chetano, ma Berluschino si fa vedere al "Giornale" il meno possibile. Ai
giornalisti non garbano troppo i suoi modi guasconi, i suoi commenti salaci sulle giornaliste e sulle
impiegate"1.

Nel 1993, il piccolo Berlusconi si ritrova tra le mani anche la proprietà del quotidiano milanese “La
Notte”. "Un affare? No, “La Notte” perde 2 miliardi l'anno. Ma ai Berlusconi serve, soprattutto a
Silvio, che vuole un quotidiano locale su Milano per mantenere buoni rapporti col sindaco leghista
Marco Formentini e perché lo strumento può rivelarsi utile ai candidati di Forza Italia alle prossime
elezioni"2. Il piccolo Berlusconi a tutta prima conferma il direttore de “La Notte” Giuseppe Botteri,
ereditato dalla vecchia proprietà del quotidiano; ma "qualcuno in famiglia non è d'accordo, perché
nel giro di qualche settimana Botteri deve lasciare il posto a un giornalista proveniente dal gruppo
Fininvest, Massimo Donelli, già condirettore di “Epoca”"3 solidarietà massonica: Massimo Donelli
era “fratello” del piduista Silvio Berlusconi nella Loggia gelliana (tessera P2 2.207, codice
massonico E. 19.80).

Anche la clamorosa vicenda che nel gennaio 1994 porta all'allontanamento di Indro Montanelli
dalla direzione del “Giornale” vede il Paolo fungere da goffa comparsa, mentre il vero padrone del
quotidiano, Silvio, ne è il plateale protagonista. Nella bagarre scatenata contro Montanelli (reo di
non voler allineare “Il Giornale” a sostegno del partitoFininvest e del suo messianico leader
aspirante alla poltrona di Primo ministro della Repubblica), il piccolo Paolo si segnala solo per il
racconto di una elegante barzelletta allusiva: "AI mio paese c'è un signore molto vecchio che cade
dal decimo piano e non si fa niente. Poi finisce sotto una macchina e non si fa niente. Poi cade in un
tombino e non si fa niente. Alla fine abbiamo dovuto abbatterlo"4.

Ma Paolo Berlusconi intestatario di imprese edili già di proprietà del fratello Silvio, il Paolo
Berluschino che insieme al fratello Silvio coltivava "stretti rapporti col potere politico dei Craxi,
degli Andreotti e dei Forlani"5, a partire dal 1992 riesce finalmente a diventare primattore: alla
ribalta della cronaca giudiziaria, quale espiatorio mattatore della Tangentopoli berlusconiana.

Il fratello minore di Silvio Berlusconi, nel novembre 1992, risulta indagato dalla Procura di Roma
per il reato di corruzione in relazione alla vendita di immobili berlusconiani mediante tangente
miliardaria agli enti previdenziali Inadel e Inail ("ma, come lasciano intendere gli inquirenti romani,
gli istituti previdenziali su cui si sta indagando sono anche altri"6).

Nella primavera dei 1994, Paolo Berlusconi è rinviato a giudizio per violazione della legge sul
finanziamento ai partiti. "Nell'ultima campagna elettorale del 1992 io ho avuto effettivamente modo
di versare la somma di L. 150 milioni [al segretario della Dc lombarda Gianstefano Frigerio] per il
tramite di un dirigente della Fininvest, Sergio Roncucci", ha ammesso al magistrato inquirente il
fratello del grande self made man Silvio. "[L'ho fatto] perché [Frigerio] me li ha chiesti, e perché
sono un simpatizzante della Dc". In realtà, il “contributo” clandestino era legato a una vicenda di
discariche lombarde: "Per autorizzare la maxidiscarica di Cerro Maggiore, secondo il Pm, la Dc
lombarda potrebbe aver ottenuto [da Paolo Berlusconi] non solo i 150 milioni usciti nel '92 dalle
casse “della Fininvest”, come si legge nella citazione a giudizio, ma anche "bustarelle" via etere:
spot elettorali [sulle reti Fininvest]"7.

Nel febbraio 1994, il fratelloprestanome di Silvio, tratto in arresto e rinviato a giudizio per
corruzione, ammette di avere pagato tangenti miliardarie (con contorno di false fatture) destinate ai
vertici della Cassa di Risparmio delle Provincie Lombarde e a esponenti politici, nell'ambito della
vendita di immobili berlusconiani al Fondo pensioni della banca; tra i beneficiari, il presidente
democristiano della Cariplo Roberto Mazzotta, e Bettino Craxi (entrambi amici e sodali di vecchia
data del fratello Silvio). "Il fratello minore Paolo Berlusconi ammette di avere attinto, per pagare le
tangenti, nel pozzo dei fondi neri dell'Edilnord, società edile che fino al 1992 faceva parte a pieno
titolo della Fininvest controllata da Silvio Berlusconi che fu poi passata, per ragioni di opportunità,
sotto il controllo di Paolo"8.

Il 6 marzo 1994, l'attività intestata al fratello di Silvio riguadagna le cronache giudiziarie, ancora
una volta per tangenti e corruzione: "Manette per Sergio Roncucci, ex dirigente della Fininvest e
capo delle relazioni esterne della Edilnord di Paolo Berlusconi. Il manager è stato arrestato l'altra
sera attorno alle 22 dalla Guardia di Finanza, che l'ha portato nel carcere di Monza su ordine del
pool di magistrati che da quattro anni indagano sull'edilizia nera di Milano e provincia. Il reato
ipotizzato è la corruzione. Roncucci, secondo l'accusa, avrebbe versato tangenti per circa un
miliardo, concordate tra l'88 e il '90, per sbloccare un piano di lottizzazione presentato dalla società
Europea Golf del gruppo Edilnord. Obiettivo: convincere gli amministratori e i tecnici comunali di
Pieve Emanuele (un centro al confine con Basiglio, dove ha sede “Milano 3”) a dare via libera al
progetto di ristrutturazione del castello medievale di Tolcinasco, con cascinali e impianti sportivi tra
cui un green con 36 buche"9; all'arresto di Roncucci, il fratello di Silvio Berlusconi ammette subito
il versamento delle tangenti10.

Alla fine di marzo 1994, la Procura di Brescia inquisisce il fratello di Silvio Berlusconi per
corruzione e violazione della legge sul finanziamento pubblico ai partiti, in relazione a un sospetto
business immobiliare, avvenuto a Desenzano del Garda nel 1991, tra la berlusconiana Cantieri
riuniti milanesi (gruppo Fininvest) e l'Inadel (Istituto assistenza dipendenti enti locali) guidato dal
craxiano Nevol Querci11.

Nel maggio 1994, la Procura di Milano muove una nuova accusa di corruzione aggravata a carico di
Paolo Berlusconi per una tangente di 800 milioni pagata agli amministratori del Comune di
Pioltello (nei pressi di Milano) nel 1988, e grazie alla quale la Edilnord aveva ottenuto l'edificabilità
di alcuni terreni agricoli di sua proprietà12. Il fratello minore di Silvio ammette i fatti addebitatigli
dai magistrati. La vicenda esemplare per scenari e metodi vede naturalmente coinvolto anche il Psi
e il suo segretario Bettino Craxi13.

Nel luglio 1994, il fratello del presidente del Consiglio viene arrestato14 con l'accusa di avere
ripetutamente corrotto la Guardia di Finanza: centinaia di milioni di mazzette per eludere e
addomesticare i controlli dei finanzieri presso tre società del gruppo Fininvest (Mondadori,
Videotime e Mediolanum).

Paolo Berlusconi non può non ammettere le bustarelle (già confessate dai militari corrotti), ma ai
magistrati parla di presunte "imposizioni" dei finanzieri, e si dichiara vittima di "altrui pretese
concussive". Le ulteriori ammissioni di Paolo ai magistrati sono un capolavoro di inverosimiglianza
degno della migliore verve del fratello Silvio (i magistrati le definiranno "molto poco convincenti"),
ma offrono comunque un sintomatico scorcio degli imbrogli che hanno accompagnato il divenire
del gruppo Fininvest negli anni Ottanta: "La Edilnord", dichiara infatti Paolo Berlusconi, "si è
occupata di vendere immobili nei primi anni Ottanta anche a privati con i quali si raggiungeva un
accordo: nel prezzo veniva indicato un corrispettivo inferiore a quello reale in modo da risparmiare
sulle tasse. In questo modo abbiamo avuto la possibilità di creare un fondo extra contabile di alcuni
miliardi, circa tre, che abbiamo potuto utilizzare per pagare anche quelle dazioni di denaro che non
potevano essere iscritte in bilancio... La parte in nero da parte degli acquirenti veniva consegnata
esclusivamente in contanti [e] veniva depositata presso la cassaforte dell'ufficio della Edilnord15...
All'interno del gruppo Fininvest io, oltre che essere direttore generale e consigliere delegato, avevo
anche cariche in diverse società operative. In pratica, sopra di me nella scala delle decisioni vi era
solo Silvio Berlusconi mentre i top manager avevano ampia autonomia e riferivano contestualmente
sia a me che a Silvio Berlusconi. Naturalmente con Silvio Berlusconi trattavano più propriamente le
questioni strategiche del gruppo, mentre per tutto ciò che riguardava i problemi di gestione che essi
potevano avere, rapportavano a me... Solo io potevo gestire questi fondi neri, e nessun dirigente
delle varie società ne era a conoscenza... Ero io che autonomamente ho deciso di costituire questo
fondo nero". E a precisa domanda del magistrato, Paolo Berlusconi risponde: "Non posso escludere
che siano state pagate [dal gruppo Fininvest] altre tangenti [alla Guardia di Finanza] per altre
verifiche".

A sua volta, il capo del gruppo Fininvest e presidente del Consiglio in carica, soccorre il fratello
Paolo e sé medesimo mediante un'intervista pubblicata dal prestigioso quotidiano inglese “Herald
Tribune”: bontà sua, ammette le bustarelle Fininvest pagate ai finanzieri per addomesticare i
controlli fiscali, ma a suo dire si sarebbe trattato di somme "estorte" al fratello Paolo dai voraci
finanzieri, e comunque di somme "ridicolmente piccole"16, e in ogni caso lui, Silvio, non ne ha mai
saputo assolutamente nulla le bustarelle da centinaia di milioni sarebbero state pagate ai finanzieri
talmente in segreto da essere versate a sua insaputa, e senza che lui ne fosse nemmeno informato né
prima né dopo17.

Paolo Berlusconi è uno degli eccellenti parafulmine del grande Berlusconi, ed esprime
mirabilmente una delle ferree regole della settaFininvest: "Pur di salvare Silvio Berlusconi, tutti i
gregari sono tenuti al sacrificio di sé; e dunque, se proprio non possono negare la mazzetta, devono
caricare su di sé l'intero peso della responsabilità dei misfatto [ ... ]. Ogni volta che salta fuori una
tangente Fininvest, Silvio Berlusconi si affretta a precisare che non ne sapeva niente [ ... ].
Emblema di questa strana vocazione aziendale al martirio in nome del capo, nonché figura
sommamente patetica dell'universo berlusconiano, è il giovane Paolo [che] viene mandato allo
sbaraglio. Nonostante che le società coinvolte nei giri di mazzette fossero tutte, all'epoca dei fatti, di
proprietà di Silvio"18.

Ma è notorio il culto di Silvio Berlusconi per la Famiglia, tanto quanto sono risapute la sua
munificenza e la sua prodigalità. Così, il Superimprenditore di Arcore non ha mai mancato di
manifestare il suo familistico affetto e la sua affaristica gratitudine allo stoico fratello Paolo: nel
1989, ad esempio, il grande Silvio ha elargito al piccolo Paolo, sotto forma di “donazione”, la
somma di L. 9 miliardi e 800 milioni, mentre nel 1990 la "donazione" è stata di soli 6 miliardi19.

Scandali nell'etere

Il 29 settembre 1994, il sostituto procuratore di Torino Enrica Gambetta dispone l'arresto per abuso
d'ufficio di Giuseppe Mazzocchi, funzionario del ministero delle Poste; all'arresto dei Mazzocchi
segue, a Milano, l'irruzione di tre magistrati e diciotto uomini della Polizia giudiziaria in tre sedi
della fininvestiana Rti (Canale 5, Italia 1, Rete 4).

Mazzocchi (uno dei cinque ispettori dell'etere in Piemonte: coi suoi colleghi del CcttCircolo
costruzioni telegrafiche e telefoniche, organo regionale del ministero delle Poste e
Telecomunicazioni, ha il compito di vigilare che le emittenti pubbliche e private non violino la
legge Mammì) è accusato di avere illecitamente informato i tecnici della Fininvest di un imminente
controllo che il Cctt si apprestava a effettuare sulle frequenze di Italia 1; “soffiata” o meno,
Mazzocchi ha poi partecipato alla “Ruota della Fortuna” (la trasmissione a premi di Canale 5 con
Mike Bongiorno) vincendo 30 milioni, e i magistrati sospettano possa trattarsi di una "bustarella"
truccata da vincita al telequiz.
L'intervento della magistratura nell'accidentato terreno delle frequenze radiotelevisive era
cominciato nel maggio 1993, con l'arresto per corruzione del direttore generale dei telefoni di Stato
Giuseppe Parrella, il quale aveva ammesso di avere consegnato a Davide Giacalone (segretario del
ministro delle Poste repubblicano Oscar Mammì) 10 miliardi di finanziamenti occulti destinati al
Pri e provenienti da tangenti pagate dalla Federal Trade Misure, minuscola società privata con sede
a Milano 2, alla quale il ministero delle Poste aveva appaltato per 30 miliardi l'elaborazione del
Piano frequenze connesso alla legge Mammì.

Parrella, oltre a Giacalone, aveva coinvolto anche Adriano Galliani (l'amministratore delegato della
Rti), Gianni Letta (allora vicepresidente della Fininvest), e un ingegnere della Fininvest rimasto
anonimo (il quale prendeva parte alle riunioni sulle frequenze che si svolgevano al ministero delle
Poste). Come aveva sintetizzato un quotidiano, la legge sull'emittenza "Giacalone l'aveva preparata
e scritta, Mammì l'aveva firmata, la Fininvest ne era stata la beneficiata"20; Giacalone ne aveva
anche guadagnato un contratto di consulenza con la Fininvest per 460 milioni.

Il sostituto procuratore della Repubblica Maria Cordova, cui era affidata l'inchiesta romana, il 4
novembre 1993 aveva chiesto l'arresto di Galliani e Letta (richiesta non convalidata dal Gip) per
concorso in corruzione; il Tribunale della Libertà (cui Cordova si era appellata) il 9 dicembre
successivo aveva sentenziato arresti domiciliari per Giacalone e per Letta (ma per il vicepresidente
Fininvest col divieto di comunicare con l'esterno). Il provvedimento, non esecutivo per il ricorso in
Cassazione di Letta, verrà poi cassato dalla Suprema corte.

Le varie inchieste di “Mani pulite” stanno lentamente scoperchiando i corruttivi intrecci che sono
sorti intorno alle vicende dell'etere e del sistema radiotelevisivo nazionale. Quella delle frequenze è
da anni una battaglia campale, una lotta silenziosa che travalica la stessa questione strettamente
televisiva, data l'enormità e la molteplicità degli interessi in gioco una contesa nell'ambito della
quale la Fininvest ha mosso e muove i suoi egemonici tentacoli senza esclusione di colpi.

A Chiampore, su una collina che sovrasta Muggia (in provincia di Trieste), la Elettronica
Industriale, nel 1991, ha cominciato a costruire una gigantesca antenna per consentire ai tre
networks Fininvest di raggiungere parte dell'Europa centrale e orientale battendo la Rai. Dichiara il
consigliere comunale Renzo Nicolini: "Io, questo megaimpianto ce l'ho proprio sulla testa, come
centinaia di altri abitanti di Chiampore. Le vicende relative alla sua costruzione sono doppiamente
sospette sia a livello locale, sia a livello nazionale".

Le emittenti berlusconiane disponevano già di una postazione Tv a Chiampore, ma nel luglio 1990
la Fininvest ha deciso di costruirne una seconda più potente, in grado di raggiungere bacini di
utenza ben più vasti, oltre il vicino confine con la Slovenia. Il Comune di Muggia, il 17 settembre
1991, rilascia la relativa concessione edilizia, ma da più parti si grida allo scandalo, e la nuova
postazione sorge tra violente polemiche. L'amministrazione locale è accusata di favoritismo, poiché
si è affrettata a concedere alla Fininvest il benestare senza attendere come vuole la legge " il Piano
di assegnazione delle frequenze21. La nuova antenna, inoltre, è destinata ad aumentare il già alto
inquinamento elettromagnetico sull'abitato di Chiampore; fin dal 1985, il dipartimento di
Elettronica dell'Università di Trieste aveva segnalato al Comune di Muggia che a Chiampore era già
stato raggiunto un tasso di 3035 V/rn contro i 20 V/m tollerati.

Nel febbraio 1992, la popolazione locale, allarmata, si costituisce in "Comitato dei cittadini contro
le antenne di Chiampore". Infatti, nella zona accadono fenomeni "inspiegabili": oggetti di plastica
che prendono fuoco, pecore che partoriscono agnelli morti; tra la popolazione si accusano
emicranie, pressione alta e disturbi intestinali. "Abbiamo interpellato medici e specialisti di varie
discipline", dice il presidente del Comitato dei cittadini Marco Marinaz. Tra gli altri, il dottor Nerio
Nesladek, il quale ha firmato un ampio studio sugli aspetti medicoscientifici dell'esposizione a
campi elettromagnetici: "Nell'area dei ripetitori radiotv a grande potenza di uscita come a
Chiampore vi è una forte concentrazione di energia che, pur non essendo mai ionizzante, può
comunque arrecare seri disturbi fisiologici se presa per lunghi periodi. Se vi capita di sentire la
radio dentro il telefono, questo non è altro che l'azione induttiva delle onde elettromagnetiche sui
cavi telefonici... Ancora più semplice è la spiegazione di possibili disfunzioni neurovegetative.
Quando un'onda molto potente attraversa il nostro corpo, può facilmente indurre delle microcorrenti
che per il cervello rappresentano dei messaggi. Questi stimoli imposti dall'esterno, e perciò
innaturali, non possono che arrecare gravi danni a tutto il nostro sistema nervoso". Secondo il
professor Giuseppe Sgorbati, del Laboratorio di misure nucleari presso la facoltà di Fisica
dell'Università di Milano e membro della commissione incaricata di redigere una proposta di legge
sui rischi delle radiofrequenze e delle microonde, "quantità elevate di radiazioni non ionizzanti sono
nocive. Surriscaldano i tessuti. Il cristallino dell'occhio, i testicoli, le ovaie, e il cervello sono gli
organi più sensibili al colpo di calore. Cosa succede? L'occhio può ammalarsi di cataratta. Il
riscaldamento delle ghiandole sessuali può essere causa di sterilità e, nella donna, provocare
disturbi del ciclo mestruale. Sono stati segnalati anche danni al feto, con aborti e malformazioni. Poi
ci sono gli effetti sul sistema nervoso. Le frequenzeradio provocano insonnia, irritabilità, perdita
dell'appetito, malessere generale. Questi effetti sono certi. Su altri c'è discussione".

Osserva Renzo Nicolini: "Alla fine, perfino lo stesso Comune di Muggiasi è pentito di avere
consentito l'ingombrante presenza della nuova antenna Fininvest: infatti, il 27 aprile 1993 ha scritto
al ministero delle Poste che la localizzazione dell'antenna "all'interno del centro abitato di
Chiampore rappresenta sicuramente una scelta inopportuna sia dal punto di vista ambientale che di
salute pubblica". Ma ormai la frittata è fatta... Fin qui, la parte 1ocale" della storia. Di ben altra
natura e gravità appare invece la parte relativa ai permessi ministeriali accordati alla Fininvest.
Quello che ne viene fuori è assolutamente sconcertante. Costruendo l'antenna a Chiampore prima
ancora che fosse varato il Piano frequenze nazionali, la Fininvest dava per scontato che le relative
autorizzazioni le sarebbero comunque state concesse. Del resto, eravamo nella “prima Repubblica”,
comandava Craxi, e Berlusconi era il portavoce ufficiale del “Caf”... Adesso, nella cosiddetta
“seconda Repubblica” comanda direttamente Berlusconi, ed è anche peggio, a giudicare dagli
ulteriori sviluppi di questa brutta storia".

La partita che la Fininvest gioca nell'etere ha assunto ormai aspetti grotteschi. Dopo avere
addomesticato una legge, quella detta Mammì, e un Piano frequenze, a proprio uso e consumo e
secondo i propri interessi (è su questo che indagano le Procure di Roma e di Milano), la Fininvest si
è impegnata nel tentativo di scardinare la Mammì là dove le norme di legge risultano non conformi
ai suoi piani egemonici. E' il caso di Chiampore.

Infatti, il Cctt di Trieste (con l'inizio del 1994 il controllo delle telecomunicazioni è passato dal
ministero delle Poste ai Circoli costruzioni regionali) ha ripetutamente ricordato alla Fininvest che
sul nuovo traliccio di Chiampore non avrebbero potuto "in nessun caso essere consentite
l'installazione delle antenne né tanto meno la trasmissione dei programmi... senza l'autorizzazione di
questo Circolo costruzioni. Si specifica inoltre che il punto di irradiazione previsto dal piano di
assegnazione delle frequenze coincide con le coordinate geografiche della (vecchia) postazione
attualmente utilizzata dalla Fininvest"; in parole povere, poiché il Piano frequenze ha assegnato alla
Fininvest il punto sul quale sorge la vecchia antenna, la società non può trasferire gli impianti sul
nuovo traliccio e tanto meno trasmettere senza l'autorizzazione del Cctt che per legge è costretto a
negargliela.

Antonio Farinelli, funzionario della direzione compartimentale Poste e Telecomunicazioni di


Trieste, ed ex segretario del sindacato di categoria, precisa: "Il tentativo della Fininvest di spostare i
ripetitori dalla vecchia antenna alla nuova è palesemente fuori legge. Il secondo comma dell'articolo
uno della legge 422 del 27 ottobre 1993 recita: “L'atto di concessione consente esclusivamente
l'esercizio degli impianti e dei connessi collegamenti censiti in base alla Mammì”. Il censimento in
questione ha individuato la vecchia antenna Fininvest. Poi è entrata in vigore un'altra legge
specifica, e anche in base a questa il punto di irradiazione delle reti Fininvest coincide con la
vecchia antenna. Di fronte a questi dati inequivocabili, se le emittenti RtiFininvest dovessero
trasmettere dalla nuova antenna, l'Escopost compartimentale sarebbe obbligata a disattivarla, come
è già accaduto di recente all'antenna di un'emittente privata sul monte Lussari (Tarvisio), oscurata
d'autorità: il titolare aveva commesso un abuso spostandola di alcuni metri perché nel vecchio sito
era disturbata dai canali Fininvest e Rai. Un fatto analogo è accaduto anche a Piancavallo, nei pressi
di Aviano in Friuli: Carabinieri e agenti Escopost sono intervenuti mettendo i sigilli a una stazione
privata. Quando accadono simili abusi, si alterano tutti gli equilibri a livello regionale e perfino
nazionale. Il groviglio di interessi, per cifre miliardarie, è incredibile. Nell'estate del 1994, la
Procura torinese ha disposto l'arresto di un ispettore del Cctt, Biagio Del Monaco, per piccoli
"favori" di questo genere a emittenti radiofoniche locali; anzi, proprio da questo episodio trae
origine il ciclone che si è abbattuto sul Circolo costruzioni del Piemonte con l'incarcerazione di
Giuseppe Mazzocchi. Posso dire che il sostituto Enrica Gambetta di Torino si avvale nelle indagini
della collaborazione del nostro Ezio Babuder, capo ispettore della direzione compartimentale di
Trieste... IL certo: se la Fininvest manderà in onda i programmi dalla nuova antenna di Chiampore,
verrà oscurata".

Ma le certezze di Farinelli “in nome della Legge” non considerano che la Fininvest sa porsi al
disopra della Legge, ovvero è in grado di mutarne i dispositivi a proprio piacimento come e più di
sempre oggi che Berlusconi è alla guida del governo. Così, a metà settembre 1994, l'ing. R.
Gigantino, capo della IV divisione del ministero delle Poste, dispone che "le emittenti che hanno
concessioni regionali [e cioè soltanto Fininvest e Rai NdA] possono effettuare eventuali
spostamenti di antenna che ritenessero necessari purché non creino disturbi alle altre emittenti" la
disposizione non è neppure firmata dal ministro, ma da un qualunque e zelante dirigente centrale del
ministero...

Esemplare delle scorribande Fininvest nell'etere pubblico, e degli stessi metodi berlusconiani, è
anche la grave e intricata vicenda di Telepiù.

Nell'autunno del 1990, subito dopo il travagliato varo della legge Mammì e mentre erano ancora in
corso i complessi adempimenti per la sua attuazione, con un proditorio colpo di mano la Fininvest
occupava l'etere con tre nuovi networks (Telepiù 123), riuscendo poi a ottenere, grazie a Craxi e al
sodale ministro Mammì, le relative concessioni governative22. Ma poiché le pur blandissime norme
antitrust previste dalla legge Mammì non le consentivano di detenere la proprietà di ben sei
networks sui dodici previsti, la Fininvest manteneva di Telepiù il solo dieci per cento (quota
massima prevista dalla legge) e intestava formalmente le rimanenti azioni a un gruppo di “amici”23.

Nell'ottobre 1994, mentre secondo insistenti voci i magistrati di “Mani pulite” avrebbero ormai
acquisito le prove del truffaldino raggiro della Fininvest in violazione della Mammì, Berlusconi
(divenuto presidente dei Consiglio proprio grazie alla sua proditoria occupazione dell'etere)
dichiara: "Non capisco quale fatto possa trovarsi che sia condannabile da un punto di vista morale e
penale... Quella legge Mammì ci ha fatto una violenza imponendoci di vendere il 90 per cento delle
quote di Telepiù. [Ecco perché] mi sono rivolto ad amici cui ho chiesto la cortesia di sottoscrivere
[le restanti azioni], amici cui abbiamo dovuto frettolosamente intestarle... Non riesco a capire
perché dei giudici possano impegnarsi in questa direzione, e mi sono venuti dei dubbi molto gravi,
sui quali lavorerò nei prossimi giorni". Ma intanto, sottobanco, il disinvolto “signor Tv” ha già
provveduto a modificare la legge a suo uso e consumo24.
I magistrati di “Mani pulite” sono arrivati a indagare sulla vicenda di Telepiù in seguito alle
inchieste per la corruzione all'interno della Guardia di Finanza milanese; secondo un sottufficiale
della GdF, reo confesso, vi sarebbe stato un episodio di corruzione da parte della Fininvest25 per
“addomesticare” le verifiche sul reale assetto azionario di Telepiù disposte dal sostituto procuratore
Maria Cordova e dal garante per l'editoria Giuseppe Santaniello.

Guardie e ladri

Preda di uno dei suoi periodici raptus di munifica prodigalità, nel maggio del 1989 Silvio
Berlusconi regala, sotto forma di “donazione”", la somma di mezzo miliardo: non all'Opera Pia
Bartocci, bensì a un ancora anonimo manager della Fininvest (già regolarmente, e si presume
lautamente, stipendiato) di nome Salvatore Sciascia. Il fortunato beneficiario si impegnerà subito a
fondo per corrispondere alla generosa regalia padronale, come le cronache di “Mani pulite”
provvederanno a dimostrare.

Inseguito da un mandato di cattura per corruzione spiccato dai magistrati milanesi, il 25 luglio 1994
(dopo alcuni giorni di latitanza) Salvatore Sciascia si costituisce. Nella sua veste di responsabile dei
servizi tributari della Fininvest, Sciascia è accusato di avere corrotto alcuni sottufficiali della
Guardia di Finanza per "addomesticare" i controlli fiscali presso tre società del gruppo
berlusconiano (Mondadori, Mediolanum e Videotime).

"Il primo caso risale al 1991, quando Sciascia ha pagato cento milioni, consegnati dal suo
dipendente Gianmarco Rizzi (un ex sottufficiale della Guardia di Finanza) al maresciallo Marco
Spazzoli. Il secondo caso riguarda la [Mondadori]: 130 milioni elargiti a fine '91 al colonnello
Angelo Tanca, che era già stato arrestato il 4 luglio per 400 milioni di mazzette raccolte da lui
presso varie imprese. Il terzo caso riguarda Videotime e si riferisce a fatti del 1989. Allora era
presidente e amministratore delegato della società Paolo Berlusconi26. Ed è proprio in questa sua
funzione che, nell'ordine di custodia di Sciascia, il fratello di Silvio Berlusconi viene indicato come
concorrente nel reato di corruzione. Epoca della vicenda, il 1989, durante un'ispezione fiscale alla
Videotime [ ... ]. Tre sono gli uomini della pattuglia della Guardia di Finanza: il maresciallo
Giuseppe Licheri (capo) e altri due suoi collaboratori: i marescialli Gaetano De Gennaro e Giuseppe
Sicuro [ ... ]. Che cosa succederà in seguito lo dice il Gip Padalino con queste parole: "Al termine
della verifica, fu lo stesso Sciascia a consegnare direttamente al maresciallo Licheri un pacco
contenente l'importo di lire 50 milioni in contanti, facendo presente che si trattava di un segno di
riconoscimento per la professionalità dimostrata nel corso delle operazioni di verifica". Finisce qui
la storia di ordinaria corruzione? No, il dottor Sciascia vuol essere sicuro di lasciare un altro segno
tangibile del Biscione nelle tasche dei tre marescialli: “Trascorsi alcuni mesi”, si legge ancora
nell'ordine di custodia, “Sciascia contattava nuovamente Licheri chiedendogli un incontro e
dandogli appuntamento in un ristorante di Milano”. Tutti insieme, Sciascia, Licheri, De Gennaro e
Sicuro si danno dunque appuntamento [e] alla fine del pranzo, la scena cambia: Sciascia si
appartava con il Licheri consegnandogli nuovamente un pacco che, anche questa volta, conteneva
50 milioni di lire in contanti, specificando peraltro che si trattava del saldo dell'importo in
precedenza consegnato"27.

Sciascia, che ammette i fatti addebitatigli per le mazzette Fininvest ai finanzieri reiconfessi, risulta
coinvolto anche in un'ulteriore verifica della Finanza con annessa corruttela una verifica
particolarmente scabrosa e rispetto alla quale il manager berlusconiano nega con tenacia ogni
addebito. "Pronto a ricordare ogni dettaglio dei regali alla Guardia di Finanza per Mediolanum,
Videotime e Mondadori, Salvatore Sciascia nulla [dice di sapere] di Telepiù, la paytv entrata nel
mirino degli inquirenti, di cui la Fininvest detiene il 10 per cento (primo azionista è oggi il magnate
della televisione tedesca Leo Kirch con più del 30 per cento, secondo è il sudafricano Johann
Rupert, e terzo l'immobiliarista Renato Della Valle, amico di Silvio Berlusconi). 0 meglio, rifiuta
l'accusa mossagli dal maresciallo Francesco Nanocchio (il primo arrestato che ha dato il via
all'inchiesta sul marcio nelle Fiamme Gialle) di aver regalato 25 milioni a lui e al maresciallo
Giuseppe Capone, anch'egli arrestato: un contributo per chiudere un occhio e non essere troppo
cunosì sugli assetti azionari della società [di Renato Della Valle] oggetto di una richiesta di indagini
da parte del sostituto procuratore di Roma, Maria Cordova, e dal garante per l'editoria, Giuseppe
Santaniello"28.

Secondo il maresciallo Nanocchio, nel corso della verifica fiscale da lui effettuata insieme al
collega maresciallo Capone alla fine del dicembre 1993 presso la società Fintele di Renato Della
Valle, i finanzieri avevano scoperto che gli ingenti capitali utilizzati per l'acquisto delle quote di
Telepiù avevano una strana provenienza: "Nel controllare Della Valle ho rovistato tra le carte
dell'ufficio e ho trovato documentazione secondo la quale il denaro utilizzato dallo stesso per
acquistare le quote di Telepiù proveniva da una banca straniera. Preciso che l'operazione di acquisto
delle quote è stata effettuata a nome di una società del gruppo Della Valle di cui Della Valle aveva
N per cento. La provvista per acquistare le quote era stata creata tramite un finanziamento soci che
proveniva, per quel che riguarda Della Valle, da Montecarlo, e per quanto riguarda gli altri soci da
un versamento in conto capitale, materialmente erogato dalla banca straniera, con ipoteca a favore
della banca straniera medesima sulle quote di Telepiù. La scoperta ha disturbato Della Valle [che si
è lamentato del fatto che io avessi trovato e riportato agli atti la documentazione]. Capone ha
litigato con me e io mi sono allontanato dalle indagini. Alla fine delle indagini Capone mi ha
portato i 25 milioni, che ho pensato gli avesse consegnato Salvatore Sciascia della Fininvest perché
già precedentemente Sciascia aveva detto a Capone che alla fine ci avrebbe fatto un regalo. Sciascia
seguiva le indagini di Telepiù perché all'inizio noi siamo andati alla Fininvest, in quanto
proprietario, originario di Telepiù era il gruppo Fininvest, che ha poi mantenuto una partecipazione
limitata al solo 10 per cento. Sciascia ha comunicato a Capone che ci avrebbe fatto “un regalo”
quando ancora io lavoravo con Capone e stavamo controllando Telepiù".

Sciascia nega tutto, e si capisce: se emergesse la prova di quanto da tempo si sospetta, e cioè che la
Fininvest, attraverso prestanome, detiene il controllo di Telepiù, a norma della legge Mammì i tre
networks berlusconiani (Canale 5, Italia 1 e Rete 4) si vedrebbero revocate le concessioni statali e
verrebbero oscurati29.

In verità, il fido Sciascia si era già attivato, in passato, per favorire l'operazione Telepiù, e l'aveva
fatto alla sua spregiudicata maniera, spronato dalle regalie padronali e confortato dalla fattiva
complicità del solito ministro delle Finanze craxiano: "Comincia nel 1991 la lunga lotta di Salvatore
Sciascia per ottenere, da una parte, l'applicazione di un'aliquota Iva del 4 per cento sugli
abbonamenti a Telepiù e, dall'altra, la promozione di Ludovico Verzellesi, il direttore generale per
le imposte indirette e le tasse che aspirava a una poltrona di consigliere della Corte dei Conti grazie
a una raccomandazione di Silvio Berlusconi. L'avventura, stando al rapporto della Guardia di
Finanza, parte con un no di Verzellesi che esprime “ovvie” perplessità sulla possibilità di applicare
un'aliquota così bassa. Sciascia scrive allora al suo superconsulente Viganò30 “rammaricandosi dei
parere negativo espresso dall'organo centrale finanziario soprattutto perché non preannunciato da...
un avviso telefonico”. I rapporti di Sciascia con gli uffici finanziari dello Stato sono infatti
solitamente ottimi. Tanto che spesso i dirigenti pubblici concordano con lui in anteprima le risposte
da dare alle istanze del gruppo Fininvest. E infatti anche Verzellesi su Telepiù finisce per cambiare
idea. Il 30 dicembre '91 comunica di essere riuscito a far firmare dal ministro delle Finanze Rino
Formica una circolare con cui l'aliquota Iva del 4 per cento viene approvata. Ventiquattro giorni
dopo, Sciascia chiede a Berlusconi di interessarsi per la promozione di Verzellesi. In giugno
Formica propone Verzellesi come consigliere della Corte dei conti"31.
La magistrale pertinenza della regalia berlusconiana al fedele adepto Salvatore Sciascia viene
celebrata quando tra le carte sequestrate nell'abitazione privata del manager Fininvest i magistrati
trovano copia dei verbali “supersegreti” stilati dalla Guardia di Finanza sul conto di alcune delle
società berlusconiane.

Ma il "direttore dei servizi tributari" Fininvest Salvatore Sciascia è ben più di un semplice
"manager" votato al sacrificio. Oltre a ricoprire cariche di vertice in 15 società del gruppo
berlusconiano32, risulta essere l'amministratore delegato di tre nevralgiche società dell'oscura
galassia Fininvest: Videt, Nodit e Sodif. "[Tre società un pò speciali]: nei portafogli di Videt, Nodit
e Sodif è custodita una quota di minoranza della Fininvest. Esattamente il 5,7 per cento. Sodif e
Videt controllano infatti la Holding Italiana Sesta [ ... ] titolare del 3,8 per cento della capogruppo.
Mentre Nodit e Videt detengono il 50 per cento della Holding Italiana Settima, che ha in mano un
altro 3,8 per cento della Fininvest"33. Interpellato dal settimanale “Il Mondo” nel gennaio 1994 in
merito alle tre società delle quali riveste la carica di amministratore delegato, Sciascia dichiara:
"Non sono in grado di dare chiarimenti perché non mi occupo di queste società. Non ne so proprio
nulla".

Il presidente di Videt, Nodit e Sodif risulta essere Livio Gironi; come Sciascia, anche Gironi, nel
1989, ha ricevuto dall'equanime Berlusconi una “donazione” presidenziale di mezzo miliardo.

Chiasso Torino Milano Agrigento

Adriano Galliani è uno degli storici colonnelli dello stato maggiore berlusconiano. Da sempre
responsabile del versante “tecnico” dei networks Fininvest, dei quali è stato “l'architetto”, il ruolo di
Galliani è quello di abile e potente yesman fiduciario di Berlusconi, al quale è legato a doppio filo.

Già inquisito dalla magistratura romana per lo scandalo del “piano frequenze” connesso alla Legge
Mammì e a un passo dal finire in carcere per concussione34, nella sua veste di amministratore
delegato del Milan Calcio Galliani risulta coinvolto da protagonista nello scandalo relativo al
passaggio del calciatore Gianluigi Lentini dal Torino al MilanFininvest (primavera 1992): si parla
di miliardi “in nero" e “sporchi” provenienti dalla Svizzera, di falso in bilancio e evasione fiscale;
l'inchiesta nasce dalle deposizioni dell'ex parlamentare craxiano Mauro Borsano (all'epoca dei fatti
presidente del Torino Calcio, beneficiario del denaro sporco, a sua volta inquisito dalla
magistratura), e si incrocia con vicende di narcodollari e riciclaggio in terra elvetica.

"Il 23 febbraio [1994], davanti al magistrato milanese, è comparso Mauro Borsano, l'ex presidente
del Torino. Dettagliato, e con alcuni retroscena inquietanti, il suo racconto. Borsano dice di aver
trattato l'affare solo con Galliani in persona. Il primo accordo prevedeva il pagamento di 14 miliardi
e 500 milioni di cui 4 miliardi anticipati in “nero”, senza regolare registrazione contabile. Le
trattative vanno per le lunghe, sorgono problemi. Borsano chiede un aumento. L'accordo è per 18
miliardi e mezzo più un “nero” tra i 6 miliardi e 500 milioni e gli 8 miliardi e mezzo. Borsano
chiede, e ottiene, che il pagamento avvenga estero su estero. Ed è a questo punto che salta fuori la
Albis di Chiasso, banca d'affari legata alla finanziaria Fimo, già al centro di altri scandali. Uno degli
uomini della Fimo è Giuseppe Lottusi, mente finanziaria del clan dei Madonia, l'uomo che teneva i
contatti con il cartello della droga di Medellin. Lottusi, condannato a 20 anni di carcere per
riciclaggio a Palermo, è detenuto a Pianosa, l'isola dei boss. I soldi, provenienti dalla Unione
Banche Svizzere di Lugano, arrivano alla Albis, li vengono trasformati in Cct e poi monetizzati
dallo studio Cambio Corso di Torino, controllato da Emilio Aloisio, il proprietario della banca
Albis"35.
Interrogato dai magistrati nel merito delle ammissioni del Borsano, Galliani si è avvalso della
facoltà di non rispondere ma non ha certo mancato di precisare a verbale: "La trattativa col Torino
per Lentini è stata condotta tutta da me, solo da me... Mi sono occupato solo io della vicenda ... "
una tesi smentita dallo stesso calciatore oggetto della vicenda36. Da parte sua, il Berlusconi Silvio
presidente del MilanFininvest, notoriamente a conoscenza perfino delle pratiche sessuali dei
calciatori rossoneri, a tutta prima ha dichiarato: "Cado dalle nuvole... Nego qualunque
coinvolgimento in questa storia"; e successivamente, ripresosi dalla caduta dalle nuvole, alla notizia
che l'inchiesta giudiziaria prosegue il suo corso ha proclamato indignato: "Ho la netta sensazione di
vivere in uno Stato di polizia... Mi sento oggetto di una caccia alle streghe".

***

Alle trattative per il passaggio del calciatore Lentini al Milan, ha preso parte attiva, per conto della
Fininvest, anche un avvocato il cui nome figura nel collegio sindacale della società Milan Calcio: si
tratta di Massimo Maria Berruti, un personaggio la cui biografia e il cui operato risultano
illuminanti.

Nato in provincia di Potenza nel 1947, già ufficiale della Guardia di Finanza, Massimo Berruti a
metà degli anni Ottanta era finito in carcere a Milano in seguito al suo coinvolgimento per
concussione nello scandalo IcomecMetropolitana milanese37. Lasciata la Guardia di Finanza,
Berruti si era dato all'avvocatura, e aveva aperto uno studio a Milano, nella centralissima Galleria
del Corso 2, attiguo allo studio di commercialista tenuto da suo fratello Diego Maria Berruti.

Fatto è che i due Berruti l'avvocato Massimo Maria, e il commercialista Diego Maria risultano
essere soci di esponenti di .Cosa Nostra in alcune società da tempo nel mirino dell'Antimafia. Nella
società Xacplast srl (produzione e lavorazione di materie plastiche) di Ribera (Agrigento), Massimo
Berruti è socio al 40 per cento, mentre il 50 per cento è intestato a Laura Marino, cognata del boss
Salvatore Di Ganci il quale è legato ai corleonesi di Totò Riina38; il restante 10 per cento della
società è intestato al “gorilla” Accursio Di Mino. Secondo alcuni rapporti del Gruppo Carabinieri di
Agrigento, l'avvocato Massimo Berruti farebbe parte di una società intestata a parenti del capomafia
di Sciacca o a suoi affiliati. Quando la Xacplast srl si trasforma in Miratur srl con scopo sociale
“agenzia di viaggi”, il profilo mafioso della società si precisa ulteriormente: il 95 per cento della
società è intestato a Vincenza Bono, moglie del Di Ganci, e il 5 per cento al guardaspalle Vincenzo
Leggio.

Ma Massimo e Diego Berruti sono tra i soci fondatori di una seconda società la Co.fi.l. spa che nelle
sue propaggini siciliane riconduce da un lato ancora al boss Salvatore Di Ganci, e dall'altro alla
cosca Infranco legata a Giuseppe Madonia (il numero 2 di Cosa Nostra arrestato nel 1992 per
omicidio, traffico di stupefacenti, e riciclaggio di denaro sporco). Responsabile della filiale della
Co.fi.l. a Sciacca è il commercialista Giovanni Lupo; secondo i Carabinieri di Agrigento, Lupo ha
legami di parentela coi boss Di Ganci, e insieme al ragionier Eugenio Trafficante (che opera nel suo
stesso studio) "risulta vicino ad ambienti mafiosi già nel 1981 in quanto entrambi sindaci in una
società di Leonardo Infranco, noto capocosca della zona, condannato nel 1985 dalla Corte d'Assise
di Palermo per associazione a delinquere".

La storia della Co.fi.l. spa ha un antefatto. Il 10 febbraio 1983, a Milano, era stata costituita la
Fincreber srl dal cognome dei fondatori: il commercialista Aurelio Cresta (ex tenente colonnello
della Guardia di Finanza), e i due fratelli Berruti; la finanziaria disponeva di un capitale sociale di
21 milioni sottoscritto in parti uguali dai tre soci; l'8 giugno successivo, Cresta e i Berruti avevano
sottoscritto paritariamente l'aumento di capitale a 210 milioni, e l'operazione aveva coinciso con la
trasformazione della società in Co.fi.l. (Compagnia finanziaria e di leasing) spa. Il 30 aprile 1984,
Aurelio Cresta lascia il consiglio di amministrazione della finanziaria, e i due fratelli Berruti
adeguano lo statuto a due soli soci, e concorrono a un nuovo aumento di capitale a 300 milioni: per
88 milioni Massimo, per 3 milioni Diego. Tra l'83 e l'84, la Co.fi.l. apre quattro sedi secondarie: a
Pavia, a Brugherio39, a Benevento e a Sciacca il fatto è perlomeno singolare, poiché il volume
d'affari della finanziaria risulta nei primi anni alquanto modesto (nell'ordine di alcune centinaia di
milioni, costituiti essenzialmente da beni in leasing), con bilanci deficitari.

La svolta, per la Co.fi.l., si registra nel 1989, ed è nel segno della Fininvest (invero, già nel 1984 la
strana finanziaria berrutiana aveva evidenziato a bilancio crediti a breve verso la Videotime spa del
gruppo Fininvest). Il 30 maggio 1989, infatti, viene insediato un nuovo consiglio d'amministrazione
della Co.fi.l.: nuovo consigliere delegato, con tutti i poteri di firma libera, è Vito Saponaro
(consigliere di amministrazione di PublitaliaFininvest, al fianco di Marcello Dell'Utri); nel collegio
sindacale si insediano ben tre commercialisti del giro Fininvest: Luigi Palleroni, Salvatore Sciascia,
Gianfranco Polerani. Ma il 30 maggio 1989, la Co.fi.l. ha anche un nuovo azionista, detentore
dell'intero capitale sociale della finanziaria: la Summit finanziaria spa. Fondata solo un anno prima,
la Summit risulta parcheggiata presso lo studio del commercialista berlusconiano Sergio Brambilla
Pisoni, che ne è anche l'amministratore unico.

Benché nell'orbita del colosso Fininvest, i bilanci della Co.fi.l. spa continuano a registrare
consistenti deficit di bilancio: l'esercizio 1989 si chiude con perdite per L. 525 milioni. E nonostante
il nuovo consiglio d'amministrazione deliberi nello stesso 1989 la chiusura delle strane "sedi
secondarie" della finanziaria, le sedi di Benevento (il cui procuratore è Giuliana Giuliano) e di
Sciacca (gestita dal citato Giovanni Lupo) rimangono attive.

La Co.fi.l., ormai parte dell'impero Fininvest, nel maggio 1993 verrà assorbita per incorporazione
dalla Mondadori leasing spa. Anche i valorosi fratelli Berruti verranno inglobati nell'impero
berlusconiano: l'avvocato Massimo Maria nello staff dei legali Fininvest; il commercialista Diego
Maria nei collegi sindacali della Isim (Italiana sviluppo e investimenti mobiliari), della Grt
(Gestioni radio televisive, guidata da Adriano Galliani), della Silvio Berlusconi Editore spa, e della
Sodif spa (detentrice di quote delle misteriose holdingcasseforti dell'impero berlusconiano).

Nell'ambito dell'inchiesta che a Milano vede coinvolti alcuni ufficiali e sottufficiali della Guardia di
Finanza, rei confessi di avere intascato mazzette pagate da aziende (tra le altre, da alcune società del
gruppo Fininvest) sottoposte a verifiche fiscali, l'l 1 agosto 1994 Massimo Berruti finisce in carcere
con l'accusa di favoreggiamento. Uno dei finanzieri corrotti dalla Fininvest (130 milioni pagati tra il
'91 e il '92 per addomesticare una verifica alla Mondadori), il tenente colonnello Angelo Tanca (da
poco responsabile della DiaDirezione Antimafia di Milano), ha rivelato ai magistrati di avere
ricevuto da Berruti, per il tramite del maresciallo Alberto Corrado (ex finanziere, poi collaboratore
della Fininvest), pressioni per tacere ai magistrati la mazzetta intascata durante la "verifica" alla
Mondadori.

L'ex maresciallo Alberto Corrado conferma le ammissioni del colonnello Tanca, e dichiara ai
magistrati: "Due giorni prima del mio incontro con il Tanca, avevo visto l'avv. Berruti [il quale] mi
disse: “Sei in grado di parlare con Tanca per dirgli, nel caso venisse coinvolto nell'inchiesta, di
tacere assolutamente su un accertamento fatto alla Mondadori?”. Alla mia risposta affermativa, il
Berruti aggiunse: “Riferiscigli anche che [se tacerà] otterrà un adeguato riconoscimento da parte
della Mondadori”. Uno o due giorni dopo telefonai al col. Tanca dicendogli che volevo vederlo; lui
rispose che non vi erano problemi e di andarlo a trovare negli uffici della Dia [ ... ]. Gli dissi che
venivo per conto di Berruti, il quale non voleva farsi vedere negli uffici della Dia o comunque della
Guardia di Finanza [ ... ]. Subito dopo l'incontro telefonai al Berruti sul cellulare ma mi rispose
l'autista dicendomi che Berruti era impegnato in un comizio (mi sembra che fosse l'ultimo giorno
della campagna elettorale per le elezioni europee). Qualche giorno dopo il Berruti mi richiamò e io,
nel riferirgli dell'esito dell'incontro, ebbi anche a dirgli che Tanca mi aveva assicurato di non aver
ricevuto alcuna informazione di garanzia [verrà arrestato un mese dopo, NdA] [ ... ]. Il Berruti
giustificò la richiesta [di tacere ai magistrati la bustarella Mondador4 NdA] dicendomi che se
fosse emerso un coinvolgimento della Mondadori nell'inchiesta sulla Guardia di Finanza ciò
avrebbe sicuramente danneggiato la politica di Berlusconi. D'altra parte io sapevo che il Berruti era
un legale di Berlusconi".

Pochi giorni dopo il suo arresto per favoreggiamento, Massimo Berruti viene raggiunto da un
secondo ordine di custodia cautelare, per "concorso in concussione": secondo i magistrati, avrebbe
aiutato un sottufficiale della Finanza a intascare una mazzetta di 350 milioni pagata da un
imprenditore (Aurelio Farina) per eludere un controllo fiscale. Della vicenda è parte la
commercialista Maria Luisa Paxi40, alla quale il corrotto giudice Diego Curtò41 nel 1989 aveva
posto sotto sequestro due appartamenti.

Biscioni ruggenti

Il “Wall Street Journal” del 2 agosto 1994 informa che la Securities and Exchange Commission
(l'ente federale americano che controlla le società quotate in Borsa) ha in corso un'inchiesta
sull'affaire Metro Goldwin Mayer e sull'ambiguo ruolo che vi ha avuto la Fininvest.

"La vicenda che ha portato il presidente del Consiglio italiano e la sua holding Fininvest nel mirino
della Securities and Exchange Commission (Sec), la Consob americana, è la scalata alla
Mgm/United Artists da parte di due italiani, Giancarlo Parretti e Florio Fiorini. Una vera e propria
soap opera finanziaria, cominciata nel 1990 e finita dopo pochi mesi con la cacciata di Parretti dalla
poltrona di boss della casa di produzione cinematografica, poltrona costata oltre un miliardo di
dollari alla banca francese Crédit Lyonnais e agli altri finanziatori dell'operazione. Berlusconi,
racconta il “Wall Street Journal”, intervenne per aiutare gli scalatori in un momento cruciale, con un
prestito di 100 milioni di dollari e un “impegno irrevocabile” a versare altri 50 milioni di dollari in
cambio di una partecipazione dell'8,33 per cento nella Mgm/Ua. Il problema, e la causa
dell'inchiesta aperta dalla Sec, è che nella documentazione presentata all'ente di sorveglianza
borsistica americana i 100 milioni di dollari non figuravano come prestito, ma come pagamento per
l'acquisto da parte di una società del gruppo Fininvest dei diritti sulle edizioni in lingua italiana e
spagnola di film MgIn/Ua. I documenti presentati da Parretti, compresi quelli della affiliata
Fininvest, avrebbero quindi nascosto alla Sec l'esistenza di un accordo privato fra Berlusconi e
Parretti, poi venuto alla luce, che garantiva al primo la restituzione dei 100 milioni di dollari, con gli
interessi, qualora avesse rinunciato ai diritti sui film. Ed è proprio quello che Berlusconi ha fatto,
subito dopo il fallimento della scalata di Parretti e Fiorini, ottenendo dalla Mgm/Ua il rimborso, a
rate, della somma prestata. Per far luce su questo episodio, riferisce il quotidiano americano, e
chiarire se siano stati commessi illeciti, la Sec ha convocato a Washington, nel 1992, Carlo
Bernasconi, responsabile delle attività Fininvest nel campo dello spettacolo. E la promessa di
acquistare una partecipazione nell'Mgm/Ua per 50 milioni di dollari? Chiamata a rispettare
l'impegno irrevocabile” dal Crédit Lyormais, la Fininvest, secondo il quotidiano finanziario, aveva
preso tempo. Successivi solleciti non avevano avuto alcun esito, e alla fine il Crédit Lyormais aveva
chiesto un incontro con i responsabili della Fininvest per risolvere la questione. In un meeting
organizzato nel gennaio 1991, riferisce il “Wall Street Journal”, Berlusconi aveva fatto rilevare che
la data del 23 novembre 1990 menzionata nella lettera era passata e che, dato che la Mgni/Ua non
aveva sollecitato il pagamento in tempo utile, la Fininvest non era più obbligata a rispettare
l'impegno irrevocabile”. Nel corso dell'incontro, ha detto al “Wall Street Journal” un legale che era
presente, “Silvio Berlusconi aveva spiegato di avere fatto un favore al suo amico Parretti”. Il
quotidiano americano sostiene che, oltre al prestito di 100 milioni di dollari e alla promessa di altri
50 milioni, Berlusconi aveva aiutato il “suo amico” Parretti e Fiorini presentandoli a diverse banche
americane, francesi e olandesi che avrebbero potuto concedere crediti per la scalata alla Mgm/Ua.
Le referenze di Berlusconi, in particolare, avrebbero convinto il Crédit Lyonnais a finanziare i due
scalatori"42.

Mentre la Fininvest “smentisce” le notizie riportate dall'autorevolissimo quotidiano americano, uno


dei protagonisti della vicenda, il faccendiere Giancarlo Parretti, conferma "punto per punto" le
parole del “Wall Street Journal”, e ricostruisce le varie tappe della scalata "italiana" alla gloriosa
Mgm: "Berlusconi da tempo segue il nostro tentativo di rilevare la grande major americana. A lui
interessa il catalogo dei film per poterli trasmettere con le sue reti televisive: ci offre allora di
comprare per 208 milioni di dollari i diritti di trasmissione in Italia e in Spagna di mille film di
proprietà della Mgm. La proposta ci piace e la Fininvest versa puntualmente la somma. Ma e di
questo io non sono al corrente contemporaneamente Fiorini firma una lettera che consente a
Berlusconi di recedere quando vuole dall'accordo e di recuperare i 208 milioni di dollari più gli
interessi maturati nel frattempo [ ... ]. Questa lettera andava resa nota subito. La Mgm è una public
company, una società quotata, e pertanto secondo la legge americana non devono esistere accordi
segreti che privilegino azionisti importanti e altri gruppi a scapito degli azionisti di minoranza.
Quando Berlusconi, forte della lettera, compra solo una parte dei diritti e bussa a quattrini, la Mgm,
che nel frattempo ha già investito la somma, si trova in difficoltà. Di qui il calo del titolo in Borsa e
i danni per i piccoli azionisti. Ecco perché la Sec indaga... A ottobre [1990] sono io a bussare alle
porte del Cavaliere. Mi mancano 50 milioni di dollari per arrivare al miliardo e 350 milioni chiesti
da Kerkorian [Kirk Kerkorian, patron della Mgm, NdA]. Berlusconi si mostra disponibile e si
impegna ad acquistare il 21 novembre l'8,33 per cento della Mgm, appunto per 50 milioni di dollari.
E qui c'è sotto un fatto abbastanza insolito. La Fininvest ottiene dal Crédit Lyonnais Nederland un
prestito di 50 milioni di dollari per perfezionare la manovra. Scopro poi che il 21 novembre il
Lyonnais, che oltre a finanziare agisce anche da banca intermediaria, concede una proroga fino alla
fine del mese. Berlusconi ha quindi tempo fino al 30 per pagare e ritirare le azioni. Ma il 23 si ritira
accampando questa scusa: “Poiché il giorno 21, data originaria per la scadenza dell'accordo, non mi
sono state consegnate le azioni Mgm, non mi ritengo più vincolato. Pertanto non le compro”. Ma il
Lyonnais nel frattempo ha già dichiarato alla Sec che la Fininvest è subentrata come azionista. Una
dichiarazione falsa, nella sostanza, quella della banca, che autorizza la Sec a intervenire”"43.

Il duo ParrettiFiorini aveva concluso un primo affare con la Fininvest nel 1988, cedendole per 70
miliardi le sale cinematografiche della Cannon Italia. Del resto, in precedenza tra Parretti-Fiorini e
Berlusconi vi erano già state altre sintonie: tutti e tre gli affaristi erano legatissimi a Bettino Craxi;
nel 198 1, l'allora direttore finanziario dell'Eni, Florio Fiorini, era stato tra i protagonisti, insieme al
piduista craxiano Leonardo Di Donna e al banchiere piduista Roberto Calvi, delle ruberie craxiane
approdate sul conto svizzero “Protezione” un'operazione concepita all'interno della Loggia P2 alla
quale Berlusconi era affiliato.

"L'interlocutore di Berlusconi nell'operazione Mgm/Ua, secondo la ricostruzione del "Wall Street


Journal", era stato Giancarlo Parretti, mentre Florio Fiorini, l'ex dirigente dell'Eni, considerato la
mente finanziaria dell'accoppiata responsabile della scalata alla casa di produzione hollywoodiana,
era rimasto defilato. Il quotidiano americano, però, mette in luce i collegamenti tra la Fininvest e
Fiorini emersi dalle carte del fallimento della Sasea Holding Sa, la finanziaria di Fiorini, che ora
sono all'esame dei giudici svizzeri. il primo collegamento riguarda la Scotti Finanziaria, una società
che aveva in portafoglio importanti beni immobili. Dopo averne acquisito il controllo, scrive il
quotidiano americano, Fiorini aveva liquidato il patrimonio immobiliare, acquistando con il ricavato
partecipazioni in imprese industriali, dal “Wall Street Journal” definite “praticamente senza valore”
prelevate dal portafoglio titoli della Sasea. “In questo modo” ha detto al giornale un avvocato che si
è occupato del caso, "in due anni sono scomparsi 500 miliardi di lire". Alcuni immobili della Scotti
erano stati venduti, nel 1989, alla Fininvest, che li aveva pagati 52 miliardi. Un'altra operazione che
ha avuto per protagonisti Berlusconi e la Sasea, ricostruita dal “Wall Street Journal”, risale al 1990
ed è collegata alla scalata alla Mgm/Ua. Documenti in possesso degli investigatori svizzeri indicano
che Berlusconi aveva garantito alla Banca Popolare di Novara un prestito di 50 milioni di dollari
alla Mgm, che a sua volta aveva prestato la somma alla Sasea. La holding di Fiorini, quindi, aveva
girato i 50 milioni di dollari al Crédit Lyonnais, come pagamento parziale degli 1,3 miliardi di
dollari che Parretti si era impegnato a pagare per il 100 per cento delle azioni Mgm/Ua. In sostanza,
oltre ai 100 milioni di dollari del prestito alla Mgm/Ua contestato dalla Sec e ai 50 milioni di dollari
promessi dalla Fininvest per l'8,33 per cento della casa cinematografica, Berlusconi era impegnato
nella scalata con altri 50 milioni di dollari di garanzie prestate a Fiorini"44.

Nell'intrico FioriniBerlusconiCrédit Lyormais è stato parte attiva anche il manager Fininvest Livio
Gironi, il quale Gironi, nel maggio 1989, ha ricevuto da Berlusconi una personale “donazione” di
mezzo miliardo.

Ma i sodali craxiani di Berlusconi, Parretti & Fiorini, nello stesso periodo 198990 intrattenevano
rapporti, oltre che con la Fininvest, anche con Cosa Nostra, nella persona del boss mafioso Michele
Amandini: "Chiacchierati lo sono da tempo. Ma ora, per la prima volta, emergono collegamenti
precisi e documentati tra la coppia Florio FioriniGiancarlo Parretti e la criminalità organizzata [ ... ].
Tra il novembre 1989 e il settembre 1990 alla Halldomus e alla Finlocat [losche società finanziarie
dichiarate fallite, NdA] si avvicinarono strani personaggi per tentare impossibili salvataggi. Il più
attivo fu Michele Amandini, domicilio a Lugano, rappresentante della Blax Corporation di Vaduz,
in Liechtenstein. Oggi i giudici sanno che la Blax è una scatola finanziaria fondata nell'ottobre 1989
con un capitale sociale di soli 50 mila franchi svizzeri (all'epoca poco più di 45 milioni di lire
italiane). Ma soprattutto sanno che Amandini è un boss di rango. Nella recente maxiinchiesta
antimafia chiamata NordSud hanno scoperto che è affiliato a un'organizzazione mafiosa che fa capo
alle famiglie calabresi impiantate a Milano, le famiglie Morabito, Sergi, Papalia. E che è
personalmente coinvolto nel traffico d'eroina e in alcuni sequestri di persona (Cattaneo, Jacorossi,
Rancilio). Amandini, come rappresentante della Blax, si installò negli uffici della Halldomus già
sull'orlo della bancarotta e la rilevò, impegnandosi a ricapitalizzare la società [ ... ]. Ma chi c'era
dietro la Blax Corporation? La coppia Fiorini-Parretti [ ... ]. Un altro personaggio che in quell'estate
del 1990 entrò nella partita è Vittore Pascucci, avvocato e faccendiere [ ... ]. Ma Pascucci,
scoprirono poi i magistrati, è anche l'avvocato che i pentiti della "Duomo connection" indicano
come un tramite tra le cosche e i giudici, un intermediario che trattava con le toghe compiacenti per
cercare di "aggiustare i processi". La vicenda giunse al culmine con la fine dell'estate, quando la
proprietà Halldomus, dietro cui si muoveva la compagnia FioriniParretti-Amandini, decise di
portare i libri in Tribunale. La loro strategia, molto probabilmente, era quella di abbandonare la
Halldomus, carica di debiti, tenendosi invece, per spolparle fino all'osso, le altre società del gruppo,
tra cui Finlocat, Finlocat Factoring, Finlocat Sud e alcune immobiliari, perlopiù debitrici della
Halldomus, che faceva da banca del sistema. A giudizio dei magistrati milanesi, un fallimento
giudiziario non suscitava allora eccessiva preoccupazione nei nuovi padroni della Halldomus, anche
perché nel Palazzo di giustizia di Milano correvano i tempi d'oro di Diego Curtò, il presidente del
Tribunale che nel settembre 1993 sarebbe stato arrestato per corruzione nell'ambito del caso
Enimont"45.

Intanto, mentre il plurinquisito Parretti (arrestato nel 1991 per evasione fiscale) si dichiara
entusiasta del governo Berlusconi, dal carcere ginevrino di Champ Dollon dove è detenuto per la
bancarotta della sua finanziaria svizzera Sasea (ottobre 1992) Florio Fiorini invia alla magistratura
milanese periodici “memoriali” nei quali ricorre spesso il nome di Silvio Berlusconi.

Vassalli, valvassori, valvassini


Il 4 marzo 1994, la Procura di Milano dispone l'arresto, per corruzione, di Sergio Roncucci, già
dirigente Fininvest e al momento “capo delle relazioni esterne” della berlusconiana Edilnord.
Roncucci ammette di aver versato tangenti per circa un miliardo, tra il 1988 e il 1990, a funzionari e
amministratori comunali, per sbloccare un piano di lottizzazione della Edilnord presso il Comune di
Pieve Emanuele46. Roncucci, vero esperto di “relazioni esterne” di tipo corruttivo per conto del
gruppo Berlusconi, risulta già tra gli imputati, insieme a Paolo Berlusconi, nel processo per le
discariche lombarde accusato di aver versato 150 milioni “neri” alla Dc lombarda.

Durante la detenzione, l'indefesso Roncucci ammetterà di avere corrotto con mazzette (800 milioni)
il sindaco craxiano di Pioltello, Michele Rossetti, e altri amministratori dei comune, nel 1988, in
cambio di licenze edilizie a favore della Edilnord. Ma il nome di Roncucci "era spuntato anche
nell'inchiesta sulla "Duomo connection". Nell'ottobre'90 l'assessore [craxiano] Attilio Schemmari
era finito nei guai per un'intercettazione nella quale si parlava di una tangente per “il Ronchetto”:
secondo la Procura, era un'area da lottizzare; secondo l'indagato, poteva essere “anche un
cognome”. E si pensò all'uomo della Edilnord"47.

Indagando sui bilanci e sulle fatture di PublitaliaFininvest, nel marzo 1994 i magistrati della
Procura milanese chiedono l'arresto, tra gli altri, di Romano Luzi. Fx maestro di tennis di
Berlusconi e al momento venditore di pubblicità per il gruppo Fininvest, Luzi è titolare di una
strana società con sede a Monza, la Conaia srl, i cui bilanci sono palesemente fasulli.

In un rapporto della Guardia di Finanza ai magistrati, è riportato un elenco di fatture pagate dalla
Conaia per capi di abbigliamento consegnati a Silvio Berlusconi & Signora nella villa di Arcore (35
milioni); ma sul conto della società dell'ex maestro di tennis c'è ben altro: "Acquisto di barche a
vela dal valore miliardario e auto superlusso (Porsche, Rolls Royce, Bentley, Jaguar, Aston Martin)
che non si giustificano se si guarda all'oggetto sociale della Conaia (pubblicità), nonché fatture
emesse dalla Conaia a carico di PublitaliaFininvest per operazioni inesistenti, con due scopi: creare
spese fittizie per la Publitalia stessa e per i suoi bilanci, creare risorse o fondi neri"48.

Interrogato dai magistrati, a Luzi viene chiesto: "In ordine alle provvigioni e altro ricevute da
Publitalia tra il 1990 e il 1994, ammontanti a L. 9.256.275.000, può indicare dove si trovano i
contratti citati nelle rispettive fatture, contratti che la Guardia di Finanza dice di non aver trovato
nella sede della Conaia?", e l'ex termista berlusconiano risponde: "Non so dove si trovano i contratti
citati nelle fatture. Potrebbe darsi che si trovino in Publitalia ovvero che non siano stati stipulati in
quanto c'era con Publitalia un rapporto fiduciario. Prendo atto della singolarità delle mie
affermazioni, ma ribadisco che il rapporto con Publitalia non aveva bisogno di assumere un
carattere formale".

I magistrati sospettano che "la Conaia di Luzi, anche se non controllata da Publitalia, ne sia in realtà
un'emanazione di fatto, buona per tutti gli usi, per accontentare inserzionisti di rispetto della
Fininvest (ad esempio, assegni per 70 milioni sono finiti a Franco Bosisio, rappresentante legale
della società che vende gli

orologi Swatch) o per pagare le ferie e prestar soldi a Marcello Dell'Utri. Si prenda il caso delle
sponsorizzazioni di regate veliche: nel mirino è finita la Bepi, una barca a vela di 16 metri di Luzi,
che doveva sponsorizzare il marchio Publitalia per 850 milioni, tra il 1989 e il 1990 [ ... ]. Nel
luglio 1991 la Bepi viene venduta a Stefano Cagliari, figlio dell'ex presidente [craxiano] dell'Eni
morto suicida a San Vittore. Una cessione molto dubbia, data la differenza del prezzo pagato a Luzi
(200 milioni) e il valore risultante dalla polizza assicurativa stipulata per la Bepi (750 milioni).
Infatti, secondo la Finanza, “L'operazione potrebbe integrare un partico lare meccanismo idoneo a
far pervenire al Cagliari Stefano utilità, per motivi allo stato non noti, ma che potrebbero
ricollegarsi, per ovvie ragioni, a rapporti tra Publitalia e società dell'Eni”. Utilità, si aggiunge,
valutabili intorno al miliardo di lire"49.

I traffici di Romano Luzi non cessano di sorprendere: la sua Conaia ha pagato alla famiglia di
Marcello Dell'Utri le vacanze natalizie a Madonna di Campiglio (199293); lo stesso Dell'Utri, il 16
febbraio 1993, ha incassato un assegno del Luzi di 60 milioni

("Dell'Utri mi ha chiesto un prestito ", dichiara Luzi ai magistrati sfidando il ridicolo). Ma l'ex
maestro di tennis berlusconiano risulta anche debitore verso il Monte dei Paschi di Siena per oltre
un miliardo: prestito garantito da una fideiussione della Fininvest.

Le indagini dei magistrati milanesi intorno ai maneggi e alle truffe contabili di PublitaliaFininvest
portano alla ribalta della cronaca giudiziaria perfino un pornoregista, Lorenzo Onorati (in pornoarte,
Lawrence Weber). "Tra i tanti documenti raccolti dai Superispettori [del Fisco] c'è una lettera
autografa di Dell'Utri che incarica Onorati di trovare nuovi clienti in cambio del 10 per cento del
fatturato annuo procacciato. E due fatture della società di Onorati, la Panam International
cinematografica [a carico di Publitalia] causale: “acquisizione 'Clienti Nuovi' per investimenti sui
networks Publitalia” per complessivi 448 milioni più Iva, pari addirittura al 66 per cento
dell'investimento procurato dall'in termediario: una sponsorizzazione di 680 milioni della pasta De
Cecco alla trasmissione “Buon Compleanno”, in onda su Canale 5 dall'ottobre '90 al gennaio '91,
per celebrare il decennale della Tv di Berlusconi. Ma non solo. Il Secit ha anche scoperto e
segnalato ai magistrati il ritorno nelle casse del gruppo Fininvest di qua si la metà dei soldi pagati
da Publitalia a Onorati. Dei 448 milioni accreditati al pornoattore dalla Istifi spa, la tesoreria del
gruppo Fininvest, ben 206 milioni sono poi finiti alla Mediolanum Vita, la società d'assicurazione
del Biscione. A pagamento di premi per le polizze vita di quattro discendenti della numerosa
dinastia De Cecco Giuseppe Aristide, Filippo Antonio, Maria, Giuseppe"50.

Nel governo che si insedia nel giugno 1994, il presidente del Consiglio Berlusconi nomina
sottosegretario alla presidenza del Consiglio il vicepresidente della Fininvest Gianni Letta,
determinando così una epocale innovazione: per la prima volta nella storia repubblicana, a Palazzo
Chigi si installa un viceministro mentre è sotto inchiesta per corruzione e concussione e per il quale
la magistratura romana ha chiesto l'arresto.

L'untuoso Letta, già ciambellano di Andreotti, risulta infatti coinvolto nello scandalo del “Piano
frequenze” relativo alla Legge Mammì ma è poi stato generosamente compensato: con una
"donazione" berlusconiana di lire 3 miliardi.

Il 27 maggio 1994, l'amministratore delegato di Mondadori Pubblicità (gruppo Fininvest) Umberto


Cairo viene interrogato dai magistrati milanesi di “Mani pulite”: è indagato per falso in bilancio e
frode fiscale.

"L'istruttoria non riguarda [direttamente] i conti del gruppo [Fininvest] ma una piccola società
monzese, la Publivis 85 sas, che si occupa di produzioni pubblicitarie. La maggioranza delle quote
della Publivis appartiene a Cairo e a un suo familiare. Secondo i magistrati questa piccola società
avrebbe emesso fatture false in favore di Publitalia, il colosso pubblicitario Fininvest amministrato
da Marcello Dell'Utri. Dagli accertamenti della Guardia di Finanza è stata individuata
documentazione, ritenuta fittizia, per un importo vicino ai quattro miliardi [ ... ]. Lo schema dei
rapporti tra la Publivis e Publitalia sarebbe simile a quello già individuato dalle Fiamme Gialle per
altre società "sponda". Secondo la Procura, il gruppo Fininvest si servirebbe di piccole sigle,
amministrate da dipendenti della Fininvest, senza attività reale. Lo scopo di questi "satelliti"
sarebbe quello di fornire fatture e certificazioni per scaricare miliardi dai bilanci della holding
Fininvest. Soldi impiegati poi per pagamenti in nero ai manager che affidano contratti a Publitalia,
per l'acquisto di beni di lusso, e per fondi paralleli agli stessi dirigenti Fininvest"51.

Nell'ambito dell'inchiesta milanese sulla corruzione all'interno della Guardia di Finanza, l'11 luglio
1994 finisce in carcere l'avvocato d'affari craxiano Calogero Cari. Già tra gli imputati per la
colossale corruttela partitica della maxitangente Enimont, Cari viene arrestato perché accusato di
avere corrotto con una bustarella da 50 milioni il maresciallo della Finanza Livio Ballerini (reo
confesso) durante un controllo fiscale presso il suo studio milanese.

La mazzetta della corruttela sarebbe stata versata da Calì anche per conto di Renato Della Valle
(amico e socio di Silvio Berlusconi) per “coprire” un affare sospetto: "Si tratta della vendita di un
immobile da parte della Banca Nazionale del Lavoro al prezzo di 160 miliardi. Il complesso era poi
passato a un mediatore, la Finprogetti di Carlo Patrucco, che l'aveva ceduto a Della Valle con un
guadagno enorme. Nel novembre del 1990 le Fiamme Gialle si interessano alle fatture emesse per
questa operazione, alcune delle quali intestate a Calì"52.

L'avvocato Calì, già effettivo nei ranghi del clan affaristico di Bettino Craxi, era stato il legale della
Fininvest nel corso dell'assalto berlusconiano alla Mondadori (198990).

L' 11 luglio 1994, nel carcere napoletano dove è detenuto, vengono notificati all'ex ministro della
Sanità Francesco De Lorenzo 17 nuovi capi d'imputazione; riguardano anche una tangente di 300
milioni versatagli dal consulente Fininvest Aldo Brancher in relazione alla campagna pubblicitaria
televisiva antiaids effettuata dal ministero.

Giovanni Marone, ex segretario “pentito” del supercorrotto ministro De Lorenzo, ha dichiarato ai


magistrati: "Vi era un buon rapporto di conoscenza tra i vertici Fininvest e De Lorenzo. Aldo
Brancher e Valeria Licastro, entrambi della Fininvest, nell'approssimarsi delle decisioni relative alle
ripartizioni del “piano mezzi” mi ricordavano di tenere presente la Fininvest al fine di riservargli
una maggiore fetta di pubblicità. A tangibile dimostrazione dei risultati ottenuti, la Fininvest versò
in due occasioni 150 milioni in contanti. Fu Brancher in persona a consegnarmi quei soldi
nell'ufficio della mia società: la Marone assicurazioni. Brancher mi disse che si trattava di un
riconoscimento a De Lorenzo per l'attenzione dimostrata. Posso inoltre dire che la Fininvest
omaggiava il Pii degli spot pubblicitari realizzati in occasione delle varie campagne elettorali [ ... ].
I pagamenti avvennero in concomitanza con l'approvazione e l'attuazione del “piano mezzi” della
campagna ministeriale antiaids di cui ha beneficiato la Fininvest con i cui vertici, in particolare con
Silvio e Paolo Berlusconi e con Fedele Confalonieri, il ministro De Lorenzo era in ottimi rapporti.
[Infatti] il problema degli organi di comunicazione pubblici e privati e quindi anche della Fininvest
era di avere una presenza significativa nel “piano mezzi”, ovvero nella ripartizione delle risorse
finanziarie che il ministro aveva globalmente stanziato per la campagna pubblicitaria. Le risorse
erano nell'ordine dei 3040 miliardi all'anno". Il consulenteFininvest Aldo Brancher (arrestato nel
giugno 1993) ha ammesso il pagamento di 300 milioni, ma ha negato che si trattasse di una
tangente.

Come e più di De Lorenzo, il mattatore del colossale scandalo detto “Malasanità” è stato
individuato nel direttore del ministero Duilio Poggiolini, già “fratello” di Silvio Berlusconi nella
Loggia P2 alla quale entrambi erano affiliati.

li 14 luglio 1994, presso la Procura della Repubblica di Torino, viene interrogato Giampaolo
Prandelli, direttore generale di PublitaliaFininvest; il manager berlusconiano è indagato dalla
magistratura torinese per una vicenda di false fatture emesse a carico di Publitalia dalla Mgp e dalla
Gpa, due società pubblicitarie che fanno capo a Vittorio Missoni (figlio del noto stilista Ottavio) e
al latitante Giovanni Arnaboldi (ex pilota di offshore, colpito da ordine di arresto per aver occultato
i documenti contabili della Mgp).

"L'indagine torinese su Publitalia ha molti punti in comune con quella milanese di “Mani pulite”: il
più evidente è che entrambe sono partite dai conti di società di pubblicità accusate di
“sovrafatturare” i compensi ricevuti dall'azienda Fininvest. A Torino i Pin Cristina Bianconi e Luigi
Marini hanno raccolto il lavoro della Guardia di Finanza che ha rovistato nelle carte di Mgp e Gpa,
le due società che procuravano gli sponsor ai team di offshore. Ma non solo: con Publitalia,
Arnaboldi e il socio Missoni avevano rapporti d'affari che andavano al di là dell'ambiente della
motonautica. In tre anni dal 1991 al '93, ma per il figlio dello stilista le responsabilità di
amministratore sono più limitate nel tempo le loro Mgp e Gpa hanno fatturato 12 miliardi
all'azienda Fininvest; senza questa indagine, i miliardi sarebbero saliti a otto nel solo'94. Fiamme
Gialle e magistrati sospettano che proprio le fatture fossero funzionali alla creazione di fondi neri in
casa Publitalia. Così come il pool milanese di "Mani pulite" ha individuato nella Conaia dell'ex
maestro di tennis Romano Luzi (altra piccola società per la “promozione pubblicitaria”) un analogo
referente, per le fatture false, dell'azienda Fininvest [ ... ]. A Torino l'inchiesta naviga ancora nel
riserbo quasi assoluto della magistratura. Il quasi sta per le ammissioni strappate dall'evidenza dei
fatti, come la presenza degli indagati negli uffici dei Pm. Ieri quella di Prandelli, nei giorni scorsi di
Missoni junior e di un terzo personaggio, che doveva essere sentito come testimone e che si è
presentato invece con il suo avvocato: “Ciò che devo dire può essere penalmente rilevante per me”,
ha esordito Mariano Giglio, direttore commerciale della Zambeletti e candidato di “Forza Italia”
alle regionali in Sardegna. A Giglio erano finiti assegni di Arnaboldi per Prandelli. “Denaro in nero
corrispostomi per le intermediazioni con Publitalia: procuravo clienti". Denaro poi investito in
immobili e finanziarie"53.

Celebre e magnificato anche per la sua prodigalità, Silvio Berlusconi è infatti solito dispensare
“donazioni” a parenti, “amici” e servitori vari (principesche elargizioni prosaicamente escluse dalla
tassazione Irpef); tra i fortunati beneficiari come risulta dall'Anagrafe tributaria non solo la sua
mamma, le sue mogli, i suoi figli e suo fratello, non solo i vari Dell'Utri, Confalonieri, Letta,
Sciascia e compagnia, ma anche persone ignote alle cronache: "Un bel pacco di milioni, tra il 1989
e il'92, sono stati donati dal Cavaliere a persone che certo gli hanno reso preziosi servigi: 293
milioni a Candia Camaggi, 300 a Mariella Bocciardo, 500 ad Antonia Rosa Costanzo, e 730 milioni
a Emanuele Mussida"54.

Calze, false fatture, truffe e elicotteri

L' 11 luglio 1989, la società di pulizie Milan Nova srl (costituita nel 1977, sede a Milano) viene
posta in liquidazione volontaria. In data 19 ottobre 1990 la liquidazione viene revocata, e la
riesumata società muta denominazione, oggetto sociale, amministratore e sede: diviene European
Group Service srl, sede in località Valle Ambrosia di Rozzano (Milano), via Monviso 90, con
amministratore unico dapprima tale Adele Messina, e dal 28 giugno 1991 tale Adriano Pradal
(l'inizio ufficiale dell'attività è del 22 novembre successivo); l'oggetto sociale della ex impresa di
pulizie è di quelli all'apparenza stravaganti: "La produzione di calze, di cinture in pelle ed altri
materiali; l'attività nel settore della pubblicità, dell'incremento e della promozione delle vendite e
delle produttività, dell'addestramento professionale e delle pubbliche relazioni; l'attività grafica
applicata allo studio di confezioni, imballaggi e materiale pubblicitario in genere per i punti vendita.
Può inoltre svolgere attività di organizzazione di campagne e di corsi istruttivi per l'incremento e la
promozione delle vendite e della produttività, la produzione di opuscoli sulle tecniche di vendita, di
audiovisivi didattici e informativi; l'acquisto e la gestione in proprio dei necessari mezzi di
comunicazione; l'organizzazione di viaggi, convegni, riunioni e congressi anche a scopo di
incentivazione didattica ... ".
Adriano Pradal, il nuovo amministratore della neonata European ex Milan Nova, è titolare di un
piccolo laboratorio di calze ("Prema"), a conduzione familiare e con due operai, situato nel
medesimo edificio di via Monviso 90, ma con ingresso nella parallela via Monte Rosa 115.
L'attività della "Prema" viene dunque inglobata nella European Group Service, della quale oltre che
amministratoreprestanome il Pradal risulta essere intestatario del 10 per cento delle quote sociali,
mentre le restanti quote sono intestate per il 45 per cento a tale Piero Accardi (nativo di Marsala), e
per il restante 45 per cento a Adele Messina (nativa di Marsala). Accardi e Messina sono i
prestanome dei due effettivi gestori della European Group Service: Guglielmo Parrinello (detto
“Uccio”), e Guglielmo Tobia55 (pure lui detto “Uccio”), cugini per via materna, entrambi nativi di
Marsala, entrambi pluriprotestati per assegni a vuoto e cambiali non onorate (la prestanome Adele
Messina è nipote del Parrinello).

Il bizzarro scopo sociale della magniloquente European Group Service produzione di calze e
cinture, e le più disparate attività nel settore della pubblicità risulta comprensibile alla luce di due
fatti: la neocostituita società diviene subito fornitrice della Standa (la catena di grandi magazzini
della Fininvest ha la sua direzione generale a circa 300 metri dalla sede della European Group
Service), dalla quale riceve commesse di calze e cinture; Guglielmo Parrinello è da tempo e a vario
titolo legato allo storico prestanome di Berlusconi, Romano Comincioli, il quale Comincioli è un
dirigente di Publitalia'80, la concessionaria di pubblicità Fininvest presso la cui sede, a Milano 2, il
Parrinello è infatti di casa e dove prende parte a frequenti e non meglio precisate “riunioni”56.

Il rapporto EuropeanFininvest è così congegnato: la Standa sottoscrive “impegni d'ordine”


(quantitativamente molto superiori a quello che sarà poi l'ordine effettivo) di calze e cinture; la
European, nella persona del Parrinello, ottiene subito dalla Mediolanum (Fininvest), con operazione
di factoring, l'anticipo della somma equivalente all'impegno d'ordine, al tasso del 17 per cento57 -
l'operazione è “garantita” da fideiussioni personali, per l'importo di svariate centinaia di milioni, dei
pluriprotestati e “nullatenenti” Parrinello58 e Pradal, con la regia di Comincioli.

Gli ordini della Standa rappresentano la totalità del fatturato della European, e attraverso la
Mediolanum ne finanziano l'attività è cioè la Fininvest che determina l'attività della European,
commissionando calze e cinture (Standa) e anticipandone il fatturato (Mediolanum); ma a partire
dal settembre del 1992, quando i quattro operai della ex “Prema” e “La Cintura” sono costretti a
dimettersi perché da mesi senza stipendio, gli impegni d'ordine della Standa servono anche quale
“garanzia” per ottenere stock di calze e cinture da fornitori esterni e “contoterzisti”, forniture che la
European consegna poi al grande magazzino Fininvest59.

Il Parrinello alterna la sua “clandestina” presenza negli uffici della European Group Service (dove è
sempre presente il prestanomeamministratore Adriano Pradal) con incontri e riunioni nella sede di
Publitalia '80, a Milano 2. Del resto, il suo legame con Comincioli non è solo di tipo affaristico:
d'estate, il Parrinello, con moglie e figli, viene ospitato dallo storico prestanome berlusconiano in
terra di Sardegna, a poca distanza da Cala Ginepro, unitamente alla famiglia Messina.

La European Group Service opera con un conto corrente acceso presso la sola agenzia milanese di
cui dispone la Banca Sella (piccolo istituto di credito con sede a Biella). Un funzionario dell'agenzia
è in stretti rapporti col Parrinello, e la banca riserva infatti alla European un trattamento di favore.
Anche l'altro socio occulto della European, Guglielmo Tobia grazie al Parrinello è in rapporti con la
compiacente agenzia milanese della Banca Sella. Fatto è che nel giro di poco tempo, l'esposizione
della European con la banca biellese diviene così cospicua da risultare insostenibile, e per porvi
rimedio i pluriprotestati e “nullatenenti” Parrinello e Tobia (unitamente alle rispettive consorti,
anch'esse pluriprotestate) sottoscrivono pile di cambiali.
Nella primavera del 1992, la European accende un conto corrente presso l'agenzia milanese di via
Previati del Banco di Desio e della Brianza. Anche qui, un compiacente funzionario riserva al
Parrinello un trattamento fuori dalla legge, pagando assegni scoperti o trattenendoli in attesa della
relativa copertura. Nel successivo autunno, la direzione del Banco dispone la chiusura del conto
intestato alla European, e il funzionariocomplice viene licenziato il Parrinello gli prometterà, quale
“risarcimento”, un nuovo posto di lavoro alla Fininvest...

Ma intorno alla European gravitano anche usurai e malavitosi di origine siciliana. Frequenti e
minacciose sono le telefonate di tale “Salvatore” (intestatario di cambiali European “protestate”) e
di tale “Donato” i quali lasciano ultimativi messaggi di “sollecito” destinati al Parrinello. Finché, ai
primi di ottobre 1993, gli uffici della società vengono fatti oggetto di un notturno attentato,
incendiario dall'evidente scopo intimidatorio; a quel punto, il Parrinello evita la permanenza nella
propria abitazione milanese di pi a De Angeli, e si rifugia per un certo periodo nell'abitazione di un
faccendiere tedesco, tale Hermann Gartz, a Opera (Milano).

La truffaldina ragion d'essere della European Group Service srl, società nata all'ombra della
Fininvest, si manifesta ancor prima del suo ufficiale inizio di attività (22 novembre 1991):
nell'ottobre 1991, e il successivo lo novembre, su personale disposizione telefonica di Romano
Comincioli, la European emette due prime false fatture, rispettivamente per Lit. 220 milioni e per
Lit. 160 milioni, a carico della Paka Publicitas (società con la quale la European non intrattiene
alcun rapporto commerciale).

La Paka Publicitas srl è una società dell'orbita Fininvest: come per diverse altre società
berlusconiane, infatti, l'atto costitutivo, datato 16 aprile 1987, è del notaio Franco Zito, e la sua sede
sociale è nella milanese via Crispi 5/A, recapito presso il quale sono ubicate altre società della
Fininvest. Soci ne sono la "casalinga" Silvana Mondin, e il "militare" Vittorio Comincioli (figlio di
Romano Comincioli), entrambi residenti a Milano 2, i quali sono gli intestatari dell'intero capitale
della Paka, il cui scopo sociale abbraccia un vasto spettro di attività “terziarie” (dalle pubbliche
relazioni al marketing, dal merchandising alle ricerche di mercato, dall'intermediazione mobiliare e
immobiliare a quella finanziaria ... ). Inizialmente il presidente del consiglio di amministrazione
della società comincioliana è il ragionier Angelo Brambilla Pisoni (la cui residenza risulta essere
anch'essa in via Crispi 5/A); ma in data 6 novembre 1990, il consiglio si dimette, e gli subentra,
quale amministratore unico, tale Giancamillo Cucca (nativo di Frignano, provincia di Caserta, e
residente a Segrate, nei pressi di Milano 2) un probabile prestanome sul genere di quelli che hanno
caratterizzato, negli anni, tutto il divenire del gruppo Fininvest.

La Paka Publicitas opera con un conto corrente acceso presso la Banca Rasini, il piccolo istituto di
credito socio di Berlusconi nei primi anni Sessanta e inquisito dalla magistratura, nei primi anni
Ottanta, perché coinvolto nel giro milanese della “mafia dei colletti bianchi”60.

La vicenda della European assume nuovi contorni con la comparsa di un faccendiere di origine
tedesca, Hermann Bernhard Gartz, il quale, a partire dai primi mesi del 1993, comincia a
frequentarne assiduamente la sede di Valle Ambrosia di Rozzano; ma il tedesco comincia a
frequentare anche l'ufficio di Comincioli, a Milano 2, presso la sede di Publitalia '80.

Non è dato sapere molto sul conto del Gartz: un oscuro passato in Germania (dove è nato, a Alfeld,
nel 1943), la dedizione all'affarismo e ai più oscuri traffici, e la propensione agli assegni a vuoto.
Fatto è che il tedesco, per ottenere il permesso di soggiorno, risulta inizialmente domiciliato a Pieve
Emanuele, presso l'abitazione di Adriano Pradal; quindi assume la residenza nel comune milanese
di Opera (dove ha “acquistato”, a colpi di assegni a Vuoto61, l'appartamento che ospiterà anche il
Parrinello minacciato), accende un conto corrente presso l'agenzia milanese della Banca Sella, e tra
un incontro e l'altro presso la sede di Publitalia 180 allaccia una relazione sentimentale con una
segretaria di Comincioli62. Nel frattempo, l'amministratoreprestanome della European, Adriano
Pradal, viene condotto a Francoforte, dove vengono costituite due nuove società la European Group
Service Gmbh, e la Telekommunication Gmbh delle quali il Pradal risulta essere
l'amministratoreprestanome, mentre il Gartz dispone dei poteri di firma.

Nell'autunno del 1993, il ruolo dei losco faccendiere tedesco diviene più esplicito. Dopo vari fax
intercorsi fra la European e la fabbrica polacca Pzl Swidnik inerenti una partita di elicotteri, nel
gennaio 1994, presso la sede di Publitalia '80, alla presenza di Comincioli, del Gartz, del Parrinello,
di alcuni emissari polacchi e tedeschi, e di un militare chiamato dagli astanti “Comandante Pozzi”,
viene stipulato un singolare “contratto” (poi sottoposto alla firma di Marcello Dell'Utri) cosi
concepito: il dottor Eiferdinger, in nome e per conto della Falcon Elicopter (Landshut
MonacoBerlino), cede il mandato di vendita per l'Italia alla European Group Service srl per svariate
centinaia di milioni63; Publitalia'80 acquista no 20 elicotteri al prezzo complessivo di Lit. 60
miliardi, somma intesa sottoforma di non meglio precisati “spazi pubblicitari” sulle reti televisive
Fininvest. Nell'ambito di tale operazione, Publitalia '80 riserva alla ditta di calze e cinture European
Group Service srl, quale compenso per la “intermediazione” (!), una somma pagata “in natura”, cioè
attraverso la cessione di spazi pubblicitari che la European realizzerà cedendoli a propria volta a
vari committenti64.

Intanto, l'attivismo del Gartz diviene frenetico: avvalendosi degli uffici e del recapito della
European, l'oscuro faccendiere allaccia rapporti con i più disparati istituti bancari in Kuwait, Belgio,
Lussemburgo, e naturalmente in Svizzera (si reca più volte, accompagnato dal Parrinello, in una
banca di Ginevra); attraverso un amico londinese, dispone poi l'apertura di due società e di due
conti bancari in Irlanda, dove i polacchi della Pzl Swidnik dovrebbero accreditare la provvigione
spettante alla European per la vendita degli elicotteri alla Fininvest. E mentre dalla Germania gli
pervengono solleciti di pagamento, minacce, e preannunci di nuovi guai giudiziari per reati valutari,
Gartz tratta partite di dinari libici fatti transitare in una banca del Kuwait, e partite di oro a Malta;
dispone inoltre la vendita di sue azioni, collocate presso una banca belga, a un siciliano che
compare al suo fianco e col quale intrattiene “rapporti d'affari”...

La European Group Service, frattanto, è arrivata ad assommare protesti cambiari per un importo
complessivo vicino al miliardo di lire. Nell'estate del 1994, la strana società viene dichiarata fallita
dal Tribunale di Milano.

INDICE DEI NOMI

Abeltino Ettore 74 Alamia, Francesco Aloisio, Emilio 72, Andreatta,


Paolo 167,168, 239 Beniamino 123
Accardi, Piero 256 17071,
Amandini, Michele Andreotti, Giulio
Accinni, Filippo 180,187,189 71, 71, 24748 17, 43, 85, 12122,
1718
Alberto Gerlando Amato, Giuliano 12528, 138, 183,
Agnelli Gianni 134 159 197, 205 184, 191, 197, 219,
252
Agnes, Biagio 106 Albisetti Edy 74 Ambrosio, Franco
42 Angelin~ Carlo 73
Ajello, dottor 18, Alliata di
3537 Montereale, Amodio, Massimo Aniasi, Aldo 21
Giovanni 144 37, 40, 40
Annigoni, Pietro Ballinari Arno 11820, 124, 129, Bongianino, Piero
97 5960, 62, 63 134, 21724, 23233, 71

Anselmi, Tina 146 Balzamo, 249,253 Bongiorno, Mike


Vincenzo 44, 221 225
Arbasino, Alberto Berlusconi, Pier
133 Barchi Pierfelice Silvio 101 Bono, Alfredo 66,
73 159, 178, 179, 184,
Ascaini, Giuseppe Bernardini, 184
126 Bartolini, Miriam Bernardino 73
(aUs Lario, Bono, Giuseppe
Arlacchi, Pino 204, Veronica) Bernasconi, Carlo 6667, 159, 164,
20608, 212, 212 44, 222, 245 178, 184
75, 197,250
Arnaboldi, Bertani, Filippo Bono, Vincenza
Giovanni 254, 255 Baschragel, Hubert 35, 40 240
58
Ascione, Berruti, Diego Bonomi, Anna 169
Guglichno Bassetti Piero 43 Maria 23943
11920,190 Bonomi, Ivanoe 80
Battaglia, Antonio Berruti, Massimo
Assaraf, Joseph 56 210 Maria 23943 Bontate, Francesco
183
Auch~ Nadhmi S. Benatoff, Aaron 56 Bianconi, Cristina
58 254 Bontate, Stefano
Bergamasco, 122, 172, 180, 183,
Babuder, Ezio 229 Giorgio 8287, Biondi, Alfredo 200,
9193, 9697 112, 213
Badalamenti, 202
Gaetano 122, 127 Berienghi Carlo Bisconcini,
113 Roberto 240 Bonzi, Leonardo
Bagarella, Leoluca 1316, 20, 26, 27,
210 Berfinguer, Enrico Bisignani, Luigi 27
133 74, 111
Bagnasco, Orazio Bordon, Willer 227
58 Bertini, Pino 58 Bitocchi, Renzo 73
Borghese, Junio
Balducci, Berlusconi, Bocca, Giorgio 5, Valerio 144
Alessandro 93 Barbara 75 38, 42, 42, 104
Boroli, Pietro 230
Balducci, Berlusconi, Bocciardo,
Domenico 93, 127, Eleonora 75 Mariella 255 Borsani, Lidia
127 1416, 18, 49, 5556,
Berlusconi, Luigi Bolkiah, 63
Ballerini, Egidio 67, 164 Muizzaddin W.
73 Hassanal 100 Borsano, Mauro
Berlusconi, Maria 72, 238
Ballerini, Livio Elvira 101 Bonetti, Silvio 67,
252 164 Borsellino, Paolo
Berlusconi, Paolo 16263
4344, 62, 69, 112,
Bosco, Emanuele Cacciafesta, Remo Campana, Casati Stampa di
17980 128 Pierfrancesco 60 Soncino, Camillo
7986,
Bosisio, Franco Cademartori, Campana, Pierluigi
250 Remo 59 60 91, 94, 95, 97,
10304, 152, 162
Bossi vedova Cagliari, Gabriele Cancemi,
Borsani, Maria 16, 250 Salvatore ("Totò") Casati Stampa di
18, 27, 49, 165, 165, Soncino,
Cagliari, Stefano Alessandro 80
55 25051 20002,205
Caselli, Gian Carlo
Botta, Giovanni 56 Cairati, Luigi 94, Capone, Giuseppe 20708, 212
94 204, 234
Botteri, Giuseppe Cecchi, Umberto
218 Cairo, Umberto Carabba, 146
252 Ferdinando 102
Bottino, Giovanni Cecchi Gori, Mario
97, 99 Caizzi, Ivo 191 Carboni, Flavio 8, 230
57, 72, 100, 127,
Bozzi, Antonio 94 Cari, Calogero 127, Cecchi Gori,
25253 Vittorio 230
Brambilla, 137, 13839
Marinella 8 Calò, Giuseppe Cederna, Camilla
("Pippo") 100, 122, Carenini, Egidio 43
Brambilla Pisoni, 127, 29
Angelo 259 Cerina, Fabrizio
127, 162,162, 183, Caristi, Angelo 112
Brambilla Pisoni, 201 167,168, 17980,
Sergio 242 187 Cesqui, Elisabetta
Calò, Vincenzo 145
Brancher, Aldo 257 Carollo, Gaetano
221, 25354 159 Charrey, Jean
Caltagirone, Francois 56
Brecciaroli, Paolo fratelli 106, 127 Caroni, Guido 60
190 Ciampi, Carlo
Caltagirone, Caronna, Marcello Azeglio 231
Breffani, Giorgio Gaetano 106, 106, 172
167, 171 12627, 130 Ciancimino, Vito
Caruana, famiglia 92, 147, 154, 167,
Brovelli, Elda 15, Calvi, Fabrizio 162 185, 204 168,
49, 57
Calvi, Roberto 52, Casaccia, Mario 169, 170, 170, 182,
Brucia, Domenico 57, 62, 70, 100, 221 185, 189, 201, 204
179 106, 124,
Casati Stampa di Cinà, Gaetano 172,
Buscetta, 125, 132, 134, 135, Soncino, 175, 180, 186
Tommaso 127, 137, 13841, 246 Annamaria
159, 162, 206 Cierici, Giuseppe
Camaggi, Candia 79104, 108, 152, 120
255 162
Cohen, Henry 56 Cordova, Agostino Cuntrera, Paolo De Cecco,
143 184 Giuseppe 251
Collor de Mello,
Fernando 69 Cordova, Maria Curtò, Diego 8, De Cecco,
226, 231, 234 171, 189, 190, 243, Giuseppe Aristide
Colombo, Emilio 243, 248 251
21 Corona, Armando
13839, 143 Cusani, Sergio 45, De Cecco, Maria
Colombo, 111, 235 251
Gherardo 72,195 Corona, Ketty 143
D'Adamo, Antonio De Falco, Antonio
Colombo, Corrado, Alberto 42,55 82
Vittorino 43 242
D'Agata, Federico De Gennaro,
Comincioli, Costanzo, Antonia 159 Gaetano 233
Romano Rosa 255
8,127,127,138, Dall'Oglio, Carla De Gennaro,
Cotti, Gianfranco Elvira 36 Gianni 212, 212
25762 60
Dall'Oglio, Giorgio Delgado Upegui,
Cominciol~ Cottier, Jean Pierre 36 Gustavo 183
Vittorio 259 56
Dal Santo, Della Lucia,
Confalonieri, Cragnotti, Sergio Giovanni 96, 96, Giorgio 152, 154,
Fedele 8, 10, 10, 58 100, 153 157, 162, 171,
43, 44, 103,
Craxi, Bettino 8, D'Ambrosio, 172, 173, 174, 175,
139, 22122, 253, 15, 18, 4345, 53, Gerardo 188 175, 176, 178, 179,
255 6970, 180,
D'Angerio, Luigi
Conso, Giovanni 72, 75, 75, 106, 157 182, 186, 189, 190
205 107, 113, 113, 124,
125, D'Arcangelo, Dell'Ambrogio,
Conte, Carmelo Michele 194 Mauro 68
118 128, 129, 134, 135,
135, 141, 191, 219, D'Arcangelo, Tito Dell'Amore,
Conte, Romano 66, Livio 184 Giordano 130
159, 184 221, 222, 228, 230,
246, 253 Da Rios, Giovanni Della Puppa,
Contorno, fratelli 32 Gaetano 167
200 Cresta, Aurelio
241 De Bac, Gustavo Della Valle,
Contorno, 137 Raffaele 31, 31
Giuseppe 162, 201 Cresti, Giovanni
124 De Benedetti, Della Valle,
Contorno, Carlo 107 Renato 68, 230,
Salvatore Cuoca, 23435, 253
("Totuccio") 20001 Giancamillo 259 De Cecco, Filippo
Antonio 251 Dell'Osso,
Corazzini, Daniele Cuntrera, famiglia Pierluigi 53
68 185, 190, 204
Dell'Utri, Alberto Di Donna, Donelli, Massimo Fallarino Casati
8, 151, 161, 167, Leonardo 246 218 Stampa di Soncino,
17072, Anna
Di Ganci, Doninelli, Ercole
17879, 182, 18593, Salvatore 24041 5962 7986, 91, 94, 95,
197, 20004, 213 97, 97, 10304, 152,
Di Gangi, Filippo Doninelli, Stefania 162
Dell'Utr~ Marcello Giacomo 240 5960, 63
8,56,67,75,88,88,9 Fameli, Antonio
2,92, Di Lenardo, Flavio D'Onofrio, 204
10 Francesco 112
103, 105, 108, 113, Fanfani, Amintore
151213, 241, Di Maggio, Dotti, Vittorio 9, 9 125, 128
25052, Francesco 68, 68,
212 Dragone, Umberto Fanini, dottor 125
255,261 17
Di Mino, Accursio Farina, Aurelio
Del Mese, Paolo 240 Drommi, Giuseppe 243, 243
112 80
Din~ Claudio 103 Farinelli, Antonio
Dei Monaco, Ducry, Jacques 68 229
Biagio 229 Dini, Larnberto
112 Duft, Peter 58 Ferrara, Giuliano 9
De Lorenzo,
Francesco 25354 Diotallevi, Ernesto Eiferdinger, dottor Ferrari, Alberto
127 261 124, 137
Dei Ponte, Carla
52, 68 Di Pietro, Antonio El Hady Salma, Ferrecchi, Giorgio
61, 62, 72, 74, 111, Bey 113 7374
De Martino, 112,
Francesco 135 Enea, Antonio 66, Ferrecchi, Renato
120, 198, 198, 222 164 7374
De Megni,
Augusto 125 Di Pisa, Alberto Enea, Salvatore Ferreira Pena,
180 159 Donizete 71
De Michelis,
Gianni 14243 Di Tondo, Epaminonda, Fidanzati, Antonio
Marcello 29, 29 Angelo 159, 181 161
De Mita, Ciriaco
146 Dominioni, Oreste Escobar Gaviria, Fidanzati, Carlo
M Pablo 183 161
de Toledo, Edu. 71
Donà Dalle Rose, Evangelisti, Franco Fidanzati, fratelli
Dettori, Francesco Pier 84, 86 126 161
35, 37
DonatCattin, Carlo Faber, Jean 58 Fidanzati, Gaetano
Diana, Mario 137 29, 130, 131, 184 66, 159, 161
Falcone, Giovanni
Di Befia, Franco Donati, Walter 154 188, 209 Fidanzati,
125, 130, 13233, Giuseppe 161
140 Faldetta, Luigi 100
Finetti, Ugo 217 Frigerio, Gervaso, Roberto Graziadei,
Gianstefano 219 13233, 140 Gianfranco 137
Finocchi, Michele
74,113 Frongia, avvocato Ghidella, Vittorio Grimaldi, Michele
143 58 73
Fiori, Publio 146
Fumagalli Carulli, Ghirardelli, Grut, Yvette 168,
Fiorini, Florio Ombretta 45 Valerio 194 184
7071, 24448
Fusi, Paolo 64, 68 Giacalone, Davide Guaglianone,
Fiscalini, Elio 61, 22526 Pasquale 100
62 Gaeta, Carmelo 66
Giallombardo, Guarino, Mario 7
Fiscalini, Laura 61 Galante Garrone, Mauro 75, 235
Alessandro 145 Gui, Luigi 24
Flamigni, Sergio Giammanco, Pietro
121, 124, 139, 146 Galliani, Adriano 209 Guido, Raffaele
72, 22526, 23839, 137
Floresta, Ilario 204 242 Giasoli, Ilio 131
Hefti, Christopher
Fontana, Enrico Galli Della Loggia, Gigantino, R. 229 59
211 Ernesto 106
Giglio, Mariano Hjman, Morton P.
Fontanelli, Silvio Gambazzi, Marco 255 56
41 58
Giliberti, Claudio Hoffer, Enrico 95
Forlani, Arnaldo Gambetta, Enrica 66, 160
139, 191, 219 225, 229 Imposimato,
"Giovenco, Ferdinando 145
Formentini, Marco Gambino, Michele Giovanni" 181
218 59, 64, 68 Infranco, famiglia
"Giovenco, Luigia" 240
Formenton, Luca Gariboldi, Gaetano 181, 181
230 99 Infranco, Leonardo
Gironi, Livio 62, 241
Formenton, Pietro Garofalo, 237, 247
230 Giuseppe 173 Ingrassia,
Giudice, Raffaele Giovanni 66, 158,
Formica, Rino 197, Gartz, Hermann 138 160
236 Bernhard 25962
Giuliano, Giuliana Inzerillo, Salvatore
Foscale, Giancarlo Gavazzi, Carlo 61 242 ('Totuccio") 161,
62, 63, 236 183
Gel1i Licio Giulini, Giorgio
Foscale, Luigi 57,58,68,70,106, 103 Isnardi, Felice 158,
57,58 107,108,117 161, 164
Grado,fratelli 200,
Foti Valentino 63 47 passim, 183, 202 Izzo, Emilia 82
183, 195
Franchi, Paolo 208 Grassini, Giulio Izzo, Letizia 7980,
139 81
Juvara, Antonio Licastro, Valeria Madonia, Marin~ Dino 59
210 253 Giuseppe 240
Marini, Luigi 254
Kaeslin, Jacques Licheri, Giuseppe Mafara, "Ciccio"
51 233 200 Marino, Laura 240

Kerkorian, Kirk I.àggio, Luciano Magrone, Nicola Marino, Nicolò


246 163 39, 40 203

Kirch, Leo 233 Lima, Salvo 201 Maiolo, Tiziana Marone, Giovanni
34, 142 253
1Cein, Henri 56 Lipari, Bruno 137
Malagodi, Maroni, Roberto
Koelliker, Luigi Livolsi, Ubaldo 62 Giovanni 85 112
230
Lo Baido, Egidio Maletti, Gianadelio Marrandino, dottor
Kollbrunner, 88 145 175
Winnie 61, 69
"Locatelli" 143 Mammì, Oscar Martelli, Claudio
La Barbera, 217, 22526, 22830, 53, 69
Gioacchino 20002 Lo Jacono, Pietro 235, 238
200, 202 Martello, Ugo 66,
Larini, Silvano 18, Manca, Enrico 17980
70 Lo Prete, Donato 106, 106, 135, 139
138 Martino, Antonio
La Rosa, Mandalari, Pino 146
Francesco 168,184 Lottusi, Giuseppe 20911
6062, 71, 72, 238 Martino, Gaetano
Lefebvre d'Ovidio, Mangano, Vittorio 146
famiglia 111 Lunari, Egidio 147 8, 6667, 88, 15668,
180, Marty, Dick 68
Legalupi, Edilio Lupo, Giovanni
160 24142 185,200 Marucchi, Carlo
168
Leggio, Vincenzo Luzi, Romano Mannoia, Marino
240, 240 19496, 25051, 254 183 Massa, Gianmario
71
Lentini, Gianluigi Maccanico, Marchese, Filippo
72, 23839 Antonio 74 172, 17980 Massobrio, Renato
155, 156, 171, 173,
Leone, Giovanni Maccari, Luciano Marchese, Pietro 186
13032 128 202
Maternini, Angelo
Letta, Gianni 112, "Macolin" 68 Marcora, Giovanni 59
222, 22526, 236, 43, 130
25152, Madonia,famiglia Matranga, Cristina
60,72, 239 Maresca, Antonio 113
255 249
Madonia, Mazzocchi,
Li Calzi, Epifanio Francesco 183 Marinaz, Marco Giuseppe 225, 229
249 227
Mazzotta, Roberto Missoni, Ottavio Mussida, Padalino, Andrea
43, 12829, 219 254 Emanuele 255 233

Mele, Vittorio 113 Missoni, Vittorio "Musumeci, Paolo" Palladino,


254 222 Vincenzo 113
Melluso, Gianni
181 Moci, Paolo 3739, Naccaroni, Palleroni, Luigi
40 Umberto 59 241
Meluzzi,
Alessandro 146 Molho, Efia 56 Nanocchio, Palumbo, Nicoletta
Francesco 204, 235 210, 210
Melzi, Giuseppe Mondadori,
17, 24, 25 Leonardo 230 Natali, Antonio 44, Pandolfi, Filippo
22122 Maria 138
Mentasti, Bruno Mondin, Silvana
230 259 Neppi Modona, Pantalani, Carlo 81
Guido 198
Merulan, Abramo Mongiovi, Angelo Papa, Adriano 119
60 179 Nesi, Nerio 106
Papalia, famiglia
Merzaghi, Monica Montanelli, Indro Nesladek, Nerio 72, 248
100 113, 123, 125, 130, 227
13234, Pappalardo,
Meschini, Maria Nicolini, Renzo Antonio 144
Celeste 110 218,218 22628
Parenti, Tiziana
Messina, Adele Monti, Luigi 6667, Nissim, Maurice 10, 113, 20304,
25658 159, 164, 164 56 205, 212

Messina, Alfredo Mora, Paola 186, Noseda, Alfredo Parrefia, Giuseppe


192 187 59 225

Messineo, Morabito, famiglia Nutrizio, Nino Parretti, Giancarlo


Antonino 210, 210 72, 248 130, 133 7071, 24448

Michienzi, Carlo Moratti, Massimo Occorsio, Vittorio Parrinello,


110 230 146 Guglielino
("Uccio") 25762
Michienzi, Momino, Ignazio Omboni, Maria
Pasquale 10910 210 Grazia 14244 Pascucci, Vittore
248
Mingiardi, Moro, Aldo 117, Onorati, Lorenzo
Salvatore ('7uri") 136, 138 194, 251 Patemò, Giorgio
179 147
Moroni, Sergio 44 Orlando, Leoluca
Minorenti, 204, 209 Patrucco, Carmine
Massimo 7980 Mosca, Luigi 129 253
Ottone, Piero 132
Miseria, Benedetto Moscardo, Jean Paxi, Maria Luisa
144 Pierre 162 Pacini Battaglia, 243
Francesco 111
Pazienza, Prandelli, Rapisarda, Filippo Rivolta, Vittorio
Francesco 127 Giampaolo 25455 Alberto 152, 161, 2122, 35, 4041
16790,
Pazzi, Bruno 113, Prete, Francesco Rizg Gianmarco
123 189 205,213 232

Pecorelli, Carmine Preti, Luigi 85, 85 Rasini, Carlo 67 Rizzin~ Roberto


("Mino") 95
11747passim Previti, Cesare 56, Rasini, Mario 230
74, 74, 79, 8289, Rizzoli, Angelo
Pella, Giuseppe 59 9295, Rasoli, Alfredo 125, 125, 131, 133,
144 137, 140
Pellegrini, Angelo 97113, 151, 205,
221 21213, 222 Ratti, Miranda 187 Rocca, Giorgio
125
Pellicani, Emilio Previti, Cielia Ravello, Fiorenzo
13839 10810 (alias Florence Ley Roich, Angelo
Ravel 139,139
Penati, Giuseppe Previti, Giuseppe
73 10910 lo) 127,127 Roncucci, Sergio
44, 44, 21921, 249
Penati, Luigi 99 Previti, Stefano Recanati, Oudi 56
111 Rosa, Gianfranco
Pertini, Sandro 139 Recanati, Raphael 1618, 36, 40, 41
Previti, Umberto 56
Pessina, Fabrizio 56, 83, 8589, 92, Rosone, Roberto 8,
74 97, 100, Resteffi, Luigi 99 100

Piazza, Mario 16, 10510,153 Rezzonico, Renzo Rossetti, Michele


93 19, 55, 63, 73 4344, 22122, 249
Provera, Guido 40
Pirani, Mario 128 Ricci, Angelo 125 Rossi, Giancarlo
Pullarà, 74, 74, 11013
Piro, Franco 236 Giovambattista Ricci, Tito Livio
20102 (vedi D'Arcangelo, Rossi, John 58
Pironi, Renato 15, Tito Li
49, 57, 57 Pullarà, Ignazio Ross~ Lucio 110
20002 vio)
Poggiolini, Duilio Rossi, Stefania 111
254 Querci, Nevol Riina, Salvatore
11920, 22021 ("Totò") 165, 183, Rotenburg
Polerani, 200, Schwartz, Gerry
Gianfranco 241 Radaelli, Sergio 62 William 60
20712,240
“Pozzi, Ralli, Giovanna Roveda, Guido 91,
comandante” 261 10810 Ripoll Mari, Juan 96, 97
69, 69
Pradal, Adriano Rapisarda, Cristina Ruju, Agostino 75
25660 Elisabetta 187 Rivera, Gianni 118
Rupert, Johann
192, 233, 235
Ruspoli, famiglia Scabini, Soravia, Antonio Teruzzi, Luigi 99
81 Giuseppino 9192 44, 221
Testi, Carlo
Rutelli, Francesco Scalfaro, Oscar Spalluto, Paolo 73 Adriano 126
144 Luigi 22, 24, 41,
108 Spazzol~ Marco Tettamanti, Tito
Sacerdoti, Fabrizio 232 58, 60, 7374
112 Schemmari, Attilio
249 Spiess, Tobia, Guglielmo
Salvernini, Cosmo Giangiorgio 58 ("Uccio") 25762
Salhistio 144 Schiavinato,
Giuseppe 2325, 35, Squillante, Renato Tognola, Enzo 60
Salvemini, 40, 41 107
Gaetano 144 Tognoli, Carlo 43
Sciascia, Salvatore Stammati, Gaetano
Salvinì, Lino 131, 196, 222, 23237, 138 Tomba, Silvana
146 241, 255 168
Statera, Alberto
Salvo, Antonino Scibetta, Salvatore 197 Tordi, Patrizia 110
122 131
Sulmoni, Silvano Torrisi, Giovanni
Salvo, Ignazio 122 Scopelliti, Antonio 68 139
207
Samperi, Claudio Tajani, Antonio Tortora, Enzo 203,
Saverio 209 Scotti, Vincenzo 74, 112 20708
184
Santaniello, Tanca, Angelo Tradati, Giorgio
Giuseppe 231, 231, Selva, Gustavo 205, 232, 24243 75, 75
234, 235 144, 146
"Tarantino, Tony" Trafficante,
Santapaola, Sergi, famiglia 72, 160 Eugenio 241
Benedetto 248
("Nitto") Tassan Din, Bruno Tramezzani,
20102,204, Sgorbati, Giuseppe 125, 125, 131, 133, Giancarlo 61, 61
227 137,
209,212 Tremonti, Giulio
Siciliano, Enzo 140 236
Santin~ Franco 56 133
Tatarella, Troielli,
Santovito, Sicuro, Giuseppe Giuseppe 231 Gianfranco 75
Giuseppe 139 233
Tatò, Franco 193, Turatello,
Saponaro, Vito 241 Siggia, Elio 14647 193 Francesco 159,
181, 181
Saracchi, Lorenzo Silvestri, Felice Teresi, "Mimmo"
81, 88 167, 168 172, 180, 200, 202 Turri, Renato 15
17, 20, 35, 41, 42,
Sarti, Adolfo 139 Sindona, Michele Teruzzi, Carlo 99 44
52, 57, 136, 169,
Sbardella, Vittorio 183 Teruzzi, Edoardo Vacca Agusta,
112, 112 19 Francesca 75
Vaccarella, Ventura, Franco Viganò, Enzo 236, Vitalone, Claudio
Romano 109 10910 236 126

Vaccari, Sergio 62 Venturi, avvocato Vio, Walter 181 Vittore, Giovanni


131 61
Valentino, Nino Viola, Guido 222
131 Verde, Filippo 107 Zagrebeisky,
Violante, Luciano Gustavo 198
Valsecchi, Athos Verdoot, Jean 61 203, 20708, 212
22, 24, 41 Zanuso, Michele
Verzé, don Luigi Virgilio, Antonio 86
Vannucchi, Maria 1925, 27, 6667, 159, 164,
Alessandro 113 28, 30, 164, 178, Ziegler, Jean 5053

Vassalli, Giuliano 3338, 4041, 45 184 Zito, Franco 259


107
Verzellesi, Vischia, Aldo 73 Zuccotti, Alfredo
Vecchione, Ludovico 19798, 62
Antonio 67, 165 23536

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