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Maurizio Blondet
seguendo da tempo i Suoi scritti con vivo interesse, mi è sorta l’esigenza di formularLe una
domanda che prende spunto da alcune allusioni che di tanto in tanto ho rintracciato tra le
righe dei Suoi interventi. Si tratta del rapporto che storicamente legherebbe la massoneria e
l’ebraismo, entità con forti radici e con scopi immanenti e strategici, con la nascita
dell’ideologia marxista (e, più in generale, del movimento socialista ed operaio), che, nella
logica delle suddette entità,avrebbero assolto a dei compiti puramente tattici, oggi in gran
parte venuti meno.
La mia domanda è: perchè, ad un certo punto (alla fine del XX° secolo) le stesse elites che
avevano favorito la nascita e la diffusione del marxismo avrebbero deciso di decretarne la fine,
diffondendo nel pensiero unico dominante il mantra della cosiddetta ‘fine delle ideologie’?
Le sarei grato se mi aiutasse a comprendere la logica di fondo che muove tale fenomeno e, se Le
è possibile, ad indicarmi qualche riferimento bibliografico.
Grande e complesso tema, su cui il lettore potrà ricavare più di uno spunto dalla
lettura dei miei Complotti, ora in via di ristampa. Molto schematicamente:
500mila ebrei (su tre milioni) s’erano arruolati nell’apparato repressivo oggi noto
come KGB; ebrei gestivano in qualità di dirigenti il sistema carcerario GuLag; la Ceka,
che sterminò per fame milioni di ucraini, era composta al 70% di ebrei e guidata da
Lazar Kaganovich, il numero 2 del regime dopo Stalin (e contrariamente a lui, morto
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In pratica, non c’era famiglia ebraica in Russia che non avesse un familiare o un
parente nella Polizia, nella burocrazia, nell’apparato di repressione e tortura: il che
allora era un’assicurazione sulla vita, e il solo modo di vivere e mangiare bene, anzi
benissimo, nella carestia e nelle coabitazioni forzate provocate dal regime, col suo
sogno di instaurare il comunismo, ossia la fine i tutti gli Stati e la nascita dell’Uomo
Nuovo senza Dio nè padroni. Sogno messianico, come è stato detto da molti storici.
Questa introduzione è quella che ci consente di arrivare alla domanda del lettore:
Perchè , ad un certo punto (alla fine del XX° secolo) le stesse elites che avevano
favorito la nascita e la diffusione del marxismo avrebbero deciso di decretarne la
fine?.
La prima, schematica risposta ha da essere: perchè quelle stesse elites si sono via via
disamorate dell’utopia comunista, e si sono via via riavvicinate all’utopia del
messianismo ebraico in senso stretto. Non più la pretesa liberazione (a forza di stragi)
di tutti gli uomini all’insegna dell’uguaglianza naturalistica, ma la supremazia del
popolo eletto su tutta l’umanità, con centro a Gerusalemme cone Tribunale supremo
dell’Umanità.
Diciamo che una moda ideologica ha lasciato il passo a un’altra moda ideologica
(l’ebraismo è esso stesso soggetto agli stati d’animo collettivi che sa creare
magistralmente).
Più precisamente: non deve sfuggire la profonda omogeneità fra i primi fondatori
dello Stato d’Israele e la dirigenza sovietica. Il movimento russo socialista-
rivoluzionario si spaccò in bolscevichi e menscevichi, che condividevano gli stessi
obbiettivi, anche se differivano sulla tattica. I capi menscevichi, nel 1917 sconfitti e
messi da parte (o soggetti a purghe), ripararono nel focolare ebraico dove fondarono
uno Stato socialista, di cui i kibbutzim sono l’ultimo ricordo residuale. La repressione
interna con ogni mezzo legale e illegale, che in Russia si esercitò contro i nemici
interni, borghesi, religiosi, contadini ricchi (purchè non ebrei), in Israele si esercitò
contro i palestinesi – con lo stesso tipo di massacri e di terrore. Da Mosca, si
guardava con attenzione e simpatia a quell’esperimento minoritario. Non a caso,
l’URSS fu la prima a riconoscere Israele.
C’è un ben preciso episodio che segnala il primo accenno di cambiamento degli animi,
ed è molto precoce: 16 ottobre 1948.
Quel giorno la prima ambasciatrice israeliana in URSS e futuro capo del governo
Golda Meir (nata Myerson, di Kiev) si recò alle funzioni della grande sinagoga di
Mosca (il comunismo sovietico aveva abbattuto le chiese, ma non le sinagoghe); a
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sorpresa, una immensa folla di ebrei sovietici si affollò nella sinagoga e nelle strade
per salutarla, felice e commossa. Non si trattava di comuni cittadini, ma della
nomenklatura ai vari livelli. Le cronache ricordano che, tra gli altri a festeggiare la
Meir, c’era la moglie di Molotov (uno del Politburo, della più stretta cerchia attorno a
Stalin), che salutò l’ambasciatrice in yiddish. E quando la Meir le chiese dove l’aveva
imparato, rispose: «Ikh bin a yidishe tokhter», ossia «sono una figlia del popolo
ebraico». Polina Molotova, infatti, si chiamava Karpovski. Ma anche la moglie del
maresciallo Voroshilov, di nome Golda Goldman, in quell’occasione esclamò:
«Adesso anche noi abbiamo una patria». E si noti, costoro si definivano
tuttiinternazionalisti, ostilissimi agli Stati nazionali (degli altri) ed erano i padroni
dell’URSS, la patria sovvietica nella loro propaganda.
Stalin capì fin troppo bene cosa preparava quella manifestazione spontanea e inattesa
di folle comuniste davanti alla sinagoga di Mosca (ci furono perfino incidenti, tant’era
la calca per entrare). Disse alla figlia Svetlana: «L’intera vecchia generazione è
contaminata di sionismo, ed ora stannoinsegnando ai giovani», e fece alcune blande
epurazioni nei piani alti della nomenklatura, oggi catalogate come il terrore
staliniano antisemita (3). In realtà, cominciava la trasmigrazione degli ebrei da
un’utopia realizzata ad un’altra.
Lo smottamento decisivo si ebbe, credo, nel 1967: la Guerra dei Sei Giorni e la
vittoria-lampo mostrò che il sogno messianico dello Israele Eterno nella sua Casa,
non era più un esperimento, ma una concreta realtà, capace di vincere.
È significativo che solo nel 1967 lo Stato ebraico coninciò a parlare delle persecuzioni
subite dagli ebrei sotto Hitler come di Olocausto; prima, l’argomento non era trattato
nemmeno nei giornali israeliani, benchè i sopravvissuti fossero là in gran numero. Io
stesso ricordo di aver avuto la prima notizia di questo sterminio da un film-
documentario, Notte e Nebbia, che circolò in tutti i cinema e pose il quadro della
narrativa ufficiale sulleSofferenze del nuovo Agnello: sei milioni di morti; forni
crematori; camere a gas (Ziklon B), paralumi fatti con la pelle di ebrei e saponette con
il loro grasso (anche se questi due ultimi particolari sono poi stati lasciati cadere dagli
stessi propagandisti).
1) Il rabbino Elia Benamozegh su La vérité israélite (1865): «La speranza che
sostiene e fortifica la Massoneria è la stessa che illumina e irrobustisce
Israele: l’avvento dei tempi messianici, che altro non è se non la constatazione
solenne e la proclamazione definitiva degli eterni principî di fratellanza e di
amore, l’associazione di tutti i cuori e di tutti gli sforzi nell’interesse di ciascuno e di
tutti, e il coronamento di questa meravigliosa casa di preghiera di tutti i popoli, di
cui Gerusalemme sarà il centro e il simbolo trionfante».
2) Il saggista e storico dell’arte Elie Faure (1873-1937), nel suo L’ame juive, ha
esaltato questa anima ebraica come «un’intelligenza sempre pronta ad eliminare il
soprannaturale dall’orizzonte dell’uomo». A cominciare dall’uomo ebreo, che non
deve desiderare un regno «che non è di questo mondo». Ma tutto il passo di Faure è
interessante: «Da Maimonide a Charlie Chaplin, la traccia è facile da
seguire, sebbene la circolazione dello spirito ebraico sia stata, per così
dire, imponderabile e che ci si sia accorti solamente dopo il suo passaggio della sua
potenza disgregatrice (...). Freud, Einstein, Marcel Proust, Charlie Chaplin ci hanno
aperto, in ogni senso, dei prodigiosi viali che hanno abbattuto le mura dell’edificio
classico greco-latino e cattolico, in seno al quale il dubbio ardente dell’anima
ebraica attendeva, da secoli,l’opportunità di scuoterlo (...), in attesa che, da questa
stessa negazione,prendesse forma poco a poco un nuovo edificio profondamente
segnato da un’intelligenza sempre intenta ad eliminare il soprannaturale
dall’orizzonte dell’uomo». Ovviamente, quando il potere politico cessa di sentirsi
ispirato da Dio e dunque sotto il Suo sguardo, si esercita senza alcun limite nè
scrupolo di coscienza sulla carne umana.
3) Simon Sebag Montefiore, «Stalin - The court of the Red Tsar», London, 2003,
pagine 599 e seguenti.