1933 –
1945
Dal 1942 l'ufficio del ministro per i Territori occupati dell'Est Alfred Rosenberg
Nel 1923 prese parte al fallito Putsch di Monaco a seguito del quale Hitler fu arrestato, il partito sciolto e
il giornale cessò le pubblicazioni. Dopo il rilascio del Führer riprese la sua attività, divenendo
l'intellettuale del partito. Nel 1930 venne eletto per la prima volta deputato al Parlamento tedesco. Da
questa data sino alla fine della guerra mantenne sempre un ruolo di enorme rilevanza all'interno del
partito ma soprattutto nei quadri del nuovo impero tedesco, come dimostrano gli incarichi che Hitler gli
affidò nel corso degli anni. Come prima nomina, il nuovo Cancelliere assegnò a Rosenberg il ruolo di
"Delegato del Führer per l'educazione e la formazione intellettuale e filosofica del partito
Nazionalsocialista" nel 1933, incarico che ben rispecchiava la sua figura di leader indiscusso dopo
Hitler in quanto a dottrina del movimento.
Non solo, sempre dello stesso anno fu la nomina di Rosenberg a "Responsabile Esteri per il Partito"
(ruolo che ricoprì sino alla fine della guerra nel 1945) e grazie al quale ebbe modo di tessere stretti
rapporti con pressoché tutti i partiti fascisti sparsi nel mondo (ruolo che gli dette una notevole visibilità).
Nel 1939, sempre per la sua forte conoscenza della questione ebraica, fondò su ordine di Hitler
"l'Istituto di studi sulla questione ebraica" (Institut zur Erforschung der Judenfrage), il cui compito era
sostanzialmente diretto a svuotare archivi, musei e gallerie d'arte ebraica europee a "fini di ricerca
scientifica". Con il deflagrare della guerra Rosenberg fondò un suo proprio staff operativo,
chiamato Einsatzstab Reichsleiter Rosenberg o Commando Rosenberg, che si occupò principalmente
(se non in via esclusiva) di trafugare opere d'arte da tutti i territori occupati dell'Europa ma in modo
particolare dalla Francia.
Al 1941 risale invece la sua ultima nomina politica, quella a Ministro dei territori occupati, ruolo grazie al
quale ebbe modo di impegnarsi in prima persona alla realizzazione del piano sullo sterminio di massa
della popolazione ebraica. Durante la prigionia a Norimberga, in attesa del giudizio che lo condurrà alla
pena di morte, Rosenberg fu autore di una serie di appunti autobiografici che erano tesi a sminuire la
sua figura all'interno del partito (forse un ultimo tentativo di difesa contro la pena di morte), accusando
dello sterminio soprattutto Göbbels, Himmler e Bormann, sottolineando di essersi occupato
essenzialmente di cultura e di ricerca, tenendo a passare le giornate "isolato nelle biblioteche a leggere
mentre gli altri gerarchi erano intenti a tessere fitte reti di rapporti ed estendere la loro influenza"
("Letzte Aufzeichnungen. Nürnberg 1945/1946).
Rosenberg, come esplicò nelle sue pubblicazioni, considerava gli africani una razza inferiore al pari
degli ebrei e delle altre popolazionisemitiche, esprimendo disprezzo anche per gli slavi. Al vertice della
"gerarchia delle razze" individuava, in conformità all'ideologia razzialenazionalsocialista, gli ariani
(nordici, mediterranei, dinarici, alpini ed est baltici), discendenti dalle antiche popolazioni indoeuropee.
Per le sue teorie sulla razza prese spunto da quelle del marchese Joseph Arthur de Gobineau,
di Houston Stewart Chamberlain e di Madison Grant, indicando gli ariani come fondatori di tutte le
grandi civiltà del passato, da quella persiana ed egizia a quella dorica e romana, e sostenendo che il
decadimento di tali civiltà, a cui appartiene anche quella tedesca, fosse da ricercarsi nella commistione
razziale.
([2])
Rosenberg sostiene inoltre con forza la teoria del complotto giudeo-massonico-bolscevico (favorendo la
diffusione dei Protocolli dei Savi di Sion), l'anticomunismo (con particolare enfasi contro il bolscevismo),
il rifiuto della cosiddetta "arte degenerata", le teorie razziste e socialdarwiniste, e la visione messianica
di Hitler. Assieme a Hess è il maggior integratore nella dottrina nazionalsocialista del concetto
di Lebensraum, che porterà all'invasione dell'Europa Orientale.
Durante l'occupazione, egli, allora capo del Ministero del Reich per i Territori occupati dell'Est, decise di
mettere in pratica l'operazione Heuaktion ("operazione fieno") dove rapì bambini polacchi per renderli
schiavi in Germania.[3]
Il Mito del XX secolo e il Cristianesimo Positivo[modifica | modifica wikitesto]
Lo stesso argomento in dettaglio: Religioni nella Germania nazista.
Il mito del XX secolo, il libro più celebre di Rosenberg, si rifà alla teoria del pangermanismo e
soprattutto all'ideologia razzista propagata da Chamberlain (il titolo stesso è un omaggio a I fondamenti
del XIX secolo). Nel testo, Rosenberg esamina tra le altre cose il cosiddetto Cristianesimo positivo,
quella che sperava sarebbe divenuta la religione ufficiale del Terzo Reich.
«Oggi Gesù appare a noi come Signore [Herr] sicuro di sé, nel migliore e più alto significato della
parola. È la sua vita che per le genti germaniche acquista significato, non la sua morte tormentata, che
è l'immagine sua tra i popoli delle Alpi e del Mediterraneo. Il potente vendicatore, incollerito [Zurnende]
nel tempio, l'uomo che trascinava i suoi seguaci, è l'ideale che oggi scaturisce risplendente dai Vangeli,
non l'agnello sacrificale dei profeti ebraici, non il crocifisso.»[4]
Rosenberg ergeva Gesù a superuomo, simbolo della razza ariana. In particolare ne esaltava gli aspetti
della vita nei quali, secondo i Vangeli, aveva manifestato opposizione nei confronti delle istituzioni
ebraiche. Non va tuttavia dimenticato che, nel pensiero di Rosenberg, Gesù non era figlio di Dio, né
risorse dai morti (Rosenberg le definisce "leggende"). In pratica, la figura di Gesù viene privata di ogni
attributo divino e messianico e viene accostata alle figure di grandi pensatori come Confucio o Meister
Eckhart. A Gesù si riconosce il merito di aver superato la frattura "siriaco-etrusco-giudaica" tra umano e
divino, in ciò mostrando perfetta sintonia con il panteismo propagandato dal nazionalsocialismo, ostile
all'idea di un Dio personale (il concetto di "Provvidenza" per il nazismo è infatti completamente diverso
da quello del monoteismo giudaico, cristiano ed islamico).
Nonostante la diffusione del libro (paragonabile a quella del Mein Kampf), le reazioni degli altri gerarchi
furono per la maggior parte negative. Molti sottolinearono il conflitto che si sarebbe venuto a creare con
gli ambienti cattolici e protestanti, in quanto Rosenberg si opponeva tenacemente ad entrambe le
religioni, mentre la maggior parte dei gerarchi era seguace di una o dell'altra. Goebbels si rivelò
particolarmente critico nei confronti dell'opera e del suo autore, per il quale coniò il termine «Almost
Rosenberg» (quasi Rosenberg), al fine di indicare qualcuno «quasi in grado di diventare un filosofo, un
giornalista o un politico, ma solo quasi»[5]. Hitler stesso, che intendeva apparire come l'unico in grado di
salvaguardare il cristianesimo dall'ateismo comunista, definì il libro «illogico e derivativo», ma allo
stesso tempo assicurò a Rosenberg che si trattava di un libro «molto intelligente».[5]
Il Vaticano prese le distanze da Rosenberg. Il 7 febbraio 1934 l'Osservatore Romano pubblicò un
articolo in cui informava che il libro di Rosenberg era stato messo all'Indice, in quanto «mostra
disprezzo per tutti i dogmi della Chiesa cattolica, cioè i fondamenti stessi della religione cristiana e li
respinge completamente. Sostiene la necessità di fondare una nuova religione o una chiesa germanica
e proclama il principio: "Oggi si sta svegliando una nuova fede, il mito del sangue, la fede nel difendere
con il sangue l'essenza divina dell'uomo.."». Rosenberg, tra l'altro, si era già distaccato dalle chiese
tradizionali nel 1933 richiedendo, con un atto ufficiale ("Kirchenaustritt"), che il suo nominativo venisse
cancellato dagli elenchi dei battezzati nella chiesa cattolica.[6] Nonostante le varie controversie inerenti
al libro, l'apporto ideologico di Rosenberg alla dottrina nazionalsocialista rimane comunque di primaria
importanza.
Rosenberg venne catturato dagli Alleati alla fine della guerra e sedette in prima fila al Processo di
Norimberga. Durante il processo si isolò dal resto degli imputati, con i quali non era mai stato in buoni
rapporti. Non espresse mai pentimento o rimorso per le sue azioni, continuando anzi a sostenere fino
all'ultimo la propria fede nel nazismo, sostenendo che i crimini fossero dovuti ad un'errata
interpretazione della filosofia nazionalsocialista. Dalle testimonianze degli altri gerarchi emerse inoltre
che nessuno di loro aveva letto, se non per poche pagine, Il Mito del XX secolo.
Nel suo rapporto medico e psichiatrico sui detenuti, il tenente colonnello W.H. Dunn scrisse di
Rosenberg:
Dava l'impressione di aggrapparsi in modo fanatico e intransigente alle proprie teorie e di essere stato
ben poco influenzato, durante il processo, dalla scoperta della crudeltà e dei crimini del partito.[7]
Sempre Dunn riassunse in questi termini il conflitto fra il punto di vista di Rosenberg e il pragmatismo
degli altri gerarchi:
Il crudele raggiungimento degli obiettivi del nazismo si rivelò essere non la permeazione della vita dei
tedeschi con la nuova ideologia, come Rosenberg aveva sperato, ma la concentrazione delle risorse
del partito e dello stato nella guerra totale.[7]
Rosenberg fu riconosciuto colpevole di tutti e quattro i capi d'accusa (cospirazione per infrangere
il trattato di Versailles, attuazione dell'aggressione, crimini di guerra e crimini contro l'umanità)[8] e
condannato a morte per impiccagione. La sentenza fu emessa dal giudice sovietico Iona Nikitchenko il
1º ottobre 1946 e due settimane dopo, il mattino del 16, Rosenberg fu giustiziato. Fu il quarto a salire
sul patibolo e l'unico dei condannati a rispondere "No" quando gli venne chiesto se volesse dire
qualcosa prima dell'impiccagione. La sua esecuzione fu lenta: Rosenberg impiegò un minuto e mezzo
per morire.[9] In seguito il corpo venne cremato e le ceneri vennero disperse in un fiume tedesco.
istematico e completo nella sua opera più importante, Der Mythus des 20. Jahrhunderts. Eine Wertung der seelisch-geistigen
Gestaltenkämpfe unserer Zeit, «Il mito del secolo XX. Una valutazione delle battaglie spirituali del nostro tempo» (1). L’opera, pubblicata
per la prima volta nel 1930, ha avuto numerose ristampe ed è giunta, alla fine della seconda guerra mondiale (1939-1945), a una tiratura
complessiva di 1 milione e 100 mila copie. La pubblicazione di Der Mythus non ha raccolto solamente larghi consensi all’interno del Partito
Nazionalsocialista e in ambienti nazionalisti, ma ha provocato anche discussioni e decise resistenze, alle quali Rosenberg ha risposto in
diverse occasioni. La lettura di Der Mythus è indispensabile per comprendere l’ideologia del nazionalsocialismo, mentre dalle reazioni di
Rosenberg è possibile rendersi conto di quali fossero i suoi avversari, cioè di chi allora ha reagito contro le sue tesi e in genere contro
l’ideologia nazionalsocialista.
2. La vita
Alfred Rosenberg nasce il 12 gennaio 1893 a Reval, nell’Impero degli Zar — oggi Tallinn, in Estonia — da una famiglia appartenente da
generazioni alla minoranza tedesca del paese baltico. Lo scoppio della prima guerra mondiale (1914-1918) mette fine a un clima di pacifica
convivenza della comunità tedesca con la popolazione slava. La nuova situazione pone in modo acuto la questione dell’identità nazionale e il
giovane Rosenberg comincia a interessarsi delle radici della cultura tedesca e di quella dell’Occidente. Si appassiona alla lettura di opere di
antichità classica, di letteratura e di filosofia tedesca. Ma la lettura di Die Grundlagen des Neunzehnten Jahrhunderts, «I fondamenti del
secolo diciannovesimo», pubblicata nel 1899 dallo scrittore tedesco di origine inglese Houston Stewart Chamberlain (1855-1927) (2), gli
fornisce un’interpretazione unitaria della storia dell’Occidente e gli suggerisce un atteggiamento critico nei confronti del cristianesimo: «Da
allora ho sempre presente il problema del cristianesimo» (3).
Nell’autobiografia Rosenberg ricorda due episodi che lo hanno colpito profondamente durante un viaggio in Germania nel 1911. In una
chiesa osserva un giovane contadino inginocchiato davanti a un confessionale e nota: «E io mi sono chiesto: cosa avete fatto al popolo
orgoglioso, che non si rende più conto dell’indegnità di un simile inginocchiamento?»(4). Uscito dalla chiesa, Rosenberg vede in una
trattoria un contadino che dà da bere la sua birra al piccolo figlio: «Questa manifestazione di forza e di naturalezza mi ha posto davanti agli
occhi quanto in seguito è diventato l’oggetto delle mie considerazioni di filosofia della religione: il rapporto fatale fra una “dottrina
rivelata” orientale e lo spirito contadino tedesco»(5).
Dopo le scuole superiori Rosenberg studia architettura prima a Riga, sempre in Estonia, e successivamente a Mosca, dove la facoltà era stata
trasferita durante la prima guerra mondiale. A Mosca Rosenberg ha la possibilità di migliorare la conoscenza della lingua, della cultura e
della mentalità russe, e segue da vicino gl’inizi della Rivoluzione bolscevica del 1917. Egli è preoccupato per gli sviluppi della situazione
politica in Russia e decide, dopo aver terminato gli studi, di lasciare il paese e, nel dicembre del 1918, si trasferisce in Germania.
A Monaco di Baviera trova una situazione rivoluzionaria simile a quella che aveva vissuto a Mosca e decide d’impegnarsi contro la
Rivoluzione bolscevica; allaccia in breve tempo contatti con ambienti nazionalisti e fa conoscenza anche di Adolf Hitler (1889-1945). Nel
1919 Rosenberg è iscritto al Deutsche Arbeiter Partei, il Partito dei Lavoratori Tedeschi, da cui nascerà lo NSDAP, il Partito
Nazionalsocialista dei Lavoratori Tedeschi. Grazie alla sua personalità e alla sua cultura, molto superiore a quella degli altri collaboratori di
Hitler, Rosenberg ottiene incarichi molto importanti e riveste posizioni dirigenziali in tutta la storia del partito, dalle difficoltà iniziali alla
presa del potere e al crollo finale.
Nel 1921 è redattore capo del Völkischer Beobachter. Kampfblatt der nationalsozialistischen Bewegung Grossdeutschlands, «L’osservatore
nazionale. Foglio di battaglia del movimento nazionalsocialista della Grande Germania», talora, nella propaganda dell’epoca, indicato come
«Il giornale del Führer».
Nel 1922, pubblica Wesen, Grundsätze und Ziele der Nationalsozialistischen Deutschen Arbeiterpartei, «Natura, princìpi e obiettivi del
Partito Nazionalsocialista dei Lavoratori Tedeschi», cioè edita e commenta ufficialmente il programma del partito, il che costituisce anche il
primo scritto ideologico ufficiale del movimento (6).
Dal 1923 al 1924, mentre sconta la pena per il fallito putsch di Monaco di Baviera, Hitler affida a Rosenberg l’incarico di dirigere il partito.
Nel 1930, Rosenberg è rappresentante dello NSDAP all’Ufficio Affari Esteri del Reichstag, il parlamento del Reich; nel 1933, è capo
dell’Ufficio Affari Esteri dello NSDAP; nel 1934, è «Incaricato del Führer per il controllo di tutta la formazione ed educazione spirituale e
ideologica del NSDAP», e in questa veste organizza un ufficio indicato spesso per semplicità come Amt Rosenberg, «Servizio Rosenberg»;
nel 1940, è «Incaricato del Führer per la sicurezza dell’ideologia nazionalsocialista»; e nel 1941, è ministro del Reich per i territori orientali
occupati.
Rosenberg viene processato a Norimberga e giustiziato il 16 ottobre 1946.
Durante la prigionia Rosenberg ha scritto delle memorie, Letzte Aufzeichnungen. Nürnberg 1945/46, «Ultimi appunti. Norimberga 1945-
1946» (7). In questi appunti autobiografici egli cerca di sminuire il proprio ruolo all’interno del partito, dichiara di aver rivestito importanti
funzioni, ma di esser stato impegnato soprattutto nell’ambito della cultura, di aver passato ogni giorno molte ore in biblioteche, preso dalle
sue ricerche, mentre altri gerarchi tessevano reti di rapporti, formavano cordate e cercavano di estendere la propria influenza. Fino all’ultimo
rimane fedele all’ideologia nazionalsocialista e a Hitler, ma prende le distanze dalle «deviazioni» del regime, la cui responsabilità attribuisce
soprattutto a Joseph Göbbels (1897-1945), a Heinrich Himmler (1900-1945) e a Martin Bormann (1900-1945).
4. Le «religioni politiche»
Rosenberg vede la soluzione della profonda crisi che ha colpito la nazione tedesca dopo la prima guerra mondiale e con la fine
dell’ordinamento monarchico non in un programma di partito convenzionale, ma nella costruzione di un Reich, supportato da un nuovo mito
fondato sui valori eterni dell’anima tedesca: «Il problema del futuro Reich della nostalgia tedesca consiste quindi nel predicare una nuova
visione del mondo a questi milioni di tormentati e d’ingannati, di procurare loro, a partire da un nuovo mito, un valore assoluto che tutto
forma o, più precisamente, di purificare il valore della nazione e dell’onore nazionale sopito in tutti dai detriti secolari, di porre sotto il suo
segno tutta la vita» (21).
Questo mito è «il mito del sangue», che scaturisce dalla natura più profonda dell’uomo e che, in opposizione alle altre ideologie della razza,
non è di natura biologica ma divina.
«Oggi si ridesta però una nuova fede: il mito del sangue, la credenza di difendere soprattutto col sangue l’essenza divina dell’uomo. La fede
incarnata colla più chiara consapevolezza che il sangue nordico rappresenta quel mistero che ha sostituito e superato i vecchi
sacramenti»(22).
Se si tiene conto di simili tesi non ci si può meravigliare se Voegelin, che nel 1933 riferendosi a Rosenberg parla ancora di
movimento «nazionale» e «politico» , nel 1939 utilizza invece il concetto di «religione politica». Der Mythus, l’opera più importante del
custode della purezza della visione del mondo nazionalsocialista, non è, in senso stretto, un manifesto politico, ma un libro di fede, che
annuncia un mistero, «[…] che ha — come abbiamo appena letto — sostituito e superato i vecchi sacramenti».
Nella discussione a proposito delle «religioni politiche» vi sono specialisti come Hans Mommsen, professore emerito dell’università di
Bochum, in Germania, che rifiutano l’applicazione di questo concetto al nazionalsocialismo, che non avrebbe avuto una dottrina unitaria, in
quanto i maggiori esponenti del regime avrebbero avuto opinioni diverse su punti importanti e sarebbero stati in conflitto fra loro, Hitler
avrebbe frenato le critiche contro la Chiesa cattolica e le comunità protestanti e non avrebbe auspicato la creazione di una Chiesa nazionale.
Mommsen è anche del parere che la «sacralizzazione» del Führer e della vita del partito «[…] non aveva lo scopo di creare una religione
alternativa» (23). Quest’ultima affermazione appare alquanto problematica, dal momento che lo stesso Mommsen cita una lettera del vice
del Führer, Rudolf Hess (1894-1987), dell’aprile 1940, nella quale si legge: «Il Führer non ha solo abbandonato il piano di creare una
Chiesa nazionale. Oggi rifiuta totalmente questo piano» (24): a quanto pare il piano di una Chiesa del Reich venne perseguito, almeno per un
certo periodo, dallo stesso Hitler, che lo abbandona solo negli anni della guerra per motivi facilmente comprensibili.
Mommsen non sembra neppure tenere in debito conto i diversi livelli della Rivoluzione nazionalsocialista, cioè il fatto che alla presa del
potere non segue automaticamente l’affermazione e la diffusione dell’ideologia del partito, cosa di cui uomini come Rosenberg sono
pienamente consapevoli. Il 22 febbraio 1934 egli tiene il suo primo discorso ufficiale come «Incaricato del Führer per il controllo di tutta la
formazione ed educazione spirituale e ideologica del NSDAP». In tale discorso, intitolato La lotta per la Weltanschauung, Rosenberg
sottolinea che «la Rivoluzione nazionalsocialista, portata a termine dal punto di vista del potere politico, dal punto di vista della storia dello
spirito — è necessario ripeterlo ancora una volta — è ancora agli inizî» (25).
Rosenberg distingue nettamente la rivoluzione politica da quella culturale e spirituale, così come le loro differenti velocità e strategie. In un
articolo del Völkischer Beobachter. Kampfblatt der nationalsozialistischen Bewegung Grossdeutschlands del 1° gennaio 1935 ribadisce che
non vi è stata ancora la svolta nell’ambito della scienza, della cultura e dell’arte; Rosenberg è però convinto che il confronto imminente
presenta anche aspetti positivi: «Gli avversari della nostra ideologia dovranno prendere posizione» (26). E dà per scontato che la rivoluzione
ideologica durerà a lungo: infatti, si deve essere consapevoli del fatto che «[…] noi nell’ultimo anno — e probabilmente anche nell’anno
1935 e dopo — abbiamo vissuto e vivremo in una condizione di transizione. Un’altra situazione non sarebbe naturale; in quanto la
Rivoluzione nazionalsocialista ha sollevato talmente tanti problemi fondamentali sulla natura tedesca e sul pensiero europeo, che questi
possono essere impostati veramente soltanto attraverso un lento processo di elaborazione interiore» (27).
Karl-Josef Schipperges, docente emerito dell’Istituto Storico del Politecnico di Aquisgrana, in Germania, sottolinea a ragione che il
nazionalsocialismo ha sviluppato rituali, una liturgia e concezioni che danno l’impressione di un sostituto della religione tradizionale (28).
Quindi, l’essenza delle «religioni politiche» non consiste solamente nelle forme esteriori di tipo religioso assunte da movimenti politici che, a
parte la struttura autoritario-totalitaria, non si distinguono da altri movimenti pure politici, ma soprattutto nella pretesa di dare risposte
definitive ed esclusive a tutte le domande dell’uomo, politiche e non politiche, quindi anche specificamente religiose.
Il fatto che la rivoluzione politica sia molto più avanzata di quella spirituale, e che questa si sia manifestata in forme che spesso possono
apparire poco autentiche, affettate, kitsch e pseudoreligiose non può impedire di considerare il nazionalsocialismo come una «religione
politica» almeno nelle intenzioni e in fieri.
Anche se non è stato realizzato nella vita di tutti i giorni il programma del NSDAP presenta una connotazione religiosa, come mostra
l’introduzione di Rosenberg al programma del partito del 1922: «Il risveglio più profondo del nostro presente è l’autocoscienza della razza
europea così come si è incarnata nell’uomo tedesco, la forza dell’anima che non vuole solo mostrare sé stessa, convinta fermamente che in
questo modo viene creato il massimo di cui è capace. Dopo secoli di negazione della natura eterna il movimento völkisch e
nazionalsocialista s’inserisce nuovamente nella regolarità del processo vitale eterno. Questa coscienza gli dà la forza e la fede» (29).
È senz’altro possibile che altre personalità influenti del regime, che dal punto di vista del potere politico hanno avuto maggior peso di
Rosenberg, abbiano sostenuto altre teorie della razza. Gli obiettivi di Rosenberg erano chiari, soprattutto nelle sue polemiche con Goebbels,
che accusa di fare della propaganda superficiale invece di occuparsi di una formazione dottrinale coerente e approfondita. Rosenberg esercita
la sua influenza in vari modi.
Anzitutto influisce sulla formazione della Hitlerjugend, la Gioventù Hitleriana, e quindi sulla nuova generazione del partito, il cui capo,
il Reichsjugendführer Baldur von Schirach (1907-1974), era convinto che «la via della Hitlerjugend è la via di Alfred Rosenberg» (30).
Spesso viene sostenuta la tesi secondo cui Der Mythus, tanto per la sua mole quanto per il contenuto complesso, ha avuto uno scarso numero
di lettori e, quindi, una scarsa influenza. Per esempio, Bernd Kleinhans, alla voce Alfred Rosenberg nel sito < www.shoa.de>
scrive: «Comunque il “Mito” venne letto poco a causa della sua scarsa comprensibilità» (31). È possibile che non tutti gli esemplari
stampati di Der Mythus siano stati letti e la lettura sia risultata troppo difficile per il lettore medio, ma si deve tener conto che l’opera ha un
ruolo importante nel lavoro di formazione all’interno di varie organizzazioni nazionalsocialiste: dalle SS, le Schutzstaffel, le «Squadre di
protezione», al Nationalsozialisticher Lehrerbund, la «Lega nazionalsocialista degl’insegnanti», e al Nationalsozialisticher Dozentenbund, la
«Lega nazionalsocialista dei professori», e influenza soprattutto gli ambienti più ideologizzati.
Inoltre, si deve ricordare che le tesi in essa contenute vengono esposte in forma più accessibile in innumerevoli pubblicazioni e riviste
ufficiali del partito dirette da Rosenberg, come i Nazionalsozialistische Monatshefte, i «Quaderni mensili nazionalsocialisti», o la rivista
mensile Schulungsbrief, «Lettera di formazione», che raggiunse una tiratura di ben sette milioni di esemplari (32).
Nei pochi anni di attività l’Amt Rosenberg raccoglie una quantità enorme d’informazioni: scheda tutti gl’iscritti al partito, costituisce un
archivio con dossier ben documentati su sessantamila personalità della vita culturale (33), che vengono discriminate in base a questa
documentazione. Per esempio, nei concorsi per cattedre universitarie l’Amt Rosenbergdoveva fornire una valutazione dei candidati: «Criteri
di giudizio erano, oltre alla razza, soprattutto l’atteggiamento nei confronti della religione e i rapporti con le Chiese. Precedenti contatti con
ambienti del Zentrum o con un’organizzazione cattolica erano un motivo privilegiato per l’esclusione» (34).
Ma, dal momento che le leggi ancora vigenti e l’autonomia della ricerca e dell’insegnamento ponevano limiti all’ideologizzazione
dell’università, Rosenberg progetta la costituzione di una serie d’istituti di ricerca e d’insegnamento di orientamento esplicitamente
nazionalsocialista, la Hohe Schule, una «Scuola superiore» per il partito.
Gli obiettivi della Hohe Schule sono stati definiti da Hitler stesso nell’Ordinanza del Führer del 29 gennaio 1940: «La Hohe Schule deve
diventare un giorno il luogo della ricerca, dell’insegnamento e dell’educazione nazionalsocialiste. La sua istituzione avverrà dopo la
guerra. Per sostenere i preparativi già in atto ordino che il ministro Alfred Rosenberg prosegua questi lavori preparatori, soprattutto nel
campo della ricerca e nella costituzione della biblioteca» (35). Per la sede principale della Hohe Schule Hitler stesso aveva scelto una
località su un lago della Baviera, il Chiemsee, ma erano previste diverse sedi staccate, che in parte erano nella fase di costituzione, come la
sede di Scienza della Religione a Halle, quella per la Ricerca Biologica e della Razza a Stoccarda e un Istituto per lo Studio della Questione
della Razza a Francoforte sul Meno (36).
Se fra i gerarchi del partito non vi fu unanimità in campo ideologico, è indubbio che per Hitler l’ideologo del partito era Rosenberg, al quale
ha affidato gl’incarichi più importanti in campo dottrinale e al quale ha ripetutamente confermato la fiducia, come in occasione del
conferimento del Premio Nazionale Tedesco, che il Führer istituisce nel 1937 dopo aver proibito ai cittadini tedeschi di accettare il premio
Nobel. Goebbels, incaricato della laudatio, dichiara: «Con le sue opere Alfred Rosenberg ha contribuito in modo assolutamente eminente a
fondare e a rafforzare scientificamente e intuitivamente l’ideologia nazionalsocialista. In una lotta indefessa per mantenere pura la visione
del mondo nazionalsocialista ha acquisito meriti molto particolari. Solo in un’epoca futura sarà possibile valutare quanto profonda è stata
l’influenza di quest’uomo sulla formazione spirituale e ideologica del Reich nazionalsocialista. Non solo il movimento nazionalsocialista ma
anche tutto il popolo tedesco saluterà con profonda soddisfazione il fatto che il Führer, con l’assegnazione del Premio Nazionale Tedesco,
ha voluto onorare uno dei suoi più vecchi e più fidati collaboratori» (37).
A Rosenberg vengono spesso affidati incarichi non facili, in quanto si trattava in molti casi di dar vita a istituzioni nuove, cominciando dalla
scelta dei collaboratori più stretti. Il fine era chiaro e l’ideologia avrebbe incorporato sempre più anche le tematiche religiose.
Anche altri intellettuali nazionalsocialisti erano consapevoli del fatto che la rivoluzione politica doveva essere seguita e completata da una
rivoluzione religiosa, ma che questo passaggio, a causa delle forti reazioni che si sarebbero per certo manifestate, non poteva essere
realizzato con precipitazione, come mostrano due citazioni di Ernst Bergmann (1881-1945): «[…] io credo che la rivoluzione resti
incompiuta se non si trasforma in una riforma» (38); e «Ci avviamo verso uno scontro di dimensioni tremende. Di proporzioni talmente
immani da dover chiudere gli occhi davanti a esso. Per dimensione non è assolutamente paragonabile a quella luterana. Per questo
abbiamo la massima comprensione se il Führer vuole ancora rimandare questa lotta, e per il momento la vuole risparmiare alla nostra
povera, amata patria, fino a quando sarà guarita e rafforzata» (39).
5. «Der Mythus»
La lettura di Der Mythus può riservare talune sorprese al lettore impreparato. Nelle 700 pagine del testo si trovano alcuni riferimenti alla
politica, con critiche dell’attività del partito del Zentrum — che era stato fondato nel 1870 per rappresentare la minoranza cattolica contro la
politica ispirata al Kulturkampf (1871-1879) del cancelliere Otto von Bismark (1815-1898), ma dal 1919 partito di governo — e della
Rivoluzione bolscevica.
Ma tali riferimenti rappresentano, nell’economia generale dell’opera, una quantità trascurabile. Rosenberg supera l’ambito dell’attualità
politica, e la situazione del popolo tedesco viene inserita in una visione unitaria della storia dell’Occidente e di tutta l’umanità. Il problema
politico viene interpretato alla luce della storia della cultura e in chiave religiosa, per cui non ci si deve stupire se Der Mythus considera la
Chiesa cattolica come il nemico più importante del rinnovamento del popolo tedesco.
Per comprendere meglio la concezione che sta alla base di Der Mythus dev’essere ricordata una tesi particolare dell’autore: «Il concetto di
Bene non è assolutamente comprensibile senza quello di Male, e solo attraverso di esso ottiene una limitazione, cioè una forma. […]Dalla
contrapposizione del SI e del NO sempre sussistente, peraltro ha origine ogni vita, tutto ciò che è creativo, ed anche il monista dogmatico —
sia materialista che spiritualista — vive solo tramite l’esistenza dell’eterno contrasto» (40); «[…] noi proclamiamo l’antica formula,
secondo cui il conflitto è il padre di tutte le cose» (41).
La tesi, secondo cui il bene non è assolutamente comprensibile senza il male e per cui la vita è un processo dinamico, originato dalla tensione
fra opposti, può spiegare perché Rosenberg descriva «l’anima nordica» in modo, in definitiva, piuttosto vago, per esempio con i valori di
onore e di libertà o come dinamica, combattiva, in ricerca e così via.
Nella nuova teoria della razza il mito prende forma solo vagamente in riferimento a valori positivi e, soprattutto, in contrapposizione a un
principio opposto di pari dignità. In Der Mythus è principalmente la Chiesa cattolica a rappresentare la negatività, come può mostrare un
passo in cui il domenicano tedesco Johannes Eckhart, noto come Meister Eckhart (1260 ca.-1327), viene contrapposto alla Chiesa come
esempio dell’anima nordica: «Con la sua religione, la sua etica e la sua critica della conoscenza antiromane, Eckhart si separa
coscientemente, anzi bruscamente, da tutti i basilari comandamenti sia della Chiesa romana che della successiva Chiesa luterana. In luogo
della statica anima giudaico-romana, egli pone la dinamica dell’anima nordico-occidentale; in luogo di un violentamento monistico esige il
riconoscimento della duplicità di ogni vita; al posto della dottrina della sottomissione e di una felicità da servi egli predica il riconoscimento
della libertà dell’anima e del volere; al posto della presunzione ecclesiastica della rappresentanza di Dio mise l’onore e la nobiltà della
personalità spirituale; al posto dell’amore estatico, devoto e sottomesso, subentra l’idea aristocratica della segregazione personale e della
solitudine spirituale; al posto della violenza della natura subentra la sua realizzazione. E tutto ciò significa: al posto della concezione del
mondo giudaico-romano subentra la confessione spirituale nordico-occidentale come il lato interiore dell’uomo tedesco-germanico, della
razza nordica» (42).
Nella prima parte di Der Mythus Rosenberg interpreta la storia del mondo antico alla luce della sua teoria della razza. Egli è convinto
che «[…] il “senso della storia del mondo” è andato irraggiandosi dal Nord su tutta la Terra, portato da una razza bionda e dagli occhi
azzurri, che in varie grandi ondate stabilì il volto spirituale del mondo, e ciò fece anche laddove dovette tramontare. Noi chiamiamo questi
periodi di migrazioni nel modo seguente: la migrazione ravvolta nella leggenda degli Atlantidi nell’Africa del Nord; la migrazione degli Arii
verso la Persia-India, seguita da Dorii, Macedoni, Latini, il passaggio della migrazione dei popoli germanici; la colonizzazione del mondo
tramite l’Occidente germanicamente determinato»(43).
Nel suo cammino la razza nordica affronta molte sfide, descritte da Rosenberg come una lotta fra due princìpi assoluti: «Sulla terra di Grecia
si disputò, in modo decisivo dal punto di vista della storia universale, il primo grande conflitto risolutivo fra i valori razziali, a favore della
natura nordica» (44). Secondo queste tesi, la lotta non si sarebbe limitata a una sola battaglia, ma si sarebbe prolungata per secoli, in diverse
fasi. Le migrazioni nordiche di achei, dori e macedoni incontrano la resistenza delle popolazioni originarie, che ricevono rinforzi dall’Asia
Minore. La lotta si svolge su diversi piani: il principio paterno nordico contro l’ordine matriarcale asiatico, la religiosità pura nordica contro
la magia sacrificale, divinità «solari» come Apollo e Atena contro culti estatico-tellurici di Dioniso e di Demetra.
Una lotta analoga avrebbe caratterizzato anche gl’inizi del cristianesimo e lo sviluppo della Chiesa cattolica.
«La lotta dei primi secoli postcristiani si può comprendere soltanto come una lotta fra diverse anime razziali contro il policefalo caos
razziale, in cui la mentalità siriaco-mediorientale con la sua superstizione, la sua stregoneria e i suoi “misteri” sensuali, aveva riunito
dietro di sé tutto ciò che era caotico, spezzato, disgregato, imprimendo al cristianesimo il carattere discordante, di cui ancora oggi
soffre» (45).
Elementi asiatici vengono attribuiti per esempio all’evangelista san Matteo e a san Paolo: «Le nostre Chiese paoline, in sostanza, non sono
cristiane, ma il prodotto delle aspirazioni apostoliche ebraico-siriache, come iniziate dal gerosolimitano autore del Vangelo di Matteo e
completate, indipendentemente da lui, da Paolo» (46). Rosenberg parla addirittura di «imbastardimento, orientalizzazione e giudaizzazione
del Cristianesimo» (47), ai quali si era opposto «[…] il Vangelo di Giovanni, che ancora respirava aria aristocratica» (48). «Paolo ha
raccolto in modo completamente consapevole tutta la feccia dello Stato e dello spirito nei paesi del suo mondo, per scatenare una rivolta
degli esseri inferiori» (49).
A Roma il conflitto all’interno del cristianesimo è stato ampliato da nuovi elementi; i latini hanno dato alla Chiesa un carattere nordico,
mentre influssi etruschi hanno rafforzato la componente orientale.
«L’“haruspex” vinse, il Pontefice romano si erse suo immediato successore, mentre la signoria del tempio, il collegio dei cardinali,
rappresenta una mescolanza del sacerdozio degli etrusco-siro-mediorientali e dei Giudei col nordico Senato di Roma. A questo “haruspex”
etrusco risale anche allora la “nostra” concezione di vita medievale, quella tremenda credenza magica, quella “follia stregonesca” , di cui
sono caduti vittime milioni di occidentali» (50).
La diffusione del cristianesimo in Europa non avrebbe solo alienato per secoli la religiosità degli europei, ma anche tutta la loro natura. «La
ricerca religiosa dell’Europa è stata avvelenata alla fonte da una forma a essa estranea, quando la sua prima epoca mitologica stava per
finire. L’uomo occidentale non poteva più pensare, sentire e pregare in una forma a lui connaturale» (51).
Non viene risparmiato neanche il diritto romano: «Dalla falsificazione da parte delle influenze siriaco-romane dell’idea del diritto, nordica e
consapevole dell’onore, dipende una delle cause più profonde anche della nostra lacerazione sociale» (52).
12. Conclusioni
Nel discorso già ricordato, La lotta per la Weltanschauung, Rosenberg sottolinea: «Siamo orgogliosi perché l’opera della Rivoluzione
nazionalsocialista non è si è conclusa, e perché vi sono ancora grandi compiti per la nostra ma anche per molte generazioni future.
«Nel campo più ristretto della Weltanschauung, della filosofia e della vita religiosa sono in atto lotte profonde e sconvolgimenti» (99).
Queste «lotte profonde» nell’ambito della vita religiosa non vengono sempre prese nella debita considerazione. Per esempio, Mommsen parla
di una «politica delle punzecchiature» del nazionalsocialismo nei confronti delle Chiese (100). Segnalo solamente qualche esempio della
politica nazionalsocialista nei confronti della Chiesa cattolica, già nei primi anni del regime. Il Concordato fra il governo nazionalsocialista
del Reich del 1933 ha protetto per un certo periodo le organizzazioni cattoliche, ma le attività delle organizzazioni giovanili, che nel 1933
contava 1 milione e 400 mila membri in 28 organizzazioni diverse, vengono progressivamente limitate. L’ordinanza di polizia del 23 luglio
1935 vieta ogni attività che non sia di natura strettamente religiosa. «In particolare venne proibito: indossare uniformi, vestiti che
assomiglino a uniformi e capi di abbigliamento che appartengono a un’uniforme; portare distintivi, marciare e camminare in formazioni
compatte, fare campeggi; portare in pubblico stendardi e bandiere, se non quando si partecipi a processioni e a celebrazioni religiose di
lunga tradizione; svolgere ogni attività sportiva e di addestramento a essa» (101).
La Gioventù Cattolica viene sciolta dalla Gestapo, la Geheime Staats-Polizei, la «Polizia Segreta di Stato», nel 1937 a Paderborn, a Münster,
a Treviri e a Limburg, nel 1938 a Colonia e ad Aquisgrana, e nel 1939 in tutto il Reich (102). Anche la stampa cattolica viene repressa
progressivamente: «Dei 435 periodici cattolici [nel 1933] ne rimangono nel luglio 1943 solo 7»(103). Già nell’enciclica Mit brennender
Sorge, del marzo del 1937, Papa Pio XI denuncia «dolori e persecuzioni» (104) che devono patire i cattolici per la loro fedeltà alla Chiesa,
alcuni dei quali vengono «incarcerati e mandati ai campi di concentramento» (105). Questi provvedimenti non possono essere messi sullo
stesso piano dei crimini nazionalsocialisti contro la vita: definirli però come espressioni di una «politica delle punzecchiature» sembra una
minimizzazione decisamente infondata.
Si possono certamente citare dichiarazioni di Rosenberg che vantano il merito del nazionalsocialismo come salvatore delle comunità
religiose dall’ateismo marxista e come garante della libertà religiosa. In tali dichiarazioni viene però nettamente limitato l’ambito d’azione
della Chiesa: «Noi crediamo che le Chiese […] avrebbero ogni motivo […] per dimostrare la loro profonda gratitudine, poiché è loro
possibile predicare indisturbatamente nelle loro chiese» (106). Ma lo stesso diritto di predicare «nelle» chiese non è incondizionato: «Il
NSDAP ha sempre dichiarato di avere la volontà di riconoscere e di proteggere ogni professione autenticamente religiosa, che non sia
contraria ai valori germanici» (107). Se una fede è autentica, se non è contraria ai valori germanici e può essere riconosciuta dallo Stato,
viene deciso dai funzionari del partito.
L’approfondimento di Der Mythus è indispensabile per la comprensione dell’ideologia nazionalsocialista. Rosenberg presenta la sua teoria
della razza, che non è solamente biologica, ma comprende anche la dimensione spirituale. Il problema della razza viene esteso quindi alla
questione dell’avvelenamento dell’anima nordica da parte d’influenze estranee, rappresentate soprattutto dal cristianesimo e, in particolare,
dalla Chiesa cattolica.
E proprio la Chiesa cattolica denuncia tempestivamente i pericoli dell’ideologia nazionalsocialista e gli equivoci della nuova
religiosità: «Chi, con indeterminatezza panteistica, identifica Dio con l’universo, materializzando Dio nel mondo e deificando il mondo in
Dio, non appartiene ai veri credenti.
«Né è tale chi, seguendo una sedicente concezione precristiana dell’antico germanesimo, pone in luogo del Dio personale il fato tetro e
impersonale, rinnegando la sapienza divina e la sua provvidenza» (108).
Viene denunciata pure la negazione del diritto naturale e la proclamazione del principio secondo cui «Diritto è ciò che è utile alla
nazione» (109), dal momento che questo «[…]significherebbe, per quanto riguarda la vita internazionale, un eterno stato di guerra tra le
nazioni» (110). E gli esponenti del nazionalsocialismo vengono indicati come «i rinnegatori e i distruttori dell’Occidente cristiano» (111).
Ermanno Pavesi
***
(1) Cfr. Alfred Rosenberg, Der Mythus des 20. Jahrhunderts. Eine Wertung der seelisch-geistigen Gestaltenkämpfe unserer Zeit,
Hoheneichen, Monaco di Baviera 1930; l’opera — mi servo della 177a-182a ristampa del 1941 — si apre con l’indice (pp. I-XXI) e con
l’introduzione (pp. 1-18), si articola in tre libri — Das Ringen der Werte, «La lotta per i valori» (pp. 19-274), Das Wesen der germanischen
Kunst, «La natura dell’arte germanica» (pp. 275-450), e Das Kommende Reich, «Il “Reich” venturo» (pp. 451-702) — e si chiude con un
indice delle cose e dei nomi (pp. 703-712); mi servo pure — talora con qualche modifica — della trad. it. della prima delle tre parti, Il mito
del XX secolo. La lotta per i valori, con nota introduttiva di Carlo Romano, Edizioni del Basilisco, Genova 1981.
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3 MAR
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Traduzione di Mauro Likar
In questa breve presentazione troviamo tutti i temi del Rosenberg contro le chiese cristiane. Interessante la figura
del Cristo liberata dalla sovrastruttura pretesca. WaA359
Il Movimento Nazionalsocialista non sostiene alcun dogmatismo religioso, non lotta né per né contro una
professione di fede; ma il fatto che si voglia contestare a degli uomini politici il diritto di esprimere una convinzione
religiosa, contraria a quella di Roma, mostra a che punto sia giunta questa ultima nell’oppressione del settore
intellettuale.
Si può, o meno, sviluppare un’azione nazionale in funzione del giudizio che uno ha del dogma romano? Una tale
arroganza deve apparire nell’insieme assolutamente inaccettabile, in funzione delle leggi elementari della
psicologia.
Un tentativo, senza alcun dubbio serio, per sbarazzare la personalità del Cristo da tutto il ciarpame non-cristiano
aggiunto dal Siriano Paolo, da Agostino, e da altri, provoca una rabbia unanime nei dignitari della Chiesa
Romana, che da lungo tempo profittano di questa deformazione della figura spirituale di Gesù Cristo; ciò non
perchè si attenti a dei valori religiosi importanti, ma in quanto la loro potenza politica, conquistata con il terrore
esercitato su milioni di esseri umani, viene minacciata da questo audace risveglio.
Ecco la situazione: la chiesa cattolica non ha mai avuto paura del darwinismo o del liberalismo, perchè essa non
vede, in essi, che delle fantasie intellettuali prive di un vero potere politico costruttivo.
Ma la Rinascenza Nazionalista dei tedeschi, che con lo choc del 1914-1918 hanno visto piombare i vecchi complessi,
faccia a faccia con i valori ancestrali, pare molto più pericolosa: per la potenza creativa che minaccia di rinascere.
La casta regnante dei preti ha fiutato da lungo tempo questo Risorgimento, ed ha stretto alleanza con la sub-
umanità rossa, per evitare che ne sia rivitalizzata la nobiltà e la fierezza del popolo tedesco. Ciò non cambierà che
con la vittoria del fronte tedesco. Allora Roma sceglierà di compiere, come alleata, ciò che non è stata capace di
fare come nemica.
Ma questi signori evitano di vedere che la posizione d’eccezione che essi attribuiscono ai giudei non rappresenta
nient’altro che una divinizzazione, di fatto, del popolo ebreo: una etnia parassita, che ci è sempre stata ostile.
Le chiese dovrebbero occuparsi della miseria delle popolazioni tedesche, e non delle loro missioni fra i negri: come
se fosse là il loro dovere! Nel nome del culto della razza, essi dovrebbero rinnegare lo scopo umanitario delle
missioni. Detta in altro modo, la razza e l’anima dei negri, o dei buoni ebrei, vale dunque di più che la Nazione alla
quale essi hanno l’onore di appartenere.
Pare loro del tutto naturale, e trovano ottimo, non vedere che questa glorificazione del giudaismo ci ha
direttamente gratificato, grazie alla liberazione dell’istinto genesiaco ebraico, con la degradazione della nostra
cultura e della nostra politica; contro la quale la direzione attuale del protestantesimo, a causa della
stessaidolatria per il giudaismo, si era già rivelata incapace di lottare e d’agire con successo.
È deprimente constatare che i rappresentanti della teologia protestante contemporanea sono talmente
Antiluterani, che le concezioni che Lutero, comprensibilmente, accettava ancora passivamente, sono presentate
come dogmi immutabili, ad vitam aeternam. La grande azione di Lutero riguardò, in primo luogo, la demolizione
dell’idea esotica orientale dei preti, in secondo, la germanizzazione del cristianesimo. Ma il risveglio del genio
tedesco ha portato, dopo Lutero, a Goethe, Kant, Schopenhauer, Nietzsche, Lagarde; oggi si va a grandi passi verso
la sua piena espansione.
La giovane generazione non cerca che una cosa: ritrovare la grande personalità del fondatore del cristianesimo,
nella sua semplice grandezza, senza gli apporti menzogneri con cui dei fanatici ebrei come Matteo, dei rabbini
materialisti come Paolo, dei giuristi africani come Tertulliano, o come Agostino, che parla nel vuoto, ci hanno
inutilmente appesantito.
Questa gioventù vuol comprendere il mondo e il cristianesimo nella loro essenza, concependoli sulla scala dei
valori germanici. Questo è un loro diritto naturale, che oggi deve essere nuovamente difeso apertamente
attraverso la lotta. Se l’ortodossia cristiana non è capace di comprendere tutto questo, essa non potrà cambiare il
corso delle cose; tutt’al più lo rallenterà. Una grande epoca incontrerà allora, ancora una volta, una generazione di
uomini deboli. Le radici dell’arte drammatica germanica, della sua architettura e della sua musica si espandono
con più forza che non i racconti desolanti del miserabile popolo giudeo.
Un simbolismo profondamente popolare è riconoscibile in seno alla chiesa cattolica, e si riconnette alla veracità
autenticamente luterana. Tutti questi elementi isolati, si unificano sotto la grande volta
della “Weltanschauung“ spirituale e razziale, per formare l’organismo ricco di nobiltà del sangue; proprio
all’entità tedesca. I giovani pastori protestanti possono e devono andare oltre, perché questa educazione che
paralizza i preti cattolici non pesi su di loro. Bisogna attendere che i tempi siano maturi, e allora essi si muteranno
in ribelli germanici, si leveranno e riprenderanno l’opera di Roger Bacon, di Meister Eckhart, per la libertà
dell’esistenza, seguendo l’esempio degli altri grandi martiri dell’Europa, che hanno vissuto, sofferto e combattuto
prima di loro.
Il problema è dunque questo: lottare contro il caos spirituale, dare alle anime e agli spiriti una stessa direzione;
mostrare le condizioni preliminari di una rinascita generale.
È questa volontà a costituire il valore del mio lavoro. Noi non neghiamo tutte le numerose influenze che modificano
il comportamento: paesaggio, clima e tradizione politica; ma tutti questi fattori sono meno importanti del sangue e
del carattere ad esso legato.
Bisogna lottare, per poter ristabilire questa gerarchia.
Ristabilire la purezza naturale del sangue nobile è, può darsi, il più grande dovere che un uomo possa darsi oggi;
ma, allo stesso tempo, questa affermazione prova il triste stato del corpo e dello spirito, che rendono necessaria
tale azione. La presente opera deve contribuire a questa grande azione di liberazione del XX° secolo, che si
annuncia.
Deve scuotere tutti quelli che si svegliano, ma anche gli avversari: ecco lo scopo a cui miriamo. Io spero che la
distinzione fra le vecchie potenze e questo spirito nuovo, che si infiltra in ogni settore, appaia via via sempre più
chiara, fecondando e generando incessantemente qualcosa di fiammante, di fiero, legato al sangue; fino al giorno
in cui troveremo compiuto il nostro desiderio di una vita segnata da valori germanici; fino all’istante che riunirà
tutte le fonti frementi in un grande fiume: la Rinascenza Germanico-Nordica.
È un sogno, questo, degno d’essere propagato e vissuto. E questa esperienza e questa visione della vita sono, di per
sé stesse, il riflesso di una eternità presentita: la nostra missione segnata di Mistero, su questa terra, nella quale
per prima cosa siamo diventati ciò che siamo.
In un anno, essendo il libro uscito nell’ottobre 1930, è diventata indispensabile una terza edizione. Essa ha subìto importanti aggiunte
per approfondire alcune delle questioni trattate, ma anche per precisare i punti che sono stati oggetto di polemiche.
( Fonte: www.olo-dogma.myblog.it )
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Géopolitique
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La géopolitique (du grec γη « terre » et πολιτική « politique ») est l'étude des effets de la géographie (humaine
et matérielle) sur la politique internationale et les relations internationales. C'est une méthode d'étude de
la politique étrangère pour comprendre, expliquer et prédire le comportement politique international à travers les
variables géographiques. Il s'agit notamment des études régionales, du climat, de la topographie, de
la démographie et des ressources naturelles.
Plusieurs définitions en ont été données1 : étude des « relations entre les facteurs géographiques et les entités
politiques » (André-Louis Sanguin) ; « discipline qui essaie d’expliquer la formation et l’action des puissances
politiques dans l’espace » (Fondation des études pour la défense nationale) ; « analyse géographique de situations
socio-politiques » (Michel Foucher). Historiquement le terme géopolitique désigne les rapports de pouvoir entre
États mais le terme s'applique plus généralement à l'étude des rapports de pouvoir dans l'espace quelle qu'en soit
l'échelle, y compris donc à une échelle locale2.
Le terme apparaît pour la première fois chez Gottfried Wilhelm Leibniz dans un manuscrit inédit de 16793,4. Mais
son usage ne se répand qu'en 1889, sous la plume du professeur de science politique et
de géographie suédois Rudolf Kjellén dans un article de presse qui évoque les frontières suédoises5, puis dans son
ouvrage Stormakterna (Les grandes puissances)6, où il écrit : « La géopolitique est la science de l'État comme
organisme géographique ou comme entité dans l'espace : c'est-à-dire l'État comme pays, territoire, domaine ou,
plus caractéristique, comme règne. Comme science politique, elle observe fermement l'unité étatique et veut
contribuer à la compréhension de la nature de l'État. »
C'est en Allemagne que la notion de géopolitique se construit, sous l'impulsion fondatrice de Friedrich
Ratzel (1844-1904) puis se développe dans ce pays, mais aussi en Grande-Bretagne et aux États-Unis. Cependant
du fait qu'elle a pu servir à légitimer la puissance et l'expansionnisme allemand, ainsi que l'idéologie nazie, cette
discipline — fortement connotée dans le contexte de l'immédiat après guerre — est temporairement proscrite,
notamment en France. Pourtant, la nécessité pour les décideurs politiques et les citoyens de mieux comprendre les
conflits qui les entourent et ainsi d'en comprendre les enjeux a contribué, depuis les années 1980, au renouveau de
cette discipline. À ce titre, c'est au cours de la guerre du Viêt Nam puis du conflit qui oppose les Khmers
rouges aux Nord-Vietnamiens, que la géopolitique retrouve sa pleine légitimité.
Selon Alexandre Defay, professeur au centre de géostratégie de l'École normale supérieure, « la géopolitique a
pour objet l'étude des interactions entre l'espace géographique et les rivalités de pouvoirs qui en découlent. […]
elle est le terrain de manœuvre de la puissance locale, régionale ou mondiale »7. L'approche géopolitique ne tente
pas seulement de décrire et d'analyser des enjeux et conflits « objectifs », elle traite « de conflits relatifs à des
territoires représentés, c'est-à-dire des territoires qui — pour ceux qui les habitent, qui les convoitent ou encore
qui les décrivent — sont imaginés. »8 Autrement dit, on peut aller jusqu'à affirmer comme le fait Thierry de
Montbrial9 que la géopolitique est la partie de la géographie politique qui s'occupe des idéologies relatives aux
territoires.
Sommaire
1Genèse de la géopolitique
o 1.1La pratique précède le concept
o 1.2Contexte de fondation de la géopolitique
7Voir aussi
o 7.1Liens externes
contexte historique particulier12 : ses débuts résultent d'une composante scientifique (marquée par le Scientisme et
le Darwinisme), d'une composante technologique (les inventions technologiques raccourcissent l'espace, et les
enjeux prennent une dimension planétaire), d'une composante politique (exacerbation de l'État-nation et
du sentiment national, appétits territoriaux avivés par la question coloniale).
Le terme de géopolitique avancé par le géographe suédois Rudolf Kjellén (1864-1922) reprend des éléments
de géographie politique énoncés par le géographe allemand Friedrich Ratzel, considéré comme le père de
la Geopolitik allemande. Ratzel analyse l'État en rapport avec sa géographie, son espace, son milieu, les deux sont
en interactions. Dans son ouvrage Politische Geographie oder die Geographie der Staaten, des Verkehrs und des
Krieges13, l'État est perçu comme un être vivant. À la suite des analyses de Kjellén et de Friedrich Ratzel, nombre
d'universitaires et de militaires vont mettre au point des analyses géopolitiques au service de leur pays.
Friedrich Ratzel.
La géopolitique allemande – ou Geopolitik – repose sur les approches théoriques de Ratzel (1844-1904), qui
donnera naissance à l'École de Berlin. Cette Geopolitik émerge avec la naissance du IIe Reich, dans la deuxième
partie du XIX siècle, qui cherche à se donner une légitimité territoriale et renforcer sa puissance. Elle est fortement
e
influencée par des approches naturalistes ou environnementales comme celle du géographe Carl Ritter, de la
pensée hégélienne notamment diffusée par son disciple Ernst Kapp (en), ou encore le darwinisme social passé
entre les mains du biologiste philosophe Ernst Haeckel, le père du terme « écologie ».
L'approche géographique de Ratzel, interprétée comme géopolitique, s'applique à démontrer que l'État, thème
principal des travaux géopolitiques, est « comme un être vivant qui naît, grandit, atteint son plein développement,
puis se dégrade et meurt »15. L'État, pour vivre (ou survivre), doit s'étendre et fortifier son territoire. À travers ce
prisme, Ratzel défend l'idée que l'Allemagne pour vivre doit devenir un véritable empire et donc posséder un
territoire à sa mesure. Pour cela, il faut que le politique mette en place une politique volontariste afin d'accroître la
puissance de l'État. Ce dernier a donc besoin pour se développer de territoires, d'un espace, l'espace nourricier,
le Lebensraum (terme inventé par Ratzel), l'espace de vie (souvent traduit par espace vital).
Les successeurs de Ratzel mettent cette nouvelle discipline au service du Prince et elle sera appliquée sous
le IIIe Reich. Ils proposent au régime nazi une approche cartographique du monde où les « Grands Peuples »
(grandes puissances) se partagent la planète en fonction d'alliances et d'une hiérarchie raciale des peuples.
Cette Geopolitik active s'inscrit contre l'idée du droit des peuples à disposer d'eux-mêmes émise par la SDN.
Parmi les disciples de Ratzel, il faut citer le général bavarois Karl Haushofer (1869-1946) qui affine la notion
d'espace de vie et la perception de l'espace dans un but hégémonique. Après la défaite de 1918, il devient l'un des
chantres de la puissance allemande. Haushofer prévoit un partage du monde en quatre zones :
1. une zone paneuropéenne recouvrant l'Afrique et dominant le Moyen-Orient ; dominée par l'Allemagne,
2. une zone panaméricaine dominée par les États-Unis,
3. une zone panrusse incluant l'Asie centrale et l'Asie du Sud dominée par la Russie,
4. une zone panasiatique dominée par le Japon, alliée de l'Allemagne, recouvrant l'Extrême-Orient (Chine),
l'Asie du Sud-Est et le Pacifique Nord. Cette partition du monde permet de contrer l'encerclement
anglo-saxon.
Cette application par le politique d'une discipline percevant l'État comme un organisme et à but hégémonique est
appliquée au cours de la Seconde Guerre mondiale.
À la suite de ses dérives, au sortir de la guerre, la géopolitique tant en Allemagne qu'ailleurs dans le monde est
bannie des milieux universitaires et des États-majors, au profit d'autres approches du monde. D'ailleurs, les
disciplines géographiques ont renoncé à réutiliser ces approches jusqu'aux années 1970-1980.
L'École anglo-américaine : Théorie du Heartland, Rimland et Sea
power[modifier | modifier le code]
On doit à l'historien hongrois Emil Reich l'apparition du terme en anglais16 dès 1902, puis plus tard en 1904 dans
son ouvrage Foundations of Modern Europe17,18,19.
Alfred Thayer Mahan et le sea power[modifier | modifier le code]
Cette École définit la puissance d'un État (en l'espèce le Royaume-Uni) par la domination des mers ou océans
(théorie de l'empire maritime). Alfred Mahan, commentateur de la stratégie navale mondiale et des relations
internationales pensait que le leadership international était étroitement liée à la mer tant dans une optique
commerciale en temps de paix que du contrôle de cette dernière en temps de guerre. Son travail consiste donc
dans l'étude des principes stratégiques historiques régissant le contrôle des mers. Ce dernier s'inspire du travail
de Jomini, en se focalisant sur la question des positionnements stratégiques.
Mackinder et le Heartland[modifier | modifier le code]
Principal contributeur, Halford John Mackinder (1861-1947) conçoit la planète comme un ensemble composé par
un océan mondial (9/12e), une île mondiale (2/12e - Afrique, Asie, Europe) et de grandes îles périphériques
ou Outlyings Islands (1/12e - Amérique, Australie).
Pour Mackinder, afin de dominer le monde, il faut dominer l'île mondiale et principalement le cœur de cette île,
le Heartland, véritable « pivot géographique de l'histoire » (allant de la plaine de l'Europe centrale à la Sibérie
occidentale et en direction de la Méditerranée, du Moyen-Orient et de l'Asie du Sud). Ainsi, l'Empire britannique,
qui s'est construit sur la domination des océans, doit désormais, pour rester une grande puissance mondiale,
s'attacher à se positionner sur terre en maîtrisant les moyens de transport par voie de chemin de fer. L'approche
géopolitique anglaise renvoie à cette volonté de domination du monde via le commerce, en contrôlant les mers,
puis désormais les terres, se faisant l'héritière directe, non seulement de la géopolitique allemande, mais aussi des
premiers navigateurs anglais, comme Walter Raleigh : « Qui tient la mer tient le commerce du monde ; qui tient le
commerce tient la richesse ; qui tient la richesse du monde tient le monde lui-même ».
La géopolitique de Mackinder est à replacer dans une perspective de concurrence entre la puissance maritime
britannique et la puissance allemande qui, à travers son contrôle de la Mitteleuropa, tend vers le contrôle
du heartland (voir Théorie du Heartland).
Nicholas Spykman et le Rimland[modifier | modifier le code]
Nicholas Spykman peut être considéré comme un disciple critique d'Alfred Mahan et Halford Mackinder. Son
travail se fonde sur les mêmes postulats que ceux de Mackinder: L'unité de la politique globale et des mers. Ce
dernier étend en outre cette théorie à la dimension aérienne. Spykman tout en adoptant les divisions
géographiques de Mackinder renomme certaines:
Le Heartland ;
Le Rimland ; Les coastlands de Mackinder - qu'il appelle « bord des terres » ou « anneau des terres ». Ce
territoire périphérique serait coincé entre le cœur européen (Allemagne, Russie) et les mers contrôlés par
les Anglais.
Spykman pense que les États-Unis doivent contrôler les États de ce rimland afin de s'imposer comme puissance
entre ces empires européens et ainsi dominer le monde.
L'École américaine a aussi expliqué comment les grands empires d'Asie avaient réussi à se stabiliser dans le temps
en se basant seulement sur l'administration très hiérarchisée de l'irrigation dans les territoires ou l'Asie des
moussons. C'est la théorie des despotismes orientaux, grande thèse de géopolitique. L'École américaine – ou École
de Berkeley - s'est toujours intéressée à la dimension culturelle qui marque l'espace terrestre.
Le retour de la géopolitique américaine se poursuit au XX siècle avec les thèses de Samuel Huntington dans Le
e
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Mein Kampf
Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.
La mia battaglia
Genere saggio
Mein Kampf (La mia battaglia) è il saggio pubblicato nel 1925 attraverso il quale Adolf Hitler espose il suo
pensiero politico e delineò il programma del partito nazionalsocialista sotto forma di un'autobiografia.
Una prima parte del testo venne dettata da Hitler all'amico di prigionia Rudolf Hess, ritenuto da molti il più fedele
fra i suoi seguaci[1], durante il periodo di reclusione nel carcere di Landsberg am Lech seguìto al tentativo fallito
del colpo di Stato di Monaco[2] del 9 novembre 1923.
Secondo la prefazione dell'edizione italiana edita da Bompiani, il Times, che pubblicò il volume a puntate, lo
definì la «Bibbia laica» perché fornisce la giustificazione al credo politico di ogni nazionalsocialista insegnandogli
la via della salvezza nazionale[3].
Indice
1Pubblicazione
2Analisi
o 2.1Antisemitismo e discriminazione
3Popolarità
4Il seguito
5Edizioni critiche
6Adattamenti artistici
7Edizioni in italiano
8Note
9Bibliografia
10Voci correlate
11Altri progetti
12Collegamenti esterni
Hitler s'impegnò nella stesura del programma politico, trascritto nel libro da Hess, durante la sua reclusione,
iniziata il 1º aprile 1924 per reato d'insurrezione, e successivamente, dopo la sua liberazione il 20 dicembre dello
stesso anno, sull'Obersalzberg. Secondo uno studio universitario, basato anche su un racconto di Otto Strasser[4] e
pubblicato in associazione col museo commemorativo dell'olocausto degli Stati Uniti[5], nella redazione del Mein
Kampf, in particolare nella fase di correzione delle bozze, Hitler fu aiutato dal cappellano del carcere di Landsberg
am Lech, Bernhard Stempfle[6][7], che fu vittima di omicidio nella notte dei lunghi coltelli del 1934[8][9] poiché,
avendo eliminato verbosità, inesattezze e banalità infantili, avrebbe potuto rivelare le debolezze dell'autore[10].
Il primo volume, intitolato Eine Abrechnung ("Resoconto") fu pubblicato il 18 luglio 1925; il secondo, Die
nationalsozialistische Bewegung ("Il movimento nazional-socialista"), l'11 dicembre 1926. Il titolo originale
scelto da Hitler era "Quattro anni e mezzo di lotta contro menzogna, stupidità e codardia" ma il responsabile della
casa editrice, Max Amann[11], lo convinse, grazie anche alla persuasione del suo comandante di compagnia dei
tempi della prima guerra mondiale, a sintetizzarlo in Mein Kampf ("La mia lotta" o "La mia battaglia")[12].
Nel 1930 il libro era venduto al prezzo di 12 reichsmark e veniva stampato nel formato 12 x 18,9 centimetri, lo
stesso normalmente adoperato per la Bibbia[2].
Nel corso dell'opera, Hitler evidenzia le sofferenze politiche del cancelliere tedesco
nel parlamento della Repubblica di Weimar e inveisce contro gli ebrei e i socialdemocratici, così come i marxisti.
Annuncia di voler distruggere completamente il sistema parlamentare ritenendolo per lo più corrotto, sulla base
del principio secondo cui i detentori del potere sono opportunisti per natura.
Altri punti salienti del libro sono:
Fino all'ascesa al potere di Hitler, avvenuta nel gennaio del 1933, furono vendute 241 000 copie del Mein Kampf;
nello stesso anno si raggiunse la cifra del milione che, però, non includeva ancora quelle cedute a titolo gratuito
dallo stato nazista ai soldati al fronte e ad ogni nuova coppia di sposi.[17]
Al termine della seconda guerra mondiale, milioni di esemplari di Mein Kampf furono distrutti insieme a molti
altri simboli del nazismo. I diritti d'autore di tutte le edizioni di Mein Kampf, a eccezione di quelli inglesi e
olandesi, furono attribuiti alla Baviera, e sino al 31 dicembre 2015, ovvero allo scadere dei 70 anni dalla morte
dell'autore, quando sono entrati nel pubblico dominio. Secondo lo storico Werner Maser, Peter Raubal, pronipote
di Hitler, avrebbe avuto la possibilità di riappropriarsi dei diritti d'autore, ma quest'ultimo ha dichiarato di non
voler avere nulla a che fare con il libro, che potrebbe valere diversi milioni di euro. In Germania è stata a lungo
vietata la distribuzione del libro, eccetto che in limitate circostanze in ambito storiografico.[18] Nella maggior parte
dei casi possedere o acquistare il libro è legale, anche se si tratta di copie vecchie, a meno che il suo uso non sia
finalizzato a promuovere nuove forme di nazismo. Fino al gennaio 2016[19], quando è stata autorizzata la
pubblicazione una volta scaduti i diritti d'autore, non era stata pubblicata un'edizione seriamente commentata
del Mein Kampf in tedesco; l'originale rimane comunque consultabile in copie d'antiquariato, nelle biblioteche,
su internet e in ristampe prodotte da neonazisti, soprattutto statunitensi.
In Francia, la Corte d'appello di Parigi ha proceduto, dopo un arresto avvenuto l'11 luglio 1979,[20] ad autorizzare
la vendita del libro per motivi storici, e con una premessa esplicativa di otto pagine, tuttora il libro è stampato
da Les nouvelles éditions latines. Nei Paesi Bassi, la vendita del libro è illegale in ogni caso, ma non il possesso o
il prestito e nel 1997 il governo olandese ha spiegato che la vendita di una versione scientificamente
annotata potrebbe risultare legale.
Negli Stati Uniti il libro si può acquistare nelle librerie e via internet. Il governo statunitense si impossessò dei
diritti d'autore nel 1941, in seguito all'entrata in guerra degli Stati Uniti, come parte del Trading with the Enemy
Act, e nel 1979 la Houghton Mifflin acquistò i diritti dal governo statunitense. Ogni anno sono vendute più di
15 000 copie.[21] In Brasile il libro si trova in poche librerie in vendita solo per scopi di ricerca. Nessuna delle
maggiori catene di vendita di libri brasiliane ha in vendita l'opera.
In Austria e in Israele il possesso e la vendita di Mein Kampf sono illegali, salvo che per edizioni riservate agli
storici e agli ambienti universitari; la prima traduzione del libro in lingua ebraica risale al 1995.[22]
In Cina il Mein Kampf è vietato ed è consultabile per ricerche solo in poche biblioteche.
Nel 1999 il centro Simon Wiesenthal, organizzazione contro l'antisemitismo, è riuscito a fermare le vendite on-
line di Mein Kampf in Germania da parte di amazon.com e Barnes & Noble.[23] In Canada il libro è in commercio,
tranne che nella catena di librerie Chapters/Indigo.
Copie del Mein Kampf (in alto, con la svastica in copertina) in vendita in una libreria in Indonesia.
Nell'Unione Sovietica il libro fu stampato in un ristretto numero di copie per i membri anziani del PCUS secondo
la traduzione in russo di Karl Radek, ma il libro era di fatto proibito. In Russia il Mein Kampf è stato pubblicato
tre volte dal 1992 e il testo in russo si può trovare anche su internet. Nel 2006 la Camera Pubblica della Russia ha
proposto di vietare le pubblicazioni. Nel 2009 la sezione di San Pietroburgo del ministero russo degli Affari
Interni ha chiesto di rimuovere una traduzione del libro da un sito storiografico.[24][25]
Un'edizione in arabo è stata pubblicata da Bisan Publishers in Libano. Una nuova edizione in turco è diventata
bestseller in Turchia nel 2005.[26] In Iran, così come anche in tutto il mondo islamico e arabo, il libro è venduto
liberamente. Nel 2009 in Giappone è stata stampata una versione manga del libro, con il nome di Mein
Kampf (わが闘争 waga tōsō ).[27] ?
Il Mein Kampf è legale da sempre anche in Svezia (nonostante la Baviera abbia tentato di bloccarne le
pubblicazioni) e in India. In quest'ultimo Paese è in commercio dal 1928; la versione più recente è stata stampata
dal 1998 in centinaia di edizioni e 100.000 copie vendute al 2010, facendo del libro un best
seller nel subcontinente.[28]
In Italia il libro venne stampato per la prima volta nel 1934 dalla casa editrice Bompiani, per volontà
di Mussolini che ne pagò segretamente i diritti con denaro del ministero degli Esteri.[29] Hitler scrisse perfino una
brevissima nota come prefazione all'edizione italiana.[30] Durante i colloqui di Stresa dello stesso
anno Mussolini definì il Mein Kampf «un mattone leggibile solo dalle persone più colte e intelligenti».[31] La
versione italiana era riassunta nella prima parte, a causa della mole del libro, e integrale nella seconda.[32] Visto il
successo Bompiani ne pubblicò numerose ristampe sino al 1943;[33]nel 1938 pubblicò integralmente anche la
prima parte, col titolo "La mia vita".[32]
Nel dopoguerra è stato ristampato soltanto ventincinque anni dopo la fine della guerra, nel 1970 dalle edizioni
Pegaso, nonostante il Land di Baviera avesse cercato di bloccarne la pubblicazione, blocco negato dal tribunale di
Bologna.[33] È stato poi lungamente pubblicato dalle Edizioni di Ar[34] (casa editrice legata all'estrema destra) e in
versione commentata nel 2002 e nel 2009 dalla Kaos Edizioni, a cura e con il commento critico di Giorgio Galli;
un'edizione di Mein Kampf è stata allegata al quotidiano il Giornale nel giugno 2016 come parte di una collana
storica sul nazismo.[35]
Horogenèse des frontières (en rouge) du domaine des Habsbourg : carte de l'Autriche-Hongrie en 1914 avec les zones linguistiques selon le recensement de 1890.
Horogenèse de 1919, réalisée en application (partielle) des Quatorze points de Wilson : le géographe français Emmanuel de Martonne joua un rôle essentiel dans l'horogenèse de ces frontières (en
Par ailleurs, Michel Foucher développe le concept d'horogenèse, néologisme qui se définit comme une discipline
s'intéressant à la genèse des frontières (du grec hôra, le territoire).
Les axes d'analyses[modifier | modifier le code]
Le terme de géopolitique revêt une connotation stratégique, voire militaire, tandis que le terme de géographie
politique fait plutôt référence à l'organisation des États, des régions, des entités administratives, des frontières, et
des habitants. On constate que de nos jours la mondialisation et l'effondrement d'un monde bipolaire ont multiplié
et complexifié les liens entre toutes les populations de la planète. Depuis une dizaine d'années, les centres
universitaires multiplient les sections géopolitiques afin de répondre à une demande croissante d'analyse
dite géopolitique.
Par sa recherche des interactions entre les grandes zones du monde (énergie et matières premières, flux
de ressources, passages à risques), la géopolitique s'intéresse naturellement à la politique internationale et à ses
aspects diplomatiques. Certains auteurs Béatrice Giblin se sont toutefois penchés sur des questions de
géopolitique interne.
Dès le début des années 1980 étaient entrevus des risques de marginalisation géopolitique de l'Europe, qui
pourraient s'accentuer aujourd'hui si la réaction n'est pas adaptée :
liaisons sur l'océan Pacifique prenant le pas sur celles de l'océan Atlantique ;
impact de la fonte de la banquise dans l'Arctique sous l'effet du changement climatique, et évolutions
structurelles du transport maritime et aérien ;
accès aux champs pétrolifères du Moyen-Orient, construction d'oléoducs et de gazoducs, transport
pétrolier, pic pétrolier, montée de la consommation de pétrole de la Chine (Géopolitique du pétrole) ;
retour du charbon (propre) : Australie, Chine, Canada, etc.
Les enjeux[modifier | modifier le code]
Article connexe : Géonomie.
DISDRAELI Benjamin
jamin Disraeli
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Disambiguazione – "Disraeli" rimanda qui. Se stai cercando altri significati, vedi Disraeli
(disambigua).
21 aprile 1880
1º dicembre 1868
Derby
Dati generali
Prefisso onorifico
Benjamin Disraeli, I conte di Beaconsfield (Londra, 21 dicembre 1804 – Londra, 19 aprile 1881), è
stato un politico e scrittorebritannico.
Ha fatto parte del Partito Conservatore ed è stato Primo ministro del Regno Unito due volte: dal 27
febbraio al 3 dicembre 1868 e dal 20 febbraio 1874 al 23 aprile 1880.
Pur distinguendosi per essere uno dei principali protezionisti del partito conservatore dopo il 1844, le
relazioni di Disraeli con altre importanti figure del suo partito, in particolare con lord Derby, furono il
frutto particolare che lo portò a tanta fama. Dal 1852, inoltre, la carriera di Disraeli venne contraddistinta
dalla sua marcata rivalità con il liberale William Ewart Gladstone per la guida del governo. In questa
faida, Disraeli venne supportato dalla sua grande amicizia con la regina Vittoria. Nel 1876 Disraeli
venne elevato al rango di conte di Beaconsfield dopo quarant'anni di onorato servizio alla Camera dei
Comuni.
Prima e durante la sua carriera politica, Disraeli era ben conosciuto per essere una figura sociale e
letteraria di fama anche se generalmente le sue novelle non sono riconosciute come una grande opera
del periodo vittoriano. Egli scrisse prevalentemente romanzi dei quali "Sybil" e "Vivian Grey" sono
ancora oggi i più conosciuti.
Indice
1Biografia
o 1.1I primi anni
1.1.1La carriera letteraria
o 1.2Al parlamento
1.2.1Il protezionismo
1.2.2Lord George Bentinck e la leadership
o 1.3Gli incarichi politici
1.3.1Il primo governo Derby
1.3.2All'opposizione
1.3.3Il secondo governo Derby
1.3.4Il 1867 Reform Bill
o 1.4Il primo governo da primo ministro
o 1.5Il secondo governo da primo ministro
o 1.6L'imperialismo
o 1.7Gli ultimi anni e la morte
2Onorificenze
3Opere
4Filmografia parziale
o 4.1Cinema
o 4.2Televisione
5Note
6Bibliografia
7Voci correlate
8Altri progetti
9Collegamenti esterni
Il padre lo aveva destinato ad intraprendere la carriera legislativa e Benjamin venne associato alla
studio di un avvocato dal 1821. Nel 1824, Disraeli andò in tour nel Belgio e nella Valle del Reno con
suo padre e successivamente scrisse che fu proprio navigando sul Reno che egli maturò la decisione di
abbandonare la carriera della legge: "Lo decisi discendendo quelle magiche acque che non sarei stato
un avvocato."[8] Egli visitò nell'area le città di Oppenheim e Spira, luoghi entrambi ove si trovavano
grandi comunità ebraiche. Tornato in patria venne coinvolto in affari col finanziere John Diston Powles il
quale lo coinvolse nello sfruttamento minerario dei giacimenti del sud America e per il quale scrisse
numerosi pamphlet pubblicitari a promozione della compagnia.[9]
Quello stesso anno le attività finanziarie intraprese da Disraeli lo portarono in contatto col
pubblicista John Murray, anch'egli coinvolto nel mercato minerario sudamericano. I due si accordarono
per fondare un giornale, The Representative, intenzionati a promuovere non solo le imprese minerarie
ma anche i politici che le supportavano come ad esempio George Canning. Il giornale si dimostrò un
fallimento e questo fatto rovinò sia Powles che Disraeli.[10]
Prima di entrare in parlamento Disraeli ebbe relazioni con diverse donne tra le quali Henrietta, lady
Sykes (moglie del baronetto Sir Francis Sykes), la quale gli fu da modello per il personaggio principale
del romanzo Henrietta Temple. Fu Henrietta del resto a presentare Disraeli a Lord Lyndhurst, con il
quale successivamente ebbe anche una relazione. Come il biografo Blake osservò: "Le vere relazioni
tra i tre non possono essere determinate con certezza anche se è innegabile che la situazione favorì
molto Disraeli assieme ad altri episodi."[11]
Nel 1839 Benjamin decise di "mettere la testa a posto" sposando Mary Anne Lewis (I viscontessa di
Beaconsfield), ricca vedova del politico Wyndham Lewis, collega di Disraeli a Maidstone. Mary Lewis
aveva 12 anni più di Benjamin e il loro matrimonio, criticato come unione di interessi, fu invece molto
felice.[12]
La carriera letteraria[modifica | modifica wikitesto]
Disraeli si dedicò anche alla letteratura. Motivato in parte dal suo disperato bisogno di denaro, egli
scrisse il suo primo romanzo, Vivian Grey, nel 1826. I biografi di Disraeli sono concordi nel ritenere
che Vivian Grey sia difatti una riproposizione in chiave romanzata di quanto accadde col The
Representative, e lo scritto diede prova di divenire molto popolare anche se causò non pochi problemi
ai Tory[non chiaro] quando l'identità dell'anonimo scrittore venne scoperta. Il libro metteva infatti in
caricatura il pubblicista scozzese John Murray (1778–1843).[13]
A Young Disraeli
Dopo aver scritto Vindication of the English Constitution,[14] e molti pamphlet politici, Disraeli scrisse
una serie di novelle tra le quali The Young Duke(1831), Contarini
Fleming (1832), Alroy (1833), Venetia e Henrietta Temple (1837). Durante quello stesso periodo scrisse
anche The Revolutionary Epicke tre burlesques: Ixion, The Infernal Marriage e Popanilla. Di tutte
queste novelle solo Henrietta Temple fu un vero successo.[15]
Durante gli anni quaranta dell'Ottocento Disraeli scrisse tre novelle politiche conosciute col nome di
"the Trilogy": Sybil, Coningsby e Tancred.[16]
Malgrado il successo, le relazioni di Disraeli con altri scrittori del suo tempo furono pressoché nulle. La
scrittura di Disraeli piaceva ai lettori essenzialmente perché originale e con frasi brillanti che
rimanevano nella memoria, con tocchi stravaganti e di effetto."[17]
Al parlamento[modifica | modifica wikitesto]
Lord John Manners, amico di Disraeli e figura principe del movimento della Giovane Inghilterra.
Disraeli aveva considerato di intraprendere la carriera politica già dagli anni trenta dell'Ottocento, prima
di partire alla volta del Mediterraneo. Il suo primo contatto col mondo politico avvenne nel 1832, durante
la grande crisi scoppiata a seguito del Reform Bill, alla quale egli contribuì con un pamphlet anti-
Whig edito da John Wilson Croker e pubblicato da Murray col titolo Inghilterra e Francia ovvero una
cura per la Gallomania ministeriale. Lo spirito politico di Disraeli in quel suo primo periodo era
influenzato sia dalla sua indole rivoluzionaria sia dal suo desiderio di lasciare il segno in materia di
politica. Sui partiti esistenti così egli si esprimeva: «il toryismo è ormai superato e non posso
accondiscendere nell'essere uno Whig».[18] Pertanto egli si presentò nelle file dei Radicali e tentò la
prima scalata alle elezioni nel 1837 contro i Tories nella circoscrizione di Maidstone.[19]
Pur essendo un Conservatore, Disraeli aveva simpatie per il Cartismo ed era favorevole ad un'alleanza
tra aristocrazia terriera e classe lavoratrice contro il crescente potere dei mercanti e dei nuovi industriali
della borghesia. Egli si decise quindi a supportare la nascita della Giovane Inghilterra nel 1842, un
gruppo che aveva lo scopo di promuovere la visione secondo la quale i proprietari terrieri (i Landlord)
dovevano usare il loro potere per proteggere i poveri dalle prevaricazioni degli uomini d'affari della
media classe. Durante i vent'anni trascorsi tra le Corn Laws ed il Second Reform Bill, Disraeli cercò
un'alleanza tra Tory e Radicali[non chiaro].
Il protezionismo[modifica | modifica wikitesto]
Il primo ministro Sir Robert Peel vinse le elezioni e lentamente Disraeli divenne uno dei suoi più
acerrimi critici, spesso mantenendo posizioni deliberatamente contrarie a quello che era il suo capo
nominale[non chiaro].[20] Il più noto di questi casi d'opposizione fu la controversia del Maynooth
grant del 1845 e la ripresa della questione sulle Corn Laws nel 1846. La fine del 1845 ed i primi mesi
del 1846 vennero dominati dalla battaglia in parlamento tra i free traders ed i protezionisti proprio sulla
questione delle Corn Laws. Una parte dei conservatori, i radicali e gli whigs formarono un'alleanza a
favore dei free traders ed a questo punto il partito conservatore si divise: i seguaci di Peel si posero
contro gli Whigs e venne formata una nuova fazione protezionista dei conservatori guidata da Disraeli,
George Bentinck (1802-1848) e Lord Stanley (poi Lord Derby). Il contesto generale comprendeva
anche la questione della carestia in Irlanda, alla quale Peel era intenzionato a rimediare con
l'importazione di grano.
Il termine "corn", infatti, non si riferiva al mais americano quanto piuttosto al grano prodotto in
Inghilterra che era alla base della produzione del pane, alimento essenziale per la sopravvivenza della
popolazione. Le Corn Laws imponevano quindi una tassa d'importazione del grano inglese verso
l'Irlanda che, se abolita, sarebbe venuta incontro alle esigenze della popolazione irlandese ma avrebbe
impoverito i possidenti terrieri inglesi. Peel immediatamente propose di abolire tale tassa. Per i
conservatori dunque si pose il problema di quale decisione prendere soprattutto dopo che i politici di
maggiore esperienza in quella fazione si erano schierati con Peel per l'emergenza. Disraeli dunque si
trovò naturalmente a capo della fazione emergente all'interno della compagine politica ed assunse le
redini di leader.[21] Dalla Camera dei Lords, il Duca di Argyll scrisse che Disraeli "era quasi come un
subalterno in una grande battaglia dove ogni superiore fosse stato ucciso o ferito."[22] Se la rimanenza
del partito conservatore poteva ottenere un consenso necessario a formare un nuovo governo, Disraeli
era ora la pedina vincente in campo. Ad ogni modo egli era a capo di un gruppo di parlamentari senza
esperienza o quasi e molti di questi raramente si erano cimentati in discorsi alla Camera dei Comuni.[23]
Lord George Bentinck e la leadership[modifica | modifica wikitesto]
Nelle elezioni generali del 1847 Lionel de Rothschild era divenuto deputato per la Città di Londra.
Lord George Bentinck, leader conservatore alla camera dei comuni nel periodo 1846–48
Ebrei in Parlamento
Lord John Russell, il capo degli Whigs che era succeduto a Peel alla carica di primo ministro e come
Rothschild membro del parlamento per la Città di Londra, introdusse il Jewish Disabilities Bill per
consentire anche agli ebrei di entrare in parlamento.[26]
Bentinck, che era il leader dei conservatori alla Camera dei Comuni, decise di affiancare Disraeli nel
voto favorevole al Bill, inneggiando alla tolleranza religiosa ed alla laicità dello Stato.[27]. Nel dibattito
che ne seguì, Bentinck rassegnò le proprie dimissioni dalla guida del partito ed ebbe dei contrasti
anche con lord Stanley (leader alla Camera dei Lords), il quale era contrario al disegno di legge e
giudicava blasfeme le parole di Disraeli. Bentinck venne succeduto da Lord Granby.[28] Nel frattempo,
Disraeli si avvicinò molto a Bentinck col quale reperì i finanziamenti necessari ad acquistare la bella
residenza di campagna di Hughenden Manor, nel Buckinghamshire, presupposto essenziale all'epoca
per poter essere considerato un conservatore. Disraeli e la moglie si alternarono tra Hughenden e le
molte case di loro proprietà a Londra.[29]
Dopo nemmeno un mese Granby diede le proprie dimissioni dalla guida della Camera dei Comuni
sentendosi inadeguato a ricoprire quell'incarico e non venne rimpiazzato per la durata della sessione
parlamentare. All'inizio della nuova sessione, la politica venne gestita dal triumvirato Granby-Disraeli-
John Charles Herries che fu indicativo delle tensioni tra Disraeli ed il resto del suo partito. Questo
confuso arrangiamento politico si concluse con le dimissioni di Granby nel 1851 e la sempre maggiore
popolarità di Disraeli.[30]
Gli incarichi politici[modifica | modifica wikitesto]
Il primo governo Derby[modifica | modifica wikitesto]
La prima opportunità per i tories protezionisti sotto la guida di Disraeli e Stanley di ottenere il governo
avvenne nel 1851 quando il primo governo di Lord John Russell venne sconfitto alla Camera dei
Comuni sulla questione dell'Ecclesiastical Titles Act del 1851. Disraeli sarebbe divenuto Home
Secretary mentre Stanley sarebbe divenuto primo ministro. Tra gli altri possibili ministri si includevano
Sir Robert Inglis, Henry Goulburn, John Charles Herries e Lord Ellenborough. I seguaci di Peel, ad ogni
modo, rifiutarono di entrare nel governo di lord Stanley o con Disraeli per la questione dei free
traders ancora bruciante e pertanto fallì l'idea di creare un governo puramente protezionista.[31]
Russell riprese il suo incarico di primo ministro, ma nuovamente diede le proprie dimissioni
nel 1852 quando una combinazione di protezionisti e Lord Palmerston lo sconfissero sul Militia Bill.
Questa volta Lord Derby ottenne lincarico e con la sorpresa generale nominò Disraeli Cancelliere dello
Scacchiere.[32]
Tra i nuovi compiti di Disraeli vi era la produzione di un rendiconto statale per il successivo anno
fiscale. Disraeli propose di ridurre le tasse sulla malta[33] e sul tè[34] (tasse indirette); progettò invece di
aumentare le tasse sulla casa[35] e propose la controversa tassa diretta in base al reddito.[36]
Come già riportato, Disraeli si era opposto nel giugno del 1846 alla cancellazione delle Corn Laws, ma
il passaggio del decreto aveva impoverito i contadini e i proprietari terrieri inglesi e aveva fatto
decadere il prezzo generale del pane e del grano. Disraeli pensò a questo punto di alleviare gli
svantaggi economici dei coltivatori abbuonando loro alcune tasse che sarebbero state aumentate a tutti
i non agricoltori.[37] Il budget venne visto da molti Whigs come una "ricompensa per i proprietari
terrieri" con un tocco di vendetta per il passaggio della legge[non chiaro].[38]
Disraeli venne quindi criticato per aver mischiato i molti fattori coinvolti nella vicenda e la sua proposta
ulteriore di estendere le tasse in Irlanda gli procurò altri nemici. Questo fatto, combinato assieme
all'inesperienza generale del governo e di Disraeli, portò ad un fallimento del piano finanziario ed alla
caduta del governo il 17 dicembre 1852.
All'opposizione[modifica | modifica wikitesto]
Con la caduta del governo, Disraeli e i conservatori tornarono all'opposizione. Il successore di lord
Derby alla carica di primo ministro fu il seguace di Peel lord Aberdeen, il cui ministero venne composto
da seguaci di Peel e whigs. Disraeli stesso venne sostituito nei suoi incarichi di cancelliere da
Gladstone.[39]
Il secondo governo Derby[modifica | modifica wikitesto]
Il primo governo di Lord Palmerston cadde nel 1858 dopo l'affare Orsini e lord Derby riprese il controllo
della situazione come capo di un'amministrazione conservatrice. Disraeli rimase a capo della Camera
dei Comuni e ritornò al ruolo di Cancelliere dello Scacchiere. Una delle prime azioni del nuovo governo
fu quella di varare delle misure per riorganizzare il governo dell'India dopo che le rivolte avevano
dimostrato l'inadeguatezza della gestione della Compagnia delle Indie Orientali ed aveva acconsentito
al passaggio del governo indiano alla Corona britannica. Il primo tentativo di legislazione venne portato
avanti dal President of the Board of Control (ministro per l'India), Lord Ellenborough già Governatore
generale dell'India(1841–44). Il decreto, ad ogni modo, dovette essere rivisto in più punti per le critiche
ricevute e poco dopo lord Ellenborough venne forzato a dimettersi per lasciare spazio alle idee del
nuovo governatore, lord Charles Canning, I conte Canning.[40]
Trovandosi mancanti di un incarico, Disraeli e lord Derby tentarono nuovamente di
coinvolgere Gladstone nel governo. Disraeli scrisse una lettera personale a Gladstone pregandolo di
mettere il bene del partito dinnanzi alla sua personale animosità: "Ogni uomo vive il proprio incarico e
c'è un Potere più grande di tutti noi che dispone tutto ciò..." In risposta a Disraeli, Gladstone rifiutò
l'offerta rimarcando ancora il perché dei suoi rifiuti anche precedenti.
Con il rifiuto di Gladstone, lord Derby e Disraeli guardarono altrove e la scelta ricadde su Edward
Bulwer-Lytton, il quale divenne Segretario di Stato per le Colonie; il figlio di lord Derby, Lord Stanley,
succedette a Ellenborough alla guida della Board of Control. Stanley, con l'assistenza di Disraeli,
propose e guidò l'India Act col quale il subcontinente sarebbe stato governato per i successivi
sessant'anni. La Compagnia delle Indie Orientali ed il suo governatore generale vennero rimpiazzati
con un viceré e un consiglio locale, mentre la carica di presidente della Board of Control venne abolito
e sostituito con il Segretario di Stato per l'India.[41]
Il 1867 Reform Bill[modifica | modifica wikitesto]
Dopo la sconfitta del Liberal Reform Bill introdotto da Gladstone nel 1866,[42] Disraeli e Derby
introdussero delle loro misure nel 1867.[43] Questo atto era innanzitutto una strategia politica atta a dare
al partito conservatore il controllo del processo della riforma e i benefici a lungo termine della Camera
dei Comuni. Si pensò quindi che se i conservatori fossero stati in grado di assicurare questo decreto
legislativo, l'elettorato sarebbe stato rinfrancato ed avrebbe potuto rivolgersi più favorevolmente verso i
tories alle elezioni successive. Il Reform Act del 1867 estese il diritto di voto a tutti i capifamiglia
maschi, eliminando nel contempo i sobborghi cittadini con meno di 10.000 abitanti e garantendo
quindici nuovi seggi elettorali dei quali le rappresentanze maggiori
furono Liverpool e Manchester.[44] Questo atto ad ogni modo fu impopolare anche tra i conservatori più
estremi come Robert Cecil, III marchese di Salisbury, il quale decise di dimettersi per protesta al
passaggio del decreto.
Il primo governo da primo ministro[modifica | modifica wikitesto]
La salute di lord Derby intanto andava peggiorando ed egli si dimise da primo ministro nel febbraio
del 1868 per poi sopravvivere appena altri venti mesi. Non vi erano ormai dubbi che Disraeli gli sarebbe
succeduto come leader del partito conservatore e poi come primo ministro.
Ad ogni modo i conservatori continuavano ad essere in minoranza alla Camera dei Comuni e il
passaggio del Reform Bill aveva richiesto nuove elezioni. L'incarico di Disraeli come primo ministro fu
sostanzialmente breve anche se i conservatori riuscirono a vincere le elezioni generali. Egli fece due
cambi essenziali nel gabinetto di governo: rimpiazzò Lord Chelmsford al ruolo di Lord
Cancelliere con Lord Cairns, e pose George Ward Hunt al ruolo di Cancelliere dello Scacchiere.
Disraeli e Chelmsford non erano mai andati particolarmente d'accordo e nella visione di Disraeli, Cairns
era un ministro molto più adatto.[45]
La prima premiership di Disraeli fu dominata dal dibattito sulla Chiesa d'Irlanda. Anche se l'Irlanda era
in maggioranza cattolica romana, la chiesa protestante rimaneva la religione di Stato e pretendeva
delle tasse proprie sul territorio. Inizialmente Disraeli tentò di negoziare con il cardinale Henry Edward
Manning per la fondazione dell'Università cattolica di Dublino ma Gladstone si schierò per la creazione
di una chiesa d'Irlanda. La proposta divise il partito conservatore e si riunì nel partito liberale alla guida
di Gladstone. Mentre il governo di Disraeli sopravvisse sino alle elezioni generali del dicembre 1868,
l'iniziativa era passata ai liberali che tornarono al potere con una maggioranza di 170 seggi.[46]
Il secondo governo da primo ministro[modifica | modifica wikitesto]
Dopo sei anni all'opposizione, Disraeli ed il partito conservatore vinsero le elezioni del 1874 dando al
partito la prima assoluta maggioranza alla Camera dei Comuni dagli anni quaranta dell'Ottocento. Sotto
la stewardship di Richard Assheton Cross, Home Secretary, il governo Disraeli introdusse varie riforme
tra cui quella denominata Artisan's and Labourers' Dwellings Improvement Act del 1875, il Public Health
Act del 1875, il Sale of Food and Drugs Act del 1875 e l'Education Act del 1876. Il suo governo
introdusse inoltre un nuovo Factory Act per la protezione dei lavoratori, il Conspiracy and Protection of
Property Act del 1875 e l'Employers and Workmen Act del 1875 per permettere ai lavoratori di stendere
contratti sempre legali a norma di legge[non chiaro]. Come risultato di questa politica sociale il deputato
laburista Alexander Macdonald dichiarò: «Il partito conservatore si è occupato della classe lavoratrice di
più in questi cinque anni di quanto non abbia fatto il partito liberale in cinquant'anni».[47]
L'imperialismo[modifica | modifica wikitesto]
Disraeli e la Regina Vittoria, durante una visita di quest'ultima a Hughenden Manor all'apice della crisi orientale.
Nuove corone per vecchi, la vignetta illustra Disraeli nel ruolo di Jafar nella versione scherzosa della storia di Aladino nell'atto di offrire la corona imperiale alla regina Vittoria in
Disraeli entrò alla Camera dei Lords nel 1876 quando la regina Vittoria lo creò Conte di Beaconsfield e
Visconte di Hughenden.[53] Alle elezioni del 1880 i conservatori di Disraeli vennero sconfitti dai liberali di
Gladstone in gran parte per il decorso della seconda guerra anglo-afgana. Disraeli morì nell'aprile
del 1881.[54]
Venne sepolto nella cappella della St Michael's Church presso Hughenden Manor presso il monumento
funebre fatto erigere in suo onore dalla stessa regina Vittoria. Esecutore testamentario delle sue
volontà fu il suo segretario privato, Montagu Corry, I barone Rowton.[55]
A Disraeli è dedicato anche un monumento nell'Abbazia di Westminster e una sua statua nella piazza
del mercato di Ormskirk.
Charles Maurras
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Indice
1Biografia
o 1.1Primi anni
o 1.2Attivismo politico
o 1.3Semi-collaborazionismo ed ultimi anni
2Opere
3Note
4Bibliografia
5Voci correlate
6Altri progetti
7Collegamenti esterni
Maurras (a sinistra) con Maxime Real del Sarte ed altri membri dell'Action française
Nel 1905 fondò la Ligue d'Action Française (Lega d'Action Française) per raccogliere fondi in favore di Action
Française, divenuta quotidiano e organo di stampa del movimento all'interno della politica mediatica
(distribuzione di brochure di propaganda, affissioni ecc.). Maurras ebbe un importante ascendente ideologico
su Salazar e gli intellettuali del regime salazariano. Sostenne pienamente il generale Franco e, fino alla primavera
del 1939, Mussolini, sottolineando la parentela tra un buon numero dei suoi ideali e quelli
del fascismo. Apprezzava particolarmente la simbiosi tra i suoi epigoni italiani[chi?] e il Partito Nazionale
Fascista (Action française, 18 luglio 1923).
La sua germanofobia gli impedì di fare lo stesso con Adolf Hitler, ma, fino al 1941, non rinnegò i suoi discepoli
che ammiravano il nazismo: Robert Brasillach, Lucien Rebatet e la maggior parte degli altri giornalisti che
collaboravano con Je suis partout, Abel Bonnard, Paul Chack, e altri. Fu eletto all'Académie française il 9
giugno 1938, nella Poltrona 16, succedendo ad Henri Robert. La sua accettazione ufficiale ebbe luogo l'8
giugno 1939.
Durante l'occupazione tedesca della Francia, Maurras fece riapparire Action française, sostenendo il regime di
Vichy, che si ispirava in larga misura alle sue idee. Per lui, la salita al potere dal maresciallo Pétain era stata una
"divina sorpresa" (Le Petit Marseillais, 9 febbraio 1941). Continuò le sue polemiche contro gli ebrei, i francs-
maçons e i "métèques" (termine offensivo per indicare gli asiatici e gli africani), con lo slogan: «Io l'avevo ben
detto!». Il principale torto di Pétain, ai suoi occhi, fu quello di non andare abbastanza lontano nella politica
antisemita: lo "statuto degli ebrei" dell'ottobre 1940 era per Maurras e i suoi collaboratori una buona cosa, ma
doveva essere indurito e applicato più rigorosamente. Il nuovo statuto, del giugno 1941, fu una parziale
soddisfazione.
Semi-collaborazionismo ed ultimi anni[modifica | modifica wikitesto]
Rifiutando il collaborazionismo, Maurras fu comunque, almeno in pratica, l'incarnazione di una collaborazione
"nella dignità". Così scrisse nell'Action française del 28 agosto 1942: «Con tutta la Francia, i prigionieri
felicemente ringraziano il signor Hitler». Già nella sua edizione del 1º novembre 1940, Action
française approvava l'annuncio di una collaborazione dal maresciallo Pétain a Montoire. Maurras non interruppe
fino al 1944 le sue invettive contro i membri della Resistenza, invocando punizioni spietate su di loro, o sui loro
familiari nel caso in cui i partigiani non potessero essere arrestati. Egli che aveva molto apprezzato Charles de
Gaulle fino alla primavera del 1940[1] si scatenò contro il generale, partito per Londra.
Nonostante la sua condanna a vita per intelligenza con il nemico, l'Académie, con l'ordinanza del 21 novembre
1944, non procedette alla radiazione di Charles Maurras, come invece farà qualche mese più tardi per il
maresciallo Pétain: si accontentò, nella seduta del 1º febbraio 1945, di constatare l'esistenza della poltrona vacante
e di decidere di non procedere all'elezione del successore fino alla morte del titolare. La sostituzione ebbe luogo
nel 1953, con l'elezione di Antoine de Lévis-Mirepoix.
Sebbene indebolito, Maurras collaborò con Aspects de la France, giornale fondato da suoi seguaci nel 1947, in
seguito alla proibizione di Action française. Maurras commentò la sua condanna con una celebre
esclamazione: «È la rivincita di Dreyfus!». Nel marzo 1951, beneficiò della grazia per motivi medici e fu
trasferito alla clinica Saint-Grégoire di Tours, nel quartiere Saint-Symphorien, dove morì il16 nov 1952-
__________________________________________________________________________________________
DE MAISTRE Joseph
l JOSEPH DE MAISTRE
INDICE
INTRODUZIONE AL PENSIERO
BRANI ANTOLOGICI
COMMENTO DEL PENSIERO
INTRODUZIONE AL PENSIERO
BRANI ANTOLOGICI
Contro la concezione democratica del potere fondato sulla volontà del popolo, Joseph de
Maistre ripropone la teoria del potere che viene da Dio, e in quanto tale assoluto e
infallibile. Si noti la vicinanza con la dottrina di Hobbes: il potere deve essere assoluto o
non può esistere.
Ma io non so se per questa grande questione, come per tante altre, sia stato abbastanza
notato che le verità teologiche sono semplicemente delle verità generali, manifestate e
divinizzate sul piano religioso, di modo che non si potrebbe assalirne una senza assalire
anche una legge mondiale.
Quando noi diciamo che la Chiesa è infallibile, non chiediamo per essa – è
essenzialissimo osservarlo – nessun privilegio particolare; chiediamo soltanto ch’ella
goda del diritto comune a tutte le sovranità possibili, le quali agiscono tutte
necessariamente come infallibili; perché tutti i governi sono assoluti; e non esisterebbero
piú, quando si potesse loro resistere sotto pretesto d’errore o d’ingiustizia. [...]
Lo stesso è per la Chiesa; in un modo o in un altro bisogna che sia governata, come
qualunque altra associazione; altrimenti non vi sarebbe piú aggregazione, non insieme,
non unità. Questo governo è dunque di sua natura infallibile, ossia assoluto, senza di che
non governerebbe piú.
Nell’ordine giudiziario, che è una delle parti del governo, non è fuor di dubbio che
bisogna assolutamente giungere a un potere che giudica e non è giudicato, precisamente
perché sentenzia in nome del potere supremo di cui è ritenuto organo e voce?"
Joseph de Maistre paragona la critica di Cicerone alla dottrina atomistica di Epicuro con
la sua critica all’idea, propria dei rivoluzionari, che le costituzioni possano essere scritte
a priori, astrattamente.
Ora, poiché questi elementi proiettati nello spazio si sono disposti in cosí bell’ordine,
senza che tra l’innumerevole folla di uomini che hanno agito in questo vasto campo, uno
soltanto abbia mai saputo ciò che faceva in rapporto al tutto, o previsto ciò che ne
doveva conseguire, ne deriva che questi elementi erano guidati nella loro caduta da una
mano infallibile, superiore all’uomo. La piú grande follia del secolo delle follie fu forse
il credere che le leggi fondamentali potessero essere scritte a priori; mentre
evidentemente sono opera di una forza superiore all’umana, e la stessa scrittura, molto
posteriore, è, al paragone. il segno piú evidente della nostra negatività".
Secondo Joseph de Maistre la grandezza della lingua latina è data dalla sua storia. I
Romani le hanno impresso il senso della maestà. Essa poi è stata usata per civilizzare i
barbari. Infine i grandi scienziati l’hanno usata per scrivere le loro opere.
"Niente uguaglia la dignità della lingua latina. Fu parlata dal popolo-re, il quale le
impresse quel marchio di grandezza unico nella storia del linguaggio umano, che
nessuna lingua, neppure la piú perfetta, è mai riuscita a conquistare. Il termine
di maestà appartiene al latino. La Grecia l’ignora; ed è soltanto per la maestà che essa
rimase inferiore a Roma, nelle lettere come sui campi di battaglia. Nata per comandare,
questa lingua comanda ancora nei libri di coloro che la parlarono. È la lingua dei
conquistatori romani e dei missionari della Chiesa romana: uomini che differiscono
soltanto per lo scopo ed il risultato della loro azione. Per i primi si trattava di asservire,
umiliare, sconvolgere il genere umano; i secondi venivano ad illuminarlo, risanarlo,
salvarlo; ma si trattava sempre di vincere e di conquistare e, da una parte e dall’altra, si
trova la stessa potenza. [...]
È la lingua della civiltà. Mescolata a quella dei nostri padri, i Barbari, ha saputo affinare,
ingentilire e, per cosí dire, spiritualizzare quei rozzi idiomi che soltanto cosí sono
diventati quel che vediamo. Forti di questa lingua, gli inviati del Pontefice romano
andarono incontro a quei popoli che piú non li avvicinavano. Dal giorno del loro
battesimo, costoro non l’hanno piú dimenticata. Si dia uno sguardo a un mappamondo; la
linea d’arresto di questa lingua universale segna i confini della civiltà e della fraternità
europea; al di là troverete soltanto quella parentela umana che si trova fortunatamente
dovunque. Il segno distintivo dello spirito europeo è la lingua latina. [...]
Dopo essere stato lo strumento della civiltà, mancava al latino un solo genere di gloria, e
lo conquistò, quando maturò il momento, divenendo la lingua della scienza. I geni
creatori l’adottarono per comunicare al mondo i loro grandi pensieri. Copernico,
Keplero, Descartes, Newton e cento altri ancora, importantissimi anche se meno celebri,
hanno scritto in latino. Una enorme quantità di storici, pubblicisti, teologi, medici,
antiquari, ecc., inondarono l’Europa di opere latine di ogni genere. Piacevoli poeti,
letterati di prim’ordine restituirono alla lingua di Roma le antiche forme e la riportarono
ad un grado di perfezione che non cessa di stupire gli uomini che paragonano i nuovi
scrittori ai loro modelli. Tutte le altre lingue, per quanto studiate ed intese, tacciono
tuttavia nei monumenti antichi, probabilmente per sempre.
Sola tra tutte le lingue morte, quella di Roma è veramente risuscitata; e, simile a colui
che celebra dopo venti secoli, una volta risuscitata, non morirà piú".
___________________________ HERDER_____________________________
von
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Herder, Johann Gottfried von. - Scrittore e pensatore tedesco (Mohrungen, PrussiaOrientale, 1744
- Weimar 1803). Di modeste origini, si diede una prima formazione in casa del diacono Trescho, il
quale, accogliendolo come aiutante nella trascrizione di manoscritti, gli rese accessibile la sua ricca
biblioteca. Nell'estate del 1762 si trasferì a Königsberg per studiarvi medicina; ma subito si rivolse
alla teologia. Animato da una insaziabile volontà di sapere, si interessava in pari tempo di problemi
letterarî e filosofici. Fu allora che ascoltò Kant e conobbe Hamann, ricevendo soprattutto da
quest'ultimo stimoli vigorosi in senso radicalmente antilluministico. In quegli stessi anni rimaneva
particolarmente impressionato dalla lettura di Rousseau. Nell'autunno del 1764 era a Riga, quale
coadiutore alla scuola del duomo e quindi anche quale predicatore, e vi rimase fino alla primavera
del 1769; qui H. iniziò la sua attività pubblicistica coi Fragmente über die neuere deutsche Literatur (1766-
67), cui seguirono il saggio Über Thomas Abbts Schriften (1768) e, interessanti specie per la
premonitrice vivacità del tono, i Kritische Wälder oder/">oder Betrachtungen, die Wissenschaft und Kunst des
Schönen betreffend (1769), di chiaro orientamento antilessinghiano. Nel giugno del 1769 intraprese per
mare il viaggio fino a Nantes, in Francia, che per la prima volta lo pose a contatto con la natura nel
dispiegamento delle sue forze più selvagge. Passato da Nantes a Parigi, ne frequentò musei, teatri e
circoli culturali ove conobbe di persona, fra gli altri, Diderot e D'Alembert. Di questo viaggio H.
redasse un diario, frammentario e pubblicato postumo, Journal meiner Reise im Jahre 1769, nel quale
tracciava una specie di piano di tutto il futuro lavoro, delineando quella che sarebbe stata la sua
concezione storica, teologica ed estetica. Ai primi del 1770 era a Eutin, nello Holstein, per
assumervi l'incarico di predicatore-accompagnatore del figlio del locale principe-vescovo e duca.
Partito col giovane principe nel luglio di quell'anno, a Darmstadt conobbe Maria Karoline
Flachsland, che divenne poi sua moglie. Giunto a Strasburgo nell'ottobre, fu nominato primo
predicatore della piccola residenza principesca di Bückeburg. A Strasburgo, avvenne quell'incontro
fra il già noto predicatore H. e l'ancora ignoto studente Goethe, che quest'ultimo non esitò a
definire decisivo per il proprio stesso sviluppo. Goethe ne ricevette, come per rivelazione, la
consapevolezza che la poesia non è tanto retaggio di pochi individui raffinati quanto dono offerto a
tutti i popoli, onde la cura di rintracciare le testimonianze della poesia popolare. A prova della
felicità di quell'incontro un opuscolo del 1773 dal titolo Von deutscher Art und Kunst contiene scritti
di H. e di Goethe che assumono un valore programmatico per tutto il movimento dello Sturm und
Drang che ebbe appunto in H. il suo maggior promotore. Di H. apparvero lì il saggio
su Shakespeare e l'Auszug aus einem Briefwechsel über Ossian und die Lieder alter Völker che danno nuovo
risalto alla poesia dei popoli primitivi, o ritenuti tali, e all'elemento irrazionale, passionale della
poesia. Intanto, trasferitosi a Bückeburg nell'aprile del 1771, H. vi rimase fino all'ottobre del 1776,
svolgendovi un'intensa attività letteraria. Risale ancora ai mesi di Strasburgo il saggio Abhandlung
über den Ursprung der Sprache, con cui vinse il concorso indetto dall'Accademia delle scienze
di Berlino (che ne curò la pubblicazione nel 1772) sul tema dell'origine naturale o meno del
linguaggio. H. vi propone una innovatrice filosofia del linguaggio, per la quale nella parola è l'anima
stessa che si esprime e, viceversa, l'anima esiste solo in quanto si esprime nella parola: l'uomo
sviluppa sé stesso nell'atto in cui sviluppa, di continuo ricreandolo, il proprio linguaggio. È degli
anni di Bückeburg la Älteste Urkunde des Menschengeschlechts (2 parti, 1774-76), in cui, opponendosi alla
riduzione illuministica del cristianesimo a pura morale, evoca il primo capitolo della Genesi in tutti i
suoi significati fantastico-poetici oltreché religiosi. Alla filosofia della storia è dedicato il saggio Auch
eine Philosophie der Geschichte zur Bildung der Menschheit (1774), tentativo di conciliazione fra la teologia
e la storia in uno spirito antilluministico. Nella storia è vista continuamente operante la
Provvidenza, che assegna a ogni popolo un proprio compito e a ogni epoca una propria funzione,
in una universalità di disegno che però non mortifica l'individualità delle singole manifestazioni. Il
saggio Ursachen des gesunkenen Geschmacks bei den verschiedenen Völkern, da er geblühet (1775) è una specie
di premessa teorica della raccolta di canti popolari cui H. si dedicava. Infine, il saggio Vom Erkennen
und Empfinden der menschlichen Seele (pubblicato nel 1778 ma composto già nel 1774-75) combatte il
dualismo intellettualistico fra pensiero e sensazione, in rispetto della inscindibile unitarietà
dell'essere umano nel quale si riflette una superiore unitarietà. Così, in cinque anni di intenso
lavoro, H. operava su tutta la scacchiera dei suoi interessi, fornendo una summa a suo modo
organica che, pur prendendo più del voluto dall'avversata concezione illuministica, proponeva una
concezione dell'uomo e della storia di spirito chiaramente stürmeriano. Da Bückeburg H. si
allontanò sul finire del 1776, per assumere la carica di sovrintendente generale ecclesiastico a
Weimar, ottenuta per interessamento di Goethe. Così i due amici di un tempo furono ancora vicini,
anche se i rapporti non furono sempre buoni e alla fine si guastarono irreparabilmente. H. finì col
rimanere un isolato, scontroso e rattristato, ciò anche per il deteriorarsi delle sue condizioni di
salute. La sua attività letteraria continuò tuttavia a essere a lungo fiorente, anche se non sempre le
innovazioni furono di peso pari alle proposte precedenti. Man mano con l'andare degli anni la sua
produzione letteraria acquistò un pesante tono sentenzioso e predicatorio. Il saggio di
estetica Plastik. Einige Wahrnehmungen über Form und Gestald aus Pygmalions bildendem Traum (1778) vede
nella plasticità, prerogativa essenziale dell'opera d'arte, una specie di corrispettivo della ricchezza del
sentimento; lo scritto Über die Wirkung der Dichtkunst auf die Sitten der Völker in alten und neuen
Zeiten (1778) convalida la concezione della spontanea poeticità del linguaggio in quanto espressione
di sentimenti autentici; entrambi i saggi si riallacciano al periodo di Bückeburg, come pure la
raccolta di Volkslieder (1778-79, poi riproposta con il titolo Stimmen der Völker in Liedern), destinata a
divenire l'opera più celebrata di Herder. La raccolta doveva essere una vasta esemplificazione della
teoria sulla poesia popolare; sua caratteristica è quella di recepire testimonianze anche presso popoli
posti o ritenuti a margine dei grandi filoni culturali. Come un completamento dei Volkslieder sono
da considerare i dialoghi Vom Geiste der ebräischen Poesie (2 parti, 1782-83), che nei riguardi della
cultura ebraica assumono la stessa funzione rivelatrice che gli scritti di Winckelmann assunsero nei
riguardi della cultura greca. L'opera più complessa del periodo weimariano di H. furono però
le Ideen zur Philosophie der Geschichte der Menschheit (1784-85 e 1791), che mirano a riprendere spunti e
pensieri già sparsamente espressi in precedenza, con l'intento di tracciare le linee dell'intera storia
dell'umanità, quale si sviluppa secondo leggi immanenti che corrispondono a un disegno divino,
che ha di mira il progressivo instaurarsi di un'umanità sempre più vera, sintesi di illuminata moralità
cristiana e di humanitas di classicistico recupero. H. insiste su tutte le forze specifiche di ogni popolo
ai fini della sua individuata evoluzione, ciò in quanto pur nel piano universale di sviluppo rimane
preponderante in lui l'interesse per il singolo popolo quale irripetibile unità organica. Una specie di
continuazione delle Ideen sono i Briefe zur Beförderung der Humanität (10 raccolte, 1793-97), che
esaltano il collegamento esistente fra tutti i popoli al di là di ogni tempo in vista di
quella humanitas che è scopo dell'umana natura storicamente instaurare. Più possibilistico, in
particolare dopo aver subito l'influsso di Spinoza per mediazione indiretta di Lessing e per quella
diretta di Goethe, H. divenne in questioni teologiche, come si rileva dai dialoghi dal
titolo Gott (1787). Tanto più vivo contrasto fanno gli ultimi scritti polemici, astiosamente indirizzati
contro Kant: Eine Metakritik zur Kritik der reinen Vernunft (1799) aggredisce il criticismo kantiano,
mentre Kalligone(1800) combatte l'estetica kantiana. Erano testimonianze quasi ultime di
un'operosità ancora assai intensa, come provano anche le 6 raccolte di Zerstreute Blätter (1785-97),
specie di zibaldone dai contenuti assai diseguali, e le poche annate della rivista Adrastea(a partire dal
1801), redatta da H. solo, senza collaboratori. H. scrisse anche in buon numero poesie, oratorî,
cantate, drammi per musica, ma non fu mai felice in questi tentativi di una sua originale
produzione. L'opera di H. contribuì notevolmente a una nuova valutazione dell'uomo con l'appello
a tutte le sue energie, anche a quelle irrazionali; insieme egli promosse l'attitudine a intendere
simpateticamente una civiltà anche a noi estranea, a vedere storicamente i fatti della cultura e in
particolare quelli della poesia; ancora incise fortemente sulla formazione dell'idea di nazione posta
in rapporto all'individualità di una cultura quale storicamente si era sviluppata in corrispondenza
alla peculiare spiritualità di un popolo.
VEDI ANCHE
Sturm und DrangMovimento culturale e letterario tedesco della seconda metà del 18° sec. (1760-85 ca.) che, con il suo
programma di un’integrale rivalutazione dell’irrazionale nella vita e nell’arte in opposizione all’intellettualismo illuministico,
rappresenta l’ultima fase del preromanticismo. Preparato dal naturalismo ... Johann Wolfgang von Goethe Poeta, narratore,
drammaturgo tedesco (Francoforte sul Meno 1749 - Weimar 1832). Genio fra i più poderosi e poliedrici della storia moderna, si
manifestò in un'epoca in cui ormai risultava operante la consapevolezza d'una acquisita libertà di sentimenti e di espressione;
gli fu quindi spontaneo rendersene ...Illuminismo Per Illuminismo si intende sia l’età della storia d’Europa compresa tra la
conclusione delle guerre di religione del 17° sec. o la rivoluzione inglese del 1688 da un lato e la Rivoluzione francese del 1789
dall’altro, sia la connessa evoluzione delle idee in fatto di religione, scienza, filosofia, politica, ... Weimar Città della Germania
(64.938 ab. nel 2008), nel Land della Turingia, 25 km a E di Erfurt, presso la riva sinistra dell’Ilm (affluente della Saale), in una
regione ridente, ricoperta da boschi. La città è tuttora in parte cinta con mura e fossati ed è un centro culturale di notevole
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Johann Gottfried Herder (Mohrungen, 25 agosto 1744 – Weimar, 18 dicembre 1803) è stato
un filosofo, teologo e letterato tedesco.
Indice
1Biografia
2Il pensiero di Herder
o 2.1Alle origini del problema della lingua
o 2.2Lingua e nazione
o 2.3La poesia popolare
o 2.4L'origine del linguaggio
o 2.5La filosofia della storia
o 2.6L'estetica
o 2.7La polemica con Kant
3Bibliografia
o 3.1Opere
o 3.2Traduzioni italiane
4Note
o 4.1Studi
5Voci correlate
6Altri progetti
7Collegamenti esterni
Allora, al concetto di "patriota" era associato quello di difensore della libertà municipale o repubblicana.
Herder non crede nella democrazia - quali potevano essere esempio, a quel tempo, le
istituzioni svizzere - ma considera che uomo libero sia «poter essere un uomo onesto e cristiano,
possedere in pace, all'ombra del trono, la propria capanna e la propria vigna e godere il frutto del
proprio sudore»: un patriottismo monarchico, alla Thomas Abbt, ammiratore della monarchia prussiana;
per Herder, anche lo zar Pietro il Grande e il dispotismo russo era patriottico, in quanto difensore dello
spirito della nazione: «ogni nazione ha le sue ricchezze e proprietà dello spirito, del carattere come del
paese» e il compito dello Stato è «favorire ciò che giace in una nazione e destare ciò che vi dorme».
Se ogni nazione e ogni lingua hanno un proprio distinto carattere, anche ogni individuo, che quella
lingua parla e appartiene a una singola nazione, deve possedere una particolare caratterizzazione; per
Herder (Sugli scritti di Thomas Abbt) l'anima umana è «un individuo nel regno degli spiriti, che sente
secondo la sua costituzione singolare», è una «particolarità viva» che si manifesta «dall'intero fondo
oscuro della nostra anima, nella cui imperscrutabile profondità dormono forze ignote» cosicché si può
dire che «noi non conosciamo nemmeno noi stessi e solo a istanti, come in sogno, cogliamo qualche
tratto della nostra vita profonda».
Chi studiasse una personalità dovrà allora «spiare gli istanti in cui l'anima si spoglia e si offre». La
conoscenza avviene stringendoci «alla maniera di pensare dell'altro e [apprendendo] la saggezza come
attraverso un bacio»; non è importante ciò che si pensa ma come si pensa: «Ascoltiamo volentieri
pensatori e inventori e teste originali parlare del metodo con cui pensano, anche quando ci danno solo
embrioni di concetti e di pensieri non elaborati, appena sbozzati: non importa quello che Bacone ha
pensato, è importante come pensava».
Anche le nazioni hanno caratteristiche proprie, derivanti dalla loro generazione: «la generazione
nazionale resta la stessa per millenni se non ha mescolanze estranee e opera con più forza se rimane
avvinta alla sua terra come una pianta» e se avviene che influssi stranieri vi vengono introdotti, lo
spirito nazionale non può che risentirne in negativo, come avvenne al tempo di Carlo Magno: «Orde di
monaci e di preti franchi, la spada in una mano e la croce nell'altra, introdussero in Germania l'idolatria
papale, i peggiori residui delle scienze romane e il gergo più volgare [...] la lingua dei monaci recò
eterna barbarie alla lingua del paese e, penetrando nelle fibre della letteratura, avvelenò lo spirito
nazionale [...] ora i popoli tedeschi sono spogliati della loro nobiltà per la loro mescolanza, hanno
perduto la loro natura durante una lunga servitù di pensiero [...] se la Germania fosse stata guidata
soltanto dalla mano del tempo al filo della sua stessa cultura, certamente la nostra cultura sarebbe ora
più povera e angusta ma almeno sarebbe fedele alla sua terra, archetipo di se stessa, e non sarebbe
così sfigurata e divisa».
La poesia popolare[modifica | modifica wikitesto]
Negli scritti Vom Geist der Ebräischen Poesie (Lo spirito della poesia ebraica) e Von deutscher Art und
Kunst (Il genere e l'arte tedesca) Herder individua nella poesia e in generale nell'arte l'immediata
espressione della vita di un popolo, la forma della sua coscienza, la manifestazione della sua
spiritualità, della sua anima profonda, rifiutando l'idea della poesia come imitazione della natura. Tale
concetto è una conseguenza dell'interesse, diffuso nell'Europa del tempo, per gli antichi canti dei bardi
e delle popolazioni indigene dell'America, intesi come fondamentale, perché spontanea, forma di
poesia.
Conseguenza di questa posizione è l'ostilità verso i modelli letterari classici, considerati artificiosi e
pedanti e l'inconsistenza del secolare dibattito sull'imitazione degli antichi poeti - l'imitazione è artificio,
porta alla "poesia d'arte", alla creazione di modelli che non possono che essere espressione di
mancanza di sincerità, la quale è la prima condizione per l'esistenza della poesia.
Per Herder «quanto più è selvaggio, cioè vivo e liberamente operante un popolo, tanto più selvaggi,
cioè vivi, liberi, sensibili e liricamente operanti devono essere i suoi canti», opponendo i canti popolari
«all'artificiosa, sovraccarica, gotica maniera delle moderne odi filosofiche e pindariche inglesi [...]
all'artificiosa maniera oraziana dei tedeschi [...] Ossian, i canti dei selvaggi, dei bardi, le romanze, le
poesie provinciali, ci porterebbero su una via migliore».
L'origine del linguaggio[modifica | modifica wikitesto]
Già nei Frammenti sulla moderna letteratura tedesca Herder aveva abbozzato una storia del
linguaggio, indicando come «nella sua infanzia una lingua manda fuori, come un bambino, suoni
monosillabici, rozzi e alti. Una nazione, nel suo primo stato selvaggio, come un bambino fissa ogni
oggetto: il terrore, la paura e poi la meraviglia sono le uniche sensazioni di cui, il bambino come la
nazione, è capace, e la lingua che esprime queste sensazioni è fatta di suoni e di gesti»; proseguendo
nel suo sviluppo, il bambino, come la nazione, razionalizza le sensazioni elaborandole con l'intelletto.
Nel Saggio sull'origine del linguaggio, del 1772, che fu presentato in un concorso all'Accademia
di Berlino, si pone il problema se il linguaggio umano abbia un'origine naturale o divina. Un linguaggio
di natura, fatto di suoni, caratteristico degli animali, esiste: è, dice Herder, il «grido della sensazione»;
ma l'uomo è in grado di andare oltre: «l'uomo non è legato a una sola opera, per cui debba agire senza
migliorarsi; può cercare nuovi campi d'azione, non è una macchina infallibile nelle mani della natura e
ogni sua idea non è opera immediata della natura, ma è la sua propria opera». L'uomo si distacca dalla
natura, producendo da sé le sue opere e dunque la sua storia.
Il distacco dalla natura avviene grazie alla riflessione che l'uomo «deve possedere fin dal primo istante
in cui egli è uomo. Essa deve mostrarsi nel primo pensiero del bambino [...] l'uomo rivela la riflessione
quando la forza della sua anima opera così liberamente da separare un'onda dall'oceano delle
sensazioni, le quali penetrano attraverso i sensi, così da trattenerla e volgere la propria attenzione su di
essa. Egli mostra riflessione quando può, nell'ondeggiante sogno delle immagini che passano innanzi
ai suoi sensi, raccogliersi in un momento di veglia, liberamente soffermarsi sopra un'immagine,
prenderla in chiara e calma considerazione, separarne alcuni contrassegni. Egli, infine, mostra
riflessione quando può non solo conoscerne vivamente e chiaramente tutte le proprietà, ma anche
riconoscerne una o più proprietà distintive». Proprio in questo modo la lingua viene inventata: la qualità
di una cosa, che l'uomo ha isolato da tutte le altre, diviene il segno di quella cosa e quel segno è la
parola, la «parola dell'anima».
Poiché «non posso pensare il primo pensiero umano senza dialogare o tendere a dialogare», poiché «il
primo segno verbale è anche parola di comunicazione con gli altri», la storia del linguaggio coincide
con la storia dell'umanità. A questa storia della totalità degli esseri umani ciascun individuo porta il suo
contributo, per minimo che possa essere: «non c'è nessuna creatura della mia specie che non operi per
l'intera specie».
La filosofia della storia[modifica | modifica wikitesto]
Dalla teoria dell'origine della lingua l'umanità emerge come artefice del proprio destino, creatrice della
sua storia: non c'è posto per la Provvidenza, come a Herder fece notare, disapprovandolo, lo Hamann.
Nell'Auch eine Philosophie der Geschichte (Ancora una filosofia della storia), del 1774, Herder
introduce una Provvidenza che non interviene direttamente nella storia umana, ma raggiunge il suo
scopo suscitando forze che indirizzano la storia dell'umanità nella direzione di sviluppi «così semplici,
delicati e meravigliosi quali li vediamo in tutte le produzioni della natura». La storia dell'umanità appare
come la vicenda di un singolo individuo: l'Oriente è l'infanzia dell'umanità - e il dispotismo di quegli Stati
sarebbe giustificato dalla necessità dell'esercizio dell'autorità nel periodo dell'infanzia - l'Egitto ne è la
fanciullezza, i Fenici ne rappresentano l'adolescenza, i Greci la giovinezza, «gioia giovanile, grazia,
gioco e amore» e i Romani sono la «maturità del destino del mondo antico».
Sembrerebbe la descrizione di un ciclo naturale e positivo; ma come spiegare la fine del mondo antico,
il crollo drammatico dell'Impero? Per Herder, l'impero romano rovinò perché volle distruggere i caratteri
nazionali, ignorare le tradizioni dei singoli popoli, organizzare come un meccanismo la vita umana:
dopo la sua caduta vi fu «un mondo completamente nuovo di lingue, di costumi, di inclinazioni».
L'intervento dei Germani nella scena della storia fu positivo, apportando nuova linfa e nuovi valori: «le
belle leggi e conoscenze romane non potevano sostituire le forze scomparse, non potevano reintegrare
nervi che non avvertivano più alcuno spirito vitale, non stimolavano più impulsi spenti e allora nacque
nel Nord un uomo nuovo» portatore di nuova forza, nuovi costumi «forti e buoni» e nuove leggi
«spiranti coraggio virile, sentimento dell'onore, fiducia nell'intelletto, onestà e timore degli dei».
La rivalutazione del Medioevo è ben esplicita ma è motivata dall'essere stato, quel periodo, una
«grande cura dell'intera specie grazie a una violenta agitazione», senza tradursi, in Herder,
nell'esaltazione di un modello politico. La critica di Herder va tuttavia al sistema politico del suo tempo,
al «libero pensiero», al cosmopolitismo, a quanto doveva rendere felici gli uomini, ridotti a un «gregge
governato filosoficamente». La felicità, per Herder, non può essere il derivato di un'unica causa valida
ovunque, perché «ogni nazione ha in se stessa il centro della sua felicità».
Nell'animo umano si formano determinate disposizioni che, a un certo grado del loro sviluppo, si
arrestano, cristallizzandosi e impedendo all'individuo ulteriori assimilazioni: «lo si chiami pure
pregiudizio, volgarità, gretto nazionalismo, ma il pregiudizio è utile, rende felici, spinge i popoli verso il
loro centro, li fa più saldi, più fiorenti alla loro maniera, più fervidi e quindi più felici nelle loro inclinazioni
e nei loro obbiettivi [...] la nazione più ignorante, più ricca di pregiudizi, è spesso la prima: l'epoca delle
immigrazioni di desideri stranieri, dei viaggi di speranze all'estero, è già una malattia, è una pienezza
d'aria, una malsana gonfiezza, un presentimento di morte».
Herder non crede dunque alla prospettiva illuministica di un progressivo avvicinamento alla felicità e
alla virtù degli esseri umani; tuttavia, riconosce come sia ben viva nell'animo umano la ricerca della
felicità e questo suo tendere a una condizione che vada oltre il proprio stato è pure un progresso reale,
un effettivo sviluppo.
Nelle successive Idee sulla filosofia della storia dell'umanità, Herder cercò di dimostrare che l'uomo era
lo scopo autentico, «il fiore della creazione», secondo una visione che ha dei contatti con la teoria
dell'evoluzione naturale; mentre «l'intera storia dell'umanità è una pura storia naturale delle forze,
operazioni, tendenze umane secondo luogo e tempo» la sua filosofia, il suo significato, coincide con la
storia stessa dell'umanità:«la filosofia della storia, che persegue la catena della tradizione, è
propriamente la vera storia umana» e ogni storia delle singole nazioni si rapporta a un quadro
complessivo a formare il piano della Provvidenza.
L'estetica[modifica | modifica wikitesto]
«Estetica! La più feconda, la più bella e sotto molti aspetti la più nuova di tutte le scienze astratte, in
quale caverna delle Muse dorme il giovinetto della mia filosofica nazione che ti dovrà perfezionare?»:
così lo Herder esprime nelle Selve critiche il suo interesse per quella che considera la Scienza del
Bello, pulchris philosophice cogitans. Nella considerazione dell'Esteticaegli si rifà al Baumgarten, che
considera «l'Aristotele dei suoi tempi», accogliendone la definizione della poesia come «oratio sensitiva
perfecta», una definizione che gli sembra unire «la poesia con le sue sorelle, le arti belle».
Egualmente fa sua la considerazione dello Hamann per il quale «la poesia è la lingua materna del
genere umano: al modo stesso che il giardino è più antico del campo arato, la pitturadella scrittura, il
canto della declamazione, il baratto del commercio. Un sonno più profondo era il riposo dei nostri
antichissimi progenitori; e il loro movimento una danza tumultuosa. Passarono sette giorni nel silenzio
della riflessione o dello stupore; e aprirono la bocca a pronunziare motti alati. Parlavano sensi e
passioni, e non intendevano se non immagini. E d'immagini è composto tutto il tesoro della conoscenza
e della felicità umana».
Nella sua Kaligone (1800) esprime la convinzione che «il principio del discorrere umano in toni, in gesti,
nell'espressione delle sensazioni e dei pensieri per mezzo d'immagini e segni, non poté essere altro
che una specie di rozza poesia e tale è presso tutti i popoli selvaggi della terra [...] l'uomo di natura
dipinge ciò che vede e come lo vede, vivo, potente, mostruoso: nel disordine o nell'ordine, come lo
vede e l'ode, così lo riproduce. Così ordinano le loro immagini non solo tutte le lingue selvagge, ma
anche quelle dei greci e dei romani. Come le offrono i sensi, tali le espone il poeta;
specialmente Omero il quale, per ciò che riguarda il nascere e il trapassare delle immagini, segue la
natura in modo quasi inarrivabile. Egli dipinge cose e avvenimenti, tratto per tratto, scena per scena, e
così gli uomini, quali essi si presentano con i loro corpi, come parlano e agiscono [...] gli dei d'Omero
erano così essenziali e indispensabili al suo mondo come sono essenziali al mondo dei corpi le forze
del movimento. Senza le decisioni dell'Olimpo nulla accadeva in terra di ciò che sarebbe dovuto
accadere. L'isola magica di Omero nel mare occidentale appartiene alla carta delle peregrinazioni del
suo eroe con la stessa necessità con la quale essa allora sulla mappa del mondo: indispensabile al suo
canto, come sono indispensabili, al severo Dante, i gironi dell'Inferno e del Paradiso».
L'epica si distingue dalla storia perché «non racconta solo quello che è accaduto, ma lo descrive
interamente, come è accaduto e come non altrimenti sarebbe potuto accadere, nel corpo e nello
spirito» e l'arte non solo generò la storia ma prima ancora « creò forme di dei e di eroi, purificò le
selvagge rappresentazioni e le favole popolari, i titani, i mostri, le gorgoni, ponendo confini e leggi alla
disordinata fantasia di uomini ignoranti».
Le belle arti e le belle lettere educano l'uomo e lo rendono sensibile: vi sono poi arti specifiche, come la
ginnastica e la danza, che educano il corpo, altre, o come la pittura, la scultura e la musica, che
educano i sensi più nobili, ossia la vista, il tatto e l'udito. Da ciò l'opinione di Herder che la teoria delle
belle arti dovesse essere formulata a partire dall'ottica, dalla fisiologia e dall'acustica - la poesia educa
l'intelletto e la fantasia. Il poeta è infatti un artista dell'intelletto e della fantasia: «l'estetica non designa
che una parte della logica: ciò che chiamiamo gusto), non è che un vivido e rapido giudizio che non
esclude la verità e la profondità, ma anzi le presuppone e le promuove. Le poesie didascaliche non
sono che una filosofia sensibile: la favola, che è poi l'esposizione di una dottrina generale, è verità in
atto [...] la filosofia, esposta e applicata umanamente, è non solo un'arte bella ma è la madre del bello.
la retorica e la poesia devono a essa quello che hanno di educativo, di utile, di veramente gradevole».
La polemica con Kant[modifica | modifica wikitesto]
Nel 1798 Herder pubblica Eine Metakritik zur Kritik der reinen Vernunft ("Una metacritica alla Critica
della ragione pura"), coerentemente affermando essere il linguaggio l'organo della ragione, in
contraddizione con il dualismo kantiano di sensibilità e intelletto. Non esistono leggi a priori che
organizzino la conoscenza, la quale trova invece negli stessi organi dei sensi, che unificano la
molteplicità dei dati della realtà, la forma strutturante dell'esperienza. La ragione, per Herder, è «il
complesso organico di tutte le forze umane, il complesso governo della sua natura sensitiva e
conoscitiva e volitiva».
Immanuel Kant
Ancora una filosofia della storia per l'educazione dell'umanità, Torino, Einaudi, 1971
Idee per la filosofia della storia dell'umanità, Bologna, Zanichelli, 1971
Giornale di viaggio 1769, Milano, Spirali, 1984
La pietra grezza - I dialoghi per massoni di Lessing e Herder, traduzione di Teresina Zemella,
Milano, 1984
Ernst e Falk Dialoghi per liberi muratori, Milano, Cisalpino Goliardica, 1984 [6]
Dialogo intorno a una società invisibile-visibile, Milano, Cisalpino Goliardica,1984 [7]
Fama Fraternitatis - Sullo scopo della Framassoneria, come essa appare dall'esterno, Milano,
1984, [8]
L'anello del sigillo di Salomone - Una continuazione del precedente dialogo, Milano, Cisalpino
Goliardica,1984, [9]
Dio, Dialoghi sulla filosofia di Spinoza, Milano, Franco Angeli, 1992
Metacritica: passi scelti, Roma, Editori Riuniti, 1993
Saggio sull'origine del linguaggio, Parma, Pratiche Editrice, 1993
Plastica, Palermo, Aesthetica, 1994
Dialogo su una società invisibile-visibile, Milano, Bompiani, 2014 [10].
Massoni, Milano, Bompiani, 2014 [11].
Fama Fraternitatis o Sullo scopo della
Pubblicità
J.Herder, Johann Gottfried von von Herder 1744 Nasce a Mohrungen 1762 A Königsberg frequenta Kant e Hamann 1764 -69
È predicatore a Riga 1769 Soggiorna a Parigi; incontra Diderot e d’Alembert 1770 A Strasburgo stringe amicizia con Goethe
1771-76 Risiede a Bückeburg 1772 Esce il Saggio sull’origine ...
Estetico, letterato, storico e teologo tedesco, nato il 25 agosto 1744 a Mohrungen nella Prussia orientale, morto a Weimar il 18
dicembre 1803. Un bizzarro pedante gl'insegnò il latino, l'iniziò al greco e all'ebraico, alla filosofia e alla teologia; un diacono,
certo Trescho, che si dilettava di lettere, ...
VOCABOLARIO
von
von ‹fòn› prep. ted. – Preposizione corrispondente all’ital. «di». In Germania e in Austria è frequente in nomi di antiche
famiglie nobili indicate per mezzo del loro feudo, e anche come predicato nobiliare (premesso a cognomi di qualunque
origine).
___________________________________CAMPER______________________________________________________
etrus Camper
Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.
Petrus Camper
___________________________
__________________________________________________0
ISTITUTO Frenologia
Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.
Le pratiche descritte non sono accettate dalla medicina, non sono state sottoposte a verifiche sperimentali condotte con metodo scientifico o non le hanno
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GALL, FRENOLOGIA
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La frenologia (dal greco phren = mente e logos= studio) è una dottrina scientifica dell'800 da tempo non più valida. Ideata e propagandata
dal medico tedesco Franz Joseph Gall (1758 - 1828), secondo la quale le singole funzioni psichiche dipenderebbero da particolari zone o "regioni"
del cervello, così che dalla valutazione di particolarità morfologiche del cranio di una persona, come linee, depressioni, bozze, si potrebbe giungere alla
determinazione delle qualità psichiche dell'individuo e della sua personalità.
Descrizione
Sul nome di tale teoria in Mente e cervello nel pensiero di Gall, fra illuminismo e romanticismo (1994) C. Morabito dice:
«Chiamiamo "organologia" la teoria di Gall perché questo fu sempre il termine che egli adoperò. Inizialmente era Schädellehre(craniologia), ma fu abbandonato perché era il cervello e
non il cranio l'oggetto d'interesse di Gall. [...] "Frenologia" (dal greco, dottrina della mente) è un termine utilizzato e diffuso da Spurzheim fin dal 1818, ma sull'opportunità di adottarlo
Gall fu sempre contrario (perché tendeva ad identificare le funzioni del cervello solo con la mente) [...]»
Secondo Gall vi erano ben 27 zone del cranio a cui sarebbero corrisposte le regioni della mente, a loro volta corrispondenti alle caratteristiche della
personalità del soggetto: diciannove in comune tra uomo e gli altri animali (dieci comuni a tutti i vertebrati, dall'undicesima alla diciannovesima condivise
dall'uomo solo con i vertebrati superiori), e solo le ultime 8 facoltà esclusivamente umane. Fra le varie attività di Gall vi era quella di collezionare per i suoi
studi crani di persone che in vita si erano particolarmente distinte in svariati modi.
Grazie all'aiuto ed alla collaborazione di Johann Gaspar Spurzheim la frenologia conobbe un grosso sviluppo tanto che nacquero varie società frenologiche
sparse per l'Europa e negli Stati Uniti. In Italia il più noto fautore di questa teoria fu Luigi Ferrarese.
Come accadde in seguito per i test d'intelligenza anche la frenologia per un certo tempo venne vista con interesse dalle direzioni aziendali, tanto che molti
imprenditori giudicavano l'onestà delle persone da assumere in base alle loro caratteristiche morfologiche.
Fu verso la fine del XIX secolo che questa teoria perse la sua credibilità.
Solo alcuni si ostinarono ancora a considerarla scienza, come ad esempio coloro i quali divulgarono la convinzione che la razza ariana fosse la razza
superiore. O, ancora, Lavery e White, due statunitensi che inventarono lo "psicografo": una macchina che avrebbe potuto, tramite un casco poggiato sulla
testa, stabilire le capacità mentali degli individui.
In realtà, anche se è vero che alcune funzioni del nostro cervello possono essere localizzate, le varie parti del nostro cervello non tendono a crescere verso
l'esterno e, quindi, non possono modificare la configurazione del cranio. Infine, le funzioni a cui si riferiva Gall non appartenevano alle zone del cervello da
lui indicate, tranne quella del linguaggio che l'autore aveva casualmente individuato correttamente.
Nonostante a livello generale la teoria sia stata screditata, alcune intuizioni di Gall lo fanno ritenere il padre della moderna neuropsicologia e
delle neuroscienze cognitive per quanto riguarda la localizzazione delle funzioni cognitive sottesa a una particolare area cerebrale, il principio di base è
quindi corretto, nonostante Gall all'epoca non possedesse gli strumenti tecnologici odierni di imaging
__________________________________________________________
Sesso e carattere (Geschlecht und Charakter) è un saggio filosofico pubblicato per la prima volta nel maggio 1903 da Otto Weininger; è stato pubblicato in
italiano da Fratelli Bocca Editori nel 1912, da Feltrinelli editore nel 1979, da Studio tesi, dalle Edizioni Mediterranee e più recentemente da Mimesis
Edizioni.
Si tratta dell'opera principale dell'autore, morto suicida pochi mesi dopo; uno dei classici del modernismo viennese, ha avuto un impatto enorme sulla vita
culturale di lingua tedesca in quel primo scorcio di secolo[1].
Indice
1Origine
2Struttura e argomenti trattati
o 2.1Parte I: Le varietà sessuali
o 2.2Parte II: I tipi sessuali
o 2.3Teoria della bisessualità
o 2.4Caratteristiche negative archetipiche degli ebrei
3Notorietà postuma dovuta al suicidio
Nell'autunno 1901 Weininger presenta il suo lavoro Eros und Psyche ai suoi professori d'università (Erich Jodl e Lorenz Müllner) come tesi di laurea e con
questa diventa dottore in filosofia; poco dopo ha anche un incontro con Sigmund Freud, nella speranza di ottenere una raccomandazione presso un
editore, ma senza esito.
Corretta e riveduta, con l'aggiunta dei tre ampi capitoli conclusivi, nel 1903 appare finalmente nelle librerie Sesso e carattere - Un'indagine fondamentale,
stampato da "Wilhelm Braumüller Universitäts-Verlagsbuchhandlung", una casa editrice privata tra le più antiche della capitale dell'Impero[3].
Tutta la sua interpretazione si concentra su una questione di genere, dove uomo-donna vengono visti come due poli eternamente contrapposti. A partire da
queste premesse, Weininger crea una filosofia dualistica che tenta di trasformare in una sorta di mitologia sessuale (un "mito" basato sulla distinzione
sessuale maschile-bene, femminile-male)[6]. Nel suo diario (Taccuino e lettere, Studio tesi, 1986) scrive "L'odio nei confronti della donna non è altro che
odio nei confronti di quella parte di donna dentro di sé"; questa frase, assieme ad altre in cui parla della necessità di superare i propri caratteri sessuali
femminili, ha dato luogo a sospetti circa una sua presunta omosessualità repressa.
_____________________________Klages Ludwig_________________________________LA
NOSTRA STORIA
SALA STAMPA
Ludwig Klages
Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.
Ludwig Klages (Hannover, 10 dicembre 1872 – Kilchberg, 29 luglio 1956) è stato un filosofo tedesco.
Indice
1Vita
2Pensiero
3Altri progetti
4Collegamenti esterni
A Monaco incontra anche lo scrittore Karl Wolfskehl e il mistico Alfred Schuler, con il quale forma, assieme allo scrittore Ludwig Derleth, un gruppo noto
come circolo dei Cosmici nel quartiere di Schwäbing, a Monaco; circolo, a volte, associato anche al poeta Stefan George. Klages scrive un libro elogiativo
sulla poesia di George nel 1902. È in questo gruppo che avvicina alcuni dei temi che riprenderà e svilupperà in seguito, come una critica del mondo
moderno, in gran parte ispirata al romanticismo tedesco e ad autori del XIX secolo, come Nietzsche, Bergson, e soprattutto dopo Karl Wolfskehl, Johann
Jakob Bachofen (1815-1887), antropologo svizzero noto per il suo lavoro sulla società matriarcali.
Nel 1914, Klages, trasferitosi in Svizzera, si sostiene con i diritti dei suoi scritti e con le sue conferenze. Tornerà in Germania nel 1920, dove gli verrà
conferita nel 1932 la Medaglia Goethe per l'arte e la scienza. Verrà attaccato nel 1936 da parte delle autorità naziste per la sua mancanza di supporto al
regime; nel 1942, è soggetto a una campagna di denuncia violenta condotta contro di lui dai giornali tedeschi, in occasione del suo 70 ° compleanno. Sarà
invece onorato dal governo del dopoguerra, soprattutto per i suoi 80 anni, nel 1952.
Il suo lavoro è stato ampiamente discusso in Germania, dove ha rappresentato un punto di riferimento intellettuale essenziale. Al centro della riflessione di
scrittori come Benjamin o Hermann Hesse; presente nelle opere di Robert Musil (il personaggio di Meingast in L'uomo senza qualità) e Thomas
Mann. Cioran lo considerava un maestro.
Karl Wolfskehl, Alfred Schuler, Ludwig Klages, Stefan George & Albert Verwey (1902)
Klages ha creato una teoria completa di grafologia a cui il suo nome è indissolubilmente legato, come anche ai concetti di forma, ritmo e interpretazione del
bipolarismo. Sulla scia di Nietzsche e Bergson, ha anticipato la fenomenologia esistenziale e sviluppato il concetto di logocentrismo nel 1920.
Fortemente influenzato dalla filosofia della vita di Nietzsche (Lebensphilosophie), ha portato l'insegnamento nietzscheano "alle sue conclusioni più
estreme." Il suo pensiero è esposto principalmente in Lo spirito come antagonista dell'anima (Als Geist der Seele Widersacher, 1929), forse il suo lavoro
più noto. Klages osserva e sostiene che lo spirito e l'iper-razionalismo uccidono il ritmo naturale della vita e dell'anima. Oppone così lo spirito alla vita e
presenta l'essere umano come il luogo di un conflitto tra queste due dimensioni. Per lui la corrente del Romanticismo è un rivincita della vita contro lo
Spirito. Tuttavia questo soprassalto è solo sintomo della vittoria totale dello Spirito che può portare alla distruzione della forza vitale. Questi concetti sono
stati ampiamente discussi in Germania nel periodo tra le due guerre, soprattutto all'interno dei circoli cosiddetti della rivoluzione conservatrice, assieme a
quelli di Kultur (cultura) e Zivilisation (civiltà), difficilmente traducibili in altre lingue.
Klages è anche uno dei principali precursori del movimento ecologista in Europa, in particolare con la sua conferenza tenuta presso l'Alta Meissner nel
1913, in un convegno dal titolo "L'uomo e la terra", dove egli profetizza e denuncia l'estinzione di gran parte delle specie animali, il saccheggio delle risorse
naturali, le devastazioni del turismo di massa e del progresso ("nient'altro che la negazione della vita"). Questo testo è stato riscoperto da correnti
ambientaliste tedesche, tra cui i Verdi nei primi anni 80, ed è uno dei primi manifesti di queste correnti politiche.
Alla sua morte, il filosofo tedesco Jürgen Habermas sosteneva che "i risultati [di Klages] di antropologia e filosofia del linguaggio" non dovrebbe "essere
nascosti dietro il velo della sua metafisica anti-intellettuale e della sua filosofia apocalittica storia ".
Ludwig Klages
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Ludwig Klages (Hannover, 10 dicembre 1872 – Kilchberg, 29 luglio 1956) è stato un filosofo tedesco.
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A Monaco incontra anche lo scrittore Karl Wolfskehl e il mistico Alfred Schuler, con il quale forma, assieme allo scrittore Ludwig Derleth, un gruppo noto
come circolo dei Cosmici nel quartiere di Schwäbing, a Monaco; circolo, a volte, associato anche al poeta Stefan George. Klages scrive un libro elogiativo
sulla poesia di George nel 1902. È in questo gruppo che avvicina alcuni dei temi che riprenderà e svilupperà in seguito, come una critica del mondo
moderno, in gran parte ispirata al romanticismo tedesco e ad autori del XIX secolo, come Nietzsche, Bergson, e soprattutto dopo Karl Wolfskehl, Johann
Jakob Bachofen (1815-1887), antropologo svizzero noto per il suo lavoro sulla società matriarcali.
Nel 1914, Klages, trasferitosi in Svizzera, si sostiene con i diritti dei suoi scritti e con le sue conferenze. Tornerà in Germania nel 1920, dove gli verrà
conferita nel 1932 la Medaglia Goethe per l'arte e la scienza. Verrà attaccato nel 1936 da parte delle autorità naziste per la sua mancanza di supporto al
regime; nel 1942, è soggetto a una campagna di denuncia violenta condotta contro di lui dai giornali tedeschi, in occasione del suo 70 ° compleanno. Sarà
invece onorato dal governo del dopoguerra, soprattutto per i suoi 80 anni, nel 1952.
Il suo lavoro è stato ampiamente discusso in Germania, dove ha rappresentato un punto di riferimento intellettuale essenziale. Al centro della riflessione di
scrittori come Benjamin o Hermann Hesse; presente nelle opere di Robert Musil (il personaggio di Meingast in L'uomo senza qualità) e Thomas
Mann. Cioran lo considerava un maestro.
Karl Wolfskehl, Alfred Schuler, Ludwig Klages, Stefan George & Albert Verwey (1902)
Klages ha creato una teoria completa di grafologia a cui il suo nome è indissolubilmente legato, come anche ai concetti di forma, ritmo e interpretazione del
bipolarismo. Sulla scia di Nietzsche e Bergson, ha anticipato la fenomenologia esistenziale e sviluppato il concetto di logocentrismo nel 1920.
Fortemente influenzato dalla filosofia della vita di Nietzsche (Lebensphilosophie), ha portato l'insegnamento nietzscheano "alle sue conclusioni più
estreme." Il suo pensiero è esposto principalmente in Lo spirito come antagonista dell'anima (Als Geist der Seele Widersacher, 1929), forse il suo lavoro
più noto. Klages osserva e sostiene che lo spirito e l'iper-razionalismo uccidono il ritmo naturale della vita e dell'anima. Oppone così lo spirito alla vita e
presenta l'essere umano come il luogo di un conflitto tra queste due dimensioni. Per lui la corrente del Romanticismo è un rivincita della vita contro lo
Spirito. Tuttavia questo soprassalto è solo sintomo della vittoria totale dello Spirito che può portare alla distruzione della forza vitale. Questi concetti sono
stati ampiamente discussi in Germania nel periodo tra le due guerre, soprattutto all'interno dei circoli cosiddetti della rivoluzione conservatrice, assieme a
quelli di Kultur (cultura) e Zivilisation (civiltà), difficilmente traducibili in altre lingue.
Klages è anche uno dei principali precursori del movimento ecologista in Europa, in particolare con la sua conferenza tenuta presso l'Alta Meissner nel
1913, in un convegno dal titolo "L'uomo e la terra", dove egli profetizza e denuncia l'estinzione di gran parte delle specie animali, il saccheggio delle risorse
naturali, le devastazioni del turismo di massa e del progresso ("nient'altro che la negazione della vita"). Questo testo è stato riscoperto da correnti
ambientaliste tedesche, tra cui i Verdi nei primi anni 80, ed è uno dei primi manifesti di queste correnti politiche.
Alla sua morte, il filosofo tedesco Jürgen Habermas sosteneva che "i risultati [di Klages] di antropologia e filosofia del linguaggio" non dovrebbe "essere
nascosti dietro il velo della sua metafisica anti-intellettuale e della sua filosofia apocalittica storia ".
Altri prog
Ludwig Klages
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Ludwig Klages (Hannover, 10 dicembre 1872 – Kilchberg, 29 luglio 1956) è stato un filosofo tedesco.
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A Monaco incontra anche lo scrittore Karl Wolfskehl e il mistico Alfred Schuler, con il quale forma, assieme allo scrittore Ludwig Derleth, un gruppo noto
come circolo dei Cosmici nel quartiere di Schwäbing, a Monaco; circolo, a volte, associato anche al poeta Stefan George. Klages scrive un libro elogiativo
sulla poesia di George nel 1902. È in questo gruppo che avvicina alcuni dei temi che riprenderà e svilupperà in seguito, come una critica del mondo
moderno, in gran parte ispirata al romanticismo tedesco e ad autori del XIX secolo, come Nietzsche, Bergson, e soprattutto dopo Karl Wolfskehl, Johann
Jakob Bachofen (1815-1887), antropologo svizzero noto per il suo lavoro sulla società matriarcali.
Nel 1914, Klages, trasferitosi in Svizzera, si sostiene con i diritti dei suoi scritti e con le sue conferenze. Tornerà in Germania nel 1920, dove gli verrà
conferita nel 1932 la Medaglia Goethe per l'arte e la scienza. Verrà attaccato nel 1936 da parte delle autorità naziste per la sua mancanza di supporto al
regime; nel 1942, è soggetto a una campagna di denuncia violenta condotta contro di lui dai giornali tedeschi, in occasione del suo 70 ° compleanno. Sarà
invece onorato dal governo del dopoguerra, soprattutto per i suoi 80 anni, nel 1952.
Il suo lavoro è stato ampiamente discusso in Germania, dove ha rappresentato un punto di riferimento intellettuale essenziale. Al centro della riflessione di
scrittori come Benjamin o Hermann Hesse; presente nelle opere di Robert Musil (il personaggio di Meingast in L'uomo senza qualità) e Thomas
Mann. Cioran lo considerava un maestro.
Karl Wolfskehl, Alfred Schuler, Ludwig Klages, Stefan George & Albert Verwey (1902)
Klages ha creato una teoria completa di grafologia a cui il suo nome è indissolubilmente legato, come anche ai concetti di forma, ritmo e interpretazione del
bipolarismo. Sulla scia di Nietzsche e Bergson, ha anticipato la fenomenologia esistenziale e sviluppato il concetto di logocentrismo nel 1920.
Fortemente influenzato dalla filosofia della vita di Nietzsche (Lebensphilosophie), ha portato l'insegnamento nietzscheano "alle sue conclusioni più
estreme." Il suo pensiero è esposto principalmente in Lo spirito come antagonista dell'anima (Als Geist der Seele Widersacher, 1929), forse il suo lavoro
più noto. Klages osserva e sostiene che lo spirito e l'iper-razionalismo uccidono il ritmo naturale della vita e dell'anima. Oppone così lo spirito alla vita e
presenta l'essere umano come il luogo di un conflitto tra queste due dimensioni. Per lui la corrente del Romanticismo è un rivincita della vita contro lo
Spirito. Tuttavia questo soprassalto è solo sintomo della vittoria totale dello Spirito che può portare alla distruzione della forza vitale. Questi concetti sono
stati ampiamente discussi in Germania nel periodo tra le due guerre, soprattutto all'interno dei circoli cosiddetti della rivoluzione conservatrice, assieme a
quelli di Kultur (cultura) e Zivilisation (civiltà), difficilmente traducibili in altre lingue.
Klages è anche uno dei principali precursori del movimento ecologista in Europa, in particolare con la sua conferenza tenuta presso l'Alta Meissner nel
1913, in un convegno dal titolo "L'uomo e la terra", dove egli profetizza e denuncia l'estinzione di gran parte delle specie animali, il saccheggio delle risorse
naturali, le devastazioni del turismo di massa e del progresso ("nient'altro che la negazione della vita"). Questo testo è stato riscoperto da correnti
ambientaliste tedesche, tra cui i Verdi nei primi anni 80, ed è uno dei primi manifesti di queste correnti politiche.
Alla sua morte, il filosofo tedesco Jürgen Habermas sosteneva che "i risultati [di Klages] di antropologia e filosofia del linguaggio" non dovrebbe "essere
nascosti dietro il velo della sua metafisica anti-intellettuale e della sua filosofia apocalittica storia ".
Ludwig Klages
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Ludwig Klages (Hannover, 10 dicembre 1872 – Kilchberg, 29 luglio 1956) è stato un filosofo tedesco.
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A Monaco incontra anche lo scrittore Karl Wolfskehl e il mistico Alfred Schuler, con il quale forma, assieme allo scrittore Ludwig Derleth, un gruppo noto
come circolo dei Cosmici nel quartiere di Schwäbing, a Monaco; circolo, a volte, associato anche al poeta Stefan George. Klages scrive un libro elogiativo
sulla poesia di George nel 1902. È in questo gruppo che avvicina alcuni dei temi che riprenderà e svilupperà in seguito, come una critica del mondo
moderno, in gran parte ispirata al romanticismo tedesco e ad autori del XIX secolo, come Nietzsche, Bergson, e soprattutto dopo Karl Wolfskehl, Johann
Jakob Bachofen (1815-1887), antropologo svizzero noto per il suo lavoro sulla società matriarcali.
Nel 1914, Klages, trasferitosi in Svizzera, si sostiene con i diritti dei suoi scritti e con le sue conferenze. Tornerà in Germania nel 1920, dove gli verrà
conferita nel 1932 la Medaglia Goethe per l'arte e la scienza. Verrà attaccato nel 1936 da parte delle autorità naziste per la sua mancanza di supporto al
regime; nel 1942, è soggetto a una campagna di denuncia violenta condotta contro di lui dai giornali tedeschi, in occasione del suo 70 ° compleanno. Sarà
invece onorato dal governo del dopoguerra, soprattutto per i suoi 80 anni, nel 1952.
Il suo lavoro è stato ampiamente discusso in Germania, dove ha rappresentato un punto di riferimento intellettuale essenziale. Al centro della riflessione di
scrittori come Benjamin o Hermann Hesse; presente nelle opere di Robert Musil (il personaggio di Meingast in L'uomo senza qualità) e Thomas
Mann. Cioran lo considerava un maestro.
Karl Wolfskehl, Alfred Schuler, Ludwig Klages, Stefan George & Albert Verwey (1902)
Klages ha creato una teoria completa di grafologia a cui il suo nome è indissolubilmente legato, come anche ai concetti di forma, ritmo e interpretazione del
bipolarismo. Sulla scia di Nietzsche e Bergson, ha anticipato la fenomenologia esistenziale e sviluppato il concetto di logocentrismo nel 1920.
Fortemente influenzato dalla filosofia della vita di Nietzsche (Lebensphilosophie), ha portato l'insegnamento nietzscheano "alle sue conclusioni più
estreme." Il suo pensiero è esposto principalmente in Lo spirito come antagonista dell'anima (Als Geist der Seele Widersacher, 1929), forse il suo lavoro
più noto. Klages osserva e sostiene che lo spirito e l'iper-razionalismo uccidono il ritmo naturale della vita e dell'anima. Oppone così lo spirito alla vita e
presenta l'essere umano come il luogo di un conflitto tra queste due dimensioni. Per lui la corrente del Romanticismo è un rivincita della vita contro lo
Spirito. Tuttavia questo soprassalto è solo sintomo della vittoria totale dello Spirito che può portare alla distruzione della forza vitale. Questi concetti sono
stati ampiamente discussi in Germania nel periodo tra le due guerre, soprattutto all'interno dei circoli cosiddetti della rivoluzione conservatrice, assieme a
quelli di Kultur (cultura) e Zivilisation (civiltà), difficilmente traducibili in altre lingue.
Klages è anche uno dei principali precursori del movimento ecologista in Europa, in particolare con la sua conferenza tenuta presso l'Alta Meissner nel
1913, in un convegno dal titolo "L'uomo e la terra", dove egli profetizza e denuncia l'estinzione di gran parte delle specie animali, il saccheggio delle risorse
naturali, le devastazioni del turismo di massa e del progresso ("nient'altro che la negazione della vita"). Questo testo è stato riscoperto da correnti
ambientaliste tedesche, tra cui i Verdi nei primi anni 80, ed è uno dei primi manifesti di queste correnti politiche.
Alla sua morte, il filosofo tedesco Jürgen Habermas sosteneva che "i risultati [di Klages] di antropologia e filosofia del linguaggio" non dovrebbe "essere
nascosti dietro il velo della sua metafisica anti-intellettuale e della sua filosofia apocalittica storia ".
Altri prog
Ludwig Klages
Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.
Ludwig Klages (Hannover, 10 dicembre 1872 – Kilchberg, 29 luglio 1956) è stato un filosofo tedesco.
Indice
1Vita
2Pensiero
3Altri progetti
4Collegamenti esterni
A Monaco incontra anche lo scrittore Karl Wolfskehl e il mistico Alfred Schuler, con il quale forma, assieme allo scrittore Ludwig Derleth, un gruppo noto
come circolo dei Cosmici nel quartiere di Schwäbing, a Monaco; circolo, a volte, associato anche al poeta Stefan George. Klages scrive un libro elogiativo
sulla poesia di George nel 1902. È in questo gruppo che avvicina alcuni dei temi che riprenderà e svilupperà in seguito, come una critica del mondo
moderno, in gran parte ispirata al romanticismo tedesco e ad autori del XIX secolo, come Nietzsche, Bergson, e soprattutto dopo Karl Wolfskehl, Johann
Jakob Bachofen (1815-1887), antropologo svizzero noto per il suo lavoro sulla società matriarcali.
Nel 1914, Klages, trasferitosi in Svizzera, si sostiene con i diritti dei suoi scritti e con le sue conferenze. Tornerà in Germania nel 1920, dove gli verrà
conferita nel 1932 la Medaglia Goethe per l'arte e la scienza. Verrà attaccato nel 1936 da parte delle autorità naziste per la sua mancanza di supporto al
regime; nel 1942, è soggetto a una campagna di denuncia violenta condotta contro di lui dai giornali tedeschi, in occasione del suo 70 ° compleanno. Sarà
invece onorato dal governo del dopoguerra, soprattutto per i suoi 80 anni, nel 1952.
Il suo lavoro è stato ampiamente discusso in Germania, dove ha rappresentato un punto di riferimento intellettuale essenziale. Al centro della riflessione di
scrittori come Benjamin o Hermann Hesse; presente nelle opere di Robert Musil (il personaggio di Meingast in L'uomo senza qualità) e Thomas
Mann. Cioran lo considerava un maestro.
Karl Wolfskehl, Alfred Schuler, Ludwig Klages, Stefan George & Albert Verwey (1902)
Klages ha creato una teoria completa di grafologia a cui il suo nome è indissolubilmente legato, come anche ai concetti di forma, ritmo e interpretazione del
bipolarismo. Sulla scia di Nietzsche e Bergson, ha anticipato la fenomenologia esistenziale e sviluppato il concetto di logocentrismo nel 1920.
Fortemente influenzato dalla filosofia della vita di Nietzsche (Lebensphilosophie), ha portato l'insegnamento nietzscheano "alle sue conclusioni più
estreme." Il suo pensiero è esposto principalmente in Lo spirito come antagonista dell'anima (Als Geist der Seele Widersacher, 1929), forse il suo lavoro
più noto. Klages osserva e sostiene che lo spirito e l'iper-razionalismo uccidono il ritmo naturale della vita e dell'anima. Oppone così lo spirito alla vita e
presenta l'essere umano come il luogo di un conflitto tra queste due dimensioni. Per lui la corrente del Romanticismo è un rivincita della vita contro lo
Spirito. Tuttavia questo soprassalto è solo sintomo della vittoria totale dello Spirito che può portare alla distruzione della forza vitale. Questi concetti sono
stati ampiamente discussi in Germania nel periodo tra le due guerre, soprattutto all'interno dei circoli cosiddetti della rivoluzione conservatrice, assieme a
quelli di Kultur (cultura) e Zivilisation (civiltà), difficilmente traducibili in altre lingue.
Klages è anche uno dei principali precursori del movimento ecologista in Europa, in particolare con la sua conferenza tenuta presso l'Alta Meissner nel
1913, in un convegno dal titolo "L'uomo e la terra", dove egli profetizza e denuncia l'estinzione di gran parte delle specie animali, il saccheggio delle risorse
naturali, le devastazioni del turismo di massa e del progresso ("nient'altro che la negazione della vita"). Questo testo è stato riscoperto da correnti
ambientaliste tedesche, tra cui i Verdi nei primi anni 80, ed è uno dei primi manifesti di queste correnti politiche.
Alla sua morte, il filosofo tedesco Jürgen Habermas sosteneva che "i risultati [di Klages] di antropologia e filosofia del linguaggio" non dovrebbe "essere
nascosti dietro il velo della sua metafisica anti-intellettuale e della sua filosofia.
___________________________________________Drumont______________________________________________________
La France Juive
Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.
La France Juive
Stato Francia
Lingua francese
Fondazione 1886
Sede Parigi
Tiratura 140
Caricatura di Edouard Drumont di Charles Léandre, in copertina del giornale Le Rire, 1898.
La France Juive, sottotitolato Essai d'histoire contemporaine (francese; La Francia giudaica - saggio di storia contemporaneaoppure La Francia
ebraica) è stato un pamphlet politico francese antisemita, fondato nel 1886 dal giornalista e polemicista Édouard Drumont edito a cura
dell'autore da Flammarion.[1][2]
Indice
1Contesto
2Pubblicazione e successo
3Temi
4Opera libraria precursore dell'antisemitismo contemporaneo
5Note
6Voci correlate
7Bibliografia e collegamenti esterni
Consiste in un lavoro di 1.200 pagine, pubblicato in due volumi, con una tiratura di 140 stampe nel corso dei due anni successivi alla sua pubblicazione
iniziale. Aveva la forma di « chronique scandaleuse » (cronache scandalose) col suo indice di più di 3 000 nomi di personalità ebree o aventi coltivato delle
relazioni con degli Ebrei[5], riscontrando un grande successo con 62 000 copie vendute il primo anno.[6] Un vero « best seller della fine del XIX secolo »
secondo la definizione di Léon Poliakov[7], viene poi ripubblicato nel 1888 in una versione economica condensata in un volume con 200 riedizioni fino al
1914.[8] Fa nascere infine un filone letterario con La Russie juive di Calixte de Wolski e L'Algérie juive di Georges Meynié nel 1887, seguiti da L'Autriche
juive di François Trocase nel 1900 e da L'Angleterre juive di Doedalus nel 1913.[9]
Il libro è stato ristampato dalla casa editrice Flammarion nel 1938, poi da Éditions du Trident nel 1986. Nel 2012 è stato ristampato dalla casa editrice
KontreKulture, gestito dal gruppo politico nazionalista Uguaglianza e Riconciliazione, la casa editrice del saggista Alain Soral.[10]
La France juive è diventato un grande successo e ha raggiunto grande fama. Il suo successo è dovuto in parte alla inclusione di un elenco di nomi di
personaggi famosi contro i quali l'autore ha fatto accuse nel libro. Molti acquirenti sono stati ispirati dalla curiosità di vedere se qualcuno di loro conoscenza
comparisse sulla lista.
Fino alla pubblicazione dei Protocolli dei Savi di Sion è il libro di riferimento dell'antisemitismo sul presunto complotto giudaico.[13]
Secondo l'autore, la finanza e il capitalismo sono nelle mani degli Ebrei e religiosi (in riferimento al popolo deicida).
La Lega internazionale contro il razzismo e l'antisemitismo ha chiesto rivolgendosi al tribunale la rimozione d'urgenza di alcuni passaggi in questo libro,
così come altri contenuti in altri opuscoli antisemiti ripubblicati da Alain Soral.[14] Il Procuratore della Repubblica ha ritenuto che la questione competa al
giudice di merito e non a una procedura d'urgenza.
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