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LA RIVOLUZIONE RUSSA E LO STALINISMO

1905: LA “DOMENICA DI SANGUE”

Il primo moto rivoluzionario, in Russia, fu favorito dalla guerra tra la Russia e il Giappone,
scoppiata perché entrambi avevano mire coloniali in estremo Oriente e persa dalla Russia. La guerra
aveva provocato carestia e miseria nella popolazione, la quale, una domenica di gennaio del 1905,
scese a protestare per le strade della capitale, San Pietroburgo.
Prima di far soffocare la rivolta nel sangue, però, lo zar (cioè l’imperatore) promise la convocazione di
una Duma (Parlamento). Quest’ultima, però, non aveva nessuna importanza, perché lo zar, dopo
averla sciolta due volte, la neutralizzò facendo approvare una legge elettorale per cui il voto di un
grande proprietario terriero valeva 500 voti di un operaio.
In quell’anno nacquero anche dei consigli, dei gruppi di rappresentanza nei luoghi di lavoro chiamati
soviet, che avranno molta importanza nel decennio successivo.

1917: LA RIVOLUZIONE DI FEBBRAIO

Nel mese di febbraio (per il nostro calendario, marzo) del 1917 ci fu una nuova sollevazione popolare
a San Pietroburgo (che nel mentre aveva cambiato nome: Pietrogrado). Anche stavolta l’occasione
scatenante erano le conseguenze di una guerra: la Russia, infatti, stava partecipando, alla Prima
guerra mondiale, con risultati disastrosi: il governo zarista, infatti, era tanto feroce nella
repressione del dissenso quanto incapace nel governare, oltre che nel coordinare una guerra.
Stavolta, però, a differenza che nel 1905, i soldati si rifiutarono di sparare sulla folla e si unirono ai
manifestanti, perciò lo zar fu costretto ad abdicare e venne arrestato.
Si formò un governo provvisorio al quale partecipavano quasi tutti i partiti esistenti: i cadetti, che
erano liberali moderati, i socialrivoluzionari, che rappresentavano soprattutto i contadini, e il partito
socialdemocratico, che a sua volta era diviso in menscevichi (riformisti) e bolscevichi (rivoluzionari).
Gli unici che non partecipavano al governo erano i bolscevichi; questi ultimi, infatti, guidati da
Vladimir Il'ič Ul'janov, detto Lenin, pensavano che non fosse il caso di collaborare con i partiti
borghesi. Nell’aprile del 1917, tornato dall’esilio in Svizzera, Lenin pubblicò le sue “tesi di aprile”,
che esprimevano il programma dei bolscevichi: uscire immediatamente dalla guerra, nazionalizzare
le terre e distribuirle ai contadini, dare tutto il potere ai soviet. Grazie a questo programma,
aumentava il consenso della popolazione nei confronti dei bolscevichi, che in seguito decisero di
chiamarsi comunisti.

1917: LA RIVOLUZIONE DI OTTOBRE

I bolscevichi decisero di passare all’azione qualche mese dopo, quando il governo era guidato da
Aleksandr Kerenskij, un socialista convinto della necessità di una collaborazione tra socialisti e
liberali ai fini della rivoluzione. Il 25 ottobre del 1917, i bolscevichi attaccarono il Palazzo d’Inverno
(sede del governo) e presero il potere con la forza. Gli altri partiti non si opposero duramente a questo
atto di forza perché contavano di riprendersi il potere dopo le elezioni per l’Assemblea costituente. E
infatti, alle elezioni i bolscevichi presero solo un quarto dei voti, e furono perciò sconfitti. In teoria,
quindi, essi avrebbero dovuto lasciare il governo ai vincitori, ma sciolsero con la forza l’Assemblea il
giorno della sua prima convocazione e fecero arrestare i suoi membri: si trattava di un nuovo colpo
di Stato. I bolscevichi attuarono immediatamente il loro programma: furono avviati i negoziati di
pace, le terre furono espropriate e date ai contadini, le fabbriche passarono sotto il controllo dei
consigli degli operai (i soviet).
LA GUERRA CIVILE, IL “COMUNISMO DI GUERRA”, LA NEP, LA NASCITA DELL’URSS

A quel punto, era inevitabile che scoppiasse una guerra civile: essa durò più di due anni (1918-1920)
e vide l’esercito dei comunisti (l’Armata rossa) opposto alle armate bianche, formate dai sostenitori
di tutti gli altri partiti e sostenute anche da paesi stranieri, come l’Inghilterra, la Francia, gli Stati
Uniti, il Giappone e l’Italia. Durante la guerra civile, per eliminare ogni possibilità di ritorno dello
zarismo, lo zar e tutta la sua famiglia, compresi donne e bambini, furono assassinati per ordine dei
bolscevichi. Alla fine, i bolscevichi uscirono vittoriosi da questa durissima guerra civile.

Durante la guerra civile, i comunisti avevano imposto misure economiche estremamente dure, il
cosiddetto “comunismo di guerra”: tutte le terre e le fabbriche furono nazionalizzate, cioè
diventarono di proprietà dello Stato, fu abolito il libero commercio e i prodotti agricoli furono
sequestrati ai contadini per nutrire i soldati;

Il “comunismo di guerra” ebbe effetti disastrosi sulla popolazione. Nel 1921, perciò, si diede inizio a
una nuova politica economica, chiamata NEP, con la quale si permetteva ai contadini di vendere
privatamente una parte dei loro prodotti e si consentiva la proprietà privata di piccole aziende.

Nel 1922, infine, lo Stato cambiò il proprio nome in URSS (cioè Unione delle Repubbliche Socialiste
Sovietiche).

LO STALINISMO

Nel 1924 morì Lenin, e i due candidati principali alla sua successione erano Iosif Vissarionovič
Džugašvili, detto Stalin (acciaio), potente segretario del partito comunista, e Lev Trotskij, popolare
capo dell’Armata rossa. Trotskij e Stalin avevano idee opposte su come diffondere il comunismo:
mentre Trotskij pensava che si dovesse diffondere il comunismo in tutto il mondo (“rivoluzione
permanente”), Stalin sosteneva invece che bisognava rafforzare il comunismo in un solo Paese. Alla
fine vinse Stalin, e Trotskij fu prima costretto a fuggire all’estero e poi, anni dopo, fatto uccidere in
Messico, dove si era rifugiato.
Stalin abolì la NEP e mise tutta la produzione sotto il rigido controllo dello Stato, organizzandola
mediante i cosiddetti “piani quinquennali”. Si scelse di puntare soprattutto sullo sviluppo
dell’industria pesante, trascurando i beni di consumo. I piccoli e medi proprietari terrieri, chiamati
kulaki, si opponevano alla collettivizzazione forzata delle terre, perciò furono considerati nemici dello
Stato e sterminati o deportati nei gulag, campi di lavoro forzato in zone sperdute come la Siberia. La
stessa sorte toccava a chiunque si opponesse al capo, o fosse anche solo sospettato di non essere del
tutto ortodosso politicamente.
Anche molti membri del partito, persino alti dirigenti e collaboratori di Stalin, specialmente negli
anni terribili delle “grandi purghe”, dal 1936 al 1938, subirono dei processi-farsa in cui vennero
costretti con la tortura a confessare crimini ridicoli e furono condannati come “nemici del popolo”. Lo
strumento di questo controllo asfissiante sulla popolazione era la terribile polizia politica, la Čeka, che
in seguito si sarebbe chiamata KGB.
Stalin instaurò così una vera e propria dittatura personale, destinata a durare quasi trent’anni (morì
nel 1953), basata sulla paura e sulla delazione, allo scopo di “stanare i nemici della rivoluzione”.
Chiunque poteva essere denunciato e finire nei gulag, anche per un semplice sospetto, senz’alcuna
prova. Per contro, il regime poteva vantare il fatto che la disoccupazione era sparita e lo Stato
garantiva a tutti un lavoro, una casa, l’assistenza sanitaria, l’istruzione gratuita e la pensione. Il
livello di vita, però, rimase basso, perché il settore dei beni di consumo (abbigliamento,
elettrodomestici, mobili, accessori) era considerato poco importante e rimase quindi poco sviluppato,
e i prodotti erano di cattiva qualità e con una scelta molto ridotta.

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