1) Declinata l’identità di classe per la sempre più forte omogeneizzazione sociale delle
società occidentali, l’ancoraggio ai vecchi sentimenti di identità etnica e nazionale
rappresenta gli odierni sentimenti nazionali e nazionalismi nella società post-moderna;
ciò spiegherebbe anche la formazione di così tanti stati dopo il crollo dell’URSS;
IL NAZIONALISMO COME ESPRESSIONE DELLA MODERNITA’: fra gli eventi che più
vengono causalmente collegati con la nascita delle identità nazionali e dei nazionalismi vi son
la nascita dello stato moderno, la rivoluzione francese e la rivoluzione industriale. Questi eventi
sono le condizioni necessarie, anche se non sufficienti, del nazionalismo. Lo Stato moderno,
attua una nuova organizzazione del potere, centralizzata, fondata sul controllo della forza in un
determinato territorio e contribuirà ad alimentare lo sviluppo delle identità nazionali in Europa.
Da queste identità nazionali, nasceranno i nazionalismi, diversi in ogni Paese. La riv. dell’89
porterà delle idee ad imporsi nello scenario europeo. Innanzitutto l’idea dello stato-nazione:
nuova concezione dello stato con il ripudio dei metodi amministrativi tradizionali e il
completamento dello stato unitario attraverso una nuova amministrazione centralizzata
secondo lo spirito giacobino. La riv. sottolineò l’importanza della massa, che con le guerre
napoleoniche assunse un ruolo importante nella costruzione della nazione. Queste idee,
esportate in tutta Europa dalle guerra napoleoniche, mettono radici un po’ ovunque e
alimentano le rivoluzioni nazionali e patriottiche del XIX sec. La politica acquista “pathos
religioso”; la nazione diviene la patria e questa diventa a sua volta la “nuova divinità del
mondo moderno”. La seconda idea importante è che con la riv. francese si diffonde
rapidamente a tutto il continente europeo l’idea di sovranità popolare che impone il popolo
come soggetto politico collettivo in grado di appropriarsi del proprio destino. Questa idea
imprime dei cambiamenti nell’essenza stessa dello Stato che vedrà trasformate le sue fonti di
legittimazione: la legittimità aristo-monarchica, il diritto divino dei re, lasciano il posto a nuove
fonti di legittimazione di fedeltà e lealtà verso la patria e la nazione e si afferma il principio di
coesione nazionale.
Secondo Gellner però la svolta epocale la si ebbe con i processi di industrializzazione e
modernizzazione che hanno profondamente trasformato le società favorendo lo sviluppo di
nazioni e nazionalismi. La nuova società industriale proietta infatti il contesto economico in una
dimensione nazionale e statale, amplia i mercati e gli scambi e fà si che lo Stato possa
condizionare l’attività economica( garante delle regole e guida le operazioni economiche). Il
rapporto tra nazione industrializzazione fu duplice perché non solo l’industrializzazione favorì il
nazionalismo, ma anche il nazionalismo favorì deliberatamente l’industrializzazione perché vide
in esso un mezzo per rafforzarsi, imporsi e attraverso la costruzione dello Stato,
l’autosufficienza economica e potenziamento della forza militare dello Stato stesso. Tuttavia in
un 2° momento lo sviluppo industriale troppo forte non aiuterà lo sviluppo del nazionalismo,
anzì lo penalizzerà: lo sviluppo capitalistico, l’ampliamento dei mercati e i crescenti
condizionamenti dell’economia internazionale imporranno una dimensione dei rapporti
economici che mostrerà in modo sempre più esplicito l’inadeguatezza sia degli stati, come
“gusci” protettivi della competizione economica, sia delle ideologie nazionaliste.
CENTRI E PERIFERIE IN EUROPA: rifacendosi a tutti questi fattori, Rokkan riferendosi all’
Europa attua diverse classificazioni:
1): che tiene conto di periferie esposte all’influenza di un solo centro (Scozia, Galles, Irlanda,
etc..) e periferie esposte a più centri ( di solito 2) che spesso se ne contendono la sovranità (Val
d’Aosta, Alto Adige, etc..)
2) tiene conto di periferie che potrebbero essere definite come “centri mancati” (la Scozia, la
Catalogna) e periferie che sono sempre rimaste ai margini dei centri del potere politico ed
economico.
Le periferie soggette ad un solo centro sono “enclaves” interne a qualche potente entità
statale (Irlanda, Scozia, Galles, Sardegna). Esiste poi un gruppo di regioni europee che viene
inserito tra le periferie interfaccia a ovest (contigue ed esterne) del vecchio impero. Qui sono
incluse tutte le contrapposizioni etno-linguistica ai confini orientali della Francia, le regioni a
nord contese da valloni e fiamminghi, quelle al centro contese tra francofoni e germanofoni,
etc.. poi esistono periferie interfaccia interne al vecchio impero che includono invece tutte le
variazioni linguistiche e dialettali che si fronteggiano, a cominciare da quella fra etnia di lingua
tedesca ed etnia di lingua italiana in Alto Adige. Per finire abbiamo periferie a est del Vecchio
Impero: i paesi baltici (fra russi e baltici, specie estoni e lettoni), la parte occidentale della
Polonia (fra tedeschi e polacchi), l’Istria (tra croati e italiani), etc.. Cosa ha permesso a certe
periferie di resistere con più successo di altre ai tentativi di annullamento da parte dei centri??
Secondo Rokkan diversi fattori:
- Il ruolo delle migrazioni: intense e continue sia in uscita che in entrata, sembrano
contribuire in senso negativo sul mantenimento di uno standard linguistico interno;
- Il ruolo positivo o negativo della Chiesa o delle chiese, sia nella formazione di uno stato
indipendente che nella conservazione di uno standard linguistico interno;
- Più sono grandi le differenze fra centro e periferia riguardo al possesso delle risorse
(economiche e culturali) e più diventa probabile che la periferia perda le sue specificità
culturali e venga assorbita dal centro;
- Le diverse politiche di integrazione dei centri a cui le periferie sono andate soggette;
3) La sostanziale invulnerabilità dei territori europei, costituì per la genesi statale, una
condizione favorevole, dimostrata dal fatto che almeno due terzi dell’Europa era libera
da pressioni esterne, il che rese più facile che territori non immensi potessero sorgere e
consolidarsi anche al di fuori dell’ombra protettiva di un grande potere imperiale.
4) La presenza di una capitale forte e indiscussa si rivelò una condizione fondamentale per
l’aggregazione e l’unificazione.
5) Circostanza importante fu anche l’esistenza di una regione più forte in grado di
assumersi il compito della centralizzazione: la Prussia in Germ., il Piemonte in It., la
Castiglia in Sp.
Queste condizioni ci aiutano a capire il perché l’opzione statale ha vinto sulle altre, ma ci
dicono poco sulle differenze: perché alcuni stati hanno avuto maggiore successo e sono
sopravvissuti fino ad oggi, mentre altri no? A cosa si devono le differenze tra gli Stati quanto a
tempi di formazione, varianti di percorso e fisionomia? Tilly propone alcuni fattori per spiegare
a questi interrogativi e soprattutto spiegano il perché alcune entità statali sopravvivono e altre
no:
1) La disponibilità e l’uso di risorse;
2) La maggiore o minore difendibilità del territorio dagli attacchi esterni;
3) Il ruolo svolto dai grandi statisti come Cromwell, Cavour, etc..
4) La forza militare garantì l’eliminazione di nemici e concorrenti interni, favorì il
consolidamento territoriale, la centralizzazione, l’acquisizione e il consolidamento del
monopolio della forza;
5) Competenza ed efficienza amministrativa;
6) Omogeneità dei sudditi: se c’è tutto è più facile e costa meno. Molte volte il cercare di
dar vita ad una omogeneizzazione portò l’insorgere di resistenze e lo sviluppo di
nazionalismi.
7) Formazione di alleanze fra il potere centrale e il principali settori dell’élite terriera;
8) Le forme di resistenza che i vari poteri locali misero in atto contro lo sviluppo statale,
cercando di ostacolarlo in ogni modo;
Si può dire che i punti 6 e 8 rappresentano terreno di nascita dei nazionalismi. Un insieme di
quesiti riguarda anche le varianti di percorso che la formazione statale ha seguito. Le varianti
di percorso nella formazione degli Stati sono notevoli e implicano sia diversi tempi e sequenze
del processo (alcuni nel XIX, altri nel XX sec.), sia anche diverse modalità di genesi. Una
distinzione fra le diverse modalità di state-building è quella proposta da Rokkan e Urwin, con
una classificazione a 4 voci:
LE 2 TRADIZIONI STATALI DELL’EUROPA: Malgrado tutte queste differenze, una volta che dalla
parte nord-occidentale il sistema statale si diffonde e si consolida nelle altre parti d’Europa, i
diversi stati presentano numerose omogeneità: alla fine predomina un’idea di Stato
caratterizzata dalla concezione di una sovranità forte e indivisibile, con un tipo di
organizzazione del potere su base territoriale, concentrato e unica vera fonte di ogni autorità.
Si può affermare con certezza che non fu la rivoluzione francese a “inventare” lo stato
nazionale moderno. Essa ne ha segnato solamente il momento culminante di sviluppo. Le radici
dello stato nazionale stanno nell’assolutismo, cioè in quei principi di centralizzazione, gerarchia
e statalismo che vengono opposti alla realtà frammentata e corporativa della società tardo
feudale. Un tentativo di classificare le relazioni fra stato e nazione è quello di distinguere fra
stati nazione e nazioni stato. I primi si caratterizzano per la loro omogeneità culturale interna: i
confini della nazione coincidono sostanzialmente con le frontiere dello stato, le minoranze
relativamente piccole e politicamente “poco intense”. Le nazioni stato sono invece entità
multiculturali o multinazionali, dove però le nazioni non ambiscono a formare propri stati-
nazione, e nelle quali accanto alle singole identità locali, convivono un’identificazione e una
lealtà comuni verso lo stato, a prescindere dal gruppo di appartenenza. Nessun gruppo
rilevante mette in dubbio lo Stato e tutti credono nei simboli che lo rappresentano. All’interno
dei 2 gruppi le variazioni sotto il profilo della struttura statale possono essere ampie: ci
possono essere stati-nazione con una struttura unitaria (Francia), con forme di autonomia
speciali (Alto Adige, le regioni a statuto speciale). Anche tra le nazioni-stato possiamo trovare
forme più forti di federalismo (Svi) o meno forti (SP.). Ultimamente politicamente ci si sta
spingendo verso il federalismo, soluzione più applicabile sia per lo Stato stesso che per i vari
localismi e regionalismi. Prima ciò che spingeva al centralismo erano le guerre.
LA SOLUZIONE FEDERALE: assetti federativi risalgono al Sacro Romano Impero e agli Imperi più
recenti. Si può dire che la formazione di patti federativi ebbe più spesso origini difensive: es. la
lega fra le città dell’Antica Grecia. Oltre alla difesa esistono altre ragioni che danno vita ad
assetti federativi: ottenere vantaggi economici; il moltiplicarsi di legami culturali, religiosi o
etnici; la contiguità geografica; un allargamento dell’elite; un bisogno di maggiore efficienza;
tutte le definizioni di federalismo fanno riferimento all’esistenza di un patto di convivenza a
base della comunità politica. L’esistenza di un patto implica la presenza di attori che si
considerano uguali e che si uniscono liberamente e volontariamente, vincolandosi a un insieme
comune, pur conservando le proprie integrità, un grado di autonomia e una quantità rilevante
di sovranità interna. DEFINIZIONE SECONDO RIKER DI FEDERALISMO: è un’organizzazione
politica nella quale le attività di governo sono divise tra governi regionali e un governo
centrale, in modo tale che ciascun governo abbia settori di competenza sui quali possa
assumere decisioni definitive. Ne deriva che una costituzione è federale se: a) uno stesso
territorio e una stessa popolazione sono soggetti ad almeno due livelli di governo; b) ogni
livello dispone di almeno un’area di competenza e di azione nella quale gode di autonomia; c)
tale sfera di autonomia è garantita a livello costituzionale;
Per attuare una buona distinzione dei federalismi non solo bisognerà dividerli tra centralizzati e
decentralizzati, ma bisogna tener conto anche di questi criteri di differenziazione:
- In base al percorso che ha portato alla formazione degli stati federati e alle modalità con
cui si è arrivati a stringere il patto federale ( per aggregazione volontaria di più entità
politiche autonome, per trasformazione di uno stato unitario( per evitare la
disintegrazione dello Stato lo si decentralizza ), per imposizione militare (imponendo
militarmente almeno un’unione federale di entità statale);
- In base al fatto se alle sottounità federate sono attribuite le medesime funzioni (feder.
Simmetrico: USA, Germania, Svizzera, etc..) o funzioni differenziate (feder. Asimmetrico:
Spagna, Belgio);
- In base all’influenza esercitata sulle istituzioni federali dal sistema partitico (secondo
Riker l’azione dei partiti può contribuire in grande misura ad armonizzare o a rendere
discordanti le politiche degli attori governativi centrale e periferico. Si possono avere
due estremi: uno dove si ha lo stesso partito che controlla sia i governi federali che
quello centrale: in questo caso si ha una organicità politica e diminuiscono i rischi di
conflitto fra i diversi livelli di governo. Oppure possiamo avere un partito che governa il
centro e un altro che governa gli stati federati: in questo caso le politiche saranno
sicuramente tutt’altro che armoniche: es. Germania degli anni ’90);
DALLO STATO ALLA NAZIONE: IL NAZIONALISMO DEGLI STATI: dunque a partire dalla
decadenza del Feudalesimo nascono nell’Europa occidentale le prime grandi esperienza statali.
In questa traiettoria sono gli stati a dar vita alle nazioni. Dunque una volta nati, a partire dalla
fine del ‘700, gli Stati scoprono l’urgenza di formare o rafforzare un’identità nazionale per
irrobustire la legittimità interna, a sua volta per rafforzare lo stato stesso. Tali obbiettivi sono
perseguiti in maniere differenti: assimilazioni, deportazioni, colonizzazioni, pulizie etniche,
genocidi e con esiti diversi. A caratterizzare questo percorso sta il fatto che il processo di
formazione statale non riceve la spinta determinante dalle azioni di una nazione preesistente,
ma da altre circostanze, quali ambizioni dinastiche, guerre interne, sviluppo di strutture
amministrative, alleanze militari sorte per fronteggiare nemici comuni. L’incontro dello Stato
con la nazione produrrà 3 esiti diversi: 1) stati-nazione; 2) assenza di coincidenza tra stato e
nazione; 3) stati il cui sforzo di costruire una nazione fallisce; il 2° scenario prevede a sua volta
3 possibili varianti: a) lo stato include altre nazionalità, oltre a quella maggioritaria che
mantiene un netto predominio; b) lo stato include varie nazionalità, ma conserva una sua
stabilità grazie a forme di compromesso; c) lo stato possiede confini che non includono l’intero
gruppo nazionale che lo ha costituito: il processo di state-building dunque è incompleto e una
cospicua parte della nazione è rimasta fuori dei confini. Queste differenze di esito possono a
loro volta essere messe in relazione con le origini e i percorsi diversi che portano alla
costruzione dello Stato: in particolare lo stato può nascere: a) da politiche militari,
amministrative e di assimilazione- integrazione che caratterizzano l’espansionismo di un centro
che ingloba le periferie (es. Francia); b) dall’aggregazione di più centri di potere e sovranità
territoriali; c) dalla disgregazione imperiale;
DALLA NAZIONE ALLO STATO: IL NAZIONALISMO DELLE NAZIONI: i casi che rientrano in questo
2° tipo di sequenza variano in base ai tempi che distanziano la formazione dello stato da quella
(precedente) della nazione. Bisogna attuare un bipartizione tra: 1) nazioni storiche: con
tradizioni che risalgono a un passato spesso anche remoto, che talvolta ha come riferimento
esperienze istituzionali proto statali; 2) nazioni di più recente costituzione e alla ricerca di un
proprio passato comune; in entrambi i casi le nazioni sono frutto della storia e sorgono senza il
supporto di uno Stato. Come si è visto per gli Stati nella formazione delle nazioni, anche per
queste può variare il grado di successo ottenuto nella formazione di una propria entità statale:
successo pieno della nazione che riesce a coincidere con lo Stato; successo parziale, che non
vede realizzata tale coincidenza (lo stato include più nazionalità o solo una parte della nazione
principale); il caso della nazione che fallisce l’obbiettivo di costruire uno stato autonomo e che
sono ancora parte di stati più grandi;
I CONFINI DELLO STATO COINCIDONO CON QUELLI DELLA NAZIONE: a questo caso rientrano
Italia e Germania. Qui i processi di formazione della nazione iniziano a svilupparsi molto tempo
prima di quelli che portano all’unificazione politica e amministrativa. Le culture e lingue italiana
e tedesca iniziano a svilupparsi in aree specifiche 4-5 secoli prima della costituzione dei relativi
stati, contribuendo a sviluppare una “nazione culturale” sempre più cosciente e politicamente
rilevante. La formazione statale italiana viene attuata dal nord economicamente sviluppato e
progredisce soprattutto grazie a un combinato di azione diplomatica e operazioni militari contro
l’Impero Austro-ungarico e gli stati pre-unitari, ma dopo l’unificazione dovrà fare i conti con
l’ostilità delle regioni povere del sud e l’opposizione della Chiesa alla formazione di uno stato
italiano unito e sviluppato. Qui non si costituiscono formazioni partitiche su base territoriale
dopo l’indipendenza, grazie alla presenza dell’opposizione della Chiesa. Tutte le diffidenze
contro lo Stato liberale si sono incanalate nell’opposizione della Chiesa. La situazione in
Germania invece era molto diversa: contraddistinta dalla presenza del Sacro romano Impero.
Le cose cominciarono a cambiare quando nel 1806 finisce ufficialmente questo Impero, il
Congresso di Vienna pose al suo posto una confederazione di 39 polities sovrane e molto
diverse tra loro e man mano che la Prussia cominciò ad aumentare la sua dimensione statale.
Nei territori tedeschi non c’era tanto un problema di indipendenza, quanto più di unità, anche
se la domanda di quest’ultima finì per collegarsi alla domanda di libertà. Nazionalismo e
liberalismo cominciarono ad andare di pari passo in Germania. Popolazioni tedesche fuori dalla
Confederazione erano in Svizzera, in Alsazia, nel Regno D’Ungheria e nei territori baltici. L’unità
oltre che da un’identità nazionale in crescita, fu sollecitata da un desiderio di semplificazione
che abbattesse finalmente la proliferazione di pesi, misure, valute, controlli doganali che
apparivano sempre più anacronistici. L’unificazione poi si concretizzò con l’arrivo di Bismarck,
aiutata dal fatto che nel frattempo si era ottenuta in Germania una standardizzazione culturale
e l’affermazione della lingua tedesca. Perché però Stati nati contemporaneamente hanno
adottato modelli istituzionali diversi? Rokkan richiama l’attenzione sulle differenze nel processo
di unificazione e in particolare sul diverso tipo di rapporti che si instaura fra il centro
aggregatore e le altre regioni che accettano di unirsi al nuovo Stato. Innanzitutto in Germania
vi era una situazione di equilibrio maggiore, con una regione più forte militarmente (la Prussia)
e le altre regioni meno forti militarmente, ma più urbanizzate e sviluppate industrialmente e
perciò si ha avuto più naturalmente uno sbocco federale. In Italia invece i rapporti sono più
squilibrati a favore del centro aggregatore (più forte sia militarmente che economicamente e
più urbanizzato), il quale sa che per promuovere l’unione deve prima sconfiggere militarmente
gli stati pre-unitari presenti che si oppongono all’unione e governati da elites politiche del tutto
inutilizzabili in un progetto d’unione federale. Ciò porterà a un assetto unitario centralizzato.
Le conseguenze di queste differenze sono molte: la presenza di un nord economicamente e
culturalmente progredito in Italia, ha comportato la resistenza del sud e delle regioni più
povere, che dopo un’iniziale accoglienza favorevole, hanno cominciato a guardare i funzionari
statali come usurpatori. L’efficienza centralizzatrice dei prefetti e funzionari “piemontesi” ebbe
la meglio, anche se la differenza tra nord e sud si fece sempre più forte, scarsa
omogeneizzazione nel sud, carenza di senso dello stato, difficoltà nel processo di
nazionalizzazione. Si ebbero problemi poi con la Chiesa, per del tempo opposta alla creazione
dello stato liberale. Anche lo stato tedesco dové affrontare delle difficoltà con la Chiesa, ma
non come l’Italia, la quale aveva strappato dei territori alla Chiesa. A questo caso possono
rientrare anche la Grecia e l’Islanda: per quanto riguarda la Grecia il tempo che passa dalla
prime rivendicazioni nazionaliste e una prima entità statale passa un tempo relativamente
breve. Esse infatti si manifestano a partire dal 1821 e nel 1830 con il Protocollo di Londra si
instaura un primo Stato greco indipendente. Bisogna dire però che il processo state-building
greco è un processo a tappe che viene quasi concluso solamente nel 1945, anche se rimane
aperta tutt’ora la questione di Cipro, che ancora oggi, in parte è fonte di tensioni etno-
nazionali. Invece l’Islanda matura gradualmente una propria identità nazionale anche grazie a
una serie di fattori specifici: a) fattore geopolitico: la lontananza dal continente, le difficoltà
delle comunicazioni, la scarsità dei vantaggi e la condizione di periferia fanno dell’Islanda una
regione poco appetibile alla conquista straniera e favoriscono l’autonomia e l’indipendenza; b)
fattore linguistico: fin dal Medioevo si afferma una lingua standard e proprio ciò ha fatto si che
questa comunità isolana fosse immune a ogni tentativo esterno di sottomissione culturale; c)
fattore economico: territorio scarsamente attraente per le grandi potenze; d) fattore storico:
per il suo passato l’Islanda può essere definita una nazione “storica”, con proprie strutture di
rappresentanza, un codice di leggi e una società civile indipendente; f) forte caratterizzazione
nazionale della classe dirigente e amministrativa. Anche sotto la corona danese o norvegese le
élites locali erano sempre islandesi. A questo caso rientrano anche nazioni (o Stati) dell’Europa
Orientale, anche se i loro processi furono molto più controversi, in quanto l’imposizione di
standard linguistici e culturali deve fare i conti con i molti ostacoli che si frappongono alla
nascita di aree etnicamente e culturalmente omogenee. Infatti il maggiore intreccio etnico, la
più accentuata debolezza delle varie nazioni e l’arretratezza economica e amministrativa delle
regioni sotto il dominio ottomano, rendono più difficile ai vari ceppi etnolinguistica arrivare a
predominare nel territorio e assai più impervio il cammino verso la formazione di strutture
statali. Malgrado questo scenario di maggiore debolezza, alcune nazioni storiche riescono a
emergere: Polonia, Ungheria, Boemia, Romania e in parte Croazia.
LA MANCATA COINCIDENZA DELLA NAZIONE CON LO STATO: l’assenza di coincidenza fra stato
e nazione è molto comune sia nelle esperienze statali frutto di mobilitazioni nazionali, sia in
quelle sviluppatesi prima che ogni mobilitazione nazionale avesse luogo. L’assenza del risultato
“uno stato, una nazione” è il frutto del fallimento o della non messa in atto di queste politiche:
di assimilazione e integrazione che incrementano gli atteggiamenti di lealtà, oppure da
politiche di secessione e amputazione territoriale o nei casi estremi di pulizia etnica. Se ciò
non avviene avremo questi 3 scenari: 1) la nazione che è stata il motore della mobilitazione
che ha prodotto lo stato ottiene l’assegnazione di confini che includono altre nazionalità che
non hanno partecipato al movimento nazionale, ma che lo hanno subito quando non addirittura
osteggiato (caso della Jugoslavia, Cecoslovacchia, Romania); 2) la mobilitazione che porta alla
nascita dello stato è condotta da più nazioni e lo Stato che si forma è multinazionale, cioè
include più nazionalità senza che vi sia da parte di una di esse un reale predominio politico:
nessuna nazione ha potuto o voluto predominare e il successo è misurabile solo in base alla
capacità di convivenza nel lungo periodo delle componenti nazionali che hanno dato vita allo
stato Belgio, Svizzera; c) la mobilitazione nazionale ottiene un successo parziale e il nuovo
stato include solo una parte della nazione protagonista del processo di state-building (caso
dello stato incompiuto Albania, Irlanda, Ungheria). Tuttavia si può affermare che il maggior
intreccio etnico è la causa prima dell’assenza di omogeneità nazionale di alcuni stati sorti
seguendo questo percorso: è la causa prima di mancata coincidenza tra Stato e nazione. I
processi mobilitazione nazionalista che condizionano lo state-building nell’Europa centro –
orientale attraversano 3 fasi distinte: 1) il nazionalismo romantico liberale del XIX secolo che
porta alla costruzione di alcune prime entità statali, per lo più a spese dei grandi imperi; 2) il
riassetto degli stati in seguito alla Prima Guerra Mondiale e alla rivoluzione bolscevica con la
nascita di nuovi stati come la Polonia, Ungheria, Cecoslovacchia e soprattutto con l’aggravarsi
del problema delle minoranze. Due in particolare furono gli elementi che contribuirono alla
drammatizzazione del problema delle minoranze per 2 motivi: il primo si ebbe con i trattati di
pace nei quali si utilizzarono criteri del tutto estranei alla logica dell’omogeneità etnica,
attribuendo pezzi di territorio sulla base dell’importanza strategica, della presenza o no di vie
di comunicazione, o per una presunta appartenenza storica. Il risultato fu che si ebbero degli
stati arlecchino. Il 2° fattore che contribuì a drammatizzare la questione fu che all’istituzione
dei nuovi stati seguì la crescita di un nazionalismo di stato proteso all’esaltazione delle sue
componenti maggioritarie interne e ostile verso le altre: fu quasi una scelta inevitabile quella
dei regimi dell’Europa centro – orientale di accentuare i toni nazionalistici al fine di costruire o
rafforzare la lealtà al nuovo stato. Fu utilizzato anche il metodo della pulizia etnica in molti
stati. Il metodo del predominio fu presente e utilizzato anche dopo la seconda g. m.; 3)la
rifondazione del sistema degli Stati in seguito al crollo del comunismo dopo l’89 e delle
repubbliche federali multinazionali sovietica, jugoslava e cecoslovacca. Anche per l’Europa
orientale il risveglio dei nazionalismi significava una rivoluzione culturale che passava
attraverso il rafforzamento delle lingue nazionali.
Sempre all’interno dei casi di assenza di coincidenza fra stato e nazione, troviamo il sottotipo
che vede uno Stato comprendere più nazionalità su base paritaria: né predominio di una
nazione sulle altre, né omogeneità nazionale interna. A questo caso appartengono il Belgio e la
Svizzera. Per quanto riguarda il Belgio, esso diviene uno Stato indipendente, unitario e
centralizzato sul modello francese nel 1830, con predominio francofono, senza che la
suddivisione fra fiamminghi e valloni costituisca inizialmente un ostacolo. In seguito la
politicizzazione della divisione linguistica e le conseguenti rivendicazioni nazionaliste
avvennero per 3 fattori: a) la libertà linguistica, affermata anche dalla prima costituzione dello
Stato, finì per favorire un’identità regionale e soprattutto la crescita di aspettative da parte dei
fiamminghi; b) l’industrializzazione rese sempre più evidenti i costi per i fiamminghi della
disparità linguistica e del diverso trattamento riservato alle 2 lingue; c) il suffragio universale, a
partire dal 1893, rese coscienti i fiamminghi della loro rilevanza demografica. Il nazionalismo
fiammingo non costituì un’opposizione politica significativa fino a dopo la Seconda Guerra
Mondiale.
Infine la mancata coincidenza tra Stato e nazione si realizza in quegli stati che finiscono per
contenere solo una parte della nazione artefice dello Stato: Albania, Irlanda e Ungheria. Per
quanto riguarda l’Albania, esso è contraddistinto da una forte arretratezza economica, sia per
una struttura di tipo tribale e clanico, la cui unità di base fondamentale è costituita da un
nucleo familiare molto ampio sul modello patriarcale. In queste condizioni alle quali va
aggiunta l’assenza di una piccola e media borghesia, il processo di nation-building appare a
uno stadio assai più arretrato rispetto a quello di altri popoli balcanici. Anche la lingua è
ancora ben lontana dal costituire un elemento unificante: ci sono diversi dialetti e diversi
alfabeti utilizzati. Inizialmente le rivolte contro gli ottomani erano dovute a motivi di
insoddisfazione (tasse, privilegi negati, etc..), mentre solo più tardi queste rivolte cominciarono
ad assumente un carattere nazionalista per 3 motivi: 1) anche in Albania comincia a soffiare
quel vento che già da tempo spira nelle regioni vicine e che punta alla formazione di stati
indipendenti contro l’oppressione imperiale; 2) crescente consapevolezza degli albanesi
dell’evidente indebolimento dell’Impero, non più in grado di impedire quella che ormai appare
come una disgregazione inevitabile; 3) l’Impero ottomano è soggetto a un’intensa ondata
interna di nazionalismo; con le rivolte del 1910-11 non ottengono grandi risultati da un punto di
vista militare, ma certamente approfondiscono il solco con le autorità centrali e aumentano
l’unità interna. Tuttavia sono il ritardo e la debolezza del nazionalismo albanese rispetto agli
altri nazionalismi balcanici a decretare la nascita di uno stato albanese incompiuto, che lascia
fuori un’ampia porzione di popolazione. Gli albanesi dunque attuano un processo di state-
building concluso solo a metà: oltre mezzo milione di albanesi restavano fuori dai confini e
l’assegnazione del Kosovo alla Serbia dava inizio a un altro grande contenzioso del XX. Per
quanto riguarda l’Irlanda, essa appartiene al caso della mancata coincidenza tra Stato e
nazione in quanto contiene solo una parte della nazione artefice dello Stato, per il fatto
dell’Irlanda del Nord. Uno dei caratteri più interessanti e singolari del nation-building irlandese
è il fatto che la nascita del movimento nazionalista va di pari passo con il declino della lingua
nazionale. Il gaelico comincia ad indebolirsi con l’arrivo dell’occupazione inglese. Quando la
Lega gaelica lanciò una campagna in favore della lingua (fine ‘800) era già tardi, la lingua era
morente e non poteva più affermarsi come un elemento di identità. Dopo il 1922, il simbolismo
identitario irlandese è stato alimentato dall’idea della nazione divisa e dell’incompiutezza
dell’indipendenza.
FATTORI INTERNAZIONALI E FATTORI INTERNI: esistono 2 traiettorie dalle quali può scaturire il
Nazionalismo: 1) STATO NAZIONALISMI NAZIONI; 2) NAZIONI NAZIONALISMI STATI; In
quali contesti e a quali condizioni il nazionalismo ha minori probabilità di svilupparsi? La tesi
centrale di questo capitolo è questa: mentre il tipo di sequenza ci aiuta a spiegare i vari tipi di
nazionalismo, è il grado di vicinanza fra i processi di formazione della nazione e dello stato, poi,
che ci fa capire meglio i diversi gradi di intensità dei nazionalismi. In particolare, quando la
formazione dello stato e quella della nazione sono vicine o addirittura contemporanee, il
fenomeno del nazionalismo ha più più probabilità di essere episodico, breve, senza grandi
possibilità di attecchire e svilupparsi in modo drammatico (i Paesi Scandinavi). Quando invece il
divario temporale fra i due processi è maggiore, accrescono le probabilità che esso alimenti ed
esasperi le aspirazioni e le frustrazioni nazionalistiche, contribuendo allo sviluppo di movimenti
che pongono tali questioni in primo piano e modellando su tali basi la mobilitazione politica.
Tuttavia bisogna sottolineare anche il caso dello “stato incompiuto”: in particolare si può dire
che a parità di tutte le altre condizioni, quanto più lo state-building procede a tappe, lasciando
ogni volta terre irridente da liberare, tanto è più probabile che il fenomeno nazionalista continui
ad avere nuova alimentazione (es. Irlanda e Grecia). Inoltre il nazionalismo deve tener conto
della variabile internazionale, in quanto in molteplici occasioni le potenze regionali hanno
impedito od ostacolato la nascita di nuove entità statali. Di solito le condizioni internazionali più
favorevoli alla nascita degli stati sono quelle che si verificano nei momenti di transizione da un
equilibrio di potenza a un altro. Nel ‘900 si è verificato ciò, con la conseguente trasformazione
nell’assetto statale europeo, in almeno 3 occasioni: alla fine delle 2 guerre mondiali e in
seguito al crollo del blocco comunista. Quando il contesto internazionale si disinteressa a
mutamenti statali è perché in quella zona non ci sono interessi strategici e interessi in generale
(es. Paesi Scandinavi). Altre volte i nazionalismi per avere successo, devono anche costruirsi,
con l’aiuto di un’intensa attività diplomatica, un ambiente internazionale favorevole (es.
Cavour). Sugli esiti poi infine contribuiscono anche altri 2 fattori: 1) l’influenza degli altri
cleavages che possono sovrapporsi alla contrapposizione etnica e territoriale, aggravandola ed
esasperandola, oppure possono intersecarla, attenuandola o rendendola addirittura ininfluente;
2) i processi di democratizzazione che si diffondono in Europa a partire dagli inizi del XX secolo
e che interferiscono in vari modi con lo sviluppo e la fisionomia dei nazionalismi.
REGIME POLITICO E NAZIONALISMO: QUALE RELAZIONE?: Dando per certo il dato che i
nazionalismi sono presenti in qualsiasi tipo di regime politico, democratico e non, e assumendo
dunque il tipo di regime come la variabile indipendente, la relazione con il nazionalismo può
esser vista da 2 diverse prospettive: 1) se e in che misura esiste un ruolo di influenza del
regime nei confronti dello sviluppo di una frattura territoriale; 2) se, assunta l’esistenza di una
frattura territoriale, esiste un qualche ruolo del regime politico nella perpetuazione del conflitto
o nella risoluzione del conflitto. Come rispondere alla prima domanda: si può pensare che un
assetto democratico alimenta le aspirazioni e la visibilità di micro nazionalismi alla ricerca di
legittimità. Non sempre la liberalizzazione e la democratizzazione sono le strade più giuste per
evitare conflitti nazionalisti. Anzi talvolta esse creano più problemi. Ma ugualmente si potrebbe
pensare che la democrazia, proprio perché consente la libera espressione delle idee e del
dissenso, sia l’unico regime in grado di prevenire la formazione dei nazionalismi o di offrire
soluzioni pacifiche ai conflitti che li alimentano. Ugualmente la chiusura di un regime politico
potrebbe dar vita a queste due possibilità: soffocamento dei nazionalismi o una loro eruzione.
Per quanto riguarda la 2° prospettiva emerge un’ulteriore domanda: è possibile alla luce della
storia dell’ultimo secolo, stabilire quale regime politico si sia dimostrato più capace di dare una
soluzione a tali conflitti? Sicuramente a questa domanda si potrà rispondere dicendo che è il
regime democratico quello più adatto per dare una soluzione a tali conflitti. I nazionalismi,
come abbiamo già detto, sono presenti in regimi sia democratiche non, e ciò fa capire che non
dipendano tanto dalla fisionomia del regime politico, ma dagli eventi interni e internazionali
che hanno determinato la formazione dello Stato. Ecco alcuni esempi di state-building
all’origine di alcuni dei più noti conflitti nazionalisti:
- La formazione dello Stato belga nel 1830;
- L’esclusione del Kosovo dal nuovo stato albanese nel 1912;
- L’assegnazione del Sud Tirolo all’Italia alla fine della Prima Guerra Mondiale;
- La proclamazione della Repubblica irlandese priva delle contee del nord-est, rimaste alla
G.B;
Alle origini dei conflitti, dunque, stanno decisioni e scelte politiche interne e soprattutto
internazionali prese da singoli stati e dalla comunità internazionale. Dunque l’eventuale cambio
di regime non fa certo venir meno le ragioni profonde di questi conflitti. Più in dettaglio il
rapporto regime-nazionalismo può essere visto secondo 3 diverse configurazioni. La prima è
quella di stati a democrazia consolidata che vedono sorgere (o risorgere) al loro interno un
contrasto etno-nazionale (es. l’Italia della prima repubblica con la questione altoatesina,
riesplosa nel corso degli anni ’60); la seconda configurazione è quella di stati nei quali esiste
una discontinuità di regime, un alternarsi di fasi di democrazia con fasi di autoritarismo o
totalitarismo. Questa 2° configurazione è importante perché confrontiamo le politiche in
relazione allo stesso problema attuate da diversi tipi di regime politico nello stesso stato e da
regimi politici analoghi in stati diversi. La tendenza dei regimi non democratici sarà di
neutralizzare il conflitto scaturito dalla frattura territoriale e di avviare una politica di
nazionalizzazione a vantaggio del gruppo nazionale dominante. Mentre i regimi democratici
tenderanno a raggiungere dei compromessi e dare qualche forma di autonomia o concessione.
Con il passaggio da un regime non democratico a uno democratico sembra che la democrazia
vivacizzi il conflitto o che addirittura lo incoraggi. In realtà, è solo che la questione entra
ufficialmente nell’agenda politica, mentre prima ne era esclusa o veniva trattata segretamente,
con politiche repressive. Infine è proprio l’immagine di persecuzione che le minoranze si
portano dietro a obbligare i nuovi attori politici a prenderne in considerazione le rivendicazioni,
anche per sottolineare la discontinuità col precedente regime; la terza configurazione è quella
della discontinuità statale: stati nuovi formatisi dallo sfaldamento di un’entità statale
multinazionale, nei quali si presenta il problema della ridefinizione dei rapporti con le
componenti etno-linguistiche interne (es. Estonia, Lituania, nuova Jugoslavia, etc..);
REGIME E SOLUZIONE DEI CONFLITTI NAZIONALISTI: Si può affermare che la sovranità delle
periferie marginali è stata il prodotto di alleanze dinastiche, di accordi diplomatici e degli esiti
delle guerre. A partire dalla fine del XVIII secolo la diplomazia si è sempre più avvalsa di
referendum e plebisciti, come strumenti per sancire l’appartenenza di una certe regione a
questo o quello stato o per decidere i confini di determinati territori. Questo strumento era
stato introdotto durante la rivoluzione francese. In generale i referendum avrebbero dovuto
suggellare il diritto delle popolazioni all’autodeterminazione, ma la loro utilizzazione subì in
molti casi manipolazioni o servì semplicemente alla legittimazione di regimi totalitari: Hitler
legittimò con un plebiscito l’annessione dell’Austria nel 1938. Nella seconda metà del ‘900, il
solo strumento del plebiscito, alla luce anche delle vicende precedenti, appariva sempre più
inadeguato in quanto suscettibile di manipolazioni e a sua volta generatore di nuovi problemi.
Iniziò a farsi strada l’idea che la soluzione dei conflitti interetnici all’interno degli stati dovesse
prevedere anche soluzioni di tipo istituzionale, vale a dire di compromessi che contemplassero
in ogni loro parte garanzie per tutte le componenti etno-linguistiche presenti sul territorio al
fine di evitare il sorgere di nuovi conflitti al posto dei vecchi che si cercava di risolvere. Nel
Giura svizzero, il principio dell’autodeterminazione e della consultazione dei cittadini interessati
non viene mai abbandonato. Più complicato il contenzioso in Belgio. Furono 4 le tappe
fondamentali che hanno portato all’adozione della costituzione federale. La prima, con le
riforme del 1970, stabilisce l’esistenza di 2 comunità culturali e di 3 regioni economiche
(Fiandra, Vallonia e area di Bruxelles). Inoltre furono adottati alcuni provvedimenti di natura
consociativa (parità linguistica nel governo, creazione di gruppi linguistici nelle 2 camere del
Parlamento, maggioranze qualificate per leggi riguardanti questioni regionali e culturali). La
seconda tappa si compie con le riforme del 1980, che creano la comunità germanofona e
attribuiscono alle regioni poteri legislativi ed esecutivi. La legge speciale del 12 gennaio 1989
chiude poi la terza tappa, istituendo la terza regione nell’area di Bruxelles, anch’essa con un
suo legislativo e un esecutivo, ampliando i poteri. Con le riforme del 1993-94 si stabilisce
definitivamente la natura federale dello stato belga. Bisogna sottolineare 3 particolarità del
caso belga:
- Le contrapposizioni nazionaliste interne si formano una volta costituito lo stato, a
seguito della graduale presa di coscienza della componente fiamminga e poi, per
reazione, dei valloni;
- Nelle 2 aree territoriali contrapposte non si sviluppano insediamenti del gruppo etnico
antagonista: i valloni e i fiamminghi “sono padroni assoluti in casa propria” e ciò rende
più semplice il compromesso;
- Almeno fino ad un certo periodo, il peso della variabile internazionale non sembra
operare in modo forte in favore di una soluzione del conflitto;
Inoltre è importante dire che il conflitto è più difficilmente sanabile quando il territorio dove
risiede la minoranza ha visto formarsi col tempo insediamenti di gruppi appartenenti alla
maggioranza etno-linguistica dello stato o comunque ad altro gruppo antagonista. In questo
caso subentra la paura di diventare col tempo minoranza o addirittura di vedersi estromettere
da quella che tradizionalmente è considerata la propria terra. Ogni atto del governo centrale
verrà visto con sospetto. Caratteri, dimensioni e obbiettivi della mobilitazione nazionalista sono
fortemente influenzati da questa condizione: quanto più il movimento nazionalista è “padrone
in casa propria” e non si sente minacciato, tanto più sarà disponibile a forme di aggiustamento
che salvaguardino l’autonomia della sua regione; quanto più invece si sente minacciato dalla
presenza di altri gruppi in grado di insidiare la sua posizione di predominio nella regione, tanto
più le sue rivendicazioni e le sue politiche tenderanno a essere condizionate dall’intransigenza
e dal sospetto. Per quanto riguarda la variabile internazionale, vanno fatte due considerazioni:
innanzitutto data la posizione della G.B nel sistema degli stati e date anche le sue antiche
tradizioni parlamentari, la sua credibilità democratica non è mai stata messa seriamente in
dubbio dalla comunità internazionale a causa delle vicende dell’Irlanda del Nord. L’entrata della
G.B. nella Comunità Europea dà al conflitto nordirlandese una visibilità maggiore che in passato
e accresce le pressioni sul governo britannico perché trovi una soluzione. Una premessa alla
fine del disinteresse internazionale per la questione nordirlandese è il conseguimento
dell’indipendenza da parte della Repubblica d’Irlanda. Infatti la percezione dell’incompiutezza
dello state-building e l’attrazione che la nuova repubblica indipendente esercita sulla
popolazione cattolica delle contee del nord proiettano il conflitto nordirlandese in una
dimensione interstatale e internazionale mai avuta in precedenza. Il successo poi conseguito
dalla più recente attività di sensibilizzazione internazionale avviata dai nazionalisti
nordirlandesi, soprattutto dal leader del SDLP John Hume, sia nei confronti degli Usa che dei
Paesi della Comunità Europea, è importante da ricordare. Questi fattori aggravanti, uniti alla
lunga scia di violenze e di sangue, hanno reso il processo di pacificazione in Irlanda del Nord
lungo, faticoso e tutt’altro che lineare.