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Lindividualismo
Lesaltazione romantica del sentimento significa, in primo luogo, esaltazione della libera individualit creatrice delluomo. A differenza della ragione, che lo accomuna agli altri, il sentimento lo distingue come essere unico e irripetibile, legato alla natura, alla tradizione, alla storia, ma da esse emergente con una propria libert spirituale, una propria tensione verso linfinito e una propria originalit che se, a volte, lo pongono in contrasto drammatico con la societ, rappresentano tuttavia la sua dignit autentica e la sua ragione dessere vera. Questo culto delloriginalit, intimamente congiunto alla "religione" della libert, che, sola, consente allio di consistere nella sua pienezza e di dire la sua parola insostituibile nella storia, ispira negli animi unansia di vita eroica. Lindividuo romantico ci appare, a volte, immerso in una tragica solitudine, anelante a infrangere ogni barriera, nella ricerca duna impossibile comunione con linfinito; a volte, anelante ad essere espressione esemplare dellanima dun popolo, ad affermarne i supremi ideali fino al totale sacrificio di s. Lo storicismo LIlluminismo impegnato nelle lotte contro le decrepite istituzioni feudali che intralciavano lo sviluppo della civilt moderna, aveva rigettato polemicamente il Medioevo, e, in genere, il passato, concependolo come un complesso di pregiudizi ed errori. Il Romanticismo sente invece la tradizione come elemento essenziale e ineliminabile della vita dei popoli. Nasce di qui la rivalutazione del Medioevo, considerato come let in cui si era formata la civilt moderna, cristiana ed europea, per molti aspetti opposta a quella classica. Questi concetti si fondano su quello che forse laspetto pi importante del nuovo movimento: lo storicismo, che significa concezione organica della vita individuale e della storia come incessante divenire e continuo progresso. Ogni momento di esse irripetibile e necessario: il presente la risultante di tutto il passato e reca in s i germi dellavvenire, un superamento del passato, che per ne accoglie, ne continua, ne integra lesperienza pi valida. Mentre lantica concezione della vita appariva statica, fondata sulla persistenza immutabile di certi valori, la nuova dinamica, protesa alla conquista di valori sempre pi alti e complessi, in un processo che si svolge allinfinito.
La dialettica
Nasce tuttavia di qui il senso doloroso e drammatico della vita che proprio dl Romanticismo. Vivere continua tensione, travaglioso superamento di ogni precedente conquista, che esprime un perenne anelito, sempre inappagato e sempre risorgente, dello spirito umano verso linfinito. Linfinito la nuova, vera divinit del romantico, e corrisponde al suo desiderio di accogliere e vivere in s tutta la vita, tutta la storia, di fondersi nello spazio. Dal contrasto nel nostro essere tra finito e infinito, nasce il sentimento della vita come dialettica, cio come compresenza di opposte tensioni che si fondono nellunit drammatica e spesso tragica del nostro esistere. La dialettica essenziale alla nuova concezione della realt, ne accompagna, anzi, ogni aspetto. Ad esempio, mentre il Romanticismo rivendica il valore dellindividualit, tende a risolverla nellAssoluto, o meglio nella storia. Nascono cos i grandi cavalieri dellIdeale, che vivono non per s, ma per laffermazione di valori di cui non vedranno mai il compimento, perch ogni conquista sar sempre il travaglioso di una nuova e pi alta, e accettano, quindi, con eroica consapevolezza, un destino di magnanimit e di sventura. Il sentimento della natura Secondo la concezione illuministica la natura era regolata da un complesso di leggi e fenomeni che l'uomo poteva comprendere grazie all'uso della ragione. In campo estetico venivano quindi ignorati tutti gli aspetti del reale che aprivano spiragli su dimensioni ancora sconosciute e che, sfuggendo agli schemi razionali, per questo venivano ritenute inquietanti. Nell'estetica neoclassica di Johann Joachim Winckelmann il bello si trova nella "nobile semplicit" e nella "quieta grandezza", esso "come la profondit del mare che resta sempre immobile per quanto agitata sia la superficie". Per i romantici, invece, la natura il luogo in cui l'anima pu dare sfogo alla propria malinconia e i fenomeni pi interessanti sono proprio quelli che esulano dalla norma, mettendo l'individuo in contatto con una dimensione superiore, che non pu essere percepita con l'aiuto della ragione ma solo abbandonandosi ai sensi e alla fantasia. Il "bello" coincide allora col "sublime", sia esso un paesaggio sconvolto dalla furia degli elementi (si pensi alla situazione descritta da Leopardi nell'Ultimo canto di Saffo) o l'uomo perseguitato da una sorte ineluttabile (come nel caso di Ulisse "bello di fama e di sventura" nel sonetto A Zacinto di Foscolo). Il fascino dell'esotico La ricerca di nuove esperienze interiori si tradusse spesso in un'apertura verso nuovi orizzonti spaziali e temporali. Ci si rivolgeva con grande interesse a culture ancora sconosciute, o si rileggevano in una nuova
ottica testimonianze ed espressioni di civilt ormai scomparse. L'interesse per la poesia popolare aveva gi in precedenza dato i suoi frutti nella poesia ossianica, che evocava atmosfere altomedievali, mentre ad affascinanti sfondi orientali si era richiamato Samuel Taylor Coleridge in Kubla Khan (1816). La nostalgia per il Medioevo si fuse con la malinconica consapevolezza dell'impossibilit di recuperare un passato ormai perduto per sempre; fra gli scenari preferiti dai narratori romantici ci furono allora castelli in rovina e abazie diroccate, sfondi ideali per ambientare storie dense di elementi misteriosi e soprannaturali come quelle dei romanzi gotici di Matthew Gregory Lewis e di Horace Walpole, autore del celebre Castello d'Otranto (1764).
Il Romanticismo e la poesia
Il Romanticismo concep la poesia come una delle pi alte per numerosi scrittori, la pi alta espressione della vita dello spirito. Canone fondamentale dellestetica romantica che la poesia libera espressione del sentimento individuale. Furono, per questo, esaltate la sincerit e la spontaneit creativa del genio, fuori dogni modello e dogni regola prestabilita, la poesia "primitiva" delle nazioni ancora fanciulle e la poesia "popolare", ritenuta erroneamente scevra dogni influsso letterario e nata dallingenua anima del corpo. Di qui il rifiuto, da parte dei romantici, di tutte le poetiche. Se la vita continuo divenire, sempre nuovo e imprevedibile, tale doveva essere anche larte, espressione del sentimento individuale nel quale la vita si riflette. Bisognava dunque abolire limitazione e le regole desunte dai classici. Questi poeti, pur grandissimi, avevano espresso un momento della storia del mondo, diverso dalla civilt europea e cristiana nata nel Medioevo. E inoltre la libert creatrice individuale del genio non poteva tollerare imposizioni, proprio perch la poesia doveva essere verit, cio slancio verso linfinito e intuizione sempre nuova e autentica del mistero dellessere. Questa concezione della poesia fu svolta dai romantici in due sensi. Da un lato port allo scavo interiore, o al protendersi dellanima verso il sogno, la fiaba e un vago fantasticare che infrangesse i limiti della realt contingente; dallaltro condusse alla rappresentazione della realt oggettiva e delle sue leggi, delle tradizioni e della vita del popolo, di cui il poeta si sent linterprete e la coscienza. LOttocento fu quindi, contemporaneamente, il secolo della lirica come effusione dellio soggettivo (Leopardi) e del romanzo realistico (Manzoni); il poeta fu a volte mistico interprete e sacerdote dellassoluto, a volte il vate e la guida dei popoli, ispiratore e combattente nelle rivoluzioni nazionali.
doveroso riconoscere che i nostri grandi scrittori di poesia del secolo XIX ebbero ciascuno un originalissimo atteggiamento, indimenticabilmente raffigurato, pur movendosi nello stesso campo ideale del romanticismo europeo. Nuove tendenze spirituali chiedevano nuovi mondi fantastici, e a tali tendenze ubbidivano i primi romantici in Germania, anche se inconsci che la questione di un'arte nazionale fosse solo apparente o superficiale. Il problema estetico, che l'anima del pensiero romantico, diviene problema di tutto lo spirito: motivo fondamentale attorno a cui si adegua, in sempre pi vasta armonia, tutta la realt. Si tratta d'una nuova religione dello spirito, che monta come una sinfonia beethoveniana sino al meraviglioso di Shelling dal quale si svolger pi tardi l'idealismo assoluto di Hegel. Appunto l'ansia religiosa forse il sentimento pi largamente caratteristico di tutta l'arte romantica, compresi i neoclassici, di cui s' parlato, e giungendo fino al Nietzsche. Onde si spiega benissimo il ritorno alla tradizione religiosa cristiana, biblica e medievale, e l'atteggiamento proprio della maggior parte dei romantici, che ha del fantasioso e del sognante. S'intende che, a parte il carattere pi o meno passionale e accendibile, o contemplativo e mistico, o calmo ed equilibrato di ciascuno scrittore, c' poi sempre la differenza tra il grande poeta e il piccolo poeta: tra quello che parla soltanto quando l'estro detta dentro, e quello che, in buona o in mala fede, a scopo cio di ottenere effettacci, si afferra allo stile in voga, e magari lo esagera
Vittorio Alfieri
Vittorio Alfieri (1749-1803) nasce ad Asti da famiglia nobile. Considerato il maggiore poeta tragico del Settecento, la sua formazione riportata nell'autobiografia "Vita", cominciata intorno al 1790. Dal 1758 al 1766 frequenta l'Accademia militare di Torino. A conclusione degli studi viene nominato alfiere dell'esercito. Comincia una lunga serie di viaggi, visita l'Italia, l'Inghilterra, la Francia, la Prussia, e perfino la Scandinavia. Nel 1775, dopo dieci anni, torna a Torino; completa una prima tragedia, "Cleopatra", e si dedica allo studio. Il successo di "Cleopatra" lo sprona, negli anni successivi compone le maggiori tragedie: "Antigone", "Filippo", "Oreste", "Saul" e "Mirra" tra le altre. Nel 1777 conosce la contessa Luisa Stolberg, moglie del pretendente al trono d'Inghilterra. Nasce un rapporto che Alfieri manterr sino alla morte e che mette fine alle sue inquietudini amorose. L'anno successivo si trasferisce a Firenze, poi a Siena, per apprendere il toscano. Gli anni dal 1775 al 1790 sono molto operosi, oltre alle tragedie compone trattati ("Della tirannide " e "Del principe e delle lettere") e gran parte delle "Rime". Tornato a Firenze si dedica alla composizione delle "Satire", di sei commedie e della seconda parte della "Vita". Nel 1803, a soli cinquantaquattro anni, muore, assistito sempre dalla Stolberg. La salma riposa nella chiesa di Santa Croce a Firenze.
ricercare modelli umani eroici da riproporre, in veste moderna, ai suoi contemporanei (al di l di un'analisi storica dell'ambiente reale in cui questi personaggi sono vissuti). Politicamente l'ideale dell'Alfieri, almeno sino alla delusione per gli esiti terroristici della Rivoluzione francese, resta quello della Repubblica romana pre-cesarea e dell'antica Grecia. Ci che pi ha condizionato la concezione "liberal-anarchica" dell'Alfieri fu il fatto ch'egli, pur avendo rinunciato agli ideali aristocratici, non rinunci mai allo stile di vita aristocratico (per molto tempo condusse una vita errabonda, frenetica, in parte dissoluta). In qualunque paese europeo andasse l'Alfieri guardava la situazione politica con gli occhi dell'intellettuale isolato, e quella sociale con gli occhi dell'aristocratico che da parte delle masse popolari non spera in una decisa posizione antigovernativa. Quando infatti i suoi ideali giacobini-rivoluzionari si trovano realizzati nella Rivoluzione francese, la sua reazione alla necessit della dittatura politica, sar decisamente negativa. Alfieri non era contro una particolare forma di governo, ma contro tutte, poich l dove esisteva un "potere", per lui vi era anche ingiustizia e oppressione. Trattato Della Tirannide Alfieri afferma che "base e molla" della tirannia la paura. La tirannide da lui descritta non coincide con una forma particolare di governo (anche se il riferimento alla sua epoca evidente). La nobilt (ambiziosa e amante del lusso), l'esercito (garante dell'ordine pubblico) e la religione (che educa all'obbedienza) sono, oltre alla paura, le armi del tiranno. Ma il tiranno schiavo della paura non meno del suddito, poich, per restare sul trono, ha bisogno di esercitarla quotidianamente, temendo sempre d'essere rovesciato. Sugli oppressi il giudizio dell'Alfieri pessimista. Chi abituato alla sottomissione difficilmente riesce a liberarsene, anzi, arriva ad acquisire sentimenti di servilismo e di fatalismo. C' solo una speranza secondo il poeta: che l'autoritarismo sia cos duro e insopportabile da indurre il popolo a ribellarsi. Nel frattempo l'intellettuale (pi poeta che filosofo) deve avere il coraggio di criticare il tiranno mediante le sue opere letterarie. Ma perch lo possa fare deve essere libero da problemi economici, ch altrimenti sar costretto a compromettersi. Il tirannicidio dunque escluso, ma solo fino a quando non lo stesso popolo a insorgere. In casi estremamente sfavorevoli all'individuo l'Alfieri consiglia il suicidio.
19 Tragedie
La scelta del genere letterario tragico rispecchia psicologicamente l'esigenza individualistica del poetaeroe. Le tragedie ruotano attorno a un personaggio principale; gli altri (sempre pochi) hanno una funzione accessoria. Il finale in genere di due tipi: suicidio o tirannicidio. Gli argomenti sono presi dalla storia o dalla Bibbia, con predilezione per i soggetti greco-romani. L'azione si svolge in 5 atti. Il verso adoperato: endecasillabo sciolto, ma trattato in maniera molto dura, nervosa, concisa. Alla base di ogni vicenda sta il fato, cio una forza al di sopra dell'uomo, che lo costringe a reagire. I protagonisti, pur prigionieri delle loro passioni, proprio in questa lotta con il fato rivelano la loro forza, la loro carica emotiva. E' assente ogni preoccupazione realistica. Non c' sfondo teatrale che ambienti i personaggi, e neppure intreccio o azione. Il linguaggio non colloquiale (come in Goldoni) ma oratorio, solenne. I dialoghi son quasi dei monologhi (si sordi alle parole altrui). In questo Alfieri si allontana decisamente dall'Arcadia e dal melodico dramma metastasiano. 17 Satire Qui l'Alfieri condanna: commercio borghese, clericalismo e anticlericalismo, re, nobili e militari, il popolo e i precettori. 6 Commedie Qui condanna: monarchia assoluta (Dario) ne L'uno, oligarchia assoluta (Gracchi) ne I pochi, democrazia assoluta (Ateniesi) ne I troppi. Condanna i grandi uomini, perch nella vita privata sono incoerenti (La finestrina) e i matrimoni nobiliari per interesse (Il divorzio). Condivide: la monarchia costituzionale di tipo inglese o della vecchia Venezia (L'antidoto). Nel 1781-83 aveva scritto 5 Odi sull'America libera, esaltando l'indipendenza dal dominio coloniale inglese. -----------------------------------------------Per la formazione culturale di stampo enciclopedico, per l'interesse per lo studio dell'uomo, per la concezione meccanicistica del mondo, per l'anelito alla libert, per l'odio verso la tirannide, per la concezione della letteratura intesa come illuminatrice delle coscienze ed apportatrice di progresso sociale e civile, Alfieri si collega all'illuminismo, mentre, per la disposizione emotiva ed intellettuale con la quale accoglie tali presupposti, l'astigiano si avvicina al Romanticismo. Alfieri l'anello di congiunzione fra l'epoca
dell'assolutismo illuminato dalla cultura e dalla razionalit delle riforme e la lotta aperta per la libert, intesa sia come interiore affermazione dell'individualit, sia in chiave politica (tutto il romanticismo italiano fu legato al risorgimento). Lo spirito d'indipendenza differenzia Alfieri dagli illuministi, disposti a collaborare (Parini, Verri , Beccarla, Voltaire) con il despota illuminato (Federico di Prussia, Caterina II di Russia, Maria Teresa d'Austria) o ad esporre le proprie dottrine nei salotti, atteggiamenti che lo scrittore giudica compromessi umilianti, non ammettendo discrepanze tra situazione esistenziale ed insegnamento politico, etico e letterario. D'altronde Alfieri protoromantico anche nel trascorrere la vita nell'ansiosa ricerca dell'autonomia etico - psicologica e nel negare la dicotomia settecentesca fra vita e letteratura, nel nome di una superiore coerenza (rifiuto della collaborazione tra intellettuali e potere).
Alfieri e l'illuminismo
Il letterato, per Alfieri, maestro di libert e verit ed ribelle ed anticonformista nella vita e nelle opere. Gli illuministi sono disposti a collaborare con il despota illuminato. Alfieri crede nel "forte sentire", promotore di nobili azioni. Ha sommi ideali, ama il vero ed il retto, ha il senso dell'eroico e sente la "religione della libert", fondamento del liberalismo e del romanticismo europei. Il '700 crede nella ragione come fonte di felicit, progresso, perfezionamento morale, sociale culturale, civile. Alfieri pessimista per natura. A ci lo porta il suo individualismo sprezzante ed il suo considerare l'umanit in funzione di pochi, eroici individui. L'illuminismo del '700 ottimista. Alfieri, nonostante i lunghi viaggi, proclama la necessit per l'uomo libero, di avere una patria, anche solo ideale (Misogallo: giorno verr) L'illuminismo cosmopolita. Alfieri lontano da ogni forma di religione, ma riconosce le risonanze emotive del culto cattolico. L'illuminista genericamente teista (sostiene la realt del divino, aristocraticamente irriverente e scettico). Alfieri, pur nell'esteriore ossequio a tale concezione didascalica, abbandona il facile didascalismo per una eccelsa oratoria ed una commossa poesia e fa delle proprie opere un esempio d'integrit morale, la rivelazione della propria poetica e lo strumento di illuminazione interiore, affrontando i temi della libert, della tirannide, della vita e della morte per un ideale, della solitudine, del difficile rapporto con gli altri. L'illuminismo fa della letteratura un mezzo di divulgazione dei problemi scientifici, culturali, morali, usando un gradevole didascalismo. La seriet d'intenti la novit che Alfieri porta nella letteratura italiana dell'Arcadia, del Metastasio e del Goldoni (come Parini, che per risente del classicismo arcadico). Proprie dell'Alfieri sono la seriet sentita come coincidenza di vita e poesia, e la poesia antiarcadica e connotata da toni eroici, drammatici, dolorosi, pessimistici che presentono il romanticismo ottocentesco. La volont di Alfieri mira ad una ferrea disciplina interiore, che sia norma di vita, aspirazione all'eroico, ideale di una esistenza pi elevata.
Alfieri e il romanticismo
Alfieri collegato al romanticismo dal proprio pessimismo e dal nazionalismo, inteso come consapevolezza della necessit di una Patria, fiducia nel futuro dell'Italia, e del suo popolo, al quale dedica il Bruto II. Si tratta, quindi, di un nazionalismo lontano dalle dottrinarie affermazioni illuministiche e che svela una concezione particolare di Patria, intesa come idealit morale, insita nell'individualismo eroico, nonch nell'insegnamento dell'Alfieri tragico (appello per la libert politica ed etica, virile accettazione della morte, lotta contro la tirannide). Nell'Alfieri, pessimismo, sentimento nazionale e concezione della libert non sono fatti meramente politici, infatti significano anche consapevolezza della tradizione letteraria italiana, approccio ai massimi scrittori del passato, fusione di classicismo e di protoromanticsmo. Alfieri apprende da Dante la lezione etica ed umana, da Petrarca lo stile (Rime), da Machiavelli lo stile della prosa ed il magistero delle opere storiche, ammira i classici, Plutarco, Tasso ed Ariosto. Pertanto il rivoluzionario Alfieri non s'ispira alla libera ed anticonvenzionale tragedia shakespeariana (contravviene alle regole rinascimentali circa la purezza dei generi drammatici, ed accoglie momenti e toni tipici della commedia, la recitazione sobria) o a quella emotivamente ricca e discorsiva di Corneille, bens riprende la tragedia classica e classicistica. Alfieri da al suo preromantico teatro un assetto classico, rappresenta psicologie e passioni estreme, di matrice senecana, in un eroico e pessimistico individualismo, mantiene un tono "sublime" (abbandonato dagli altri autori, come il Metastasio) e si collega al preromanticismo dello Sturm und drang ("tempesta e passione"), soprattutto a quello di Schiller, oratorio e declamatorio pi che poetico. Alfieri affine ai preromantici tedeschi per l'aspirazione alla libert, la vocazione all'azione eroica, l'incapacit di adattarsi al mondo, la malinconia, il desiderio di una lotta titanica per il trionfo di un'idea. Gli scrittori dello Sturm und drang, per, guardano
all'uomo con ottimismo e lo ritengono in grado di realizzare grandi imprese, capaci di cambiare la storia, Alfieri, invece, ha una concezione pessimistica dell'esistenza ed convinto che ogni nobile sforzo sia destinato a fallire, pur essendo irrinunciabile. Solo la sdegnosa solitudine si addice all'uomo libero. La morte dell'eroe la fatale conclusione di una vita di dolore, oppressione angoscia e la decisione di agire conformemente ai propri ideali diviene volont di morte che la sola via di scampo alla sopraffazione degli uomini e del destino. La morte anche l'unico modo di affermare il principio di libert, che Alfieri sembra quasi ritenere ostacolata dalla realt, incompatibile con la vita, esaltata dalla morte. L'opera di Alfieri contraddistinta dall'afflato etico, gli eroi Alfieriani sono generosi, virtuosi, illuminati da elevati ideali di giustizia, rettitudine libert e la lotta antitirannica diviene una necessit eroica e fatale. Alfieri ha una concezione classicistica, statica e tradizionalista della storia. Il romanticismo intende la storia come svolgimento dello spirito nella sua perenne creativit. Manca all'Alfieri il senso del concreto, peculiare del realismo romantico. Alfieri preferisce alti ideali esemplarmente astratti ed una concezione individualistica della vita. Il teatro classicistico dell'Alfieri, nel suo idealismo, rifiuta ogni circostanziata concezione storico realista e si svolge sempre in una atmosfera di eroismo e di solitaria grandezza. Il teatro romantico rispettoso della storia, dell'ambiente, del costume e costituisce un'equilibrata sintesi di ideale e reale (Manzoni). Alfieri sensista, razionalista (basa ogni conoscenza su sensi e ragione), illuminista, anche se a tratti in conflitto con passione e sentimento. Il romanticismo caratterizzato dall'idealismo filosofico, base storica dello stoicismo romantico. L'anelito all'infinito, al mistero, all'inconoscibile manca totalmente in Alfieri, nella cui opera il sentimento della natura, il timore del peccato, il rimorso, l'immanenza del divino nell'umano, il problema del bene e del male, pi che essere focalizzati a livello poetico, restano nei limiti del melodramma.
L'individualismo Alfierano
L'individualismo alfieriano presente in tutta l'opera, la cui unit e coerenza sono dovute al dominante concetto - mito della libert e ad una concezione del mondo e della realt che contraddistingue sentimento, pensiero, fantasia, etica, poesia, ideologia politica, poetica e retorica. Letteratura e magistero morale nascono da un'unica fonte d'ispirazione, infatti la poesia dell'Alfieri riesce ad emergere solo quando la passione letteraria e politica rinunciano alla ribellione aperta, all'oratoria, all'ammonizione, permettendo la creazione di vibranti personaggi tragici e la tensione drammatica della Vita e delle Rime.
Le tragedie
Nelle tragedie la sostanza tragica si rivela nel conflitto tra eroe e tiranno o del tiranno con se stesso, nelle Rime percepibile nei trasalimenti del poeta (lirica politica e lirica amorosa), nella vita ravvisabile nel conflitto fra Alfieri narrante ed Alfieri giudicante, ossia tra rievocazione e giudizio. Alfieri ritiene azione la propria attivit letteraria. Secondo la concezione illuministica, l'Alfieri assegna allo scrittore un compito educativo, intellettuale e morale e ne fa un propugnatore della libert e della verit, ma ritiene che l'impulso naturale sia principio di ogni nobile azione e la poesia un impulso naturale dell'animo che risveglia analoghi sentimenti negli altri. Con tali affermazioni, Alfieri si allontana dal razionalismo settecentesco (poesia come sogno fatto alla presenza della ragione) e dal buon gusto classicistico e si avvicina al sentimento romantico, tuttavia aggiunge che per diventare autore tragico si devono conoscere le regole dell'arte tragica e padroneggiare la lingua. Alfieri, accanto all'elemento intuitivo, sentimentale della poesia, rivaluta l'aspetto formale, linguistico, stilistico. La poetica alfieriana si basa sull'unit di slanci ed entusiasmi preromantici e su una coscienza artistica classicistica e razionalistica, sulla violenza della passione e sulla disciplina retorica. La vita diviene una "poetica in atto" (scoperta della naturale predisposizione alla tragedia, itinerario esistenziale nel culto della libert, della poesia, della letteratura, intesa come voce della libert). Nella Vita Alfieri ripercorre la parabola della propria vicenda poetica analizzando criticamente le proprie opere, dibattendo questioni di poetica (struttura composizione, concezione della tragedia, distribuzione di atti, scene, personaggi tragici e tragediabili, versificazione).
Opere politiche
Il pensiero politico di Alfieri non ha forma organica, bens una generica professione di libert ideale, mitica, metastorica, fatta di silenzi. Alfieri esalta la lotta per l'indipendenza americana e ne deplora le cause economiche, ha simpatia per la monarchia costituzionale inglese, si entusiasma per la presa della Bastiglia (Parigi sbastigliata) e per la Rivoluzione Francese, ma dopo le violenze del 1892-1894, e la fuga dalla Francia assume un atteggiamento antifrancese (Misogallo). La repubblica dell'Alfieri non quella dei francesi. Nelle opere politiche Alfieri espone le proprie teorie politico letterarie rielaborando i temi libertari ed antitirannici in una prosa energica e sostenuta. Della tirannide (due libri) il primo libro mette a fuoco i puntelli della tirannide: paura e vilt dei cittadini, ambizione,lusso, milizia, clero, nobilt. Il secondo libro spiega come pu vivere sotto un tiranno colui che non vuol rinunciare alla propria libert interiore (sdegnosa solitudine come ideale dell'uomo libero che si oppone al dispotismo e se gli si preclude una vita dignitosa pu scegliere il suicidio). Il trattato si chiude con l'esaltazione del tirannicidio. Del principe e delle lettere (titolo mutuato dal Principe di Nicol Machiavelli) un'opera di interesse politico
- letterario, che analizza il rapporto fra potere politico e letteratura libera. Il principe, consapevole della propria funzione politica ed il letterato memore della propria missione, sono antagonisti inconciliabili (conflitto tiranno / eroe delle tragedie: il letterato l'eroe). Alfieri condanna il mecenatismo, ritenuto dannoso e corruttore e delinea la figura - mito dello "scrittore sublime", che deve possedere animo alto, libere circostanze, forte sentire, acuto ingegno. Il trattato si chiude con una esortazione a liberare l'Italia dai barbari (stranieri). Panegirico di Plinio a Traiano. Alfieri si propone di riscrivere l'omonima opera di Plinio il Giovane, accusato di cortigianeria, per mostrare come uno scrittore libero dovrebbe parlare ad un ottimo principe consigliandolo a deporre il potere e a restituire al popolo la libert. Plinio in occasione della nomina a consul suffectus pronuncia il panegirico di Traiano, iniziando il genere letterario degli encomi degli imperatori. La virt sconosciuta un elogio classico-rinascimentale, retorico, celebrativo dell'amico Gori Gandellini e della sua virtuosa, solitaria levatura morale. Secondo il gusto estetico e retorico del '700 la tragedia era il genere per eccellenza. Alla creazione di un teatro tragico italiano (carenza avvertita come vergognosa) si era dedicato, tra gli altri, il Gravina, sperando di fare del Metastasio un sommo trageda. Agli esperimenti si alternavano le discussioni su personaggi, scene, stile. Alfieri fa precedere ed accompagna la composizione delle tragedie da riflessioni teoriche ed aderisce ad una poetica rigidamente classicistica. C' in Alfieri, oltre che la suggestione del genere tragico e la naturale predisposizione, anche il proposito di realizzare quel teatro tragico nazionale che gli altri poeti non erano riusciti a concretizzare. Alfieri spinto alla tragedia dall'indole conflittuale, dalla sua concezione eroica e pessimistica della vita, dall'avversione per ogni forma di tirannide, predilige la forma esemplare e plutarchiana della classicit (scene dense di emozioni, racconto convulso e appassionante, aura di tragedia che avvolge i personaggi), tende a disegnare personaggi titanici, consapevole delle suggestioni ella tragedia intesa come scontro di opposte passioni, tensioni, aspirazioni, proiezione della condizione drammatica e conflittuale del poeta stesso. Da tali motivazioni deriva l'insufficienza di una lettura puramente "lirica" delle tragedie alfieriane che, invece, necessitano di una interpretazione in chiave drammatica e teatrale. Probabilmente, Alfieri ha concepito le sue tragedie come destinate alla lettura, sia a causa dell'inettitudine degli attori contemporanei, che egli spesso deplora, sia perch molte delle sue tragedie, pur essendo destinate soprattutto agli Italiani, difficilmente avrebbero potuto essere recitate in Italia, a causa della loro coloritura politica. Pertanto Alfieri comprende nei versi gli elementi drammatici, adotta accorgimenti tecnici e suggerisce la recitazione. Ci produce due difetti, infatti i suoi personaggi spesso, con poca verosimiglianza (chi preda della passione non si analizza n si descrive), accompagnano e quasi descrivono con le parole la loro mimica, lo stato fisico, i sentimenti (parlar non posso..., mi cade il ferro..., io tremo etc.), inoltre Alfieri abusa di espressioni come "oh rabbia!, che veggio!" etc. che suggeriscono quei moti dell'animo che dovrebbero essere espressi dalla mimica dell'attore (oggi tutto ci fa parte delle didascalie che, comunque, al tempo dell'Alfieri erano assai poco usate). Alfieri vuole creare una tragedia nuova, originale per concezione, stesura drammatica, versificazione, contenuto. Adotta come verso tragico l'endecasillabo sciolto usato dal Cesarotti nella traduzione dei poemi ossianici. Nella Vita, l'Alfieri espone i tre momenti (respiri) della composizione delle tragedie: ideazione: breve esposizione in prosa (anche francese) dell'argomento e dello schema generale stesura in prosa: distribuzione in prosa (nelle prime tragedie prosa francese)degli atti e delle scene. Impostazione dei dialoghi (di getto accogliendo ogni pensiero) verseggiatura: scelta delle parti migliori del dialogo e loro versificazione (ma la sola versificazione non basta: la tragedia richiede un naturale entusiasmo artistico). Lavoro di rifinitura: Alfieri critico molto esigente.I tre momenti rappresentano un unico momento ideale. Secondo l'Alfieri le tragedie devono obbedire ad una serie di carateristiche: personaggi e vicende: pochi, paradigmatici (e monocromi), illustri, assai noti nel mito, nella leggenda, nella storia e devono essere "tragediabili", ossia avere valore di esemplarit ideale argomento: greco (Antigone, Mirra, Alcesti seconda) romano (Virginia, Ottavia, Bruto primo e secondo) biblico (Saul) medievale (Rosmunda) rinascimentale (la congiura dei Pazzi,Don Giovanni, Maria Stuarda, Filippo) struttura: 5 atti. Deve dominare il soggetto principale o lo sfondo ridotto all'essenziale o l'azione ruota intorno al protagonista [gli altri personaggi (pochi) agiscono in funzione del personaggio principale e le loro azioni servono a dargli rilievo] o un solo filo conduttore dialogizzata solo dai personaggi attori (non consultori o spettatori); rapida in funzione delle passioni (semplice, tetra, feroce e serrata); rigidamente unitaria; sono rispettate le tre unit aristoteliche (tempo, azione, luogo) per ragioni poetiche, non per
imitazione: l'unit di azione e di tempo danno vigore alla vicenda cogliendone il momento culminante, l'unit di luogo focalizza l'attenzione sui personaggi; azione che porta fatalmente alla catastrofe (morte suicidio, delitto) linguaggio: nuovo, intenso in endecasillabi sciolti duri e privi di musicalit bersagli polemici: o il melodramma del Metastasio (interrotto da arie e cantabili che, secondo l'Alfieri, rompono l'unit dell'azione) o la tragedia francese (scene ed atti che consentono personaggi secondari che raffreddano e disperdono l'azione \ versi alessandrini monotoni, pi discorsivi che poetici. All'alessandrino francese contrappone l'endecasillabo sciolto [verso principe italiano] privato, per, di ogni orecchiabilit e facile armonia, reso duro e privo di musicalit) [alessandrino francese dodecasillabo: 6+6 - alessandrino martelliano 14 sillabe: 7 +7]. Nelle tragedie alfieriane manca l'introspezione psicologica. In ogni personaggio c' qualche cosa di grandioso, sia nel bene che nel male. L'Alfieri con le proprie tragedie vuole ispirare nobili azioni ed insegnare ad essere liberi, forti, generosi insofferenti dei soprusi. Le tragedie alfieriane rappresentano tempestose passioni e volont indomite. Alfieri non studia il sorgere e l'evolversi dei sentimenti,le incertezze, le perplessit, l'influsso che sul carattere hanno l'ambiente ed il trascorrere del tempo. I personaggi dell'Alfieri entrano in scena gi in preda a violente passioni, oppure la passione emerge improvvisamente per il verificarsi o palesarsi di una situazione tragica. La passione ragione unica e sufficiente per giustificare le azioni dei personaggi. La catastrofe frutto dello scontro di personaggi animati da passioni contrastanti, oppure da passioni contrastanti che si dibattono nell'animo di uno stesso personaggio. L'eroismo degli eroi alfieriani non un eroismo mitologico o letterario, bens "profetico" e carico di presentimenti. Nelle tragedie alfieriane eroi, tiranni, trama, costruzione scenica, sono simili. Non sempre poesia ed ideologia coincidono (nelle tragedie migliori l'ideologia s'attenua ed i personaggi non sono solo i messaggeri di un discorso libertario, bens divengono umani, vibranti nel loro dramma esistenziale nel quale si dissolve l'ideologia (Saul, Mirra). Le tragedie della libert corrispondono perfettamente all'ideologia dell'autore, ma non sono tra le migliori (i personaggi sono astratte personificazioni di vizi e virt). Sono poeticamente migliori le tragedie in cui gli spunti drammatici ed ideologici si compongono in personaggi complessi e dolorosamente umani, mentre sono meno valide le tragedie in cui l'ideologia libertaria e tirannicida e la violenza politica si espandono senza freno o si traducono in figure astrattamente eroiche o perfide che discettano teoricamente di libert e ragion di stato. La retorica pi manifesta nelle tragedie di libert (Virginia, Timoleone, la congiura dei Pazzi, Agide, Bruto I, Bruto II). In tale gruppo di tragedie i personaggi sono schematici, legati allo stereotipo di eroi senza incertezze, assorti in una perenne, urlata declamazione, modello di virt patriottiche e morali, voce esemplare delle idee politiche e libertarie dell'Alfieri e proiezioni del suo odio per la tirannide. Parimenti i personaggi negativi lo sono totalmente. Bisogna tener conto che la Patria per Alfieri non tanto il Paese dove l'individuo si sente sicuro padrone dei suoi possessi, quanto, soprattutto quello in cui egli pu esercitare liberamente le proprie facolt, sviluppare la propria personalit, e dove lo scrittore pu assolvere senza impedimenti la propria missione. Alla tragedia alfieriana, essenziale e tesa alla catastrofe, ben si addice l'endecasillabo sciolto, disadorno ed essenziale, anche se, talvolta, l'essenzialit e la concentrazione verbale corrispondono pi ad una ricerca programmatica che ad una esigenza interiore del poeta (es. cinque battute in un endecasillabo) e si esaurisce in una mera ricerca dell'effetto. La tragedia alfieriana si conclude con la morte, perch cos impone il genere tragico e perch tale conclusione coerente al pessimismo dell'Alfieri. La morte onnipresente e la libert (politica, ideale, morale) quasi sempre frustata divengono esaltazione della libert stessa come irrinunciabile. Ci decret la fortuna dell'Alfieri durante il Risorgimento.
Filippo
Numerosi riferimenti storici scompaiono nelle tragedie successive. Alfieri partecipe dell'antistoricismo settecentesco che non tiene conto della concreta situazione storica. Anche gli scarsi accenni alla verosimiglianza storica, presenti nel Filippo scompaiono nelle altre tragedie. Filippo la prima grande personificazione del tiranno spietato e assetato di potere ma, a differenza della maggior parte dei tiranni alfieriani, (Saul simile a Filippo) ha una sua segreta umanit poich consapevole che la solitudine di cui si circonda la ragione della sua infelicit. Filippo domina l'opera (secondo la logica alfieriana). Suo figlio don Carlos, eroe d'animo eletto e virtuoso, il primo eroe alfieriano che trova la liberazione nella morte. Isabella di Valois (moglie di Filippo e amante di Carlos) la prima eroina dell'Alfieri ad avere una vita
Polinice
Senza pregi particolari (les frres ennemis di Racine). Nelle prime due tragedie il tiranno meglio tratteggiato del'eroe positivo, ci si verifica anche nelle successive, (non in Saul e Mirra, che riuniscono le figure antitetiche di eroe e tiranno. Saul e Mirra esulano dallo schema generale).
Antigone
Ispirata all'omonima tragedia di Sofocle, la morte, per Antigone catarsi volontariamente cercata ed accettata. Emone, che l'ama e si suicida l'archetipo del giovane virtuoso ed onesto, Creonte il paradigma del tiranno. Virginia (tragedia della libert) Contrasto tra Virginia e la sua famiglia ed il crudele Appio Claudio, capo dei decemviri. L'autentico protagonista l'ideale di libert dell'autore (libert intesa astrattamente, della quale gli eroi sono personificazione). Il tiranno re la negazione assoluta (bene: giustizia, onest, eticit, idealit \\ male: arbitrio, sopruso. Due mondi conflittuali che portano alla tragedia). Agamennone: da Eschilo. La vera protagonista Clitennestra (Alfieri particolarmente abile a delineare le figure femminili). Egisto uno dei soliti tiranni. Oreste: da Eschilo, continua l'Agamennone. Oreste contraddistinto da un esasperato impeto tirannicida. un personaggio quasi disumano. Rosmunda: (in prosa) dalle istorie fiorentine di Machiavelli. Tragedia fosca, immersa nella barbarie (concetto negativo del medioevo barbarico del razionalismo illuministico antistorico del '700). Rosamunda tiranno al femminile. Ottavia(in prosa) La protagonista (moglie ripudiata di Nerone) consapevole della propria innocenza, ma anche dell'inutilit della lotta. La vocazione alla morte accomuna Ottavia, Antigone e molti altri personaggi alfieriani (Nerone il solito tiranno). Timoleone (in prosa) (tragedia della libert): dalle Vite di Plutarco. Due fratelli di pari levatura morale, altezza umana ed epica dei protagonisti (astratti modelli di perfezione) magniloquente, poeticamente modesta, messaggio ideologico, anomalia tematica (Timofane e Timoleone si stimano e si ammirano, sono il contrario di Eteocle e Polinice che si odiano. Anche il tiranno ha una componente eroica).
Merope
Riprende l'argomento della tragedia del Maffei. Piuttosto debole, Merope eroina dell'amore materno, (tematica degli affetti familiari: Agamennone, Saul e Mirra).
Maria Stuarda
Per accontentare la d'Albany, intrigo cortigiano, debole e fredda. Congiura dei Pazzi (tragedia della libert) Dalle Istorie fiorentine del Machiavelli. passione tirannica, lotta sulla scena, linguaggio sovreccitato, declamatorio, tipico delle tragedia della libert. La figura di Lorenzo de' Medici in Alfieri in bilico tra esecrazione ed ammirazione e solo in parte riconducibile all'archetipo del tiranno, ha doti di umanit e magnanimit che gli conferiscono vitalit.
Don Garzia
Saul Con Mirra il capolavoro di Alfieri. Argomento biblico. La morte di Saul estrema manifestazione di
eroismo e grandezza, vittoria morale sui nemici e su se stesso, soluzione dei conflitti interiori e della conseguente follia. la morte che restituisce a Saul la dignit umana e regale. Dal punto di vista alfieriano Saul un despota posseduto dalla sete di potere e pu essere avvicinato a Filippo, ma questi alimenta la propria volont di potere con una sovrumana energia, mentre Saul vecchio e tenta di salvare il suo prestigio mediante imprese guerresche a cui si oppone l'et. Saul ha la dolorosa coscienza della situazione: memoria del passato eroico, inconfessata ammirazione per David, amore per Micol, avversione per i sacerdoti visti come rappresentanti di un Dio crudele, dal quale per non si deve essere abbandonati. Da tali contrastanti
sentimenti nasce la follia, unica soluzione la morte. Saul il personaggio meglio riuscito del teatro alfieriano: potentemente umano e drammatico nel contrasto tra essere padre ed essere sovrano. La sua morte catastrofe e catarsi (poesia alfieriana del forte sentire), dolore e morte come affermazione suprema di libera volont, poesia della solitudine (come in Mirra). Saul antagonista di se stesso eroe e tiranno ed il contrasto interiorizzato come in Mirra. Saul solo perch il conflitto lo dilania (Mirra). Agide (tragedia della libert) Da Plutarco (Agide IV, re di Sparta dal 244 al 241, tent di risolvere la crisi demografica e sociale di Sparta annullando i debiti, ridistribuendo le terre ed immettendo nel corpo degli Spartiati, ridotti a 700, 4500 perieci. Avversato dall'altro re, Leonida II, fu da questi catturato e ucciso), tra le tragedie meno riuscite. Sofonisba: da Livio, modesta tragedia. Gara di magnanimit tra i personaggi (Siface, Sofonisba, Scipione Africano, Massinissa) la poesia alfieriana non va cercata in tali personaggi, costruiti intellettualisticamente in base ad un'idea letteraria di grandezza e ad una concezione retorica del mondo antico, bens nelle figure che, pur possedendo connotazioni eroiche, sono aperte agli affetti, alle perplessit, alle debolezze, alle angosce, alle contraddizioni della vita. Bruto I (tragedia della libert): da Livio, Bruto maggiore, cacciata di Tarquinio il superbo. Mirra: dalle metamorfosi di Ovidio. l'unica tragedia in cui manca il tiranno: il dramma si svolge nell'intimo di Mirra, che totalmente sola ( innamorata del padre e le persone care non possono n aiutarla n riceverne le confidenze). Da tale situazione derivano reticenze, silenzi, doppi sensi, oscure allusioni di Mirra. Mirra innocente, poich costretta a subire il sentimento incestuoso. La colpa di Mirra consiste non nell'essere condannata da Afrodite ad amare il proprio padre, bens nella forzata rivelazione del segreto ai parenti. Per tale rivelazione Mirra si ritiene empia (sarebbe restata innocente se fosse morta prima). Mirra innocente, infatti colpevole solo chi, coscientemente, vuole peccare, ma condannata da coloro che conoscono il suo peccato senza conoscerne il motivo (vendetta di Afrodite). Mirra, uccidendosi, si libera da una situazione insostenibile, si salva dal peccato conservando la propria purezza interiore ed etica, per appare rea ai famigliari. Mirra simile a Saul nella interiorizzazione della lotta ( eroina e tiranna di se stessa). Gli altri personaggi sono artisticamente deboli. Vi un parallelo fra i canti nuziali (Mirra accetta lo sposo scelto dai genitori, ma poi interrompe la cerimonia) ed i versi lirici di David. L'atmosfera dell'idillio del mondo domestico sottolinea il dramma dell'incomprensione e della solitudine. Bruto II (tragedia della libert): da Plutarco: vite di Cesare e Bruto (cesaricida) l'ultima tragedia composta da Alfieri. Protagonista il cesaricida bruto, combattuto tra ragione di stato ed affetto (sa che Cesare, il tiranno, suo padre). Alceste II: (la prima la traduzione latina dell'opera di Euripide) pubblicata postuma (ossia scritta dopo l'edizione definitiva delle tragedie, nel 1787 ed il ritorno definitivo a Firenze nel 1792). Si conclude in un'atmosfera di sereno idillio (Alcesti, moglie di Admeto, si offre di morire al posto del marito Eracle la strappa a Thanatos, in un'altra versione Persefone, commossa, la restituisce alla vita). Il desiderio di rinnovamento porta l'Alfieri ad introdurre toni idillici, l'elemento soprannaturale ed un coro di tipo greco (fallimento). Abele: appartiene alle tragedie postume. una tramelogedia (tentativo di fusione di tragedia e melodramma, per assecondare il gusto del pubblico che non apprezzava la tragedia). Soggetto biblico largamente accessibile. Parti tragiche in endecasillabi sciolti, alternate a parti liriche che esprimono l'elemento soprannaturale e surreale (voce di Dio, esseri infernali, personificazioni astratte del peccato, dell'invidia, della morte). Il difetto fondamentale dell'Abele che i personaggi umani anzich agire di propria iniziativa sono diretti dai personaggi fantastici e quindi mancano gli elementi essenziali della tragedia alfieriani, ossia la volont e la responsabilit individuale. Nonostante il fallimento della parte lirica, quella tragica ha qualche vigore. Come nell'Alceste II, si inseriscono il senso della natura e la serenit degli affetti famigliari, il conflitto tra bene e male, l'ossessione del peccato, il rimorso, l'immanenza del divino nel mondo. Manca l'entusiasmo poetico, l'Abele resta un tentativo verso il romanticismo.
Le Rime
La prima parte delle Rime (contemporanea alle tragedie) fu pubblicata nel 1798, la seconda, postuma, nel 1804. Le due sezioni riflettono differenti condizioni ideologiche ed emotive che si ripercuotono nella tematica e nello stile. Le Rime sono una raccolta di sonetti, canzoni,odi, epigrammi, stanze, capitoli in terzine
(1776 - 1779) che riflettono stati d'animo, idealit politiche e morali, riflessioni sulla poesia (in generale e sulla propria), componendo quasi una biografia. L'esercizio di stile assiduo, in rapporto all'elaborazione delle tragedie e vi sono parecchi riecheggiamenti letterari. Le Rime iniziano con soggetti mitologici classicheggianti e si concludono con una canzone in cui l'Alfieri afferma di attendere la morte. I sonetti costituiscono la maggior parte dell'opera. Alfieri tende alle forme ben concluse, ai modi gravi e sentenziosi, alle situazioni drammatiche, forti ed essenziali, alla rappresentazione eroica di se stesso. Il sonetto Sublime specchio di veraci detti (1786) inizia la moda dell'autoritratto in versi (Alfieri, Foscolo, Manzoni) (sublime = tono psicologico e morale dei versi / specchio verace = funzione della sua lirica). Alfieri intona il proprio canzoniere per conoscersi, dominarsi, trascrivere non solo la tematica amorosa, bens tutto il proprio mondo umano ed ideologico. Il Petrarca influisce sull'Alfieri lirico, che va per letto in chiave teatrale. Nella prima parte delle Rime sono numerosi i sonetti per la d'Albany, in quello della lontananza ricorre il tema settecentesco dell'errore come illusione, in altri la solitudine, i conflitti interiori, il pensiero della morte, questioni di poetica, la tematica eroica. Nella seconda parte si attenuano i toni drammatici, compaiono forme pi pacate e discorsive segno di raccoglimento interiore, melanconia, presentimento della morte. Posteriori alle tragedie sono i sonetti in forma di monologo, di autoritratto morale, di epigrafi alla propria opera, di autoesaltazione.
Scritti minori
Sono satire, epigrammi, commedie: toni amari e polemici ravvivati da eloquenza e poesia) L'Etruria vendicata: (poema in quattro canti in ottave), uccisione del duca Alessando de' Medici ad opera del nipote Lorenzino (1537) visto come tirannicida eroico e virtuoso (restituisce la libert a Firenze e vendica la sorella Bianca) dramma politico e familiare. Debole tragedia medicea, come La congiura dei Pazzi e Don Garzia, memore dell'Ariosto e del Tasso. Si distingue per l'ambientazione ossianica e preromantica.
Satire
In terzine, sono una requisitoria contro la societ del '700. Epigrammi: sintetici e polemici. Alfieri tenta di elevare l'epigramma da mezzo di piccola competizione personale alla dignit civile e letteraria, dandogli, come alla satira ed alla commedia, un contenuto morale e politico.