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Conservatorio di Musica “A.

Casella” – l’Aquila
Biennio sperimentale A.A. 2004-2005

Analisi delle forme compositive


(prof. Sergio Prodigo)

Il “Sopravvissuto di Varsavia”

INTRODUZIONE
Schönberg compose A Survivor from Warsaw in pochi giorni, tra l’11 e il 23 agosto 1947,
su commissione della Koussevitzky music Foundation; la prima esecuzione (cui l’autore
non poté assistere per motivi di salute) fu diretta da Kurt Frederick ad Albuquerque (New
Mexico) nel novembre 1948 e suscitò una enorme impressione, che si ripeté alla prima
europea, diretta a Parigi da René Leibowitz. Racconta Leibowitz in una testimonianza del
novembre 1949: “Quando avevo diretto la prima esecuzione europea del Sopravvissuto di
Varsavia, venne da me un ascoltatore e disse: “Si sono scritti interi volumi, lunghi saggi,
molti articoli su questi problemi, ma Schönberg in otto minuti ha espresso molto di più di
quanto finora chiunque abbia saputo fare”. Infatti in questi pochi minuti di musica, che non
hanno perso nulla della loro sconvolgente forza espressiva, convergono le esperienze di
una ricerca musicale intensissima, che nel 1947 era giunta alla più avanzata maturità, a
anche la lunga riflessione di Schönberg sulla questione ebraica nei suoi aspetti politici e
religiosi. Quando Schönberg compose A Survivor from Warsaw (il terzultimo pezzo nel
suo catalogo), la guerra era finita da due anni, il processo di Norimberga si era concluso
nell’ottobre 1946, e tutto il mondo ormai sapeva dello sterminio ei lager di milioni di ebrei.
Schönberg non si era mai fatto la minima illusione sulla possibilità di convivere con il
nazismo, aveva lasciato la Germania nel 1933 e in quello stesso anno a Parigi aveva
voluto conferire un sigillo solenne e pubblico al suo ritorno alla fede dei padri. Era soltanto
un ultimo suggello formale di una ricerca iniziata circa dieci anni prima: Schönberg, che
nel 1898 si era convertito al protestantesimo, e che in seguito si era accostato alla
teosofia, nel corso degli anni Venti, aveva sentito il bisogno di approfondire la propria
identità ebraica. La svolta aveva coinciso con una recrudescenza di manifestazioni di
antisemitismo in Austria e in Germania (e ad equivoci legati a questo problema è legata
anche la rottura di Schönberg con Kandinsky nel 1923). i problemi dell’antisemitismo, del
sionismo, della creazione di uno stato ebraico (che Schönberg riteneva indispensabile,
senza legarlo però a un ritorno nelle terre della Bibbia), il compositore dedicò fin dagli anni
Venti, numerosi scritti e un dramma teatrale, La via biblica, che anticipa per alcuni aspetti,
la problematica del Moses und Aronn (1930-32). In un solo caso, prima del Sopravvissuto
di Varsavia, Schönberg compose un’opera direttamente antinazista, la Ode to Napoleon
del 1943, dove il sarcasmo dei versi di Byron contro Napoleone va riferito a Hitler. Ma nel
Sopravvissuto il compositore torna a confrontarsi anche con le proprie radici religiose,
culturali e umane (dopo Moses und Aron e Kol Nidre). Egli stesso scrisse il testo, sulla cui
origine lasciò un appunto che si legge nella prima pagina dell’autografo: “Questo testo si
basa in parte su notizie che ho ricevuto direttamente o indirettamente”. È,
significativamente, una indicazione assai vaga, e la reticenza sulle fonti fa pensare che il
testo, più che trasfigurare molto liberamente uno specifico fatto di cronaca, sia ideato nei
dettagli essenziali dal compositore, tanto inseparabile appare dal progetto musicale. Il
testo fu scritto in inglese con le frasi dei nazisti in tedesco e con l’ebraico dello Shema
Yisroel nel coro conclusivo. La narrazione è affidata a una voce recitante, la cui parte è
aritmicamente ben definita; ma assai diversa dallo Sprechgesang del Pierrot lunaire (qui
l’autore non indica note da intonare con emissione “parlata”: in una lettera a Leibowitz del
12 novembre 1948 scrisse: “non bisogna mai cantare, bisogna che non sia mai
chiaramente avvertibile una precisa altezza di intonazione: ciò significa che la scrittura
indica solo il modo accentuazione del testo”). La concezione del testo appare inseparabile
da quella della musica per la natura stessa del percorso che l’una e l’altra delineano con
un linguaggio di sconvolgente evidenza espressiva. Nel testo come nella musica l’entrata
del coro segna una cesura netta, e nella prima parte c’è un rapporto assai stretto tra la
narrazione del recitante e le invenzioni musicali, gesti di incisiva evidenza evocativa, che
non corrono peraltro il rischio della banalità descrittiva. Così i graffianti motivi di fanfara
che all’inizio caratterizzano i nazisti, non apppaiono soltanto deformazione di musica
militare; ma sono immagini di forza lacerante e angosciosa. La frammentata brevità dei
motivi non consente, nella prima parte, molte altre nette individuazioni (e ciò vale anche
per le inflessioni di semitono che si legano alla sofferenza degli ebrei). Con sconvolgente
originalità questa musica non sembra concedere più nulla al tematismo tradizionale,
procedere per zone definite da coagulazioni timbriche e ritmiche, tra fremiti,
addensamenti, desolate rarefazioni, aspre impennate, gesti taglienti. Solo per contrasto
sulle parole “the old prayer they had neglected for so many years” emerge brevemente al
corno con la sua continuità e ampiezza di respiro l’inizio della melodia su cui poi il coro
intonerà lo hema Ysrael. È la prefigurazione della grande cesura che segna una svolta
nettissima nel testo e nella musica, con l’entrata del coro alla battuta 80 (su un totale di
99: dunque a tre quarti del pezzo; ma l’effetto sembra dilatarsi ad una durata molto più
grande di quella reale). Al momento in cui gli ebrei devono contarsi prima di entrare nella
camera a gas, e sono costretti a farlo sempre più rapidamente, si delinea con l’evocazione
del galoppo di avalli selvaggi un intensissimo crescendo fino ad un insostenibile culmine
di tensione, che si risolve nella grandiosa entrata del coro, resa ancora più efficace dalla
lingua in cui canta: lo Shema Ysrael irrompe in ebraico come una affermazione di fede e
di speranza, di una libertà interiore sulla quale nulla possono gli aguzzini nazisti.
Schönberg fa intonare dal coro maschile all’unisono, la parte iniziale del testo
(Deuteronomio 6, 4-7) della preghiera e dichiarazione di fede che appartiene alla
quotidianità di ogni ebreo credente e che dovrebbe rappresentare il suo ultimo pensiero al
momento della morte. Alla lacerata drammaticissima frammentazione della prima parte,
segue così una sorta di blocco monolitico di stupefacente energia, dove la continuità della
linea del canto è l’epicentro degli interventi dell’orchestra. È uno dei momenti decisivi che
illuminano il fondamentale rapporto di Schönberg con la religione ebraica trasfigurando
senza il minimo rischio di retorica, l’orrore stesso del racconto precedente.

Il testo della composizione musicale

Come anticipato, vi è una diretta corrispondenza non solo emotiva ma anche strutturale fra
testo e musica, per questo ho ritenuto opportuno, per la presente analisi, suddividerlo in
sezioni corrispondenti agli episodi musicali che articolano l’architettura complessiva della
composizione.

Non posso ricordare ogni cosa. Devo essere rimasto senza conoscenza per la maggior
parte del tempo. Ricordo solo il momento grandioso in cui tutti cominciarono a cantare,
come per un recedente accordo, l’antica preghiera per tanti anni trascurata, il credo
dimenticato!

Ma non ho ricordi di come riuscii a vivere per tanto tempo sottoterra nelle fogne di
Varsavia.
C

Quel giorno cominciò come al solito: sveglia quando era ancora buio. Fuori! Che aveste
dormito o che l’ansia vi avesse tenuti desti tutta la notte. Si era stati separati dai figli, dalla
moglie, dai genitori, senza sapere che ne fosse di loro: come si poteva dormire?

Le trombe di nuovo – Fuori! Il sergente sarà furioso! Uscirono; alcuni molto lentamente, i
vecchi, i malati; alcuni con intimorita agilità. Hanno paura del sergente. Si affrettano più
che possono. Invano! Troppo rumore, troppa onfusione – e mai abbastanza in fretta! Il
Feldwebel grida: “Achtung! Stilljestanden! Na wirds mal? Oder soll ch mit dem
Jewehrkolben nachhelfen? Na jutt; wenn ihrs durchaus haben wollt!” (Attenzione! Zitti!
Allora ci decidiamo? O devo dare una mano con il calcio del fucile? Va bene! Se proprio
lo volete!).

Il sergente e i suoi sottoposti colpivano tutti: giovani o vecchi, tranquilli o agitati, colpevoli
o innocenti. Era penoso sentirli gemere lamentarsi.

Li udivo sebbene fossi stato picchiato selvaggiamente, tanto che non potei evitare di
cadere. Tutti noi che eravamo a terra e non riuscivamo a stare in piedi, fummo colpiti sulla
testa.

Devo essere rimasto senza conoscenza. La cosa successiva di cui mi resi conto, fu un
soldato che diceva: “Sono tutti morti”; allora il ergente diede ordine di toglierci di mezzo.
Giacqui in disparte – semicosciente. Era sopravvenuto un grande silenzio – paura e
dolore.
H

Allora udii il sergente gridare: “Abzahlen!” (Contarsi!). Cominciarono lentamente e


irregolarmente: uno, due, tre, quattro – “Achtung!” gridò di nuovo il sergente, “Rascher!
Nochmal von vorn anfangen! In einer Minute will ich wissen, wieviele ich zur Gaskammer
abliefere! Abzahlen!” (Più presto! Ricominciare da capo! in un minuto voglio sapere quanti
ne porto alla camera a gas! Contarsi!).

Ricominciarono, dapprima lentamente: uno, due, tre, quattro, poi sempre più veloci, tanto
veloci che alla fine il suono sembrava quello di un galoppo di cavalli selvaggi, e d’un
tratto, in mezzo a tutto questo, cominciarono a cantare lo Shema Yisroel.

Voglio sottolineare la natura polilinguistica del testo, che articola in tre lingue diverse,
inglese, tedesco ed ebraico, i vari piani narrativi: in inglese il racconto diretto del
“sopravvissuto” ”(descrizione dell’episodio e commento),e talvolta il discorso diretto del
“sergente; in tedesco il discorso diretto del “sergente” sottolineando appunto con la lingua
la violenza ed il realismo dell’accaduto, intessendo con il piano linguistico inglese un
“contrappunto di testi” che chiarisce ed articola la dimensione drammatica del testo stesso;
in conclusione segue ill coro Shem’a Ysroel, in lingua ebraica, che irrompe in tutta la sua
valenza simbolica e significativa anche rispetto alla biografia di Schoenberg, come
perentoria affermazione di dignità umana, di fede religiosa e di speranza, contrapposte
all’orrore della persecuzione razziale.
La serie e commento sulla sua forma

Intanto una riflessione sulle prime quattro note della serie, che, come disposte allìinizio
della partitura, affidate alla tromba, si configurano come la deformazione di uno squillo sol-
do-sol, con l’aggiunta del fa# prima e con l’estensione della quinta fino al lab. Credo che
tale struttura intervallare nasca da una precisa intenzione di voler esprimere la memoria
lacerata, angosciante, distorta dello squillo di tromba a cui fa continuo riferimento il testo e
che ne scandisce spesso l’articolazione. Credo anche che tale stretto rapporto tra struttura
intervallare, fonosimbolismo di tipo eroico distorto da una forte scarica psichica psichica e
timbro, denotino già, nel loro minimalismo, un deciso cambiamento di rotta nel rapporto del
compositore con il materiale, così come la presentazione della serie, ora sempre più
nascosta nella tesatura musicale, laddove invece nelle Variazioni op. 31, ad esempio,
compare dichiaratamente in funzione tematico-melodica prima che intervallare –armonica.
Cambiamento di rotta che si manifesta con una nuova e forte riaffermazione della
soggettività del compositore sul materiale, imboccando una via che, scostandosi dal
regresso berghiano e dal progressismo weberniano, trova la propria definizione appunto in
un soggettivismo non solo nuovo, ma estremamente pervaso di una emozionalità profonda
che non si ritrova nei suoi due celebri allievi.
Struttura della serie, nascondimento di essa, incomunicabilità dei processi compositivi
come metafora della Verità che rimane celata agli occhi profani, come Verità che regge il
mondo non vista, come Verità che si rivela alla fine come canto, nella sua linearità più
evidente, tutto questo in una prospettiva etica del comporre che caratterizza sempre di piu
l’ultima produzione di Schoenberg.

Alcuni isomorfismi intervallari caratterizzano fortemente la serie e ne rendono possibile un


uso estremamente intenso e ricco da dar l’impressione di una conquistata libertà creativa,
pur rimanendo totale il rigore ed il controllo del processo compositivo.

Sono evidenziati due gruppi intervallari:


- un gruppo caratterizzato da un accordo di quinta aumentata (ovviamente è una
denominazione di comodo che non si riferisce ad alcuna funzionalità armonica
tonale);
- l’altro al tipico collegamento di semitono coniugato ad un intervallo di terza, nelle
varie permutazioni.
Vedremo come tale peculiarità isomorfica verrà utilizzata dal compositore nella
determinazione e nell’uso delle serie di volta in volta utilizzate.
Per altro il gruppo intervallare do-lab-mi, in tutte le sue permutazioni è perente in
numerose serie, così da consentire un “legame armonico” (sempre in accezione non
tonale) che caratterizza spesso molte sezioni della composizione in esame, intorno al
quale serie differenti accomunate da questo isomorfismo si muovono e si articolano
differentemente, garantendo comunque una “tenuta”, una continuità intervallare di
fondo.

Altra peculiarità della costruzione della serie è la complementarità tra i suoni 1-6 della
forma Originale con i suoni 7-12 della forma Inversa nella trasposizione alla 4° giusta
ascendente. Tale artificio, peraltro non nuovo nella tecnica compositiva di Scoenberg,
consente un uso estremamente “economico” delle serie pur avendo la possibilità di
utilizzare sempre il totale cromatico.

Le due serie, limitatamente ad i suoni 1-6 sono presentate nella prima battuta del
pezzo nel raggruppamento 1-4 (squillo alle trombe) e 5-6 (tremolo agli archi),
presentando non solo il nucleo intervallare della composizione, ma, unitamente, anche
i due gesti musicali che verranno sviluppati e che definiscono efficacemente, nella loro
semplicità, i simboli contemporaneamente eroici e fisionomici della memoria dello scioc
e del terrore narrati appunto dal “sopravvissuto”.

Analisi delle misure 2-21

In tutta questa prima sezione, corrispondente alla parte A del testo narrato sono
utilizzate soltanto alcune trasposizioni delle serie O ed I, dapprima limitatamente ai
suoni 1-6, e solo in seguito introducendo i suoni 7-12, cioò è reso ovviamente possibile
dalla complementarità dodecafonica di serie in relazione di 4° ascendente fra loro.
E’ evidente da subito che l’uso tematico motivino della serie o parte di essa non è più
presente, mentre sono individuati e sviluppati chiari gesti ritmico-motivino-timbrici
Fino alla battuta 10 si alternano nell’ordine: O fa# 1-6, I re 1-6, O fa# 1-6, I re 1-6, O la#
1-6, I fa# 1-6 poi 7-9, O fa# 7-9, poi in successione serrata I la # 1-6, O la# 1-6, I re 1-
6, O re 1-6, I fa# 1-6, O fa# 1-6.
Sono state sopra elencate le serie utilizzate nella prima parte. Evidenziato nel riquadro il
gruppo intervallare comune alle 6 serie utilizzate, tutte a trasposizione di terze maggiori
rispetto all’originale. Tale griglia evidenzia ovviamente il gruppo intervallare do-mi-lab, che
caratterizza tutta la prima parte della partitura fino all’entrata del narratore. Come
accennato prima, tale gruppo intervallare unico, su cui si innestano sei serie garantisce un
legame intervallare forte, che, con il suo presentarsi in vesti strumentale, morfologiche e
timbriche sempre differenti, rimane comunque un elemento costante, fortemente
caratterizzante, e se vogliamo carico anche di tutto ciò che la storia ha conferito, in termini
simbolici, a questa struttura intervallare che è quella dell’accordo di quinta aumentata.
L’avvicendarsi della serie risponde ad un mutevole ritmo fraseologico che va da una sola
mezza serie per due battute ( inizio) fino ai suoni 7-9 di 6 serie in sole due semiminime di
durata.
Oltre che al sapiente uso delle serie, tanto compatto quanto vario e dinamico, è importante
notare come le figure ed i gesti denotino con grande efficacia il senso di profonda
angoscia, di instabilità, di paura, riandando, per certi versi, al modo espressionistico di
esprimere lo schoc; in particolar modo le figure caratterizzate dalla ripetizione, sia essa
ribattuto o ostinato ritmico su due note o figure varie sulle stesse note, esprimono le
molteplici facce che tale evento terribile torna ossessivamente alla memoria del narrante,
altro particolare è rappresentato dai gradi congiunti, spesso per semitono, che, tutto
sommato riagganciandosi alle consuetudini retoriche del linguaggio musicale occidentale,
continuano ad essere ancora simbolo e segno della sofferenza umana

Dalla battuta 14 un ulteriore particolarità nella scelta delle serie, analoga alla precedente
ma più estesa, vede tornare in gioco, oltre alle serie già dette, altre serie che contengono,
nei suoni 8,9,11 ancora il gruppo intervallare do-mi-lab.
Dopo aver esposto il carattere espressivo del pezzo, il materiale, ed aver sviluppato
quest’ultimo in molte delle sue numerose possibilità, alle battute 18-21, costruite sui suoni
1-6 di O a# ed 1-6 I mib (serie che, complementarmente racchiudono tutti i dodici semitoni
cromatici e che riempiono lo spazio di 4 misure realizzando con la più grande economia di
note il primo dei più commoventi momenti della partitura)
Un sapiente incastro di suoni nelle terzine degli archi con ripetizioni di suoni che creano
una forte coesione interna al gesto, ad esclusione del fa#, che appare ribattuto
ostinatamente all’arpa, sostiene la prima comparsa, affidata al corno con sordina, della
“melodia” dello Shem’a Ysroel, il coro che, con una cesura di grandissimo impatto emotivo
terminerà l’intera composizione, realizzato sui suoni 1-6 della serie O sib.
Un primo affacciarsi della cellula germinale dell’intera composizione, del canto di salvezza
che trasfigurerà la sofferenza delle pagine precedenti, ma che, rispetto al processo
compositivo, è un disvelarsi di ciò che proprio celandosi assume il quel valore simbolico
incomunicabile direttamente: la forma originale della serie che, svelandosi, si manifesta
come “canto”, come manifestazione suprema della soggettività ed insieme dell’umanita,
intonando la parola di Dio.
Non sono quindi un prevedibile anticipo strutturale dell’ultimo episodio, ma un simbolo che
da questa partitura si manifesta ed entra in risonanza con analoghe situazioni nella
produzione musicale ultima di Schoenberg.
Notevole è anche il rapporto ritmico tra la parte del corno (Shem’a Ysroel) ed il narratore.
Posto che il ritmo notato per quest’ultimo sia di natura confrontabile con la parte
strumentale (cosa che credo l’autore non volesse affatto in modo rigoroso e freddo), mi
pare notevole l’attacco di entrambi ed una sorta di eterofonia con ritmi che si riverberano e
si rimandano tra l’una e l’altra parte.
Si può vedere come analogie e rimandi non solo ritmici ma anche nella vettorialità
melodica (non si può certo parlare di figure o rimandi tematici) creino un tutto insindibile tra
voce ed il corno, quasi a metafora dell’intimo connubio tra le due istanze linguistiche.

Non potendo approfondire l’analisi dettagliata di ogni singolo elemento della partitura, non
posso tralasciare di evidenziare come le figure, i gesti, i vari momenti espressivi emanino
direttamente dal testo, dai riferimenti narrativi (vedi ad esempio il continuo riapparire dello
“squillo”, così come le figure ossessive, siano esse terzine o ribattuti od ostinati, o brevi
nuclei melodici di riferimento squisitamente espressionista), così che si può dire che la
forma del pezzo articolata dal testo, ma, da un’altra prospettiva, proprio la forte carica
espressiva della musica sembra emanare le parole che descrivono l’efferatezza
dell’uccisione ed il prorompere del canto riunisce tutte le istanze espressive in un unico
grido che redime e trasfigura il dolore. Non ci si può non riferire all’illuminante testo di
Schoenberg apparso in Stile e Idea dal titolo “Rapporto col testo” senza riconoscere che “Il
sopravvissuto di Varsavia si colloca ad un posto cardine nella sua produzione, come
sintesi matura di tutto ciò che egli ricercò nel periodo atonale (Pierrot Lunaire, Erwartung,
etc.), coniugato magistralmente con un linguaggio, quello dodecafonico, portato ormai ad
un grado di perfezione tecnica e chiarezza espressiva estrema.
L’Aquila, 7 maggio 2005 Marco Gatti

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