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RELATIVITA’ DEL TEMPO NELL’ASCOLTO MUSICALE

L’accostamento tra filosofia e musica è sempre stato un argomento di discussione molto importante nella
storia, fin dai tempi antichi.
Già Socrate pensava al rapporto filosofia-musica come di subordinazione: secondo lui è la musica a far
risuonare l’essere e quindi essa si risolve compiutamente nella filosofia. Anche Aristotele riconosce la
grande importanza della musica, poiché presente insitamente all’interno dell’ordine universale e dunque
parte integrante dell’essere.
Nei suoi ”Dialoghi”, Platone riserva una parte importante alla musica, il cui valore etico ed ideale
(contrapposti ad un aspetto reale, molto distante da essi) già espresso da Pitagora, diventa fondamentale;
notiamo come questa distinzione possa essere paragonata a quella tra significante e significato, tipica del
linguaggio verbale.
Nel Settecento Batteux e Kant, rifacendosi alle idee di Socrate, gettano le basi concettuali all’origine del
paradigma logocentrico il quale, opponendosi a quello autonomista, considera il linguaggio musicale come
riconducibile a quello verbale: per loro infatti la musica è uno dei possibili modi di essere del linguaggio.
Nel romanticismo la riflessione sulla musica acquista nuova importanza e considerazione.
Schopenhauer guarda a Platone asserendo che soltanto la filosofia può sublimare la musica (avviando così
la tradizione platonico-schopenhaueriana).
Ancora, Hoffmann elabora una nuova concezione del rapporto tra linguaggio musicale, linguaggio verbale e
filosofia: per lui è proprio l’ineffabilità del suo linguaggio a fare della musica l’unica arte veramente
romantica.
Avvicinandoci al Novecento, si fa sempre più strada l’idea, tra alcuni studiosi, che la musica esista solo nel
momento dell’esecuzione, cioè quando il suono incontra l’ascoltatore.
L’ascolto viene dunque definito come un evento acustico-teoretico, specifico di un’identità contingente
(ascoltatore) che si rapporta ad un’altra identità contingente (suono).
Un pensiero sempre maggiormente diffuso era che la compiutezza della musica stesse in questo rapporto di
contingenza, occorreva dunque ripensare la filosofia della musica come filosofia del’ascolto.

Alla fine dell’Ottocento Erns Mach analizzò il concetto di tempo da un punto di vista scientifico, mentre
Henri Bergson spostò la riflessione sul concetto di tempo da una dimensione matematica ad una
psicologica, fino ad arrivare alla formulazione della teoria della relatività di Albert Einstein nei primi anni del
Novecento.
Almeno da Kant in avanti la musica è considerata come un’arte del tempo, se non l’arte del tempo per
ecellenza. Ci sono molte sfaccetature del tempo insite nella pratica musicale: ad esempio il tempo della
composizione, il tempo della performance, il tempo espresso dalla notazione e dalla tecnica compositiva, il
tempo dello studio di un brano e il tempo dell’ascolto singolo o ripetuto.
Ma se è vero, come sostiene il semiologo Nattiez, che la musica ha una relazione privilegiata e ineludibile
con il suono e se il suono è prima di tutto un fatto percettivo, allora la musica non può svincolarsi
dall’ascolto e dalla sua articolazione, anche e soprattutto temporale.
Numerosi approcci all’ascolto sono possibili: da quello sociologico/ricettivo a quello semiologico, a quello
psicanalitico, cognitivo, neurologico e tanti altri.
Un punto di partenza che presenta grandi potenzialità nello svilupparsi in una narrativa dell’ascolto è quello
dell’esperienza della distinzione: un’esperienza che a tutti gli effetti crea il tempo, distinguendo il flusso
percettivo in un prima e un dopo. Tutto quello che ascoltiamo può essere infatti ridotto all’intuizione di un
cambiamento in un qualche carattere del flusso sonoro.
Infatti è proprio grazie all’abilità di distinguere che possiamo percepire il mondo intorno a noi, ad esempio
durante un concerto, distinguendo le varie voci di una fuga dal rumore del traffico che proviene
dall’esterno, dalla musica emessa dall’autoradio di un’automobile che sta passando in strada e anche dai
rumori prodotti dal nostro stesso corpo.
La facoltà della distinzione deve esercitarsi in modo estremamente articolato e complesso per poter
rendere conto delle distinzioni che operiamo e che possiamo descrivere a parole, magari con il dettaglio di
un ascoltatore esperto.
Un meccanismo che ben si presta a porsi alla base della distinzione è quello che connette l’atto percettivo a
un sodalizio tra aspettativa e reazione: infatti distinguiamo più facilmente un evento quando esso arriva in
modo inaspettato, ad esempio in seguito alla ripetizione di uno precedente.
Per riassumere, dunque, ogni elemento sonoro di cui ci rendiamo conto e a cui possiamo riferirci in qualche
modo nei nostri discorsi nasce da un atto di distinzione.

E’ difficile, quando ascoltiamo un brano musicale, non renderci conto di una relazione tra il tempo che
effettivamente trascorre durante tale esperienza, e il tempo da noi percepito durante l’ascolto stesso.
Questo perché, mentre ascoltiamo musica, tendiamo ad avere una percezione del tempo del tutto
autonoma e distinta dal tempo oggettivo, la quale dipende da numerosi fattori (molti dei quali di carattere
psicologico), tra i qual la profondità dell’ascolto e il nostro grado di immedesimazione emotiva ad esso.
E’ quasi come se la musica, nel momento dell’ascolto, creasse delle “nuove leggi” che regolano lo scorrere
del tempo, tali leggi come detto sono diverse per ogni individuo e per ogni ascolto.
Diventa quindi naturale domandarsi se sia la musica a dare significato al fluire del tempo o se al contrario
sia il tempo a dare significato al fluire musicale (il primo studioso a porsi tale interrogativo fu Jonathan D.
Kramer).
Ci accorgiamo che dunque il tempo ha una doppia natura: "oggettiva-soggettiva", o se si preferisce, "reale -
virtuale", oppure "lineare - non lineare”.
Si definisce "Temporalità musicale lineare" quella prodotta da una serie di eventi sviluppata mediante un
processo o percorso, il quale è governato da un rapporto di causalità di un evento precedente rispetto a un
successivo.
Si definisce invece “Temporalità non lineare” quella prodotta da una serie di eventi dipendenti dai principi
che governano permanentemente una sezione o un’intera composizione.
E’ importante precisare che questi due estremi non obbligatoriamente si escludono a vicenda e che in
diversi livelli di stratificazione (livello profondo, livello medio, livello superficiale), si situano tipi diversi di
tempo musicale (questo concetto è estremamente chiaro se, per comprenderlo, ci serviamo dell’analisi
Schenckeriana), che Kramer così definisce :

1. tempo lineare direzionato: continuum temporale in cui gli eventi procedono verso una meta prevedibile.
2. tempo lineare non-direzionato: continuum temporale in cui gli eventi procedono verso una meta non
prevedibile.
3. tempo lineare multidirezionato: continuum temporale in cui fin da principio appaiono molte mete
possibili.
4. tempo istantaneo: continuum temporale di una composizione costituita dalla successione di tanti istanti
separati, di tanti “presenti istantanei”.
5. tempo verticale (vertical time): continuum temporale dell’”immutevole”, in cui non vi sono eventi
separati e in cui tutto sembra essere parte di un “presente eterno”.

Il sistema tonale costituisce il paradigma musicale della linearità temporale; le relazioni gerarchiche delle
altezze, dei timbri, delle durate e delle dinamiche producono una continua condizione di movimento
direzionato al ricongiungimento alla tonica, alla affermazione e riaffermazione del centro gravitazionale del
brano.
Secondo Greene la musica di Bach è la rappresentazione più chiara di questa corrispondenza, poiché nella
sua musica gli eventi sono strettamente coerenti e quando l'ascoltatore ascolta la cadenza conclusiva è
perfettamente appagato da un senso di completezza ed unità.
Questo perché, nella musica barocca, il ritmo tende a generare una "spinta in avanti" o Fortspinnung: le
frasi della musica barocca si susseguono come anelli di una catena. La terza frase si relaziona alla seconda
come la seconda si relaziona alla prima e le varie voci spesso si sovrappongono l'una all'altra facendo
coincidere l'inizio di una nuova frase con la cadenza finale della precedente; la musica barocca possiede un
"metro" che è paragonabile a quello della prosa nel mondo letterario.
Se invece analizziamo il periodo classico, troviamo lo sviluppo e l’affermazione indiscussa della forma
sonata. In essa si possono rilevare diverse varietà, tutte comprendenti l'interazione di due elementi,
l'equilibrio e la spinta in avanti. Tali elementi pervadono l'intera struttura musicale e si riconoscono
soprattutto nelle coppie di frasi (antecedente-conseguente) che regolano l'intera forma musicale. Due frasi
sono accoppiate se la seconda è conseguente alla prima, nel senso che la seconda risolve ciò che la prima
lasciava sospeso. In questo periodo è dunque questa struttura basata sul movimeto delle coppie di frasi (la
quale è regolata da fattori armonici e ritmici) a condurre e governare il tempo musicale e quindi il
procedere della composizione. Se prima avevamo individuato un’affinità tra il metro barocco e la prosa, ora
possiamo abbinare quello classico alla poesia.

Le modalità costruttive delle frasi musicali del periodo romantico affondano le loro radici nella tradizione
classica (con la forma antecedente-conseguente), contemporaneamente però esse smentiscono e superano
la tradizione classica stessa. Nella musica romantica la frase conseguente non aggiunge elementi nuovi ma
intensifica (interiorizzandoli sempre più) quelli già presentati. Il movimento temporale non è più in "avanti"
ma "verso l'interno". Il processo temporale non è più basato soltanto sui cambiamenti ma anche su
progressive intensificazioni. Dunque il contrasto fra la preparazione e l'attualizzazione di un evento, tra
l’aspettativa e la risoluzione (ovvero il contrasto essenziale delle coppie di frasi dello stile classico) è
soppresso.
Qui il modello temporale è quello del Climax (abbiamo anche qui un paragone con il mondo letterario):
l’iterazione di uno stesso modello genera un’accumulo progressivo di intensità e quindi di energia, la quale
viene tuttavia dissipata senza il raggiungimento di un obiettivo o la crezione di nuovi eventi.
Proprio il dissipamento di quest’energia volta alla genrazione di nuovi momenti musicali costituisce un caso
particolare nel panorama romantico, in particolare se guardiamo alla musica di Brahms. La sua modalità
compositiva tende ad una "graduale trasformazione" ovvero ad una tendenza ad evitare sezioni con
contorni ben precisi. L'ascoltatore è qui spesso portato a non percepire il momento di estinzione poiché
una nuova sezione ha preso avvio e ha cominciato un altro climax. La percezione non è quindi di
cambiamento, ma di trasformazione, di metamorfosi.

La molteplicità di questi aspetti ha indubbiamente influenzato il modo di ascoltare musica durante il


procedere della storia, creando di volta in volta nuove possibilità proprio per quanto riguarda i possibili
approcci all’ascolto di un brano e i diversi modi di percepirne la dimensione temporale.
Nella musica barocca e in quella del classicismo era in qualche modo necessario osservare determinati,
simmetrici gradi di tempo e di forza generanti la spinta in avanti, costringendo l'animo dell'ascoltatore a
una continua attenzione.
La Temporalità della musica romantica, invece, induce l'ascoltatore in una condizione di ascolto "passivo"
tenendolo lontano da attenzioni formalistiche.
L'ascolto del dilettante è contrapposto a quello dell'intellettuale che ,seppur capace di una lettura
formalistica e di costruzione critica e teorica, è tuttavia incapace di una vera e profonda percezione
spirituale.
Se dunque possiamo definire l’ascolto tipico dei periodi precedenti come “ascolto attivo”, tendiamo a
definire quello romantico "ascolto passivo", in quanto vi è in sintesi una sorta di rivolgimento tale per cui il
soggetto non è più posto di fronte ad un'entità oggettiva che vede svolgersi dinanzi a lui, ma "sprofonda"
misticamente dentro di essa, in un atto che prevede una profonda contemplazione:
L'ascoltatore si pone (ed è posto dalla musica) in uno stato di completo abbandono alla "corrente" di
eventi,dove l'identificazione del tempo soggettivo e del tempo oggettivo risulta spesso di difficile
attuazione.
Il modello di ascolto romantico è esasperato nella musica di Gustav Mahler; il suo pensiero musicale pare
frantumato in un flusso di coscienza disarticolato, incoerente e onirico. La musica di Mahler può dunque
talvolta essere intesa come un monologo interiore
L'adagio della sua decima sinfonia è un estremo esempio di"immersione" nel flusso di coscienza.
Assistiamo, in questa composizione, ad una disgregazione degli eventi, al loro dissociarsi, al loro farsi
incoerenti. Gli "oggetti musicali" (come la Berceuse di questo Adagio), definiti e delineati inizialmente, si
trasfigurano e si smaterializzano. Non ne resta che una memoria frammentata e scomposta.
Da un’analisi più attenta si può osservare, inoltre, il senso della ciclicità formale presente nella struttura. I
cinque episodi che costituiscono l'adagio compiono sempre lo stesso percorso (dal canto delle viole, al
tema lirico, alla berceuse e infine alla marcia - scherzo) ad indicare un flusso ciclico che può essere
analizzato in termini di rappresentazione onirica.
Più avanti ancora, nel Novecento, assistiamo alla progressiva nascita di una moltitudine di stili e linguaggi
musicali, ognuno dei quali con un modo proprio di concepire il tempo musicale e prevedente diversi tipi e
combinazioni di temporalità (questo processo avrà poi la sua sublimazione nella musica contemporanea).
Molti compositori del Novecento hanno approfondito gli aspetti temporali relativi alle strutture musicali e
al suono per ragioni non di rado comparabili con quegli stessi stravolgimenti scientifici e filosofici che hanno
al contempo animato il dibattito sulla natura e l'esperienza del tempo: da Faurè con la sua temporalità
caratterizzata dalla continuità fluente delle armonie a Debussy che immobilizza il tempo in istanti di stupore
e di estasi metafisica, a poetiche diverse incentrate sulla scrittura, come quelle di Ravel o Berg, o legate a
un'analisi della significazione, come quelle di Berio, che tendono a esplorare le complessità dei segni del
suono musicale, trovando nelle attenzioni di Stravinskij o Skrjabin all'essenza della costruzione o della
creazione, o negli approfondimenti teorici di Boulez e Ferneyhough circa le strutture costruttive o
decostruttive del comporre, o ancora alle evanescenze del segno sottese alle fenomenologie
dell'espressione e dell'idea di Schoenberg e Webern, e già implicate negli eventi di durata di Debussy, nel
senso del destino di Richard Strauss, nelle esperienze di libertà spirituale di Ives. È nelle spire di tali
evanescenze, spinte all'estremo da Cage, che s'insinuano gli stessi dinamismi per cui Bartók e Varèse
approfondiranno i processi qualitativi del suono. Prospettive sul senso dell'infinito si fonderanno poi con
esplorazioni sulla forma e la complessità del tempo nel suono nelle opere di Ligeti e Nono, di Messiaen e
Carter. E tali esplorazioni s'aggireranno attorno a una sorta di 'grado zero' del segno musicale, che
predispone agli abbandoni tra le braccia dell'acustica e della teoria dell'informazione del costruttivismo
atomistico di Xenakis o delle interparametricità di Stockhausen, per non citare molti altri…

Tra gli esempi musicali trattati durante il corso, significativo è stato “jardin du sommeil d'amour”,
contenuto nella “turangalîla symphonie” di Olivier Messiaen.
Messiaen parte dal richiamo, tramite diversi strumenti, di un elemento “naturale”, ovvero il verso degli
uccelli (che per lui rappresenta la presenza divina nella natura), ponendolo come tipico dell’intero brano.
L’ascolto suggerisce la presenza di una temporalità tipicamente verticale, con la presenza di elementi
melodici e tibrici statici e ripetitivi, dove le armonie e le frasi musicali subiscono una dilatazione estrema.
Il risultato è la creazione di uno “spazio sonoro”, di una distensione perenne, con un rallentamento del
flusso di eventi, il quale ci porta in una “bolla temporale” immutevole dalla quale sembra non poterci
essere via di uscita, rimanendo così “imprigionati”nella dimensione dell’eternità.

Ligeti invece ha una concezione di suono come irradiazione, forma fluttuante, presenza essenziale ed
assente, immobilità apparente o indistinto brulicare di figure, rigore formale del suono ed immanente
energia delle forme.
Nel brano per clavicembalo “Continuum”, ad esempio, assistiamo ad una sorta di "linea fatta di puntini", ad
un "ritmo non-ritmo" in cui le rapide sequenze generano un’immobilità perenne, mettendo l’ascoltatore di
fronte ad una “massa sonora” che sembra ingrandirsi e ridursi durante il procedere del tempo, il cui fluire
risulta declinante e uniforme, privo di discontinuità.
La creazione di un tempo verticale tramite la ripetizione di elementi è un processo compositivo tipico anche
della musica minimalista.
Il compositore statunitense Steve Reich è indubbiamente uno dei massimi esponenti d. Nella composizione
“Electric counterpoint”, ad esempio, egli si serve di diverse tecniche elaborative incastonate nella tecnica
compositiva tipicamente Bachiana, avvalendosi inoltre delle possibilità offerte dalla tecnologia della musica
elettronica (l’organico infatti consiste in un ensamble di fino a dieci chitarre elettriche e due bassi, con
anche l’utilizzo di registrazioni progressive su nastro).
Notiamo qui come l’ossessiva ripetizione di frammenti e motivi melodici di varie voci (questa volta di più
facile differenziazione e riconoscimento rispetto all’esempio precedente), vadano a formare un elemento
temporale statico e costante, con la creazione di una condizione di stasi e di ipnosi che sembra non portarci
da nessuna parte, come a voler fissare l’idea stessa espressa dal dato motivo in un tempo molto lungo.

In conclusione, è noto come la musica sia, tra tutte le arti, una di quelle con rapporto più intimo e diretto
con la dimensione temporale. La presa di coscienza di tale dimensione può essere conseguita più
facilmente se si possiede un’ “educazione” all’ascolto musicale, la quale meglio permette di percepire ed
elaborare le varie relazioni tra gli eventi musicali davanti ai quali possiamo essere posti.
Mediante lo studio di questi processi, riusciamo a cogliere in modo un po’più chiaro uno dei più grandi
“poteri” della musica, nonché suo scopo principale che la accomuna a molte altre arti: conferire presenza,
spirito e preziosità al fluire del tempo.

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