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Invenzioni per pianoforte

di G. Petrassi

Il suo contemporaneo Luigi Dallapiccola, nato nello stesso anno, ebbe modo di conoscere molte opere,
ed in particolare quelle di Wagner, grazie alla sua famiglia e all'ambiente culturalmente fervido della città
di Graz dove si trovavano in confino.
Il giovane Goffredo Petrassi invece, ebbe umili natali. Nato il 16 luglio 1904 a Zagarolo, paese della
campagna romana, incontrò la musica dopo che la famiglia si fu trasferita a Roma.
Qui infatti, a 7 anni fu mandato alla Schola Cantorum di S.Salvatore in Lauro,vicino alla scuola, dove
cantò e conobbe il grande repertorio polifonico del '500 e '600. Ma l'incontro con la musica che l'avrebbe
destinato a quello che sarebbe stato il suo mestiere e la sua arte, avvenne lavorando come commesso in
un negozio di strumenti musicali, dove un insegnante di musica lo ascoltò mentre suonava il pianoforte in
bottega.
Iscrittosi al Conservatorio di S. Cecilia a Roma, vi si diplomò nel 1932 in organo e composizione.
Nello stesso anno avvenne il suo debutto con la Partita per orchestra, grazie alla quale vinse un
importante concorso nazionale, e che venne proposta - ed in seguito dichiarata vincitrice - ad un
importante concorso, questa volta internazionale, tenutosi a Bruxelles. Il fatto poi che fu diretta due anni
dopo da Alfredo Casella al Festival della Società Internazionale di Musica Contemporanea ad
Amsterdam, costituì un grande impulso alla sua visibilità come compositore di rilievo e avviò la sua
carriera al di fuori dei confini italiani.

In seguito alla carica di sovrintendente del Gran Teatro La Fenice di Venezia, ottenne nel 1939 la cattedra
di composizione al Conservatorio S.Cecilia a Roma che abbandonò nel 1960 per dedicarsi come docente
nel perfezionamento in composizione all'Accademia di S. Cecilia, sempre a Roma, incarico che fu
ricoperto dal 1978 da Franco Donatoni, suo allievo -anche se non ufficialmente- designato come
successore dallo stesso Petrassi.
Durante la sua attività come didatta ha formato numerosi compositori italiani come Aldo Clementi ed
Ennio Morricone. E' scomparso il 3 marzo 2003, a 98 anni.

Nella sua lunga vita egli ebbe modo di seguire i grandi sconvolgimenti della storia del suo Paese e in
tutta l'Europa, dall'impressionismo francese alla nascita della dodecafonia, dal tragico epilogo della
Prima Guerra Mondiale alla deriva catastrofica delle grandi dittature, che portò l'intero continente ad
un'altra guerra e al blocco totale di qualsiasi avanguardia artistica in corso.
La lezione dei grandi compositori che lo hanno preceduto (a parte il periodo aureo della polifonia,
italiana ed europea) parte da Debussy, rispetto al quale fa riferimento soprattutto nella ricerca timbrica,
che offre costantemente all'interno della sua opera prospettive sempre nuove.
Per esempio nell'uso fatto del pianoforte, estrapolato dal suo contesto di semplice strumento solista, ma
capace di essere generatore di sonorità percussive particolari.
Ed in questo il suo stile si ricollega idealmente a Stravinsky, che egli conobbe di persona, ma anche
Hindemith e Bartòk sono molto presenti nel suo lavoro.
Maturò in seguito un più avanzato livello nelle soluzioni costruttive e timbriche, fino a giungere ad un
astrattismo che non è mai fine a sé stesso ma che, fondandosi su una riduzione all'essenziale del discorso
musicale, libera di fatto il contenuto che questo reca con sé.
Ciò avviene soprattutto dall'assimilazione della dodecafonia per il cui fondatore Petrassi nutriva grande
stima.
Anche se usò in forme diverse il nuovo sistema scoperto ed elaborato da Schoenberg, non ne fu mai un
epigono. Piuttosto se ne servì come mezzo di espansione armonico-tonale, sviluppando un percorso
assolutamente personale che lo ha reso il grande compositore che conosciamo.
Copiosa è la sua produzione (caratterizzata da un iniziale periodo cosiddetto neoclassico, ispirato, oltre ai
già citati autori europei e russi, anche ai suoi più vicini colleghi italiani Casella e Malipiero),
comprendente lavori che vanno dallo strumento solista alla musica da camera, dai concerti per orchestra
(8 nell'arco di circa un quarantennio, 1934-1972) alla musica vocale, quest'ultima rifattasi alla tradizione
strumentale e vocale italiana.
Le Invenzioni consistono in una raccolta di 8 pezzi per pianoforte risalente agli anni 1942-'44, composte
quindi dopo il Coro di morti (Madrigale drammatico per voci maschili,tre pianoforti,ottoni, contrabbassi
e percussione ) su testo tratto dalle Operette morali di Giacomo Leopardi (1940-'41).Vale la pena fare
una considerazione a parte in merito all'opera appena nominata, nella quale la spinta a cercare
un'atmosfera buia, priva della luce degli archi e delle voci femminili e in forte affinità con il testo, crea
un sorprendente risultato timbrico: la metallica fissità del coro di defunti è congelata all'interno di una
scrittura che poco concede alla magnificenza ma che invece permea la parola, moltiplicandone l'effetto.
Tornando alle Invenzioni, questa raccolta si colloca dopo il superamento di quello che fu chiamato il suo
“Barocco romano”, che cominciò da circa la metà degli anni '30 (si veda il titolo Invenzioni oppure la
Toccata del '33 - sempre per pianoforte - dove questo richiamo è evidente proprio verso gli stilemi di
quell'epoca).
Qui, ora, il materiale contrappuntistico, pur sempre presente, viene trattato con una maggiore coscienza
del passato, non escludendo neppure l'effetto di una soffusa ironia.
In questo periodo videro la luce, tra l'altro, i Quattro Inni sacri, il Salmo IX ed il Magnificat. Le
Invenzioni rappresentano senza dubbio l'incursione più importante nella scrittura per il pianoforte,tra
quelle compiute fino ad allora. In esse confluiscono i tratti più salienti delle sue successive composizioni.
Questi brani, eseguibili in ciclo oppure indipendentemente, sono di carattere vario, ma accomunati tutti
da una scrittura che fluisce attraverso un filo dettato dal ritmo e dal contrappunto.
Sotto il profilo stilistico però appare forte il legame con le precedenti opere (in particolare riguardo per il
Coro di Morti), situato nella scelta di un linguaggio arcaicizzante (largo uso di scale modali, quinte e
quarte parallele e dell'ostinato) che ricorda in alcuni tratti, per l'interazione funzionale degli intervalli, la
polarità delle armonie bartokiane, basata sul rapporto del trìtono.

Andando a leggere la prima di queste Invenzioni, che riporta la dicitura di Presto volante, in tempo di
3/2, appare subito chiara l'ascendenza dei modelli della tradizione: l'impianto appare tonale, con i tre
bemolli in armatura di chiave ad indicare la tonalità di mi b maggiore. Per quanto sembri inattuale parlare
di “tonalità” in quest'ambito, quest'ultima appare più che altro un punto di partenza piuttosto che un
sistema sul quale basare l'intero brano.
All' incipit, ad una scala di mi bemolle maggiore discendente nella prima battuta al soprano, risponde una
linea melodica per inversione nel basso alla distanza di quinta diminuita dal lab in battere del soprano e
così nella battuta successiva, dove le parti si scambiano usando lo stesso disegno melodico, una quinta
diminuita si forma nuovamente.
Seguono alcune progressioni che utilizzano lo stesso materiale tematico.
Nelle progressione di batt. 8, il rapporto è creato da una successione di settime discendenti alternate tra
mano destra e sinistra che eseguono un disegno simile, ma sviluppato nel registro acuto con intervalli di
settima, ottava e nona,fino a trasformarsi in un primo ostinato ( batt. 10-11 ). A batt. 12 e 13 si trova un
pedale di lab, dal quale parte, nella battuta successiva,una scala ascendente, riconoscibile come fa minore
melodica, salvo poi trasformare la terza in la naturale e concludere a batt.15 con una di do maggiore.Nel
frattempo, alla mano destra l'ostinato in crome do-mib-re-mib aggiunge il si bequadro in alto, diventando
si-mib-re-mib-do-mib che risulta essere una citazione dell'inciso con cui inizia il II preludio in do minore
dal I libro del Clavicembalo ben temperato (in cui ovviamente la nota alta è il do) :

battute n.13,14,15

Gravitando attorno al do, esso si sviluppa in una nuova progressione discendente ( batt.16 ) formata da
intervalli di seste tra le due voci.
Tutto fin qui è infatti svolto con due semplici voci, chiaramente evocative di una scrittura che attinge a
quel repertorio a lui così familiare, ma ovviamente trasfigurata in maniera meno “imitativa”, (se mi si
concede il termine) più matura rispetto ai primi lavori, come se il pianoforte andasse oltre le sue
possibilità fisiche ed acustiche e diventasse, per usare un termine caro a Rattalino e Aldo Clementi,
“metapianoforte”.
Lo confermano la difficoltà tecnica in rapporto alla posizione delle mani sulla tastiera, che denotano una
concezione travalicante la fisica dello strumento e trasformandolo così in messaggero di una poetica che
sarà peculiare nella storia futura del Maestro.
L'intreccio contrappuntistico è trasparente e lascia fluire il discorso con continuità.Da batt. 19
cominciano arpeggi basati su terze, quarte e quinte; la presenza di queste ultime rimane costante
all'interno dell'intera composizione.
Da batt. 25 comincia un altro ostinato, questa volta alla mano sinistra e da batt. 26 l'armatura di chiave
viene eliminata e l'andamento si fa più calmo, introdotto dalla dicitura Poco meno .
Proprio da qui la scrittura si fa più densa sia dal punto di vista ritmico ( l'ostinato su do# ) che da un
ispessimento della trama, segno di un'allontanarsi momentaneamente dalla rievocazione storica per
indugiare su un registro espressivo più contemporaneo.
A batt. 28 si aggiunge una sovrapposizione all'ostinato che sfocia nella battuta successiva in un nuovo
tema, fatto da intervalli di quinte e quarte alle crome e si presenta l'elemento del ribattuto ( condensato in
piccole cellule di tre note ) :

A questo punto si esaurisce l'esposizione di un materiale tematico essenziale, ma usato in seguito in


maniera coerente senza mai cadere nella prolissità. Semmai, ogni reiterazione potrebbe sembrare una
nostalgia nei confronti di un passato, con cui ogni compositore degno di questo nome ha il dovere di
confrontarsi.
Da batt. 30 si invertono momentaneamente le parti, con la figurazione ritmica condensata nella fissità
dell'ostinato usando la quinta fa – do, mentre al basso un'altra quinta do# sol# in semiminime ripete la
stessa frase della destra a batt. 27 ma trasportata. Prosegue questo alternarsi sempre usando gli stessi
stilemi ( il tema di apertura in crome, l'ostinato sempre in crome, il motivo con le semiminime di salto e
le crome in salti e ribattute ).
Da batt. 33, il tema di crome a salti e ribattuti (affidato esclusivamente alla mano destra ), si interseca con
gli altri elementi tematici in un gioco imitativo della voce interna sulla terza do-mib del basso fino a
giungere ad un nuovo elemento alla destra che appare alle battute 40-41:

Come si vede,due battute sulle quinte discendenti sol-do#-fa# , ad ulteriore riprova della rilevanza
nell'uso che Petrassi fa di questo intervallo.
Ma altri rapporti intervallari sono molto frequenti, per esempio seconde e settime maggiori e minori,
none come estensione oltre all'ottava delle già citate seconde.
A batt. 44 si arriva ad un pedale di si naturale, reso in maniera irrevocabile dalle decime si-re in
semiminime del basso e alla destra un ribattuto in crome del si precedente al do centrale, dove si placa
l'energia cinetica di tutti gli incisi, che sembrano così sfaldarsi l'uno dopo l'altro.
Questo stato di calo di tensione non dura a lungo: a batt. 50, in tempo di 4/2, una scala doppia di crome
discendenti (la cui superiore ripropone il disegno dell'incipit ) ripartisce nuovamente alle due sole voci il
compito di concludere.Nella battuta successiva, di nuovo in 3/2 con la dicitura Ritornare al tempo,
ancora intervalli di quinte tra le due voci fino alla battuta seguente, dove il Presto e la ripresa all'ottava
alta dell'incipit riportano al tempo iniziale.
A batt. 53, dopo una breve apparizione del tema della destra (crome intervallate e ribattute all'unisono)
riprende, da batt.54 a 58, un ultimo svolazzo, costituito dal tema d'inizio e le progressioni di batt. 55-56:

Le ultime battute finali,in pp, si chiudono in maniera davvero essenziale:

con il si e reb della sinistra, una terza diminuita che comprime l'ultima, semplice nota conclusiva del
brano: un do ribattuto in ottava, senza alcun supporto armonico, scarno e solitario.

Questo corpus di opere, tutte di breve durata ma di grande densità, ci mostrano come un compositore
come Petrassi riesca ad uscire dalle maglie strette della scrittura pianistica ed interpretare in maniera
nuova il suono di questo strumento, usandolo in alcuni casi anche come veicolo evocativo di timbri
estranei alla sua natura acustica.
Una lezione questa, che ci mostra come sia importante scavare in qualsiasi percorso creativo per trovare
una risposta ogni volta diversa all'interrogativo che un compositore oggi si pone: quale terreno
scandagliare e come elaborarlo in un'ottica di un linguaggio che si possa ancora dire “contemporaneo”?
L'esempio di Petrassi è lì a mostrarci che ciò ancora è possibile.

Loris Sovernigo,
21 marzo 2013

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