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ISSM Conservatorio “G.

Cantelli” di Novara

Esame di Storia e analisi dei repertori

Candidato: Matteo Osmieri

Brano analizzato: Studio n29 “Passacaglia (omaggio


a Ottorino Respighi) – dai sessanta
Studi di Virtuosità e Trascendenza

Autore: Angelo Gilardino (1941)


CENNI BIOGRAFICI E STILISTICI SUL COMPOSITORE
Considerato ad oggi una delle massime figure del mondo chitarristico, Angelo Gilardino (1941) si è
formato musicalmente presso le scuole musicali di Vercelli (oltre alla chitarra e al violoncello, ha
studiato composizione con il maestro Giuseppe Rosetta), affermandosi ben presto come
concertista in ambito inernazionale.
Nel 1967, le Edizioni musicali Bèrben gli hanno affidato la direzione di una collezione di musica per
chitarra che porta il suo nome.
Nel 1981 ha chiuso l'attività concertistica per dedicarsi alla composizione, all'insegnamento e alla
ricerca musicologica. Ha insegnato dal 1965 al 1981 al Liceo Musicale "G.B. Viotti" di Vercelli,
mentre dal 1981 al 2004 è stato docente di chitarra Conservatorio "Vivaldi" di Alessandria. Dal
1984 al 2003 è stato docente dei corsi di perfezionamento dell'Accademia “Lorenzo Perosi” di
Biella. Nel 2004 si è ritirato dall'insegnamento.
Ha svolto e svolge tutt’ora un’intensa attività come musicologo: ha ritrovato il manoscritto
originale delle incompiute Variazioni per chitarra di Ottorino Respighi e ha recuperato un vasto
corpus di composizioni scritte per Andrés Segovia da autori spagnoli, francesi e britannici negli
anni venti e trenta, opere mai eseguite, che si riteneva fossero andate perdute per sempre. Dal
2002 ha pubblicato di tali opere nella collana The Andrés Segovia Archive (Edizioni Musicali
Bèrben).
Dal 1997 al 2005 ha ricoperto l'incarico di direttore artistico della Fondazione “Andrés Segovia” di
Linares.
Il maestro piemontese è stato il fautore di una vera rivoluzione che non va ricercata solo nel
linguaggio – che, come egli stesso afferma, è in linea di continuità con gli autori del passato più
prossimo – ma nel concetto di forma, vista come un canovaccio modellabile sulla chitarra, in un
rapporto di vera subordinazione allo strumento.
Egli, colte tutte le peculiarità timbriche e dinamiche della chitarra e consapevole di tutte le
possibilità tecnico - esecutive (portate dalla sua scuola ai massimi livelli) è riuscito in ciò che molti
compositori moderni hanno fallito: scrivere musica “esclusivamente chitarristica”, in cui il fattore
tecnico (diteggiatura, tipologia di tocco in relazione al timbro ecc..) diventa parte stessa della
composizione, determinante per l’esecuzione.
Gilardino ha saputo unire la sapienza e la maestria compositiva con le reali potenzialità della
chitarra, riuscendo nel lavoro di ricerca di nuove possibilità tecniche e dinamiche che, prima di lui,
la chitarra non conosceva. In altri termini, egli continua il magnifico lavoro cominciato dal
compositore fiorentino Mario Castelnuovo Tedesco - che dedicò alla chitarra grandissima
attenzione – aggiungendo però a tutto questo il valore della massima conoscenza strumentale – lo
stesso compositore fiorentino dichiarò in seguito che Gilardino sarebbe arrivato là dove lui non
poteva, proprio perché egli non era un chitarrista.
Gilardino, prendendo in eredità da Castelnuovo - Tedesco la predilezione per la polifonia, scrive
sempre servendosi del contrappunto (non di certo denso come quello organistico ma, nella sua
minor complessità ricco di molte virtù) e spesso ritorna alle forme classiche della sonata, della
sonatina e del tema con variazioni o della forme severe come il Ricercare, la Passacaglia e la
Toccata (rivisitate in una chiave diversa), rifiutando i modelli di scrittura ottocenteschi e scrivendo
composizioni idiomatiche di finissima tecnica compositiva.
STUDI DI VIRTUOSITÀ E TRASCENDENZA
Considerando in particolare i monumentali 60 Studi di Virtuosità e Trascendenza, composti tra il
1982 ed il 1988, egli compie una vera opera di osservazione e di analisi dello strumento, una
visione del tutto nuova di fare musica per chitarra: un modo profondo ed unico di scrivere, in cui il
protagonista assoluto sono il colore e il timbro in tutte le loro sfaccettature.
Nel caso degli studi, molti dei quali scritti come omaggio a poeti, musicisti, compositori e pittori,
Gilardino si discosta dal concetto di impianto formale rigido e preferisce vedere la forma dello
studio come una sorta di luogo di sperimentazione: ogni studio strutturalmente è diverso dagli
altri e la sua forma viene messa in continua relazione con il pensiero musicale espresso. Gilardino
stesso scrive:
“la chitarra, strumento labirintico quant’altri mai, abbonda di moduli di scrittura […] ma essi
sembrano contenere forme potenziali proprie, endogene, ed è probabilmente più giusto, oltre che
enormemente meno difficile, inventare forme ad hoc per ogni modello che può venire in mente,
piuttosto che tentare l’ardua conciliazione tra il bisogno di sviluppare un modello mantenendogli
le sue caratteristiche di esclusività chitarristica e l’obbligo di seguitare i dettami di un’architettura
canonizzata come la forma sonata”.
Piuttosto che crearsi uno schema precostituito, Gilardino lascia che la musica compia il suo
precorso, tramite episodi che si susseguono con linearità.

PASSACAGLIA
Gilardino ha composto questo studio come omaggio a Ottorino Respighi, la motivazione di ciò è
data dal fatto che Respighi, oltre ad aver composto le “Variazioni per chitarra”- rimaste
incompiute e ritrovate in forma originale manoscritta proprio dal compositore Vercellese –
pubblicò le tre suites orchestrali Antiche Danze e Arie per Liuto, ovvero una raccolta di libere
trascrizioni di brani per liuto, questi ultimi composti nel XVI e XVII secolo. Per il finale della terza
suite, Respighi elabora la solenne Passacaglia di Lodovico Roncalli composta nel 1692 (dalla IX
suite dei Capricci armonici sopra la chitarra spagnola per chitarra barocca).
Il brano presenta alcune delle caratteristiche della passacaglia tradizionale: troviamo quindi un
ostinato, quasi sempre al basso, sul quale sono impostate le diverse voci, che aumentano o
diminuiscono in relazione alle potenzialità dello strumento e raggiungono nuove altezze, con un
allargamento dei registri (vengono sfruttate tutte le altezze, dal grave al sovracuto) e dunque uno
sfruttamento di tutta l’estensione chitarristica. Il compositore predilige la modalità, sono presenti
alcune asimmetrie del periodare musicale, la scrittura è sempre contrappuntistica e, anche se
accade che una voce possa predominare su un’altra, non c’è mai un rapporto di canto/voce –
accompagnamento/sostegno, ma si avrà una relazione voce 1 – voce 2.
Il brano si apre con la caratteristica esposizione del tema, di carattere grave e solenne, che viene
via via arricchito da diverse voci impostate su determinate cellule ritmiche, che si fanno sempre
più complesse.
In particolare la terza variazione richiede una ricerca di indipendenza ritmica, necessaria per via
della presenza delle terzine sulle quali è modellata la voce superiore (si può dire che le voci in
realtà siano due, in quanto il compositore ci dice di accentare leggermente la seconda nota di ogni
terzina). Nella quarta variazione, l’andamento della voce superiore crea un effetto di incerto
dondolio, che si fa più sicuro nella variazione successiva, infatti sono pochi i punti “di riposo” dati
dalle due crome. Particolare è l’indicazione “l.v”, ovvero laissez vibrer, ricorrente in molte altre
opere di Gilardino; egli infatti gioca molto sugli effetti provocati dall’insieme delle vibrazioni,
perciò spesso predilige una diteggiatura che si avvalga delle corde a vuoto.
Nella sesta variazione la configurazione ritmica del tema viene modificata: ciascuna nota è seguita
da un’appoggiatura, realizzata tramite legatura ascendente, e perciò tale nota dovrà essere
accentata per rendere riconoscibile l’andamento della voce dell’ostinato, mentre la voce superiore
più acuta è costituita dalle stesse note su cui appoggia la linea del tema, ma due ottave sopra.
La settima e l’ottava variazione sono di carattere più chiaro, scorrevole e brillante.
La linea dell’ostinato torna al suo stato originario, ed è accompagnata nuovamente da voci rimate
in modo omogeneo (qui in particolare: prima biscrome che tacciono in corrispondenza della nota
del basso, e poi terzine di semicrome, che a due a due propendono in modo discendente o
ascendente).
Successivamente, nella nona variazionie, si ha un punto di svolta: il tema passa al registro più
acuto, mentre la rimanente voce, che sarà quindi più bassa, procede dolcemente per semicrome.
Nell’ultima variazione si ha una linea più bassa di minime che dialoga con la voce acuta, la quale
procede per crome alternativamente al tema, che sta quindi in mezzo (e dunque un’ottava sotto
rispetto alla variazione precedente) e le cui note sono quindi ribattute.
Il finale, di carattere virtuosistico, costituisce una sezione a se stante: l’ostinato scompare e si ha
un allegro vivace da eseguirsi con una forte sonorità, con tempo di battuta di sette ottavi alternato
a tre e quattro quarti. Il tutto culmina con una rapida successione di accordi molto densi seguiti da
un secco Mi sforzato.

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