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LO STRUMENTO VOCE
Un'analisi del ruolo e della concezione della voce nel jazz
e in altri stili musicali
Indice
1. Introduzione
2.1 Il ruolo della voce nella musica classica indiana e nella società
dei Venda del nord Africa
3.1 Lo scat
5.1.1 Analisi
5.1.2 Intervista
5.2.1 Analisi
5.2.2 Intervista
5.3.1 Analisi
4.3.2 Intervista
5.4 Maria Schneider Jazz Orchestra, «CONCERT IN THE
GARDEN», featuring Luciana Souza
5.4.1 Analisi
5.4.2 Intervista
6. Conclusione
7. Bibliografia
8. Sitografia
L'arte della musica nasce con il canto in quanto esso rappresenta il primo
strumento attraverso il quale l'uomo è stato in grado di esprimersi. Proprio
come negli altri strumenti la sua funzione necessità a) di un'elemento
eccitante, ovvero l'aria che fuoriesce con la spinta del diaframma, b) di un
corpo vibrante in questo caso le corde vocali la cui lunghezza e spessore
determinano l'altezza e la qualità del suono e c) di un ambiente risonatore
che nell'esempio della voce è rappresentato dalle diverse cavità orali e
nasali e la cassa toracica.1 La voce è estremamente versatile e capace di
imitare e riprodurre dei suoni semplicemente udendoli. Tramite il canto e il
parlato abbiamo la capacità di esprimere emozioni come paura, felicità,
rabbia o vergogna modificando la posizione della bocca durante l'emissione
del suono e avendo così la possibilità di variarne il timbro come se si
volesse trasformare un clarinetto in una tromba.
Molti strumenti infatti sono stati creati e concepiti come un'estensione della
voce ispirandosi proprio ai suoi timbri. Dato che tutte le parti dello
2.1 Il ruolo della voce nella musica classica indiana e nella società
dei Venda del nord Africa
6 JOHN BLACKING, Com'è musicale l'uomo?, University of Washington Press 1973 , p.59
7 JOHN BLACKING, How Musical is Man?, University of Washington Press, USA 1973, p.28
2.2 Un'interpretazione della percezione del ruolo della voce
nell'evoluzione della storia
8 MARIA CHIARA MAZZI, Il Racconto della Musica, Pardes Edizioni, Bologna 2008, p.190
arti singole sono subordinate ad un unico proposito»9. La musica
dell'avvenire per Wagner è appunto caratterizzata da una stretta unione dei
tre elementi derivati dalla tragedia greca: Parola (Wort), Suono (Ton),
Azione (Drama).10
Poiché l'antichità greca oltre ad essere per la nostra società un modello per
la filosofia, la letteratura, le scienze e l'architettura, ha anche avuto
un'enorme influenza sulla visione della musica in Occidente 11. Da lì mi
sono sentita di sostenere la mia intuizione che non solo la base teorica del
nostro linguaggio musicale, come il sistema diatonico basato sulle scale a
sette suoni e gli intervalli di semitono e tono, è stato ereditato dalla civiltà
ellenica, ma anche la stretta unione della musica con le parole del testo.
Infatti le Muse, divinità greche rappresentanti l'ideale supremo dell'arte e
soprattutto della musica, e vocalmente superiori a qualsiasi umano,
intendevano il canto come racconto storico musicato 12. Ciò mi fa credere
che l'attenzione sia più diretta sul contenuto testuale e che esso venga più
probabilmente accompagnato e sostenuto dalla sua messa in musica
piuttosto che equiparato.
In sintesi nella tradizione greca, così com'è interpretata da Wagner nell'idea
dell'opera d'arte totale e quindi nella concezione della vocalità che deriva
dal suo pensiero, la voce non è espressione meramente musicale ma è
sempre associata e apparentemente subordinata alla funzione narrante e
descrittiva.
Queste premesse mi hanno fatto pensare di formulare un paragone fra le tre
divisioni dell'arte nell'idea wagneriana ovvero parola, musica e azione
traducendole in voce, strumento (esterno al corpo) e azione intesa come
teatro.
18 http://imslp.eu/files/imglnks/euimg/f/fe/IMSLP55049-PMLP113838-Perotinus_-
_Sederunt_Principes.pdf, sito consultato il 11.03.17
19 https://it.wikipedia.org/wiki/Música_popular_brasileira, sito consultato il 03.03.2017
dall’incrocio della musica europea, della musica africana e di quella latina.
La cantante brasiliana Luciana Souza, nell’intervista che le ho fatto e che
ho riportato nel quarto capitolo, spiega che il canto in Brasile è
un'espressione priva di pregiudizi e caratterizzata da spontaneità e libertà.
La cantante mi ha consigliato l'ascolto del seguente brano che è stato un
esempio di musica peculiare ed influente per la generazione di musicisti
sudamericani: Bachianas brasileiras n.5 di Heitor Villa-Lobos, è un brano
nel quale violoncelli e voce vengono messi sullo stesso piano e
graziosamente amalgamati dal punto di vista sonoro.
Heitor Villa-Lobos è uno dei compositori più significativi della musica del
XX secolo e tra gli artisti più conosciuti nel Sud America. Nella sua serie di
nove composizioni intitolate appunto Bachianas Brasileiras si fece ispirare
dalla musica popolare brasiliana e dalla musica classica di J. S. Bach.
L'opera più conosciuta del compositore è proprio il n. 5 delle Bachianas
Brasileiras per otto violoncelli e una voce di soprano. La voce canta un
vocalizzo sulla vocale “O” ed è raddoppiata da uno degli otto violoncelli, e
di conseguenza è completamente immersa nella tessitura orchestrale. Il
valore timbrico della voce viene esaltato e sottolineato finemente, ma il suo
tema rimane congiunto al contrappunto dei violoncelli durante l'intera
prima parte dell'aria. Dopo un interludio strumentale viene introdotto un
nuovo movimento nel quale la voce canta su un testo scritto da Ruth
Valdares Corrêa. Si conclude l'aria ripresentando il tema iniziale della
voce, questa volta però verrà cantato liberamente ed in particolare a bocca
chiusa creando un'atmosfera misteriosa e malinconica. Dal mio punto di
vista questa composizione contiene quasi tutti gli aspetti e le virtù dello
strumento voce: l'utilizzo in sezione facendolo cantare su una vocale; il
canto unito ad un significato testuale (in quanto unico strumento a poter
intonare una melodia e pronunciare un testo simultaneamente); infine
l'utilizzo della varietà timbrica, nella quale alla voce viene indicato di
cantare a bocca chiusa. (esempio audio 2)
2.3.3 Olivier Messiaen
Riflettendo sulla ragione del mio interesse verso un'analisi del ruolo della
voce ed il mio bisogno di definirla strumento, ho intuito che la vera
questione che mi ha spinto ad approfondire questa tematica è stata la mia
formazione accademica in ambito jazzistico. La divisione fra cantanti e
strumentisti scaturisce proprio dall'ambiente e dalla storia del jazz. Nel jazz
tradizionale la voce non sembra possedere un ruolo veramente inserito nel
contesto musicale, ma sembra esservi esterno.
Inoltre la voce è unita per tradizione a una consuetudine precisa, ovvero
quella nella quale vengono interpretati le canzoni tradizionali del repertorio
jazzistico in stile. Gli standard di jazz, in quanto in gran parte provenienti
dai musical di Hollywood e Broadway, hanno un contenuto poetico testuale
molto ludico e semplice, dato che ancora un volta il focus dei pezzi è la
recitazione di una storia e lo scopo delle canzoni è quello di sostenere
3.1 Lo scat
Ci sono tuttavia vari esempi nella storia del jazz in cui volutamente o per
mero caso vi è un approccio diverso nell'impiego della voce, come per
esempio in un brano di Duke Ellington dal titolo Creole Love Call.
Sembra proprio questo brano essere il primo esempio nel jazz nel quale una
voce viene inserita strumentalmente in una composizione. Il brano fu
scritto da Duke Ellington uno dei più grandi compositori e pianisti dell'era
dello swing. Nel 1927 l'orchestra di Ellington registra Creole Love Call, un
blues destinato a diventare una hit mondiale e perfino un jazz standard, che
è stato riproposto da molti musicisti nell'arco degli anni.27
È interessante capire la storia che si nasconde dietro questo approccio non
convenzionale di inserire la voce in un tale contesto, ed è come sovente
succede, dettata dal caso.
Duke Ellington e la cantante Adelaide Hall furono ingaggiati per lo stesso
spettacolo “Dance Mania” tenutosi ad Harlem. Mentre Ellington
presentava alla sua orchestra il nuovo brano da suonare, Hall si mise dietro
al piano ed iniziò a canticchiare un controcanto.
Ellington la udì e fermò tutti chiedendo ad Adelaide di riprodurre ciò che
aveva appena cantato. Adelaide stava improvvisando e disse di non esserne
in grado, ma Ellington la pregò nuovamente e la convinse a tentare. Decise
il giorno stesso di inserire la melodia trascritta di Adelaide sulla partitura e
solo qualche giorno dopo fissò un appuntamento per andare in studio di
4.2 Il concetto dello strumento voce nel canto e nei vari stili
d'improvvisazione moderna: un'analisi
m2 M2 m3 M3 P4 TT P5 m6 M6 m7 M7
1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11
5.1.1 Analisi
Wheeler a proposito della semplicità nascosta nel suo approccio dice «Sto
cercando di semplificare tutto. Credo che avere una forte tecnica ti aiuti a
semplificare le cose. Sto cercando di diventare più chiaro e semplice»39.
La bellezza della sua scrittura è spesso caratterizzata da armonie e melodie
estremamente melancoliche e poetiche le quali sembrano ricordare una
lontana «nostalgia immaginaria»40 presente in pressoché tutti i lavori di
Wheeler.
31.12.16)
39https://jazztimes.com/features/kenny-wheeler-slowly-but-surely/, sito consultato il
20.12.2016
40ALDO BAGNONI, La voce di una nostalgia immaginaria, Musica Jazz, novembre 1990, p.12
È su questo album Music For Large and Small Ensembles che voglio
focalizzare la mia attenzione in quanto oltre a comprendere i vari marchi
stilistici di Wheeler, presenta una grande innovazione nell'utilizzo della
voce nel jazz.
L'orchestra è composta da diciannove musicisti inseriti in un contesto
appositamente cucito per la loro voce intesa in senso strumentale e adornati
dal timbro brillante della voce di Norma Winstone.
Lo strumento di Norma si adatta e si mimetizza perfettamente con i timbri
della sezione dei fiati formatasi dal suono di musicisti di grande calibro
come Evan Parker, Stan Sulzman, Paul Rutherford, Chris Pyne ed altri.
Wheeler inserisce la cantante londinese con grazia e precisione nelle
composizioni di questo album sia in maniera orchestrale facendola fluttuare
insieme alla enorme sezione di fiati sulle armonie wheeleriane, sia in
maniera solistica facendole cantare testi poetici cedendogli il ruolo di
paroliera affermatasi di gran talento.
Opening il primo brano della Sweet Time Suite, è un brano che richiama la
sensazione di un meraviglioso inno solenne dal quale uno non può fare
altrimenti che lasciarsi trasportare in un'atmosfera dolce e melancolica.
Questa chicca, la cui durata è di soli due minuti e mezzo, si basa sul
principio di additive melody, nel quale «piccoli frammenti (melodici)
vengono ripetuti, ogni volta aggiungendovi qualche nota in più formando
così l'intera melodia»41.
Una tecnica usata in maniera geniale ed emotivamente accattivante rendono
questo pezzo un brano di apertura degno di nota.
41ALICE HUMPHRIES, Kenny Wheeler: Melody, Harmony and Structure : An Analysis of the Melodic,
Harmonic and Structural Techniques in the Compositions of Kenny Wheeler, and the Implementation of
Those Techniques Into the Authors own Creative Process, Edith Cowan University Research Online,
2009, http://ro.ecu.edu.au/cgi/viewcontent.cgi?article=2332&context=theses_hons (sito consultato il
30.12.16)
Esempio di additive melody su «Opening»:42(esempio audio 11)
consultato il 13.08.2016)
In una prima esposizione del tema, Norma canta la melodia senza parole.
Verso la fine del pezzo la voce è tessuta dentro il dialogo fra le due sezioni
dei fiati, che funge come slancio per il prossimo solista.
Nel secondo disco di questo album c'è la fantastica Sea Lady, un quadro,
una fotografia istantanea del mare freddo e nordico intriso di un amore tra
due persone che non riescono a comunicare a causa del vento forte che li
separa ed il mare tormentato della vita. Così lo descrive Norma nel testo da
lei scritto.
Il brano viene introdotto dal sassofono soprano di Evan Parker che imita
l'urlo dei gabbiani marittimi, turbolento, acuto, mentre pian piano entra la
chitarra di John Abercrombie insieme all'orchestra che si cimenta in un
ascendere e discendere musicale che imita l'andatura delle onde.44
Lentamente si aggiungono altri dettagli come la voce di Norma che viene
inserita in sezione dei fiati, alla quale viene attribuita un ruolo ricco di
dinamiche. Tuttavia però alla voce viene dedicata molta attenzione
tematica in questo brano, concentrandovi l'importanza del tema che viene
da lei interpretato con un timbro leggiadro e soffiato raccontando la triste
storia di Sea Lady. (esempio audio 13)
Un ultimo esempio del ruolo peculiare che Wheeler attribuisce alla Voce è
nel terzo pezzo Part 3 – For P.A., nel quale non ha né un ruolo da solista
né interpreta la voce principale, la Lead della sezione dei fiati, ma fa
piuttosto parte della tessitura orchestrale che svolge un ruolo di supporto e
di sottofondo ai vari solisti.
Occasionalmente il background dei fiati viene persino diviso in due per
dare vita ad una dinamica contrappuntistica che sostiene il musicista nella
costruzione del suo solo e porta la musica a diventare un'enorme e
travolgente onda di suono. Un climax che quando sembra arrivare all'apice
44 STEVE LAKE, A world of his own, p.3, Kenny Wheeler, MUSIC FOR LARGE & SMALL
ENSEMBLES, 1990, CD ECM 1415/16
si calma e subentra il tema finale, cantato liberamente mentre le onde si
tranquillizzano e segue una sorta di quiete dopo la tempesta.
Il topos della voce sembra sempre essere stato presente nel percorso di
Wheeler. Questo lo provano le sue numerose ed intense cooperazioni con
vari cantanti tra cui David Sylvian, Diana Torto, Maria Pia de Vito, Tiziana
Simona ed altri.
Quello che spicca però è la longeva collaborazione con Norma Winstone il
cui approccio, forse per cultura o geolocalizazzione simile, sembra avere
forti affinità con quelle di Wheeler. Entrambi hanno dato vita non solo ad
un'identità europea del Jazz fino allora pressoché solo d'impronta
americana, ma hanno inoltre contribuito ad un'emancipazione della voce da
quelle che sono le convenzioni e gli stereotipi di questo genere musicale,
influenzando così tutta la gamma di giovani musicisti affini a queste
sonorità dell'avvenire.
Sono stata felice di chiederle un'intervista su Skype per discutere su alcuni
argomenti della mia tesi ed è stata estremamente gentile e disponibile nel
concedermelo.
Era mia intenzione capire cosa fosse accaduto in quegli anni di gloria
londinesi, pieni di importante innovazioni stilistiche del Jazz.
Volevo capire se dietro al suono strumentale di Norma, e le sezioni di fiati
abbinati allo strumento voce scritte da Kenny, vi fosse una ricerca o una
sorta di consapevolezza del cambiamento dell'impronta americana del jazz
e renderla più affine ad un'identità europea.
A questa domanda Norma Winstone mi ha risposto così:
5.1.2 Intervista
Norma:
È successo per caso!
Ho iniziato a cantare dei jazz standard prima che iniziassi i miei
studi da cantante professionista. Sono stata influenzata fortemente
da Frank Sinatra – era il mio idolo. Amavo anche lo scat di Ella
Fitzgerald e quindi cercavo di copiare le cose che faceva. Non ero
completamente consapevole del fatto che stessi ascoltando jazz,
per me era semplicemente musica. Quando però iniziai ad
acquisire più conoscenze jazzistiche e ascoltai il disco Kind of
Blue di Miles Davis, ebbe un effetto formativo su di me. Pensai
che volevo essere parte della musica come lo era Miles nella sua
band. Piuttosto che cantare semplici standard - che amavo – volevo
essere parte della band. Forse perché le armonie erano modali i
pezzi mi riuscivano meglio dei brani bebop. Infatti adoravo anche
Charlie Parker, ma ascoltando Miles mi resi conto che il mio
desiderio era quello di suonare la mia voce con il suono con il
quale lui suonava la tromba. Credo che a quel punto mi resi conto
che la mia voce doveva avere quel tipo di suono, lungo, bello ed
intenso. Sono consapevole del fatto che la voce sia un suono ma
credo che all'epoca non ero affatto consapevole di questo mio
pensiero, ma pensai semplicemente che sarebbe bello fare quel
tipo di musica - ma come?
Ora la risposta per me sarebbe di scrivere parole su quelle melodie
strumentali. Ma all'epoca non ci pensai ancora, ero molto giovane.
Sai, non c'erano scuole di jazz in Inghilterra a meno che non
intraprendessi lo studio del canto lirico, ma non mi andava e
quindi ero un autodidatta. Tuttavia sapevo leggere la musica e
suonavo bene il piano. A 11 anni entrai al Trinity College per
studiare piano, ci passavo tutti i sabati, ma non so per quale motivo
non mi piaceva suonare di fronte alle persone quindi smisi. Dopo
un po' di tempo seppi che c'era un sassofonista che dava lezioni di
canto vicino casa mia e iniziai ad andare da lui. Mi insegnò come
respirare e come sviluppare un suono facendo note lunghe, proprio
come fanno i sassofonisti. Iniziai a cantare con un paio di gruppi
locali, ma facevamo solo concerti a matrimoni e in pub e non mi
piaceva. Improvvisavo sempre con le melodie e gli altri membri
del gruppo mi chiedevano “Dove le impari queste cose?!”. Iniziai a
raccogliere canzoni e a cercare brani sconosciuti per giocarci
melodicamente. In quel periodo un mio amico scrisse delle parole
su Joy Spring, non quelle conosciute di Jon Hendricks, ma ne
scrisse altre ed io la cantai così. Ancora non improvvisavo senza
parole, ma cantavo il tema una volta e poi lo rifacevo
stravolgendolo completamente. Iniziai ad appassionarmi a questo
approccio e sempre di più collezionavo canzoni insolite. Dopo
poco incontrai John Taylor in uno dei pub di Londra e iniziammo a
collaborare. Un'altro incontro importante fu quello con John
Stephens che diede vita allo Sponteneous Music Ensemble, da cui
poi sono emersi tutti quanti Kenny Wheeler, John Taylor, Evan
Parker.. Fu Stephens che mi raccomandò al Ronnie Scott's ed
iniziai a suonarci ogni settimana. In una delle band in cui cantavo,
il pianista Michael Garrick mi diede dei suoi brani originali da
imparare. Così feci e andai al concerto del suo sestetto, dove mi
chiese se mi andava di sostituire spontaneamente un membro della
sezione dei fiati che mancava. Andai a cantare un paio di standard
che sapevo ma quando arrivò un pezzo suo che non conoscevo lui
mi pregò di rimanere e di improvvisare. Era un pezzo basato solo
su un accordo, in stile leggermente orientale. E così feci il mio
primo solo senza parole. Ovviamente non era Bebop, ne Swing e
quindi certamente non cantavo “Shuwop” o “Bedop”, che non
avrei fatto in ogni caso. Sì mi piaceva Ella – ma io sono inglese!
Quindi non avevo mai sentito qualcuno fare questa cosa senza
parole e tutto ad un tratto mi sentivo che avevo trovato la mia
voce. Alla fine del concerto Michael mi disse “Uno dei fiati se ne
va dal gruppo, ti va ti prendere il suo posto?”. E così iniziò la mia
carriera da cantante strumentista-per puro caso! A volte cantavo
canzoni, a volte leggevo la parte del sassofono e altre
improvvisavo. Cantavo parole e poi invece mi univo alla sezione
dei fiati, come mi andava.
Da lì più gente iniziò a chiamarmi nei loro ensemble, anche in
quelli del free jazz. Non avevo idea di cosa fosse il free, ma mi
buttai pensando che era un esperimento. Lì incontrai Kenny
Wheeler e Dave Holland. In realtà non sapevo cosa stavo facendo
ma stavo incontrando così tanti musicisti incredibili e cercavo di
imparare da loro ascoltandoli con attenzione. Dopo un po' Kenny
mi propose un broadcast con la sua big band, in cui avrei dovuto
cantare le parti insieme a lui. Ovviamente lo feci, era quello che
avevo sempre desiderato: essere parte della musica e responsabile
della sua evoluzione, non solo la cantante di fronte a tutti. Dopo
poco formammo il trio Azimuth con John Taylor e Kenny
Wheeler, dove sperimentavo molto con la mia voce.
Per quanto riguarda Music for Large and Small Ensemble Kenny
non mi diede alcuna istruzione. Per lui era normale che io cantassi
senza parole, non credo ci fosse stato un pensiero profondo, perché
è venuto tutto naturalmente. L'unica cosa che mi diceva era: “Ah si
qui fai la melodie insieme a me invece qua farai la parte del
secondo sassofono.” Era difficile ma adoravo farlo, quindi molte
cose le imparai da sola. Kenny non scrive mai nessuna alterazione
in chiave, quindi era un problema per me non sapere in che tonalità
dovevo cantare. Quando avevo dei dubbi correvo al piano e mi
davo la nota sulla quale dovevo rientrare. Ma Kenny non mi
diceva niente a proposito a parte qualche volta in cui mi diceva:
“Scusami, è un po' alto lì lo so..”, ma non mi chiedeva mai
informazioni sul mio registro e non cercò mai di darmi indicazioni
per il modo in cui cantavo. Io lo ascoltavo come formava le
melodie – lui amava le melodie – tutta la sua musica ci gira
attorno. Era naturale che la voce facesse parte del suono
dell'ensemble come tutti gli altri strumenti. Se ci pensi, perché mai
dovrebbe risaltare in un contesto simile? Se tutti gli altri strumenti
formavano un unico suono, perché non dovrebbe farne parte la
voce? A volte ti viene persino da mettere in dubbio l'esistenza di
una voce umana in quella tessitura sonora. Comunque quando
registrai Music for Large and Small Ensemble avevo già fatto
molte collaborazioni in cui mi esprimevo “strumentalmente”. Song
for Someone fu il primo disco in cui cantai senza parole. Mi
accorgo ora risentendolo che cantavo in maniera molto diversa.
Utilizzavo più le “U”, perché era più facile arrivare alle note alte in
questa maniera. Dopo un po' mi stufai di quel suono e cercai di
cambiarlo in una “A” leggermente socchiusa. Secondo me la “U”
si amalgama meno bene con i suoni di un'orchestra.
Comunque sia, ti voglio dire che per me cantare con o senza parole
non ha importanza. Io amo la musica e cerco sempre di essere al
suo servizio. Con Azimuth spesso avevo la sensazione di dover
scrivere delle parole perché semplicemente alcuni brani ne
necessitavano secondo me. Molte volte invece non ce n'era
bisogno perché la musica bastava e avanzava. Ma di sicuro non mi
mancava niente solo perché non avevo delle parole sulle quali
cantare.
È un viaggio.
La mia idea è che la voce è un suono. Io non cerco di imitare il
suono di una tromba o un sassofono. Ma cerco di avere il mio
suono, quello della mia voce.
Il fatto è che una volta che aggiungi delle parole, queste dicono
“Questo significa questo!”. Quando le parole sono assenti, la
musica può significare tutto ciò che l'ascoltatore desidera e sogna.
Con questo voglio dire che sono convinta che un'assenza di parole
non porti ad un'emotività inferiore. Se ti emozioni cantando con le
parole, ti puoi anche emozionare senza.
Stupefacente è stato il disco «Song for Someone» del '73, il primo disco di
Kenny Wheeler per un ensemble di dimensioni più grandi.
È notevole l'uso che fa della voce in questa occasione la quale, insieme ai
fiati, sembra creare un'unica tessitura sonora. In più le scelte stilistiche sono
avvezzi alle novità dell'uso dell'elettronica e dei suoni riverberati. Norma in
quasi tutti i brani fa parte di un background di fiati, con una post
produzione del missaggio molto udibile, essendo probabilmente una scelta
stilistica riguardo la moda di quegli anni, unita all'uso esclusivo del piano
elettrico dal pianista e fedele amico John Taylor. (esempio audio 14)
5.4.1 Analisi
consultato il 18.03.2017
5.2.2 Intervista
Jen:
Io non cerco di essere uno strumento. Quello che veramente cerco di
fare è di espandere le capacità della voce.
Inoltre cerco di essere capace di cantare in maniera così complessa,
così bella e sofisticata come un qualsiasi strumentista e
improvvisatore ne è in grado. In questo senso – sì, mi ispiro molto
agli strumentisti, specialmente sassofonisti o flautisti, perché hanno
eccelso nel loro campo e hanno a che fare con il respiro.
Non voglio imitare il loro suono, ma voglio essere in grado di,
metaforicamente, andare nei posti dove possono andare loro. Credo
che lo abbia sempre desiderato.
Oltre a ciò cerco di captare le varie qualità e le canzoni di diverse
parti del mondo e connetterle con le mie proprie radici. Adoro le
tradizioni con i loro canti, nei quali credo che ci sia molta saggezza
nella melodia e nel timbro vocale.
Come compositrice voglio essere una brava narratrice e sono attratta
da tutto ciò che sembra essere autentico e sincero.
Ho iniziato ad essere ossessionata dalla voglia di essere uno
strumento quando ho conosciuto Steve Coleman.
Tutti quanti amiamo lo scat di Ella, ma io non mi ci vedevo a farlo.
Come ex cantante della tradizione jazzistica, cercavo di imitarla
perché sentivo che aveva qualcosa che mi attirava ma non riuscivo a
connetterlo con la mia personalità. Stavo ricercando. Quando
incontrai Steve non capii la sua musica. Mi piaceva ma non riuscivo
a capirne il perché, quindi mi disse che non c'è sempre bisogno di
sapere perché una cosa ti piace. È una sensazione e ci devi fare
l'abitudine per conoscerla meglio. Tuttavia la prima cosa che pensai
fu che non capivo questa musica. Ma questo non significa che non
mi toccasse. Steve fu un mentore molto importante per me, e quando
lo conobbi stava lavorando con Cassandra Wilson. Lo stile di
Cassandra però era più simile all'approccio di Billie Holiday;
adornava le melodie in una maniera estremamente bella. Anche se il
l'approccio di Cassandra era diverso, mi influenzò; infatti siamo
entrambe pazze di Joni Mitchell.
Comunque sia io volevo di più. Avevo la sensazione che persone
come John Coltrane o Vaughan Freeman avessero dato un contributo
alla musica, facendo cose che nessuno prima aveva fatto. Ero molto
influenzata dalla loro saggezza e profondità d'intelletto. Sono anche
io fissata con il fatto di dover fare qualcosa di completamente nuovo
e Steve e altri miei mentori mi hanno aiutato ad andare in quella
direzione.
Iniziai come strumentista suonando il piano e il violino. A 12 anni
incominciai a cantare nei musical, ma non mi immaginavo che sarei
diventata una cantante perché ero concentrata sul piano. Dopo poco
però mi prese una forte passione per il canto e andai a studiare la
musica di Broadway e dei musical. Quando a 24 anni incontrai
Steve, iniziai ad ascoltare musica diversa che aprì le mie orecchie.
Andai a Cuba e mi innamorai della musica tradizionale. Dopodiché
qualcuno mi fece sentire una canzone del Taiwan e mi accorsi che
era molto simile al canto africano per cui pensai ad una possibile
connessione che mi ispirò ad andare in Taiwan a fare ricerche sulle
origini della mia famiglia. La prima domanda che Steve mi pose fu
appunto “Che tipo di contributo vuoi dare alla musica? Vuoi cantare
gli standard del jazz per tutta la vita o vuoi dare un contributo?”.
Quando iniziò ad insegnarmi il suo approccio al ritmo e all'armonia,
sapevo di essere sulla mia strada. In quel periodo iniziai a comporre
usando più o meno gli stessi metodi di Steve ma mischiandoli al
cinese mandarino.
Il mio focus è trovare nuove strade per la musica e la mia voce
insieme alla danza e allo strumento ne sono il mezzo.
5.3.1 Analisi
5.3.2 Intervista
Vardan:
Ho lavorato con la voce per molto tempo, infatti Tatiana non fu la
prima con cui ebbi questo approccio.
Nel 2001, quando ancora stavo studiando al Berklee College of
Music, iniziai per la prima volta a utilizzare la voce in quel senso
specifico, cioè come strumento. La cantante Monika Ingvesson era
una mia compagna di studio e ci mettemmo a lavorare sull'uso delle
sillabe. C'era qualche problema nella scelta sillabica appunto, forse
perché veniva da un paese nordico e quindi semplicemente le sue
scelte non si sposavano bene con la mia musica. Con Tatiana è
sempre venuto molto naturalmente, credo perché è latina.
Tuttavia Monika era molto spontanea nel gesto che dava alla musica,
ed è stato bellissimo collaborare. L'ispirazione principale è stata
Luciana Souza per me, era un mio idolo. C'era anche un'altra
cantante interessante che si chiamava Ursula Dudziak, ma si
avvicinava più alla fusion. Comunque sia c'era solo Luciana a
quell'epoca. Ho provato a lavorare con altri cantanti, ma finché non
incontrai Tatiana non aveva mai funzionato così bene. Conoscevo
Tatiana dai suoi dischi e mi era sempre piaciuta. Quando ci
incontrammo lei si era trasferita a Los Angeles per qualche mese, e
suonandoci un po' insieme era chiaro che avremmo fatto partire una
collaborazione. Dopo il primo disco lei ritornò in Brasile. Infatti il
secondo album fu solo una veloce visita per poi fare un tournée in
Giappone.
F:
Hai scritto la musica sapendo che sarebbe poi stata interpretata da
una voce?
V:
Generalmente preferisco sapere per che tipo di formazione sto
componendo. Il gesto mi risulta essere più naturale. A volte però
capita che mi siedo e scrivo musica senza pensare ad alcuno
strumento in particolare. In quel caso lo adatterò più tardi, ma è
decisamente più rara come procedura per me.
Infatti la maggior parte delle mie composizioni non solo le scrivo
sapendo da quale strumento verrà suonata, ma anche quale musicista
la interpreterà. Non volevo scrivere per qualsiasi voce – volevo
scrivere per quella di Tatiana, che è così accurata.
F:
Nel disco con Tatiana il confine fra musica scritta e musica
improvvisata è molto sfumato e a volte è molto difficile distinguerli.
Quasi come se avessi composto sia in stile “classico” che
improvvisato sulla forma del pezzo.
V:
Ottima domanda! Sono molto felice di questa cosa. Solo il fatto che
tu ti ponga questa domanda è un complimento per me. Perché
quando ascoltiamo musica e ci viene da domandare se è scritta o
improvvisata, ci tiriamo indietro come ascoltatori smettendo di
cercare di capire tecnicamente cosa sta succedendo, ma piuttosto
iniziamo ad ascoltare e apprezzare veramente. In sintesi la buona
musica rimane buona musica, non importa la capirne la sostanza
tecnica. Dobbiamo semplicemente permetterle di colpirci ed
emozionarci. Quindi per me è decisamente un traguardo aver fatto
questo disco in cui tu ti sei posta questa domanda. Venendo alla tua
domanda quindi: Ci sono delle sezioni in cui alcune linee melodiche
sembrano improvvisate ma di fatto sono state scritte. Tuttavia quasi
tutte le mie linee melodiche che faccio quando non c'è Tatiana sono
improvvisate. La struttura dei pezzi in generale è: tema, in cui gran
parte della mano sinistra è scritta; poi dei passaggi intermedi in cui
improvviso. A volte la mano sinistra si basa solo su un'idea e io la
vario, come se stessi facendo una parafrasi. In composizioni di
questo tipo, la mano sinistra è tutto e per me le situazioni in cui
riesco ad esprimermi meglio sono quelle in cui la memoria
muscolare della mano sinistra ha assimilato le informazioni (non
troppo rigidamente però), e riesco quindi ad essere libero con quella
destra o anche facendole interagire entrambe.
C'è sempre lo spazio per respirare, niente è mai troppo fermo.
F:
Hai un background accademico jazzistico. Secondo te è doveroso
attingere a tutta la tradizione del jazz, passando da Charlie Parker e
Tristano, Monk etc. O nel tuo caso, in cui la tua musica ha già
un'impronta forte, hai preso del jazz ciò che ti piaceva..?
V:
Questa è un'altra domanda importante e una tematica che è utile da
affrontare con tutti i musicisti jazz, specialmente oggi che siamo
inondati da materiale al quale poter attingere. Quando ero piccolo e
stavo crescendo in Armenia, non avevo accesso a molti dischi.
Quindi ogni tanto qualcuno mi portava una cassetta dall'America di
Keith Jarrett e tutti nella comunità la ascoltavano ininterrottamente.
La divoravano! Questo era l'unico modo perché nell'Unione
Sovietica quasi tutto era proibito.
Ma oggi abbiamo accesso a tutto, e avere l'aspirazione di studiare il
linguaggio di tutti i giganti del jazz è una buona cosa. Ma allo stesso
tempo io consiglierei di scegliere accuratamente certi idoli e studiarli
veramente bene. Anche per formare i tuoi gusti e fare delle scelte tue
sin dall'inizio. Per me i dischi di Miles Davis «Cooking»,
«Relaxing», «Working» e «Steaming» sono stati la mia bibbia del
jazz. Studiare una cosa in maniera approfondita ti lascia un bagaglio
di linguaggio e di ispirazione particolare, altrimenti ricevi solo
piccoli frammenti di tante cose, rendendo difficile ricavarne
un'informazione. Sono molto influenzato da Lennie Tristano perché
adoro la sua curiosità e il suo coraggio per le cose nuove.
F:
Per cantanti può essere più difficoltoso attingere alla tradizione
jazzistica perché vieni sempre confrontato con lo scat, che riporta
all'epoca degli anni dello swing.
V:
Sono completamente d'accordo con te. È un po' diverso per voi ed è
molto importante porsi delle domande. Solo perché molti cantanti
iniziano con il jazz, si sentono costretti a fare scat. Io adoro Ella
Fitzgerald, ma oggi non c'è bisogno di riprodurre quello che faceva
lei. Quando scrivo le mie composizioni, lo faccio canticchiando e
vocalizzando un po' come lo fa Tatiana. Non mi verrebbe mai di
“scattare” le mie melodie. Dipende molto da che tipo di musicista
sei, a volte sei marcato da un linguaggio e non importa quanto
moderno diventi il tuo sound, se hai quell'approccio tradizionale
dentro di te, lo ritroverai anche nei brani più moderni e sarà difficile
uscire dalla bolla.
F:
La tua musica è influenzata dalle tue origini armene? E la scelta di
usare a volte una testo e a volte no da cosa è data?
V:
Sì la musica armena ha influenzato il mio modo di scrivere. Tuttavia
quello che sta succedendo alla musica armena è un peccato.
L'influenza araba e turca sta prendendo il sopravvento e quindi la
musica armena tradizionale esiste sempre di meno o viene svenduta
per musica da matrimoni. Il canto armeno no ha melisimi come
quella araba, ma sono più dei leggeri glissandi. Comunque sia le
persone che non conoscono affondo la musica armena con le sue
tradizioni non sentiranno le mie influenze prese da lì dato che sono
molto sottili.
Per quanto riguarda i testi: La mia scrittura è caratterizzata da linee
melodiche veloci che non necessariamente chiedono la presenza del
testo. Come contrasto però abbiamo voluto includere dei pezzi che
nascono proprio dalla poeticità dei loro testi, specialmente quelli
scelti da Tatiana della tradizione brasiliana.
5.4.1 Analisi
5.4.2 Intervista
L:
Nella musica brasiliana abbiamo un brano che credo definisca
l'approccio per il wordless singing, per il semplice fatto che molte
persone in Brasile conoscono questo brano e lo ritengono
importante. Questo pezzo si chiama Bachianas Brasileiras n. 5 di
Villa-Lobos. A mio avviso questa è l'essenza del canto senza
parole. Lo possiamo definire un brano che si libera e si emancipa
dal testo, se vogliamo. Sono stata fortemente influenzata dalla
musica brasiliana e sai, in Brasile le persone cantano tutto il tempo
senza un testo! Quindi mi è venuto molto spontaneo cantare senza
parole, senza nemmeno pensarci troppo. Non concepivo questa
modalità come un'emancipazione da una cosa, perché per me la
voce, con il suo ruolo da strumento principe, è sempre stata
presente. Nel disco «Concert in the Garden» di Maria Schneider
devo sia cantare all'unisono con un altro strumento, sia cantare la
melodia come solista. Quindi la mia funzione è quella di inserirmi
con la mia voce nella tessitura del brano e aggiungervi un timbro
umano. Ad esempio se unisci la tromba alla voce, si crea una
sonorità nuova.
Credo che Maria volesse apportare al suo disco un tocco più
umano, per renderlo più melodico e più accessibile. La linea
melodica molto veloce di una tromba, viene resa molto più umana
nell'istante in cui la fai doppiare dalla voce. È quindi più semplice
da capire e può più facilmente toccare l'animo. In sintesi credo che
inserendo una voce in una tessitura sonora, si aggiunga una nuova
qualità timbrica al brano.
Faccio sempre molta attenzione a quale strumento devo doppiare.
Ad esempio, se devo suonare all'unisono con una tromba, dovrò
avere un attacco diverso da quello che dovrei utilizzare all'unisono
con un trombone. Quando scelgo le sillabe, cerco di trovare il
suono di una parola che rispecchi la frase musicale. Ogni singola
consonante e vocale è in grado di dare un senso completamente
differente alla frase melodica. Io definisco questo processo “cercare
la Gestalt”.
È una ricerca verso la storia che si nasconde dietro ogni frase
musicale.
Inoltre credo che ogni frase possegga una gerarchia delle note:
attraverso la scelta delle sillabe sono in grado di attribuire più o
meno importanza alle singole note dandogli così una certa forma.
F:
Come è nata la collaborazione con Maria Schneider e perché Maria
ha fatto la scelta di inserire una voce in sezione dei fiati nel disco
«Concert in the Garden»?
L:
Io e Maria siamo molto amiche. Nel periodo in cui lei stava
scrivendo la musica per il disco abitavamo entrambe a New York.
Eravamo quasi vicine di casa e spesso ci incontravamo per suonare
e parlare di musica. Anch'io in quel periodo stavo scrivendo musica
per un mio disco e quindi capitava spesso di incontrarci per
mostrarci i nostri lavori a vicenda, per avere un confronto e un
aiuto reciproco. Abbiamo una forte amicizia caratterizzata da un
profondo rispetto l'una per l'altra. Lei veniva a sentire i miei
concerti e sapeva che mi piaceva cantare senza parole. Quindi
credo che l'intenzione di Maria fosse quella di aggiungere un nuovo
colore timbrico al suo disco attraverso l'inserimento della mia voce.
Voleva creare una nuova pasta sonora.
HAMILL CHAD, The Voice In (And Of) Indian Classical Music: Carving Out a
Tradition, University of Colorado at Boulder, 2005
FRANCIS LO KEE, Kenny Wheeler: Song for someone/ What now?/ Where do
we go from here?,
https://www.allaboutjazz.com/kenny-wheeler-song-for-someone-what-now-
where-do-we-go-from-here-by-francis-lo-kee.php, sito consultato il 11.01.2017
WIKIPEDIA, Gesamtkunstwerk,
https://it.wikipedia.org/wiki/Gesamtkunstwerk, sito consultato il 06.02.2017
WIKIPEDIA, Muse,
https://it.wikipedia.org/wiki/Muse_(divinità)#Il_canto_delle_muse, sito
consultato il 09.03.2017