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Storia e storiografia della musica I

unità didattica 4

Prof. Antonio Farì / a.a. 2019-2020


Questa dispensa raccoglie e sintetizza alcune delle principali linee guida definite per lo svolgimento del Corso.
Essa, dunque, ha una finalità esclusivamente didattica e una funzionalità solo interna al Corso. Sono presenti
brani tratti da testi cartacei oppure online, i cui riferimenti vengono forniti agli studenti nel corso dell’azione
didattica.
Il docente

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Torniamo a Vienna e a SCHÖNBERG , che avevamo lasciato, ricorderete, alla fase “atonale” delPierrot lunaire.

Possiamo assolutamente servirci del Libro, che (anche questo lo sapete) tratta Schönberg da p. 353 a p.361.

Tra le opere del primo periodo non trascurate Erwartung (Attesa), un monodramma del 1909 (quindi
precedente anche al Pierrot lunaire), considerata anzi l’opera più espressionista di Schönberg.
Si definisce monodramma perché è una vera e propria opera lirica (della durata di mezz’ora) ma con un solo
personaggio (Una donna); in esso l’incontro con la psicologia è manifesto, essendo il testo opera della psicologa
(e poetessa) Marie Pappenheim (troverete la sintesi della scarna e allucinata vicenda nella nota a p.357).

[Singolare, o comunque assai insolito in tutta la storia del teatro d’opera, il fatto che nel lavoro compaia un solo personaggio,aspetto
che accomuna la drammaturgia schönberghiana alla letteratura viennese coeva, se è vero che di lì a poco uno scrittore del calibro di
Arthur Schnitzler avrebbe iniziato ad adottare, in alcuni suoi celebri racconti ( La signorina Else , ad esempio), il corrispondente stile
letterario basato sul monologo interiore.
L’attesa è una non-azione, uno stato d’animo interiore, e tutta interiorizzata è la vicenda, al punto che l’allucinata e delirante
interiorità psichica della donna appare paradossalmente come il solo elemento scenico-rappresentativo ‘concreto’ dell’opera, che
inevitabilmente offre il fianco alle più diverse interpretazioni – un autentico profluvio se ne sono registrate nel corso del Novecento –
in chiave simbolica, mitologica, letteraria, psicoanalitica, filosofica.
L’elemento portante della partitura è dato dalla proliferazione continua del canto che, nella varietà dei modi d’emissione indicati –
dal quasi parlato all’arioso, dal declamato al lirico – aderisce alla logica testuale ed emotiva del dramma.]

Non sono decisamente un tema e un ascolto che definiremmo “piacevoli” e, d’altra parte, nel Novecento quello
che sembra declinare è proprio l’idea della musica come arte “consolatoria”, che rispecchia una presunta
“armonia del mondo”; piuttosto è un’arte che denuncia la profonda inquietudine dell’uomo moderno (quasi
presagio dei conflitti e dei tragici accadimenti che verranno) e Schönberg sembra cogliere tale instabilità e farsi
carico di darle voce.

Potete ascoltare la prima scena del monodramma (fino a 3’08”) https://www.youtube.com/watch?v=iYHHXY2lhe4


e seguire il testo con la traduzione italiana a lato
https://www.flaminioonline.it/Guide/Schoenberg/Schoenberg-Erwartung17-testo.html
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Ma il nome di Schönberg rimane indissolubilmente legato alla dodecafonia, il “metodo di composizione”
basato sulle 12 note del totale cromatico che, liberamente disposte e presentate senza ripetizioni, danno
origine alla “serie” (così che questa musica si definisce anche seriale), sulla quale poi si “struttura” l’intera
composizione, soprattutto attraverso l’applicazione alla serie stessa dei vari canoni del contrappunto imitato.

Siamo negli anni Venti (la prima composizione integralmente dodecafonica è del 1923, la Suite op. 25 per
pianoforte), gli anni in cui Stravinkij ha imboccato la svolta neoclassica, e qui la teorizzata “opposizione” tra i
due giganti del Novecento può apparire evidente: il maestro viennese intende negare qualunque legame
linguistico con la tradizione (l’opposizione alla tonalità è radicale, a nessuna nota nella dodecafonia è dato
porsi come polo di gravitazione) e di conseguenza col pubblico, mentre il maestro russo recupera la
“riconoscibilità” del linguaggio (che tiene sempre legato ad una “polarità”, a centri di attrazione) e quindi
tiene in piedi la “relazione” col pubblico.

Troverete trattato l’argomento alle pp. 358-359.

Ascoltiamo ora proprio l’op. 25 https://www.youtube.com/watch?v=bQHR_Z8XVvI , intera o magari scegliendo uno o più dei
movimenti (è una vera e propria Suite di danze in dodecafonia)
00:00 – Prelude / 01:01 – Gavotte / 02:11 – Musette (Gavotte da capo at 3:27) / 04:37 – Intermezzo /
08:38 – Menuet (and Trio at 10:23) / 12:19 – Gigue

Tutti i movimenti sono basati sulla serie mi, fa, sol, re bemolle, sol bemolle, mi bemolle, la bemolle, re, si, do, la, si bemolle.
Fate attenzione alle ultime 4 note: se le leggete tornando indietro (Si bem.- La – Do - Si naturale) e le indicate con la lettera
corrispondente nella notazione anglosassone, esse daranno il nome BACH (Sib=B, La=A, Do=C, Si=H): insomma, Schönberg ha
nascosto nella serie l’omaggio a Bach, il maestro insuperato della Suite e del contrappunto!

3
Non possiamo non notare il contrasto tra il radicalismo del linguaggio (la dodecafonia) e l’impiego
di una forma del passato come la Suite (addirittura una eredità del Barocco), un contrasto che
genera una dimensione del tutto nuova dell’ascolto; prendiamo il Minuetto 08:38 : chi può dire,
ad un primo ascolto, che, al di là del tempo ¾ di prammatica, sia riconoscibile la galante e un po’
leziosa danza del Settecento? Tuttavia, una volta che la cosa è nota è più facile capire l’operazione
di Schönberg e come egli non intenda negare il legame con il passato ma dargli una nuova
“struttura”.

A proposito di questa prima creazione dodecafonica Schönberg stesso scrive:

“Il vero significato della mia ricerca mi si palesò attraverso questi pezzi. lo mi ero inoltrato inconsciamente per
questa via, e l'avevo scoperta attratto da una meta: quella dell'ordine e della disciplina formale. Come potete
osservare non si trattava di una via diritta, né essa, come accade sovente nelle correnti artistiche, era stata
sollecitata dal desiderio di originalità. Personalmente provo repulsione all'essere considerato un rivoluzionario,
appunto perché non lo sono. Dai miei esordi ho posseduto una disposizione per la forma, basilare e sviluppata, e una
forte ripugnanza verso le esagerazioni. Non si tratta di un ritorno all'ordine, giacché non vi fu mai disordine, ma, al
contrario, di un'ascesa verso un ordine più alto e migliore“.

Da questo punto di vista (recupero di forme del passato e bisogno di una struttura compositiva
determinata da regole e disciplina formale) la posizione di Schönberg, almeno in questa Suite,
non appare molto lontana dalla ventata neoclassica e un po’ restauratrice degli anni Venti.

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Nel 1933, per fuggire dall’orrore nazista, Schönberg (di origine ebraica, se pur convertitosi al luteranesimo)
trova asilo negli Stati Uniti e vi rimane fino alla morte (1951, dal 1940 aveva assunto la cittadinanza
statunitense).
Il “periodo americano” è caratterizzato da un uso più duttile della dodecafonia ma soprattutto da opere di
forte denuncia morale , come l’Ode a Napoleone (su testo di lord Byron) per voce recitante, quartetto d’archi
e pianoforte (1942) e soprattutto A Survivor from Warsaw (Un sopravvisuto di Varsavia, 1947)
per voce recitante, coro maschile e orchestra.

[ Lo spunto alla base composizione deriva dal racconto di un giovane polacco scampato alla strage compiuta dai nazisti nel ghetto di Varsavia.
Schönberg scrive di getto il testo sotto l'impressione di quel racconto, per poi decidere di metterlo in musica. Il testo narra di come un mattino
gli ebrei di Varsavia furono destati per essere condotti, dietro l'incitamento efferato dei calci dei fucili nazisti, verso le camere a gas. I numeri,
scanditi a voce alta, che incalzavano la macabra conta, vennero interrotti dal canto spontaneo delle vittime per darsi coraggio, lo "Schema
Yisroel", la preghiera che comanda di amare Dio, unico Signore.
Ma non è solo il contenuto del testo che colpisce nel Survivor, quanto soprattutto la perfetta aderenza della veste musicale, la cui meticolosa
complessità viene quasi dissimulata in una totale partecipazione espressiva.
C'è, innanzitutto, la voce recitante, che scandisce il testo del personaggio narratore; se, in gioventù, Schönberg aveva inventato la
"Sprechstimme", cioè quella particolare intonazione recitata di altezze musicali effettivamente scritte che ebbe la sua clamorosa affermazione
in Pierrot lunaire, il vecchio Schönberg si rifugia in una intonazione del testo più intimistica e più sobria, in cui sono indicati solamente i ritmi e le
inflessioni orientative della voce. La composizione del tessuto orchestrale doveva porre particolari problemi; ovvio il ricorso alla tecnica seriale
nella definizione delle altezze. La necessità di rendere perfettamente intelleggibile il testo spinse l'autore a una strumentazione che tende al
camerismo, fatta di aggregazioni e non di sottrazioni di suoni. Infallibili sono le scelte strumentali, dagli squilli di tromba dell'inizio, che si
riaffacciano ripetutamente, all'uso degli archi divisi e con sordina, per sottolineare preziosi dettagli, alla ritmica incalzante di tutto l'organico, per
accompagnare il momento della conta. Ma l'effetto più impressionante è l'improvviso ingresso del coro maschile all'unisono sul testo
dello Shema Yisroel; qui la melodia trovata da Schönberg è semplice e icastica allo stesso tempo, di disarmante efficacia. L'antica preghiera che
si alza dalle vittime della persecuzione parla in ebraico antico, ma si trasforma nella denuncia universale del sopruso e dell'umiliazione,
conquistando quella dimensione ideale che forse nessun compositore dal tempo di Beethoven era stato capace di attingere. (Arrigo Quattrocchi)
]

Non si può che restare commossi e in silenzio all’ascolto dell’opera


https://www.youtube.com/results?search_query=un+sopravvissuto+di+varsavia+schoenberg
(con traduzione italiana)
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