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Luciano Berio

Thema (Omaggio a Joyce)


1958
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Poesia e musica - un’esperienza
DI LUCIANO BERIO
Come la musica, la poesia è oggi meno circoscritta nei suoi mezzi, meno caratterizzata dai suoi
procedimenti. Come non abbiamo più bisogno di riconoscere la poesia nei procedimenti più o meno
sottili della versificazione — tanto che da cinquant’anni a questa parte ci sembra più frequente il
caso di scoprire più poesia nella prosa che nella poesia propriamente detta — così non abbiamo
alcun bisogno di riconoscere la musica solo nei parametri prestabiliti di una qualsiasi cultura
musicale.
Credo che quando Mallarmé scriveva sulla riunione del verso libero e del poema in prosa,
compiutasi “sous l’influence étrangère de la musique entendue au concert,” non affermava
semplicemente una nostalgia di musica, ma pensava a quella autonomia, a quella consapevole
libertà, a quella imprevedibilità degli avvenimenti strutturali che ci doveva più tardi apprendere la
musica di Debussy, di Webern e dei più importanti musicisti contemporanei.
Isolamento del suono; isolamento della parola. Lo stesso Mallarmé doveva scriverne più tardi: “Le
vers qui de plusieurs vocables refait un mot totai, neuf, étranger à la langue et comme incantatoire,
achève cet isolement de la parole: niant d’un trait souverain le hasard, demeure aux termes malgré
l’artifice de leur retrempe alterné en le sens et la sonorité, et vous cause cette surprise de n’avoir oui
jamais tel fragment ordinaire, en mêne temps que la réminiscence de l’objet nommé baigne dans une
neuve atmosphère.
Una nuova sensibilità dello spazio in generale — ivi compresi anche gli artifizi tipografici —
hanno certo contribuito a dare una nuova apertura alle dimensioni espressive della parola poetica, o
meglio, alle possibilità poetiche della parola stampata, compresa, detta.
Già sappiamo come possiamo ritrovare nella musica — con funzioni più complesse ancora a causa
della presenza insostituibile dell’interprete — questa presenza dello spazio attorno alla parola poe-
tica, di cui il nero su bianco della pagina non è che un aspetto. Ma per quanto esagerata possa essere
l’affermazione che un generale allargamento dei mezzi formali e redazionali della scrittura poetica
avvicinino il lettore di versi all’interprete di musica, è tuttavia certo che — astrazione fatta dai
diversi gradi e dalle diverse qualità ‘di specializzazione tra chi suona il pianoforte e chi legge un
poema — ambedue, per realizzare uno dei numerosi risultati possibili, sono, obbligati ad una
adesione totale, di coscienza, all’opera. (Penso agli interpreti della III Sonata di Boulez, del
Klavierstück XI e Stockhausen, di Mobile di Pousseur e agli interpreti di Un cup de dés e del Livre di
Mallarmé e del Finnegans Wake di Joyce). A un tal livello di coscienza ove non v’è posto per i più
semplici schemi formali della percezione — poiché quasi tutti i nostri sensi sono chiamati ad
apprendere e a consumare l’oggetto estetico — ma vi è unità completa del nostro essere, della nostra
coscienza: vi è adesione creatrice.
La poesia è anche un messaggio verbale distribuito nel tempo: la registrazione e i mezzi della
musica elettronica in genere ce ne danno un idea reale e concreta, assai più di quanto non possa fare
una pubblica e teatrale ‘lettura di versi. Attraverso questi mezzi ho tentato di verificare
sperimentalmente una nuova possibilità di incontro tra la lettura di un testo poetico e la musica, 1,
senza per questo che l’unione debba necessariamente risolversi a beneficio di uno dei due sistemi
espressivi: tentando, piuttosto, di rendere la parola capace di assimilare e di condizionare
completamente il fatto musicale.
È forse attraverso questa possibilità che si potrà giungere un giorno alla realizzazione di uno
spettacolo “totale” ove una profonda continuità e una perfetta integrazione possa svilupparsi tra tutti
gli elementi componenti (non solamente tra gli elementi propriamente musicali), e ove sia quindi
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possibile realizzare anche un rapporto di nuovo genere tra parola e suono, tra poesia e musica. In tal
caso il vero scopo non sarebbe comunque di opporre o anche di mescolare due diversi sistemi
espressivi, ma di creare invece un rapporto di continuità tra di loro, di rendere possibile il passaggio
da uno all’altro senza darlo ad intendere, senza rendere palesi le differenze tra una condotta
percettiva di tipo logico-semantico (quella che si adotta di fronte a un messaggio parlato) e una
condotta percettiva di tipo musicale, cioè trascendente e opposta alla precedente sia sul piano del
contenuto che sul piano sonoro. Ciò, infine, eluderebbe il ben noto problema teorico-estetico della
sovranità della struttura musicale sulla struttura poetica.
Ho condotto l’esperimento tentando un graduale sviluppo musicale dei soli elementi verbali
proposti da una voce femminile che legge un testo poetico. Coi mezzi della musica elettronica è
evidentemente possibile spingere assai lontano l’integrazione e la continuità tra diverse strutture
sonore ed è possibile tanto risalire da un fenomeno all’ipotesi e alla conferma di un’idea — cioè di
una forma — quanto il contrario. Nel caso particolare di questa esperienza il fenomeno è la lettura
registrata dell’inizio dell’XI capitolo dell’Ulysses di J. Joyce: il capitolo delle Sirene.
1.
Questo esperimento è stato condotto durante la preparazione di una trasmissione radiofonica allo Studio di
Fonologia Musicale della RAI, in collaborazione con Umberto Eco.

BRONZE BY GOLD HEARD HOOFIRONS STEELYRINGING


Imperthnthn thnthnthn.
Chips, picking chips off rocky thumbnail, chips.
Horrid! And gold flushed more.
A husky fifenote blew.
Blew. Blue bloom is on the
Gold pinnacled hair.
A jumping rose on satiny breasts of satin, rose of Castille.
Trifling, trilling: Idolores.
Peep! Who’s in the ... peepofgold?
Tink cried to bronze in pity.
And a cali, pure, long and throbbing. Longindyng call.
Decoy. Soft word. But Iook! The bright stars fade. O rose!
Notes chirruping answer. Castille. The morn is breaking.
Jingle jingle jaunted jingling.
Coin rang. Clock clacked.
Avowal. Sonnez. I could. Rebound of garter. Not leave thee.
Smack. La cloche! Thigh smack. Avowal. Warm. Sweetheart,
goodbye!
Jingle. Bloo.
Boomed crashing chords. When love absorbs. War! War! The
Tympanum.
A sail! A veil awave upon the waves.
Lost. Throstle fluted. All is lost now.
Hom. Hawhorn.
When first he saw. Alas!
Full tup. Full tbrob.
Warbling. Full tbrob.
Warbling. Ah, lure! Alluring.
Martha! Come!
Clapclop. Clipclap. Clappyclap.
Goodgod he never heard mall
Deaf bald Pat brought pad knife took up.
A moonlit nightcall: far: far.
I feel so sad. P.S. So lonely blooming.
Listen!
The spiked and winding cold seahorn. Have you the?
Bach and for other plash and silent roar.
Pearls: when she. Liszt’s rhapsodies. Hisssss.
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Questo inizio (non completo) del capitolo rappresenta una sorta di ouverture, una esposizione dei
temi, che prelude alla composizione vera e propria del capitolo. Nell’ammasso di sonorità attraverso
cui personaggi ed eventi si manifestano, l’autore sceglie una serie di temi fondamentali e li isola dal
contesto in una successione di Leitmotiven privi di connessione propria e di significato discorsivo.
Sono frasi che si possono pienamente cogliere e gustare anche e solo nella ‘loro immediata
musicalità: si tratta, in un certo senso, di una Klangfarbenmelodie nella quale ‘l’autore ha anche
voluto creare dei riferimenti con i più tipici artifici dell’esecuzione musicale: trilli, appoggiatura,
martellato, portamento, glissando. Ma questi riferimenti hanno un significato assai relativo di fronte
alle possibilità di analisi, di scomposizione e sintesi dei mezzi elettronici. Infatti, per quanto
legittima dal momento che resta fedele alle intenzioni di Joyce, ogni considerazione musicale basata
semplicemente sulla presenza di quegli artifici andrebbe comunque -limitata al campo
dell’onomatopea (che in effetti rappresenta lo stadio più primitivo dell’espressione musicale
spontanea) cui la lingua inglese si presta particolarmente bene:

Imperthnthn thnthnthn . . . . . . . . . . . . . . trillo


Chips, picking chips . . . . . . . . . . . . . . . staccato
Warbling. Ah, lure! . . . . . . . . . . . . . . . appoggiatura
Deaf bold Pat brought pad knife took up . . . . . . . . . martellato
A sail! A veil awave upon the waves . . . . . . . . . . glissando

A più specifiche considerazioni musicali veniamo però condotti se si accettano ‘le intenzioni
polifoniche che idealmente guidano il filo narrativo di tutto il capitolo XI. Infatti le Sirene si rifanno
ad una tecnica narrativa che è stata suggerita a Joyce da un procedimento musicale tra i più classici:
la Fuga per canonem. Non si tratta ora di stabilire sino a qual punto Joyce sia riuscito a trasporre sul
piano letterario un fatto tipicamente musicale: bisognerebbe in tal caso addentrarci negli sviluppi
successivi dell’intero capitolo e non limitarci a questa pagina iniziale che del capitolo è il tema, cioè
l’esposizione. Tuttavia, è proprio sviluppando e concentrando le intenzioni polifoniche di Joyce che
sarà possibile, grado a grado, una penetrazione più musicale e più larga di una prima lettura del testo.
Accettato il tema — in quanto sistema sonoro — si trattava cioè di allontanarlo gradualmente dalla
sua propria espressione enunciativa, lineare, dalla sua condizione significativa (la polifonia joyciana,
naturalmente, va solo riferita all’intrecciarsi dei fatti e dei personaggi: una voce che legge è pur
sempre un “a solo” di voce, non una fuga), considerandone gli aspetti fonetici e valutandolo in
funzione delle sue possibilità di trasformazione elettroacustica.
Il primo passo da fare era quindi di mettere in evidenza spontaneamente alcuni aspetti caratteristici
del testo, rendendo reale la polifonia tentata sulla pagina: la voce registrata è stata perciò sovrapposta
due volte con se stessa (vale a dire per un totale di tre voci), aumentando e diminuendo i rapporti di
tempo e dinamici in maniera continua, come in un movimento pendolare:

Questo semplice procedimento che non chiama in causa nessun particolare procedimento tecnico e
che sarà anche alla base delle successive elaborazioni del testo, avrà come risultato di mettere
spontaneamente in evidenza o di confondere ‘l’immagine sonora. La costante e regolare oscillazione
dei rapporti di tempo e dinamici non verrà percepita come l’ingresso perturbante di una regolarità
costante ma, al contrario, poiché viene ad agire sul terreno discontinuo della lingua parlata, e poiché
alle oscillazioni di tempo (non ‘parallele alle variazioni dinamiche) corrisponderanno talvolta anche
lievi oscillazioni di frequenza, porrà maggiormente in evidenza i punti di-maggior complessità e di
maggiore tensione sonora. Questi punti coincidono talvolta con i momenti ove più chiare sono le
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intenzioni onomatopeiche di Joyce. Soprattutto in questi casi anche la presenza vaga di un significato
viene del tutto sovrastata dalla sonorità e dal ritmo dell’insieme e il carattere musicale
dell’onomatopea acquista grande evidenza.

La stessa prova è stata condotta sulla traduzione francese e italiana del testo. Il testo francese è
stato però reso da una voce di donna e di uomo insieme per compensare, grazie alla diversità dei
timbri vocali, quel grado di discontinuità e di efficacia onomatopeica che l’inglese possiede senza
dubbio in più. Per l’italiano, ancora meno efficace su questo piano, sono state impiegate tre voci
differenti.

A Un appel Ientamourlr. Séductlan. Mot suave. Mais vols! PMissent

Bl Un appel Ientamourir. Séduction. Mot suave. Mais volsl Pàllssent

B2 Un appel Ientamourlr. Séductlon. Mot suave. Mais vois! Pàlissent

A Bronzo accanto a oro udirono sferragliare zoccoli acciai sonanti Impethnthn


B Bronzo accanto a oro udirono sferragliare zoccoli acciai sonanti Impethnthn

C zoccoli acciai sonanti Imperthnthn

Per proseguire sul terreno di una comunità essenziale, per superare lo stadio della semplice dizione
di versi e, finalmente, per liberare la polifonia latente del testo, sono state combinate assieme le tre
lingue secondo un procedimento assai semplice ed ordinato: un primo tentativo d’ordine, cioè, di
natura più musicale. Si tratta di una serie di scambi tra una lingua e l’altra che -si effettuerà su dei
punti fissi e determinati — in base ai risultati ottenuti con le sovrapposizioni precedenti — da criteri
di somiglianza o di contrasto. Il ritmo di passaggio da una -lingua all’altra avverrà in maniera più o
meno rapida a seconda della lunghezza dei segmenti di testo interessati. I passaggi più rapidi, dunque
le durate più brevi, serviranno in seguito come principio di base per l’ultima tappa del lavoro.

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Con l’incontro organizzato di tre lingue diverse si è immediatamente stimolati a cogliere
soprattutto i nessi puramente sonori della mescolanza, non tanto a seguire i diversi cifrari linguistici,
dal momento che in presenza di differenti messaggi parlati simultanei si può prendere coscienza di
uno solo, mentre gli altri, posti automaticamente al rango di complementi musicali, diventano parti
di una vera e propria trama polifonica. È interessante notare che a un certo momento, quando il
meccanismo dei cambiamenti si è avviato e stabilizzato, questo tipo di ascolto verrà adottato in
maniera completa: i passaggi da una lingua all’altra non saranno più percepiti come tali ma,
completamente ignorati, diventeranno invece un ‘unica funzione musicale.
Così l’ouverture dell’XI capitolo, invece di proseguire coi fatti e le gesta di Mr. Bloom all’Ormond
Bar, ha definitivamente preso un’altra direzione e si è trasformata in un tessuto polifonico che non
vuole significare altro che la sua stessa struttura.
Ma altre “interpretazioni,” altri sviluppi sono naturalmente possibili se si tenta una più vasta
evoluzione della materia poetica attraverso elaborazioni elettroacustiche.
Tuttavia, già a questo gradino assai semplice di elaborazione, si può tranquillamente sospendere la
lettura di Joyce e si può fare un passo decisivo verso uno sviluppo più musicale del testo, sempre ac-
cettando i suggerimenti che si scoprono nella ‘lettura registrata. Anche se si tratta di suggerimenti e
di suggestioni musicali, non si presenteranno mai — anche a quel grado di elaborazione ora
raggiunto — come un surplus espressivo, come una decorazione all’essenza stessa del poema. Tutto
è già implicito nell’originale joyciano: soprattutto nell’originale inglese che è libero da qualsiasi
riferimento ad una metrica quantitativa, sillabica, propria della prosodia latina (e quindi, in diversa
misura, propria dell’italiano e del francese) ma è invece fondato, appunto, sulle tipiche possibilità
d’accentuazione e timbriche della lingua inglese. Non bisogna dimenticare infine che sono stati presi
in considerazione solo gli aspetti immediatamente percepibili a una semplice lettura del testo; cioè,
non i risultati di una analisi fisica del materiale vocale, ma semplicemente le parole e le funzioni
fonetiche con il loro significato contestuale: periodi di diversa lunghezza, parole isolate, rottura di
parole, contrasti dinamici, ritmi quasi regolari, ecc. E quindi, parole e frasi con un significato più o
meno immediato (ci sono per esempio delle parole “inventate” o composte che acquisteranno un
significato pieno solo alla lettura di tutto il capitolo XI: Imperthnthn, peepofgold, ecc.), distribuzione
dei timbri e dei registri in maniera sistematicamente variata, in gruppi ricorrenti — veri e propri
episodi musicali — ove i diversi colori tendono a riunirsi in aggregati, a opporsi e a evolvere l’uno
nell’altro: l’episodio della S finale che, preparata poco a poco, giunge a saturare la forma, è forse il
più evidente.
I mezzi elettroacustici vengono ora impiegati con uno scopo preciso: quello di moltiplicare e
accrescere la trasformazione dei colori vocali proposti da una sola voce, di scomporre le parole e
riordinare con criteri differenti il materiale vocale risultante.
Per raggiungere questo scopo secondo i criteri iniziali di evoluzione graduale e continua, era
necessario allontanarsi sottilmente dagli aspetti naturali e convenzionali di una voce che parla e
operare una ulteriore selezione del materiale. Si è perciò ritornati alla registrazione originale del solo
testo inglese, classificando e riunendo in accordi quasi tutte le parole presenti nel testo secondo una
scala di colori vocali — una serie in un certo senso — che si estende dall’A alla U, compresi i
dittonghi. La disposizione originale di questa serie corrisponde, entro ,i limiti di una interpretazione
schematica del meccanismo della produzione dei suoni vocali, alle successive posizioni dei punti di
risonanza dell’apparato vocale.
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(team) (tip) (tape) (time)
steèlyringing chips fade sail by
Peep picking awave vell Idolores -
leave tink Waves cried
sweetheart pity dyng
feel jingle bright
listen I
liszt thigh
hiss night
spiked
winding
silent

(never) (ever) (tap) (far) (ton) (talk)


breast heard satin bronze thnthnthn more
never answer rang stars not call
deaf have clacked garter love morn
sad pearls smack throb tup warm
when pat ah come war
pad Martha all
plash far lost
saw
cafl
(town) (tone) (took) (tool) (few) roar
rebound gold look blue blew
now note could bloom fluted
avowal rose full who’s lure
jaunted chords good bloo alluring
horn took bloomed
hawhorn moonlit
so lonely blooming
cold

Per mezzo di una costante variazione di velocità entro limiti assai stretti si è accentuata la
continuità di questa scala senza snaturare i singoli caratteri vocali. Diversi modelli di
sovrapposizione d’accordi sono stati scelti e raggruppati in una maniera che, sola, poteva permettere
un ulteriore distacco dal meccanismo naturale della produzione Vocale: con diverse velocità di
distribuzione e con accostamenti più o meno densi, sono state raggruppate quelle consonanti che il
nostro apparato vocale difficilmente avvicina. Questi incontri artificiali di consonanti (soprattutto
successioni rapide di unvoiced and voiced stop consonants: -b-p, t-d, t-b, ch-g) hanno permesso una
evoluzione decisiva verso una più grande ricchezza di articolazione. Un altro intervento (su scala più
vasta) con variazioni di durata, di frequenza e alterazioni di banda, è stato successivamente operato
su queste sequenze di rumori, per rivelare nuovi rapporti all’interno del materiale stesso
((somiglianza delle formanti) e per raggiungere una imitazione della trasformazione naturale dei
suoni vocali. Per esempio, la S il colore base di tutto il pezzo, assai simile, evidentemente, a una
striscia di suono bianco — si è potuto facilmente farla evolvere in una F, la F in V, lo SZ in ZH, ecc.
con l’uso dei filtri o con l’aggiunta di un tono fondamentale.
Infine, nella discontinuità ritmica dell’insieme sono stati introdotti in misura sempre maggiore
degli elementi periodici. Per questa ragione si è ritornati anche al testo francese che è stato
parzialmente impiegato come -modello di modulazione dinamica, nelle frasi che per la loro

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caratteristica ritmica potevano dare una netta e ben definita modulazione d’ampiezza a dei suoni
continui derivati dal materiale di lingua inglese (per esempio: Petites ripes, il picore les petites ripes
d’un pouce recbe, petites ripes). La presenza concreta della lingua francese, per quanto attiva, non
verrà perciò mai avvertita. Del testo italiano è stato usato un solo elemento periodico: la R roulée
contenuta nella frase “morbida parola” (soli word). Queste parti di una ritmizzazione più regolare
hanno permesso delle facili transizioni tra vocali e consonanti, superando completamente ogni
opposizione dualistica tra suono e rumore.
Spesso, dato il grado di elaborazione, il materiale vocale non èpiù riconoscibile in quanto tale; ma
ogni elemento del testo sarà sempre adattato a tre principali stadi di articolazione suggeriti dalla
natura originale degli elementi stessi:

elemento Discontinuo Periodico Continuo


(per es. Goodgod, be never heard mali)
elemento Continuo periodico Discontinuo
(per es. S)
elemento Periodico continuo Discontinuo
(per es. thntbntbn)

Il caso della frase francese a struttura ritmica regolare che modula in ampiezza suoni continui
derivati dal testo in -lingua inglese, è un aspetto di come si possa passare da una situazione continua
ad una situazione periodica: per il successivo passaggio ad una situazione discontinua è sufficiente
intervenire con l’oscillazione dei rapporti di tempo, di frequenza e dinamici già adottati all’inizio
dell’esperimento. Anche tutti gli altri passaggi e trasformazioni sono sempre ottenuti, in -linea di
principio, sulla base di variazioni dei rapporti di tempo tra i vari elementi selezionati.
Tale, per sommi capi, il repertorio dei procedimenti impiegati, sui quali è basata la composizione
di Thema (Omaggio a Joyce), per quattro canali (quattro altoparlanti, quindi), ove ho impiegato
esclusivamente gli elementi “tematici” del brano poetico di Joyce registrato in studio.
A questo punto di elaborazione si poteva facilmente proseguire l’evoluzione continua del materiale
vocale in maniera sintetica, introducendo cioè anche suon-i prodotti elettricamente. Ma mi sono arre-
stato alle soglie di questa possibilità perché l’intenzione era solo quella di sviluppare la lettura del
testo di Joyce in un ristretto campo di possibilità dettate dal testo stesso: altrimenti, per una
esperienza del genere sarebbero bastati i nomi degli abbonati al telefono.
È ormai chiaro che solo dei criteri di composizione basati su un riferimento concreto e unitario alla
materia sonora permettono al musicista contemporaneo di coordinare il vasto campo di possibilità
della musica elettronica. Solamente dei criteri di composizione ove sia chiaramente manifestato il
rifiuto di una condizione immutabile e definitiva della materia musicale — nella quale è implicita la
possibilità di esser modificata da un’opera all’altra, in funzione delle sue insostituibili necessità
strutturali — dovevano permettere di usare dell’immensa ricchezza sonora che i mezzi elettronici
hanno reso disponibile in tutta la sua continuità. Ed è precisamente la constatazione di questa
continuità che -ha reso possibile la concezione di forme musicali legate all’evoluzione qualitativa del
materiale.
Ecco, dunque, l’aspetto più importante della musica elettronica, dal momento che le funzioni di
questa evoluzione qualitativa possono essere organicamente differite fuori del campo specifico della
generazione elettrica del suono. In questi ultimi anni, infatti, abbiamo ascoltato per la prima volta
composizioni che combinano i mezzi strumentali ed elettronici assieme, ove cioè viene tentato un
incontro organico tra suoni naturali (ivi compresa la voce umana) e suoni sintetici: basti pensare a
Gesang der Jünglinge di Stockhausen, a Rimes di Pousseur e a Musica su due dimensioni di
Maderna. Sono tuttavia certo che anche l’antinomia delle “due dimensioni” — il contrasto tra musica
registrata (musica elettronica, cioè) e musica realmente eseguita (strumenti, voce cantata e parlata)
— potrà essere ben presto superata. La possibilità di intervenire sulla struttura interna del suono con
una finezza sempre maggiore (il che equivale ad un aumentato controllo nel “microtempo” ove
questa struttura è articolata) permetterà di integrare perfettamente i suoni sintetici alla complessità e
alla relativa discontinuità dei fenomeni sonori naturali. Questa integrazione s’effettuerà secondo un
processo evolutivo così ampio e raffinato ad un tempo che il suono sinusoidale sarà il principio, più
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o meno simbolico, di una sola dimensione musicale, la cui complessità la cui molteplicità relazionale
potrà accogliere in maniera continua non solamente tutti i fenomeni sonori del nostro mondo udibile:
l’azione, la sola presenza dell’interprete che suona o canta, potranno essere totalmente incorporati in
questo ampliamento della pratica musicale. L’ascoltatore sarà meno che mai posto nella condizione
di dover chiudere gli occhi per abbandonarsi ai sogni musicali: sarà invitato dalla situazione stessa a
partecipare ~oscientemente all’azione. Perché il senso di questa divenga intelligibile, dovrà seguire
le trasformazioni e le proliferazioni imprevedibili dei suoni vocali e strumentali attraverso i vari
modi di manifestazione pratica, tenendo conto della presenza più o meno effettiva di un’azione
visibile da parte degli interpreti. Un denso intreccio di relazioni non cesserà di stimolare presso i
compositori e gli interpreti (e presso un pubblico sempre più “partecipante”) delle reazioni coscienti,
capaci di purificare definitivamente i nostri costumi musicali da ogni residuo dualistico.
Perché tutto questo diventi reale bisogna naturalmente che ogni esperienza venga condotta dal
compositore e dall’interprete attraverso un contatto vivo e permanente con la materia sonora e non
attraverso le sue suggestioni superficiali o attraverso le divagazioni schematiche di qualche
malinteso pseudo-seriale: di per sé i procedimenti seriali non garantiscono assolutamente nulla: è
sempre possibile serializzare delle pessime idee come è anche possibile versificare pensieri stupidi.
È dunque su questo allargamento dei mezzi musicali — intesi in senso generale — che si basa ogni
prospettiva di rinnovamento della musica d’oggi: senza nulla distruggere e senza impedire che gli
stili personali dei compositori facciano sempre da ponte tra una forma e una materia rinnovante. A
questo rinnovamento della materia e della forma — che interessa dei campi di ricerca acustica
sempre più lontani tra loro — si collegano anche i nostri problemi spirituali, essendo esso il segno di
un rinnovamento della coscienza, non solamente musicale, degli individui.

Esempio di possibile trascrizione in partitura di un frammento di Thema (Omaggio a Joyce).


Vengono impiegati tre principali caratteri di rappresentazione:
a) alfabeto convenzionale per gli elementi originali parlati e comprensibili distintamente in quanto
tali;
b) alfabeto fonetico (International Phonetic Association) per gli elementi fonetici isolati e
parzialmente trasformati;
c) segni convenzionali (forme sonore) per i complessi sonori derivati, la forma dei quali suggerisce
la durata, l’attacco, l’articolazione e i principali procedimenti di montaggio effettuati sul nastro
magnetico. La frequenza è indicata come misura relativa, in campi di frequenza. Il decorso
dinamico è indicato:
a) in maniera relativa, dal diverso spessore del tratto tipografico dei vari segni;
b) in maniera assoluta (risultato totale all’ascolto), dai valori in db, in basso. Non è indicata la
distribuzione stereofonica.

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François Delande

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L’Omaggio a Joyce

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