A più specifiche considerazioni musicali veniamo però condotti se si accettano ‘le intenzioni
polifoniche che idealmente guidano il filo narrativo di tutto il capitolo XI. Infatti le Sirene si rifanno
ad una tecnica narrativa che è stata suggerita a Joyce da un procedimento musicale tra i più classici:
la Fuga per canonem. Non si tratta ora di stabilire sino a qual punto Joyce sia riuscito a trasporre sul
piano letterario un fatto tipicamente musicale: bisognerebbe in tal caso addentrarci negli sviluppi
successivi dell’intero capitolo e non limitarci a questa pagina iniziale che del capitolo è il tema, cioè
l’esposizione. Tuttavia, è proprio sviluppando e concentrando le intenzioni polifoniche di Joyce che
sarà possibile, grado a grado, una penetrazione più musicale e più larga di una prima lettura del testo.
Accettato il tema — in quanto sistema sonoro — si trattava cioè di allontanarlo gradualmente dalla
sua propria espressione enunciativa, lineare, dalla sua condizione significativa (la polifonia joyciana,
naturalmente, va solo riferita all’intrecciarsi dei fatti e dei personaggi: una voce che legge è pur
sempre un “a solo” di voce, non una fuga), considerandone gli aspetti fonetici e valutandolo in
funzione delle sue possibilità di trasformazione elettroacustica.
Il primo passo da fare era quindi di mettere in evidenza spontaneamente alcuni aspetti caratteristici
del testo, rendendo reale la polifonia tentata sulla pagina: la voce registrata è stata perciò sovrapposta
due volte con se stessa (vale a dire per un totale di tre voci), aumentando e diminuendo i rapporti di
tempo e dinamici in maniera continua, come in un movimento pendolare:
Questo semplice procedimento che non chiama in causa nessun particolare procedimento tecnico e
che sarà anche alla base delle successive elaborazioni del testo, avrà come risultato di mettere
spontaneamente in evidenza o di confondere ‘l’immagine sonora. La costante e regolare oscillazione
dei rapporti di tempo e dinamici non verrà percepita come l’ingresso perturbante di una regolarità
costante ma, al contrario, poiché viene ad agire sul terreno discontinuo della lingua parlata, e poiché
alle oscillazioni di tempo (non ‘parallele alle variazioni dinamiche) corrisponderanno talvolta anche
lievi oscillazioni di frequenza, porrà maggiormente in evidenza i punti di-maggior complessità e di
maggiore tensione sonora. Questi punti coincidono talvolta con i momenti ove più chiare sono le
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intenzioni onomatopeiche di Joyce. Soprattutto in questi casi anche la presenza vaga di un significato
viene del tutto sovrastata dalla sonorità e dal ritmo dell’insieme e il carattere musicale
dell’onomatopea acquista grande evidenza.
La stessa prova è stata condotta sulla traduzione francese e italiana del testo. Il testo francese è
stato però reso da una voce di donna e di uomo insieme per compensare, grazie alla diversità dei
timbri vocali, quel grado di discontinuità e di efficacia onomatopeica che l’inglese possiede senza
dubbio in più. Per l’italiano, ancora meno efficace su questo piano, sono state impiegate tre voci
differenti.
Per proseguire sul terreno di una comunità essenziale, per superare lo stadio della semplice dizione
di versi e, finalmente, per liberare la polifonia latente del testo, sono state combinate assieme le tre
lingue secondo un procedimento assai semplice ed ordinato: un primo tentativo d’ordine, cioè, di
natura più musicale. Si tratta di una serie di scambi tra una lingua e l’altra che -si effettuerà su dei
punti fissi e determinati — in base ai risultati ottenuti con le sovrapposizioni precedenti — da criteri
di somiglianza o di contrasto. Il ritmo di passaggio da una -lingua all’altra avverrà in maniera più o
meno rapida a seconda della lunghezza dei segmenti di testo interessati. I passaggi più rapidi, dunque
le durate più brevi, serviranno in seguito come principio di base per l’ultima tappa del lavoro.
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Con l’incontro organizzato di tre lingue diverse si è immediatamente stimolati a cogliere
soprattutto i nessi puramente sonori della mescolanza, non tanto a seguire i diversi cifrari linguistici,
dal momento che in presenza di differenti messaggi parlati simultanei si può prendere coscienza di
uno solo, mentre gli altri, posti automaticamente al rango di complementi musicali, diventano parti
di una vera e propria trama polifonica. È interessante notare che a un certo momento, quando il
meccanismo dei cambiamenti si è avviato e stabilizzato, questo tipo di ascolto verrà adottato in
maniera completa: i passaggi da una lingua all’altra non saranno più percepiti come tali ma,
completamente ignorati, diventeranno invece un ‘unica funzione musicale.
Così l’ouverture dell’XI capitolo, invece di proseguire coi fatti e le gesta di Mr. Bloom all’Ormond
Bar, ha definitivamente preso un’altra direzione e si è trasformata in un tessuto polifonico che non
vuole significare altro che la sua stessa struttura.
Ma altre “interpretazioni,” altri sviluppi sono naturalmente possibili se si tenta una più vasta
evoluzione della materia poetica attraverso elaborazioni elettroacustiche.
Tuttavia, già a questo gradino assai semplice di elaborazione, si può tranquillamente sospendere la
lettura di Joyce e si può fare un passo decisivo verso uno sviluppo più musicale del testo, sempre ac-
cettando i suggerimenti che si scoprono nella ‘lettura registrata. Anche se si tratta di suggerimenti e
di suggestioni musicali, non si presenteranno mai — anche a quel grado di elaborazione ora
raggiunto — come un surplus espressivo, come una decorazione all’essenza stessa del poema. Tutto
è già implicito nell’originale joyciano: soprattutto nell’originale inglese che è libero da qualsiasi
riferimento ad una metrica quantitativa, sillabica, propria della prosodia latina (e quindi, in diversa
misura, propria dell’italiano e del francese) ma è invece fondato, appunto, sulle tipiche possibilità
d’accentuazione e timbriche della lingua inglese. Non bisogna dimenticare infine che sono stati presi
in considerazione solo gli aspetti immediatamente percepibili a una semplice lettura del testo; cioè,
non i risultati di una analisi fisica del materiale vocale, ma semplicemente le parole e le funzioni
fonetiche con il loro significato contestuale: periodi di diversa lunghezza, parole isolate, rottura di
parole, contrasti dinamici, ritmi quasi regolari, ecc. E quindi, parole e frasi con un significato più o
meno immediato (ci sono per esempio delle parole “inventate” o composte che acquisteranno un
significato pieno solo alla lettura di tutto il capitolo XI: Imperthnthn, peepofgold, ecc.), distribuzione
dei timbri e dei registri in maniera sistematicamente variata, in gruppi ricorrenti — veri e propri
episodi musicali — ove i diversi colori tendono a riunirsi in aggregati, a opporsi e a evolvere l’uno
nell’altro: l’episodio della S finale che, preparata poco a poco, giunge a saturare la forma, è forse il
più evidente.
I mezzi elettroacustici vengono ora impiegati con uno scopo preciso: quello di moltiplicare e
accrescere la trasformazione dei colori vocali proposti da una sola voce, di scomporre le parole e
riordinare con criteri differenti il materiale vocale risultante.
Per raggiungere questo scopo secondo i criteri iniziali di evoluzione graduale e continua, era
necessario allontanarsi sottilmente dagli aspetti naturali e convenzionali di una voce che parla e
operare una ulteriore selezione del materiale. Si è perciò ritornati alla registrazione originale del solo
testo inglese, classificando e riunendo in accordi quasi tutte le parole presenti nel testo secondo una
scala di colori vocali — una serie in un certo senso — che si estende dall’A alla U, compresi i
dittonghi. La disposizione originale di questa serie corrisponde, entro ,i limiti di una interpretazione
schematica del meccanismo della produzione dei suoni vocali, alle successive posizioni dei punti di
risonanza dell’apparato vocale.
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(team) (tip) (tape) (time)
steèlyringing chips fade sail by
Peep picking awave vell Idolores -
leave tink Waves cried
sweetheart pity dyng
feel jingle bright
listen I
liszt thigh
hiss night
spiked
winding
silent
Per mezzo di una costante variazione di velocità entro limiti assai stretti si è accentuata la
continuità di questa scala senza snaturare i singoli caratteri vocali. Diversi modelli di
sovrapposizione d’accordi sono stati scelti e raggruppati in una maniera che, sola, poteva permettere
un ulteriore distacco dal meccanismo naturale della produzione Vocale: con diverse velocità di
distribuzione e con accostamenti più o meno densi, sono state raggruppate quelle consonanti che il
nostro apparato vocale difficilmente avvicina. Questi incontri artificiali di consonanti (soprattutto
successioni rapide di unvoiced and voiced stop consonants: -b-p, t-d, t-b, ch-g) hanno permesso una
evoluzione decisiva verso una più grande ricchezza di articolazione. Un altro intervento (su scala più
vasta) con variazioni di durata, di frequenza e alterazioni di banda, è stato successivamente operato
su queste sequenze di rumori, per rivelare nuovi rapporti all’interno del materiale stesso
((somiglianza delle formanti) e per raggiungere una imitazione della trasformazione naturale dei
suoni vocali. Per esempio, la S il colore base di tutto il pezzo, assai simile, evidentemente, a una
striscia di suono bianco — si è potuto facilmente farla evolvere in una F, la F in V, lo SZ in ZH, ecc.
con l’uso dei filtri o con l’aggiunta di un tono fondamentale.
Infine, nella discontinuità ritmica dell’insieme sono stati introdotti in misura sempre maggiore
degli elementi periodici. Per questa ragione si è ritornati anche al testo francese che è stato
parzialmente impiegato come -modello di modulazione dinamica, nelle frasi che per la loro
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caratteristica ritmica potevano dare una netta e ben definita modulazione d’ampiezza a dei suoni
continui derivati dal materiale di lingua inglese (per esempio: Petites ripes, il picore les petites ripes
d’un pouce recbe, petites ripes). La presenza concreta della lingua francese, per quanto attiva, non
verrà perciò mai avvertita. Del testo italiano è stato usato un solo elemento periodico: la R roulée
contenuta nella frase “morbida parola” (soli word). Queste parti di una ritmizzazione più regolare
hanno permesso delle facili transizioni tra vocali e consonanti, superando completamente ogni
opposizione dualistica tra suono e rumore.
Spesso, dato il grado di elaborazione, il materiale vocale non èpiù riconoscibile in quanto tale; ma
ogni elemento del testo sarà sempre adattato a tre principali stadi di articolazione suggeriti dalla
natura originale degli elementi stessi:
Il caso della frase francese a struttura ritmica regolare che modula in ampiezza suoni continui
derivati dal testo in -lingua inglese, è un aspetto di come si possa passare da una situazione continua
ad una situazione periodica: per il successivo passaggio ad una situazione discontinua è sufficiente
intervenire con l’oscillazione dei rapporti di tempo, di frequenza e dinamici già adottati all’inizio
dell’esperimento. Anche tutti gli altri passaggi e trasformazioni sono sempre ottenuti, in -linea di
principio, sulla base di variazioni dei rapporti di tempo tra i vari elementi selezionati.
Tale, per sommi capi, il repertorio dei procedimenti impiegati, sui quali è basata la composizione
di Thema (Omaggio a Joyce), per quattro canali (quattro altoparlanti, quindi), ove ho impiegato
esclusivamente gli elementi “tematici” del brano poetico di Joyce registrato in studio.
A questo punto di elaborazione si poteva facilmente proseguire l’evoluzione continua del materiale
vocale in maniera sintetica, introducendo cioè anche suon-i prodotti elettricamente. Ma mi sono arre-
stato alle soglie di questa possibilità perché l’intenzione era solo quella di sviluppare la lettura del
testo di Joyce in un ristretto campo di possibilità dettate dal testo stesso: altrimenti, per una
esperienza del genere sarebbero bastati i nomi degli abbonati al telefono.
È ormai chiaro che solo dei criteri di composizione basati su un riferimento concreto e unitario alla
materia sonora permettono al musicista contemporaneo di coordinare il vasto campo di possibilità
della musica elettronica. Solamente dei criteri di composizione ove sia chiaramente manifestato il
rifiuto di una condizione immutabile e definitiva della materia musicale — nella quale è implicita la
possibilità di esser modificata da un’opera all’altra, in funzione delle sue insostituibili necessità
strutturali — dovevano permettere di usare dell’immensa ricchezza sonora che i mezzi elettronici
hanno reso disponibile in tutta la sua continuità. Ed è precisamente la constatazione di questa
continuità che -ha reso possibile la concezione di forme musicali legate all’evoluzione qualitativa del
materiale.
Ecco, dunque, l’aspetto più importante della musica elettronica, dal momento che le funzioni di
questa evoluzione qualitativa possono essere organicamente differite fuori del campo specifico della
generazione elettrica del suono. In questi ultimi anni, infatti, abbiamo ascoltato per la prima volta
composizioni che combinano i mezzi strumentali ed elettronici assieme, ove cioè viene tentato un
incontro organico tra suoni naturali (ivi compresa la voce umana) e suoni sintetici: basti pensare a
Gesang der Jünglinge di Stockhausen, a Rimes di Pousseur e a Musica su due dimensioni di
Maderna. Sono tuttavia certo che anche l’antinomia delle “due dimensioni” — il contrasto tra musica
registrata (musica elettronica, cioè) e musica realmente eseguita (strumenti, voce cantata e parlata)
— potrà essere ben presto superata. La possibilità di intervenire sulla struttura interna del suono con
una finezza sempre maggiore (il che equivale ad un aumentato controllo nel “microtempo” ove
questa struttura è articolata) permetterà di integrare perfettamente i suoni sintetici alla complessità e
alla relativa discontinuità dei fenomeni sonori naturali. Questa integrazione s’effettuerà secondo un
processo evolutivo così ampio e raffinato ad un tempo che il suono sinusoidale sarà il principio, più
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o meno simbolico, di una sola dimensione musicale, la cui complessità la cui molteplicità relazionale
potrà accogliere in maniera continua non solamente tutti i fenomeni sonori del nostro mondo udibile:
l’azione, la sola presenza dell’interprete che suona o canta, potranno essere totalmente incorporati in
questo ampliamento della pratica musicale. L’ascoltatore sarà meno che mai posto nella condizione
di dover chiudere gli occhi per abbandonarsi ai sogni musicali: sarà invitato dalla situazione stessa a
partecipare ~oscientemente all’azione. Perché il senso di questa divenga intelligibile, dovrà seguire
le trasformazioni e le proliferazioni imprevedibili dei suoni vocali e strumentali attraverso i vari
modi di manifestazione pratica, tenendo conto della presenza più o meno effettiva di un’azione
visibile da parte degli interpreti. Un denso intreccio di relazioni non cesserà di stimolare presso i
compositori e gli interpreti (e presso un pubblico sempre più “partecipante”) delle reazioni coscienti,
capaci di purificare definitivamente i nostri costumi musicali da ogni residuo dualistico.
Perché tutto questo diventi reale bisogna naturalmente che ogni esperienza venga condotta dal
compositore e dall’interprete attraverso un contatto vivo e permanente con la materia sonora e non
attraverso le sue suggestioni superficiali o attraverso le divagazioni schematiche di qualche
malinteso pseudo-seriale: di per sé i procedimenti seriali non garantiscono assolutamente nulla: è
sempre possibile serializzare delle pessime idee come è anche possibile versificare pensieri stupidi.
È dunque su questo allargamento dei mezzi musicali — intesi in senso generale — che si basa ogni
prospettiva di rinnovamento della musica d’oggi: senza nulla distruggere e senza impedire che gli
stili personali dei compositori facciano sempre da ponte tra una forma e una materia rinnovante. A
questo rinnovamento della materia e della forma — che interessa dei campi di ricerca acustica
sempre più lontani tra loro — si collegano anche i nostri problemi spirituali, essendo esso il segno di
un rinnovamento della coscienza, non solamente musicale, degli individui.
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François Delande
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L’Omaggio a Joyce
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