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STRISCIA DI GAZA

operazione militare israeliana “Piombo Fuso”


27 dicembre 2008 - 18 gennaio 2009

NON C’E PACE SENZA GIUSTIZIA

Numero totale dei morti: 1.335


Morti tra i civili : 894
Morti tra i bambini : 400
Morti tra le donne: 111
Totale feriti: 5.000
Bambini feriti: 1.133
Donne ferite: 735

(fonte: dr. Barghouti e PCHR, Palestinian Centre Human Rights)


Dire la verità è denunciare l’Occupazione israeliana

Il recente massacro di Gaza ha riportato alla luce il lungo, sanguinoso conflitto israelo-palestinese e la
tragedia del popolo palestinese costretto a vivere in una condizione di assoluta precarietà, di continua
minaccia e di costante insicurezza a causa della pesante occupazione israeliana.
I media hanno mostrato le macerie della distruzione portata a Gaza dall’operazione militare “Piombo
fuso”: un paesaggio desolato, sconvolto dalle bombe che cadevano dal cielo, seguendo la bianca scia
del fosforo, un luogo sfigurato dove la vita si fermava con l’avanzare dei carri armati; un cumulo di detriti
e di cenere tra cui correvano donne, bambini, uomini sconvolti dalla paura, bruciando come torce; molte
persone immobili, a terra, coi corpi feriti e mutilati, a fianco di fratelli, madri, padri, figli, mariti, mogli,
morti.
Ma le parole dell’informazione sembravano voler smorzare la crudezza delle immagini, precisando
che Israele stava reagendo agli attacchi di Hamas, stava cioè difendendo la sua popolazione dal lancio
continuo di missili Kassam sulle sue città al confine con Gaza.
Ancora una volta la smisurata forza distruttiva di Israele passava in secondo piano e l’attacco militare
risuonava come espressione del suo diritto a difendersi da un nemico insidioso che colpisce la
popolazione civile, secondo la logica dl terrorismo.
Chi ha osato lasciar parlare le immagini della devastazione e del dolore, è stato accusato di irresponsabilità,
di dare un’informazione che fomentava l’odio e offuscava la capacità di ragionare “freddamente” sulle
cose.
Insomma, bisogna sì informare, ma senza dire che il conflitto israelo-palestinese è il conflitto tra un
paese occupante (Israele) e una popolazione occupata (i palestinesi), costretta a subire contini furti di
terra, a vivere accerchiata dai coloni che distruggono i campi dei contadini e spesso compiono incursioni
devastanti nei villaggi palestinesi, una popolazione assediata dai checkpoint dove file interminabili di
donne, di uomini, di bambini, di vecchi aspettano, ore e ore sotto il sole cocente o al freddo, di passare
per poter andare a lavorare i loro poveri campi inariditi dalla mancanza di acqua, la cui distribuzione è
controllata da Israele , per poter andare a scuola, per potersi recare all’ospedale a ricevere le cure di cui
hanno bisogno, per poter andare a trovare un parente.
Non si dice che Israele combatte per mantenere lo “status quo” della colonizzazione dellaCisgiordania,
che ha frantumato il territorio palestinese , rendendo di fatto impossibile quella continuità necessaria
per poter costituire un vero Stato che, altrimenti, non potrà essere altro che un insieme di bantustan
isolati, cui il Grande Israele, dispiegato ormai sul 90% dell’antica Palestina, concederà al massimo
un’autonomia amministrativa.
Non si dice che Israele, tra il 1948 e il 1967, si è preso più del 78% della terra e continua a occupare la
parte restante con nuovi insediamenti e l’ampliamento delle colonie esistenti.
Non si dice che lo stato di Israele nasce e sviluppa la sua politica di egemonia all’interno di una triplice
negazione:
• la negazione dell’esistenza di una comunità araba sulla terra della Palestina storica;
il Sionismo infatti perseguiva l’obiettivo di dare una patria agli ebrei della diaspora nella Terra
Promessa ai loro padri, partendo da questa premessa: “una terra senza popolo (la Palestina)
per un popolo (gli ebrei) senza terra”, come se l’unica comunità degna di essere chiamata
popolo fosse quella ebraica dispersa nel mondo;
• la negazione dell’identità culturale del popolo palestinese: i palestinesi non sono riconosciuti

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come un popolo con una sua cultura e una sua storia, ma trattati genericamente come arabi e
quindi destinati a vivere nei paesi arabi, in particolare in Giordania, che per molti sarebbe la
patria naturale dei palestinesi;
• negazione dell’umanità dei palestinesi: per molti israeliani, i palestinesi non sarebbero
esseri umani, ma belve sanguinarie, terroristi, che non hanno alcun rispetto per la vita, nem
meno per la loro, visto che trasformano i loro corpi in bombe; perfino le donne palestinesi non sa
rebbero madri normali perché non soffrirebbero per la morte dei loro figli, li lasciano andare a mo
rire e poi piangono i loro martiri.
E’ questa tremenda negazione che permette a Israele di non riconoscere ai palestinesi quei diritti umani
e politici che ha preteso per il popolo ebreo.
E’ questa tremenda negazione che ha permesso a Israele di svuotare di senso ogni negoziato di pace.
Negoziare la pace infatti non significa fare qualche concessione ai palestinesi, come ad esempio lo
smantellamento di qualche colonia per poi costruirne altre in un’ altra area della Cisgiordania, continuare
cioè a mantenere l’occupazione e nello stesso tempo pretendere dai palestinesi un totale asservimento
alle logiche israeliane; significa bensì ripristinare subito il diritto e la legalità e ciò esige:
- la fine dell’occupazione, cioè il ritiro completo dai territori della Cisgiordania,
- il riconoscimento del diritto al ritorno dei profughi, diritto che per Israele vale solo per gli ebrei.
In questo dossier abbiamo voluto dare spazio a voci diverse, voci che chiedono una pace nella giustizia,
l’unica vera pace che abbia la possibilità di durare; voci che respingono la perversa logica della simmetria
che pone sullo stesso piano soggetti imparagonabili; voci che parlano apertamente dell’occupazione,
dell’ asimmetria tra un “occupante”, responsabile di infiniti soprusi, che dispone di una forza militare
smisurata e di un “occupato” che resiste per cercare di spezzare le catene della sua oppressione.
“La mia comunità è cosciente dei risultati violenti dell’occupazione e della povertà e della disperazione
che ne derivano” – dice Yvonne, una “donna in nero” israeliana che si oppone alla politica di sopraffazione
del suo governo, segnando così la sua differenza, la differenza di chi riconosce il dolore e l’enorme
sofferenza della vittima di oggi, il popolo palestinese.
Di fronte alla mistificazione che trasforma la resistenza palestinese in terrorismo, Jeff Halper, membro
del Comitato israeliano contro la demolizione delle case palestinesi, ha il coraggio di dire che il
problema fondamentale è l’occupazione e il terrorismo di Stato israeliano, precisando che “il terrorismo
palestinese è un sintomo dell’oppressione” e che, senza un orizzonte politico in cui si riconosce il diritto
dei Palestinesi, la resistenza violenta non avrà mai fine.
Di fronte al ritornello sulla sicurezza, che presenta Israele come il paese minacciato e a rischio di
scomparsa, l’israeliano Uri Avnery, fondatore del blocco per la pace “Gush Shalom”, non esita a dire
che è Israele l’artefice della sua insicurezza e a precisare che “l’atto scellerato di chi lancia missili non
può essere paragonato alla pianificata aggressione di massa verso la popolazione palestinese”.
E poi la voce dei “refusenik”, militari dell’esercito israeliano che si rifiutano di prestare servizio nei Territori
occupati.
E ancora la voce di Nour, una ragazzina di Gaza che ci fa vedere il vero volto della guerra in questa sua
domanda piena di paura: ”Morirò anch’io?”
E lo sgomento di Raed, un palestinese di Nablus, di fronte al silenzio dell’Europa e del mondo, che
richiama l’antica saggezza di un proverbio arabo, ricordando a Israele che “se semini sangue, non
cresceranno le rose”.
E tante altre voci diverse che denunciano la menzogna e tracciano anche un vero percorso di pace,
basato sulla fine dell’occupazione.

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Abbiamo voluto completare questo dossier con una serie di dati e di mappe che, con l’asciuttezza
dei numeri e l’evidenza delle immagini, permettono di comprendere che cosa significa vivere sotto
occupazione.
Come Donne in Nero , è un nostro preciso dovere camminare a fianco di chi cerca una pace nella
giustizia .
In questo momento di grande dolore per le migliaia di morti, per i bambini uccisi , per i molti feriti costretti
a portare nei loro corpi i segni della devastazione, per i padri e le madri che hanno perso i figli, per i figli
che sono rimasti orfani, per la devastazione che ha distrutto case, scuole, ospedali, noi, Donne in Nero
di Milano, ripetiamo con forza le parole delle nostre sorelle israeliane, fondatrici della rete delle Donne
in Nero, che, nel 1988 , sono scese in piazza a Gerusalemme, per dire:
STOP ALL’OCCUPAZIONE
L’OCCUPAZIONE UCCIDE TUTTI, israeliani e palestinesi
NON VOGLIAMO ESSERE NEMICI
DUE POPOLI, DUE STATI.
Denunciando la violenza dell’esistente e la politica dei loro governi, hanno anche additato il cammino
verso il futuro che sarà possibile solo quando, nella restaurazione della giustizia e del diritto, due popoli,
palestinese e israeliano, cesseranno di essere nemici e potranno vivere insieme, l’uno accanto all’altro,
nel reciproco rispetto e in pace.

marzo 2009

DONNE IN NERO – MILANO -

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DONNE IN NERO, UNA RETE INTERNAZIONALE DI DONNE
CONTRO LA GUERRA

“Tra uccidere e morire esiste una terza via: vivere” [Christa Wolf]

Il movimento delle Donne in Nero, nato in Israele nel 1988, è presente ormai in diversi paesi del
mondo e si caratterizza attraverso una forte opposizione alla guerra e al militarismo.
In tutte le situazioni di conflitto che coinvolgono i propri governi, le Donne in Nero rifiutano la
folle logica delle armi e del nazionalismo, scegliendo di parlare in prima persona, di rinunciare
al ruolo di passività tradizionalmente loro imposto, assumendo una responsabilità individuale
di resistenza alla guerra e a tutto ciò che essa comporta in termini di distruzione, odio,
esclusione.
Al linguaggio violento dell’ideologia e della propaganda militarista, le Donne in Nero oppongono
una forma di comunicazione silenziosa, espressa attraverso il loro corpo, vestito di nero,
“esposto” sulle strade e sulle piazze.
Il nero, colore del lutto e della perdita, ma anche simbolo della vita che germoglia nel cuore
oscuro della terra e cresce nel buio del ventre materno, viene consapevolmente assunto come
strumento per denunciare il prevalere di una cultura di morte e per accendere una speranza di
futuro.

Le Donne in Nero

RIFIUTANO la logica della guerra, del militarismo e del nazionalismo,

SCELGONO di parlare in prima persona,

ASSUMONO la responsabilità individuale di resistenza alla guerra e al carico di odio e


di distruzione che essa porta con sé,

DICHIARANO nella compostezza e nell’intensità del linguaggio del silenzio, la loro


radicale estraneità ai clamori della propaganda di un paese in armi,

ESPONGONO i loro corpi agli sguardi degli altri per testimoniare la concretezza e
l’irriducibilità del loro NO deciso al militarismo e alla violenza,

VESTONO il nero come consapevole strumento di denuncia del prevalere di una


cultura di morte, ma anche come simbolo della vita che nasce nel cuore
buio della terra,

MANIFESTANO perché ogni guerra non venga rimossa o dimenticata, perché le prospettive
di pace non restino fragili ed incerte e milioni di donne e uomini, che
abitano le diverse aree geografiche del mondo, non siano sconfitti/e nelle
loro speranze di vita.

Donne in Nero - Milano - per contatti e informazioni: e-mail: marinella.sanvito@fastwebnet.it


www.donneinnero.it
www.womeninblack.org

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“La perdita di terra palestinese
dal 1946 al 2007”
legenda: in bianco la proprietà ebraica
(e dopo il 1948 controllata dallo Stato
d’Israele); in verde le zone palestinesi.

Dal 2000 a oggi vi sono state altre


espansioni delle colonie israeliane in
Cisgiordania e un peggioramento delle
possibilità di collegare le varie “enclave”
palestinesi della zona, a fronte della sola
restituzione delle colonie di Gaza (piccola
zona bianca a sud-ovest di Gaza nella
mappa del 2007).

1948 Partizione ONU


La creazione dello Stato d’Israele nel
1948 ha significato l’esilio forzato per
oltre 700 mila palestinesi.

1967 Territori occupati


Nel 1967, altri 500.000 palestinesi hanno
subito l’esilio forzato

2007 Bantustan palestinesi


Dal 1967, Israele ha costruito più di 200
insediamenti nei territori palestinesi.
La terra rimasta ai palestinesi non
ha né continuità territoriale né confini
internazionali.

GAZA: NON C’E’ PACE SENZA GIUSTIZIA


Presidio: Martedì, Mercoledì, Giovedì 3/4/5 febbraio 2009 - ore 18-19 - Milano, Piazza Cordusio/Via Mercanti

Da 61 anni Israele occupa illegalmente i Territori palestinesi, in spregio di tutte le risoluzioni


dell’Onu, “privando tre milioni e mezzo di persone dei diritti alla libertà di movimento, al lavoro,
alla salute e all’educazione” (Amnesty International, Sopravvivere sotto assedio. Violazione dei diritti
umani dei palestinesi nei Territori Occupati, Ega 2006)

*Quale tregua?
Il furore dell’attacco militare israeliano a Gaza è sospeso, ma la minaccia del ricorso alla violenza armata
permane. A pochi giorni dal “cessate il fuoco”, il ritiro è solo apparente e parziale; Israele continua di
fatto ad occupare Gaza: i suoi aerei controllano lo spazio, le sue navi pattugliano la costa, truppe di
terra occupano una zona all’interno della Striscia, i valichi d’ingresso rimangono chiusi dall’esercito che
continua a negare il passaggio perfino degli aiuti umanitari.
La tregua è già stata violata in diverse occasioni dall’esercito israeliano e altri abitanti di Gaza sono stati
uccisi o feriti.
Questa ennesima prova di forza si lascia alle spalle un cumulo di macerie, migliaia di case distrutte,
intere zone desertificate dall’opera dei tank e soprattutto 1335 morti, in maggioranza civili inermi, inclusi
400 bambini innocenti, oltre a più di 5000 feriti gravi.
Dietro la freddezza dei numeri e la desolazione dei cumuli di detriti, c’ è il dolore immenso di una
popolazione vittima di una feroce punizione collettiva, la disperazione delle madri e dei padri che hanno
perso i figli, il trauma devastante di bambini che hanno visto morire i loro genitori, crollare le loro case,
l’orrore di chi ha visto bruciare i corpi di amici e parenti, lo sgomento di chi si ritrova con un corpo ferito,
la rabbia di chi si sente colpito ingiustamente.
Di questo dolore immenso non si parla e tutto si giustifica in nome della sicurezza di Israele e del suo
diritto a difendersi.

*L’asimmetria politica tra uno Stato occupante e un popolo occupato


Si pretende che i palestinesi, un popolo senza Stato, diviso dal Muro, costretto a vivere in isole sigillate,
accerchiate dai coloni israeliani, separate dai chekpoint militari, assicurino la sicurezza di Israele,
prendendo le distanze da Hamas, mentre si lascia agire indiscriminatamente Israele, ignorando
l’asimmetria politica tra occupanti e occupati, dimenticando di dire che da 61 anni il popolo palestinese
è l’oppresso e lo Stato israeliano l’oppressore.
Non si dice che Israele occupa la Cisgiordania e continua ad insediare coloni all’interno dei territori
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palestinesi, violando le risoluzioni dell’Onu e la Convenzione di Ginevra; non si dice che ai palestinesi
resta solo il 22% della Palestina storica (la risoluzione 181 dell’Onu aveva loro assegnato il 42%), una
piccola porzione di territorio senza alcuna continuità perché interrotto dalle colonie, dai presidi militari,
dal muro, dalle autostrade percorribili solo dagli ebrei. Non si dice che questa situazione sul terreno,
creata appositamente dall’occupazione israeliana, rende impossibile la costituzione di un vero Stato
palestinese con una continuità territoriale e confini precisi.
Non si dice che la Striscia di Gaza, dopo lo smantellamento delle colonie, è stata trasformata in una
prigione a cielo aperto, assediata dall’esercito israeliano, dove sono rinchiusi un milione e mezzo di
persone, ridotte alla fame, costrette a vivere senza acqua, senza elettricità, senza medicine, senza
possibilità di uscire per curarsi, studiare, sfuggire agli attacchi militari.
E’ questo irresponsabile silenzio la grande menzogna che oscura la vera questione palestinese,
menzogna che alimenta la falsa coscienza di chi si sente autorizzato a trasformare tutti i palestinesi, che
non accettano il diktat israeliano, in nemici, disumanizzandoli come potenziali terroristi da fermare con
qualsiasi mezzo.

*Non c’ è pace senza giustizia


Alla manifestazione di Tel Aviv contro l’attacco militare a Gaza, uomini e donne di pace israeliani
hanno sfilato, pronunciando queste parole: “Vuoi fermare Hamas? Porta a Gaza la speranza, non la
guerra”.
Con questa ennesima prova di forza, che ha scatenato una violenza smisurata, Israele non solo non
porta la speranza, ma non protegge nemmeno la sua popolazione, si limita bensì ad aggredire il popolo
palestinese, a uccidere i suoi bambini, le sue donne, i civili inermi, e, così facendo, distrugge se stesso,
perché non c’è pace né sicurezza, senza il rispetto dell’altro, senza giustizia.
E la giustizia vuole che Israele riconosca al popolo palestinese quel diritto a vivere in sicurezza
che pretende per sé.
Ciò comporta:
• la fine dell’occupazione e lo smantellamento delle colonie in Cisgiordania
• la fine dell’assedio imposto a Gaza con l’apertura di tutti i valichi per poter rispondere
adeguatamente ai bisogni basilari della popolazione e iniziare la ricostruzione.
Ma la giustizia vuole anche che, dopo il massacro di Gaza:
• si istituisca una commissione indipendente per accertare gli eventuali crimini di guerra e
contro l’umanità commessi da Israele in seguito all’uso di armi non convenzionali
• si porti il Governo israeliano e l’establishment militare davanti ad un tribunale internazionale
che si pronuncerà sulle loro responsabilità.
Giustizia significa anche che:
• cessi ogni cooperazione militare con Israele da parte della Comunità internazionale.

A tutti coloro che si accontentano di una tregua senza la contemporanea riapertura di una prospettiva
politica che persegua la risoluzione del conflitto israelo-palestinese nel rispetto della giustizia, ricordiamo
che, se Hamas ha vinto, legittimamente, le elezioni nel 2006, è perché “i palestinesi hanno voluto punire
lo scacco politico di Fatah che, pretendendo di negoziare con Israele, non ha ottenuto nulla” (J.M. Muller,
portavoce nazionale del Mouvement pour une alternative non-violente) .
Non va dimenticato infatti che in tutti questi anni, grazie anche alla politica guerrafondaia di Bush e
all’afasia dell’Europa, non ci sono stati reali negoziati di pace.

Insieme alle nostre sorelle israeliane e palestinesi, noi Donne in Nero, guardiamo a un futuro di pace con
giustizia , facendo nostre le parole di Hanan Ashrawi, parlamentare palestinese, che dice che “La pace
è una parola che va riempita di contenuti”, mentre invita il suo popolo a percorrere la via della resistenza
non violenta. Ora, il primo contenuto della pace è quello che garantisce ad ogni popolo il diritto di vivere
con dignità, libero dalla paura, dalla miseria, dalla guerra.

Donne in Nero, Milano


(per informazioni:
marinella.sanvito@fastwebnet.it)
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I bambini di Rafah

di Samih Al-Qasim
(poeta palestinese, nato nel 1939, vive a Rama, in Galilea)

A colui che scava nella ferita di milioni la sua strada


A colui che sul carro armato schiaccia le rose del giardino
A colui che di notte sfonda le finestre delle case
A colui che incendia l’orto, l’ospedale e il museo
e poi canta sull’incendio.
A colui che scrive con il suo passo il lamento di madri
orfane di figli,
vigne spezzate.
A colui che condanna a morte la rondine della gioia
A colui che dall’aereo spazza via i sogni della giovinezza
A colui che frantuma l‘arcobaleno,
stanotte i bambini dalle radici tronche,
stanotte i bambini di Rafah proclamano:
noi non abbiamo tessuto coperte da una treccia di capelli
noi non abbiamo sputato sul viso della vittima
(dopo averle estratto i denti d’oro)
Perché ci strappi la dolcezza
e ci dai bombe?
E perché rendi orfani i figli degli arabi?
Mille volte grazie.
Il dolore con noi ha raggiunto l’età virile
e dobbiamo combattere.
Il sole sul pugnale di un conquistatore
era nudo corpo profanato
e prodigava silenzio sul rancore delle preghiere,
intorno facce stravolte.
Urla il soldato della leggenda:
“Non parlerete?
Bene! Coprifuoco tra un’ora”
E dalla voce di Alâ’uddîn esplode
la nascita dei guastatori bambini:
io ho buttato una pietra sulla jeep
io ho distribuito volantini
io ho dato il segnale
io ho ricamato lo stemma
portando la sedia
da un quartiere...a una casa...a un muro
io ho radunato i bambini

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e abbiamo giurato sulla migrazione dei profughi
di combattere
finché brillerà nella nostra strada il pugnale di un conquistatore.
(Alâ’uddîn non aveva ancora dieci anni)

(traduzione di Lucy Ladikoff)

da: Samih Al-Qasim, Versi in Galilea, a cura di W. Dahmash,


Edizioni Q, Roma 2008

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VOCI PALESTINESI

1. “Morirò anch’ io?”

Lettera di NOUR KHARMA , ragazza 14enne che vive a Gaza

Oggi, sono 2 settimane che dura quest’orribile guerra. Sabato scorso è stato il giorno peggiore.
Quando mi sono svegliata il mattino, uno dei miei amici ha chiamato. La sua voce mi è sembrata
strana quando gli ho detto: “Come stai?”
Ha risposto: “Sto bene, ma hai sentito altri amici?”
Avevo paura e gli ho domandato: “Cosa è successo?” . Mi ha detto che Christine era morta.
Ancora non lo posso credere.
Ho buttato il telefono per terra e ho cominciato a piangere.
Ho chiamato altri amici per essere sicura e tutti piangevano.
Christine è stata la mia amica da quasi 4 anni. Andavamo insieme a scuola e alla YMCA. Mi sento
triste. Ho paura. Sono preoccupata.
Lei è stata come una sorella.
Sento un grande dolore per lei e per la sua famiglia. I suoi genitori hanno fatto del loro meglio, ma non
è bastato e il risultato è stata la morte.
Cosa succederà, se i miei genitori non mi potessero proteggere e non potessero darmi il sostegno di
cui ho bisogno? Morirò anch’io?
Il mio futuro è stato distrutto.
Un razzo israeliano ha colpito la mia scuola qualche giorno fa e la scuola è stata totalmente distrutta.
Non riesco a capire perché bombardano luoghi religiosi e di istruzione, come moschee, scuole e
università.
Ad ogni esplosione sentiamo la nostra casa che trema e potrebbe essere distrutta – e la gente che ha
già perso la sua casa?
Sto piangendo la perdita di un’amica – e la gente che ha perso 5 o anche più parenti?
La depressione e la paura riempiono le nostre anime e circondano le nostre case.
Che succederà ora?
La cosa che voglio è che questa guerra finisca e che il popolo palestinese possa vivere come altri
popoli e i bambini palestinesi possano godere la loro infanzia come altri bambini del mondo.
Aiutateci perché siamo tutti esseri umani.

Potete mandare messaggi a: nirmeen.elsarraj@gmail.com

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2. LE PROSSIME GENERAZIONI DI OPPRESSI
Lettera aperta alle coscienze del mondo, da parte di un palestinese di Nablus

di Raed Debie

Sono le 17 in Palestina e Gaza, è l’undicesimo giorno di pesanti bombardamenti.Le notizie dalla striscia
mostrano che il numero dei morti è di 640 - dei quali 210 bambini e più di 100 donne- mentre il numero
dei feriti sfiora i 3000, la maggior parte donne, bambini e anziani.

Il principale visitatore a Gaza è la morte e le foto che arrivano dalla striscia ci ricordano le immagini di
Londra durante la seconda guerra mondiale. La striscia di Gaza vive in una profonda oscurità, tanto
quanto la coscienza del mondo intero sembra immersa in un coma profondo: non mi sono sorpreso
rispetto alla posizione Usa a sostegno dei crimini israeliani contro le nostre donne e i nostri bambini.

Le armi che uccidono i nostri bambini sono di fabbricazione americana, come lo sono i tank che radono
al suolo le nostre città. Tutte armi costruite grazie agli aiuti americani a Israele. E gli Usa sono anche
il più grande avvocato della causa d’Israele all’interno del Consiglio di sicurezza dell’Onu. Stati Uniti
e Israele condividono inoltre lo stesso amore per il controllo e gli spargimenti di sangue attraverso
l’occupazione di altre nazioni. Gli Usa occupano l’Iraq e l’Afghanistan, come Israele occupa la Palestina,
le fattorie di Sheeba nel sud del Libano e le alture del Golan in Siria. Di conseguenza, le dichiarazioni
americane, che giustificano il massacro di Gaza come un atto di autodifesa di Israele, non sorprendono
affatto i Palestinesi.

Quello che ci colpisce sono le parole dell’Unione Europea, del rappresentante di turno della Repubblica
Ceca, secondo cui Israele ha il diritto all’autodifesa. Penso che questa posizione negativa e inumana
rimarrà una macchia sulla politica internazionale europea e avrà un effetto negativo sulla credibilità
dell’U.E. come partner nel Quartetto* promotore di un processo di pace mai iniziato. Inoltre, rimarrà nella
nostra mente l’immagine di un’ Europa inerte di fronte all’ ignoranza, al sottosviluppo, all’oppressione e
al dominio che regnano in molte aree del mondo. Affermo questo perché mi sarei aspettato che l’Europa,
che ha vissuto un passato di sanguinosi conflitti, si schierasse dalla parte di coloro che lottano per la
libertà, dignità e indipendenza, come il popolo palestinese sotto occupazione israeliana da più di 60
anni. Credo che sia un diritto dei residenti israeliani del sud di Israele vivere in pace e senza la minaccia
continua dei razzi che minacciano quotidianamente la loro vita. Ma credo anche che l’uccisione di
donne e bambini nella Striscia di Gaza non fermerà il lancio di quei razzi. Ogni volta ci occupiamo della
superficie e dimentichiamo la sostanza della questione. Anche nel caso dell’aggressione alla Striscia
di Gaza, la comunità internazionale si sofferma sulla superficie, ignorando l’essenza della questione.
E l’essenza è che c’è un popolo che vive sotto occupazione da più di mezzo secolo, che merita
di vivere in pace e sicurezza come il resto delle persone nel mondo. Ha il diritto di svilupparsi
e sognare un futuro sicuro per le prossime generazioni. L’essenza, ancora, è che le violenze
dell’occupazione sono le maggiori istigatrici di violenza, perché l’occupazione è la peggiore tra
le forme di terrorismo. Di conseguenza, ogni giudizio sull’aggressione alla Striscia di Gaza, che non
tiene conto dell’occupazione, è scorretto; la fine dell’occupazione israeliana e la costituzione di uno
stato palestinese indipendente, che viva pacificamente accanto a Israele, rappresenta l’unica soluzione
al conflitto.

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Il massacro nella striscia di Gaza non ha fermato il lancio di razzi verso Israele, anzi, i razzi palestinesi,
durante l’aggressione, hanno raggiunto località più lontane. La domanda che vorrei porre alla coscienza
del “mondo libero” è questa: cosa direte di fronte al sangue e alle lacrime delle donne e dei bambini nella
Striscia? Cosa vi aspettate da bambini che crescono sotto i missili e i bombardamenti israeliani? Cosa vi
aspettate da bambini come Dalal Abu Aishy, a cui un razzo israeliano ha rubato tutta la famiglia? Cosa
farebbero gli europei se la loro terra fosse sotto occupazione, aspetterebbero o resisterebbero? Quando
gli Israeliani occuparono il sud del Libano, nel 1982, e assediarono Beirut, tutta la società palestinese
supportava Fatah *. Oggi, nel 2009, la scena è la stessa, ma le vittime e il luogo sono cambiati. Qualsiasi
sondaggio renderà manifesto l’odio verso Israele nel mondo arabo e mostrerà anche la dimensione
del consenso verso Hamas *. Questa è la più grande minaccia che Israele si trova a fronteggiare:
l’estremismo delle prossime generazioni di oppressi. C’è un proverbio arabo che dice “se semini
sangue non cresceranno rose”. Penso che Israele capisca molto bene questo proverbio perché
“seminare” missili non porterà sicurezza e la “coltivazione” di barriere non produrrà pace. La comunità
internazionale dovrebbe tornare a guardare alla sostanza e comprendere la storia dei bambini della
Palestina, quando in futuro diventeranno adulti e praticheranno il loro diritto di resistenza all’occupazione
della loro terra. I palestinesi vinceranno e questa aggressione non garantirà la sicurezza di Israele: solo
una giusta pace e un ritorno ai diritti umani porteranno sicurezza e stabilità.

08/01/2009
www.peacereporter.net

* Usa, Russia, Unione Europea e Onu (Quartetto) sostennero la Road Map nel 2002, un percorso di pace che
avrebbe dovuto portare a un assetto definitivo di Israele e Palestina, ma che non ebbe alcun seguito.

* al-Fatah: Movimento di Liberazione della Palestina, è l’organizzazione politica di ispirazione socialdemocratica


e laica, fondata da Arafat nel 1959.

* Hamas: Movimento di Resistenza Islamico, è un’organizzazione di ispirazione religiosa islamica, di carattere


politico e paramilitare, fondata nel 1987. Nel 2006 ha vinto le elezioni politiche nei Territori palestinesi occupati
da Israele.

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3. LA MORALE DEI CACCIA BOMBARDIERI

Lettera da Ramallah

di Mustafa Bargouti
ex ministro dell’informazione del Governo di Unità nazionale palestinese, parlamentare palestinese,
leader del partito Mubadara (L’Iniziativa), Segretario Generale di ‘Palestinian National Initiative’

E leggerò domani, sui vostri giornali, che a Gaza è finita la tregua. Non era un assedio dunque, ma una
forma di pace, quel campo di concentramento falciato dalla fame e dalla sete. E da cosa dipende la
differenza tra la pace e la guerra? Dalla ragioneria dei morti? E i bambini consumati dalla malnutrizione,
a quale conto si addebitano? Muore di guerra o di pace, chi muore perché manca l’elettricità in sala
operatoria? Si chiama pace quando mancano i missili - ma come si chiama, quando manca tutto il
resto?

E leggerò sui vostri giornali, domani, che tutto questo è solo un attacco preventivo, solo legittimo,
inviolabile diritto di autodifesa. La quarta potenza militare al mondo, i suoi muscoli nucleari contro
razzi di latta, e cartapesta e disperazione. E mi sarà precisato naturalmente, che no, questo non è un
attacco contro i civili - e d’altra parte, ma come potrebbe mai esserlo, se tre uomini che chiacchierano
di Palestina, qui all’angolo della strada, sono per le leggi israeliane un nucleo di resistenza, e dunque
un gruppo illegale, una forza combattente? - se nei documenti ufficiali siamo marchiati come entità
nemica e, senza più il minimo argine etico, il cancro di Israele? Se l’obiettivo è sradicare Hamas - tutto
questo rafforza Hamas. Arrivate a bordo dei caccia a esportare la retorica della democrazia, a bordo
dei caccia tornate poi a strangolare l’esercizio della democrazia - ma quale altra opzione rimane? Non
lasciate che vi esploda addosso improvvisa. Non è il fondamentalismo a essere bombardato in questo
momento, ma tutto quello che qui si oppone al fondamentalismo. Tutto quello che a questa ferocia
indistinta non restituisce gratuito un odio uguale e contrario, ma una parola scalza di dialogo, la lucidità
di ragionare, il coraggio di disertare - non è un attacco contro il terrorismo, questo, ma contro l’altra
Palestina, terza e diversa, mentre schiva missili stretta tra la complicità di Fatah e la miopia di Hamas.
Stava per assassinarmi per autodifesa, ho dovuto assassinarlo per autodifesa - la racconteranno così,
un giorno i sopravvissuti.

E leggerò sui vostri giornali, domani, che è impossibile qualsiasi processo di pace, gli israeliani,
purtroppo, non hanno qualcuno con cui parlare. E effettivamente - e ma come potrebbero mai averlo,
trincerati dietro otto metri di cemento di Muro? E soprattutto - perché mai dovrebbero averlo, se la Road
Map è solo l’ennesima arma di distrazione di massa per l’opinione pubblica internazionale? Quattro
pagine in cui a noi per esempio, si chiede di fermare gli attacchi terroristici, e in cambio, si dice, Israele
non intraprenderà alcuna azione che possa minare la fiducia tra le parti, come - testuale - gli attacchi
contro i civili. Assassinare civili non mina la fiducia, mina il diritto, è un crimine di guerra non una
questione di cortesia. E se Annapolis* è un processo di pace, mentre l’unica mappa che procede
qui sono intanto le terre confiscate, gli ulivi spianati, le case demolite, gli insediamenti allargati
- perché allora non è processo di pace la proposta saudita? La fine dell’occupazione, in cambio
del riconoscimento da parte di tutti gli stati arabi. Possiamo avere se non altro un segno di reazione?
Qualcuno, lì, per caso ascolta, dall’altro lato del Muro?

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Ma sto qui a raccontarvi vento. Perché leggerò solo un rigo domani, sui vostri giornali e solo domani,
poi leggerò solo, ancora, l’indifferenza. Ed è solo questo che sento, mentre gli F16 sorvolano la mia
solitudine, verso centinaia di danni collaterali che io conosco nome a nome, vita a vita - solo una
vertigine di infinito abbandono e smarrimento. Europei, americani e anche gli arabi - perché dove è finita
la sovranità egiziana, al varco di Rafah, la morale egiziana, al sigillo di Rafah? - siamo semplicemente
soli. Sfilate qui, delegazione dopo delegazione - e parlando, avrebbe detto Garcia Lorca, le parole
restano nell’aria, come sugheri sull’acqua. Offrite aiuti umanitari, ma non siamo mendicanti,
vogliamo dignità, libertà, frontiere aperte, non chiediamo favori, rivendichiamo diritti. E invece
arrivate, indignati e partecipi, domandate cosa potete fare per noi. Una scuola? Una clinica forse? Delle
borse di studio? E tentiamo ogni volta di convincervi - no, non la generosa solidarietà, insegnava
Bobbio, solo la severa giustizia - sanzioni, sanzioni contro Israele. Ma rispondete - e neutrali ogni
volta, e dunque partecipi dello squilibrio, partigiani dei vincitori - no, sarebbe antisemita. Ma chi
è più antisemita, chi ha viziato Israele passo a passo per sessant’anni, fino a sfigurarlo nel paese
più pericoloso al mondo per gli ebrei, o chi lo avverte che un Muro marca un ghetto da entrambi
i lati? Rileggere Hannah Arendt è forse antisemita, oggi che siamo noi palestinesi la sua schiuma della
terra, è antisemita tornare a illuminare le sue pagine sul potere e la violenza, sull’ultima razza soggetta
al colonialismo britannico, che sarebbero stati infine gli inglesi stessi? No, non è antisemitismo, ma
l’esatto opposto, sostenere i tanti israeliani che tentano di scampare a una nakbah (catastrofe) chiamata
sionismo. Perché non è un attacco contro il terrorismo, questo, ma contro l’altro Israele, terzo e diverso,
mentre schiva il pensiero unico stretto tra la complicità della sinistra e la miopia della destra.

So quello che leggerò, domani, sui vostri giornali. Ma nessuna autodifesa, nessuna esigenza di
sicurezza. Tutto questo si chiama solo apartheid - e genocidio. Perché non importa che le politiche
israeliane, tecnicamente, calzino oppure no al millimetro le definizioni delicatamente cesellate dal diritto
internazionale, il suo aristocratico formalismo, la sua pretesa oggettività non sono che l’ennesimo
collateralismo, qui, che asseconda e moltiplica la forza dei vincitori. La benzina di questi aerei è la vostra
neutralità, è il vostro silenzio, il suono di queste esplosioni. Qualcuno si sentì berlinese, davanti a un
altro Muro. Quanti altri morti, per sentirvi cittadini di Gaza?

pubblicata da “il Manifesto” il 31.12.2008

* DA ANNAPOLIS, E’ PASSATO UN ANNO


di Mustafa Barghouti* - Ma’an News, 27 novembre 2008

Annapolis ha portato la pace? Da Annapolis, gli attacchi israeliani sono triplicati, l’ampliamento delle colonie
in Cisgiordania è aumentato di 20 volte (a Gerusalemme, di 38); i posti di blocco sono passati da 521 a 699, e
continua la costruzione del Muro. Non vi sono stati negoziati.

La conferenza di Annapolis è stata inutile; l’anno trascorso lo dimostra.


La conferenza di Annapolis è stata un negoziato a senso unico; gli sforzi sono stati solo sul lato
palestinese. Gli israeliani non hanno negoziato: hanno imposto le loro realtà sul terreno.
A un anno da Annapolis, i “fatti sul terreno” sono questi:

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• dall’inizio dei colloqui, in Palestina sono stati compiuti 3.063 attacchi: 1.700 in Cisgiordania,
1.363 a Gaza;
• sono stati uccisi 543 palestinesi: 65 in Cisgiordania, 478 a Gaza., 71 erano minorenni;
• sono stati feriti 2.362 palestinesi: 1.125 in Cisgiordania, 1.237 a Gaza; 138 dei feriti sono
minorenni.
• sono stati liberati 770 prigionieri palestinesi; Israele, nel frattempo, ne ha incarcerati altri 4.945.
Di questi, 4.351 provengono dalla Cisgiordania, 574 da Gaza, e 351 sono minorenni.
Si stima che vi siano, attualmente, 10.500 palestinesi nelle carceri israeliane.

Gaza
Dall’inizio dell’assedio a Gaza, nel 2006, sono morti più di 260 pazienti: gli ospedali hanno finito il
materiale, ed è vietato il trattamento fuori dalla Striscia. Per il blocco, a Gaza sono già esauriti 160 tipi
di farmaci; stanno per terminare le scorte di altri 130, mentre almeno 90 strumenti, fra cui 31 apparecchi
per la dialisi, sono fuori uso.
Gaza è ora chiusa da 23 giorni consecutivi; nel nord dell’area vi è pericolo imminente di allagamenti
fognari. Se non si prendono provvedimenti al più presto, si verificherà un’enorme crisi sanitaria.

Aumentano gli ostacoli agli spostamenti


Dall’inizio dei colloqui di Annapolis, i posti di blocco sono passati da 521 a 699. Almeno 30
persone, fra le quali alcuni bambini, sono morte a un posto di blocco, in Cisgiordania o a Gaza. Il 74%
delle strade principali, in Cisgiordania, sono o controllate da posti di blocco, o totalmente chiuse. Nel
settembre 2008, il numero medio di posti di blocco volanti, posti a caso in Cisgiordania nel corso di una
settimana, è stato pari a 89.

È aumentata l’attività delle colonie

Sono attualmente in costruzione 2.600 abitazioni per coloni; di queste, il 55%, sul lato est del Muro.
Nel 2008, i bandi edilizi nelle colonie sono incrementati del 550%.
Oggi vi sono 121 colonie e 102 avamposti israeliani in Cisgiordania, in cui risiedono 462.000
coloni.
Le colonie sono costruite su meno dello 1,5% del territorio palestinese, ma, per l’ampia infrastruttura, ne
occupano più del 40%. In agosto, il governo israeliano ha autorizzato in via preliminare la nuova colonia
illegale di Maskiot, nella Valle del Giordano.
A Gerusalemme sono attualmente in corso espulsioni dalle case. La famiglia Al Kurd, vissuta nella propria
casa a Sheikh Jarrah per 50 anni, è stata cacciata violentemente dall’esercito israeliano il 9 novembre.
Sono sopravvissuti per due settimane in una tenda senz’acqua, senza riscaldamento e senza elettricità.
Lo scorso fine settimana, Abu Kamal, padre di 5 figli, è deceduto. Soffriva di diabete, e le sue condizioni
di salute erano peggiorate, per essere stato espulso dalla propria casa.

Permane la politica israeliana di apartheid


La quantità di acqua per il consumo palestinese è pari a 132 milioni di metri cubi; per gli israeliani, di 800

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milioni di metri cubi. Il consumo di acqua da parte dei palestinesi è di 60 litri pro capite al dì (la quantità
raccomandata dall’OMS è di 100 litri/dì); gli israeliani ne utilizzano 220 litri/dì. I palestinesi pagano 5
shekel per unità di acqua e 13 per unità di elettricità; gli israeliani rispettivamente 2,4 e 6,3 shekel.

Continua la costruzione del Muro


Del Muro sono stati costruiti 409 km (il 57%); 66 km (il 9%) sono in via di costruzione. Quando sarà
completato, sarà lungo in totale 723 km, il doppio della Linea Verde. Il 14% del Muro sarà sulla Linea
Verde, lo 86% all’interno della Cisgiordania.

Ai palestinesi è necessario essere uniti


Israele cerca di venderci un Paese senza una capitale, infiltrato da colonie, con la più grande prigione
a cielo aperto – Gaza – a cui sono inflitti quotidianamente crimini di guerra, e in cui i profughi non
hanno diritto di tornare. Se non facciamo attenzione al crescere del divario fra Cisgiordania, Gaza e
Gerusalemme Est, e accettiamo le differenze fra queste zone, Israele – e solo Israele – avrà raggiunto
i propri scopi.
Il Piano palestinese di azione deve comprendere:
1. La fine degli attuali negoziati, e la sospensione, da parte di Israele, di tutte le attività delle
colonie
2. L’istituzione di una leadership palestinese unitaria
3. La fine immediate dei conflitti interni fra palestinesi
4. Il ritorno all’iniziativa di pace araba (ritiro di Israele entro i confini del 1967, soluzione del
problema dei profughi, riconoscimento di Israele da parte di tutti i paesi arabi) e la convocazione
di una conferenza di pace internazionale.
Che terminino i conflitti e le segregazioni: dobbiamo tornare ad essere uniti, in ogni senso del termine!
Altrimenti, Israele otterrà lo scopo di trasformare l’Autorità Palestinese in un suo corpo di polizia, e nel
governo di bantustan.

* Segretario Generale di “Palestinian National Iniziative”


testo inglese: vedere http://www.maannews.net/en/index.php?opr=ShowDetails -
Traduzione: Paola Canarutto

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APPELLO - Call for action

Mustafa Barghouthi

Segretario Generale di ‘Palestinian National Initiative’ - PNI

24 gennaio 2009

A pochi giorni dal cessate il fuoco unilaterale proclamato da Hamas ed Israele, la popolazione di Gaza
si sta accorgendo del livello di distruzione che ha colpito le loro case e le loro vite. 1335 abitanti di Gaza
sono stati uccisi; in maggioranza civili, inclusi 400 bambini innocenti, mentre 5000 sono i feriti gravi.

Oggi chiediamo ai nostri amici, colleghi, e a tutti coloro che hanno a cuore valori quali la libertà e il
rispetto dei diritti umani, di agire con decisione per raggiungere i seguenti obbiettivi:

1) Porre fine all’occupazione Israeliana sia a Gaza che in Cisgiordania.

Il Governo Israeliano afferma di aver ritirato il suo esercito da Gaza. Ma si tratta di una bugia. Israele
occupa a tutt’oggi la Striscia, i suoi aerei controllano lo spazio aereo e le sue navi pattugliano la costa.
Le stesse truppe di terra occupano una zona all’interno del territorio di Gaza, e i valichi di ingresso
sono ancora chiusi dall’esercito che non ne consente l’apertura nemmeno per il passaggio degli aiuti
umanitari. L’esercito israeliano ha già violato il cessate il fuoco in numerose occasioni. Solo ieri una
nave militare ha colpito 5 pescatori palestinesi che si trovavano a pescare sulla spiaggia, da quando è
stato dichiarato il cessate il fuoco, un consistente numero di abitanti di Gaza sono stati uccisi o feriti.

2) Rimuovere l’assedio inumano imposto a Gaza, aprendo tutti i valichi, incluso quello di Rafah.

Se i valichi rimangono chiusi sarà impossibile rispondere anche soltanto alle più basilari esigenze
umanitarie, per non parlare della ricostruzione delle 25000 abitazioni danneggiate nei bombardamenti e
della riparazione delle infrastrutture.
I cancelli della ‘Prigione di Gaza’, che ospita 1milione e mezzo di persone devono essere aperti se
esiste il minimo rispetto e volontà di alleviare la sofferenza dei suoi abitanti.

3) Creare una commissione indipendente per investigare gli eventuali crimini di Guerra e contro
l’Umanità commessi da Israele, incluso l’uso di armi non convenzionali.

4) Portare il Governo Israeliano e l’establishment militare davanti ad un tribunale di guerra.

Benché Israele abbia dimostrato in passato di avere scarso rispetto per il Diritto Internazionale, altri paesi
suoi alleati non dovrebbero dimenticare le loro responsabilità di fronte alle corti criminali internazionali.
Questo significa agire contro i responsabili delle politiche israeliane che cerchino di recarsi all’estero,
avviando procedimenti penali contro questi ultimi per i gravi atti da loro compiuti a Gaza .

5) Cessare immediatamente ogni forma di cooperazione militare con Israele, includendo


l’immediata cancellazione di qualsiasi operazione di import/export militare che veda coinvolto

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Israele.

Dovrebbe essere immediatamente chiarito agli alleati politici ed economici dello Stato di Israele che la
loro assistenza viene utilizzata per sostenere l’oppressione del popolo Palestinese in contrasto con il
diritto internazionale e gli stessi diritti umani. Se il supporto da parte dei partner stranieri proseguirà,
crediamo che Israele non avrà alcuna ragione per porre fine ai suoi comportamenti criminali.

6) Immediata sospensione dei rapporti privilegiati con Israele, incluso il potenziamento delle sue
relazioni con l’Unione Europea.

Né i Palestinesi né gli Europei possono riportare in vita i 1335 uomini, donne e bambini uccisi. Né è
possibile riparare totalmente i danni provocati all’economia di Gaza.

Ma insieme possiamo prevenire futuri crimini di guerra e fermare la follia militarista di Israele.

Ancora più importante è che possiamo ridare fiducia nell’umanità ad una popolazione, quella palestinese,
che negli ultimi anni è stata abituata alla perpetrazione degli abusi e dei più orribili delitti, mentre il
mondo rimaneva passivamente a guardare.

A nome della Palestinian National Initiative


E del Palestinian National Committee to Support Gaza

Dr. Mustafa Barghouthi


Segretario Generale

Per ulteriori informazioni contattare il Dr. Mustafa Barghouthi Secretary General PNI
Mustafa@hdip.org <mailto:Mustafa@hdip.org>
[Traduzione a cura di Giulio Di Blasi]

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4. CHE COSA HA FATTO ISRAELE ? *

di Edward W. Said

(1935-2003 – palestinese, nato a Gerusalemme e cresciuto a Il Cairo, critico letterario, è stato uno degli
intelletuali più in vista negli Stati Uniti, professore di Letteratura comparata alla Columbia University di New
York)

Articolo scritto nell’aprile 2002, dopo il massacro compiuto da Israele a Jenin (Cisgiordania), tragicamente
attuale nella descrizione della violenza e dell’impunità di Israele.

Nonostante i tentativi di Israele di limitare la copertura mediatica della sua invasione devastante delle
città e dei campi profughi palestinesi in Cisgiordania, informazioni e immagini sono ugualmente circolate.
Centinaia di testimonianze dirette, verbali e visive, sono state diffuse via Internet, ma sono comparse
anche nelle tV arabe ed europee, mentre non sono state diffuse dai media americani principali, che le
hanno bloccate o hanno fatto come se non esistessero. Questa è una dimostrazione impressionante
dello stato reale (lo stesso che in passato) della campagna di Israele: il controllo irreversibile del suolo
e della società palestinesi. La versione ufficiale (sostanzialmente confermata dagli Stati Uniti e da
quasi tutti gli opinionisti del paese) è che Israele si è difeso, reagendo agli attentati suicidi che
compromettono la sua sicurezza e minacciano la sua stessa esistenza. Questa linea è assurta a
verità assoluta, non temperata né da ciò che Israele ha fatto né da quello che ha davvero subìto.
“Smantellare la rete terroristica”, “distruggere l’infrastruttura del terrore, “attaccare i covi dei terroristi” (si
noti il carattere disumanizzante di queste frasi): simili slogan sono stati ripetuti così spesso che hanno
conferito a Israele il diritto di fare ciò che vuole, ovvero, in sostanza, di distruggere la vita civile
palestinese, causando tutti i danni, le distruzioni gratuite, le morti, le umiliazioni, praticando tutti
i vandalismi ed esercitando tutta la violenza tecnologica insensata e schiacciante di cui è capace.
Nessun altro Stato sulla faccia della terra avrebbe potuto fare altrettanto con un’approvazione e un
sostegno simili a quelli che l’America ha garantito a Israele. Nessun paese è mai stato più intransigente
e distruttivo e più dimentico della sua stessa realtà.
Vi sono segni però che queste giustificazioni sorprendenti, per non dire grottesche (“la lotta per l’esistenza”
di Israele) vengono lentamente erose dalla dura realtà delle devastazioni quasi inimmaginabili provocate
dallo stato ebraico e dal suo primo ministro assassino Ariel Sharon. Prendiamo per esempio un articolo
di Serge Schmemann (che non si può certo definire un propagandista palestinese) apparso l’ 11 aprile
sulla prima pagina del New York Times, intitolato “Gli attacchi riducono in cenere e lamiere contorte i
piani palestinesi”: “Non c’è modo di misurare l’entità reale dei danni inflitti alle città e agli altri centri –
Ramallah, Betlemme, Tulkarem, Qalqilya, Nabllus e Jenin – finché rimangono strettamente sotto assedio,
con pattuglie e cecchini che sparano per le strade. Si può dire però con certezza che l’infrastruttura
della vita stessa, nonché di qualsiasi futuro stato palestinese – le strade, le scuole, i pali della luce,
le condutture dell’acqua, le linee telefoniche – ne esce devastata”. Quale calcolo inumano ha spinto
l’esercito ad assediare per più di una settimana, con cinquanta carri armati, duecentocinquanta lanci di
missili al giorno e decine di incursioni degli F-16, il campo profughi di Jenin, un chilometro quadrato di
tuguri con quindicimila abitanti e una manciata di uomini armati di fucili automatici, ma senza alcun tipo
di difesa, senza leader, senza missili, senza carri armati, senza nulla, presentando l’impresa come una
risposta alla violenza terroristica e alle minacce per la sopravvivenza di Israele? I civili palestinesi,
uomini, donne, bambini, si possono dunque uccidere e attaccare a migliaia senza che nessuno

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provi compassione o parli in loro difesa, come fossero ratti o scarafaggi? E che dire del sequestro
di migliaia di uomini palestinesi prelevati dai soldati israeliani e di cui non si ha notizia? Dello stato di
miseria di tante persone comuni rimaste senza tetto, che cercano di sopravvivere tra le rovine
create dai bulldozer israeliani in tutta la Cisgiordania? Di un assedio che va avanti da mesi,
del taglio dell’elettricità e dell’acqua a tutti i centri palestinesi, dei lunghi giorni di coprifuoco
totale, della penuria di alimenti e farmaci, dei feiriti lasciati morire dissanguati, degli attacchi
sistematici alle ambulanze e ai soccorritori, denunciati con indignazione anche da un uomo dai toni
blandi come Kofi Annan? Queste azioni non finiranno facilmente nel dimenticatoio. Gli amici di Israele
devono chiedergli in che modo la sua politica suicida possa mai garantirgli pace, accettazione,
sicurezza.
Grazie alla trasformazione mostruosa di un intero popolo in un’accozzaglia di “militanti” e “terroristi”
per opera dell’apparato propagandistico più imponente e temuto del mondo, non solo i militari di
Israele, ma anche le legioni dei suoi scrittori e paladini hanno potuto cancellare una storia terribile di
sofferenze e soprusi allo scopo di distruggere impunemente l’esistenza civile del popolo palestinese.
Sono così scomparsi dalla memoria pubblica la distruzione della società palestinese nel 1948 e
la creazione di una popolazione di profughi; la conquista della Cisgiordania e di Gaza e la loro
occupazione militare a partire dal 1967; l’invasione del 1982, con i suoi 17.500 morti libanesi e
palestinesi e i massacri di Sabra e Chatila; l’assalto incessante alle scuole palestinesi, ai campi
profughi, agli ospedali e a ogni tipo di struttura civile. Che utilità può avere contro il terrorismo
la distruzione della sede e la rimozione degli archivi del Ministero dell’Istruzione, del comune
di Ramallah, dell’Ufficio centrale di statistica, di istituti che si occupano di diritti civili, sanità,
sviluppo economico, di ospedali, di stazioni radiofoniche e televisive? Non è forse chiaro che
Sharon mira non solo a “spezzare” i palestinesi, ma proprio a tentare di eliminarli in quanto
popolo dotato di istituzioni nazionali?
In una simile situazione di disparità e di potenza asimmetrica sembra folle continuare a chiedere
ai palestinesi – che non hanno esercito, aerei, carri armati, né alcun tipo di difesa e nemmeno una
leadership efficiente – di “rinunciare” alla violenza, mentre non si impongono limitazioni analoghe alle
azioni di Israele. Perfino la questione degli attentati suicidi, a cui sono sempre stato contrario, non
può essere esaminata con criteri velatamente razzisti che attribuiscono alle vite israeliane un valore
maggiore che alle vite palestinesi, assai più numerose, perdute, mutilate, storpiate e accorciate a causa
dell’annosa occupazione militare israeliana e della barbarie sistematica praticata da Sharon contro i
palestinesi dall’iinizio della sua carriera, negli anni cinquanta, fino a ora.
A mio parere non è concepibile una pace che non affronti la vera questione, cioè il rifiuto di
Israele di accettare l’esistenza sovrana di un popolo palestinese cui spettano diritti su quella
che Sharon e la maggior parte dei suoi seguaci vedono solo ed esclusivamente come la terra
del Grande Israele, ovvero la Cisgiordania e Gaza. Un profilo di Sharon apparso il 6-7 aprile 2002
sul Financial Times si concludeva con una citazione molto illuminante dalla sua autobiografia, introdotta
dalla rivista con la frase: “Ha scritto con orgoglio della convinzione dei suoi genitori che ebrei e arabi
potessero vivere fianco a fianco”. Ed ecco il passo del libro di Sharon: “Ma non avevano alcun dubbio
che quella terra spettasse di diritto soltanto a loro. E nessuno li avrebbe scacciati di lì, con il terrore o con
altri mezzi. Quando la terra ti appartiene materialmente...allora hai tu il potere, non solo concretamente,
ma anche dal punto di vista spirituale”.
Nel 1988 l’OLP fece una concessione, ammettendo la possibilità di una divisione della Palestina
storica in due stati. Questa posizione è stata ribadita più volte, anche nei documenti di Oslo.

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Ma solo i palestinesi hanno riconosciuto esplicitamente l’idea della divisione: Israele non lo ha
mai fatto. Ecco perché ora ci sono più di 170 colonie sul suolo palestinese, perché esiste una
rete stradale di oltre 450 chilometri che le collega tra loro e impedisce totalmente i movimenti
ai palestinesi (secondo il Comitato israeliano contro la demolizione delle case di Jeff Halper,
questa rete costa tre miliardi di dollari ed è stata finanziata dagli Stati Uniti); mai concesso ai
palestinesi una sovranità reale e, naturalmente, perché gli insediamenti sono aumentati ogni
anno. Una semplice occhiata a una carta recente dei territori rivela quello che Israele ha continuato
a fare durante il processo di pace e ne mostra anche le conseguenze: la discontinuità geografica e
la contrazione della vita palestinese. In realtà, insomma, Israele considera lo stato e il popolo ebraici
come gli unici proprietari della terra di Israele nella sua totalità: leggi sul diritto di proprietà del paese lo
sanciscono, ma in Cisgiordania e a Gaza la rete di insediamenti e di strade da una parte e l’assenza di
concessioni ai palestinesi in materia di diritto sovrano sulla terra dall’altra assolvono questa funzione.
Quello che lascia esterrefatti è che nessuna figura pubblica – americana, palestinese, araba, delle
Nazioni Unite, europea – abbia mai chiesto ufficialmente a Israele di rispondere su questo punto,
peraltro sempre implicito nei vari documenti, procedimenti e accordi di Oslo. Ed è naturalmente per
questo motivo che dopo quasi dieci anni di “negoziati di pace” Israele ha ancora il controllo della
Giordania e di Gaza. Oggi queste terre sono saldamente nelle mani di oltre mille carri armati e migliaia
di soldati israeliani, ma il principio di base è lo stesso. Nessun leader israeliano (certo non Sharon
né i suoi sostenitori di Eretz Israel –Grande Israele – che formano la maggioranza del suo governo) ha
riconosciuto ufficialmente che i territori occupati sono occupati, o tanto meno ammesso che i
palestinesi potrebbero in teoria avere diritti sovrani, ovvero fare a meno del controllo israeliano
sui confini, sull’acqua, sull’aria e sulla sicurezza in quello che agli occhi della maggior parte
del mondo è territorio palestinese. Perciò parlare di uno stato palestinese – per quanto sia di
moda – sarà sempre illusorio, a meno che il governo israeliano non riconosca ufficialmente
le questioni della proprietà della terra e della sovranità. Finora ciò non è accaduto e mi pare
difficile che avvenga in un futuro prossimo. Bisogna ricordare che Israele è oggi l’unico stato
al mondo che non ha mai avuto confini dichiarati a livello internazionale; l’unico stato che non
appartiene ai propri cittadini, ma all’intero popolo ebraico; l’unico stato in cui più del 90% della
terra è riservato all’uso esclusivo del popolo ebraico. Il fatto che sia anche l’unico stato al mondo
che non ha mai riconosciuto le norme principali del diritto internazionale (come ha osservato
di recente Richard Falk) è un’indicazione della profondità e della difficoltà strutturale della negatività
assoluta che i palestinesi hanno dovuto affrontare.
Ecco perché mi sono mostrato scettico verso le discussioni e gli incontri sulla pace, una parola
molto bella che però allo stato attuale significa solo che i palestinesi devono smettere di opporre
resistenza al controllo di Israele sulla loro terra. Uno dei tanti difetti della pessima leadership di Arafat
(per non parlare dei leader arabi, in generale ancora più deplorevoli) sta proprio nel fatto che nei dieci
anni di negoziati di Oslo lui non ha mai richiamato l’attenzione sulla proprietà della terra, imponendo
a Israele l’onere di dichiararsi disponibile a rinunciare ai diritti sul suolo palestinese, né ha mai chiesto
che Israele affrontasse almeno una parte della sua responsabilità per le sofferenze del popolo da lui
guidato. Ora temo che Arafat cerchi semplicemente di salvare se stesso ancora una volta, mentre in
realtà abbiamo bisogno di osservatori internazionali che ci proteggano e di nuove elezioni, in modo da
assicurare un futuro politico reale al popolo palestinese.
Il problema d fondo che Israele e il suo popolo devono affrontare è questo: il paese è disposto sul piano
giuridico ad assumere i diritti e gli obblighi che valgono per tutti gli altri e a promettere di rinunciare alle

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impossibili rivendicazioni di proprietà per cui Sharon, i suoi genitori e i suoi soldati hanno combattuto
sin dal primo giorno? Nel 1948 i palestinesi persero il 78% della Palestina e nel 1967 persero il
restante 22%, entrambe le volte a favore di Israele. Ora la comunità internazionale deve imporre
a Israele l’obbligo di accettare il principio della divisione reale – e non fittizia – e quello della
limitazione delle pretese extraterritoriali ingiustificabili, che avanza su assurde basi bibliche
appoggiandosi a leggi che finora gli hanno permesso di calpestare un altro popolo. Perché questo
tipo di fondamentalismo viene tollerato senza contestazione? Fino a questo momento sentiamo
dire soltanto che i palestinesi devono rinunciare alla violenza e condannare il terrorismo.
A Israele dunque non si domanda mai nulla di essenziale? Può continuare sempre allo stesso
modo senza preoccuparsi di alcuna conseguenza? Questa è la vera questione della sua esistenza:
potrà essere uno stato come un altro o dovrà rimanere sempre al di sopra dei vincoli e dei doveri
che valgono oggi per tutti gli altri stati del Mondo? Le prove che ha dato di sé fino a oggi non
sono rassicuranti.

(* in: E.W.Said, La pace possibile, pag. 2001-2006, ed. Il Saggiatore, Milano 2005)

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VOCI ISRAELIANE CONTRO L’OCCUPAZIONE

1. MARCIA DEI FOLLI - LA SCHIZOFRENIA DI ISRAELE TRA LE MACERIE DELLA STRISCIA

di Uri Avnery

(giornalista israeliano, fondatore del movimento “Gush Shalom – Blocco della Pace” – zoccolo duro del
pacifismo israeliano).

Prima di demonizzarlo e bombardarlo a Gaza, Hamas è stato appoggiato da Tel Aviv, per contrastare l’Olp*. E
con i raid di oggi, lo Stato ebraico non farà altro che rafforzare il movimento islamico

Appena dopo la mezzanotte, l’emittente araba di Al Jazeera stava trasmettendo le notizie degli eventi
di Gaza. Improvvisamente la telecamera ha inquadrato in alto, verso il cielo scuro. Lo schermo era nero
fondo, non si riusciva a distinguere niente. Ma c’era un suono che si poteva sentire: il rumore degli aerei
da guerra, uno spaventoso, terrificante boato. Era impossibile non pensare alle decine di migliaia di
bambini di Gaza che stavano sentendo, nello stesso momento, quel suono, paralizzati dalla paura, in
attesa delle bombe dal cielo.
«Israele deve difendersi dai razzi che stanno terrorizzando le nostre città del sud», ha spiegato il
portavoce israeliano. «I palestinesi devono rispondere alle uccisioni dei loro combattenti nella Striscia
di Gaza», ha dichiarato il portavoce di Hamas. Per essere esatti, nessun cessate il fuoco è stato
interrotto, perché nessun cessate il fuoco era mai iniziato. Il requisito principale di ogni cessate
il fuoco nella Striscia di Gaza deve essere l’apertura dei passaggi. Non ci può essere vita a Gaza
senza un flusso costante di rifornimenti. Ma le frontiere non sono state aperte, se non poche ore
ogni tanto. Bloccare un milione e mezzo di esseri umani per via di terra, mare e aria è un atto
di guerra, esattamente come il lancio delle bombe o dei razzi. Paralizza la vita nella Striscia di
Gaza: elimina gran parte delle fonti che creano occupazione, porta centinaia di migliaia al limite
della morte di fame, blocca il funzionamento della maggior parte degli ospedali, distrugge la
distribuzione di elettricità e d’acqua.
Coloro che hanno deciso di chiudere i passaggi - sotto qualsivoglia pretesto - sapevano che non ci
sarebbe stato nessun reale cessate il fuoco in queste condizioni. Questo è il fatto principale. Poi ci sono
state piccole provocazioni volte deliberatamente a suscitare la reazione di Hamas. Dopo diversi mesi
durante i quali i razzi Qassam a malapena si sono visti, un’unità dell’esercito è stata inviata nella Striscia
«per distruggere un tunnel che arrivava vicino alla recinzione della frontiera». Da un punto di vista
puramente strategico, avrebbe avuto più senso tendere un’imboscata sul nostro lato della frontiera.
Ma lo scopo era quello di trovare un pretesto per metter fine al cessate il fuoco, in una maniera che
consentisse di addossare la colpa ai palestinesi. E così è stato, dopo diverse piccole azioni del genere,
nelle quali alcuni guerriglieri di Hamas sono stati uccisi, Hamas ha risposto con un massiccio lancio di
missili, ed ecco, il cessate il fuoco è giunto alla fine. Tutti hanno incolpato Hamas.
Qual è lo scopo? Tzipi Livni lo ha annunciato apertamente: rovesciare il governo di Hamas a Gaza.
I Qassam sono serviti solo come pretesto. Rovesciare il governo di Hamas? Suona quasi come un
capitolo estratto dalla «Marcia dei folli». Dopo tutto non è un segreto che fu il governo israeliano a
supportare Hamas, all’inizio. Una volta interrogai su questo l’allora capo dello Shin-Bet, Yakakov
Peri, che rispose enigmaticamente: «Non lo abbiamo creato noi, ma non abbiamo impedito la
sua creazione.»

  24
Per anni le autorità d’occupazione promossero il movimento islamico nei territori occupati.
Ogni altra iniziativa politica era rigorosamente soppressa, ma la loro attività nelle moschee era
permessa. Il calcolo era semplice e ingenuo: al tempo l’Olp era considerato il nemico principale,
Yasser Arafat il satana. Il movimento islamico predicava contro l’Olp e Arafat ed era perciò visto
come un alleato.

Abu Mazen, un «pollo spennato»


Con l’esplodere della prima Intifada nel 1987, il movimento islamico si rinominò ufficialmente Hamas
(l’acronimo arabo di «movimento islamico di resistenza») e si unì alla lotta. Anche allora lo Shin-bet non
mosse un dito contro di loro per quasi un anno, mentre i membri del Fatah erano imprigionati o uccisi in
gran numero. Solo dopo un anno lo sceicco Ahmed Yassin e i suoi colleghi furono arrestati. Da allora la
ruota ha girato. Hamas è il satana odierno e l’Olp è considerato da molti in Israele quasi una branca del
movimento sionista. La conclusione logica per un governo di Israele interessato alla pace sarebbe
stata quella di fare ampie concessioni alla leadership di Fatah: la fine dell’occupazione, la firma
di un trattato di pace, la fondazione dello stato di Palestina, il ritiro entro i confini del 1967, una
soluzione ragionevole al problema dei rifugiati, il rilascio di tutti i prigionieri palestinesi. Questo
avrebbe sicuramente arrestato l’ascesa di Hamas.
Ma la logica ha una scarsa influenza sulla politica. Niente del genere è accaduto. Al contrario, dopo
l’uccisione di Arafat, Abu Mazen, che ha preso il suo posto, è stato definito da Ariel Sharon un «pollo
spennato». Ad Abu Mazen non è stato concesso il minimo margine di operatività politica. I negoziati,
sotto gli auspici americani, sono diventati una barzelletta. Il più autentico leader di Fatah, Marwan
Barghouti, è stato mandato in carcere a vita. Al posto di un massiccio rilascio di prigionieri, ci sono stati
«segnali» meschini e offensivi.
Abu Mazen è stato umiliato sistematicamente, Fatah ha assunto l’aspetto di una conchiglia vuota, e
Hamas ha ottenuto una risonante vittoria alle elezioni palestinesi - le elezioni più democratiche mai
tenute nel mondo arabo. Israele ha boicottato il governo eletto. Nella successiva battaglia interna,
Hamas ha assunto il controllo della Striscia di Gaza. E ora, dopo tutto ciò, il governo di Israele ha deciso
di «rovesciare il governo di Hamas a Gaza».
Il nome ufficiale dell’azione bellica è «piombo fuso», due parole tratte da una canzone infantile su un
giocattolo di Hanukkah. Sarebbe stato più appropriato chiamarla «guerra delle elezioni». Anche nel
passato le azioni militari sono state intraprese durante campagne elettorali. Menachen Begin bombardò
il reattore nucleare iracheno durante la campagna del 1981. Quando Shimon Peres affermò che si
trattava di una trovata elettorale, Begin alzò la voce al comizio seguente: «Ebrei, davvero credete che
io potrei mandare i nostri figli coraggiosi alla morte, o, peggio ancora, ad esser fatti prigionieri da degli
animali, solo per vincere le elezioni?». Begin vinse.
Ma Peres non è Begin. Quando, durante la campagna del 1996, ordinò l’invasione del Libano, tutti erano
convinti che si trattasse di una trovata elettorale. La guerra fu un fallimento, Peres perse le elezioni e
Netanyahu salì al potere. Barak e Tzipi Livni stanno ora ricorrendo allo stesso vecchio trucco. Secondo
i sondaggi, la prevista vittoria di Barak gli ha fatto guadagnare 5 seggi della Knesset. Circa 80 morti
palestinesi per ogni seggio. Ma è difficile camminare sui cadaveri. Il successo potrebbe evaporare in un
istante, se la guerra cominciasse a essere considerata un fallimento dall’opinione pubblica israeliana.
Per esempio, se i missili continuano a colpire Beersheba, o se l’attacco di terra porta a un pesante
numero di vittime tra gli israeliani.

  25
Un esperimento scientifico
Il momento è stato scelto con cura anche da un altro punto di vista. L’attacco è cominciato due giorni
dopo Natale, quando i leader americani e europei sono in vacanza. Il calcolo: anche se qualcuno
volesse provare a fermare la guerra, nessuno rinuncerebbe alle vacanze. Il che ha garantito diversi
giorni senza alcuna pressione esterna. Un’altra ragione che rende il momento appropriato: sono gli
ultimi giorni della permanenza di Bush alla Casa bianca. Ci si aspettava che questo idiota assetato di
sangue appoggiasse entusiasticamente l’attacco, come in effetti ha fatto. Barack Obama non ha ancora
iniziato il suo incarico, e ha quindi un pretesto per rimanere in silenzio: «C’è un solo presidente».
Questo silenzio non fa presagire nulla di buono per il mandato di Obama. La linea fondamentale è stata:
non bisogna ripetere gli errori della seconda guerra del Libano. Questo è stato ripetuto incessantemente
in ogni notiziario e talk show. Ma ciò non toglie che la guerra di Gaza sia una replica pressoché identica
della seconda guerra del Libano. Il concetto strategico è lo stesso: terrorizzare la popolazione civile
attraverso attacchi aerei costanti, seminando morte e distruzione. I piloti non corrono alcun pericolo, in
quanto i palestinesi non hanno una contraerea. Il calcolo: se tutte le infrastrutture che consentono la
vita nella Striscia sono letteralmente distrutte, e si arriva quindi alla totale anarchia, la popolazione si
solleverà e rovescerà il regime di Hamas. Abu Mazen rientrerà poi a Gaza al seguito dei carri armati
israeliani. In Libano questo calcolo non ha funzionato. La popolazione bombardata, cristiani inclusi, si
è radunata attorno a Hezbollah e Nashrallah è diventato l’eroe del mondo arabo. Qualcosa di simile
accadrà probabilmente anche questa volta. I generali sono esperti nell’usare le armi e nel muovere le
truppe, non nella psicologia di massa.
Qualche tempo fa scrissi che il blocco di Gaza può essere inteso come un esperimento
scientifico, mirato a scoprire quanto si può affamare una popolazione prima che scoppi. Questo
esperimento è stato portato avanti con il generoso aiuto dell’Europa e degli Stati Uniti. Finora
non è riuscito. Hamas è diventato più forte e la gettata dei Qassam più lunga. La presente guerra è una
continuazione dell’esperimento con altri mezzi. Potrebbe essere che l’esercito «non abbia alternativa»
se non riconquistare la Striscia, perché non c’è altro modo per fermare i Qassam, se non quello -
contrario alla politica del governo - di arrivare a un accordo con Hamas. Quando partirà la missione
di terra, tutto dipenderà dalla motivazione e dalla capacità dei combattenti di Hamas rispetto ai soldati
israeliani. Nessuno può prevedere quanto accadrà.
Giorno dopo giorno, notte dopo notte, Al Jazeera trasmette immagini atroci: brandelli di corpi mutilati,
parenti in lacrime in cerca dei loro cari tra le dozzine di cadaveri, una donna che solleva la sua bambina
da sotto le macerie, dottori senza mezzi che cercano di salvare le vite dei feriti.
In milioni stanno vedendo queste immagini terribili, giorno dopo giorno. Queste immagini saranno
impresse nella loro mente per sempre. Un’ intera generazione coltiva l’odio. Questo è un prezzo
terribile, che saremo costretti a pagare ancora a lungo dopo che gli altri effetti della guerra saranno stati
dimenticati in Israele.
Ma c’è un’altra cosa che si sta imprimendo nelle menti di questi milioni: l’immagine dei corrotti e passivi
regimi arabi. Visto dagli arabi, un fatto s’impone su tutti gli altri: il muro della vergogna. Per il milione
e mezzo di arabi a Gaza, che stanno soffrendo così terribilmente, l’unica apertura al mondo che non
sia dominata da Israele è il confine con l’Egitto. Solo da lì può arrivare il cibo che consente la vita, da
lì arrivano i medicinali che salvano i feriti. Al culmine dell’orrore questo confine resta chiuso. L’esercito
egiziano ha bloccato l’unica via d’accesso per cibo e medicinali, mentre i chirurghi operano senza
anestetici.
Per il mondo arabo, da un capo all’altro, hanno fatto eco le parole di Hassan Nashrallah: «I leader

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egiziani sono complici in questo crimine, stanno collaborando con il «nemico sionista» che cerca di
rompere il popolo palestinese». Si può assumere che non intendesse solo Mubarak, ma anche tutti gli
altri leader, dal re saudita al presidente dell’Anp. Se si guarda alle manifestazioni in tutto il mondo arabo,
se si ascoltano gli slogan, se ne deduce l’impressione che i loro leader sono visti da molti come patetici
nel migliore dei casi, come meschini collaborazionisti nel peggiore.
Questo avrà conseguenze storiche. Un’intera generazione di leader arabi, una generazione imbevuta
dell’ideologia nazionalista secolare araba - i successori di Nasser, di Hafez al-Assad e Yasser Arafat-
sarà messa fuori scena. In campo arabo, l’unica alternativa percorribile è l’ideologia del fondamentalismo
islamico.
Questa guerra è un presagio infelice: Israele sta perdendo l’occasione storica di fare la pace con il
nazionalismo arabo secolare. Domani potrebbe essere davanti a un mondo arabo uniformemente
fondamentalista, un Hamas mille volte più grande.

traduzione di Nicola Vincenzoni

pubblicato da “Il Manifesto” il 04.01.09

* OLP: Organizzazione per la Liberazione della Palestina, fondata nel 1964; suo obiettivo era la liberazione della
Palestina attraverso la lotta armata. Nel 1988 ha adottato ufficialmente la soluzione dei due Stati, con Israele
e Palestina che vivono in pace l’uno a fianco dell’altro e con Gerusalemme Est come capitale dello Stato di
Palestina. Yasser Arafat è stato il presidente del Comitato Esecutivo dell’OLP dal 1969 al 2004, anno della sua
morte. L’ OLP è riconosciuta dall’Onu come rappresentante del popolo palestinese.

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2. Israele è l’occupante. Il resto è menzogna

Intervista a Michel Warschawski

(esponente di spicco della sinistra radicale israeliana, presidente del Centro di informazione alternativa
di Gerusalemme)

di Christian Elia

Subito dopo l’attacco di terra del 3 gennaio scorso, parlando dell’operazione Piombo Fuso, André
Glucksmann ha scritto che non c’è proporzione possibile nella lotta tra palestinesi e israeliani,
condannando quanti avevano definito sproporzionata la reazione israeliana al lancio dei razzi
dalla Striscia. Secondo Glucksmann, la sproporzione esiste solo perché i palestinesi hanno armi
primitive. Si tratta, per l’intellettuale francese, comunque di legittima difesa. Ma qual è, nella
società israeliana attuale, il concetto di legittima difesa?

W. : Larga parte dell’opinione pubblica israeliana ed europea ritiene questa operazione una legittima
difesa. Per me questo è un vero non-sense. Un grave errore, prima di tutto, ma in fondo un non-
sense. Israele occupa Gaza e la Cisgiordania da 42 anni. Questo è un fatto. Ogni azione contro questa
occupazione è un’iniziativa di autodifesa, non il contrario. Il resto è una voluta manipolazione, che riesce
bene, però, al punto che a volte sembra di parlare di un problema di sei mesi, un anno o due anni fa.
Non si può invece prescindere dalla continuità di questa occupazione. Quello che accade da un
anno a questa parte è l’assedio totale e disumano di Gaza. Un territorio e un popolo allo stremo,
che sopravvive solo grazie ai famosi tunnel dall’Egitto e agli aiuti umanitari della comunità
internazionale. Di quale dannata autodifesa parla Israele? L’esercito israeliano affama, aggredisce e
riduce allo stremo una popolazione di un milione e mezzo di persone. Solo piccoli settori della società
israeliana reagiscono a tutto questo, chiamando le cose con il loro nome: Israele è l’aggressore e Israele
è l’occupante. Il resto è menzogna e il signor Glucksmann è un vero esperto in mistificazioni strumentali,
capace di chiamare notte il giorno e viceversa. Mistificazioni delle quali sono vittime anche gli stessi
cittadini di Sderot e delle altre città israeliane sotto il tiro dei razzi dalla Striscia. Vengono usati, in modo
davvero cinico, dal governo israeliano. Le vittime, che ci sono state in questi giorni, non possono essere
comparate con quello che accade a Gaza. Non per il numero, perché ogni vita ha valore. Ma perché il
governo d’Israele si sta assumendo una responsabilità enorme nel rendersi colpevole di questo attacco
indiscriminato contro i civili a Gaza. L’atto scellerato di chi lancia i razzi non può essere paragonato
alla pianificata aggressione di massa verso la popolazione palestinese nella Striscia.

I cittadini di Sderot come i coloni, utili solo quando servono politicamente?

W. : Assolutamente sì. Quelle città, per il governo, sono niente di più di una ‘periferia’. Questo rapporto
tra centro e periferia è un elemento centrale nella storia di questo Paese, ma è un elemento spesso
misconosciuto. La classe media discendente degli ebrei dell’Europa centrale, che è la vera classe
dirigente del Paese, vive a Tel Aviv, ad Haifa o altrove. Nel nord, nel sud e nei Territori Occupati si è
dato vita, all’epoca della nascita d’Israele e anche dopo, a una vera e propria colonizzazione. I coloni

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e gli immigrati non di ceto elevato sono stati utilizzati come scudi umani, da frapporre tra la vita degli
israeliani agiati e i palestinesi. I cittadini israeliani della ‘periferia’ pagano il prezzo della politica del
centro, diventando bersagli della rabbia degli arabi. Ma entrambi sono vittime degli interessi di Tel Aviv.

Quanto hanno pesato sul governo, nella scelta di iniziare questo attacco, le prossime elezioni in
Israele in febbraio?

W. : Nella decisione di commettere questo crimine le elezioni hanno avuto una parte determinante. Dopo
il fallimento della campagna del Libano del 2006, la competizione tra i principali leader politici israeliani
per le prossime elezioni è tutta basata sulla retorica della violenza nei confronti dei palestinesi. Tzipi
Livni, Barak, Olmert e Netanyahu si combattono sul campo della capacità di aggressione verso i palestinesi.
Tutti sono concentrati sulla possibilità di dimostrare di poter essere più brutali del loro avversario. L’attacco
a Gaza è una parte fondamentale della campagna elettorale. L’aspetto più inquietante, però, è che questo
atteggiamento viene premiato dall’opinione pubblica israeliana. Barak, ministro della Difesa e architetto
di questo attacco, si vanta di aver recuperato cinque punti percentuali dall’inizio dell’operazione Piombo
Fuso. Questo significa, ed è orribile, accettare una proporzionalità tra il numero delle vittime palestinesi
e il successo elettorale.

Dov’è finita la sinistra in Israele? Il partito Meretz, nelle prime ore dell’attacco, ha chiesto la fine
dei bombardamenti, ma ha tenuto a precisare che ritiene questa comunque un’operazione di
legittima difesa.

W. : La sinistra israeliana si muove ormai in un vecchio scenario. Ogni volta che c’è stata una grande
operazione militare, nella storia di Israele, è stata pronta a sostenere le decisioni del governo. In modo
automatico, come il cane di Pavlov. Sempre. E’ accaduto durante la prima e la seconda campagna in
Libano, è accaduto durante le operazioni a Gaza e in Cisgiordania. La sinistra istituzionale in Israele ha
sempre accettato il pensiero unico dell’autodifesa del Paese. Salvo poi essere pronta a condannare i
massacri, ma sempre a cose fatte, quando era ormai troppo tardi. Non sono affatto stupito della posizione
di Meretz, perché è sempre la stessa. Patetica e prevedibile. Quando, anche questa volta, siamo scesi
in piazza per manifestare contro questa aggressione, i militanti e alcuni dirigenti del Meretz erano al
nostro fianco, ma sempre a titolo personale. Che contraddizione è mai questa? Un comportamento
che ha messo in crisi tutta la sinistra, non a caso Meretz è in crisi profonda, come lo stesso movimento
pacifista Peace Now, ormai un fantasma. La mancanza di fermezza e di chiarezza nei confronti delle
decisioni dei governi israeliani hanno finito per precipitare la sinistra israeliana in una crisi profonda.
Adesso la sinistra in questo Paese è una minoranza insignificante per le decisioni che contano.

Cosa pensa delle manifestazioni dei giorni scorsi della minoranza degli arabi-israeliani?
All’inizio della Seconda Intifada, nel 2000, uno degli elementi nuovi rispetto al passato fu proprio
il coinvolgimento della minoranza araba della società israeliana nella lotta dei palestinesi. Una
tensione forte all’interno della società israeliana. Crede che si ripeterà quella mobilitazione,
anche se tra gli arabi-israeliani Hamas non gode certo di estimatori?

W. : Il problema non è, in questo momento, nei rapporti tra Hamas e gli arabi-israeliani. I civili sentono
l’aggressione a Gaza contro altri civili come un’offesa all’umanità. Questa non è una guerra tra Israele

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e Hamas, ma un’aggressione dell’esercito israeliano alla popolazione civile di Gaza. Quando
bombardi il centro di una delle città con la più alta densità abitativa al mondo, commetti un
crimine, non combatti una guerra. E questo è quello che sentono gli arabi-israeliani. Sono rimasto
colpito dal numero delle loro manifestazioni in questi giorni, dall’intensità delle loro proteste. Il livello delle
mobilitazioni contro questa aggressione è molto alto, almeno se paragonato a quello di altre occasioni.
Ho la sensazione che questa operazione lascerà profonde ferite nella società israeliana, e non solo,
con conseguenze gravi e imprevedibili al momento. Anche altrove, per esempio in Europa, la gente è
indignata. Rispetto al passato non sembrano reggere le scuse ‘strategiche’. Non c’è un obiettivo da
raggiungere, non c’è una battaglia da vincere. Questo è solo un brutale e inutile massacro... L’ennesimo
atto di una sciagurata tragedia.

Il conflitto israelo-palestinese, rispetto ad altri, si è sempre caratterizzato per il contributo dato


al dibattito da intellettuali come lei. Due grandi figure, in questo senso, come il poeta Mahmoud
Darwish e Edward Said, sono scomparse. Vede, tra i palestinesi e gli israeliani, delle nuove voci
che possano contribuire all’abbandono della violenza?

W. : No, non ne vedo. La crisi dell’impegno tra gli intellettuali non riguarda certo solo Israele e Palestina. E’
un fenomeno mondiale, molto grave. Eccezion fatta per i tre scrittori israeliani Yehoshua, Oz e Grossman
(che voi italiani amate molto), diventati a loro volta ripetitori del pensiero unico, non ci sono personaggi
di alto profilo nella cultura, “voci contro” che possano contribuire a rendere la violenza uno strumento
superato. In questo periodo storico mancano le grandi voci della coscienza, le voci della morale. Non ci
sono in giro Jean-Paul Sartre e Bertrand Russel. Non ci sono veri intellettuali, ma abbondano le vestali
‘culturali’ dell’interesse nazionale. Sia in Israele che in Palestina ci sono giovani intellettuali molto in
gamba, ma non hanno lo spessore e la profondità di certe voci del passato. Come dicevo, però, questo
non accade solo in Israele o nel mondo arabo. Accade ovunque, anche in Occidente. C’è una crisi di
coscienza generale nelle società e la cultura è espressione di quelle stesse società. C’è un gran silenzio
attorno a tutti noi.

07/01/2009
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3. Un grido per fermare lo spargimento di sangue

di Yvonne Deutsch, Donna in Nero israeliana

Care tutte,

ho visto stamattina delle immagini di quel che veniva detto «il campo di concentramento di Gaza». Questo orrore,
questa crudeltà viene fatta in nome mio, una donna israeliana ebrea che vive a Gerusalemme Ovest. I crimini
contro l’umanità commessi a Gaza sono fatti in nome mio, una femminista, una pacifista. Questi massacri sono
fatti in nome di quelli che amo. Questa sofferenza è causata in nome della mia comunità. Questi crimini contro i
bambini palestinesi e gli abitanti di Gaza sono fatti in mio nome.

Mi vergogno.

Sto male.

Piango.

Provo rabbia.

Mi sento impotente.

Faccio parte di una comunità militante.

La mia comunità è attiva tutti i giorni per fermare lo spargimento di sangue.

La mia comunità è attiva contro l’occupazione da molti anni.

La mia comunità è attiva per una soluzione giusta nel conflitto israelo-palestinese

La mia comunità è solidale con il popolo palestinese

La mia comunità riconosce che il popolo palestinese aspira a vivere in pace

La mia comunità è cosciente dei risultati violenti dell’occupazione e della povertà e della disperazione che
ne derivano.

La mia comunità è attiva contro il razzismo

La mia comunità è attiva contro la povertà e per la giustizia sociale in Israele

La mia comunità crea collaborazioni economiche ed ecologiche di base, con Palestinesi dei Territori
occupati dal 1967

La mia comunità è ebrea - palestinese

La mia comunità è vecchia e giovane

La mia comunità è attiva per i diritti umani dei Palestinesi

La mia comunità è attiva per i loro diritti economici, sociali e politici

La mia comunità riconosce che la nostra sicurezza e il nostro benessere sono legati al benessere dei
Palestinesi e alla loro sicurezza e prosperità

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La mia comunità è attiva contro la violenza e la guerra.

La mia comunità rifiuta di partecipare alla guerra e all’occupazione

La mia comunità è attiva per la giustizia, la prosperità, una coscienza ecologica e la pace

La mia comunità fa parte di una rete politica globale di femministe per la pace che collega la guerra e la
violenza contro le donne in quanto alla base del patriarcato.

La mia comunità è attiva per fermare lo spargimento di sangue e la crudeltà a servizio di superpotenze che
combinano capitalismo militarismo e strutture nazionaliste

La mia comunità è costituita da numerosi circoli militanti e di conoscenza, vicini e lontani

La mia comunità è ricca di colori e diversità

La mia comunità è composta di donne, uomini e multi-genere

La mia comunità è etero, lesbica, gay, bi e trans-genre e queer

La mia comunità è locale

La mia comunità è globale

La mia comunità è un grande movimento pacifista mondiale di donne femministe

Io sono una Donna in Nero in Israele

Il governo israeliano sta commettendo dei crimini contro l’umanità a Gaza

Mi vergogno.

Provo rabbia.

Mi sento impotente.

Noi non abbiamo fermato il male,

Continuiamo a manifestare nelle strade, a fare appelli a chi decide, a diffondere informazioni, a firmare
petizioni, a inviare aiuti umanitari, a fare azioni dirette

Le nostre voci non sono ascoltate

Le nostre voci chiare e forti sono messe a tacere

Le nostre voci non raggiungono le nostre sorelle e i nostri fratelli in Palestina

Le nostre voci non bloccano le armi e la distruzione

Noi continueremo ad agire e a sperare.

Continueremo ad attraversare i muri, le frontiere e i ghetti imposti dal patriarcato,

Continueremo ad ascoltare il grido di Gaza

  32
Continueremo ad ascoltare il grido della Cisgiordania

Ascolteremo anche il grido delle donne e dei bambini in Congo, in Nord Uganda, in Sud-Sudan, in Colombia
e altrove

Tutta questa sofferenza è collegata e fa parte della stessa cultura politica patriarcale

Noi diciamo ad alta voce NON IN NOSTRO NOME

Noi rifiutiamo di essere nemici

Anche nel sud d’Israele dove soffrono per i razzi, ci sono voci per la pace

Noi continueremo ad opporci alla guerra e al militarismo

Continueremo a creare una cultura di nonviolenza, di giustizia e di pace

Continueremo a servire l’umanità

Che possiamo apprendere e insegnare che uno è tutto

Che possiamo trovare una trasformazione, una giustizia e una guarigione

Che possiamo vivere tutti in pace

Che possiamo vivere tutti nella gioia.

gennaio 2009

  33
4. “Io artigliere ho usato fosforo bianco”

di Simcha Leventhal

Ho servito come artigliere nella divisione M109 dell’esercito israeliano dal 2000 al 2003 e sono stato
addestrato a utilizzare le armi che Israele sta usando a Gaza. So per certo che le morti di civili palestinesi
non sono una sfortunata disgrazia ma una conseguenza calcolata. Le bombe che l’esercito israeliano
ha usato a Gaza uccidono chiunque si trovi in un raggio di 50 metri dall’esplosione e feriscono con ogni
probabilità chiunque si trovi a 200 metri. Consapevoli dell’impatto di queste armi, le gerarchie militari
impediscono il loro uso, anche in combattimento, a meno di 350 metri di distanza dai propri soldati (250
metri, se questi soldati si trovano in veicoli corazzati).
Testimonianze e fotografie da Gaza non lasciano spazio a dubbi: l’esercito israeliano ha usato in
questa operazione bombe al fosforo bianco, che facevano parte dell’arsenale quando anch’ io servivo
nell’esercito. Il diritto internazionale proibisce il loro uso in aree urbane densamente popolate a causa
delle violente bruciature che provocano: la bomba esplode alcune decine di metri prima di toccare il
suolo, in modo da aumentarne gli effetti, e manda 116 schegge infiammate di fosforo in un’area di più
di 250 metri. Durante il nostro addestramento, i comandanti ci hanno detto di non chiamare queste armi
«fosforo bianco», ma «fumo esplosivo» perché il diritto internazionale ne vietava l’uso.
Dall’inizio dell’incursione, ho guardato le notizie con rabbia e sgomento. Sono sconvolto dal fatto che
soldati del mio paese sparino artiglieria pesante su una città densamente popolata e che usino munizioni
al fosforo bianco. Forse i nostri grandi scrittori non sanno come funzionano queste armi, ma sicuramente
lo sanno le nostre gerarchie militari. 1300 palestinesi sono morti dall’inizio dell’attacco e più di 5000
sono rimasti feriti. Secondo le stime più ottimiste, più della metà dei palestinesi uccisi erano civili presi
tra il fuoco incrociato, e centinaia di loro erano bambini. I nostri dirigenti, consapevoli delle conseguenze
della strategia di guerra da loro adottata, sostengono cinicamente che ognuna di quelle morti è stata un
disgraziato incidente.
Voglio essere chiaro: non c’è stato alcun incidente. Coloro che decidono di usare artiglieria pesante
e fosforo bianco in una delle aree urbane più densamente popolate del mondo sanno perfettamente,
come anch’ io sapevo, che molte persone innocenti sono destinate a morire. Poiché conoscevano in
anticipo i prevedibili risultati della loro strategia di guerra, le morti civili a Gaza di questo mese non
possono essere definite, onestamente, un disgraziato incidente.
Questo mese, ho assistito all’ulteriore erosione della statura morale del mio esercito e della mia società.
Una condotta morale richiede che non solo si annunci la propria volontà di non colpire i civili, ma che si
adotti una strategia di combattimento conseguente. Usare artiglieria pesante e fosforo bianco in un’area
urbana densamente popolata e sostenere poi che i civili sono stati uccisi per errore è oltraggioso e
immorale.

Simcha Leventhal è un veterano dei corpi di artiglieria dell’esercito israeliano e membro fondatore di
Breaking the Silence .

pubblicato da “Il Manifesto” - 22.01.2009

  34
5. Una ricontestualizzazione del conflitto israelo-palestinese

Lo schema israeliano Uno schema fondato su pace e Diritti


umani

* La terra di Israele appartiene esclusivamente al * Sono due i popoli che abitano la regione
popolo ebraico. israelo - palestinese, ciascuno dei quali ha diritto
all’autodeterminazione

* Dal momento che Israele è la vittima che lotta * Israele è una superpotenza regionale che va
per la propria sopravvivenza, è esonerata da ritenuta responsabile delle proprie azioni.
ogni responsabilità per le proprie azioni

* “Entrambe le parti” devono cessare le ostilità. * Non c’è simmetria tra le due parti.

* Le politiche israeliane sono fondate sulla * Israele persegue un’attività politica di espansione
preoccupazione per la propria sicurezza. nei Territori occupati, fondata sugli insediamenti e
sul controllo

* Gli arabi non vogliono la pace. * I palestinesi riconoscono la sovranità di Israele


sul 78% del paese; il mondo arabo ha offerto a
Israele l’integrazione regionale

* Il problema fondamentale è il terrorismo arabo, * I problemi fondamentali sono l’Occupazione e


che va fermato prima che possano essere il Terrorismo di Stato israeliano. Il terrorismo
avviate le trattative politiche. palestinese è un sintomo dell’oppressione: senza
un “orizzonte politico” la resistenza violenta non
avrà mai fine

* I palestinesi sono i nostri nemici. * Le società civili israeliana e palestinese lavorano


a stretto contatto per perseguire una pace giusta.
Ci rifiutiamo di essere nemici.

* Israele è disposta a concedere uno Stato ai * Lo Stato palestinese deve essere vitale e
palestinesi su porzioni dei Territori occupati. veramente sovrano e non un semplice bantustan.

* Gli Stati (governo israeliano/autorità palestinese) * Solo gli Stati possono negoziare, ma la società
hanno il monopolio sulle negoziazioni e sulla civile gioca un ruolo chiave nel monitoraggio
definizione delle condizioni di pace. del processo , per assicurarsi che gli Stati si
conformino ai diritti umani, alle leggi internazionali,
alla giustizia per una pace sostenibile.

* Israele ha diritto ad utilizzare tutti i mezzi a sua * Solo una soluzione fondata sui diritti umani può
disposizione, militari e politici, per conseguire assicurare una soluzione win-win.
condizioni che rispondano ai suoi interessi.
* Solo il rispetto dei diritti umani, l’integrazione
* L’unica risposta all’antisemitismo è uno Stato di regionale e una campagna internazionale contro il
Israele militarmente forte, schierato al fianco degli razzismo può risolvere efficacemente la questione
Stati Uniti dell’ antisemitismo e rispondere alle esigenze
relative alla sicurezza di Israele.

* Il trattamento che Israele riserva ai palestinesi è * Nell’epoca dei diritti umani, il trattamento riservato
una questione interna. La comunità internazionale da Israele ai palestinesi dovrebbe preoccupare
dovrebbe starne fuori. ciascuno di noi.

Jeff Halper, Ostacoli alla pace, Una città, Imola 2009 – tab. 1. pag. 27
(Jeff Halper è membro del Comitato israeliano contro la demolizione delle case – Icahd -)

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VOCI DI EBREI/E DELLA DIASPORA

1. ASCOLTA, ASCOLTA ISRAELE!

di Stefano Sarfati Nahmad

(ebreo italiano del movimento “Ebrei contro l’occupazione”)

Hai fatto una strage di bambini e hai dato la colpa ai loro genitori dicendo che li hanno usati come scudi.
Non so pensare a nulla di più infame. A distanza di una generazione in nome di ciò che hai subito, hai
fatto lo stesso ad altri: li hai chiusi ermeticamente in un territorio, e hai iniziato ad ammazzarli con le
armi più sofisticate, carri armati indistruttibili, elicotteri avveniristici, rischiarando di notte il cielo come se
fosse giorno, per colpirli meglio. Ma 688 morti palestinesi* e 4 israeliani non sono una vittoria, sono una
sconfitta per te e per l’umanità intera.
Ascolta Israele!
Io non rinnego la mia storia, la storia della mia famiglia, che è passata dalla Shoah. Però rinnego te,
lo Stato di Israele, perché hai creduto di poter far valere il credito della Shoah per liberarti del popolo
palestinese e occupare la sua terra. Ma non è così che vanno le cose, non è così la vita. Il popolo di
Israele deve vivere di vita propria e non vivere della morte altrui.
Ascolta Israele!
Io non rinnego la mia storia, la storia della mia famiglia che è passata dalla Shoah, ma io oggi sono
palestinese. Io sto dalla parte del popolo palestinese e della sua eroica resistenza. Io sto con l’eroica
resistenza delle donne palestinesi che hanno continuato fare bambine e bambini palestinesi nei campi
profughi, nei villaggi tagliati a metà dai muri che tu hai costruito, nei villaggi a cui hai sradicato gli ulivi,
rubato la terra. Sto con le migliaia di palestinesi chiusi nelle tue prigioni per aver fatto resistenza al tuo
piano di annessione.
Ascolta Israele!
Non ci sarà Israele senza Palestina ma potrà esserci Palestina senza Israele, perché il tuo credito,
ormai completamente prosciugato dalla tua folle e suicida politica, non era nei confronti del popolo
palestinese che contro di te non aveva alzato un dito, ma era nei confronti del popolo tedesco, italiano,
polacco, francese, ungherese e in generale europeo; ed è colpevole la sua inazione.
Asolta Israele, ascolta questi nomi: Deir Yassin, Tel al-Zaatar, Sabra e Chatila, Gaza. Sono alcuni nomi,
iscritti nella Storia, che verranno fuori ogni qualvolta si vedrà alla voce: Israele.

(*dato aggiornato: 1335 morti palestinesi, di cui 400 bambini)

pubblicato da “Il Manifesto, il 09.01.2009

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2. ALLA MIA FAMIGLIA ISRAELIANA

Lettera di Rina Nissim - ebrea - Donna in Nero - che vive in Svizzera

Devastata, inorridita dalla guerra di Gaza e dal fatto che il 90% degli israeliani e la mia stessa famiglia
ancora la sostengano, vi scrivo queste righe.
1200 vittime palestinesi fino ad oggi, bambini, donne, migliaia di feriti e dalla parte israeliana: 10 militari
e 3 civili uccisi.
Si rendono i nostri figli criminali di guerra, mandandoli a combattere contro Hamas in mezzo alla
popolazione civile, in un gigantesco campo profughi da cui non si può fuggire.
Certo, anche gli uomini di Hamas sono dei criminali di guerra che si nascondono tra la popolazione
civile. Ma credere che si possa così fermare finalmente i lanci di razzi o distruggere Hamas è un mito.
Io non credo che si possa risolvere questo conflitto con la violenza. Al contrario, si fabbrica piuttosto
una generazione che odia ancora di più, l’odio di tutti i nostri vicini e dunque rischio ancora più grande
di conflitto e bombe su Israele. Anche se si indebolisce Hamas, si radicalizzano tutti gli altri. Per me,
Israele corre verso la sua rovina, ostinandosi nel sogno del Grande Israele e del paese solo per gli ebrei.
Gli arabi saranno sempre più numerosi ed il conflitto ci porterà un giorno alla nostra fine.
Si è voluto che i palestinesi eleggessero i loro dirigenti e quando lo hanno fatto, si è detto loro a Gaza:
“ah no, non avete fatto la scelta giusta” e si è rifiutato di riconoscere Hamas. La maggior parte dei loro
deputati sono in prigione e i palestinesi di Gaza sono sotto assedio totale da 2 anni, chiusi, affamati,
senza elettricità, umiliati; non resta loro che fare azioni disperate come questi razzi imprecisi.
E in Cisgiordania, Mahmoud Abbas (Abu Mazen) e quelli prima di lui, dal ‘95, hanno fatto la scelta di
riconoscere Israele ed aprire negoziati; cos’ hanno ottenuto? NIENTE, nessun vantaggio se non di gestire
dei fondi come un direttore di ONG in una situazione senza speranza, cosicché sono completamente
screditati presso il loro popolo. Tutti i governi israeliani hanno colonizzato, conquistato con la violenza,
sottratto l’acqua e reso la vita impossibile ai palestinesi. Con il muro, sedicente difensivo, è impossibile
lavorare, curarsi, circolare. I contadini sono separati dai loro campi, gli scolari dalle loro scuole. Ma qual
è il progetto? Chiuderli in qualche bantustan o riserve come gli indiani d’America? Per questo bisognerà
ancora ucciderne molti e sarà un vero genocidio, di cui già ci si accusa. Israele dice di volere la pace,
ma senza dare niente in cambio.
Vengo anche a sapere che i partiti arabi israeliani sono stati vietati e non potranno partecipare alle
elezioni perché hanno denunciato questa guerra. E’ scoraggiante, è dunque questo a cui Israele aspira,
un paese solo per gli ebrei, e che fare degli altri? Trasferirli nei bantustan? MI VERGOGNO!
Vergogna, perché non conosco altri futuri plausibili per rendere i popoli felici e pacifici, che vivere liberi
in un paese laico dove tutti e tutte abbiano uguali diritti. L’iniziativa di Ginevra (2003) e il progetto di due
stati in pace, che vivono fianco a fianco, è diventato sempre più impossibile a causa della colonizzazione
israeliana.
A Gaza ci sono profughi del ‘48, profughi del ‘67 e i loro figli, negli stessi campi che accoglievano profughi
ebrei, tra cui la mia famiglia, in fuga dal nazismo. Non riusciamo a comprendere cosa significano i diritti
della persona, il diritto internazionale e le convenzioni di Ginevra?
Non voglio restare in silenzio, per questo sono in strada tutte le settimane e anche più spesso da quando
si è scatenata questa guerra, non solo per la pace e la fine delle ostilità, ma per la fine dell’occupazione,
per un vero negoziato nel quale siano coinvolte le donne, perché Israele riconosca la sua parte di

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responsabilità nel dramma del ‘48, perché la Svizzera (il mio paese) cessi ogni collaborazione con Israele.
Dobbiamo fare più pressione e chiamare al boicottaggio, le sanzioni, il disinvestimento di Israele!
Quanto agli europei, che ne hanno abbastanza del fatto che Israele distrugga tutto quello che costruiscono
per rendere la vita dei palestinesi un po’ più vivibile, scuole, ospedali, centrali elettriche… dovrebbero
perdere la pazienza e fare più pressione su Israele. Obama save us! Chi sarà abbastanza forte da fare
pressione su Israele per obbligarlo a fare la pace, se non ci impegniamo tutti?
La pace è l’unico rimedio all’estremismo.

Ginevra, 18.01.2009

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Capire la catastrofe di Gaza

di Richard Falk - 13/01/2009

(Saggista, storico, di origini ebraiche, è Relatore ufficiale delle Nazioni Unite per i diritti umani nei Territori
Palestinesi e per questo inviato in Israele per indagare sulla violazione dei diritti umani nella guerra di Gaza –
arrivato il 14 dicembre scorso all’aeroporto di Tel Aviv è stato espulso dalle autorità israeliane)

Per 18 mesi l’intera popolazione di un milione e mezzo di persone di Gaza aveva sperimentato un blocco
punitivo imposto da Israele, e una serie di sfide che erano state traumatizzanti per la normalità della
vita quotidiana. Un barlume di speranza era emerso circa sei mesi fa, quando una tregua concordata
con l’Egitto aveva prodotto un effettivo cessate-il-fuoco che aveva ridotto a zero le vittime israeliane,
nonostante i periodici lanci alla frontiera di razzi fatti in casa che cadevano senza danni sul territorio
israeliano circostante, e che provocavano indubbiamente insicurezza nella città di confine di Sderot.
Durante il cessate-il-fuoco, la leadership di Hamas a Gaza ha ripetutamente offerto di prolungare
la tregua, propondendo anche un periodo di dieci anni e affermando la propria disponibilità a una
soluzione politica basata sull’accettazione dei confini israeliani del 1967. Israele ha ignorato queste
iniziative diplomatiche e non ha tenuto fede alla propria parte di impegni previsti dal cessate-il-fuoco,
che prevedevano alcuni allentamenti del blocco, che aveva imposto a Gaza l’ingresso con il contagocce
del cibo, delle medicine, e del carburante.

Israele aveva anche impedito i permessi di uscita agli studenti con borse di studio all’estero, nonché ai
giornalisti di Gaza e a rispettati rappresentanti di organizzazioni non governative. Nello stesso tempo
aveva reso l’ingresso ai giornalisti sempre più difficile, e io stesso sono stato espulso da Israele un paio
di settimane fa, quando ho cercato di entrare per eseguire, per conto delle Nazioni Unite, il mio lavoro
di monitoraggio del rispetto dei diritti umani nella Palestina occupata, e cioè in Cisgiordania, nella zona
est di Gerusalemme, e a Gaza. Chiaramente, prima della crisi attuale, Israele ha impiegato la propria
autorità per impedire agli osservatori credibili di fornire resoconti esatti e veritieri della spaventosa
situazione umanitaria, di cui erano già stati documentati gli effetti nefasti sulla salute fisica e mentale della
popolazione di Gaza, in particolare la denutrizione tra i bambini e l’assenza di strutture di trattamento
per coloro che soffrono di una serie di malattie. Gli attacchi israeliani sono stati diretti contro una società
già in gravi condizioni dopo un blocco mantenuto nei 18 mesi precedenti.

E sempre in relazione al conflitto di fondo, alcuni fatti in relazione con quest’ultima crisi sono oscuri e
controversi, sebbene l’opinione pubblica americana, in particolare, riceva il 99% delle proprie informazioni
filtrato da lenti mediatiche estremamente filo-israeliane. Ad Hamas viene imputata la rottura della tregua,
a causa della sua presunta indisponibilità a rinnovarla, e per il presunto aumento degli attacchi con i
razzi. Ma la realtà è più sfumata. Non c’è stato nessun vero lancio di razzi da Gaza durante il cessate-
il-fuoco, fino a quando, lo scorso 4 Novembre, Israele non ha lanciato un attacco diretto contro presunti
militanti palestinesi, attacco che ha ucciso numerose persone. E’ stato a questo punto che il lancio di
razzi da Gaza è stato intensificato. Inoltre è stata Hamas che ha chiesto in numerosi incontri pubblici
di prolungare la tregua, e le sue richieste non sono mai state prese in considerazione – né da un punto
di vista formale né, tanto meno, sostanziale – dalla burocrazia israeliana. Oltre a ciò, attribuire tutti i
razzi a Hamas non è parimenti credibile. A Gaza operano una varietà di gruppi militari indipendenti e

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alcuni, come la Brigata dei Martiri di al-Aqsa sostenuta da Fatah, sono anti-Hamas, e possono aver
lanciato missili per provocare o per giustificare una rappresaglia israeliana. E’ risaputo che quando
Fatah, sostenuta dagli Stati Uniti, controllava la struttura di governo di Gaza, non è riuscita a fermare gli
attacchi con i razzi, nonostante gli sforzi al riguardo.

Ciò che questo retroterra suggerisce decisamente è che Israele ha intrapreso i propri attacchi devastanti,
iniziati il 27 Dicembre scorso, non semplicemente per fermare i razzi, o per rappresaglia, ma anche per
una serie di ragioni sottaciute. Era evidente da diverse settimane, prima degli attacchi israeliani, che i
leader politici e militari israeliani stavano preparando l’opinione pubblica a operazioni militari su vasta
scala contro Hamas. La tempistica degli attacchi sembrava suggerita da una serie di considerazioni:
soprattutto dall’interesse dei contendenti politici - il Ministro della Difesa Ehud Barak e il Ministro degli
Esteri Tzipi Livni - a dimostrare la propria durezza prima delle elezioni nazionali fissate per Febbraio,
ma ora probabilmente rinviate fino alla fine delle operazioni militari. Queste dimostrazioni di forza sono
state una caratteristica delle passate campagne elettorali israeliane e, soprattutto in questa occasione, il
governo in carica è stato efficacemente sfidato, per i propri presunti fallimenti nel difendere la sicurezza,
da un politico notoriamente militarista come Benjamin Netanyahu. A rafforzare queste motivazioni
elettorali c’è stata la malcelata pressione da parte dei capi militari israeliani per cogliere l’opportunità,
con Gaza, di cancellare i ricordi del proprio fallimento contro Hezbollah nella devastante guerra del
Libano del 2006, che aveva macchiato la reputazione di Israele quale potenza militare, e che aveva
portato ad una vasta condanna internazionale di Israele per i pesanti bombardamenti degli indifesi
villaggi del Libano, per l’uso sproporzionato della forza, e per l’utilizzo estensivo di bombe a grappolo
contro zone densamente popolate.

Alcuni rispettati commentatori israeliani di orientamento conservatore vanno oltre. Ad esempio,


l’eminente storico Benny Morris, scrivendo sul New York Times pochi giorni fa, ha messo in relazione la
campagna di Gaza con una più profonda serie di premonizioni all’interno di Israele, che egli paragona
al fosco stato d’animo dell’opinione pubblica che precedette la guerra del 1967, quando Israele si
sentiva profondamente minacciata dalle manovre degli arabi presso i propri confini. Morris rimarca
che nonostante la recente prosperità israeliana degli ultimi anni, e la relativa sicurezza, diversi fattori
hanno spinto Israele ad agire sfacciatamente a Gaza: la percezione del continuo rifiuto del mondo arabo
ad accettare l’esistenza di Israele come una realtà irrevocabile; le minacce incendiarie espresse da
Mahmoud Ahmadinejad, insieme alla presunta iniziativa dell’Iran di acquistare armi nucleari, la memoria
declinante dell’Olocausto unita alla crescente simpatia in Occidente per i guai dei palestinesi, e la
radicalizzazione dei movimenti politici ai confini di Israele sotto forma di Hezbollah e di Hamas. In effetti,
Morris sostiene che Israele sta cercando, con l’annientamento di Hamas a Gaza, di mandare a tutta
la regione il più vasto messaggio che essa non si fermerà davanti a niente pur di difendere le proprie
rivendicazioni di sovranità e di sicurezza.

Sono due le conclusioni che emergono: la popolazione di Gaza viene punita duramente per ragioni
molto diverse dai razzi e dalle preoccupazioni riguardanti la sicurezza dei confini, ma a quanto pare
per migliorare le prospettive elettorali dei leader in carica, che stanno rischiando la sconfitta, e per
avvertire gli altri attori della regione che Israele userà una forza devastante ogni volta che saranno in
gioco i propri interessi.

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Che una tale catastrofe umanitaria possa accadere con interferenze esterne ai minimi termini mostra
anche la debolezza del diritto internazionale e delle Nazioni Unite, come pure le priorità geopolitiche
degli attori che contano. Il sostegno passivo del governo degli Stati Uniti verso tutto quello che Israele fa
è ancora una volta il fattore cruciale, come fu nel 2006 quando lanciò la propria guerra di aggressione
contro il Libano. Quello che è meno evidente è che i principali vicini arabi, l’Egitto, la Giordania, e l’Arabia
Saudita, con la loro ostilità estrema verso Hamas, che viene vista come se fosse sostenuta dall’Iran, il
loro principale rivale della regione, erano anch’essi desiderosi di assistere mentre Gaza veniva attaccata
così brutalmente, addirittura con qualche diplomatico arabo che ha dato la colpa degli attacchi alla
mancanza di unità dei palestinesi e al rifiuto di Hamas di accettare la leadership di Mahmoud Abbas, il
Presidente dell’Autorità Palestinese.

La popolazione di Gaza è vittima della geopolitica più disumana, che ha prodotto quella che lo
stesso Israele chiama una “guerra totale” contro una società essenzialmente indifesa, che manca
di qualsiasi risorsa militare ed è completamente vulnerabile agli attacchi israeliani lanciati dai
bombardieri F-16 e dagli elicotteri Apache. Questo significa anche che la violazione flagrante del
diritto internazionale umanitario, per come è stato fissato dalla Convenzione di Ginevra, viene
tranquillamente ignorata, mentre il massacro continua e i corpi si accumulano. Questo significa
anche che le Nazioni Unite si sono rivelate ancora una volta impotenti quando i suoi membri
principali la privano della volontà politica di proteggere un popolo sottoposto all’uso illegale
della forza su vasta scala. Infine, questo significa che la gente può urlare e marciare in tutto il mondo,
ma le uccisioni proseguiranno come se niente fosse. Il quadro che giorno dopo giorno viene dipinto a
Gaza supplica per un rinnovato impegno in favore del diritto internazionale e dell’autorità della Carta
delle Nazioni Unite, a cominciare da qui, negli Stati Uniti, con una nuova leadership che ha promesso un
cambiamento ai propri cittadini, incluso un approccio meno militaristico alla leadership diplomatica.

Traduzione di Andrea Carancini - http://www.ariannaeditrice.it/

Il testo originale è disponibile all’indirizzo:


http://www.huffingtonpost.com/richard-falk/understanding-the-gaza-ca_b_154777.html

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PIÙ’ LA MENZOGNA È GRANDE…

di Dominique Vidal

(storico, saggista e giornalista di “Le Monde Diplomatique”, di cui è stato caporedattore aggiunto fino al
2006, e responsabile delle sue edizioni estere; specialista della questione arabo-israeliana)

Sotto molti aspetti, l’offensiva contro Gaza ricorda la guerra del Libano dell’estate 2006, da cui i dirigenti
israeliani hanno visibilmente tratto alcune lezioni. Non lezioni strategiche, perché allora avrebbero
dovuto finalmente prendere quelle famose “decisioni dolorose”- in realtà applicare semplicemente il
diritto internazionale - che potrebbero fondare una pace duratura con i loro vicini. In compenso, hanno
evitato di riprodurre gli stessi errori in campo militare, ma anche in materia di comunicazioni. Alla rigorosa
chiusura all’interno, affinché la proibizione dell’accesso alla striscia di Gaza risparmiasse ai telespettatori
le immagini del territorio martirizzato, si è aggiunta una propaganda su tutti i fronti all’esterno.
“Per influenzare i media è stata creata,con un certo successo, una nuova direzione dell’informazione-
rivela il settimanale britannico The Observer. E quando l’attacco è cominciato (…) una marea di
diplomatici, gruppi di pressione, blog e altri sostenitori di Israele hanno cominciato a martellare una
serie di messaggi preparati con cura (1)” Factotum di tutto il meccanismo, l’ex ambasciatore alle Nazioni
Unite, Dan Gillerman, conferma : “Non avevo mai visto(…) il ministero degli esteri , quello della difesa,
l’ufficio del primo ministro, la polizia e l’esercito lavorare con tanto coordinamento ed efficienza”
• Autodifesa. E’ la parola chiave. Nessuno stato, ripetono i sostenitori di Israele, accetterebbe
senza reagire che la sua popolazione viva- dall’autunno 2002, quando Israele era presente a Gaza-
nel terrore di razzi stranieri. Indiscutibilmente ogni governo, di fronte a tale situazione, reagirebbe, ma
come? Scatenando una guerra ancora più cruenta o negoziando per porre fine ai combattimenti? Da
sessantun anni, Tel Aviv entra in guerra affermando di “ non avere scelta”- in ebraico ein brera. Si tratta,
più che mai, di una contro-verità: i palestinesi non hanno forse riconosciuto il loro vicino e occupante
dal 1988 e il mondo arabo non gli ha teso la mano dal 2002, offrendo a Israele una normalizzazione
completa in cambio del suo ritiro dai territori occupati? Senza dimenticare che, se gli israeliani hanno
diritto all’autodifesa, lo stesso vale per i palestinesi…
• Rottura. Ma, continuano a ripetere i portavoce di Tel Aviv, diplomatici e giornalistici, è Hamas
che ha rotto la tregua - dimenticando che, come ha riconosciuto Ehoud Barak, “Piombo fuso” era in
preparazione già da sei mesi. Nessuno nega che, fino alla fine di ottobre, i combattenti islamisti avevano
smesso di sparare - lo stesso ministero israeliano degli affari esteri lo riconosce sul suo sito. I lanci,
tuttavia, sono ripresi a novembre. E a ragion veduta: dettaglio spesso “dimenticato” il 4 novembre 2008
l’esercito israeliano ha condotto un’operazione che è costata la vita a sei combattenti di Hamas. Il quale
ha risposto…Altro punto difficilmente ricordato: il cessate il fuoco doveva procedere di pari passo con
la fine del blocco della striscia di Gaza e l’apertura delle sue frontiere, cosa che Israele non ha mai
accettato. Peggio: negli ultimi mesi l’embargo è diventato pressoché totale, al punto che, ancor prima
dell’offensiva, i quattro quinti della popolazione dipendevano direttamente dall’aiuto alimentare dell’Onu.
Con l’offensiva israeliana, anche l’acqua, il gasolio, l’elettricità e gli alimenti di base sono diventati merce
rara.
• Blocco. Di fatto, bisognerebbe risalire fino a gennaio 2006, quando cioè le elezioni legislative,
tenute su richiesta del quartetto per il Medioriente e controllate da più di novecento osservatori, danno la

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maggioranza ad Hamas. Logica avrebbe voluto che Tel Aviv ne prendesse atto e considerasse il nuovo
primo ministro come un interlocutore. Al contrario, non solo boicotterà il governo, ma otterrà dagli Stati
Uniti prima, dall’Unione europea poi che facciano altrettanto, invocando il rifiuto di Hamas di riconoscere
Israele. E il blocco non cesserà neppure quando il governo di unione nazionale Hamas-Fatah, formato
in marzo 2007, si darà come programma la creazione di uno stato palestinese nei territori occupati nel
1967- proposta che il movimento islamista ha rinnovato più volte (2).
• Sproporzione. Sul sito del ministero israeliano degli affari esteri, Ben Dror Yemini scrive: “Alcuni
dei peggiori detrattori di Israele hanno scritto che per ogni morto israeliano si contano un centinaio di
palestinesi uccisi. Si dice che una mezza verità sia peggiore di una menzogna. Ma in questo caso non è
nemmeno una mezza verità: è un inganno. Infatti, mesi e anni di lanci di razzi su una popolazione civile
non può essere una questione di conteggio delle perdite”. In mancanza di un minimo di compassione,
questo Andrè Glucksmann (3) israeliano potrebbe perlomeno riconoscere le seguenti cifre: in tre anni,
dal ritiro d’Israele dalla striscia di Gaza allo scoppio di questa guerra, i Qassam hanno ucciso undici
israeliani, mentre l’esercito israeliano faceva millesettecento morti. Più le milletrecento vittime di “Piombo
fuso”; gli israeliani, dal canto loro, ne hanno avute tredici. Come scrive lo storico israeliano Avi Shlaim,
“l’ingiunzione biblica occhio per occhio è già abbastanza selvaggia. Ma la folle offensiva di Israele
contro Gaza sembra obbedire alla logica dell’occhio per ciglio” (4). Bernard-Henry Levy, per fortuna, ci
rassicura: Gaza non è “rasa” ma “suonata” (5)…
• Equilibrio. Preoccupati di rispettare uno scrupoloso equilibrio nella copertura del conflitto, e
forse anche di non irritare l’Eliseo, la maggior parte dei canali francesi ha alternato le immagini di civili
israeliani che fuggivano nei ricoveri di Sderot a quelle che di civili palestinesi sotto il fuoco dei F16 e
dei carri armati. Attaccare i civili costituisce, è vero, l’essenza stessa del terrorismo, o quanto meno
una violazione specifica delle convenzioni di Ginevra. Ma si possono mettere sullo stesso piano, da
una parte alcune case danneggiate da razzi artigianali, dall’altra scuole distrutte, ospedali bombardati,
riserve alimentari ridotte in cenere da bombe e obici tra i più moderni?...
• Civili. Cosciente dell’emozione suscitata da simili orrori, la portavoce dell’ambasciata israeliana
in Francia, Nina Ben Ami, dirà: “ Hamas prende di mira i civili, noi facciamo di tutto per risparmiarli” (6).
Una tesi che ha del surreale. La striscia di Gaza costituisce uno dei territori più densamente popolati del
mondo: un milione e mezzo di persone su 370 kmq. Bisogna non averci mai messo piede per pensare
che i combattenti potessero essere altrove, invece che tra i civili. E sostenere che le bombe sarebbero
in grado di separare il grano dal loglio ha l’aria di un macabro scherzo: i due terzi delle vittime non
sono combattenti; un terzo non raggiunge i 18 anni. E si capisce: aerei e carri armati hanno mirato,
come si è visto, a luoghi pubblici e abitazioni. Ben Ami introduce una circostanza attenuante, “lanciamo
volantini per avvisare dei bombardamenti e invitare gli abitanti a fuggire”. Ma dove? Nessuno può
lasciare il territorio, né via terra, né via mare. Peraltro, se Israele avesse voluto veramente proteggere la
popolazione presa in trappola, avrebbe dovuto almeno facilitare il lavoro della Croce rossa: invece, come
afferma Antoine Grand, il responsabile a Gaza, “abbiamo enormi difficoltà ad ottenere rapidamente il via
libera dagli israeliani per intervenire dopo un bombardamento. Spesso attendiamo da sei a dodici ore, il
che aggrava una situazione umanitaria già catastrofica” (7). Più grave ancora: un esercito rispettoso del
diritto di guerra avrebbe utilizzato, come ormai è stato accertato, bombe al fosforo? (8) Questa guerra,
scrive lo storico israeliano Zeev Sternhell, è la “più violenta e la più brutale della nostra storia” (9).
• Odio. La ministra israeliana degli affari esteri, Tzipi Livni, si è prevedibilmente commossa, non
senza cinismo, del crescente “odio contro Israele”. Ma chi l’ha seminato? Come stupirsi del fatto che
lo spettacolo dei corpi dilaniati di donne, vecchi e bambini provochi sdegno contro i dirigenti israeliani,

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o anche, visto il sostegno ampiamente maggioritario da loro offerto alle operazioni, contro gli israeliani
presi in blocco? E, pur senza approvare questa deriva -fondata sul principio della responsabilità collettiva,
che non fu applicato neanche ai tedeschi- come non comprendere ciò che lo causa? Uri Avnery, il primo
di tutti i pacifisti israeliani, lo valuta con chiarezza: “ Ciò che resterà marchiato a fuoco nella coscienza
del mondo, è l’immagine di Israele, mostro sanguinario, pronto a commettere crimini di guerra in ogni
momento e incapace di obbedire a qualsivoglia obbligo morale. Ecco una cosa che, nel lungo periodo,
avrà conseguenze gravi sul nostro futuro, la nostra immagine nel mondo, le possibilità di ottenere pace
e serenità. Questa guerra, in fin dei conti, è un crimine anche contro gli israeliani, contro lo stato di
Israele” (10)
• Comunitarismo. L’angoscia davanti all’orrore ricade, oltre che sugli israeliani, anche sugli
ebrei. Niente, naturalmente, giustifica un tale slittamento: i francesi di confessione o di cultura ebraica
non hanno maggiori responsabilità per i crimini commessi da Tsahal, di quanta ne abbiano i francesi
di religione o di appartenenza musulmana in quelli commessi da al Qaeda. E, d’altra parte, chi può
essere ridotto a una sola dimensione, religiosa o culturale, della sua identità? E però, bisognerebbe
che i responsabili detti “comunitari” non alimentassero essi stessi il comunitarismo. Sorprendente
contraddizione quella del presidente del Consiglio rappresentativo delle istituzioni ebraiche di Francia
(Crief), Richard Prasquier, che chiede di “ non importare il conflitto in Francia” mentre dichiara la sua
“incondizionata solidarietà” (11) con Israele, dopo aver affermato che “il 95% della comunità ebraica di
Francia è d’accordo con la politica di Israele e con quello che sta facendo il suo esercito” (12)
• Antisemitismo. Gli avvenimenti di Gaza sono stati pretesto per un certo numero di atti antisemiti
in Francia. Ora, mentre è vero che si sono verificate gravi violenze contro le sinagoghe o persone
identificate come ebree, pure, la lista dei fatti evocati comprende anche insulti e graffiti, altrettanto
inaccettabili, ma evidentemente meno gravi. L’esperienza della seconda Intifada dovrebbe incitare i
media alla vigilanza e… alla prudenza: il riaccendersi della violenza antiebraica negli anni 2001, 2002
e 2003, a torto attribuita a giovani immigrati (13), fu presto accompagnata da un’ondata antiaraba e
antimusulmana; entrambe poi rientrate grazie alle misure prese dalle autorità e anche per merito della
mobilità antirazzista. Al contrario di quanto si crede, le manifestazioni di solidarietà che esprimono la
ricerca di una pace giusta, non solo non incitano nessuno all’odio razziale, ma permettono a tutti di
esprimere un’emozione che, altrimenti, potrebbe spingere questo o quello ad azioni irresponsabili.
• Pace. E’ in suo nome che Israele dichiara di agire: colpendo severamente Hamas, faciliterebbe
la pace con i “moderati”. L’analisi non è convincente. Anche se l’operazione “Piombo fuso” indebolisse
militarmente il movimento islamista, lo rafforzerà però sul piano politico, in Palestina, ma anche nella
regione. Come lo Hezbollah nel 2006, anche i militanti di Hamas, in virtù della loro resistenza, saranno
certamente innalzati al rango di eroi del mondo arabo-musulmano. D’altra parte, se Ehoud Olmert e i suoi
ministri, la Livni come Barak, volevano sinceramente negoziare con l’Autorità palestinese, perché non
hanno mantenuto le promesse fatte a Annapolis, nel novembre 2007? Che si sappia, i check point non
sono stati tolti, la colonizzazione non è stata bloccata, le esecuzioni mirate non sono state sospese…

Un Hamas rafforzato, un’Autorità palestinese screditata: questo risultato della guerra di Gaza
era forse l’obiettivo degli strateghi israeliani. Allo scopo di impedire, ancora una volta, la nascita
dello stato palestinese, se non di renderla definitivamente impossibile.

(1) The Observer, Londra, 4 gennaio 2009

  44
(2) Cfr. l’intervista concessa a fine dicembre da Khaled Mechaal http:/mondediplo.net/2008-12-22
(3) Vedere “Gaza, une risposte excessive?” Le Monde 6 gennaio 2009
(4) Cfr. Avi Shlaim “How Israel brought Gaza to the brink of humanitarian catastrophe” The Guardian,
Londra, 7 gennaio 2009
(5) Le Journal du dimanche, 18 gennaio 2009. Secondo la British Broadicasting Corporation (BBC),
quattromila immobili sono stati distrutti e ventimila gravemente danneggiati
(6) Durante un dibattito su France 2, il 12 gennaio 2009 alle 22 h 30
(7) Liberation, Parigi, 6 gennaio 2009
(8) Cfr. The Times, Londra 8 gennaio 2009. Secondo gli specialisti il fosforo bianco è un agente
tossico che può provocare ustioni sulla pelle e danneggiare fegato, cuore e reni. Anche se
non è proibito da una convenzione internazionale, il protocollo III della Convenzione del 1980
sulle armi convenzionali proibisce il suo uso contro le popolazioni civili o contro forze militari che
stazionano tra la popolazione civile.
(9) Haaretz, Tel Aviv, 18 gennaio 2009
(10) htpp:/zope.gush-shalom.org/home/en/channels/avnery/1231625457/
(11) Nella trasmissione “Parlons net” su France Info, il 16 gennaio 2009
(12) Le figaro, Parigi 5 gennaio 2009. Prasquier è ritornato poi sull’indicazione del 95% parlando su
France Info della “grande maggioranza degli ebrei in Francia”
(13) Secondo gli ultimi rapporti della Commissione nazionale consultativa dei diritti dell’uomo, i
due terzi degli atti di violenza antiebraica non sono imputabili a francesi di origine nordafricana o
africana

pubblicato da “Le monde diplomatique “, febbraio 2009

  45
TLAXCALA - www.tlaxcala.es/campagnes.asp?lg=it&ref_campagne=
The Translators Network for Linguistic Diversity

CAMPAGNE
Israele deve essere giudicato dalla Corte Penale Internazionale
Petizione universale

Circa 300 tra ONG e associazioni chiederanno al Procuratore della Corte Penale Internazionale di
aprire un’inchiesta sui crimini di guerra commessi da Israele a Gaza. Il vostro sostegno è indispensabile.
Firmate e fate circolare questa «petizione universale». È urgente.

Al Procuratore della Corte Penale Internazionale (CPI)

Il diritto è il segno distintivo della civiltà umana. Ogni progresso dell’umanità è coinciso con il consolidamento
del diritto. La sfida che ci pone l’aggressione di Israele contro Gaza consiste nell’affermare, in mezzo a tanta
sofferenza, che alla violenza deve rispondere la giustizia.

Crimini di guerra? Solo i tribunali possono condannare. Ma tutti noi dobbiamo recare testimonianza, perché
un essere umano esiste solo in relazione agli altri. Le circostanze danno tutta la sua dimensione all’articolo
1 della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo del 1949, «Tutti gli esseri umani nascono liberi ed
eguali in dignità e diritti. Essi sono dotati di ragione e di coscienza e devono agire gli uni verso gli altri in
spirito di fratellanza».

La protezione dei popoli, e non quella degli Stati, è la ragion d’essere della Corte Penale Internazionale. Un
popolo senza Stato è il più minacciato di tutti, e davanti alla Storia si trova sotto la protezione delle istanze
internazionali. Il popolo più vulnerabile deve essere il più protetto. Uccidendo i civili palestinesi, i carri
armati israeliani fanno sanguinare l’umanità. Ci siamo battuti perché il potere del Procuratore generale fosse
al servizio di tutte le vittime, e questa competenza deve permettere che tutto il mondo riceva un messaggio
di speranza, quello della costruzione di un diritto internazionale basato sui diritti delle persone. E insieme,
un giorno, potremo rendere omaggio al popolo palestinese per il contributo che ha dato alla difesa delle
libertà umane.

  46
LE PRINCIPALI QUESTIONI DEL CONFLITTO ISRAELO-PALESTINESE

• RIFUGIATI

• INSEDIAMENTI E COLONIE

• RESTRIZIONI DI MOVIMENTO: IL MURO E I CHECKPOINT

• GERUSALEMME

• I PRIGIONIERI PALESTINESI

• I BAMBINI PRIGIONIERI

• POVERTA’

• ACQUA

LE CONSEGUENZE DELL’OCCUPAZIONE SULLA VITA DEL POPOLO


PALESTINESE

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49
Aspettami!

di Samih Al-Qasim
(poeta palestinese, nato nel 1939, vive a Rama, in Galilea)

Il coltello è alla gola, terra,


ma io ti dico: aspettami!
Le mani dietro la schiena
legate,
le corde, terra, sono sequestrate
ma io canto,
per te, mia ferita, per te canto:
“io non ti ho tradita e tu non tradirmi,
io non ti ho venduta, e tu non vendere me”.
Terra di tristi salmi, di volti perduti,
terra di radici cariche di rancore,
terra di tempeste di fulmini, di notti
fredde
terra di giardini rubati, di mani tese,
terra di villaggi in rovina, di sangue, di lacrime,
devo io sostenerti
o sarai tu, terra tradita, che mi sosterrai?
Terra di antiche menzogne, di visioni
e di profeti,
sarò io il tuo segreto
o sarai tu il mio, terra ingannata?
Terra delle lacerazioni
nell’esilio, nei massacri,
nei rifugi,
terra delle valigie e degli aeroporti stranieri
e dei porti,
terra della collera,
delle fiamme,
a te lacrimanti baciano le mani a milioni
i profughi.
Terra dell’umiliazione del dolore dell’orgoglio:
ho creduto nell’amore che dona
e che nel dono si annulla.
Perciò ti dico aspettami.
Il coltello è puntato alla mia gola
ma tu aspettami!

(traduzione dall’arabo di Wasim Damash), da: Samih Al-Qasim, Versi in Galilea, a cura di W. Dahmash,
Edizioni Q, Roma 2008

  50
Dichiarazione di rifiuto del soldato Omri Evron

(appartiene al movimento dei “RefuseniK”, militari israeliani che si rifiutano di prestare servizio nei
Territori Palestinesi occupati da Israele)
Tel Aviv 12 Ottobre 2006

Io, Omri Evron, rifiuto di servire nell’esercito perché intendo restare fedele ai principi morali in
cui credo. Il mio rifiuto di arruolarmi è un atto di protesta contro l’occupazione militare protratta
del popolo palestinese, un’ occupazione che approfondisce e fortifica l’odio e il terrore fra i
popoli. Mi oppongo alla partecipazione alla guerra crudele per il controllo dei territori occupati,
una guerra condotta per proteggere le colonie israeliane e per mantenere l’ideologia della
“Grande Israele”. Rifiuto di servire un’ideologia che non riconosce il diritto di tutte le nazioni
all’indipendenza e alla coesistenza pacifica. Non sono preparato a contribuire in alcun modo
all’oppressione sistematica di una popolazione civile e alla privazione dei suoi diritti, così come
essa viene effettuata dal regime dell’apartheid e dalle truppe israeliane nei territori occupati.
Sono sdegnato per l’incarcerazione di milioni di persone dietro muri e checkpoint, e per la fame
che ne consegue. Mi rifiuto di arruolarmi perché non credo che la violenza sia una soluzione e
che la guerra porti la pace.
Mi rifiuto di servire le industrie degli armamenti, le aziende globali, gli avidi appaltatori, i predicatori
di razzismo e i cinici leader la cui attività è volta all’incremento della sofferenza e che privano le
persone dei loro diritti umani basilari. Il mio rifiuto serva a portare l’attenzione sul fatto che non
tutti sono pronti a farsi indottrinare e cooptare per cause nazionaliste e razziste. Con questo atto
voglio esprimere la mia solidarietà con tutti i prigionieri per la libertà in tutto il mondo. Mi rifiuto
di credere alle bugie diffuse allo scopo di indurre divisioni e antagonismi fra i lavoratori delle due
parti così che essi non possano allearsi nella lotta per i loro diritti. Vorrei che il mio rifiuto fosse
un messaggio di pace e di solidarietà e un appello a coloro che uccidono e sono pronti a farsi
uccidere per interessi che non sono i loro, a deporre le armi e a unirsi nella lotta per un mondo
più giusto.
Sebbene sia conscio che questo atto costituisce una violazione delle leggi israeliane, mi sento
obbligato a mantenere i miei valori democratici, umanistici ed egualitari. Il governo militare su
milioni di Palestinesi non è democratico. È mio dovere oppormi a qualunque legge che renda
possibile privare altri dei loro diritti e della libertà, o trattarli con tale violenza da negare la loro
fondamentale umanità.
Rifiuto di uccidere! Rifiuto di opprimere! Rifiuto di occupare!
Dichiaro la mia lealtà alla pace e rifiuto di servire la guerra e l’occupazione!

Omri Evron - Military ID 6153157 - Military Mail 02507, IDF

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LA QUESTIONE DEI RIFUGIATI

RIFUGIATI PALESTINESI - DATI GIUGNO 2007

Aree e Paesi Rifugiati registrati Rifugiati registrati


nei campi profughi

Cisgiordania 734.861 187.916


Striscia di Gaza 1.030.638 481.180
Libano 111.005 217.441
Siria 446.925 120.383
Giordania 1.880.740 330.468

Totale 4.504.169 1.337.388

Fonte:Limes n° 5/2007

Secondo l’UNRWA (Unite Nations Relief and Works Agency for Palestine Refugees in
the Near Est), “i rifugiati palestinesi sono persone, il cui normale luogo di residenza era
palestinese tra il giugno 1946 e il maggio 1948, che hanno perso le loro abitazioni e i loro
mezzi di sussistenza come risultato della Guerra arabo-israeliana del 1948.” Lo status di
profughi palestinesi è diverso da quello di tutti gli altri profughi del mondo, infatti il loro
status è “ereditario”, dato che Israele impedisce agli originari profughi e ai loro figli il
ritorno.

Approssimativamente i tre quarti della popolazione palestinese sono profughi.

Da più di 60 anni i rifugiati e i profughi palestinesi rimangono in esilio forzato.

Secondo le leggi internazionali, tutti i rifugiati e i profughi hanno diritto a ritornare nelle proprie
case e a recuperare le loro proprietà: la risoluzione 194* dell’Assemblea Generale e la
risoluzione 237* del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite riaffermano i diritti dei
rifugiati e dei profughi al ritorno.

*risoluzione 194 (11 dicembre 1948), art.11: i rifugiati che lo desiderano devono poter “rientrare nelle
loro case il prima possibile e vivere in pace con i loro vicini”, gli altri devono essere risarciti dei loro beni
“a titolo di compensazione”..

*risoluzione 237 (14 giugno 1967): Il Consiglio di Sicurezza chiede a Israele di garantire “la protezione,
il benessere e la sicurezza degli abitanti delle zone in cui hanno luogo operazioni militari” e di facilitare
il ritorno dei rifugiati.

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TERRITORI OCCUPATI: COLONIE E AVAMPOSTI ISRAELIANI IN CISGIORDANIA

(dati aggiornati al Novembre 2008 – Fonte: Peace Now, movimento pacifista israeliano)

Nel luglio 2004 la Corte Internazionale d Giustizia ha definito “occupati da Israele” i territori palestinesi
conquistati (compresa Gerusalemme Est) a seguito della Guerra dei Sei giorni del 1967.

• 121 colonie (o insediamenti) e 102 avamposti israeliani costruiti illegalmente,


secondo le leggi internazionali (IV Convenzione di Ginevra*) sulla terra palestinese
occupata da Israele nel 1967.

• 462.000 coloni ebrei:


191.000 attorno a Gerusalemme
271.400 in Cisgiordania

• Crescita delle colonie:


Secondo la Road Map del 2003, poi confermata dalla Conferenza di Annapolis del 2007:
“Israele congela anche tutta l’attività degli insediamenti, secondo il rapporto Mitchell”.
In realtà la costruzione degli insediamenti è aumentata del 30% in Cisgiordania e del
38% attorno a Gerusalemme.
Le colonie sono costruite su meno dello 1,5% del territorio palestinese, ma, a causa dell’ampia
infrastruttura (massiccia rete stradale percorribile solo dai coloni) e delle restrizioni, cui sono sottoposti
i Palestinesi, gli insediamenti occupano più del 40% della Cisgiordania.

La “IV Convenzione di Ginevra per la Protezione delle Persone Civili in tempo di guerra” del 1949 è il
fondamento del diritto umanitario internazionale, il quale assicura una protezione minima ai civili
durante le guerre o le occupazioni militari. La Convenzione proibisce:
• la costruzione di insediamenti su un territorio occupato (art. 49)
• l’annessone unilaterale di un territorio (art. 47)
• l’omicidio intenzionale di civili (art. 146 e 147),
• le pene collettive (art. 33)
• la tortura (art. 31-32, 146-147)
• la distruzione di proprietà senza valide ragioni militari (art. 53, 146-147).
La Convenzione richiede la responsabilità giuridica per coloro che commettono crimini di guerra
(definiti come “gravi violazioni” ed elencati nell’art. 147).
La Convenzione tiene pienamente in conto le necessità militari, ma non può essere violata per
“ragioni di sicurezza.”
IV Convenzione di Ginevra, Art. 49, par. 6: “La potenza occupante non potrà procedere alla deportazione
o al trasferimento di una parte della sua propria popolazione civile nel territorio da essa occupato”.

  56
• Nel luglio 2004 la Corte Internazionale d Giustizia ha definito occupati da Israele i
territori palestinesi conquistati (compresa Gerusalemme Est) a seguito della Guerra dei
Sei giorni del 1967.

Peace Now, Promemoria per gli Usa: Le colonie aumentano

di M. Giorgio

L’inviato di Barak Obama, George Mitchell, è giunto in Medio Oriente per “ascoltare”. Farebbe
meglio anche a leggere ciò che pubblicano i giornali israeliani e le associazioni pacifiste.

Il quotidiano Haaretz ha rivelato che il ministero della difesa ha nascosto una serie di importanti
informazioni relative a vaste costruzioni coloniche nella Cisgiordania occupata, per timore che ciò
danneggiasse le relazioni internazionali del paese. Mitchell, in un suo rapporto stilato otto anni fa, aveva
criticato le colonie israeliane in Cisgiordania.
In un altro rapporto del gruppo Peace Now, diffuso in concomitanza con la missione di George Mitchell,
emerge che le costruzioni e gli avamposti costruiti dai coloni in Cisgiordania sono aumentati in
modo considerevole nel 2008 rispetto agli altri anni.
L’anno scorso i coloni hanno costruito 1.257 strutture, con un aumento del 57% rispetto alle 800 strutture
dell’anno precedente.
Sono cresciuti in particolare gli avamposti, che il governo israeliano si era impegnato a smantellare
(ma non lo ha mai fatto), dove sono stati costruiti 261 edifici contro i 98 del 2007.
Le continue costruzioni negli insediamenti colonici sono uno dei principali ostacoli al raggiungimento di
un accordo israelo-palestinese. Il negoziatore palestinese Saeb Erekat ha definito gli insediamenti un
“virus” che mina le possibilità di pace e preme sull’amministrazione Obama affinché imponga ad Israele
di fermare l’allargamento dell’occupazione.

pubblicato da “ Il Manifesto”, 29.01.2009

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CHECKPOINT NEI TERRITORI PALESTINESI OCCUPATI DA ISRAELE
E RESTRIZIONI DI MOVIMENTO PER I PALESTINESI

Il Checkpoint è una barriera controllata dall’esercito israeliano e/o dalla Polizia di Frontiera.

Tipologia dei checkpoint:

• checkpoint parziali: un checkpoint stabile che è in funzione periodicamente


• cancelli stradali: un cancello di metallo, spesso controllato dall’esercito israeliano, usato per
controllare i movimenti lungo le strade
• blocchi stradali: una serie di blocchi di cemento di 1 metro utilizzati per impedire l’accesso ai
veicoli
• ammassi di terra: un ammasso di macerie, sporcizia e/o rocce usate per ostacolare l’accesso dei
veicoli
• fossati: un fossato per impedire ai veicoli di attraversare
• Barriere stradali: barriere dislocate lungo le principali strade che impediscono la circolazione
• muri di terra: un muro continuo o un ammasso di terra per restringere l’accesso
• mobili o casuali: a causa della loro imprevedibilità e della difficoltà a capire dove sono dislocati,
questi checkpoint di solito rappresentano per i Palestinesi un problema maggiore rispetto a quelli
regolari conosciuti
• veri e propri “terminal” corredati di Metal detector, dove si è costretti a passare in fila indiana e a
sottoporsi a ogni tipo di controllo.
Checkpoint a Hebron

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IL MURO

Caratteristiche

Nel giugno del 2002 il governo di Israele ha deciso di costruire una barriera
per separare Israele e Cisgiordania, con lo scopo di impedire l’ingresso
incontrollato dei Palestinesi in Israele.

La lunghezza stabilita è di 723 Km, attraverso 10 degli 11 distretti della


Cisgiordania, annettendo circa il 50% dei Territori Palestinesi.

• Una barriera di cemento alta 8 metri

• Torrette di guardia

• Filo spinato e/o recinzione elettrica

• “Zona cuscinetto”: fossati, strade, filo spinato, telecamere e strade

speciali di sabbia per rilevare le impronte dei piedi. In questa zona

Israele demolisce le case dei Palestinesi per “ragioni di sicurezza”.

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GERUSALEMME

• 1947- Piano di Ripartizione delle Nazioni Unite: Gerusalemme viene dichiarata


un “corpus separatum” e viene messa sotto uno speciale regime internazionale
controllato dalle Nazioni Unite.

• Guerra del 1948: Israele si espande fino all’85% della città (soprattutto la parte
ovest), mentre l’esercito giordano mantiene l’11% (soprattutto la parte est); il restante
4% è considerato “terra di nessuno”.

• 64.000-80.000 Palestinesi sono costretti a lasciare le proprie case a Gerusalemme


ovest e in 40 villaggi attorno alla città, i quali vengono distrutti dalle forze israeliane
per impedire agli abitanti di farvi ritorno. Secondo la legge israeliana di “Assenza di
Proprietà” del 1950, proprietà, case e terreni dei Palestinesi che se ne sono andati
(in verità, costretti ad andare via), vengono considerati “abbandonati” dai precedenti
abitanti e trasferiti allo Stato di Israele.

• Guerra del 1967: Israele annette il restante 15% di Gerusalemme, compresa


la “Città Vecchia”, con lo scopo di costruire una maggioranza ebrea nella città,
espellendo la popolazione palestinese.

• 1980: il governo israeliano annette ufficialmente Gerusalemme Est. Oggi, per


spostarsi dalla Cisgiordania a Gerusalemme Est e viceversa, occorrono speciali
permessi rilasciati dall’autorità israeliana, i quali però sono difficili se non impossibili
da ottenere per la maggior parte dei Palestinesi.

• Secondo uno studio del 2006, il 62% dei Palestinesi di Gerusalemme Est vive in
povertà, se paragonato al 23% delle famiglie ebree di Gerusalemme Est.

• Nei primi tre anni dell’occupazione, Israele ha confiscato 18,27 Kmq. di terre dei
Palestinesi.

• Nel 1991 le terre confiscate sono diventate 23,4 Kmq.


Nel 2007, il Muro risultava essere costruito sulla terra appartenente, per il 19,2%,
alle famiglie palestinesi di Gerusalemme.

• Dal 1967 alla fine del 2006, Israele ha revocato il diritti di residenza a circa
8.269 Palestinesi di Gerusalemme.

(http://www.uniriot.org/downloads/FreePalestine.ppt)

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UN ESEMPIO CONCRETO DI INSEDIAMENTO A GERUSALEMME EST

IN DIECI ANNI IL BOSCO DI ABU GHNEIM VIENE TRASFORMATO

NELL’INSEDIAMENTO DI HAR HOMA

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CONSEGUENZE DELL’OCCUPAZIONE SULLA VITA DEI PALESTINESI

1. DEMOLIZIONE DELLE CASE PALESTINESI

1967 - 2006: 19.000 case demolite nei Territori Palestinesi Occupati

2000 - 2007: 1.600 costruzioni demolite nell’Area C (area della Cisgiordania


sotto il controllo israeliano),
3.000 case a rischio di demolizione

2000 - 2004: 4.000 case demolite nella Striscia di Gaza.

La IV Convenzione di Ginevra afferma che alle Potenze Occupanti è proibito distruggere le proprietà
degli abitanti del territorio occupato: “ Qualsiasi distruzione perpetrata dalla Potenza occupante di
proprietà immobiliari o personali per privarne la persona...è proibita”.

La maggior parte della demolizione delle case viene perpetrata per ragioni “amministrative” e in genere
perché la casa era stata costruita senza permesso. In ogni caso, per i Palestinesi che vivono sotto
occupazione, è praticamente impossibile ottenere dei permessi per costruire sulla loro terra.

2. EFFETTI SULL’ECONOMIA

• difficoltà a raggiungere i campi, a coltivare la terra, a produrre e a commerciare le merci

• danni alle coltivazioni e al settore agricolo in una delle zone più fertili della Cisgiordania

• devastazione degli uliveti e aggressioni dei coloni durante la stagione della raccolta delle
olive

• difficoltà a trasportare merci

• difficoltà a raggiungere il posto di lavoro.

3. EFFETTI SULL’ISTRUZIONE

• gli studenti non possono frequentare regolarmente le lezioni a causa della chiusura dei
checkpoint o delle file interminabili che vi si formano.

4. EFFETTI SULLA SANITA’

• accesso negato o estremamente limitato alle cure mediche a causa della burocrazia, delle
lunghe attese e dei molti checkpoint che si incontrano anche sulle brevi distanze.

  68
5. EFFETTI SULLA VITA QUOTIDIANA

• violenze e aggressioni continue da parte dei militari e dei coloni israeliani

• frammentazione della terra a causa della costruzione delle bypass road riservate ai coloni e
conseguente estrema difficoltà di movimento per i palestinesi

• estrema difficoltà a mantenere relazioni regolari con parenti ed amici perché, per percorrere
anche brevi distanze, spesso bisogna stare in ballo giornate intere, quando non si è respinti
senza ragione.

AUMENTO DELLA POVERTA’

L’Ufficio delle Nazioni Unite per il Coordinamento degli Aiuti Umanitari (OCHA) considera l’occupazione
e le restrizioni di movimento imposte da Israele come “la principale causa di povertà e di crisi umanitaria
nella Cisgiordania e nella Striscia di Gaza”.

Palestina - Economia di Guerra:

- 41% PIL rispetto al 1999 (ultima statistica disponibile prima della seconda
Intifada)

- 49% PIL pro capite (dato 2004)

+ 40% Aumento medio della disoccupazione (nella Striscia di Gaza si aggira


attorno al 60%, nel 1999 era al 12%)

Il 60% della popolazione palestinese vive sotto la soglia di povertà (due dollari pro
capite al giorno); il 75% della popolazione nella Striscia di Gaza.
Prima dell’inizio della seconda Intifada (2000), tale valore era del 20% .

(W. Bank, Palestinian Monitor)

Con la sospensione degli aiuti alla Palestina nel 2006, in seguita al vittoria elettorale di Hamas, il
numero delle persone che vive in forte povertà è triplicato.

L’economia della Palestina è stata distrutta dalla guerra del 1967 e dalla conseguente occupazione,
uno dei colpi più duri è stata la separazione di Gerusalemme dalla Cisgiordania che ha portato la
Palestina alla dipendenza coloniale dalla potenza occupante e dagli aiuti internazionali.

A causa dell’embargo del 2006, la maggior parte degli abitanti di Gaza non ha accesso agli
alimenti di base e più dell’80% delle famiglie di Gaza fa affidamento sugli aiuti umanitari per
sopravvivere, aiuti che spesso vengono bloccati da Israele.

  69
PRIGIONIERI PALESTINESI

• I prigionieri vengono detenuti in circa 30 centri di detenzione che si trovano


all’interno dei confini di Israele del 1967.

• Il numero dei detenuti varia a seconda della fonte. Secondo la Croce Rossa
Internazionale si parla di 10.500 prigionieri (ottobre 2008).

• Su 9.493 detenuti:
750 sono prigionieri amministrativi*,
349 hanno 18 anni o anche meno
75 sono donne.

Israele tiene prigionieri anche 47 parlamentari palestinesi.

• Durante l’occupazione militare della Palestina da parte di Israele, a partire dal


1967, più di 700.000 Palestinesi sono stati imprigionati illegalmente.

• Circa il 20% di tutta la popolazione palestinese e il 40% della popolazione


totale maschile nei Territori Occupati è stata in prigione.

____________________________________________________________________________________

* Detenzione amministrativa: è una detenzione senza accuse o processo, autorizzata da un


ordine amministrativo più che da un decreto del giudice.
L’utilizzo da parte di Israele degli ordini amministrativi è una chiara violazione delle leggi
internazionali: i prigionieri palestinesi possono essere detenuti all’infinito e non è permesso loro
né di vedere le prove della loro colpevolezza, né di conoscere il motivo della detenzione.
Un detenuto amministrativo palestinese è rimasto in prigione per più di 8 anni senza essere stato
accusato di alcun crimine.
Nel 2007 Israele aveva, ogni mese, circa 830 detenuti amministrativi, cifra che era 100 volte
più alta della percentuale mensile del 2006.

  70
I DETENUTI BAMBINI

Secondo i regolamenti militari di Israele, un ragazzo sopra i 16 anni può essere


considerato adulto.
Tuttavia, ragazzini di 12 anni sono stati accusati e giudicati dalla Corte militare
israeliana. Ragazzini tra i 12 e i 14 anni possono essere processati per dei reati
e detenuti fino a 6 mesi.
Dopo i 14 anni, i ragazzi palestinesi sono trattati come adulti.
Non esistono tribunali dei minori e spesso i ragazzi vengono detenuti insieme
agli adulti.
Si ritiene che, tra il settembre 2000 e l’agosto 2008, circa 6.700 ragazzi palestinesi
siano stati arrestati e detenuti nelle prigioni di Israele.

(Fonte: http://www.uniriot.org/downloads/FreePalestine.ppt)

  71
IL PROBLEMA DELL’ACQUA

La riserva media di acqua per la comunità palestinese nei Territori Occupati è di circa 63 litri per
persona al giorno in Cisogiordania, contro i 140 litri al giorno in Israele.

Le riserve di acqua per persona superano i 100 litri al giorno, che è la quantità minima raccomandata
dall’Organizzazione della Sanità, solo per il 16% (100 su 708) delle comunità palestinesi.

Solo il 69% delle comunità palestinesi è collegato alla rete delle acque. Le altre comunità non sono
raggiunte dalle tubature dell’acqua.

Solo il 7% dell’acqua disponibile nella Striscia di Gaza rispetta gli standard dell’Organizzazione Mondiale
della Sanità.

Il prezzo dell’acqua fornita da serbatoi privati è aumentato in 290 comunità della Palestina, in 205 di
queste il prezzo è aumentato fino al 150% in più e nelle altre 85 fino al 200%.

Israele utilizza il 37% dell’acqua che proviene dall’Acquedotto Orientale (soprattutto per gli
insediamenti) che si trova in Cisgiordania; il 95% dell’acqua dell’Acquedotto Occidentale e circa
il 70% dell’acqua dell’Acquedotto Settentrionale.

I Palestinesi non hanno assolutamente accesso al bacino idrico del Giordano.

Israele impedisce ai Palestinesi di accedere alle risorse idriche legalmente, tecnicamente e


fisicamente.

(fonte: http://uniriot.org/downloads/FreePalestine.ppt)

  72
73
CRONOLOGIA ISRAELE–PALESTINA
dal 1897 al 2009

1897. Thomas Herzl fonda in Svizzera (Congresso di Basilea) il movimento sionista con l’obiettivo di
creare in Palestina uno Stato ebraico.

1916. Trattato di Sykes-Picot. Accordo tra Gran Bretagna e Francia: la Siria e il Libano diventano francesi,
la Giordania e l’Iraq inglesi; la Palestina dovrebbe avere uno status internazionale.

1917.”Dichiarazione di Balfour” Il 2 novembre, il governo inglese si dichiara favorevole alla “fondazione


di una Madre Patria Ebraica in Palestina”. I palestinesi denunciano “la Dichiarazione della vergogna”.
Al momento della Dichiarazione di Balfour, la popolazione totale della Palestina è di 700.000 persone circa:
574.000 musulmani, 74.000 cristiani e 56.000 ebrei.

1921. Commissione d’Inchiesta Haycraft Nominata dal governo inglese in seguito ai disordini arabi nel
maggio 1921 ritiene gli arabi responsabili dello scoppio della violenza ma individua la causa negli impegni
pro-sionisti britannici.

1922. Mandato per la Palestina La Gran Bretagna assume l’amministrazione della Palestina e conferma
il sostegno agli interessi sionisti. Il mandato è stabilito dalla Lega delle Nazioni per “i popoli non ancora in
grado di auto -governarsi”.

1936. Rivolta araba contro il mandato inglese.

1937. Il governo inglese propone la divisione del territorio con la creazione a nord-ovest di uno Stato
ebraico, l’unione della parte maggiore del paese alla Cisgiordania e una zona comprendente Gerusalemme
e Jaffa sotto dominio britannico. Il piano viene rifiutato dai Sionisti e dagli arabi. Nuova sollevazione della
popolazione araba, viene deportata la maggior parte dei leader politici.

1939. Il governo inglese dichiara di voler la convivenza pacifica tra ebrei e arabi e di non voler creare uno
Stato ebraico contro il volere della popolazione araba.

1942-1945 Olocausto. Il Terzo Reich organizza la deportazione di massa e l’eliminazione della popolazione
di fede ebraica, è la soluzione finale, che causa la morte di oltre sei milioni di ebrei.

1947. Una Commissione speciale delle Nazioni Unite propone di dividere la Palestina in uno Stato ebraico
e uno arabo, mentre alla città di Gerusalemme dovrebbe essere concesso uno status internazionale.
La risoluzione viene approvata: votano a favore Urss, Usa e Francia, ma gli Stati arabi votano contro; la
Gran Bretagna, la Cina e altri si astengono.
Il 29 settembre 1947, viene posto fine al mandato inglese e decisa la spartizione della Palestina in due
Stati, uno arabo e uno ebraico.

1948. Nasce il 14 maggio 1948 lo stato di Israele. Lo Stato d’Israele viene riconosciuto da Stati Uniti e
Urss, seguiti dagli altri paesi. Tra arabi e israeliani è guerra. Migliaia di palestinesi vengono espulsi dalla loro
terra. La Lega araba (Siria, Iraq, Egitto e Giordania) invade il nuovo stato il giorno stesso della sua nascita
ma viene sconfitta. Viene fondata la Forza di Difesa d’Israele (IDF), che incorpora tutte le organizzazioni di
difesa; nasce l’esercito di Israele (“Zhaal”).
Il primo censimento conta una popolazione di 872.700 persone: 716.700 ebrei e 156.000 non-ebrei. Si
assiste all’immigrazione di massa dall’Europa nel dopoguerra: cominciano ad arrivare ebrei anche dai paesi
arabi. Negli anni 1948-52, arrivano 687.000 ebrei in Israele che raddoppia la sua popolazione ebraica.

1949. Israele: si svolgono le prime elezioni (25 gennaio); David Ben-Gurion viene eletto Primo Ministro,
alla testa di un governo di coalizione. La prima Knesset (Parlamento) si riunisce a Gerusalemme. Chaim
Weizmann viene eletto Presidente di Israele dalla Knesset.
Lo stato di Israele viene accettato dalle Nazioni Unite come 59° membro. Gerusalemme, divisa tra Israele e

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Giordania, è dichiarata capitale. La Città Vecchia a Gerusalemme est passa sotto il controllo della Giordania,
le parti occidentali e meridionali della città vengono controllate da Israele.

1950. La Legge del Ritorno Accorda agli ebrei la possibilità di trasferirsi in Israele e diventare cittadini
israeliani.
La Gran Bretagna riconosce lo Stato di Israele.
In Egitto un colpo di Stato rovescia la monarchia e porta al potere il colonnello Gamal Abdel Nasser che
invita i popoli arabi a unirsi per liberarsi dal dominio delle potenze occidentali.

1956 Seconda guerra arabo-israeliana. Nasser, il leader egiziano, nazionalizza il canale di Suez (che fin
dalla sua apertura, nel 1896, apparteneva a una compagnia anglo-francese) e proibisce il transito delle navi
israeliane. Francia e Inghilterra si accordano con Israele per punire l’Egitto e occupare il Canale. Successo
militare delle truppe israeliane. Ma l’Urss minaccia il ricorso alle armi atomiche. Arriva la condanna dell’Onu
e degli Usa, che costringono Francia, Inghilterra e Israele al ritiro.

1959 Yasser Arafat e Abu Jihad (Khalil al Wazir) fondano, Al Fatah, un movimento di guerriglia per la
liberazione della Palestina da Israele.

1964. Olp Nasce L’Organizzazione di Liberazione della Palestina.

1967 Terza guerra arabo-israeliana. Il leader egiziano Nasser dichiara di voler chiudere il Canale di Suez
alle navi che riforniscono Israele. Si intensificano le manovre militari arabe ai confini del paese. Israele
reagisce con una guerra lampo, passata alla storia come “guerra dei sei giorni”. Le forze israeliane,
comandate dal generale Moshe Dayan conquistano le alture del Golan al confine siriano, il settore arabo
di Gerusalemme, il porto di Gaza e la penisola del Sinai. Gerusalemme viene ufficialmente riunificata sotto
il controllo israeliano.

1968. L’Olp in un documento nega l’esistenza di Israele. Si intensificano gli attacchi terroristici dei palestinesi:
dirottamento di un aereo del El Al da Roma ad Algeri.

1969. Golda Meir confermata Primo Ministro. Arafat diventa presidente dell’Organizzazione per la liberazione
della Palestina.

1971. Si crea il timore che l’Olp possa prendere il controllo della Giordania. L’esercito giordano scaccia
l’Olp fuori dal Paese con un’azione violenta e sanguinosa. L’Olp si trasferisce in Libano.

1972. I terroristi di Settembre Nero entrano negli alloggi degli atleti a Monaco di Baviera dove sono in
corso i Giochi Olimpici. Diciassette morti: undici tra gli atleti israeliani.

1973. Quarta guerra arabo-israeliana nota come “Guerra del Kippur”perchè iniziata nel giorno di digiuno
più solenne dell’anno ebraico (il 6 ottobre). Egitto e Siria lanciano un attacco a sorpresa per riconquistare i
territori perduti nella guerra precedente; l’attacco viene respinto con gravissime perdite umane e vengono
ripristinati i confini del 1967.
Interviene l’Onu che con la Risoluzione 338* chiede una sistemazione del conflitto Arabo-Israeliano sulla
base della Risoluzione 242* del 1967. Il 22 ottobre cessano le ostilità in previsione di futuri negoziati
che avrebbero affrontato i problemi del ritiro degli israeliani da tutti i territori occupati e della definitiva
sistemazione dei profughi palestinesi.
Nel mese di dicembre muore David Ben Gurion, considerato il padre dello Stato di Israele.

1974. 14 ottobre: L’ O.L.P. è invitato all’ONU come legittimo rappresentante del popolo palestinese.
13 novembre: Arafat parla alla tribuna dell’ONU.

1976. 30 marzo: i palestinesi di Israele organizzano la “Giornata della Terra”, la polizia israeliana reprime
duramente e uccide 6 manifestanti.

1979. Accordi di Camp David. Egitto e Israele firmano alla Casa Bianca il trattato di pace dopo un lungo
percorso avviato dal presidente Usa Jimmy Carter a Camp David nel 1978. Sadat e Begin riceveranno il
premio Nobel per la pace.

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Il trattato mette formalmente fine allo stato di guerra tra i due Paesi. In cambio del riconoscimento egiziano
del diritto all’esistenza di Israele, gli israeliani restituiscono all’Egitto la penisola del Sinai. I due Paesi
stabiliscono formali relazioni diplomatiche.

1982. Libano Gli israeliani attaccano l’Olp a Beirut e nel Libano del Sud, come rappresaglia per gli attacchi
sferrati per molti anni attraverso la frontiera dai guerriglieri. L’esercito israeliano invade il Libano e circonda
Beirut, 16 settembre: Sabra e Chatila. Nella notte, miliziani falangisti (forze libanesi di destra in prevalenza
cristiano-maronite) penetrano nei campi profughi palestinesi di Sabra e Chatila e per 40 ore compiono
massacri e violenze indescrivibili. Varie fonti, anche israeliane, parlano di 3.000/4.000 morti e scomparsi.
Tutto avviene sotto la supervisione israeliana che illumina i campi a giorno e blocca tutte le vie d’accesso
ai campi, sia per chi vuole scappare che per chi vuole entrare per scoprire cosa sta avvenendo. In Libano
gli israeliani saccheggiano il Centro di ricerche palestinese, esportando o distruggendo 25.000 volumi e
manoscritti, al fine di annientare non solo l’ OLP, ma qualsiasi segno dell’identità e della storia del popolo
palestinese. A Tel Aviv 400.000 persone manifesteranno il loro sdegno per quello che l’esercito israeliano
sta facendo in Libano. Il 28 settembre il governo Begin, che in principio nega ogni responsabilità israeliana
nella strage di Sabra e Chatila, è costretto ad accettare la costituzione di una commissione d’inchiesta.

1983. 8 febbraio: la Commissione di inchiesta su Sabra e Chatila ammette le responsabilità israeliane,


del Ministro della Difesa Sharon, del Comandante di Stato Maggiore Eytan e dello stesso Begin. Sharon
verrà costretto a dimettersi, sotto la pressione dell’opinione pubblica israeliana, da Ministro della Difesa, ma
manterrà un ruolo nel governo di Begin.

1987. l’Intifada I palestinesi che vivono a Gaza, in Cisgiordania e a Gerusalemme si rivoltano contro gli
israeliani, è l’ “intifada”, la “rivolta”. L’Intifada rappresenta l’episdio di lotta palestinese più importante dalla
rivolta del 1936/39. Il costo in vite sarà altissimo per i palestinesi: 700 morti e decine di miglia di feriti solo
nei primi due anni e oltre 14.000 detenuti. Arafat proclama l’Olp come il governo in esilio di uno “Stato di
Palestina”.

1988. L’Olp riconosce il diritto di Israele all’esistenza, ma le trattative di pace inizieranno nel 1991

1991. Si apre a Madrid, alla fine della guerra del Golfo, una conferenza di pace all’insegna di “pace in
cambio di territori” ma destinata a fallire. L’Olp ne è formalmente esclusa, anche se propri uomini formano
la metà della delegazione giordana.

1992, Oslo Trattative segrete tra Arafat e Peres spianano la strada agli accordi.

1993. La stretta di mano Shimon Peres e Yasser Arafat, accettano una “Dichiarazione di principi” (Oslo I) e
un reciproco riconoscimento che prevede l’autogoverno palestinese ma tutti i veri nodi (colonie, liberazione
dei detenuti politici palestinesi, gestione delle risorse d’acqua, confini del futuro Stato palestinese) vengono
rinviati a colloqui “definitivi”, di cui non viene mai fissata la data.
Il trattato fu sigillato sul prato della Casa Bianca il 13 settembre del 1993, con la storica stretta di mano tra
Yasser Arafat e il primo ministro israeliano Yitzhak Rabin.

1994. Due nuove sessioni di accordi (Parigi e Il Cairo), per trovare dei modi di applicazione della dichiarazione
di principi del 1993.
Il 5 maggio, al Cairo, viene firmato un primo accordo per l’autonomia di Gaza e Gerico. Il 13 maggio
l’esercito israeliano lascia Gerico, quattro giorni dopo abbandona la striscia di Gaza.
Israele e Giordania firmano la pace.
A luglio Arafat entra a Gaza e fa prestare giuramento ai membri dell’Autorità palestinese che assume il
controllo della politica nei campi dell’Istruzione, della Cultura, della Sicurezza sociale, del Turismo, della
Salute e del Fisco.
Rabin, Arafat e il ministro degli Esteri israeliano Shimon Peres ricevono il premio Nobel per la pace.

1995. Rabin assassinato A settembre Rabin e Peres firmano gli accordi, chiamati “Oslo II” per allargare
le aree dell’autonomia palestinese.Tali accordi prevedono la divisione della Cisgiordania in tre zone: zona
A, pari al 17,1% , sotto il pieno controllo civile e militare dell’Autorità Nazionale Palestinese (ANP) ; zona
B, pari al 23%, sotto il controllo civile dell’ANP e il controllo militare congiunto di palestinesi e israeliani;
zona C, pari al 59%, sotto il totale controllo israeliano . Non si attenua il clima di violenza degli elementi

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più radicali delle due parti. In novembre Rabin, primo ministro israeliano, assassinato da uno studente
israeliano di Legge con collegamenti a gruppi estremisti di destra.

1996. Nelle prime elezioni della storia palestinese Yasser Arafat è eletto a stragrande maggioranza
presidente.
In Israele, nel frattempo, il leader del partito di destra Likud, Benjamin Netanyahy, sconfigge Shimon
Peres. Nonostante gli impegni di Netanyahu e di Arafat per arrivare a un trattato definivo di pace, il governo
israeliano consente la ripresa delle costruzione di insediamenti israeliani nei territori occupati.

1998. Gli accordi di Wye Mills Netanyahu e Arafat sottoscrivono un accordo a Wye Mills, in Maryland,
con la mediazione del presidente americano Bill Clinton. L’accordo prevede lo scambio “terra contro pace”.
Prevedeva la repressione dei gruppi terroristici, il ritiro parziale dell’esercito israeliano, il trasferimento del
14,2 % della Cisgiordania sotto il controllo palestinese, corridoi di libero passaggio tra Gaza e la Cisgiordania,
la liberazione di 750 detenuti palestinesi e la costruzione di un aeroporto palestinese a Gaza.

1999. La vittoria di Barak Ehud Barak, vince con largo margine contro Netanyahu. A settembre Barak
e Arafat firmano un accordo per attuare gli accordi di Wye Mills, Israele libera 200 detenuti palestinesi e
comincia a passare il controllo di una parte della Cisgiordania ai palestinesi.
I nuovi accordi di Sharm el Sheik “ridefiniscono” il calendario di Wye Mills, giungendo alla conclusione che
il ridispiegamento ( e non il ritiro dell’esercito israeliano) dovrà avvenire non oltre il 13 settembre 2000.
Questa data, come le altre stabilite, non sarà rispettata, e provoca frustrazioni dopo l’entusiasmo seguito
alle intese raggiunte a Oslo.

2000.La seconda Intifada Per quindici giorni, nel mese di luglio, Barak e Arafat trattano a Camp David,
residenza di montagna del presidente degli Stati Uniti. L’Olp ha fissato per il 13 settembre la proclamazione
della nascita dello Stato palestinese (che poi verrà rinviata). Le trattative e la mediazione di Bill Clinton non
portano all’accordo. E’ il fallimento di “Camp David II”.
Le parti non sono disposte a cedere su punti ritenuti fondamentali: status di Gerusalemme e il rientro dei
rifugiati palestinesi.
A settembre Clinton tenta nuovamente di avvicinare le posizioni dei due leader.
Il 28 settembre Ariel Sharon, all’epoca leader dell’opposizione al governo del socialdemocratico Ehud
Barak, entra nella Spianata delle Moschee. Sharon sottolinea così il fallimento di Barak, che nel luglio non
è riuscito a imporre ad Arafat la resa incondizionata.
La reazione palestinese è immediata, la repressione anche. Si parla di “seconda Intifada”. A fine settembre
i palestinesi a Gaza e nella Cisgiordania cominciano ad attaccare le forze militari israeliane con pietre
e armi da fuoco. Moltissimi i morti, in larga maggioranza palestinesi, ma anche numerosi israeliani e
arabi israeliani. Il linciaggio di due soldati israeliani a Ramallah provoca la reazione militare di Israele che
bombarda alcune città palestinesi.
Arafat, dopo il rifiuto opposto a Camp David, è costretto a cavalcare la rivolta.

2001 - L’inchiesta della Commissione dei diritti dell’uomo dell’Onu prevede il dispiegamento urgente di
osservatori internazionali, veto degli Stati Uniti .
George W. Bush chiede ad Arafat di far cessare la violenza in Medio Oriente per rendere possibile il dialogo
con Israele.
Gli Stati Uniti mettono in guardia Israele contro la tentazione di dare un carattere permanente alle incursioni
militari nelle zone sotto il controllo palestinese, Colin Powell, il segretario di Stato americano, chiede ad
Arafat di “fare tutto quello che può” per arrestare la violenza.
Sharon afferma a Mosca che il leader palestinese costituisce “il principale ostacolo alla pace” e che i
negoziati sono in questo momento impossibili.
Dopo gli attentati a New York e Washington, Sharon afferma che Israele ha il suo Bin Laden nella persona
di Arafat.

2002. Il 12 marzo 2002, il Consiglio di sicurezza dell’Onu approva la Risoluzione 1397, in cui per la prima
volta si parla esplicitamente di “una regione in cui due stati, Israele e Palestina, vivano fianco a fianco,
all’interno di frontiere riconosciute e sicure”. La risoluzione chiede la fine immediata delle violenze e del
terrorismo, la cooperazione fra le due parti per l’applicazione dei piani di pace “Tenet” e “Mitchell” ed
esprime sostegno agli sforzi del Segretario generale e a chi cerca di aiutare le parti ad arrestare le violenze
e a far ripartire il dialogo.

  77
Il Consiglio di sicurezza dell’Onu il 30 marzo approva la Risoluzione 1402 per il ritiro delle truppe israeliane
dalle città palestinesi. 29 marzo: inizia l’ “operazione muro difensivo”; l’esercito israeliano invade Ramallah
e circonda la Muqata, il quartier generale di Arafat, che rimane prigioniero. Comincia la rioccupazione
militare delle città palestinesi. Strage a Jenin sulla quale non viene fatta nessuna chiarezza. 16 giugno:
Israele comincia la costruzione del muro di separazione tra i territori dello stato israeliano e i territori
palestinesi, che dovrebbe impedire ai kamikaze palestinesi di entrare in Israele. Questo progetto, più volte
condannato dall’Onu e dall’Unione Europea, dovrebbe correre sulla linea dei confini dettati dai trattati del
1967, in realtà si infiltra nei territori palestinesi, erodendo altra terra. Dicembre: il Quartetto (Europa, USA,
Russia, ONU) elabora la cosiddetta Road Map, un percorso che dovrebbe portare a un assetto definitivo
di Israele e Palestina. Anche questo percorso non decollerà mai.
2003 - 19 marzo: Arafat, sotto pressioni internazionali, propone di nominare Mahmoud Abbas (alias Abu
Mazen) primo ministro. Novembre: Accordi di Ginevra. Elaborazione di una proposta di pace da parte
di un gruppo di intellettuali israeliani e palestinesi per una risoluzione pacifica del conflitto, nel tentativo di
dimostrare che un accordo equo è possibile.

2004 - 11 novembre: morte di Arafat a Parigi

2005 - 9 gennaio: elezioni presidenziali palestinesi. Abu Mazen viene eletto con il 62,5% dei voti. 8
febbraio: summit Abu Mazen-Sharon a Sharm el-Sheik dove si proclama la fine delle violenze tra israeliani
e palestinesi. La costruzione del muro di separazione continua. 22 agosto: si conclude lo smantellamento
delle colonie nella Striscia di Gaza, deciso unilateralmente da Sharon. L’esercito di Tel Aviv sgombera con
la forza i coloni israeliani e lascia l’amministrazione del territorio ai palestinesi. Questa operazione apre una
ferita non rimarginabile tanto da portare alla scissione del LIkud. La destra israeliana perde la sua guida
storica, Ariel Sharon, che , assieme a Simon Peres e a molti transfughi del Likud e dei laburisti, fonda il
partito Kadima (Avanti). I sondaggi danno per sicuro vincitore alle prossime elezioni politiche israeliane
Ariel Sharon che invece esce di scena perché colpito da ictus.

2006 - 25 gennaio: elezioni politiche in Palestina, svolte democraticamente secondo gli osservatori
internazionali. Schiacciante vittoria di Hamas, il partito islamico, che ottiene 76 seggi su 132. Ismail Haniyyeh
è primo ministro. L’impegno nel sociale di Hamas ha sconfitto la corruzione di Fatah. Il governo di Hamas
ha vita breve, dato che viene boicottato dall’Unione Europea e dagli Stati Uniti che sospendono gli aiuti
economici ai palestinesi. A sua volta Israele smette di versare il ricavato delle tasse import-export che
raccoglie a nome dei Palestinesi. Israele sostiene Abu Mazen, sia apertamente che sottobanco, fornendo
armi alle forze di Fatah e liberandone i prigionieri, mentre all’opposto i deputati eletti di Hamas vengono
arrestati.

28 marzo: elezioni in Israele. Vittoria sotto tono del nuovo partito Kadima, Olmert è primo ministro.
Estate: riprendono le incursioni e i bombardamenti su Gaza. La situazione economica della popolazione
palestinese è disperata. Giugno: Hamas cattura, al confine con la Striscia, il caporale Gilad Shalit. Israele
rifiuta di barattarne la liberazione con quella di tutti i ragazzi e le donne palestinesi detenuti, come proposto
da Hamas. 12 luglio: guerra in Libano. Hezbollah cattura due soldati israeliani che stavano perlustrando
in territorio libanese. Israele inizia l’offensiva militare, bombardando il sud del Libano e la città di Beirut. 11
agosto. Il Consiglio di sicurezza delle Nazioni UNite vota all’unanimità la Risoluzione 1701 per l’immediata
cessazione delle ostilità. Il conflitto cessa il 12 agosto.

2007: 8 febbraio: Mecca. Con la mediazione del sovrano saudita Abdallah, Hamas e Fatah raggiungono un
accordo per la formazione di un governo di unità nazionale. Giugno: la crisi inter-palestinese continua però
ad aggravarsi fino a sfociare in scontri aperti che culminano con la conquista della Striscia di Gaza da
parte di Hamas, mentre in Cisgiordania Fatah accusa il partito islamico di aver fatto un colpo di Stato. Abu
Mazen costituisce un governo di emergenza, guidato da Salam Fayyad, e ritira le sue truppe da Gaza che
rimane sotto il controllo completo di Hamas. Nei mesi successivi Israele dichiara Gaza “entità nemica” e
stringe la Striscia sotto un durissimo embargo, impedendo l’apertura dei valichi, compreso quello di Rafah
al confine con l’Egitto. Novembre: Conferenza di Annapolis (Maryland). Israele e l’ Autorità Palestinese
di Abu Mazen e del premier Salam Fayyad iniziano colloqui di pace con la supervisione degli Usa. Le
trattative però procedono con estrema difficoltà per l’indisponibilità di Israele a discutere i temi chiave
del conflitto: lo status della Palestina, di Gerusalemme e quello dei profughi. Non solo, Israele prosegue
imperterrito la costruzione e l’ampliamento delle colonie in Cisgiordania allo scopo di creare situazioni di
fatto sul terreno che così non potranno essere coinvolte nella trattativa. Le proteste in questo senso della

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Segretario di Stato Usa, Condoleeza Rice, rimangono inascoltate, mentre le concessioni israeliane a Abu
Mazen si limitano alla liberazione di alcuni detenuti con pene in scadenza e di militanti delle Brigate dei
Martiri di Al Aqsa, a condizione che rinuncino alla lotta armata. I colloqui di Annapolis, che promettevano
di portare alla nascita di uno Stato palestinese entro la fine del 2008, non avranno alcun seguito. Il premier
israeliano Holmert è coinvolto in guai giudiziari per corruzione, la ministra degli Esteri Tzipi Lvni prende il
controllo di Kadima e la scadenza dei colloqui di Annapolis diventa impossibile da rispettare, tutto slitterà
al 2009, dopo le elezioni in Israele e la fine del mandato di Abu Mazen.

2008: Gennaio: il durissimo embargo su Gaza spinge Hamas a distruggere tratti della barriera di confine
per consentire alla popolazione di entrare in massa in Egitto per procurarsi generi di prima necessità.
19 giugno: Israele e Hamas siglano una tregua di sei mesi. Il lancio di razzi verso il sud del territorio
israeliano cesserà in cambio della riapertura dei valichi della Striscia di Gaza. E’ una tregua interrotta da
diversi raid israeliani attuati per compiere omicidi mirati di miliziani e da sporadici lanci di razzi da parte di
milizie non direttamente legate ad Hamas. Nel frattempo i confini della Striscia vengono aperti solo di rado
e la popolazione di Gaza continua ad impoverirsi, sfiorando in più periodi un’autentica crisi umanitaria.
Novembre/dicembre: corpi speciali israeliani compiono piccoli attacchi dentro la Striscia, provocando
la reazione di Hamas che, allo scadere della tregua, il 18 dicembre, riprende il lancio di razzi, lasciando
intendere la disponibilità a concordare una nuova tregua se Israele aprirà i valichi e permetterà agli aiuti
umanitari di entrare. 27 Dicembre. Israele lancia a sorpresa l’offensiva “Piombo Fuso”. La Striscia di Gaza
viene bombardata per cinque giorni continuativi e successivamente viene invasa dall’esercito israeliano.

2009: 18 Gennaio. Israele dichiara una tregua unilaterale.Nei 20 giorni di bombardamenti e incursioni a
Gaza sono morte 1335 persone e ci sono stati più di 5000 feriti.

• Risoluzione Onu 242 : Il Consiglio di sicurezza condanna l’acquisizione di territorio tramite la


guerra e chiede “il ritiro delle forze armate israeliane dai territori occupati”, afferma l’ “inviolabilità
territoriale e l’indipendenza politica” di ciascuno stato della regione.
• Risoluzione Onu 338 : Il Consiglio di sicurezza chiede l’immediato cessate il fuoco ad entrambe le
parti in conflitto e stabilisce che,” immediatamente e contemporaneamente al cessate il fuoco,
avranno inizio i negoziati fra le parti interessate sotto gli auspici appropriati, volti a stabilire una pace
equa e duratura in Medio Oriente”.
• Risoluzione Onu 1397: Il Consiglio di sicurezza chiede la “cessazione immediata di tutti gli atti di
violenza, ivi compresi gli atti di terrore e qualsiasi tipo di provocazione, incitamento e distruzione” e
reclama una cooperazione tra israeliani e palestinesi in vista della ripresa dei negoziati.
• Risoluzione Onu 1402: Dopo l’ulteriore e totale occupazione della Cisgiordania, il Consiglio di sicurezza
chiede un “immediato cessate il fuoco e il ritiro delle truppe israeliane dalle cittàpalestinesi”.

______________________________________________________________________________

VITTIME

• Le guerre tra Israele e i Paesi arabi confinanti (1948-1973) hanno causato la morte di
100.000 persone.
• La prima Intifada (1987-1992) ha causato la morte di 2.000 persone in massima parte
palestinesi.
• Dall’inizio della seconda Intifada (28 settembre 2000) al 18 febbraio 2009 hanno
perso la vita 6.650 palestinesi e 1.096 israeliani, altre vittime 79.

(Fonti: www.peacereporter.net e Internazionale n.783/200

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• Z. Sternhell, Nascita d’Israele: miti, storia, contraddizioni, Baldini & Castoldi, Milano 2002
• C. Vercelli, Breve storia dello Stato di Israele, 1948-2008, Carocci, Roma 2008
• Dominique Vidal, Il peccato originale di Israele, Edizioni Cultura della Pace, S. Domenico di
Fiesole (Fi) 1999
• E. Zertal, Israele e la Shoa. La Nazione e il culto della tragedia, Einaudi, Torino2000
• Michel Warschawski, Sulla frontiera, Città Aperta Edizioni, Troina (En) 2003

  80
Bibliografia Letteratura palestinese

* Ainbinder Odelia, Rifa’i Amal, Vogliamo vivere qui tutt’e due, Milano, Tea, 2003

* Al-Khatib Yusuf, Ritornerà con l’estate, ( 1977), in Isabella Camera d’Afflitto( a cura), Narratori arabi
del Novecento, Milano, Bompiani,1994

* Amery Suad, Sharon e mia suocera, Milano, Feltrinelli, 2003

* Amery Suad, Se questa è vita, Milano, Feltrinelli, 2005

* Azzam Samira, Ancora un anno, e Destino, in Isabella Camera d’Afflitto (a cura), Narratori arabi del
Novecento, Milano, Bompiani,1994

* Azzam Samira, Zagharid, in “ Linea d’ombra”,1991

* Azzam Samira, Palestinese! e altri racconti, a cura di Wassim Damash, Roma, Q ,2003

* Bannurah Gamal, Intifada, Racconti, “Bollettariolibri”, 1992

* Blasone Pino, Di Francesco Tommaso (a cura), La terra più amata. Voci della letteratura palestinese,
introduzione di Luce d’Eramo, Roma, Il Manifesto, 1988, edizione aggiornata, 2002

* Camera d’Afflitto Isabella ( a cura), Narratori arabi del Novecento, Milano, Bompiani, 1994

* Camera d’Afflitto Isabella, Letteratura araba contemporanea: dalla nahdah a oggi, Roma, Carocci, 1998

* Chedid Andrée, La casa senza radici, Milano, E/O, 2002

* Colombo Valentina (a cura), Antologia di scrittrici arabe contemporanee, Milano, Oscar Mondadori, 2005

* Dahmash Wassim (a cura ), Palestina fiabe, Roma, Il Manifesto, 1990 ( 2002 )

* Darwish Mahmud, Una memoria per l’oblio, Roma, Jouvence, 1987

* Darwish Mahmud, Perché hai lasciato il cavallo alla sua solitudine?, a cura di Lucy Ladikoff, Genova,
Editrice San Marco dei Giustiniani, 2001. Testo arabo a fronte

* Fathi Makbul (a cura), Fadwa Tuqan attraverso le sue poesie, Roma, Centro Culturale Arabo, 1982

* Genet Jean, Palestinesi, Roma, Stampa Alternativa, 2002

* Ghazy Randa, Sognando Palestina, Milano, Fabbri, 2002

* Giabra Ibrahim Giabra, La nave, Roma, Jouvence, 1994

* Giabra Ibrahim Giabra, I pozzi di Betlemme, postfazione di Wassim Damash

* Habibi Emil, La porta di Mandelbaum, in Camera d’Afflitto Isabella (a cura), Narratori arabi del
Novecento, Milano, Bompiani, 1994

* Habibi Emil, Il Pessottimista, Un arabo d’Israele, Milano, Bompiani, 2002

* Itab Hassan, La tana della iena, Roma, Sensibili alle foglie, 1991

* Jebreal Ruba, La strada dei fiori di Miral, Milano, Rizzoli, 2004

* Kanafani Ghassan, Ritorno ad Haifa. La madre di Saad, Salerno-Roma, Ripostes, 1990; Roma,
Edizioni del Lavoro, 1995

* Kanafani Ghassan, Uomini sotto il sole, Palermo, Sellerio, 1991

  81
* Kanafani Ghassan, Se tu fossi un cavallo, Roma, Jouvence, 1994

* Kanafani Ghassan, La terra delle arance tristi ( 1963), e Solo dieci metri ( 1965), in Camera d’Afflitto
Isabella ( a cura), Narratori arabi del Novecento, Milano ,Bompiani , 1994

* Kanafani G.,Habibi E. ,Bsisu M., Palestina. Dimensione teatro, Salerno-Roma, Ripostes, 1984

* Kanafani G., Habibi E., Fayyadt T., Palestina. Tre racconti, Salerno- Roma Ripostes, 1984

* Khalifa Sahar, La svergognata. Diario di una donna palestinese, Firenze, Giunti, 1989

* Khalifa Sahar, La porta della piazza, Roma, Jouvence, 1994

* Kalifa Sahar, Terra di fichi d’india, Roma, Jouvence, 1996

* Kashua Sayed, Arabi danzanti, Parma, Guanda , 2003

* Kashua Sayed, E fu mattina, Parma, Guanda, 2005

* Khoury Elias, La porta del sole, Einaudi 2004

* Mu’in Bsisu, Poesie sui vetri della finestra, Roma, Stampa ITER, 1982

* Munif Abd Al-Rahman, Gli alberi e l’assassinio di Marzuq, Nuoro, Ilisso, 2004

* Nasrallah Ibrahim, Dentro la notte. Diario palestinese, traduzione e postfazione di Wasim Dahmash,
Nuoro, Ilisso, 2004

* Palestina. Poesia, Palermo Lapalma, 1992, presentazione di B. Scarcia Amoretti

* Poesia dell’Islam, a cura di Gianroberto Scarcia, Palermo, Sellerio, 2004

* Sa’dallah Wannus, I giorni ebbri, Roma, Edizioni Q, 2006

* Salman Natur, Memoria, Roma, Edizioni Q, 2008

* Samih Al-Qasim, Versi in Galilea, Roma, edizioni Q, 2006

* Salem Salwa, Con il vento nei capelli, Firenze, Giunti, 1994

* Shammas Anton, Arabeschi, Milano, Mondadori, 1990

* Souss Ibrahim, Lettera ad un amico ebreo, Milano, Tranchida, 1990

* Souss Ibrahim, Le rose dell’ombra, Milano, Tranchida, 1991

* Souss Ibrahim, Lontano da Gerusalemme, Tranchida, Milano,1994

* Souss Ibrahim, Le rondini di Gerusaleme, Milano, Tranchida , 2002

* Tawfiq Fayyad, Sestina dei sei giorni, in Palestina. Tre racconti, Salerno-Roma, Ripostes, 1984

* Tawfiq Fayyad, I casi della vita, in Palestina. Dimensione teatro, Salerno- Roma Ripostes, 1985

* Tawfiq Fayyad, Selim lo scemo, Salerno-Roma Ripostes, 1990

* Tawfiq Fayyad, Peccati dimenticati, Venezia, Marsilio, 1997

* Tawfiq Younis (a cura), Lo specchio degli occhi. Le donne arabe si raccontano, Torino Ananke, 1998

* Yakhlif Yahya, Il sogno, ( 1974), in Camera d’Afflitto Isabella( a cura), Narratori arabi del Novecento,
Milano, Bompiani,1994

  82
INDICE

Dire la verità è denunciare l’occupazione israeliana 2



Donne in Nero, una rete internazionale di donne contro la guerra 5

Gaza: non c’è pace senza giustizia 6

La guerra di Gaza (mappa) 8

Samih Al-Qasim, I bambini di Rafah (poesia) 9


Voci palestinesi:

1. Morirò anch’io? – lettera di Nour Kharma 11



2. Le prossime generazioni di oppressi – lettera aperta da Nablus - di Raed Debie 12

3. La morale dei cacciabombardieri – lettera da Ramallah - di Mustafa Bargouti 14

Appello – Call for action - di Mustafa Bargouti 18

4. Che cosa ha fatto Israele? - di Eduard W. Said 20

Voci israeliane contro l’occupazione:

1. Marcia dei folli - di Uri Avnery 24



2. Israele è l’occupante. Il resto è menzogna – intervista a Michel Warschawski 28

3. Un grido per fermare lo spargimento di sangue – di Yvonne Deutsch 31

4. Io, artigliere, ho usato il fosforo bianco – di Simcha Leventhal 34

5. Una ricontestualizzazione del conflitto israelo-palestinese – di Jeff Halper 35

Voci di ebrei/e della diaspora:

1. Ascolta, ascolta Israele! – di Stefano Sarfati Nahmad 36

2. Alla mia famiglia israeliana – lettera di Rina Nissim 37

Capire la catastrofe di Gaza – di Richard Falk 39



Più la menzogna è grande... – di Dominique Vidal 42

Petizione universale 46

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Le principali questioni del conflitto israelo-palestinese 47

La perdita di terra palestinese dal 1946 al 2007 (mappa) 48

Piano di spartizione della Palestina del 1947 e Spopolamento dei villaggi 49

palestinesi nel 1948 e nel 1967 (mappe)

Aspettami! – poesia di Samith Al-Qasam 50



Dichiarazione di rifiuto del soldato Omri Evron 51

Cisgiordania e Gaza. Accordi di Oslo e successivi sviluppi: 1993-2000 (mappa) 52

Land in dispute (mappa cronologica) 53



La questione dei rifugiati 54

Palestinian Refugees – Area of UNRWA Operations (mappa) 55

Territori occupati: colonie e avamposti israeliani in Cisgiordania 56

Settlements Established and Evacuated 1967-2008 (mappa) 58



Checkpoint nei territori palestinesi occupati 59

Mappa percorso israeliano/percorso palestinese 60

Avanzi di Palestina nella morsa di Israele (mappa) 61

Il muro 62

Il muro della separazione (mappa) 63

Il muro: immagine 64

Gerusalemme 65

Israeli ring road around occupied East Jerusalem (mappa) 66



Esempio di insediamento a Gerusalemme Est 67

Conseguenze dell’occupazione sulla vita dei Palestinesi 68

Prigionieri palestinesi 70

I detenuti bambini 71

Il problema dell’acqua 72

Water Sources (mappa) 73

Cronologia Israele-Palestina 74

Bibliografia essenziale 80

Bibliografia Letteratura palestinese 81




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