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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PAVIA

DIPARTIMENTO DI SCIENZE MUSICOLOGICHE


E PALEOGRAFICO-FILOLOGICHE

SCUOLA DI DOTTORATO IN SCIENZE UMANISTICHE


DOTTORATO DI RICERCA IN MUSICOLOGIA

(XXIII Ciclo)

Danza, incantesimo e preghiera.


Il ‘rinnovamento espressivo’ nella musica francese
degli anni ’30 del Novecento

Dissertazione dottorale
di
FEDERICO LAZZARO

Anno Accademico 2010/11


INDICE

Indice p. 3

Premessa 5

Come un’introduzione: Le banquet céleste 9


1. Simboleggiare o esprimere 9
2. Dualismi 14
2.1. Dualismo armonico 18
2.2. Dualismo strutturale 21
2.3. Melodia a doppio impulso 23

PARTE I: ‘RINNOVAMENTO ESPRESSIVO’


Capitolo 1: Il desiderio di esprimere ancora. Poetiche degli anni ’30 33
1. Non-conformisti, spiritualisti, rivoluzionari 34
2. Marrou umanista 44
3. Lourié l’eletto 48
4. Non-conformismo musicale e avanguardia 54
5. Paradigmi in un continuum: gli anni ’20, gli anni ’30 61

Capitolo 2: Analizzare i mezzi espressivi e il loro rinnovarsi 75


1. Quadro concettuale dell’epoca 76
1.1. Migot non-conformista 77
1.2. Digressione: finestre rinnovate 85
1.3.«Il faut ramener la musique à la source» 89
1.4. «Renouveau», «tradition», «progrès», «évolution» 97
2. Aspettative, topoi, simboli 102
2.1. Musica, mondo, percezione 103
2.1.1. Affordance e aspettative 106
2.1.2. Titoli per “sentire-come” 109
2.2. Topoi e simboli 114
3. Le “danze” come spie del «renouveau» 122
4. Un caso: Treize danses (1929) 132
4.1. Giocare con le forme di danza 132
4.2. Come analizzare le danze 140

3
PARTE II: TRACCE DI DANZA, TRA INCANTESIMO E PREGHIERA
Capitolo 3: Danze rituali (intorno a Jolivet) 155
1. Ostinati e climax 156
1.1. Suite française: Poulenc e Daniel-Lesur 160
1.2. La Danse initiatique 170
1.3. Tra Stravinskij e Varèse 176
2. Ritmi esotici 179
2.1. La Danse du héros: tango rituale? 180
2.2. Ancora su Intégrales di Varèse 190
2.3. La Sonatine transatlantique di Tansman: fare jazz 192
3. Melodie incantevoli 207
3.1. Lo charme della Danse nuptiale 207
3.2. Formule magiche, ripetizione e imitazione: le Cinq 212
Incantations
3.3. I modelli di Jolivet, «surrealista etnografico» 228
4. Interruzione di un ritmo semplice 231
4.1. La Danse du rapt: hommage à Stravinskij? 231
4.2. Hommage à Berg? La Danse incantatoire 234
5. Rondò funebre 239
5.1. Milhaud e la tradizione della marcia funebre 239
5.2. La Danse funéraire 242
6. Dalle Danses rituelles a Guignol et Pandore 249

Capitolo 4: Danze religiose (intorno a Messiaen) 263


1. Danza e religione 263
2. Jehan Alain: danze per organo 266
3. Danze davanti all’arca 276
3.1. Le roi David di Honegger 278
3.2. L’Ascension di Messiaen 283
4. La danza degli angeli 288
4.1. «Une sorte de danse paradisiaque»: La Nativité du Seigneur 288
4.2. Chants de Terre et de Ciel 294
4.3. Le paradis perdu di Igor Markevitch 299
5. Titoli di danza 304
5.1. La danza dei peccati 304
5.2. La danza del piccolo Pascal 306
5.3. Danza apocalittica 311

Conclusione 315

Indice delle figure e degli esempi musicali 319

Riferimenti bibliografici 327

4
PREMESSA

Il rinnovamento della musica religiosa in un’epoca profana ha i suoi


pericoli. Quella serviva, non è vero? a scopi ecclesiastici, ma prima aveva
servito anche a scopi meno civili, di medicina e di magia, e precisamente
nell’epoca in cui il curatore del culto ultraterreno, cioè il sacerdote, era
anche medico e mago. Si può forse negare che questo fosse uno stadio
preculturale, uno stadio barbarico del culto? ed è o non è comprensibile che
il rinnovamento della religiosità, il quale in epoca di tarda cultura aspira a
trasformare la disgregazione in comunità, ricorrerà a mezzi che non solo
appartengono allo stadio della sua moralità ecclesiastica, ma anche al suo
stadio primitivo?1

Il presente lavoro nasce, come spesso accade, da qualche frase e da qualche


domanda. Le frasi sono di André Jolivet (1905-1974), pronunciate o scritte
intorno alla metà degli anni ’30, quando, cioè, conquistava la notorietà come
membro del neonato gruppo della Jeune France; ne cito qualcuna:

Genèse d’un renouveau musical.2


Redonner à la musique ses caractéristiques originelles: sa puissance
magique, son sens incantatoire, son rôle social  et moral.3
Cela oblige à modifier un certain nombre de moyens d’expression.4
Préciser le point d’évolution actuelle de l’expression musicale tout en
montrant la permanence éternelle de l’émotion musicale.5
Ce n’est pas dans l’oreille que nous devons l’accrocher, c’est AUX TRIPES.6

1
MANN 1947 (1949), cap. XXXIV, pp. 426-427.
2
Titolo di JOLIVET 1937a.
3
JOLIVET 1936d, p. 50.
4
JOLIVET 1936a, p. 43.
5
JOLIVET 1936d, p. 50.
6
JOLIVET 1936b, p. 45.

5
F. LAZZARO, Danza, incantesimo e preghiera

Le domande sorgono dalla lettura di queste affermazioni. Si parla di rinnovare i


mezzi espressivi del linguaggio musicale senza perdere il contatto con
l’ascoltatore, anzi rigenerandolo:
Ì come hanno fatto i compositori che aderivano a questa poetica a metterla in
pratica?
Ì in che misura le dichiarazioni di poetica si sposano con il lavoro compositivo?
Ì qual è stato il ruolo del contesto socio-culturale nella formulazione di questo
pensiero?
Ì che cosa significa «renouveau»?

A incorniciare l’esposizione delle mie ricerche ho posto l’altro membro principale


del gruppo Jeune France, Olivier Messiaen (1908-1992). L’analisi del Banquet
céleste che segue questa Premessa andrà letta come un’introduzione: questo
atteggiamento di lettura sarà, peraltro, un esercizio preliminare all’atteggiamento
d’ascolto di matrice wittgensteiniana (il “sentire come”) che proporrò di discutere
e adottare. All’introduzione fa pendant il capitolo conclusivo, in cui Messiaen
ritorna, ma non più per sollevare questioni metodologiche ed estetiche, quanto per
essere collocato nel quadro che si è cercato, nel frattempo, di tratteggiare.
Un quadro che consta di due parti: la prima storica e metodologica, la
seconda analitica. Il Capitolo 1 della Parte I, prendendo le mosse da un libro di
Henri-Irenée Marrou, considera la storia della musica francese degli anni ’30
come un continuum di poetiche e stili piuttosto che come il ring delineato dai toni
accesi e ideologici con cui i suoi protagonisti si contrapponevano.
Nel Capitolo 2, più estetico e metodologico, si indaga il concetto di
«renouveau» e ci si chiede come analizzarlo: si opta per una prospettiva che
coniughi un approccio topic (per studiare la permanenza, il riuso e l’elaborazione
dei gesti musicali tradizionali da parte dei compositori del Novecento) e un
atteggiamento fenomenologico (per studiare i meccanismi della percezione,
aspettative e orizzonti d’attesa legati sia ai titoli sia al processo d’ascolto). Si
sceglie quindi di concentrarsi sul corpus di brani dal titolo che rinvia alla danza o
a forme di danza, particolarmente indicato per studiare il rinnovamento dei mezzi

6
Premessa

compositivi tradizionali e le strategie utilizzate dai compositori per non perdere il


contatto espressivo con l’ascoltatore.
Il Capitolo 3, che apre la Parte II, ruota attorno alle Cinq Danses rituelles di
Jolivet, che vengono analizzate applicando il metodo proposto. Ai mezzi
impiegati nelle Danses rituelles si accostano, per contrasto o per analogia, quelli
scelti per la composizione delle loro ‘danze’ da compositori che vanno da Edgard
Varèse (1883-1965) a Igor Stravinskij (1882-1971), da Francis Poulenc (1899-
1963) a Darius Milhaud (1892-1974), da Arthur Lourié (1892-1966) ad Alexandre
Tansman (1897-1986). Né la scelta dei brani né la loro analisi è, naturalmente,
esaustiva: ho deciso di selezionare alcuni casi che illuminino problemi specifici,
piuttosto che optare per sterili elencazioni.

Anche le scelte espositive e grafiche hanno cercato la strada dell’immediatezza;


ho provato a rendere accattivante la lettura senza venir meno al rigore scientifico.
Le immagini, le citazioni, gli schemi e gli esempi musicali vogliono essere un
supporto alla chiarezza dell’esposizione, perché tutto ciò che viene discusso o
evocato abbia un riscontro diretto. Nella Parte II ho cercato di evitare il più
possibile la difficoltà di lettura di certe analisi: oltre a calare i brani in un discorso
più ampio teso a individuare le abitudini compositive e percettive in cui nasceva,
ho differenziato dal punto di vista grafico i diversi livelli di analisi, affidando a
sezioni in corpo ridotto la discussione tecnica degli esempi musicali, che in questo
modo non interrompe il filo del discorso (nel testo principale apparendo i punti
chiave e la messa in prospettiva di quanto illustrato negli esempi).

***

Intricata è la rete di persone che desidero ringraziare per la loro partecipazione


diretta o indiretta a questo lavoro:
Christine Jolivet-Erlih, la cui disponibilità a offrire agli studiosi
l’abbondante materiale d’archivio riguardante suo padre è davvero encomiabile;
Michela Garda, che mi ha lasciato provare, approfondire, sbagliare e
correggere, sostenendo un progetto complesso e problematico;

7
F. LAZZARO, Danza, incantesimo e preghiera

Alessandro Arbo e Pierre Michel dell’Université de Strasbourg, che mi


hanno aiutato a riflettere sull’impostazione da dare a questo lavoro quand’era agli
inizi;
Luisa Curinga, che mi ha fornito una copia del suo lavoro e mi ha dato
qualche utile indicazione;
Andrea Melis e Carlo Pessina dell’Accademia internazionale della musica di
Milano, che con il loro insegnamento mi hanno trasmesso la passione e i segreti
dell’analisi musicale;
Davide Daolmi, Cesare Fertonani ed Emilio Sala dell’Università degli studi
di Milano, maestri di curiosità, fervore e disciplina musicologica, che mi hanno
sempre sostenuto e incoraggiato;
I colleghi di dottorato delle Università di Pavia e Milano, impareggiabili
goliardi nemici della mediocrità: in particolare Giacomo Albert (anche per la sua
competenza nell’analisi spettrale e la sua disponibilità nel reperire materiali),
Nicola Bizzaro, Maurizio Corbella, Matteo Giuggioli (che mi ha avvicinato allo
studio dei topoi), Carlo Lanfossi (un riferimento nei momenti di amnesia e un
conforto in quelli di dubbio), Clara Samonà (un valido aiuto nei passi in cui il
tedesco è più ostico), Davide Verga;
Altri amici che mi hanno aiutato a diverso titolo: Sonia è stata, tra l’altro, un
indispensabile appoggio teoretico e stilistico; Bénédicte un riferimento
madrelingua su cui si può contare; Bruno un conversatore affascinato da Jolivet,
Varèse e Migot;
I miei genitori, mia sorella e i miei nonni, che non sono stati conquistati
dall’ascolto delle Danses rituelles ma hanno sempre letto con passione ciò che
sottoponevo loro.

8
COME UN’INTRODUZIONE
LE BANQUET CÉLESTE

Même si le Banquet céleste utilise une écriture encore très contemplative et


pleine de suavité adolescente…1

Il pensiero compositivo di Messiaen, estraneo ad ogni formalismo, è infatti di


natura analogica, produce intenzionalmente simboli musicali.2

Iniziare in medias res, con un caso analitico, permette di toccare subito con mano
il materiale e saggiarne la temperatura: scoprire temi scottanti è un potente pro-
pulsore per la ricerca. L’oggetto dell’analisi è Le Banquet céleste di Olivier Mes-
siaen, per organo, la sua prima composizione pubblicata (creazione: 1928, prima
edizione 1934, prima esecuzione 1935). O meglio, l’oggetto dell’analisi è investi-
gare il modo in cui il Banquet céleste esprime un’idea teologica con mezzi che at-
tingono al contesto condiviso della tradizione tonale ma al contempo la trascen-
dono. Bisognerà innanzitutto chiedersi in che rapporto stanno, in un gesto musica-
le, espressione e simbologia (§ 1); si analizzeranno poi le strategie espressive del
Banquet célest (§ 2) e si concluderà con qualche osservazione che apre alcune
problematiche da affrontarsi nel corso dei capitoli a seguire.

1. SIMBOLEGGIARE O ESPRIMERE

La première idée que j’ai voulu exprimer, celle qui est la plus importante
parce qu’elle est placée au-dessus de tout, c’est l’existence des vérités de la
foi catholique. […] Un certain nombre de mes œuvres sont donc destinées à
mettre en lumière les vérités théologiques de la foi catholique. C’est là le

1
LECHNER-REYDELLET 2008, p. 25.
2
POZZI 2007, p. vii, corsivo dell’autore.

9
F. LAZZARO, Danza, incantesimo e preghiera

premier aspect de mon œuvre, le plus noble, sans doute le plus utile, le plus
valable, le seul peut-être que je ne regretterai pas à l’heure de la mort.3

Come sarà evidente nell’estremismo mimetico del canto degli uccelli, l’indole
messiaeniana ha tendenze fortemente descrittiviste;4 la sua produzione strumenta-
le, così come la sua unica opera-oratorio, il Saint François d’Assise, saranno spes-
so strutturate come una successione di Leitmotive con una ben precisa attribuzione
(«motivo della vera gioia», «motivo di Francesco», ecc.): ciò che importa al com-
positore è proprio la loro iconicità. Secondo Andrew Shenton, quando si parla di
espressione nella musica religiosa di Messiaen bisogna considerare due livelli: (1)
quello simbolico (cui l’ascoltatore deve rispondere con una comprensione), e (2)
quello espressivo in senso stretto (che deve provocare un’emozione). La somma
dei due livelli porta, nelle intenzioni di Messiaen, a una trasformazione
dell’ascoltatore (è questo il “fine etico” di Messiaen).5
Riguardo al primo punto, è d’obbligo rimarcare che, come insegna la semio-
logia pierceana giustamente tirata in ballo da Shenton, i simboli sono segni arbi-
trari: se si vuole crearne di nuovi, ed è proprio quanto intende fare Messiaen, bi-
sogna fornirli di una legenda per consentirne la decifrazione. Messiaen, erede di
uno spiritualismo cattolico fatto di sequela personale e impegno
nell’evangelizzazione, illustra la Scrittura. Si inserisce nella tradizione didascalica
e teologica che ha fatto del simbolo un mezzo di comunicazione sicuro e imme-
diato. Messiaen, però, rinnova i simboli, ne crea di propri: per farlo si appoggia al
paratesto (titoli e didascalie) e a strategie retoriche comprensibili da un ascoltatore
che ha sviluppato la sua competenza nell’ambito della musica occidentale.
Il livello espressivo tout court certamente non è meno legato a una compe-
tenza. Qualunque sia la posizione sul concetto di espressione musicale così come

3
O. Messiaen in SAMUEL 1999, p. 24.
4
FALLON 2007 analizza le trascrizioni del canto degli uccelli e parla di «double realism»: «his
birds are imitative and representational. Though they may be reduced to the birds themselves, they
often function symbolically» (p. 133).
5
SHENTON 2008, pp. 4-5. Sulla questione del “fine etico” v. infra Capitolo 2, § 2.

10
Come un’introduzione

è stato approfondito soprattutto dalla filosofia analitica – paradigmi disposiziona-


lista, rappresentazionalista, metaforicista o formalista – non è possibile rifiutare la
funzione del contesto socio-culturale nell’attribuzione di determinati attributi e-
spressivi a determinati tratti musicali.6 Qualsiasi meccanismo di attesa à la Meyer,
così come qualsiasi personaggio immaginario protagonista del discorso musicale
(à la Levinson), non può essere considerato in astratto rispetto alle convenzioni
musicali vigenti e condivise.7 Lo esplicitava, ad esempio, quel passo de I linguag-
gi dell’arte in cui Goodman cedeva la parola a un Aldous Huxley giustamente
meravigliato della differenza di percezione culturale di un brano musicale.

La differenza tra l’espressione e l’esemplificazione letterale […] è una ques-


tione di abitudine […]. Tuttavia le abitudini variano profondamente con il
luogo, il tempo, l’individuo e la cultura; e l’espressione pittorica e musicale
non è meno relativa e mutevole dell’espressione facciale e gestuale. Aldous
Huxley scrive, dopo aver ascoltato in India una certa musica verosimilmente
sacra: “Confesso che ad ascoltare come sapevo, non ero in grado di avvertire
nulla che fosse particolarmente grave o serio, nulla che nel brano suggerisse
in modo speciale un’idea di auto-sacrificio. Al mio orecchio occidentale esso
suonava molto più gaio della danza che lo seguì. Le emozioni sono ovunque
le stesse; ma la loro espressione artistica varia da un’epoca all’altra e da un
paese all’altro […].”8

L’uso sperimentale di nuovi mezzi espressivi rischia di ostacolare lo scambio tra


compositore e ascoltatore, specialmente se non si tengono conto le abitudini
d’ascolto («ascoltare come sapevo»). Le Banquet céleste può essere analizzato
come un esempio di creazione che non dichiara, tramite legenda, la sua simbolo-
6
Una ricca ricostruzione del dibattito anglosassone novecentesco sul tema dell’espressione in mu-
sica si trova in NEWCOMB 1984; una discussione aggiornata appare in ARBO 2010; GARDA 2007
(cap. 2: Senso e significato in musica), completa la panoramica con contributi non anglosassoni o
di impostazione non filosofico analitica.
7
Cfr. MEYER 1956 (1992); LEVINSON 1995, cap. «Musical expressiveness», pp. 90-125. Cfr. anche
DeNora, che suggerisce, con le dovute precauzioni, una certa apertura sul versante pragmatico: «it
is probably impossible to speak of music’s ‘powers’ abstracted from their contexts of use, though,
within certain settings and in relation to particular types of actors, music’s effects on action may
be anticipated to varying degrees» (DENORA 2000, p. x).
8
GOODMAN 1968 (2008), p. 83-84.

11
F. LAZZARO, Danza, incantesimo e preghiera

gia e neppure sfrutta una già esistente, ma la crea sulle basi di un’intelligente do-
satura delle componenti innovative rispetto ai parametri percettivi educati alla
musica tradizionale. Si tratta dunque di un esempio di come creare una musica che
si basa su un linguaggio innovativo e che al contempo riesce a integrarsi con le
abitudini del suo pubblico e addirittura a esprimere un contenuto teologico, a dif-
ferenza di quella appartenente a una cultura totalmente altra ascoltata da Huxley.
In Le banquet céleste, Messiaen si serve di una didascalia per esplicitare il
suo ‘programma’: «Celui qui mange ma chair et boit mon sang demeure en moi et
moi en lui» (Gv. 6, 56). Il Banquet céleste risale agli albori della sua produzione:
in quegli anni il suo interesse teologico-illustrativo si concentrò a più riprese sulla
contrapposizione terra/cielo, dal Diptyque («Essai sur la vie terrestre et l’éternité
bienheureuse», 1930) a L’Ascension (sull’ascensione di Cristo, 1933) passando
per Les offrandes oubliées (che oppongono peccato e offerta divina, 1930). Ma
che cosa intendeva trasmettere Messiaen nel Banquet céleste, e in che modo? Ci-
terò alcune descrizioni del Banquet che compaiono nel Messiaen Companion,
luogo che dovrebbe fornire un panorama di differenti punti di vista e focalizzazio-
ni:
Ì Anthony Pople, nella sua introduzione al linguaggio musicale di Messiaen, ne
elenca una serie di procedimenti caratteristici: dal suggerimento dei colori tramite
«il suo uso intercambiabile dell’armonia, dell’orchestrazione e della risonanza», al
simbolismo numerologico e alle «scritture cifrate», dalla ciclicità dei moduli
all’«uso di agogiche estreme, come l’esasperata lentezza di minima = 13 (notata
come croma = 52) ne Le banquet céleste».9
Ì John Milsom pone l’accento sull’«affascinante» scelta dei timbri, in «un pezzo
che in apparenza suona come una sorta di improvvisazione ammazza-tempo che
precede il rito in chiesa»; la scelta dei registri «dà energia ai lunghi accordi tenuti,
così pregni di potenziale movimento armonico eppure quasi congelati nel tem-

9
POPLE 1995 (2008), pp. 48-49.

12
Come un’introduzione

po».10 Anche in Milsom, pertanto, l’attenzione del compositore si sofferma innan-


zitutto sull’aspetto di fissità ritmica, aiutato dalle scelte timbriche.
Ì La sottolineatura della fissità sulla scorta delle scelte, invece, armoniche, è di
Wilfrid Mellers: «il movimento degli accordi cromatici è così lento da sembrare
quasi fermo […]. Allo stesso modo, le relazioni tra gli accordi sono altrettanto
prive di direzione armonica, in modo fastidioso quanto i passaggi analoghi nei
pezzi del periodo di adesione al movimento dei Rosa-Croce di Erik Satie».11
Ì È ancora l’«incedere con infinita lentezza» l’aspetto sottolineato da Gillian Weir:
«il pezzo pareva mettere in discussione le nozioni basilari della musica in
un’agogica che sembrava quasi immobile».12
Tutti i pareri citati concordano sulla centralità dell’estrema lentezza e
sull’impressione di divino che essa suscita dando l’impressione di essere fuori dal
tempo. I commentatori non fanno così che riconoscere in questo brano
un’incarnazione di alcune concezioni ritmiche di Messiaen, come esplicita, tra le
righe Raffaele Pozzi:

L’esasperante lentezza immerge la composizione in una temporalità statica,


immota, che indica un aspetto essenziale della poetica di Messiaen: la pecu-
liare, simbolica, concezione del tempo che orienta le sue ricerche ritmiche.13

Nichols era stato ancora più chiaro (ed enfatico) su questo punto (influenzando,
molto probabilmente, l’uniformità di vedute dei redattori del Messiaen Compa-
nion):

What Messiaen has done, at the age of 17, is more radical still: he forces us
to rethink our notion of time, so that we hear the logic of harmony and me-
lody but without feeling ourselves tied to a mundane beat.14

10
MILSOM 1995 (2008), p. 64.
11
MELLERS 1995 (2008), p. 192, corsivo dell’autore.
12
WEIR 1995 (2008), p. 299.
13
POZZI 2007, p. 36. La questione del ritmo in Messiaen sarà affrontata in modo più approfondito
infra nel Capitolo 4.
14
NICHOLS 1975, p. 10.

13
F. LAZZARO, Danza, incantesimo e preghiera

La risposta emotiva all’ascolto (il livello espressivo) può essere il mezzo attraver-
so cui trasmettere senza bisogno di mediazioni verbali una simbologia:
l’impressione di staticità data dall’agogica quasi immobile suscita nell’ascoltatore
un’idea di eternità, e quindi di divino. Questo avviene in base a determinate abitu-
dini d’ascolto. Per un immaginario ascoltatore proveniente da una cultura dove
l’agogica è di media estremamente più lenta di quella occidentale, Le banquet cé-
leste potrà sembrare non particolarmente immobile: per lui, l’espressione della
lentezza si attuerebbe con mezzi ben più estremi  estremi per noi  di quelli che
compongono il Banquet céleste; la conseguente associazione al divino sarebbe
connessa a mezzi espressivi differenti. Allo stesso modo, un altro ascoltatore im-
maginario nella cui cultura il divino sia associato alla frenesia non potrebbe rico-
noscere nella musica pur percepita come statica del Banquet céleste una simbolo-
gia ultraterrena.
Una volta chiarito il rapporto tra espressione e simbologia, si entri più nello
specifico del Banquet céleste. La lentezza del brano è un dato di fatto, e
l’interpretazione di Nichols è senz’altro condivisibile; ma la mia impressione è
che Messiaen si serva dell’estrema lentezza, più che volerla creare, che la usi per
far sentire qualcos’altro.

2. DUALISMI
Si torni alla didascalia (sì, “didascalia”, elemento esplicativo, non solo “epigra-
fe”).15 Rodasveta Bruzaud focalizza l’importanza delle didascalie nel Messiaen
religioso, da leggersi non come elementi in più rispetto al testo musicale, ma
come completamento: «Les élements paratextuels […] ne se placent jamais en
porte à faux par rapport au discours musical» e sono «inséparables des aspects pu-
rement techniques ou formels de la construction musicale»; e questo poiché Mes-
siaen vuole «rendre sa pensée musicale aussi claire que possible, […] éliminer

15
BRUZAUD 2009 parla di «épigraphes», di «notices explicatives», di «commentaires» (termine
che in francese vale anche per le didascalie dei film muti); si noti che il termine francese «didasca-
lie», che contiene nel suo etimo una forte valenza di insegnamento, spiegazione, è usato solo per il
teatro antico, mentre la didascalia che si associa per esempio a un’immagine è la «légende».

14
Come un’introduzione

toute équivoque, toute ambiguité»,16 «lui permettant de transcendre l’expression


subjective pour tendre à l’universalité du message qu’il transmet»: la studiosa os-
serva che si tratta di una vera e propria «stratégie de communication» di Mes-
siaen, il quale «semble avoir développé une véritable réflexion sur la perception
du fait musical, même s’il n’a jamais abordé ce sujet dans ses écrits ou entretiens»
(come invece, aggiungo io, faranno altri suoi contemporanei e sodali, in primis Jo-
livet).17 Nella maggior parte delle opere religiose degli anni ’30, continua Bru-
zaud, Messiaen limita i suoi interventi paratestuali a una citazione biblica in eser-
go: «c’est donc à la musique […] que revient la charge d’illustrer la parole sacrée,
d’en traduire le sens et de révéler la signification profonde, avec les moyens qui
les sont propres».18 Peccato, però, che appena affronta l’esempio del Banquet cé-
leste, la studiosa non approfondisce quale sia il modo in cui la musica, con i mezzi
che le sono propri, «traduca il senso» del testo (è quanto definisce «l’expression
musicale de la foi»), e si limita a elencare la presenza dell’«essentiel des ingré-
dients qui formeront le style de Messiaen»:

la coloration harmonique particulière, obtenue grâce au deuxième mode à


transpositions limitées, l’atmosphère contemplative résultant de l’emploi
d’un tempo très lent, auxquelles s’ajoute le souci d’exactitude dans la trans-
mission de ses intentions compositionnelles, comme en témoigne la multi-

16
Ivi, pp. 405-406.
17
Ivi, p. 415-16. Infatti, la didascalia «joue le double rôle d’impulsion créatrice et de caution es-
thétique : dans le premier cas, il représente la source d’inspiration qui engendre la démarche artis-
tique, tandis que dans le second, il tend à garantir l’univocité du message que celle-ci vise à trans-
mettre» (p. 416). Per la questione delle strategie percettive e delle dichiarazioni in tal senso da par-
ti di altri compositori vicini a Messiaen, v. infra Capitolo 2, § 1. Nel Capitolo 4 si incontrerà, co-
munque, un passo in cui Messiaen si riferisce direttamente alla percezione della sua musica.
18
Ivi, p. 406. MATHESON 1995 (2008) rileva, però, che anche in Messiaen ci sono casi di riuso del
medesimo materiale, come nei due movimenti del Quatuor pour la fin du temps (1941) tratti da
composizioni preesistenti, «sebbene senza connotazioni teologiche altrettanto esplicite» (p. 210);
Matheson, le cui conclusioni sul rapporto tra musica, Bibbia e Dio sono francamente ingenue (pp.
211-213), si chiede se «la musica avesse già allora tale legame e che Messiaen all’epoca avesse
deciso di tenerlo per sé», o se durante la prigionia abbia deciso di raggruppare una serie di brani
legati dal «comune interesse per il tempo musicale» (p. 210). In ogni caso, ciò che ritengo sia inte-
ressante indagare è come l’elemento paratestuale, titolo o didascalia, influisca sulla percezione del-
le novità tecniche introdotte in un brano: quanto Messiaen si sia eventualmente “tenuto per sé” non
è pertanto rilevante.

15
F. LAZZARO, Danza, incantesimo e preghiera

plicité d’indications de jeu, destinées à circonscrire aussi précisément que


possible le champ émotionnel de l’œuvre.19

Quando invece si cerca di capire più in profondità il rapporto tra paratesto e scelte
musicali c’è il rischio della deriva iperallusiva, e bisogna sempre essere cauti a ca-
lare gli elementi extramusicali nel brano. Per restare al Banquet céleste, ravviso
una possibile sbandata a batt. 12: al pedale è prescritto uno «staccato bref, à la
goutte d’eau», che è semplicemente una similitudine esplicativa di un gesto e non
affatto una semantizzazione liturgica del passaggio (il rituale cattolico prevede
che nel calice del vino vengano versate alcune gocce d’acqua),20 del tipo “questo
suono del pedale significa la goccia d’acqua versata nel calice”; il citato J. Milsom
non si sbilancia a tal punto, ma fa filtrare una certa sconfitta (quasi un’arresa che
non lo convince) laddove confessa che non riesce a spiegare «il significato» di
questo suono «misterioso e ‘sgocciolante’» in un pezzo intitolato Le banquet céle-
ste: Milsom sta cercando di far quadrare l’acqua che sgocciola in un contesto eu-
caristico, e non un suono «staccato, simile a una goccia d’acqua» in un contesto
organistico, per (non) concludere che «la sua stranezza sembra in qualche modo
giustificata in una musica che ci chiede di riflettere sull’imperscrutabile»21. Ma è
proprio questo che ci viene chiesto, «riflettere sull’imperscrutabile»? E attraverso
un tipo di staccato?22

19
BRUZAUD 2009, p. 407. La studiosa approfondisce maggiormente il rapporto tra paratesto e scel-
te musicali negli esempi successivi (soprattutto Les offrandes oubliées, Les corps glorieux, La Na-
tivité du Seigeur).
20
Secondo le indicazioni del Missale romanum preconciliare in uso all’epoca: «Deinde in cornu
Epistolae accipit Calicem, Purificatorio extergit, et sinistra tenens illius nodum, accipit ampullam
vini de manu ministri (qui osculatur ipsam ampullam, non autem manum Celebrantis) et ponit vi-
num in Calicem. Deinde eodem modo tenens Calicem, producit signum crucis super ampullam a-
quae, et dicit: “Deus, qui humanae substantiae”, et infundens parum aquae in Calicem prosequitur:
“Da nobis per hujus aquae et vini mysterium, etc.”» (Ritus servandus in celebratione Missae, VII,
4; consultato su www.documentacatholicaomnia.eu).
21
MILSOM 1995 (2008), p. 64. Milsom utilizza, in questo passaggio, il termine texture in modo
alquanto improprio (a proposito del timbro e del modo d’attacco): ho pertanto evitato di citare di-
rettamente i frammenti di testo in cui compare; l’errata traduzione italiana «tessitura», poi, rende
decisamente incomprensibile ciò che in inglese rimaneva sul confine dell’impreciso.
22
Un caso simile a quello preso in esame si trova, fra i molti, in CHERLING 1998. Nel brano che
analizza  il Trio op. 45 di Schönberg  appare la didascalia «martellato»; lo studioso dapprima

16
Come un’introduzione

Una volta accesa la spia di pericolo da contenutismo estremo si può, con


cautela, ritornare finalmente alla didascalia principale: «Chi mangia la mia carne e
beve il mio sangue dimora in me e io in lui». Ci sono due elementi (la carne e il
sangue), che a loro volta – è sottointeso ma noto al lettore-ascoltatore occidentale
– hanno una duplice forma: la carne di Cristo si presenta sotto forma di pane, il
sangue di vino. Ci sono, poi, due persone: «moi» e «lui». Probabilmente Messiaen
vuole riflettere su questi rapporti duali (che si estendono fino al generale rapporto
di incontro eucaristico tra l’umano e il divino), vuole forse esplicitarli. Ciò che la
mia lettura analitica rileva è che ci sono numerosi elementi di duplicità nel Ban-
quet céleste che vengono posti in assoluto risalto. Come è stato in parte rilevato da
Raffaele Pozzi, che indirizza verso la «volontà di rappresentazione simbolica» del
brano e in generale della produzione di Messiaen, il Banquet céleste tematizza «la
comunione eucaristica, [l]’incontro tra il divino e l’umano».23 Come fa? «Sospen-
de musicalmente il tempo mondano attraverso la dilatazione temporale,
l’ambiguità modo-tono, la nuova ricerca timbrico-strumentale».24 Sarebbe una
rappresentazione simbolica piuttosto vaga, a mio avviso, il suggerimento di una
dimensione ‘altra’ tramite sonorità insolite. Credo si possa entrare più nel detta-
glio dei mezzi espressivi, e per farlo conviene partire da quelle che erano le sono-
rità ‘solite’.

cerca di integrarla nella sua interpretazione generale del Trio, per poi accorgersi del rischio di de-
riva iperallusiva e correggere il tiro focalizzandosi sulla funzione retorica del «martellato» piutto-
sto che sul suo ruolo nell’affresco semantico imbastito intorno al pezzo: «a quasi-comical martel-
lato, which seems to function as either an ‘awakening’ or, as I prefer to think of it, an entering into
dream consciousness. But no matter how we interpret the martellato, its entrance is abrupt and
disorienting» (p. 574).
23
POZZI 2007, p. 36.
24
Ivi, p. 37. L’ispirazione eucaristica del Banquet céleste non è certo un contributo di Pozzi: ma
egli è l’unico tra i commentatori che ho consultato che rileva, appunto, la presenza di una «volontà
di rappresentazione simbolica» di questo elemento.

17
F. LAZZARO, Danza, incantesimo e preghiera

2.1. DUALISMO ARMONICO


Nel sistema musicale standard25 all’epoca di Messiaen, il linguaggio tonale, non
mancano certo elementi dualistici: maggiore/minore, tonica/dominate; la tecnica
compositiva collegata ha poi reso classici melodia/accompagnamento, anteceden-
te/conseguente, soggetto/controsoggetto, e così via. Se volessimo immaginare un
Banquet céleste calato nella tradizione espressiva occidentale non sarebbe difficile
pensare a un contrasto tra due temi (che magari si fondono in ‘comunione’), o a
un dialogo fra timbri. Ma il Banquet céleste che è stato effettivamente scritto non
presenta letteralmente nessuno di questi mezzi espressivi, seppure in qualche mo-
do ne presupponga alcuni per rinnovarli. Gillian Weir riconosce il distacco dalla
tradizione («pareva mettere in discussione le nozioni basilari della musica»):26 per
lei Messiaen in questa composizione «stava sviluppando un concetto tutto nuovo
di ritmo – la forza motrice della musica», per cui, pur nell’immobilità dei valori, il
Banquet céleste «è propuls[o] da un formidabile senso di movimento generato
dall’armonia».27 Lo sviluppo di questo concetto, così come lo intesse la Weir, mi
sembra poco convincente, ma il nucleo (il «formidabile senso di movimento gene-
rato dall’armonia») combacia con quanto emerge dall’analisi: ci sono due campi
armonici nettamente contrapposti, in costante alternanza, e la lentezza ne favori-
sce la percezione (altrimenti poco chiara a un orecchio non avvezzo a sonorità si-
mili).28

25
Come in linguistica, il linguaggio “standard” è quello rispetto al quale si evidenziano le devia-
zioni (diafasiche, diatopiche, ecc.; cfr. BERRUTO 1998, pp. 56-58 e passim): così, ogni novità in-
trodotta nella tecnica musicale tra le guerre (dalla politonalità all’atonalità, dai modi ai microtoni)
veniva costantemente percepita come una deviazione dallo standard tonale, sistema di lunga tradi-
zione accettata e condivisa. Può essere significativo a tal proposito un commento come il seguente,
riferito a un pezzo ‘estremo’ come il Pierrot lunaire, ma in linea con la media dei discorsi sulla
musica dell’epoca: «Vous chercheriez vainement dans cette trame toujours en mouvement, où
chaque instrument parait préoccupé de son indépendance, quelche chose qui atteinte à la sécuité de
votre oreille. Sur les portées cela semble incohérence, hasard et dureté. A l’audition, les pires ren-
contres de notes ne se livrent, à votre détriment, à aucune guerre cruelle et l’on se demande quelle
extraordinaire habilité a réalisé d’aussi miraculeuses ententes […]» (LE FLEM 1927).
26
WEIR 1995 (2008), p. 299.
27
Ibidem.
28
Tengo a precisare la differenza tra la mia interpretazione e quella di NICHOLS 1975 (pp. 9-11).
Anche costui metteva in guardia dal considerare ogni accordo come un «sound-event» il quale

18
Come un’introduzione

Nello specifico, nelle prime battute (1-4) Messiaen alterna agglomerati costruiti
con quasi il massimo numero di diesis (fa maggiore, che indico con ) e agglome-
rati sui tasti bianchi (do maggiore; spesso col la, da intendersi si# in una lettura to-
nale degli accordi; simbolo: ), come chiarifica l’esempio. Limitarsi a segnalare
che il brano è scritto in secondo modo a trasposizione limitata non dice nulla (e an-
zi potenzialmente nasconde) questo principio oppositivo (v. oltre nel paragrafo):

Esempio 1 O. Messiaen, Le banquet céleste, batt. 1-4.

Lo schema seguente aiuta il colpo d’occhio dei rapporti di durata tra le sonorità
(ogni casella corrisponde a una semiminima):

Si noti la bipartizione di queste prime quattro battute dal punto di vista


dell’alternanza delle sonorità: la prime due sono uguali tra loro, le ultime due spe-
culari (e formano una sorta di hemiolia). In generale i rapporti di durata di ognuna
delle sonorità non sono regolari (3-1-1-1-3-1-1-1-4-1-2-1-4) e la lentezza richiesta
all’esecuzione non aiuta a generare un’aspettativa del momento in cui scatterà
l’alternanza;29 si genera pertanto nell’ascoltatore un senso di successione di ele-
menti nettamente contrastanti, ma senza che si riesca a cogliere né la causa della
diversità (sarebbe evidente un rapporto tonica/dominante, o maggiore/minore,

«needs only to be appreciated as such» (p. 10), a favore di una lettura sintattica: ma per lui la suc-
cessione degli accordi era comunque tonale, e ciò che ne straniava la percezione era la lentezza
(«he forces us to rethink our notion of time, so that we hear the logic of harmony and melody but
without feeling ourselves tied to a mundane beat», ibidem). La mia posizione rimarca invece il
ruolo della lentezza come presupposto per poter seguire una logica sintattica che non è più tonale.
29
Per dirla con Paul Griffiths, «the given tempo is essential in order that the harmonic progres-
sions be estranged» (GRIFFITHS 1985, p. 29).

19
F. LAZZARO, Danza, incantesimo e preghiera

meno lo è quello di tritono tra sistemi scalari, che si esplicita leggendo lo spartito)
né la regola ritmica che struttura il susseguirsi degli eventi. Risultato: impressione
di aritmicità, tempo sospeso, anche se si è mostrata la costruzione precisa dei tas-
selli. La staticità non è dovuta a mancanza di interazione dialettica tra gli elementi
o a una loro disposizione ritmica troppo regolare: Messiaen si serve della lentezza
per confondere i meccanismi di attesa e mascherare l’organizzazione ritmica che a
un tempo più rapido sarebbero evidentissimi. Paradossalmente si serve della len-
tezza non statica (in quanto regge una dialettica) per crearne una che appare stati-
ca.
La mia lettura di queste prime battute suggerisce un rapporto di Messiaen
col materiale armonico che rassomiglia a una sorta di procedimento politonale, ma
che nega il presupposto (o il fine) della politonalità, e cioè la compresenza simul-
tanea, a favore di un’alternanza.30 Ciò che si legge nelle analisi di questo brano è
che il compositore introduce il secondo modo a trasposizione limitata, o, in altri
termini, una scala ottatonica do-re ecc.: tutte le altezze della prima battuta, effet-
tivamente, fanno parte di questa scala; già qualche problema si incontra nella se-
conda battuta, però, con quel do naturale usato ben due volte e non in posizione di
passaggio: Pozzi illustra che si tratta della transizione alla prima trasposizione del
modo (e cioè ottatonica do-do ecc.), con cui si spiega evidentemente il do natura-
le ma non la sua funzione all’interno del discorso.31 Ciò che conta, a mio avviso,
non è tanto decifrare quale sistema scalare Messiaen abbia utilizzato, ma come se
ne sia servito: ed è evidente che ne ha sfruttato l’ambivalenza giustapponendo ac-
cordi che sfruttano l’una o l’altra delle sue facce, quella coi diesis e quella senza.32

30
Messiaen stesso precisa: «non modes offrent à l’auditeur l’atmosphère de plusieurs tonalités à la
fois, sans polytonalité» (MESSIAEN 1944, I, p. 60, corsivo dell’autore); la polimodalità, in compen-
so, può essere un modo per impiegare i modi (ivi, I, pp. 61-63). Cfr. anche GRIFFITHS 1985, p. 31.
31
POZZI 2007, p. 36. In effetti non «si passa» tout court alla prima trasposizione, ma c’è un conti-
nuo andirivieni.
32
Questa è anche la posizione di Griffiths: dapprima suggerisce come il gusto di Messiaen per il
secondo modo a trasposizione limitata possa derivare dalla pratica improvvisativa di giustapporre
accordi tonali a distanza di tritono «e.g. C sharp–E sharp–G sharp–A sharp and G–B–D–E» – che
sono proprio i primi due accordi del Banquet céleste (GRIFFITHS 1985, p. 30), poi dichiara aperta-
mente che «it must be obvious that to describe Le banquet céleste, or any other Messiaen composi-
tion, as being “in the second mode” is hardly more helpful than to describe the Diabelli Variations

20
Come un’introduzione

Tralascerò di interrogare le implicazioni tonali degli accordi utilizzati: in


parte perché è già stato fatto,33 ma soprattutto perché sembra evidente il loro ca-
rattere residuale rispetto agli altri mezzi espressivi messi in gioco da Messiaen:
non a caso Griffiths parla di «frustrated nature of the harmony».34

2.2. DUALISMO STRUTTURALE


Un secondo elemento di dualismo nelle prime quattro battute del Banquet céleste
si ravvisa nell’alternanza della nota più grave, che dura quanto la battuta stessa
(si-la-si-la) e che non influisce sul tipo di sonorità su cui viene a cadere la sua
emissione (che è sempre del tipo “tasti neri”, ).
Il brano continua con una ripetizione in leggero crescendo (pp, «peu à peu
p») delle prime tre battute. Confido nella sinossi e propongo uno schema generale
della struttura del Banquet céleste basato sui meccanismi di ripetizione dei modu-
li:

Batt. Testa Des. Desinenza Desinenza Cadenza


1 2 (Progressione) 3

1-3 a
NO PED.

A
4
5-7 a
A’
7-11 b do# b re# b la# ricond.
12-14 a’
A’’ 15
15-17 c
18-19 b’ do#
PEDALE

b’ sol #
20-21 b’’ do#
B b’’ [do#]

22-23 aug. 21
ped. 22
24-25

as being “in the diatonic mode”», e che naturalmente «what matters is how the mode is employed.
In the case of the opening of this short organ piece, there are two transpositions alternating in op-
eration» (ivi, p. 31).
33
Cfr. gli studi già citati di P. Griffiths e R. Pozzi.
34
GRIFFITHS 1985, p. 33.

21
F. LAZZARO, Danza, incantesimo e preghiera

La divisione in testa e desinenza delle batt. 1-4, di ascendenza almeno debussyana


(penso al Prélude à l’après-midi d’un faune), è giustificata dal fatto che le prime
tre battute ricorrono altre volte nel corso del brano e vengono completate di volta in
volta da desinenze diverse, più o meno lunghe: la Desinenza 1 fa parte integrante
del gioco / delle battute che completa; la Desinenza 2 è una progressione il cui
modulo inizia a metà dell’ultima battuta della Testa, come chiarisce il seguente
esempio musicale:35

Esempio 2 O. Messiaen, Le banquet céleste, batt. 3-4; 7-8.

Dopo tre moduli di progressione si ha una riconduzione alla Testa (a’ perché si ag-
giunge il pedale, entrato a metà della battuta di riconduzione), la quale viene com-
pletata da una terza desinenza (sembra riprendere la 1, ma dopo metà battuta attac-
ca con la testa del modulo di progressione della 2, che però viene ancora smentita a
favore di una sezione c). Dopodiché non si presenta più la Testa, ma si apre una se-
zione in cui l’alternanza / viene definitivamente abbandonata (la sonorità sarà
d’ora in avanti soltanto ) e sostituita da un altro procedimento binario: la ripeti-
zione a due a due di battute. In particolare la coppia 18-19 è basata sul medesimo
ingresso acefalo del pedale su due moduli della Progressione 2; nella coppia suc-
cessiva l’identità di fa più netta, sia nel manuale sia nel pedale; la batt. 22 riprende,
per aumentazione, la batt. 21 e propone un gesto del pedale (anch’esso derivante

35
Non è chiaro se Roger Nichols si riferisse a ciò che ho letto in termini di Testa-Desinenza quan-
do descriveva il Banquet céleste come «establishment and prolongation of an atmosphere», ma
credo di no: «atmosphere» si riferisce più al clima armonico generale («the chromatic modes […]
are Messiaen’s prime means of creating such an atmosphere») che viene posto in primo piano in
mancanza di «themes, contrasts, or the dramatic interplay of motifs» (NICHOLS 1975, p. 11).

22
Come un’introduzione

dal medesimo luogo ma troncato) che verrà duplicato nella sua battuta compagna,
la 23. Seguono due battute di cadenza.
Si noti che nella seconda sezione (B), Messiaen, non si concentra più in prima is-
tanza sull’armonia (infatti abbandona il gioco /) e pertanto rende riconoscibile
la duplicità con altri mezzi, il profilo del pedale soprattutto (quindi l’identità me-
lodica prende il posto del contrasto armonico), evidenziandone i moduli ripetuti
con una risorsa antica e ben efficace per l’ascoltatore, e cioè la variazione timbrica
che crea il senso di ripetizione per eccellenza: l’effetto d’eco.
Ho considerato come macrocesura del brano (A/B) il momento in cui muta
il principio espressivo (contrastoripetizione) e non viene più introdotta la Testa
(a). Nichols (seguito da altri), invece, propone di bipartire il brano nel momento in
cui ad a viene aggiunto il pedale (quest’ultimo diventa, secondo tale prospettiva,
l’elemento di contrasto).
In questo modo, la struttura complessiva sarebbe «AA’+coda»; il che non mi con-
vince per via delle segmentazioni interne. POZZI 2007 esplicita la cesura tra A e A’
a batt. 11 (sull’ingresso del pedale):36 A equivarrebbe a (a+Desinenza
1)+(a+Desinenza 2), A’ a (a+Desinenza 3); la Coda sarebbe pertanto tutta la se-
zione che io chiamo B, e che mi sembra così importante nell’economia dei mezzi
espressivi messi in campo da Messiaen? Oppure la Coda coinciderebbe con le sole
ultime due battute cadenzali, nel qual caso però A’ sarebbe ben differente da A? In
ogni modo, ciò che conta è che, ovunque lo si segmenti, anche nella sua macro-
struttura il Banquet céleste risulta bipartito.

2.3. MELODIA A DOPPIO IMPULSO


L’ultima occorrenza dell’elemento duale che mi sembra emergere dall’analisi si
trova proprio nella parte del pedale. Ancora una volta è l’andamento ritmico quasi
statico che ne aiuta la percezione, accentuato dal modo d’attacco «à la goutte
d’eau»:

36
POZZI 2007, p. 37.

23
F. LAZZARO, Danza, incantesimo e preghiera

Esempio 3 O. Messiaen, Le banquet céleste, batt. 12-23: la melodia del pedale.

L’esempio mette in evidenza il meccanismo a doppio impulso, interrotto solo in


quattro casi (il primo sistema dell’esempio vale per due battute), su cui si basa
l’idea melodica della parte del pedale. Come si evince dal computo degli intervalli
che portano da una coppia di ribattuti all’altra (ho indicato il numero di semitoni),

24
Come un’introduzione

non esiste una regolarità nella successione delle altezze che renda ‘orecchiabile’ il
canto del pedale; esiste, semmai, una percettibilità del profilo della linea.
Ad arco fino a batt. 15, a batt. 16 devia da quella che potrebbe essere diventata
nell’ascoltatore una previsione e dunque un’attesa ritornando sui suoi passi e poi
raddoppiando il suo raggio a batt. 17-18 (nella prima c’è la fase di salita, nella se-
conda quella di discesa), risalendo un po’ e iniziando a scendere, a batt. 19, dalla
medesima vetta (il che genera il già citato meccanismo d’eco tra batt. 18 e 19); la
linea diventa poi un tentativo di slancio verso l’alto (un intervallo di quarta ascen-
dente ribattuto seguito da una seconda maggiore anch’essa ribattuta: il fiero ri-
chiamo della Marseillaise) che si spegne sul primo gradino (re2) a batt. 24.
C’è, dunque, una linearità della melodia che crea un meccanismo molto dilatato di
aspettative; ma, soprattutto, ciò che crea coesione nel lungo intervento del pedale,
e che compensa la mancanza della previsione precisa del parametro altezza, è il
ribattuto a goccia d’acqua: è questo il principio melodico del canto del pedale.
A conferma di ciò si aggiunga il fatto che il pedale entra già prima, a metà di batt.
11, dove enuncia la terza trasposizione del secondo modo a trasposizione limitata
(scala ottatonica do-re ecc., saltando il la): la mancanza del ribattuto e la natura
prettamente scalare di questo intervento lo inserisce in un contesto di riconduzione,
che infatti non viene considerato “entrata del pedale” (nel senso di “del canto del
pedale”) dagli studiosi che con essa fanno incominciare la seconda sezione del
Banquet céleste; è la partitura stessa a mostrare che non si tratta ancora del canto:
ne è assente il principio melodico, e il modo d’attacco – ad esso strettamente legato
– non è ancora «staccato bref, à la goutte d’eau» ma «stacc. long» (a riprova
dell’importanza delle didascalie, ora come fonti di simbolismi espressivi, ora come
spie formali).
Si noti che, nelle coppie di ribattuti, è la seconda nota a risultare più accentata in
virtù della sua posizione metrica (in battere): è pertanto un’eco al contrario (che si
fonderà, come si è detto, con l’eco vera e propria nelle ultime battute). È un tipo
di diversa accentuazione dell’uguale a base 2 che ha una schematizzazione cultu-
rale nel “tic-tac” degli orologi: questo brano che vuole abolire la percezione del
tempo utilizza il topos per eccellenza della scansione del tempo. (A tal proposito,
non si può mancare di sorridere al pensiero che il cinema, per la funzione che Mi-
chel Chion ha battezzato «vettorializzazione» dell’immagine attraverso il suono,

25
F. LAZZARO, Danza, incantesimo e preghiera

si è spesso servito proprio di una goccia d’acqua per rendere evidente il trascorre-
re del tempo in un contesto di fissità).37

Per riassumere: l’intento didascalico-simbolico di Messiaen nel Banquet céleste


(il dualismo suggerito dalla didascalia: carne/sangue, che si amplifica in car-
ne/pane e sangue/vino, e moi/lui) si appoggia sullo sfruttamento di mezzi binari,
ora sotto forma di contrasto (/; alternanza del basso si/la), ora di ripetizione (le
crome a due a due del pedale; la costruzione a due a due delle ultime battute). Per
renderli percepibili, in un contesto di desiderato e necessario rinnovamento dei
gesti musicali ma attentissimo a non perdere il portato espressivo, il giovane com-
positore cerca l’evidenza del netto contrasto armonico giustapponendo sistemi
scalari a distanza di tritono, mette in evidenza i ribattuti con un modo d’attacco
nuovo («a goccia») unito a un registro insolito, rende netti i confini dei frammenti
ripetuti coll’antico sistema della variazione timbrica; il tutto calato in un anda-
mento lentissimo che aiuta a confondere i meccanismi di attesa e a concentrarsi
sulle ‘novità’ di cui sono ricchi gli altri parametri. Non conta e non ha senso pro-
porre (rectius inventarsi) un referenzialismo: determinare, ad esempio, quale delle
due aree modali sia il divino e quale l’umano. Anche se fosse Messiaen stesso ad
indicarlo, sarebbe comunque poco utile a un’indagine sul rinnovamento del lin-
guaggio musicale che voglia conservare il suo portato espressivo.

***

Il caso di studio proposto ha sollevato alcune questioni che verranno approfondite


nel corso del presente lavoro. Si è parlato di “fine etico” di Messiaen: la prima co-
sa da affrontare, nel prossimo capitolo, sarà proprio tratteggiare il contesto in cui
si colloca quest’esigenza di un ruolo morale e spirituale dell’arte. Si è accennato,
se pur di sfuggita, alle spiegazioni che Messiaen ha offerto della propria musica:
spiegazioni sia tecniche sia esegetiche, che hanno influenzato in modo rilevante le

37
CHION 1990 (2001), pp. 19 e 23-24. L’esempio che porta è quello del prologo di Persona (1966)
di I. Bergman.

26
Come un’introduzione

analisi dei suoi brani. Bisogna chiedersi tuttavia se gli scritti dei compositori non
abbiano una valenza piuttosto politica che personale, e non vadano pertanto spie-
gati attraverso una lettura incrociata con quelli dei loro colleghi invece che accolti
acriticamente nel loro contenuto. Inoltre ci si dovrebbe chiedere se le dichiarazio-
ni di poetica esplicita abbiano un riscontro con la poetica effettiva, incarnata nella
musica composta.38 Secondo questa linea, bisogna considerare quanto puntualizza
Jane Fulcher:

Messiaen [1] responded to the ideological-aesthetic issues of his day, [2] re-
configuring the musical language [3] to say something ‘other’ to his religion,
to his culture, and to himself.39

Si tratta di [1] contestualizzare, per mettere in relazione [2] le scelte di Messiaen


con quelle dei suoi contemporanei che condividevano le stesse linee di poetica
(non-conformista [3], come si vedrà) e capire se differivano da chi seguiva (o di-
chiarava di seguire) altre vie. Come asseriva Leonard Meyer, si tratterebbe di

reconstruct the alternatives available to the composer and  considering such


matters as the composer’s personality, specific cultural circumstances, and
prevalent ideological and stylistic constraints  […] formulate hypotheses
about why he or she (or they) made the particular compositional choices be-
ing studied.40

Il fulcro della mia ricerca è proprio studiare i mezzi di riconfigurazione del lin-
guaggio musicale messi a punto negli anni ’30 da alcuni compositori (specialmen-
te Jolivet e Messiaen) che condividevano il desiderio di scrivere una musica che
fosse al contempo nuova e vivante, coinvolgente, spirituale. Nella sua ultima in-
tervista con Caude Samuel, Messiaen rievocava in questi termini le esigenze e i
propositi della sua generazione all’epoca della Jeune France:

38
Sulle relazioni scivolose tra “poetica effettiva” (faktische) e “poetica esplicita” cfr. DANUSER
1993; v. anche infra Capitolo 1, § 4-5, Capitolo 3, § 1.1 e passim.
39
FULCHER 2002, p. 467.
40
MEYER 1983, p. 541.

27
F. LAZZARO, Danza, incantesimo e preghiera

La question dans son ensemble se posait ainsi: quelle est l’essence perma-
nente de la musique ou ‘sa vie intérieure’ et quels moyens actuels
d’expression ou quel ‘vocabulaire’ trouvons-nous? […] [Q]ue le musicien
animé d’une émotion sincère n’oserait plus alors se satisfaire d’une tech-
nique défaillante pour exprimer  en son plein  cette émotion; qu’enfin: si
des moyens d’expression nouveaux devenaient nécessaires à cette expression
même, ce musicien-là devrait et pourrait, sans s’égarer, les trouver.41

Studiare la riconfigurazione di un linguaggio significa confrontarsi con le conven-


zioni che si vogliono rinnovare, specialmente se si vuole garantire il coinvolgi-
mento di chi ascoltava ‘come sapeva’. Come scriveva Joseph Straus a proposito di
Stravinskij, Bartók e i viennesi:

Twentieth-century composers incorporate traditional elements not out of


compositional laziness and lack of imagination, and not because those ele-
ments fit so seamlessly into their post-tonal musical syntax, but precisely as
a way to grapple with their musical heritage. They invoke the past in order to
reinterpret it.42

Questo vale tanto più per i compositori francesi vicini alle posizioni non-
conformiste degli anni ’30. Il loro fine era dichiaratamente molto sbilanciato verso
l’ascoltatore  che doveva uscire trasformato dal contatto con la nuova musica.
Sarà dunque opportuno indagare con particolare attenzione non tanto le «shared
underlying structures that are best elucidated by pitch-class set theory», come ha
scelto Straus,43 quanto piuttosto le convenzioni percettive e le strategie messe in
atto dai compositori per coinvolgere il loro pubblico senza fare affidamento sul
linguaggio tradizionale ma mutuandone alcune regole di espressione; per farlo si
interrogherà soprattutto la costruzione gestuale dei brani in esame, come è stato
messo in atto con Le banquet céleste, in cui, per esempio, l’armonia non è stata
studiata in se, a scopo riconoscitivo, ma come ingrediente di un sistema oppositi-

41
SAMUEL 1999, pp. 50-51.
42
STRAUS 1990, p. 1.
43
Ivi, p. 3.

28
Come un’introduzione

vo (bianco/nero). Interrogarsi sui meccanismi della percezione, capire come i


mezzi tecnici agiscano da mezzi espressivi. Uno dei parametri più sfruttati, come
si è già visto nel Banquet céleste, è il paratesto (titoli e didascalie), grazie al quale
si può indirizzare l’ascolto, non solo (e non sempre) in termini simbolico-
contenutistici, ma soprattutto formali e gestuali; come si vedrà, intitolare un brano
“danza” suscita nell’ascoltatore una serie di aspettative che il compositore sfrutta
 per garantire il coinvolgimento  e manipola, nella convinzione che il rinnova-
mento passa attraverso la continuità, l’appoggio su una tradizione condivisa, al-
trimenti è rottura sterile. (Come suggeriscono alcuni passi di Wittgenstein su cui
ci si soffermerà nel Capitolo 2, il titolo “danza” invita ad ascoltare il brano come
una danza  in modo analogo, ho suggerito di leggere queste pagine come
un’introduzione). Si tratta di indagare, pertanto, le tecniche di costruzione di una
nuova espressività musicale che supera quella tonale ma non la prescinde: la con-
vinzione di compositori come Jolivet e Messiaen era che questa nuova espressivi-
tà dovesse esser più universale.
Quali sono i mezzi espressivi dati per condivisi, su cui appoggiarsi? La ri-
sposta emergerà man mano dall’analisi dei nuovi brani. Basti, per concludere con
un esempio concreto, rivolgersi a un passaggio di Jolivet; il compositore voleva
andare alle basi dell’espressività musicale componendo una musica che fosse in
parte vergine da associazioni espressive entrate, nel corso dei secoli, nella perce-
zione collettiva europea, ma evitando i pericoli del fare tabula rasa. Così perman-
gono, se non più le abitudini di strutturazione melodica e armonica, perlomeno dei
gesti, spesso mascherati, e quanto più stranianti in un contesto che sembra prove-
nire da un’altra era (futuribile o ancestrale che sia). Quello che segue è il gesto
pre-conclusivo della terza Incantation per flauto solo (1936):

Esempio 4 A. Jolivet, Cinq Incantations, III: «Pour que la moisson soit riche qui naîtra des sillons
que le laboureur trace», batt. 9.

29
F. LAZZARO, Danza, incantesimo e preghiera

La Flatterzunge si trasforma in un trillo (di cui, forse, è il sostituto novecentesco:


dunque si ritrasforma?) che risolve in modo classico (aggiornato, o parodiato); ma
la lunga nota fff di cui era ‘sensibile’ non è la vera conclusione, come sarebbe av-
venuto nel Sette-Ottocento: questo gesto ‘fuori luogo’ è seguito dalla vera conclu-
sione del brano, statica e immateriale (un lungo armonico tenuto fino a scompari-
re).
Siamo di fronte a una doppia variazione della figura-topos “trillo su sensibile con
risoluzione fiorita”: una variazione morfologica (la fioritura cromatica) e sintattica
(non conclude, anzi ‘viene concluso’ da un gesto che lo reinserisce nel contesto in
cui si è ritrovato quasi per caso). Da un lato Jolivet (come Messiaen) crea la sua
musica ex novo, magari su modelli extra- o preoccidentali; dall’altro fa un riuso
personale di gesti ben riconoscibili e connotati, come un trillo che risolve o, come
si vedrà, una cellula di tango.

30
PARTE I

‘RINNOVAMENTO ESPRESSIVO’
1.
IL DESIDERIO DI ESPRIMERE ANCORA.
POETICHE DEGLI ANNI ’30

[…] ci sono giornate, le cattive giornate di agitazione o di accidia, nelle qua-


li, nel tumulto scatenato dalle basse passioni, non c’è modo di riuscire a suo-
nare la vera musica, la Gigue di Lourié o il preludio alla Kovancina, come
pur di legger una pagina di san Massimo o di qualunque altro autore spiritua-
le.1

Ce lo si può immaginare, lo storico Henri-Irenée Marrou, davanti al suo pianofor-


te. Immancabilmente verticale, l’autentico pianoforte dell’«umile appassionato»
che «da solo […] ripete indefinitamente, alla meglio, una musica che ama, non
tanto per rallegrare con essa il proprio orecchio e distendersi i nervi, quanto per
inciderla nella propria memoria, divenirne più cosciente».2 Marrou era uno storico
del Tardo Antico, e nel 1937 aveva appena discusso una tesi dottorale – più tardi
tradotta anche in italiano – su Sant’Agostino e la fine della cultura antica.3 Ap-
passionato di musica, fu dal 1945 al 1968 critico musicale di «Esprit» (la rivista di
Emmanuel Mounier nata nel 1932, per cui aveva subito collaborato); nel 1942,
dietro lo pseudonimo di Henri Davenson, pubblicò un curioso Traité de la musi-
que selon l’esprit de Saint Augustin, da cui è tratta l’immagine citata in apertura.
È un libro piuttosto confuso, spesso contraddittorio,4 ma che si inserisce per molti
tratti significativi nella cultura francese (musicale e non) degli anni ’30, e può es-
sere pertanto un punto di partenza utile per avvicinarla.

1
MARROU 1942 (2007), p. 72.
2
Ivi, p. 54.
3
MARROU 1938 (1987).
4
Per una riflessione ad ampio spettro su questo libello, cfr. LAZZAROGHIDONIPARODI 2010.

33
F. LAZZARO, Danza, incantesimo e preghiera

In questo capitolo, a carattere storiografico, si chiarirà che cosa si cela dietro


la seconda parte del sottotitolo del presente lavoro: «nella musica francese degli
anni ’30». Si specificherà innanzitutto che cosa si intenda con “spirito degli anni
’30” (§ 1) e con “umanesimo” (§ 2), proponendo un caso di studio (§ 3); ci si in-
terrogherà poi sull’applicabilità del concetto di avanguardia e sui rapporti tra mu-
sica e dichiarazioni di poetica (§ 4): poiché la musica è spesso strettamente legata,
nel bene o nel male, del discorso che la inquadra (§ 5).

1. NON-CONFORMISTI, SPIRITUALISTI, RIVOLUZIONARI


La Gigue di Arthur Lourié, evocata da Marrou come esempio di «vera musica», è
un breve pezzo per pianoforte pubblicato da Rouart–Lerolle nel 1927 insieme ad
altri tre del medesimo autore: Toccata, Valse, Marche (v. Figura 1 a lato). Ancora
prima di sedersi all’amato verticale per averne un riscontro sonoro, il potenziale
esecutore di questa danza non può non annuire compiaciuto – la sensazione che
tutto quadra – davanti alla dedica: «à Jacques Maritain». Il mentore della nuova
cristianità intesa come «nuovo umanesimo» (Humanisme intégral uscirà nel 1936)
aveva pubblicato proprio nel ’27 Primauté du spirituel (in cui si distaccava defini-
tivamente dai monarchici dell’Action française); nello stesso anno usciva in tra-
duzione francese il Nouveau moyen âge di Berdjaev: il rilancio della dimensione
spirituale per la rigenerazione della civiltà era la proposta forte del momento, con
varie sfaccettature. È un periodo ricco (e molto attuale: la ricerca di vie alternative
a una società corrotta in crisi su tutti i fronti), ripercorso magistralmente da Jean-
Louis Loubet del Bayle in Les non-conformistes des années ’30 (2001). Nelle
prossime pagine cercherò di illustrare brevemente il contesto storico e culturale
per poter meglio inquadrare anche le scelte musicali dei protagonisti di quel peri-
odo: da quelle di Lourié tanto apprezzate da Marrou, a quelle degli altri composi-
tori che verranno affrontati nel corso del presente lavoro.

34
Capitolo 1

Figura 1 La prima pagina della Gigue di A. Lourié.

35
F. LAZZARO, Danza, incantesimo e preghiera

Il quadro parrebbe semplice: il 1930 è considerato come un anno perno, a


metà strada tra la fine della Prima Guerra Mondiale (armistizio di Rethondes: 11
novembre 1918) e l’inizio della Seconda (3 settembre 1939); prima dello spartiac-
que ci sarebbero gli anni della speranza, del divertimento e del boom, dopo quelli
della crisi. I titoli di alcune monografie hanno coniato etichette significative, che
hanno contribuito a costruire questa idea di bipartizione: prima della Grande
Guerra, i «banquet years» (1885-1914),5 e dopo gli «harlequin years»6  la «folle
époque»7 o «années folles»8 – ribattezzati, col senno di poi, «années d’illusion»;9
«dancing on the edge of the vulcano», al contrario, è una cupa metafora scelta per
tratteggiare gli anni ’30:10 «années tournantes»,11 senza dubbio, «twilight years»
addirittura,12 ma erano davvero «hollow years»13 (“vuoti”, “falsi”)? È sicuramente
un’immagine diffusa: anni di totalitarismi, di affievolimento del fulgore avan-
guardistico del decennio precedente, di crisi economica (dopo il ’29). Ma uno
sguardo più attento al fermento intellettuale, talvolta quasi sotterraneo, non può
che correggere quest’impressione e ridimensionare i rapporti tra anni ’20 e ’30.
Per quanto concerne la Francia, il decennio prebellico non va considerato,
innanzitutto, come un blocco unico. Come evidenzia lo storico politico Jean Tou-
chard, «l’esprit des années trente» è ben diverso da quello del ’36:14 da una parte
il sottobosco del cosiddetto “non-conformismo”, dall’altra l’entusiastica avventura
del Front Populaire (1936-38). Si noti che il fatto che ci sia un «esprit» (anzi due)

5
SHATTUCK 1958.
6
NICHOLS 2002.
7
CRESPELLE 1968.
8
Si noti che per LÉVÊQUE 1992 le «années folles» durano fino al 1939, e abbracciano dunque
l’intero entre-deux-guerres.
9
CHASTENET 1960 e SACHS 1950 («décade d’illusion»).
10
MAWER 2006 cita Harry Halbreich.
11
DANIEL-ROPS 1932.
12
WISER 2000.
13
WEBER 1994.
14
TOUCHARD 1960; questo studio è la base da cui si sviluppa l’importante ricerca di Loubet del
Bayle già citata.

36
Capitolo 1

contraddice l’impressione che siano anni vuoti, «hollow». Se per il pensiero filo-
sofico e politico l’avvento del Front Populaire ha sicuramente una forte inciden-
za,15 per la musica questo è valido solo in parte: anche dopo il ’36 si sviluppano
correnti infuse di «esprit des années trente» – basti pensare che proprio di
quell’anno è il manifesto della Jeune France.
A che cosa corrisponde questo spirito del 1930? Si possono evidenziare al-
cune parole chiave: spirituel, humanisme, ordre, révolution. È un «esprit de se-
rieux»16 che, a livello politico, si manifesta in un fervore di movimenti extrapar-
lamentari che vogliono costruire un mondo nuovo. A un mondo «inhumain», ab-
bruttito dallo spirito borghese del guadagno, i giovani non-conformisti (che si riu-
niscono in tre movimenti fondamentali – La Jeune Droite, Ordre Nouveau, Esprit
– e si esprimono su numerosi periodici ad essi afferenti)17 vogliono sostituire un
«nuovo ordine» che ripristini, attraverso una «rivoluzione spirituale», la vera es-
senza della natura umana.
Il punto di partenza di questi giovani ‘rivoluzionari’ è la critica alla cultura
intellettuale degli anni ’20, che, secondo loro, aveva eletto l’insignificante a es-
senziale;18 ma il «délire de gratuité»,19 accusato di aver tenuto la letteratura lonta-
na dai veri problemi dell’uomo, sempre secondo loro ha fallito: nello psicologi-
smo autocompiaciuto e autoreferenziale (da Gide a Proust) e parimenti
nell’evasione o esotismo, tendenze che avevano in comune la scelta di ‘partire’
piuttosto che affrontare i problemi. Per contro, la svolta del 1930 doveva consiste-
re nell’uscire da se stessi, producendo arte e letteratura utili, non improntate al

15
LOUBET DEL BAYLE 2001, addirittura, studia solo i contributi tra il 1930 e il ’34, che forniscono
(con qualche avvisaglia già dal ’28) una prospettiva più largamente culturale, filosofica, rispetto a
quella più indirizzata alla ricerca di soluzioni concrete predominante fino al ’36 (pp. 33-35).
16
Ivi, p. 25.
17
Ivi, pp. 529 sgg. elenca le pubblicazioni connesse ai tre movimenti. Tutto lo studio di Loubet del
Bayle è mirato all’analisi di questi documenti, dapprima trattando separatamente i movimenti
(Parte I) per poi metter in luce sinteticamente i punti di convergenza che formano l’«esprit de
1930» (Parte II).
18
Cfr. Ivi, II.1.4, pp. 253-268. Ma v. infra § 5.
19
Espressione di Jean de Fabrègues citata ivi, p. 256.

37
F. LAZZARO, Danza, incantesimo e preghiera

gioco, all’estetismo e al costruttivismo, ma che ritrovassero una dimensione uma-


na, che tornassero all’essenziale e al reale.
Dalla cultura intellettuale, la critica si estende alla società tout court (di cui
la vita intellettuale è manifestazione): i non-conformisti rifiutano l’«esprit bour-
geois» (ma, a differenza degli avanguardisti, non lo vogliono «épater»: sarebbe
solo una manovra sterile che in realtà sguazza nello status quo), rifiutano quel mi-
scuglio di moralismo idealista e materialismo pratico che ha creato un apparente
ordine confortevole che nasconde i problemi; i giovani cristiani, poi, sono infuria-
ti: contro i borghesi, che si eleggono a depositari dei valori religiosi quando inve-
ce «ils prétendent servir Dieu, et ils s’en servent»,20 e contro la Chiesa ufficiale,
che appoggia il fariseismo dei suddetti borghesi e si rivela, pertanto, espressione
emblematica della decadenza spirituale.
Questo mondo, sbottano i giovani non-conformisti, è disumano:
l’individualismo monadico da un lato, e dall’altro l’assorbimento dell’uomo a tas-
sello di una società di cui è al servizio, impediscono l’affermazione della natura
della persona. Il personalismo, presente con varie sfumature tra la Jeune Droite, i
nietzschiani dell’Ordre Nouveau e il gruppo Esprit nato attorno a Emmanuel
Mounier, promuove l’uomo nella sua totalità: contro l’uomo astratto
dell’individualismo (perché l’uomo è un essere sociale) e contro l’uomo collettivo
del totalitarismo (poiché l’uomo è un essere spirituale e libero), contro
l’«angelismo» idealista (che mutila la componente carnale dell’uomo) e contro il
«realismo» marxista (che ne mutila quella spirituale).21
Come si sarà capito, la rivoluzione auspicata dai giovani non-conformisti ri-
cercava una terza via tra il modello capitalista incarnato dall’America (non solo
geografica, ma simbolo dell’evoluzione marcia della società occidentale:
«l’Amérique est déjà chez nous»)22 e quello marxista sovietico. Questa terza via è

20
J. de Fabrègues citato ivi, p. 263.
21
Cfr. ivi, II.3.2, p. 366-385 e MOUNIER 1949.
22
J. de Fabrègues citato in LOUBET DEL BAYLE 2001, p. 281. Se l’America incarnava il conformi-
smo, il non-conformismo (in senso lato) poteva nascere proprio come antiamericanismo, come
suggerisce un passaggio dello spietato Scènes de la vie future di Georges Duhamel: «Je vous pro-
pose d’abord de constituer une ligue pour la pratique du scandale public. […] Sera membre de la

38
Capitolo 1

una rivoluzione spirituale: «La révolution sera morale ou elle ne sera pas».23 Lou-
bet del Bayle individua quattro direttrici secondo le quali i giovani ‘rivoluzionari
spirituali’ definivano i loro scopi:24 1. sovvertire la scala di valori (dal materiali-
smo all’umanesimo, inteso come ricostruzione su nuove basi del rapporto
dell’uomo con se stesso e col mondo); 2. affermare la dimensione spirituale
dell’uomo (contro il materialismo capitalista e marxista); 3. procedere liberamente
alla rivoluzione, che sarà un libero atto dello spirito (contro la presunta necessità
deterministica del materialismo storico); 4. trasformarsi interiormente per poter
cambiare la società (per rinnovare bisogna rinnovarsi, essere innanzi tutto uomini
nuovi – anche pochi – che lancino valori per cambiare le masse). Lo scopo della
rivoluzione spirituale è un nuovo ordine:25 posto che lo stato presente sia disordi-
nato e che lo stesso ordine sociale sia un’ipocrisia borghese, il nuovo ordine sa-
rebbe l’ordine eterno, essenziale, dei valori insiti nella natura umana. Si tratta di
un concetto tutt’altro che univoco, e infatti è proprio su questo punto che si ri-
scontrano le divergenze maggiori tra i movimenti. Per la Jeune Droite (che, non
dimentichiamolo, nasceva dall’Action française di Charles Maurras, monarchica,
reazionaria, nazionalista, oggetto di condanna papale nel 1926, nata nel 1898 co-
me partito anti-dreyfusardo e anti-modernista), i valori nuovi sono in realtà vec-
chi: il nuovo ordine sarebbe la restaurazione del mondo pre-moderno (il già citato
«nuovo medioevo» di Berdjaev), cioè pre-individualista (pre-luterano), pre-
razionalista (pre-cartesiano), pre-democratico (pre-rousseauiano).26 Per chi scri-

ligue tout citoyen qui voudra bien accomplir, chaque jour, un acte de non-conformisme, oh! même
très modeste; par exemple faire repriser ses chaussettes, refuser l’ascenseur et demander l’escalier,
se priver de cinéma, ne pas acheter l’automobile à crédit, refuser une marque de savon dont le pro-
priétaire avoue faire, chaque année, pour deux millions de réclame, se promener familièrement
avec un nègre de ses amis, ne pas prononcer le mot standard, offrir sa place dans le subway à une
vieille dame, sourire, chanter, se promener sans but, etc., etc.» (DUHAMEL 1930, p. 52).
23
Il motto è di Charles Péguy, citato a più riprese dalle riviste non conformiste. Cfr. LOUBET DEL
BAYLE 2001, p. 315.
24
Ivi, II.2.3, pp. 315-328.
25
Cfr. ivi, II.3.1, pp. 357-365.
26
Per i bersagli antimodernisti dell’Action française – individualismo (Lutero), razionalismo (Car-
tesio), democratismo (Rousseau) – e per una sintesi della parabola di questo movimento da rappre-

39
F. LAZZARO, Danza, incantesimo e preghiera

veva sulla rivista «Esprit», al contrario, ci sono sì valori eterni, ma che si incarna-
no in forme diverse nelle varie tappe storiche: bisogna pertanto cercare le forme
nuove in cui realizzarli, c’è la «necessité de tenir compte des exigences de renou-
vellement impliquées par les changements de l’histoire».27 Approfondirò nel pros-
simo capitolo il modo in cui questa necessità si è presentata anche in ambito mu-
sicale, e come certi compositori si sono confrontati con le idee della rivoluzione
spirituale.
Ora, tre delle parole chiave che avevo anticipato (humanisme, ordre, révolu-
tion) sono senz’altro meno vaghe; l’altra, che ritorna continuamente – e cioè spiri-
tuel – merita ancora qualche riga. Che cosa significano in concreto i discorsi in-
torno alla libertà e al rinnovamento della persona e alla rivoluzione spirituale?
Anche in questo caso, l’utilizzo che i diversi pensatori non-conformisti fanno del
termine non sempre converge. Per i cristiani, “spirito” significa semplicemente
“anima”, e in quanto immortale e direttamente legato a Dio non è difficile capire
che sia il luogo di conservazione privilegiato di quei valori eterni che si volevano
recuperare; una concezione così dualista di anima e corpo, però, non si sposa mol-
to con l’idea personalistica di “uomo nella sua totalità”. Per l’Ordre Nouveau, lo
spirituel è rappresentato dalla libertà creatrice dell’uomo, che si incarna nell’eroe
(nietzschiano) che afferma la sua originalità e libertà: è la volontà di potenza. Al-
tri, evitando la deriva superomistica, considerano lo spirituel come la componente
dell’uomo libera dal giogo dei vincoli economici e sociali: il «droit de loisir»,28
l’attività gratuita – che però rischia di degenerare ancora una volta nell’estetismo;
e poi, il «droit de loisir», non era l’imperativo dei tanto deprecati «[coq and] arle-
quin years»? Il concetto di “spirituale”, come prevedibile, era inteso da ognuno un
po’ a modo suo, ma si può riassumere in questi termini: ciò che conta è l’accento
posto sulla dimensione anti-materialista, anti-opportunista dell’esistenza, che i
non-conformisti volevano riscoprire e rilanciare.

sentante politico del cattolicesimo alla scomunica, cfr. CHENAUX 2005, pp. 11-27. Su Antimoderne
(1922) di Maritain, v. infra Capitolo 2, § 1.4.
27
LOUBET DEL BAYLE 2001, p. 360. È un concetto maritainiano, v. infra Capitolo 2, § 1.4.
28
Idea di Thierry Maulnier citata ivi, p. 378.

40
Capitolo 1

Analogamente, anche nello studio della storia della musica di quegli anni
conviene non erigere troppe barriere categoriche: «esprit des Six» contro «esprit
Jeune France», neoclassici e neoromantici, stravinskijani e non; si può cercare di
prescindere dalle etichette per evidenziare nelle associazioni rivali e nelle botte-
ghe di compositori ‘nemici’ le tracce di appartenenza alla stessa epoca, che ben
lungi da essere «hollow» si presenta piuttosto complessa e ricca di scommesse
culturali. Tuttavia, la Jeune France, gruppo-movimento lanciato da quattro giovani
compositori (André Jolivet, Olivier Messiaen, Yves Baudrier, Daniel-Lesur),
sembra essere la declinazione in musica dell’«esprit des années trente».29 Perlo-
meno è quanto traspare dal suo manifesto (pubblicato nel 1936 in occasione del
primo concerto organizzato), che si apre con queste parole:

Les conditions de la vie devenant de plus en plus dures, mécaniques et im-


personnelles, la musique se doit d’apporter sans répit à ceux qui l’aiment sa
violence spirituelle et ses réactions généreuses.

Il manifesto continua rilanciando l’esigenza di una «musique vivante», lon-


tana dagli stereotipi (accademici o «rivoluzionari» che siano).30 André Cœuroy,
per promuovere il gruppo, scrisse un articolo apparso su «Gringoire» (rivista di
destra) una settimana prima del debutto della Jeune France, in cui risuonano alcu-
ni dei temi enucleati nel corso di questo paragrafo.31 Se il nome del gruppo, scrive
Cœuroy, si rifà al movimento letterario di cui facevano parte Théophile Gautier e

29
La prima a rimarcare la vicinanza del manifesto della Jeune France al clima non-conformista è
stata Jane Fulcher (2002 e 2005): «Contrary to previous histories, which have placed its argument
within a primarily musical context, I maintain that its sources were partly ideological, and the in-
tertextual reference to the nonconformist movement is clear» (FULCHER 2005, p. 293).
L’esperienza della Jeune France è anticipata da quella della Spirale, il cui manifesto, però, non
prende posizioni estetiche (cfr. SIMEONE 2002, specialmente pp. 10-11). GREEN 2009 illustra la
vicinanza delle idee Jeune France con le riflessioni sul ritorno alla religiosità e al fine etico
dell’arte sviluppate in seno al Collège de sociologie (1937-39).
30
Per il concetto di “rivoluzionario” osteggiato dai compositori che gravitavano attorno alla Spira-
le e poi alla Jeune France, v. infra il pensiero di Georges Migot (Capitolo 2, § 1.1-2). Il manifesto
della Jeune France, pubblicato sul programma del primo concerto (3 giugno 1936), è riportato in
diverse monografie ma spesso incompleto: FULCHER 2005, p. 294, lo riporta per intero.
31
CŒUROY 1936a, da cui sono tratte le citazioni che seguono.

41
F. LAZZARO, Danza, incantesimo e preghiera

Gérard de Nerval, i quali «exagérèrent les théories du romantisme» e conducendo


una vita eccentrica volevano «épater les bourgeois», questo non è il fine né il me-
todo dei quattro giovani musicisti:

leur attitude est très différente. Nulle excentricité dans leur toilette ou leurs
manières. Nul désir et nul besoin d’épater les bourgeois. La génération pré-
cédente a pris ce soin, quand le petit père Satie tirait les ficelles.

La presa di distanza dalla generazione precedente è netta. Se i folli anni ’20 erano
stati il regno dell’«esprit» inteso come wit, ora lo “spirito” ha tutt’altro significato:

En vérité, il s’agit toujours d’esprit (et le vocabulaire est plein de pièges),


mais d’un esprit qui n’est pas “spirituel”, ou, si l’on tient au mot “spirituel”,
il faut lui donner le sens qu’il prend dans le spiritualisme ou la spiritualité.
Attitude assez nouvelle dans la musique, attitude sympathique et, plus que
cela, attitude digne.

Dallo spiritoso allo spirituale, con un fine morale (e perciò «digne»): «restituer à
la musique une valeur humaine». Il compositore cessa di essere artigiano e diven-
ta persona: «faire apparaître derrière l’assembleur de sons l’être qui pense».
Nell’articolo-recensione del primo concerto Jeune France apparso sempre con la
firma di Cœuroy (su «Beaux-Arts», ancora una rivista afferente alla cultura di de-
stra), il critico chiama i quattro giovani musicisti «un esprit nouveau de la musi-
que», la cui «première ambition» è di essere «assez éloquents pour propager
l’amour qu’ils ont de l’humain, de la vie spirituelle et de l’équilibre entre les sons
et l’âme».32
La recensione sulla «Revue musicale» (che invece era più spostata a sini-
stra), era meno entusiasta e più pragmatica:

32
CŒUROY 1936b, corsivo dell’autore. Si ritornerà su questo articolo nel § 4.

42
Capitolo 1

ces Quatre n’ont créé aucune chapelle, aucune esthétique inédite, aucun mot
d’ordre nouveau; rien n’est plus dissemblable que leurs quatre tempéraments
et les manifestations d’iceux.33

Il motivo per cui si sarebbero uniti, secondo Suzanne Demarquez, era d’ordine
pratico piuttosto che estetico:

je crois qu’ils se sont tout bonnement réunis pour s’épauler, s’entr’aider,


prouver aux autres et à eux-mêmes leurs possibilités et que leur jeunesse,
leur sincérité et leur foi sont les liens qui les ont groupés.34

Si noti, però, che tra i legami che li avrebbero uniti c’è «leur sincerité»: non è for-
se un riferimento al manifesto, e quindi proprio a quelle idee comuni che Demar-
quez non voleva riconoscere? Il motivo della diffidenza dell’autrice era dovuto al
fatto che, ammettendo o meno che le posizioni estetiche generali fossero comuni,
a livello stilistico tra i quattro compositori erano più le differenze che le somi-
glianze. Ma, se consideriamo la produzione di quegli anni dei due principali, Joli-
vet e Messiaen, emerge con forza, pur se con incarnazioni differenti, l’esprit spiri-
tualista dichiarato nel manifesto: Messiaen ne dà un’interpretazione profondamen-
te e tradizionalmente religiosa, cattolica, quasi contemplativa e molto simbolica
(si pensi a brani come le «meditazioni sinfoniche» L’Ascension, o La Nativité du
Seigneur, o Le Corps glorieux); Jolivet va alla ricerca dell’essenza della natura
umana risalendo al primordiale, al primitivo (cfr. le Cinq incantations o le Cinq
Danses rituelles) e ha una concezione religiosa del cosmo intesa come re-ligare,
una ricerca esoterica di unione tra gli uomini, gli oggetti, la natura (Mana, Co-

33
DEMARQUEZ 1936, p. 49.
34
Ibidem. Sui motivi pratici e politically correct che guidarono la scelta del programma del primo
concerto Jeune France cfr. FULCHER 2005, pp. 308-310. È da rimarcare che «Esprit» non recensì
l’evento: sui numeri del 1936 trovarono spazio, invece, uno spettacolo (la Margot di Bourdet) le
cui musiche di scena (di Poulenc) verranno analizzate nel Capitolo 3, § 1.1 (recensione sul n. 41);
Le paradis perdu di Igor Markevitch, che verrà affrontato nel Capitolo 4, § 4.3 (recensione sul n.
45); il Concerto spirituale di Lourié (sul n. 46). Sul n. 31, del 1935, «Esprit» aveva recensito la
Suite française di Daniel-Lesur, poi eseguita al primo concerto Jeune France (v. infra Capitolo 3, §
1.1).

43
F. LAZZARO, Danza, incantesimo e preghiera

smogonie). Considerati secondo le categorie che hanno informato la politica cultu-


rale francese del primo dopoguerra, i due compositori incarnerebbero pertanto due
posizioni opposte: Messiaen la ‘destra’, che difendeva i valori della tradizione cat-
tolica, Jolivet la ‘sinistra’, con le sue aspirazioni universalistiche.35 Da un lato si
saranno percepite ancora queste associazioni (nonostante il distacco dall’Action
française avesse smussato l’equivalenza tra cattolicesimo e destra), dall’altro è pe-
rò opportuno considerare le scelte dei due compositori come strade parallele e non
divergenti. Entrambi, per esempio, credono che l’ascoltatore debba essere coin-
volto anche fisicamente dalla musica per essere trasportato in una dimensione che
Jolivet non si trattiene dal chiamare di transe: i mezzi per farlo sono tra gli scopi
della loro ricerca linguistica.36 Ma si possono chiarire meglio queste posizioni fa-
cendole incontrare con il pensiero di Marrou.37

2. MARROU UMANISTA
Henri-Irenée Marrou aveva assorbito pienamente la vague umanista:

Ciò che, in effetti, è importante definire non è tanto ciò che è la musica in se
stessa, quanto il modo di servirsene. […] Musicista, in realtà, io sono prima
un uomo […].38

L’uomo è al centro. Per chiarirlo, Marrou contrappone la sua concezione della


musica a quella che definisce «romantica» e a quella degli anni ’20. La prima è la

35
Sulle politiche culturali di destra e di sinistra negli anni ’20 e sui valori che i due schieramenti
veicolavano artisticamente cfr. FULCHER 2005, cap. 2.
36
I mezzi linguistici potevano essere differenti, come avveniva tra le proposte pratiche dei diversi
gruppi non-conformisti, ma ciò che li univa era la tensione verso la “rivoluzione spirituale”; come
precisava Daniel-Lesur in una nota d’archivio riportata da KAYAS 2005, p. 204: «Notre objet
n’était pas de fonder un groupe esthétique, mais de réunir des compositeurs se réclamant d’une
même éthique». V. infra § 2 per approfondimenti sul “fine etico”.
37
Sulla Jeune France, più che il difficilmente reperibile (e datato) GUT 1984, cfr. SIMEONE 2002.
La poetica e la storia del gruppo è poi trattata ampiamente nelle recente e magistrale monografia
su Jolivet scritta da Lucie Kayas (2005), cui rimando per approfondimenti sul compositore. Ulteri-
ori indicazioni bibliografiche verranno fornite passim.
38
MARROU 1942 (2007), p. 93, corsivo mio.

44
Capitolo 1

«Religione della Musica», «una sacra noia»,39 che ritiene la musica il fine ultimo,
la rivelazione diretta dell’Assoluto (e non un mezzo che aiuti l’uomo a raggiun-
gerlo); quella degli anni ’20, al contrario, «non serve a niente: pura vanità, gioco
inconsistente, […] divertimento»,40 che cerca di «rompere il proprio legame es-
senziale con l’uomo: era l’epoca di una musica ‘oggettiva’».41 Per Marrou, invece
la musica è un «mezzo di ascesa»42 spirituale: ha un fine etico. Questo, come ve-
dremo, è un punto chiave per musicisti umanisti come Jolivet, che ribadiva con
forza il fin éthique della sua musica, il fatto che ciò che conta nella musica è so-
prattutto a che cosa serva e come debba essere fruita:43

Les artistes […] ont senti que le problème n’était pas d’ordre esthétique
mais éthique, […] ont saisi qu’il ne s’agissait pas de voir ou de comprendre
mais de sentir, […] ont redécouvert enfin que l’art est un processus ma-
gique.44

Marrou descrive il rapporto uomo-musica in modo pindarico ma non banale (e si-


gnificativo in relazione al contesto). Innanzitutto, con l’importanza data al mo-
mento della ricezione e della memoria come fondamentali nella creazione
dell’immagine personale che ognuno si fa di un determinato brano, vuole prendere

39
Ivi, p. 94.
40
Ibidem.
41
Ivi, p. 99.
42
Ivi, p. 113: «mostrerò nella musica una seminagione del Silenzio, una tecnica di spoliazione e di
purificazione interiore, e dunque, per l’anima sufficientemente preparata, un mezzo di ascesa».
Questo passo aiuterà forse a spiegarsi come mai la traduzione italiana del Traité anteponga al tito-
lo originale «Il silenzio e la storia» (spiega perlomeno «il silenzio»: la storia, se non per allusione
al mestiere dell’autore, mi sembra piuttosto fuori luogo in un testo che, per il suo impianto teologi-
co, non adotta mai un approccio storiografico – anche le distinzioni tra musica romantica e degli
anni ’20 sono concettuali, e il loro incarnarsi in momenti storici precisi funge, per Marrou, sostan-
zialmente come esemplificazione).
43
Luisa Curinga ne ha trattato il carattere umanista in un’ampia dissertazione dottorale (CURINGA
2007), che prende in considerazione l’intera carriera del compositore – fondatore, nel 1959, di un
«Centre français d’humanisme musical» attivo ad Aix-en-Provence sino al 1963. Curinga, che
propone una tripartizione delle correnti umaniste in spiritualiste, marxiste ed esistenzialiste, non
evidenzia i rapporti tra Jolivet e il pensiero non-conformista, a mio avviso illuminanti.
44
JOLIVET 1937, p. 53, corsivi e sottolineature dell’autore.

45
F. LAZZARO, Danza, incantesimo e preghiera

le distanze da una concezione ‘troppo scritta’ della musica, per privilegiare il


momento performativo – un indirizzo recente della musicologia di cui possiamo
trovare una radice proprio nelle poetiche di tipo umanista e nella loro considera-
zione del fenomeno musicale come equamente distribuito tra compositore, esecu-
tore e pubblico:

Siccome la musica è fatta per l’uomo, è solo l’esistenza di un ascoltatore


(almeno eventuale) che giustifica il creatore e i sacrifici che egli consente al-
la propria vocazione[: … bisogna] strappare l’artista all’ideologia del Crea-
tore.45

In Marrou, il legame musica-uomo non si dà soltanto a livello di fine etico (la mu-
sica dev’essere in funzione dell’ascesi dell’uomo) e di attenzione al momento
dell’ascolto; già la sorgente della musica è nell’uomo: il compositore ha i mezzi
tecnici per «imitare» la musica interiore-ideale-latente che si trova in ciascuno,
l’esecutore imita l’immagine interiore che si è fatta del brano, l’ascoltatore perce-
pisce la musica come imitazione dell’immagine che di quel brano ha nella memo-
ria (se lo conosce già) o della musica interiore che vorrebbe trovare esplicitata (e
che, a differenza del compositore, non ha le capacità di tradurre in musica mate-
riale). La musica è dunque dentro l’uomo a livello latente, e anche in questo senso
l’uomo è al centro della musica (come sua sorgente); il che, si badi, è anche una
dichiarazione di anti-formalismo, poiché la vera forma (organicisticamente) è per
Marrou la configurazione singolare e unitaria di ogni materializzazione dell’idea
archetipica musicale, e non uno schema vuoto, esistente in sé, da applicare: Mar-
rou è contro l’apollineo stravinskijano, il neoclassicismo inteso come purezza
formale data dalla costruzione con regole applicabili alle più svariate idee sono-
re.46

45
MARROU 1942 (2007), p. 145.
46
Cfr. ivi, pp. 152 sgg. La posizione di Marrou apre una serie di questioni non chiarite dall’autore:
nella sua concezione, la musica preesiste all’uomo in un mondo di “idee” o è nell’interiorità di og-
nuno? E comunque, ci sono tante idee e a ognuna corrisponde una sola forma in cui possono in-
carnarsi? Oppure c’è l’Idea di Musica e le diverse forme sono interpretazioni di come la percepisce

46
Capitolo 1

L’uomo, per Marrou, è un essere complesso e vive nel mondo, e ciò ha varie
implicazioni musicali. L’uomo ha una componente spirituale e una emozionale,
che non vanno confuse: l’elemento corporeo, il livello «dionisiaco»
dell’esperienza musicale sensibile, è indispensabile, per Marrou, in contrapposi-
zione a una concezione astratta, numerica, costruttivista dell’oggetto musicale 
«un falso razionalismo, che conduce (e infatti ha condotto Schönberg) a un puri-
tanesimo sonoro essenzialmente anti-musicale»:47

la nostra musica ideale e silenziosa non negherà i valori sonori e dovrà stabi-
lirsi al di là e non al di qua dell’esperienza sensibile. Proprio per questo mo-
tivo […] esigerò dal mio allievo, per cominciare, un’estrema (benché prov-
visoria) sensualità sonora, cosciente e raffinata.48

(Marrou esagera addirittura l’importanza della fisicità sfiorando posizioni da car-


nal musicology:49 l’elogio del clavicembalo, che costringe l’esecutore a regolarne
personalmente l’«accordatura instabile», «e frequentemente, coinvolgendolo in tal
modo in maniera intima e fisica nell’elaborazione del suono»;50 o la critica alla
radio e al giradischi, che non sono musica perché questa «si realizza veramente
solo nel momento in cui io stesso mi metto a suonare, con le mie mani, sullo
strumento, o quando assisto corporalmente all’esibizione del virtuoso o
dell’orchestra»51).
C’è musica, nel Traité, che si ferma al livello fisico della fruizione? Certo, e
con una funzione importante: la musica di consumo permette di non «nutrir[e] la
superstizione della grande musica: in noi c’è posto per la musica leggera, decora-

ogni singolo artista? Oppure ogni musica concreta è una materializzazione parziale dell’Idea e la
Musica Concretizzata è l’eventuale somma di tutte le musiche?
47
Ivi, p. 72. È molto probabilmente contro questo tipo di avanguardia meccanizzata (o perlomeno
così percepita) che si scagliava il manifesto della Jeune France in termini di «stereotipi rivoluzio-
nari».
48
Ivi, p. 71, corsivi miei.
49
L’etichetta è stata recentemente introdotta da LE GUIN 2006.
50
MARROU 1942 (2007), p. 72.
51
Ivi, p. 73.

47
F. LAZZARO, Danza, incantesimo e preghiera

tiva, che mira solo al divertimento».52 Ecco che si conclude il cerchio con il ritor-
no alla citazione in apertura: se nelle cattive giornate è impossibile darsi alla vera
musica spirituale, «la Gigue di Lourié o il preludio alla Kovancina», pazienza. La
musica «leggera» svolge una funzione (quasi) altrettanto importante: la concezio-
ne umanista esposta da Marrou considera le diverse componenti dell’uomo, e per-
tanto la dimensione umana della musica abbraccia più musiche, poiché multifor-
me è l’uomo e varie le sue necessità (dalla spiritualità allo spirito-wit):

il musicista, mousikòs anèr, è, prima di tutto, un uomo, e non una Musa, una
pura Idea: un uomo, un essere carnale, complesso, appesantito  terreno e
terroso, impuro. Perché scandalizzarsi di una musica impura? […] Essa non
ha niente da guadagnare privandosi di tutto ciò che fa presa sull’uomo. […]
Sì, una musica impura, se si vuole, ma impura come l’umano.53

3. LOURIÉ L’ELETTO
Non è più troppo strano, allora, che Marrou vedesse la vera musica pienamente
realizzata in Arthur Lourié – che è sicuramente «one of the most interesting for-
gotten musicians of the twentieth century», secondo la condivisibile opinione di
Richard Taruskin54 – a scapito, per esempio, di un musicista emblema del cattoli-
cesimo di quegli anni come Olivier Messiaen (ma v. oltre in questo paragrafo).
Lourié probabilmente incarnava, agli occhi di Marrou, una sintesi magistrale di
impegno spirituale e coinvolgimento fisico  o perlomeno questo è quanto sugge-

52
Ivi, p. 135.
53
Ivi, p. 143. Il discorso di Marrou, come si è detto, è spesso contraddittorio: se in alcuni passi par-
la di musica leggera come realmente esistente, in altri afferma che in realtà «non esiste musica
leggera [ma] esiste un uso essoterico, superficiale della musica, legittimo per il bene dei corpi» (p.
137). La differenza sarebbe dunque a livello fruitivo. V. infra nel § 3 le considerazioni sulla Gigue
di Lourié. L’invito a dedicarsi alla musica leggera si può mettere in relazione con un passo di Ma-
ritain in cui il filosofo esorta l’artista cristiano a non concentrarsi esclusivamente su soggetti sacri:
«Qu’ils commencent par des natures mortes, qu’ils s’habituent à découvrir un sens religieux dans
les inévitables pommes, compotier, pipe et guitare» (MARITAIN 1927a, p. 216).
54
TARUSKIN 1996, II, p. 1585.

48
Capitolo 1

risce la tanto lodata Gigue: un brano che fonde energia e cantabilità dal sapore sa-
cro (in una scrittura del tutto anti-intuitiva).55
L’energia è il primo elemento che balza all’occhio sfogliando lo spartito (v.
supra la Figura 1): un Presto «secco», «sempre marcato», puntellato di accenti in
posizioni metriche variabili, note che per la loro tessitura gravissima si intuisce
abbiano soprattutto una funzione percussiva. Se si continua a sfogliare la Gigue,
difficilmente ci si accorgerà della sua  celatissima  melodicità. Davanti alla fra-
se dell’esempio qui sotto non è facile cogliere che cosa cela la scrittura (B); ma
l’ascolto è rivelatore: si tratta di una melodia dall’irresistibile sapore popolare, fat-
ta di reiterazioni variate come estemporaneamente (A):

Esempio 5 A. Lourié, Gigue, batt. 37-46: la melodia nascosta.

55
MARROU 1967, p. 167 porta la Gigue come esempio del lato ‘brutale’ («brute power»), «archaic
and Asiatic» di Lourié, che contrappone alla «angelic vein» rappresentata da La flûte à travers le
violon del 1935. Ma attenzione, è una brutalità che colpisce lo spirito, non è fatua esteriorità: la
«ancient youthfulness» di questo «primordial breath of the Russian soul […] appeals to our occi-
dental hearts».

49
F. LAZZARO, Danza, incantesimo e preghiera

Il mascheramento della semplicità dietro una scrittura complessa continua per tut-
to il brano, che si rivela però un’orecchiabilissima combinazione di quattro melo-
die, forse legate a canti popolari russi o della tradizione liturgica ortodossa:

Esempio 6 A. Lourié, Gigue: i tre gruppi melodici.

Ho distinto un gruppo introduttivo, in cui non è ancora presente l’elemento melodi-


co, ma alcuni tratti che verranno sviluppati: la percussività (I1), la terza minore a-
scendente (I2, cfr. B1), il ribattuto di coppie di crome a mani alternate (rib.). Lo
schema generale del brano è il seguente:

Sezione D E J :|| D’
Gruppi INTRO A :|| B A B INTRO con rib. su B
Temi I1+I2 rib. A1-A2 B1 A1-A2 B1-B2-B1 I1+I2 B1-B2-B1 (rib.)

Si noti come i temi siano facilmente distinguibili da subito grazie all’intervallo in-
cipitario, con la significativa eccezione di A1 e B2, la cui somiglianza contribuisce
a creare un’impressione di ritorno circolare (in J dopo B1 sembra si ritorni ad A1 
come avveniva in E  , che si rivela invece B2), che struttura l’intero brano fino al-
la macroforma.

50
Capitolo 1

Come si diceva, la cantabilità dei temi e la semplicità della struttura sono celati sot-
to una scrittura anti-intuitiva: se si osserva la sezione A (v. Esempio 5), si rileva
con fatica il disegno fraseologico a causa dell’omogeneità delle figurazioni ritmi-
che e gestuali (coppie di crome costituite da un’ottava cui segue una nota o un bi-
cordo sul grado superiore), della melodia nelle parti interne, degli urti di seconda,
dei continui cambi di chiave e di registro per sfruttare le risonanze del pianoforte.
Si consideri il primo accordo: i re della mano sinistra hanno una funzione timbrica
e indirettamente armonica, in quanto nel registro in cui vengono suonati (e sff) ge-
nerano un armonico di quinta (la) molto sonoro, che contribuisce a dare un colore
“minore” al do della mano destra. Questo sfruttamento della risonanza sarà un ca-
vallo di battaglia di Migot e Jolivet, in opposizione al pianoforte più ‘chiaro’ ed ‘e-
splicito’ che veniva associato, spesso riduttivamente, ai Sei.56

La dedica del brano a Jaques Maritain57 mi ha fatto sospettare che almeno una del-
le melodie, A1 o B2 in particolare, fosse tratta dal repertorio gregoriano («un
chant étrange et prenant d’une vague couleur liturgique et grégorienne», agli occhi
di Marrou):58 in questo caso la sintesi di fisicità e spiritualità sarebbe stata ancora
più puntuale  ma ciò nulla toglie al grado di spiritualità associato tradizionalmen-
te alla Russia tout court.59 A questo proposito, vale la pena di citare alcune righe

56
HURARD-VILTARD 1987, nel paragrafo «Un instrument percutant: le piano» (con cui apre la se-
zione del suo libro dedicata a «La musique du Groupe»), scrive: «Le piano des Six abandonne
toute recherche de sonorisation […]: il choisissent une écriture très claire, un peu grise, parfois
sèche, toujours nue» (pp. 155-56). Posto che il fine dell’autrice è quello di evidenziare i tratti co-
muni del gruppo piuttosto che gli elementi di divisione, contro una tradizione critica che ne ha sot-
tolineato invece il carattere effimero e artificialmente costruito dall’esterno, le eccezioni a questa
generalizzazione sono facilmente rintracciabili e andrebbe smussata nei suoi «très» e nei suoi «tou-
jours». Ci sarà modo di affrontare questi temi v. infra il § 5.
57
Maritain stesso scrisse un articolo sulla musica di Lourié, nel 1936.
58
MARROU 1935, p. 831. Cfr. anche CONTI 2008: «i riferimenti alla religione e al canto slavo, bi-
zantino e medievale abbondano nella sua produzione successiva [al periodo futurista], con uso del-
la modalità e di un primitivismo stilistico che lo porta ad abbracciare forme e schemi più semplici»
(p. 95-96); inoltre Conti riferisce che «fu […] Kul’bin a far scoprire a Lourié […] la bellezza me-
lodica dei salmi» (p. 97).
59
Una verifica nel Global Chant Database (www.globalchant.org, database consultato nel marzo
2010) ha portato alla concordanza di A1 con l’antifona Deus meus es tu et confitebor, ma ritengo
improbabile che sia una citazione voluta, sebbene nulla vieta che potesse essere un brano caro a
Maritain e conosciuto da Lourié: resta comunque un’ipotesi non verificabile.

51
F. LAZZARO, Danza, incantesimo e preghiera

che François Porcile dedica alla musica di Lourié, nelle quali il musicista viene
paragonato a uno dei compositori più emblematicamente spiritualuisti del secondo
Novecento:

une musique où l’héritage du chant liturgique orthodoxe forme à la rencontre


du courant “retour a Bach” un étrange mascaret dont les effets de suspension
du temps, de glissements répétitifs et lancinants ne sont pas sans annoncer
Arvo Pärt.60

Che cos’ha della giga questa Giga? È una domanda chiave che guiderà le analisi
della Parte II. Per ora la si può accantonare per concludere il discorso sulla defini-
zione marrouiana di umanesimo musicale.
Se, dopo quella di Lourié a Maritain, si continua a percorrere la feconda
strada delle dediche, si giunge a indizi di prima scelta sulla venerazione di Marrou
per Lourié: il Trattato è dedicato proprio «a Arthur Lourié, musicista»; la lunga
epigrafe, che si vuole «tradotta dal provenzale», si apre in modo significativo:
«Quando diciamo Musica, è la tua musica che il cuore intende». Il cattolicissimo
Messiaen, per la verità, è citato da Marrou, ma come esempio di “tentazione ro-
mantica” («Questa eresia, perché è tale, è una delle tentazioni permanenti, sempre
rinascenti»)61 in agguato:

Oggi, come sempre, questo pericolo esiste, e tende a condurre il compositore


a gonfiare la propria opera, ad appesantirla ingenuamente di elementi indige-
sti; non penso soltanto al caso, già, patologico, di un Markevitch, che confi-
na con la follia mistica, familiare agli slavi, ma a quel bravo Migot, a quel
caro ragazzo di Olivier Messiaen, la cui opera, di volta in volta, mi attira e
mi allarma per questo eccesso di volontaria spiritualità.62

60
PORCILE 1999, p. 376.
61
MARROU 1942 (2007), p. 95.
62
Ivi, p. 96. Anche questo argomento riecheggia Maritain: «Il n’y a pas de style réservé à l’art re-
ligieuse, il n’y a pas de technique religieuse» (MARITAIN 1927a, p. 215).

52
Capitolo 1

Bisogna pertanto distinguere, nella concezione di Marrou, tra considerazione reli-


giosa della musica (musica come mezzo di ascesi), musica religiosa (musica pro-
grammaticamente cristiana) e religione della musica (l’«eresia» romantica per cui
la musica, e non l’uomo, è il fine). Marrou ritiene che si debba servirsi della musi-
ca, e non goderne in modo eccessivo (religioso o disimpegnato che sia), fine a se
stesso.
La presa di distanza dai musicisti umanisti suoi contemporanei (da Marke-
vitch a Migot a Messiaen) compare anche in un altro passo:

la crisi della cultura nella quale ci dibattiamo da vent’anni [cioè dalla fine
della Grande Guerra] ci ha fatto vivere in una musica, in un’arte svuotate di
qualunque contenuto spirituale, di qualunque valore umano. [… Ma] non e-
rano i tentativi abbozzati dall’Opera da tre soldi (1929 [rectius 1928]) alla
Jeune France che potevano bastare per reintrodurre l’umano nella nostra ar-
te.63

Kurt Weill e la Jeune France falliscono allo stesso modo, per Marrou. Rimane, na-
turalmente, Lourié:

la musique de Lourié, elle, doit son orientation mystique à l’âme où elle s’est
formée, Lourié est une âme religieuse, sa musique n’a pas besoin de
l’être…64

Marrou lo saluterà per l’ultima volta nell’epitaffio (firmato, ancora una volta, con
lo pseudonimo di Henri Davenson) pubblicato su «Perspectives of New Music»
nel 1967 (Lourié era morto nell’ottobre 1966).65

63
Ivi, p. 148.
64
MARROU 1935, p. 838, corsivo dell’autore.
65
MARROU 1967. Nel 1937, Marrou aveva scritto su «Esprit» un altro lungo articolo dedicato a
Lourié, una sorta di seguito di quello apparso nel 1935.

53
F. LAZZARO, Danza, incantesimo e preghiera

4. NON-CONFORMISMO MUSICALE E AVANGUARDIA


Se il Traité di Marrou rifletteva, almeno in parte, lo spirito anni ’30, bisognerà af-
frontare in mondo più approfondito e problematico quell’umanesimo musicale
con cui ci ha messo in contatto. Lo si farà attraverso le parole dei suoi protagoni-
sti, e in particolare di André Jolivet, attraverso le quali si cercherà di ricostruire la
visione che essi avevano delle caratteristiche e dei fini della loro musica, ferma
restando l’esigenza di problematizzare il valore assegnabile alle parole di questi
compositori.
Le coordinate verso cui orientare il cannocchiale ermeneutico alla volta del-
la produzione musicale francese degli anni ’30,66 ci sono suggerite, più o meno
consapevolmente, da Jolivet in una conferenza tenuta alla Sorbona nel 1937:

Examiner les tendances nouvelles de la musique m’aurait contraint à analy-


ser les moyens d’expression dans les œuvres d’une centaine de compositeurs
contemporains qui apportent leur contribution à une évolution de la mu-
sique.67

Fulcro d’interesse del compositore sono i mezzi d’espressione: il termine è quanto


mai vago, e per ora mi limito a sottolinearlo. Si noti che Jolivet non parla di “co-
struzione”, non di “distruzione”: parla di “espressione”, e riga dopo riga ne irrora
il campo semantico con altri termini chiave, quali «spirituel», «intuition», «éthi-
que», «sentir», «processus magique», «Tradition». Jolivet era convinto di parteci-
pare a una «genèse d’un renouveau musical»: c’era un intento poetico forte e lo si

66
Continuo a parlare, per comodità, di “anni ’30”; ovviamente, come ho già suggerito tra le righe a
proposito dei non-conformisti, il decennio non è un compartimento stagno, e contempla anche
composizioni nate alla fine degli anni ’20 o nei primissimi anni ’40 (anche se poi le mutate condi-
zioni geopolitiche dovute alla guerra imprimeranno un vero e proprio mutamento di epoca anche a
livello culturale). Periodo e problema, secondo l’insegnamento della scuola delle «Annales», natu-
ralmente si influenzano a vicenda: è il problema “ritorno all’espressione, all’umano in musica” che
spinge a cercare soprattutto negli anni ’30, dove il ‘terremoto’ ha il suo epicentro, ma ben consci
che le prime scosse si avvertono prima e quelle di assestamento si esauriscono sulla longue durée.
Sulla contrapposizione anni ’20/’30 v. infra § 5.
67
JOLIVET 1937, p. 53, corsivo mio.

54
Capitolo 1

voleva conseguire agendo sul linguaggio musicale, si parlava del presente e si a-


giva componendo.
La riflessione di quegli anni non è un lavoro ermeneutico-estetico-
retrospettivo volto ad analizzare le opere del passato, e neppure un teorizzare a-
stratto e metafisico (e metastorico) sull’applicabilità e la definizione di alcuni
concetti, come quello di espressione musicale;68 è piuttosto un’esigenza finalizza-
ta alla creazione, e pertanto a tutti gli effetti una poetica, di cui si devono ricercare
gli influssi, le motivazioni, i contenuti, e soprattutto gli esiti compositivi.
L’agire sul presente non è da intendersi nell’accezione che recentemente
Alain Badiou ha incluso nel suo commento retrospettivo sulle avanguardie, che
per il filosofo «concepiscono l’arte solo al presente e vogliono forzare il ricono-
scimento di questo presente»,69 con virulenza iconoclasta nei confronti del passa-
to. Questo desiderio di rottura è assente nei compositori vicini alla Jeune France, i
quali, anzi, provano una sorta di nostalgia per un certo rapporto che si aveva con
la musica nel passato: un rapporto ‘umano’, fondato sull’espressione piuttosto che
sulla costruzione cerebrale. Ma di questo si parlerà; vorrei concludere per ora il
richiamo a Badiou, e cioè sostanzialmente cercare di capire quali tratti leghino il
«renouveau musical» tematizzato da Jolivet e le caratteristiche delle avanguardie
enucleate dal filosofo: la Jeune France, in altri termini, è stata un’avanguardia? In
particolare mi sembra interessante la posizione di Badiou nei confronti dei mani-
festi, elementi che, nel loro essere parte integrante delle opere, contraddistinguono
l’avanguardia, secondo l’assunto che cito per esteso:

Dato che […] le opere sono incerte, quasi svanite prima di nascere, o con-
centrate nel gesto dell’artista più che nel suo risultato (come nelle diverse
forme dell’action painting), bisogna conservarne il proposito nella teoria, nel
commento, nella dichiarazione. […] Ne deriva che proclami e manifesti so-
no, per tutto il secolo, l’attività essenziale delle avanguardie.70

68
Come farà, ad esempio, SUPII 1957.
69
BADIOU 2005, cap. 11, «Avanguardie», pp. 147-163: 150.
70
Ivi, p. 153.

55
F. LAZZARO, Danza, incantesimo e preghiera

Il momento riflessivo sarebbe addirittura più importante di quello operativo, dun-


que, e non solo di supporto;71 e anzi, l’ipotesi di Badiou è che

il Manifesto sia solo una retorica destinata a proteggere qualcosa di diverso


da quanto detto e annunciato. L’attività artistica reale resta sempre ex-
centrica rispetto ai programmi che ne proclamano insolentemente le novità
[…].72

Secondo questa prospettiva, la considerazione delle intenzioni sarebbe parte inte-


grante dell’analisi dei risultati; e in più, sarebbe normale che i risultati non rispec-
chino le intenzioni programmatiche, poiché il manifesto è «una finalità», «una
promessa», o meglio «una retorica che fa da involucro e protezione a ciò che ha
luogo».73 In un contesto avanguardistico nell’accezione di Badiou, pertanto, enun-
ciazioni verbali e atti artistici sono un tutt’uno indivisibile (e in apparenza con-
traddittorio). Ma in che misura è storicamente giustificato considerare l’insieme
degli scritti degli artisti e del periodo che prendo in considerazione come un ‘ma-
nifesto’ del ritorno all’espressione-umanesimo in musica? Queste tendenze for-
mano un’avanguardia ed è quindi giustificato analizzare il rapporto ‘tra il dire e il
fare’ vincolato come avviene per le avanguardie? C’è poi il problema terminolo-
gico dell’uso del termine “avanguardia”, in cui convivono almeno due concetti
non per forza sempre compresenti: da un lato l’idea di innovazione, rottura, an-
tiaccademismo, dall’altro quella di essere in anticipo rispetto ai tempi. I composi-
tori vicini alle posizioni del non-conformismo non desideravano senz’altro essere
avanguardia in quest’ultima accezione: ciò che ricercavano era il coinvolgimento
del loro pubblico e una risposta alle esigenze spirituali del presente, non certo una

71
Tale presa di posizione supera il livello interrogativo che si trovava, ad esempio, in FUBINI 1971:
«questa posizione critica [delle avanguardie] non si pone accanto alla loro produzione musicale,
ma ne costituisce una parte integrante, sino al punto che pare legittimo chiedersi quale delle due
venga prima e sia più rilevante» (p. 117). Fubini si riferiva all’avanguardia postweberniana, in cui
i contributi critici dei compositori vanno a costituire un macromanifesto in modo per certi versi
simile a quanto accade negli anni ’30.
72
BADIOU 2005, p. 154.
73
Ivi, pp. 153 e 155.

56
Capitolo 1

ricerca orientata a una fruizione futura; al contempo, se la loro musica si fondava


sull’abbandono degli accademismi e del linguaggio tradizionale, ciò non significa
che volesse porsi come rottura: è anzi una musica che voleva situarsi in continuità
con il passato, ripescarne e sfruttarne gli elementi più autentici e intramontabili 
è questo il concetto di “rinnovamento”, che verrà approfondito nel prossimo capi-
tolo. Al di là, quindi, di una vis etichettatrice che può lasciare il tempo che trova
(‘questo è avanguardia, questo no’), ciò che interessa è capire in che termini ap-
plicarsi all’analisi delle dichiarazioni di poetica e da queste passare alle loro (e-
ventuali o presunte) traduzioni in termini artistici; insomma, capire se quanto scri-
vono i musicisti sia davvero interessante (nel senso che c’entra con la loro produ-
zione) oppure no – e sia allora il caso di appoggiarsi solo ai testi musicali. In tal
caso, il paradigma con cui guardare alle dichiarazioni di poetica si avvicina sem-
mai a quello che Gianfranco Vinay ha scritto del neoclassicismo:

En absence d’un manifeste commun, on ne saurait parler d’école ou de


groupe, mais seulement de tendance, ou de courant, d’un mouvement, et
c’est une certaine similarité entre différentes poétiques, différentes attitudes
esthétiques et stylistiques qui décide de l’appartenance à telle tendance, à tel
mouvement: appartenance qui ne se définit donc pas par un a priori esthé-
tique, mais par un jugement a posteriori.74

Tuttavia, nel caso dei musicisti intorno alla Jeune France l’a priori estetico (anzi
etico) condiviso sembra essere l’elemento più forte: la ricerca di un legame con i
diversi esiti stilistici è il problema da affrontare più che l’imbocco del sentiero da
percorrere. Si può considerare l’insieme di testi che condividono parole chiave e
concetti assimilabili come una sorta di macromanifesto di un’avanguardia sui ge-
neris (che ha “tradizione” tra i suoi concetti più ribaditi; Badiou comunque, a tal
proposito, rileva che agire nel presente «è molto più importante per le avanguardie
di quanto non lo sia la rottura con il passato, la quale è solo una conseguenza e
non impedisce affatto […] la determinazione nel passato di una genealogia delle

74
VINAY 1997, p. 49.

57
F. LAZZARO, Danza, incantesimo e preghiera

intensità del presente»).75 Pertanto sarà da indagare quale sia la loro «promessa»,
o la loro «retorica» programmatica, e alla luce di questa considerarne le traduzioni
musicali, accettandone la loro possibile incongruenza.
Il solo manifesto vero e proprio del periodo è quello della Jeune France
(che, nonostante ciò, non mi sembra sia mai stata considerata a tutti gli effetti
un’avanguardia). È altresì vero che alcuni scritti sono stati letti come veri e propri
manifesti: è quanto fa, ad esempio, Lucie Kayas con le principali conferenze di
Jolivet e Nigel Simeone con un volantino di Messiaen.76
Pierre Gaucher parla apertamente di «tormenti di un’avanguardia».77 Michel
Duchesneau include nella sua storia dell’avanguardia musicale a Parigi dal 1871
al 1939 i diversi gruppi costituitisi negli anni ’30. Il suo utilizzo del termine avan-
guardia è, però, piuttosto esteso: avanguardista è, in generale, chi prova un senti-
mento di rivolta verso lo status quo;78 la configurazione delle “avanguardie” (in
tale accezione) a Parigi risulta caratterizzata da una particolarità non secondaria: si
tratta sempre di associazioni concertistiche, che non hanno un manifesto ma uno
statuto, che come tale si rivolge assolutamente al presente (“si devono eseguire
opere con le seguenti caratteristiche” oppure “fondiamo questo gruppo per questo
motivo”) e non ha affatto la funzione retorica e di complemento dei testi musicali
dei manifesti in senso proprio. Quella che traccia Duchesneau è pertanto, piutto-
sto, una “storia delle istituzioni concertistiche nate a Parigi per il rinnovamento
della programmazione musicale”: così sono ‘avanguardia’ tanto la Société Natio-
nale de Musique quanto la Jeune France, poiché condividono la spinta da cui sono

75
BADIOU 2005, p. 151.
76
KAYAS 2005 si sofferma soprattutto su JOLIVET 1936a («sa première prise de position esthétique
‘indépendante’», pp. 238-239), JOLIVET 1937a («la synthèse définitive de toutes [ses] lectures
préalables», pp. 243-245), JOLIVET 1939b («l’étape suivante», pp. 260-263); SIMEONE 2002, pp.
10-12 (si tratta del volantino distribuito da Messiaen in occasione della prima esecuzione, il 27
febbraio 1936, de La Nativité du Seigneur, riprodotto anastaticamente in SIMEONE 1998, p. 46; v.
anche infra Capitolo 4, §4.1).
77
GAUCHER 2001.
78
DUCHESNEAU 1997, p. 8: «Les sociétés créées par ces musiciens ‘avant-gardistes’ afin de ré-
pondre à un sentiment immédiat de ‘révolte’ contre l’ordre établi, ont continué à fonctionner, bien
après que leurs fondateurs eurent été exclus de l’‘avant-garde’».

58
Capitolo 1

nate, e cioè, appunto, proporre qualcosa di diverso – di ‘giovane’ – e non per forza
con finalità polemica o rivoluzionaria: come afferma Koechlin a proposito della
Société Musicale Indépendante, «pour nous, il ne s’agit pas ici de révolte: de li-
berté seulement, et d’indépendance».79 Al periodo oggetto del presente studio, e
cioè gli anni ’30  periodo denso di nuove ed effimere società musicali: La Séré-
nade, Triton, La Spirale, La Jeune France  Duchesneau dedica il capitolo Les
nouveaux indépendants.80 Alle ultime due è dedicata una pagina e qualche riga in
tutto, e non viene riportato, come accade per le altre, l’elenco esaustivo dei pro-
grammi dei concerti.81 Come recita lo statuto della Spirale, la società ha il fine di
far eseguire musica contemporanea «significativa»;82 non è quella che normal-
mente si definisce una dichiarazione di poetica, né tantomeno un manifesto.
Sarà Nigel Simeone a dedicare uno studio alle «group identities» della Spi-
rale e della Jeune France.83 I programmi dei concerti delle due associazioni sono
questa volta elencati e commentati, a partire da quelli che Simeone considera i tre
manifesti di questi due gruppi per molti versi collegati (Georges Migot, presidente
della Spirale, era uno dei mentori di Jolivet): il programma del primo concerto
della Spirale nel dicembre 1935, una dichiarazione di Messiaen distribuita alla
prima esecuzione della Nativité du Signeur (chiesa della Trinité, 27 febbraio
1936),84 il manifesto della Jeune France del giugno 1936. Inoltre, fra gli scritti che

79
KOECHLIN 1916, pp. 107-108, corsivo dell’autore.
80
PISTONE 2000 elenca tutte le società che per certi versi avevano a che fare con la musica attive
negli anni ’30.
81
I programmi commentati dei concerti di Spirale e Jeune France sono si possono consultare in
SIMEONE 2002.
82
Il programma della Spirale, pubblicato in occasione del concerto inaugurale del gruppo il 12 di-
cembre 1935, recitava: «Le Comité de La Spirale se propose de coopérer à la diffusion des œuvres
musicales contemporaines per des concerts d’œuvres françaises et par l’organisation de concerts
d’échange avec les compositeurs des autres pays. Il veut servir la musique et pour cela se propose
moins de donner des premières auditions que de faire réentendre des œuvres significatives» (cfr.
DUCHESNAU 1997, p. 142 e SIMEONE 2002, p. 11 e n. 9).
83
SIMEONE 2002.
84
V. supra n. 76. A questo volantino si aggiunge quello distribuito da Messiaen alla prima esecu-
zione delle Offrandes oubliées e dell’Hymne au Saint-Sacrement (F-Pn Musique N.L.a.15, 208;
pubblicato in inglese da SIMEONE 2002, p. 14).

59
F. LAZZARO, Danza, incantesimo e preghiera

sono indirettamente ma a tutti gli effetti tessere di questo puzzle che rappresenta
una sorta di ‘macromanifesto’ dello spirito anti-conformista in musica, Simeone
inserisce anche l’articolo scritto da André Cœuroy in occasione del primo concer-
to della Jeune France, articolo che per il suo carattere partecipato funge da glossa
integrativa al manifesto del gruppo (che peraltro riproduce interamente).85 Sono
documenti che si uniscono alla musica in un connubio di dichiarazioni di poetica e
realizzazioni compositive che si integrano a vicenda: tant’è che viene da chiedersi
se le parole con cui si conclude il commento pubblicato sul «New York Times»
qualche giorno dopo il secondo concerto sinfonico della Jeune France (4 giugno
1937) siano una reazione effettiva del critico alla musica che ha ascoltato, se sa-
rebbero state possibili senza la lettura del manifesto del gruppo, se addirittura sia-
no dovute interamente al manifesto che ha indotto una certa risposta all’ascolto
(una sorta di suggestione):

the four musicians of Jeune France have one characteristic in common: their
instinctive search for a vocabulary which, expressing something more than
cerebral theories and formulas, shall give voice to human nature in its entire-
ty.86

Se il dubbio sorge, è perché in pochi avrebbero sottoscritto di aver provato la stes-


sa impressione e soprattutto è davvero forzato intravedere il medesimo «vocabu-
lary» nella Suite française di Daniel-Lesure e nella Danse incantatoire di Jolivet
(le si analizzerà entrambe nel Capitolo 3). Il recensore del New York Times op-
pone le «cerebral theories and formulas» alla «human nature in its entirety»: ma
che cosa significa in termini musicali? E chi è l’oggetto della polemica, la dodeca-
fonia che stava arrivando da oltre Reno («cerebral theories»?) o il neoclassicismo
combinatorio domestico («formulas»?), o entrambi? Si potrebbe dire che, come in

85
CŒUROY 1936b; v. supra § 1 per il precedente articolo di réclame al gruppo (CŒUROY 1936a;
cfr. SIMEONE 2002, p. 14, che riporta il ringraziamento scritto da Messiaen da parte del gruppo per
il sostegno).
86
Dalla recensione di E.C. Foster (20 giugno 1937) riportata parzialmente da SIMEONE 2002, pp.
20-21.

60
Capitolo 1

politica il non-conformismo cercava una terza via, così faceva anche in musica:
coniugare il progresso linguistico di area germanica con la fruibilità neoclassica,
in ogni caso evitando la rottura estremista di Schönberg e quella iconoclasta che
fu del gruppo dei Sei.87 La risposta non è scontata, e messa in questi termini si ap-
poggia su un discorso molto potente all’epoca ma semplicistico: bisogna tenere
conto che c’era una visione fortemente faziosa del panorama musicale, considera-
to diviso in chapelles (per dirla con Demarquez)88 dall’identità poetico-musicale e
tecnica ben definita e univoca, anche se la realtà era più sfumata, più vicina a un
continuum.

5. PARADIGMI IN UN CONTINUUM: GLI ANNI ’20, GLI ANNI ’30

Ce qui me frappe, c’est que la nouvelle génération se montre incroyablement


sage, si on la compare à celle qui l’a précédée. Plus de casseurs de vitres,
plus de lanceurs de bombes.89

L’opinione di Henry Prunières, direttore della «Revue musicale», non era isolata.
Difficile trovare qualcuno, sia tra i compositori sia tra i critici, che non rilevasse
una forte rottura tra la tendenza iconoclasta “anni ’20” e il ritorno alla serietà, alla
«saggezza», nel decennio successivo, in linea con quanto si è visto in Marrou.
L’articolo di Prunières da cui è tratto il passaggio in apertura faceva parte di
un’indagine sulle tendenze musicali «en tous pays» al volgere del decennio; nel
1937, anno del Front populaire e dell’Exposition universelle, Georges Bernard
propose su «Etudes» un Coup d’œil sur l’année musicale in cui rilevava che i
«jeunes cent pour cent»  cioè non gli ex-giovani degli anni ’20 ,

87
Se Schönberg veniva considerato troppo poco umano (nel senso di poco attento agli effetti fisici
del suono), i Sei e il neoclassicismo frivolo in genere lo erano troppo (nel senso di poco spirituali);
v. infra Capitolo 2, § 1.1 e passim.
88
V. supra n. 33. La necessità di definizione identitaria dei gruppi portò a un caso particolarmente
significativo, quello dell’Ecole de Paris (v. infra Capitolo 2, n. 197).
89
PRUNIÈRES 1931, p. 104. Sull’immagine del vetro rotto v. infra Capitolo 2, § 1.1.

61
F. LAZZARO, Danza, incantesimo e preghiera

tous, ou presque tous, se dirigent résolument vers des conceptions qui


n’empruntent plus rien à l’humour ni à la fumisterie. Il semble même que
leur musique reflète assez uniformément des soucis d’ordre spiritualiste ou
même mystique. L’austérité sera-t-elle le signe d’une époque qui ne connait
guère “le calme bonheur des jours indifférents”?90

Questo addio all’humour e alla «fumisterie» era in realtà ormai datato: lo spirito
iconoclasta associato ai Sei si era esaurito negli stessi appartenenti al gruppo (ora
‘ex-giovani’) già nei primi anni ’20; tuttavia è rilevante che il discorso dei prota-
gonisti di quegli anni tese a calcare l’idea di rottura tra i decenni, probabilmente
sulla scia degli avvenimenti sociopolitici.91 Nel capitolo che segue si analizzerà il
concetto di “rinnovamento”: si vedrà che i suoi propugnatori (da Migot a Jolivet)
insisteranno su questa contrapposizione, ed è rilevante dal punto di vista storico
prendere atto del loro pensiero; tuttavia, credo sia altrettanto rilevante cercare di
delineare una sintetica ricostruzione del quadro storico in questione, per integrare
e spiegare il modo con cui i contemporanei lo leggevano e lo costruivano. Perché
la scelta del presente studio di concentrarsi sugli anni ’30 non vuole perpetuare
acriticamente il mito di contrapposizione tra i decenni, bensì si propone analizzare
come si tradusse in termini musicali quel discorso con cui i compositori si davano
un’immagine ‘seria’ e tramite il quale si legittimavano. Nel mettere a confronto
composizioni coeve di ‘nuovi giovani’ ed ‘ex-giovani’ si scoprirà che in alcuni
casi non differiranno tanto per immaginario e poetica, quanto proprio perché i
primi vorranno rinnovare il loro linguaggio sulla base delle esigenze della ‘nuova
serietà’, invece di applicarvi il linguaggio che fu della «fumisterie». Il risultato è
percepibile nei diversi esiti che l’ispirazione religiosa ha in Poulenc e in Messia-
en,92 o, per anticipare un esempio che verrà analizzato in seguito, nei differenti

90
BERNARD 1937, p. 71.
91
FULCHER 2005 offre una storia (discutibile per WHITTALL 2009) della costruzione politica del
discorso sulla musica nella Francia tra le guerre mondiali; non rileva, però, questo ulteriore ele-
mento, la costruzione ‘politica’ della contrapposizione musicale degli anni ’20 e ’30.
92
La svolta religiosa di Poulenc comportò, in effetti, un cambiamento dei mezzi espressivi utiliz-
zati, ma in direzione conservatrice piuttosto che di ricerca, come è evidente, ad esempio, nelle Li-
tanies à la Vierge noire (1936).

62
Capitolo 1

mezzi espressivi impiegati da Milhaud e da Jolivet alle prese con una danza fune-
bre.93
La realtà, si diceva, era meno manichea della lettura che se ne dava, e si può
descriverla come una serie di ‘paradigmi’ (per parafrasare la terminologia kuhnia-
na) che convivono e si susseguono in un continuum, cioè condividendo alcuni as-
sunti. L’uso del termine “paradigma” vuole suggerire la complessità di piani che
si intrecciano: tecniche, intenti poetici, orizzonti di pensiero e istanze politiche 
così come per Kuhn i paradigmi scientifici sono modelli complessi («che com-
prendono globalmente leggi, teorie, applicazioni e strumenti») che «danno origine
a particolari tradizioni di ricerca scientifica»94 (nel nostro caso danno origine a in-
dirizzi compositivi e a tendenze culturali); anche nell’ambito musicologico, peral-
tro, la trasformazione dei paradigmi (o meglio la loro alternanza) è spesso inter-
pretata come una “rivoluzione” da chi la attua o vi assiste  come le «trasforma-
zioni di paradigmi» in Kuhn «costituiscono rivoluzioni scientifiche».95 In questo
senso, i paradigmi fondamentali della musica francese tra le guerre possono essere
considerati quattro, tutti compresenti, nel discorso o nella pratica effettiva, negli
anni ’30: Gruppo dei Sei, Stravinskij, Jeune France, Front populaire.

Cocteau Stravinskij Maritain


(Lourié)
Six Wiéner Front populaire Jeune France
(Migot)
avanguardia viennese
non-conformismo

93
V. infra Capitolo 3, § 5.
94
KUHN 1970 (1999), p. 30. Nel poscritto alla seconda edizione, Kuhn rispose all’obiezione che
nel suo libro il termine paradigma «viene usato in almeno ventidue modi differenti» (p. 219), e
chiarisce che in effetti i fondamentali sono due: «paradigmi come costellazioni di credenze condi-
vise da un gruppo» e «come esempi condivisi da un gruppo» (titoli dei § 2 e 3 del poscritto). Nella
mia parafrasi del concetto intendo soprattutto porre l’accento sulla natura articolata di assiomi (es-
pressi in forma sia verbale sia musicale) che stanno sotto il nome di un compositore (come Stra-
vinskij) o di un insieme di compositori (come i Sei).
95
Ivi, p. 31.

63
F. LAZZARO, Danza, incantesimo e preghiera

Se il rischio degli schematismi è la semplificazione, nel caso specifico il risultato


può essere invece una visione più completa di fenomeni che rischiano al contrario
la semplificazione se considerati singolarmente. Bisogna, però, innanzitutto tener
conto della diverse componenti che contribuiscono alla determinazione di ogni pa-
radigma. I casi dei Sei e di Stravinskij sono i più complessi: entrambi si presenta-
rono al mondo attraverso un contributo ‘promozionale’ a più mani, non raramente
in contraddizione fra loro.
Parlare del gruppo dei Sei è sempre spinoso, su diversi piani: cronologico
(da quando a quando si possono considerare un gruppo?), identitario (furono rag-
gruppati sotto l’etichetta di gruppo da persone esterne), compositivo (avevano un
progetto stilistico comune?), estetico (che distanza c’è tra le idee di Cocteau e
quelle dei sei compositori, presi singolarmente e come gruppo?). La letteratura si
divide tra chi ha accentuato il carattere contingente dell’etichettatura e preferisce
considerare i sei compositori singolarmente,96 e chi ne ha sottolineato piuttosto le
convergenze, isolando, al di là delle differenze, i tratti comuni che li avrebbero re-
si davvero un gruppo.97 I contemporanei, pur riconoscendo le differenze tra i
componenti, percepivano la forza dirompente (per apprezzarla o per criticarla) del
‘gruppo’: nell’edizione aggiornata della sua Histoire de la musique (1923), Paul
Landormy elenca una serie di tratti della «nouvelle école française», ma specifica
subito che

96
Già DUMESNIL 1930 iniziava così il paragrafo dedicato ai Sei: «Nous apercevons aujourd’hui, et
fort nettement, ce qui distingue la musique de Darius Milhaud de celle d’Honegger, la musique
d’Auric de celle de Poulenc, de Durey ou de Mlle Tailleferre; mais nous ne discernons plus guère
les traits communs aux uns et aux autres de ces compositeurs» (p. 11); poi dedicava paragrafi mo-
nografici a Honegger, Milhaud, Auric, Poulenc, e a chi non era entrato a far parte del gruppo solo
per poco, Roland-Manuel (pp. 14-27; sui ‘Sei mancati’ cfr. FAURE 1997, pp. 115-116 e 124-132).
COLLAER 1963 organizza la trattazione dei Sei in due capitoli distinti: «Erik Satie et les ‘Six’» e
«Les compositeurs issus du groupe des ‘Six’: Darius Milhaud, Arthur Honegger, Georges Auric,
Francis Poulenc» (evidentemente gli unici quattro a meritare una trattazione monografica come
«compositori»; ROY 1994, invece, dopo il capitolo sul gruppo ne dedica uno per ciascuno dei sei).
97
Soprattutto HURARD-VILTARD 1987. Sui progetti collettivi dei Sei sotto l’egida di Cocteau cfr.
HAINE 2006.

64
Capitolo 1

ce ne sont là que des idées générales, et elles on été entendues et appliqués


de façons bien diverses par les jeunes artistes que l’on a pris coutume de dé-
signer sous la dénomination de Groupe des ‘Six’.98

Com’è stato ampiamente evidenziato, in Le coq et l’arlequin (1918) Cocte-


au legittimò (o, secondo Michel Faure, usò) i nuovi giovani inquadrandoli nel na-
zionalismo imperante;99 il motto «Je demande une musique française de France»
comportava le tirate antiwagneriane (nulla di più in linea col pensiero conservato-
re dell’epoca), ma anche contro Debussy («Debussy a joué en français, mais il a
mis la pédale russe») e Stravinskij («[le] mysiticisme théâtral dans le Sacre»);
questo accento sulla natura francese della musica dei giovani sarà marcato con
forza nell’articolo su «Comœdia» in cui Henri Collet li battezzò, non a caso, «les
six français».100 Come ha sintetizzato Jane Fulcher,

Cocteau […] wished to become the aesthetic spokesman for the French lib-
eral Right […]. This was opposed not only to the orthodox classicism of the
traditionalist Right, but equally to ‘universalist classicism’, Dada, and sur-
realism, now associated with the French Left. Les Six, like Satie, were useful

98
LANDORMY 1923, p. 458. I tratti che aveva elencato della «nouvelle école française» erano:
«Elle tourne le dos à tout romantisme et à tout impressionisme. […] Elle prétend au réalisme et à
l’esprit classique. Elle cherche la simplicité et même la nudité. Elle ne craint pas la dureté. […]
Elle use du contrepoint plus que de l’harmonie, et veut inscrire ses œuvres dans des lignes bien
dessinées. Elle risque les superpositions de sons les plus audacieuses, renonçant à toutes les lois de
l’ancienne tonalité. Elle s’inspire de toutes les manifestations de la vie, même parfois des plus vul-
gaires, célèbre volontiers la gaité, la joie, le rire et ne repousse rien tant que les mornes méditations
d’un plaintif pessimisme» (ibidem). Il musicologo aveva dedicato un articolo al gruppo nel 1921
sulla «Revue de Genève».
99
COLLAER 1965 distingue però il nazionalismo «convenzionale» dal «nazionalismo in profondi-
tà» di Cocteau (il cui pensiero identifica con «il movimento dei ‘Sei’»: «Si tratta per l’artista fran-
cese di affrancarsi dalle influenze straniere, di affermare la sua verità. […] Questo è nazionalismo?
La risposta dipende dal significato che si vuole attribuire a questo termine. Abitualmente, esso tra-
duce un insieme di valori convenzionali, politici, economici, interessati… Ma, in questo caso, si
tratta dei valori più preziosi della cultura, del sapere; si tratta delle caratteristiche autentiche e
permanenti della tradizione, di scelte elettive, di sensibilità. È necessario saper distinguere: da una
parte il nazionalismo convenzionale, dall’altra un nazionalismo in profondità, che rappresenta una
presa di coscienza dei caratteri culturali di una comunità, cui segue un’azione intesa a restar fedele
ad essi. In questo senso, sì, il movimento dei ‘Sei’ fu nazionalista» (pp. 80-81).
100
COLLET 1920.

65
F. LAZZARO, Danza, incantesimo e preghiera

tools to illustrate Cocteau’s points, although few of its members would be in


accordance with all his dictums.101

I Sei avevano due manifesti (Cocteau e Collet), nessuno scritto dai membri del
gruppo (alcuni dei quali scrissero però nei quattro numeri della rivista «Le coq»):
fu attraverso la loro lente che il gruppo acquisì un’identità a livello di poetica.
L’esperienza dei Sei si inserisce così in due filoni del continuum che stiamo illu-
strando: tramite Cocteau si accentua l’idea di ‘neoclassico’ e ci sia avvicina alla
nouvelle vague di Stravinskij, per proseguire con la svolta religiosa di entrambi e
la centralità di Jacques Maritain  figura chiave del movimento non-conformista
fino a Jeune France;102 tramite Jean Wiéner e i suoi concerts salade si accentua
invece lo spirito più progressista e (si direbbe oggi) radical-chic dei Sei, con
un’apertura all’avanguardia internazionale  un interesse poi ereditato da Spirale e
Jeune France, anche a livello tecnico-musicale.103
La complessità della posizione di Stravinskij è stata recentemente approfon-
dita da Valérie Dufour, che ha analizzato nel dettaglio il ruolo degli «exégè-
tes/collaborateurs» del compositore nel forgiarne la poetica e a presentarlo al
mondo; come nota la studiosa, è difficile e spesso impossibile determinare quanto
Stravinskij avesse contribuito a formulare ciò che gli veniva attribuito: «le lieu de
l’oralité dans lequel ces échanges […] ont pu prendre place nous échappe».104
Anche in questo caso, quindi, c’è un certo grado di scollatura tra dichiarazioni di
poetica (a più mani) e composizione, che ha influenzato le prese di posizione pro
o contro il compositore. Particolarmente illuminante è il ruolo, poco studiato sino

101
FULCHER 2005, p. 167. FAURE 1997 legge tutta la vicenda Six come un’attenta macchinazione
di Cocteau (un «coup d’état esthétique»), a partire dalla scelta accurata dei componenti (cap. 5).
102
Per la storia culturale del renouveau catholique cfr. SCHLOESSER 2005, che indaga il modo in
cui «after the Great War, Catholicism came to be imagined by certain cultural and intellectual
elites not only as being thoroughly compatible with ‘modernity’, but even more emphatically, as
constituting the truest expression of ‘modernity’» (p. 5). V. infra Capitolo 2, § 1.4.
103
Sulle sfaccettature del paradigma ‘Six’ cfr. HURARD-VILTARD 1987, FULCHER 2005 (pp. 154-
198), MILLER 2003. Sui rapporti parigini con l’avanguardia viennese cfr. MUSSAT 2001 e v. infra
Capitolo 2, § 1.1 e n. 149, e Capitolo 3, § 4.2.
104
DUFOUR 2006, p. 69.

66
Capitolo 1

al contributo di Dufour, di un collaboratore di Stravinskij per noi di un certo inte-


resse: Arthur Lourié. Sarebbe stato lui a diffondere l’idea di «retour à Bach»105 e a
spingere Stravinskij verso la religione  una «référence à un ordre supérieur» che
va di pari passo con la ricerca di un linguaggio musicale che trascenda le epoche
sintetizzandole e che, secondo l’idea di Suvinskij, si iscriva nel «tempo ontologi-
co» spersonalizzato.106
Il legame tra i Sei e il movimento non-conformista si situa a livello persona-
le più che di gruppo: sarà soprattutto Arthur Honegger a seguire quella strada.107
Altri ‘ex-giovani’ (soprattutto Auric e Tailleferre) saranno invece attivi
nell’attività musicale del Front populaire (1936-37), votata a un’ideale di arte per
le masse con intenti dichiaratamente politici. (Nello schema, la linea tratteggiata
tra Front populaire e Jeune France suggerisce il rapporto dialettico tra questi due
fenomeni contemporanei, legati d’altro canto da alcune figure simbolo del passato
 Berlioz  e del presente  Roussel). È da rimarcare che le parole d’ordine per
una musica che fosse ‘di sinistra’ erano le stesse che da almeno vent’anni denota-
vano gli ideali patriottici, sia della cultura ufficiale sia del coq cocteauiano: sem-
plicità, clarté, proporzione; il motivo è che la cultura di destra si era spostata su
posizioni filoromantiche che si appellavano alla soggettività e al wagnerismo, il
che andava di pari passo con l’assimilazione e la condanna a un tempo dello spiri-
to ‘Six’ e della musica del Front populaire.108 L’avanguardia musicale non-
conformista, il cui manifesto principale è quello della Jeune France e le cui realiz-
zazioni più significative sono le opere di Jolivet e Messiaen, condivideva questo

105
LOURIÉ 1925; cfr. DUFOUR 2006, p. 91. Un anno dopo Koechlin intitolò un suo articolo Le re-
tour à Bach (1926).
106
Su Lourié collaboratore di Stravinskij cfr. DUFOUR 2006, cap. 4; su Suvinskij, ivi, cap. 3.
107
Cfr. FULCHER 2005, pp. 265-270. V. anche infra Capitolo 4, § 3.1 e n. 37.
108
«The aesthetic associated with Les Six in the twenties now became almost “official”, however
it was given a political interpretation far different from that which Cocteau had implied» (FULCH-
ER 2005, p. 223). Sul settecentismo di riferimento per la musica del Front populaire cfr. gli scritti
di Charles Koechlin, successore di Roussel nella presidenza della Fédération musicale populaire
(soprattutto KOECHLIN 1936b; cfr. anche FULCHER 2005, pp. 215-219 e passim); sulla svolta misti-
ca e l’affievolimento dell’antigermanismo da parte della cultura di destra (a causa dell’attrazione
per la Germania nazista) cfr. FULCHER 2005, pp. 242-258. Il testo di riferimento sul Front popu-
laire è ORY 1994.

67
F. LAZZARO, Danza, incantesimo e preghiera

rigetto del neoclassicismo in nome di un ritorno all’utilità spirituale (e non pratica,


politica o d’intrattenimento) della musica, ma con l’essenziale differenza che per
loro il ritorno alle origini e allo spirito aveva istanze universaliste e non nazionali-
ste.109
La sinossi qui sotto mette a confronto gli assunti estetico-ideologici fonda-
mentali (alcune citazioni esemplari delle sintesi presentate nello schema vengono
riportate nelle note in fondo al paragrafo) e alcuni principi compositivi basilari dei
quattro paradigmi. I punti principali scelti per il confronto sono:

A) Idee:
1. Rapporto col pubblico
2. Rapporto col passato
3. Fine della musica
4. Obiettivi polemici (rapporto col presente)110
5. Ideali e riferimenti politico-culturali, nazionalismo
6. Rapporto arte-religione-uomo
B) Pratica
1. Indirizzo compositivo
2. Generi, forme e organici
3. Tecniche compositive

109
Sul ritorno alla «source» della musica e sull’idea di tradizione in Jolivet v. infra Capitolo 2, §
1.3-4.
110
Il rapporto col presente (A4), in quanto obiettivo polemico nei confronti degli altri paradigmi,
non è mai isolato: risulta piuttosto come contraltare dialettico.

68
Capitolo 1

Sei Stravinskij Jeune France Front populaire


A
1 accessibilità al pubblico, ascolto attivoii ascolto emotivo, accessibilità al pubblico,
orecchiabilità musique vivante partecipazioneiv
(ascolto con le (ascolto di pancia)iii
orecchie)i
épater les bourgeois, non emozionare: sincerità, spiritualitàvii utilità pubblica della
stupire, divertire: oggettivitàvi musica, modernità,
trucchi, ironiav tecnologia
2, 4 rottura retour à l’ordre retour à la tradition incorporare presente e
Vs modernismo Vs rivoluzionari passato
progressivo e accademiciviii
Vs romanticismo Vs romanticismo pro romanticismo folklore,x
(‘troppo’, eccessivo): (individualista): neo- Vs neoclassicismiix settecentismo
settecentismo,
music-hall
2 pro Bach, Vs Beethoven pro Beethoven pro Berlioz, Gossec e
e Berlioz musica Rivoluzione,
Beethoven
3 musica per tutti fine etico, re-ligare cultura di massa,
i giornixi Vs decorarexii unanimismoxiii
5 musica “francese”xiv eurasismo internazionalismo, promozione
(Suvinskij) universalismo conoscenza
cultura nazionale
no valori certi, no valori della tradizione valori eterni ideali repubblicani
valori borghesi (anche religiosi) (primordiali, religiosi,
esoterici)xv
6 Vs religione dell’arte religione può essere arte = religione riti civili
soggetto dell’opera
6, 4 umanesimo Vs artigianato Vs nuovo umanesimo Vs arte umana Vs
espressione affettiva espressione dell’artista meccanizzazionexvii superomistica
individuale,
titanismo germanicoxvi
B
1 semplicità, purificazione dal ricerca al servizio naïvetéxx
dépouillementxviii sentimentalismoxix dell’espressione
stilizzazionexxi costruttivismoxxii rinnovamento, ricerca ‘popolarizzare’ per
linguaggio espressivo diffondere cultura
universalexxiii altaxxiv
2 organici ridotti, Vs orchestrazione sinfonismo feste, musica vocale,
pianoforte e fiatixxv ‘a effetto’xxvi spettacolarità grandiosa
3 tonalità, politonalità, «asse tonale» e «modulo atonalità, risonanza, tonalità, politonalità,
melodiaxxvii di riempimento»xxviii lirismo melodia

I casi più interessanti da analizzare sono quelli in cui c’è un’inattesa con-
vergenza tra paradigmi o l’uso della stessa parola chiave in accezioni diverse. Il
caso di humanisme è particolarmente importante (A6, 4): Cocteau rivendicava una

69
F. LAZZARO, Danza, incantesimo e preghiera

musica “umana” nel senso di “a misura d’uomo”, fruibile immediatamente, legata


alla vita di tutti i giorni; l’umano della Jeune France si riferisce invece all’uomo
completo di Maritain (Humanisme intégrale), contro la spersonalizzazione e la
meccanizzazione della vita moderna; per Stravinskij il ritorno alla dimensione
umana significa abbandonare la concezione dell’artista-genio per tornare al me-
dievale artista-artigiano (ma anche questa è un’idea di Maritain, a dimostrazione
del fatto che siamo in presenza di un continuum);111 la propaganda del Front po-
pulaire vuole, infine, opporsi a quella nazifascista contrapponendo l’uomo al su-
peruomo valorizzato dai regimi. Queste diverse concezioni del ritorno alla dimen-
sione umana hanno conseguenze a livello dei fini della musica e dei mezzi per
realizzarli (A1, A3, B1-3): l’andare contro gli “anni ’20” (e la loro eredità nel
Front populaire), significa per i giovani spiritualisti (ri)dare spessore a quell’uomo
che i ‘Sei’ consideravano unidimensionale, un corpo (che infatti ascolta con le o-
recchie, A1) da distrarre e da divertire come reazione alla guerra appena conclusa-
si; lo spessore si conquista allargando l’orizzonte di riferimento dalla Francia alle
culture di tutto il mondo e dal locale notturno al tempio (A5), e questo si ottiene
allargando le forme e gli organici (uno degli scopi della Jeune France era rilancia-
re il sinfonismo, B2),112 col fine di provocare un ascolto intégrale, che coinvolga
tutte le dimensioni dell’uomo, compresa quella emotiva  che Stravinskij dichia-
rava di disdegnare, pur scrivendo musica con aspirazioni universaliste (nel suo de-
siderio di sintesi storico-geografica) e, intorno agli anni ’30, anche di ispirazione
religiosa. A questo proposito non sarà inutile ribadire che nel presente studio dei
paradigmi si considerano i Sei in quanto gruppo percepito come tale e definito da-
gli scritti riconosciuti come manifesti del fenomeno (dal 1917 al 1924): ovvia-
mente i singoli componenti deviavano dal paradigma, sia durante, sia soprattutto
dopo l’esperienza di gruppo. E anche in questa fase c’era uno slittamento tra in-
tenti di Cocteau ed effetto percepito: erano rivoluzionari o conservatori (A5)? La
111
Cfr. SCHLOESSER 2005, pp. 158-160.
112
Il rilancio del sinfonismo era una forma di reazione alla semplificazione anni ’20 che andava al
di là della Jeune France. Nel 1931 Serge Koussevitzkij commissionò una sinfonia a Stravinskij,
Hindemith, Prokofiev, Honegger, Roussel; cfr. UVIETTA 2000, p. 135 sgg., JOST 1994, DANUSER
1984, pp. 219-234.

70
Capitolo 1

percezione era di rivoluzione, ma nelle intenzioni di Cocteau era una finta: dare
l’idea di distruggere per essere considerati rivoluzionari neutralizzando i rivolu-
zionari veri. Al di là delle scivolose dichiarazioni estetiche, questo è evidente, per
Michel Faure, nella riaffermazione di elementi compositivi vecchi:

L’esthétique qui se dit nouvelle est une esthétique d’arrière-garde qui joue
son va-tout: retour aux mélodies vigoureusement tonales, aux rythmes affir-
més, aux accords agressivement plaqués, aux instruments de plein air.113

Jane Fulcher non è d’accordo con questa interpretazione, rimarcando che proprio
nelle scelte di riuso deviato di mezzi espressivi tradizionali stia il modernismo
dell’operazione;114 la sua interpretazione è piuttosto che il discorso conservatore
fosse necessario per legittimarsi:

the next generation of French composers […] recognized the necessity of a


patriotic discourse to defend artistic innovations. Their legitimization, aes-
thetically, would be entrusted to Cocteau115

la cui «’new nationalist’ rhetoric» avrebbero tollerato.116 Fulcher riconosce, in-


somma, ai Sei un’estetica propria autonoma (e sostanzialmente satiano-dadaista)
rispetto a quella di Cocteau: probabilmente non fu così (parlare di “loro” come un
gruppo unitario indipendentemente o anzi contro il collante cocteauiano è con-
traddetto dalle dichiarazioni e dalle composizioni degli interessati),117 ma era una

113
FAURE 1997, p. 179.
114
Vede il seme di questo atteggiamento in particolare nell’evento che lanciò il movimento dei
«nouveaux jeunes», Parade (FULCHER 2005, pp. 78-84). Sul montaggio come tecnica modernista
del neoclassicismo cfr. BLOCH 1935 (1992), pp. 183-189; cfr. anche BORIO 2003a, pp. 31-37.
115
FULCHER 2005, p. 84.
116
Ivi, p. 152. Addirittura, Cocteau «substantially misrepresented their cultural substance and
complexity» (p. 157), la loro estetica iconoclasta «palpably intended to shock the conservative
musical culture of their elders» (p. 158).
117
Anche HURARD-VILTARD 1987, pur nel suo tentativo dichiarato di dimostrare che i Sei erano
un gruppo, apre il suo capitolo sulle «grandes lignes» che li univano mettendo in guardia su due
punti: erano individualmente diversissimi ma non si può considerarli senza Cocteau («si le manque
relatif d’unité technique s’explique […] par les formations, les origines, les tempéraments diffé-
rents et le refus de constituer une école, en revanche, le fait de vivre au même moment, dans le

71
F. LAZZARO, Danza, incantesimo e preghiera

percezione molto diffusa tra i contemporanei. In ogni modo, il non-conformismo


si opponeva sia alle rivoluzioni sia al conservatorismo: per gli anni ’30 si cercava
qualcosa di diverso da tutte le componenti che avevano animato gli anni ’20 (neo-
classicismo e iconoclastia, leggerezza e nazionalismo, conservatorismo borghese e
meccanicismo), anche se con alcune di esse (quelle meno eclatanti e più legate ai
singoli, come la religione) c’erano legami forti.

i
«Ecouter avec toute sa peau, c’est la façon des biches craintives; je préfère écouter de toutes mes
oreilles» (COCTEAU 1918 [1984], p. 57); «Toute musique à écouter dans les mains est suspecte»
(ivi, p. 58).
ii
«Nella musica, più che in ogni altro ramo dell’arte, la comprensione è concessa solo a coloro che
vi apportano uno sforzo attivo. La ricezione passiva non basta» (STRAVINSKIJ 1935, p. 147).
iii
«Ce n’est pas dans l’oreille que nous devons l’accrocher, c’est aux tripes» (JOLIVET 1936b, p.
45); «La musique ne doit pas seulement s’entendre. Elle doit se respirer. Elle doit atteindre le sys-
tème sympathique  et agir sur le rythme du cœur, sur l’équilibre des organes internes, sur l’état
musculaire» (JOLIVET 1937a, p. 71).
iv
«Réaliser l’union du public et de l’œuvre, de jeter un pont entre la salle et la scène. De faire
d’une action dramatique réellement une action» (ROLLAND 1972, I, p. 226); «Ce qui manque […],
ce sont des pièces courtes et familières, relativement faciles. […] Des morceaux modernes que
puissent jouer, pour eux-mêmes, les amateurs flutistes, violonistes, clarinettistes. Des duos, des
trios de ces instruments diverse, des fanfares, des chœurs à trois ou à quatre parties […]» (KOE-
CHLIN 1936d, p. 275).
v
«“Ce que le public te reproche, cultive-le, c’est toi”. […] En effet, le public aime à reconnaitre. Il
déteste qu’on le dérange. La surprise le choque» (COCTEAU 1918 [1984], p. 55).
vi
«La gente si ostina a cercare nella musica qualcosa di diverso da ciò che essa è in realtà.
L’importante per costoro consiste nel sapere cosa la musica esprime e cosa l’autore avesse in ani-
mo quando la compose. Non giungono a comprendere che la musica è un fatto a sé, indipendente-
mente da ciò che essa può suggerire loro. In altre parole, la musica li interessa solo in quanto in-
vesta categorie di fenomeni che sono fuori di essa, ma che evocano in loro situazioni familiari. La
maggior parte delle persone ama la musica in quanto intende trovarvi emozioni come la gioia, il
dolore, la tristezza, o un’evocazione della natura, o lo spunto per sognare, o ancora l’oblio della
‘vita prosaica’. Vi cerca una droga, un doping» (STRAVINSKIJ 1935, p. 155).
vii
«Le groupe Jeune France […], recherchant un nouvel humanisme musical et voulant dépasser
un certain formalisme néo-classique, assez à la mode alors, affirme la prééminence du spirituel: il

même lieu, d’avoir des échanges incessants, notamment avec un meneur de jeu comme Cocteau,
de voir les mêmes spectacles, d’être en somme dans le même bain artistique, forme obligatoire-
ment un climat susceptible d’imprégner les personnalités les plus éloignées», p. 207).

72
Capitolo 1

ne peut y avoir de musique valable et d’œuvres durables et humaines, sans contenu émotionnel»
(JOLIVET 1947, p. 205).
viii
«Le retour aux principes sera un retour à la Tradition. Le retour à la tradition rendra la musique
à la vie» (JOLIVET 1937a, p. 54, corsivo dell’autore).
ix
«Implicit in the opposition to neoclassicism (now being appropriated by the government) was an
opposition to the current aesthetic position of the French Left. Moreover, the stress on indepen-
dence from ‘revolutionary’ as well as from academic formulae was similarly a means of distin-
guishing themselves from both the Communists and the traditionalist center and Right» (FULCHER
2002, pp. 461-462). Sulla designazione dei Jeune France come romantici cfr. questa dichiarazione
di Messiaen: «je n’ai pas honte d’être romantique. Les romantiques étaient des artisans magni-
fiques, qu’on a trop souvent considérés comme des cochers de fiacre qui se frappaient la poitrine
en criant: “Je suis le Maudit!”. Les romantiques avaient conscience des beautés de la nature, ils
avaient conscience de la grandeur se la divinité; ils étaient grandioses, et nombreux sont nos con-
temporains qui gagneraient à etre ‘romantiques’. Donc je n’ai pas honte d’être romantique.» (SA-
MUEL 1999, p. 199)
x
«Si l’une de nos principales préoccupations est la culture de notre pays, nous ne devons pas ou-
blier que le folklore est un élément qui a été, hélas, laissé dans les mains d’organisations ou de
personnalités les plus réactionnaires. Il est de notre tâche de reprendre ce folklore, d’y retrouver
toute la saine sève populaire, héritage du passé, de la faire revivre» (lettera non datata del segreta-
rio generale della direzione culturale della Maison de la culture, cit. in MOORE 2006, pp. 372-373).
xi
«Ni la musique dans quoi on nage, ni la musique sur qui on danse: de la musique sur laquelle on
marche» (COCTEAU 1918 [1984], p. 51) ; «Assez de nuages, de vagues, d’aquariums, d’ondines et
de parfums la nuit; il nous faut une musique sur la terre, une musique de tous les jours» (ivi, p. 52,
corsivo dlel’autore).
xii
«Le problème n’était pas d’ordre esthétique mais éthique» (JOLIVET 1937a, p. 53, corsivi
dell’autore) ; «La musique, depuis un siècle, est un art gratuit, sans rapport avec la vie» (JOLIVET
1939b, p. 85)
xiii
Una dichiarazione in linea con questi propositi si trova significativamente in Jolivet: «spectacles
exécutés par des masses et pour des masses  allant jusqu’à l’intégration de la masse-spectateurs
dans la masse-acteurs  dans de grands mouvements lyriques et chorégraphiques collectifs» (JOLI-
VET 1936c, p. 48). Sui rapporti tra Jolivet e il Front populaire cfr. KAYAS 2005, pp. 225-238.
xiv
«Je demande une musique française de France» (COCTEAU 1918 [1984], p. 51).
xv
«Il faut ramener la musique à la source» (JOLIVET 1936b, p. 46); «préciser le point d’évolution
actuelle de l’expression musicale tout en montrant la permanence éternelle de l’émotion musicale
[…]. [R]edonner à la musique ses caractéristiques originelles: sa puissance magique, son sens in-
cantatoire, son rôle social» (JOLIVET 1936d, p. 50)
xvi
«Notre musique doit être construite à mesure d’homme. La musique n’est pas toujours gondole,
coursier, corde raide. Elle est aussi quelque-fois chaise» (COCTEAU 1918 [1984], p. 52); «On ré-
clame du pain musical» (ivi, p. 53).
xvii
«Ces temps verront ‘un renouveau’ dans la conception de l’œuvre d’art dans le sens d’un réta-
blissement des rapports vrais  entre l’Art et l’Humain» (JOLIVET 1936c, p. 48); «Chez nous, le
désir d’un renouveau spirituel est provoqué, en grande partie, par une réaction naturelle contre la
science  je précise: la science appliquée et l’illusoire progrès qu’elle nous apporte, ce soit disant
progrès matériel» (JOLIVET 1937a, p. 65, corsivi dell’autore); «Je crois que c’est l’humain, et

73
F. LAZZARO, Danza, incantesimo e preghiera

l’humain seul, qui doit être le principe générateur de toute œuvre» (JOLIVET 1937b, p. 76, corsivi
dell’autore).
xviii
«La simplicité qui arrive en réaction d’un raffinement relève de ce raffinement» (COCTEAU
1918 [1984], p. 46); «Un poète a toujours trop de mots dans son vocabulaire, un peintre trop de
couleurs sur sa palette, un musicien trop de notes sur son clavier» (ivi, p. 48).
xix
«Si pensi a tutte le sciocchezze sentimentali che vengono così spesso messe in circolazione in-
torno a Chopin, a Beethoven e persino a Bach, e questo addirittura nelle scuole destinate a formare
musicisti di professione. Questi fastidiosi commenti su quel che è accessorio alla musica, non sol-
tanto non ne facilitano la comprensione, ma rappresentano un serio ostacolo a coglierne il contenu-
to e la sostanza» (STRAVINSKIJ 1935, p. 156).
xx
«Et j’aime mieux une jolie musique, naïvement faite, que n’importe quel faux sublime, même
réputé» (KOECHLIN 1936c, p. 273).
xxi
Cfr. che cosa scriveva Apollinaire a proposito dei costumi di Picasso per Parade : «Le motif
n’est plus reproduit, mais seulement représenté […]; si possible, une schématisation intégrale qui
chercherait à concilier les contradictions en renonçant parfois délibérément à rendre l’aspect im-
médiat de l’objet» (APOLLINAIRE 1917 [1987], p. 299).
xxii
«Il fenomeno della musica ci è dato al solo scopo di stabilire un ordine nelle cose, ivi compre-
so, e soprattutto, un ordine fra l’‘uomo’ e il ‘tempo’. Per essere realizzato, esso esige necessaria-
mente e unicamente una costruzione. Fatta la costruzione, raggiunto l’ordine, tutto è detto. Sarebbe
vano cercarvi o aspettarsi altro» (STRAVINSKIJ 1935, p. 59).
xxiii
V. infra Capitolo 2, § 1.
xxiv
«N’opposez jamais technique, ‘science musicale’ à inspiration populaire. Les deux peuvent
marcher de pair» (KOECHLIN 1937b); per le diverse posizioni espresse nel seno della Fédération
musicale populaire, cfr. MOORE 2006, pp. 378-380.
xxv
«On peut espérer bientôt un orchestre sans la caresse des cordes. Un riche orphéon de bois, de
cuivres et de batterie» (COCTEAU 1918 [1984], p. 53).
xxvi
«L’orchestrazione è diventata una sorgente di godimento indipendente dalla musica. Sarebbe
finalmente ora di rimettere le cose a posto. Ne abbiamo abbastanza delle orchestre variopinte e
delle sonorità dense, siamo stanchi di saturarci di timbri, non vogliamo più saperne di tutta questa
sovralimentazione che deforma l’entità dell’elemento strumentale, gonfiandolo oltre misura e tras-
formandolo in una cosa ‘in sé’!» (STRAVINSKIJ 1935, p. 117).
xxvii
«Le retour au dessin entrainera nécessairement un retour à la mélodie» (COCTEAU 1918 [1984],
p. 51). Sui tratti del linguaggio musicale condivisi dai Sei cfr. HURARD-VILTARD 1987, pp. 155-
204 e passim.
xxviii
Cfr. STRAUS 1982 e VINAY 1987, specialmente pp. 213-223.

74
2.
ANALIZZARE I MEZZI ESPRESSIVI
E IL LORO RINNOVARSI

Ces temps verront ‘un renouveau’ dans la conception de l’œuvre d’art dans
le sens d’un rétablissement des rapports vrais  entre l’Art et l’Humain.1

Che cosa significa rinnovare la musica perché torni a essere umana? Su quali
«moyens d’expression» intervenire (e in che modo)? Si potrebbe parlare di pro-
blema del ‘rinnovamento espressivo’: cambiare i materiali e le tecniche composi-
tive senza perdere il coinvolgimento con l’ascoltatore, anzi ricercandolo con mag-
gior vigore, perché la musica possa condurre al fine etico che si prefigge.
In questo capitolo, a carattere estetico e metodologico, si chiarirà la prima
parte del sottotitolo del presente lavoro: «il ‘rinnovamento espressivo’». Si appro-
fondirà innanzitutto il concetto di rinnovamento (§ 1); ci si domanderà poi come
analizzare il ‘rinnovamento espressivo’, appoggiandosi ad alcuni filoni della mu-
sicologia che hanno affrontato il problema dell’espressività come coinvolgimento
e connotazione condivisa di gesti musicali (§ 2); si cercherà poi di delimitare un
corpus con caratteristiche particolarmente adatte a studiare il rinnovamento dei
mezzi espressivi così intesi (§ 3) e si proporrà un’applicazione immediata a un ca-
so di studio (§ 4).

1
JOLIVET 1936c, p. 48.

75
F. LAZZARO, Danza, incantesimo e preghiera

1. QUADRO CONCETTUALE DELL’EPOCA

Attraverso quale tradizione letteraria, e a costo di quali equivoci sul greco e


sul latino, il nostro flauto traverso ha assunto il proprio carattere agreste e
pastorale?2

L’uomo, quell’essere «terreno», «terroso» e «impuro» a cui guardava Henri-


Irénée Marrou, vive nel mondo. La musica per Marrou, si è visto, è «impura come
l’umano»:3 è fatta di mondo, di vissuto (componente intima) e di segni codificati e
riconosciuti dall’uomo nel corso della storia (componente sociale). Non era così
scontato affermarlo all’epoca. René Dumesnil, per esempio, iniziava il suo volu-
minoso La musique contemporaine en France (1930) con un paragrafo il cui titolo
era già di per sé eloquente, «Le retour à la ‘musique pure’»: dopo il lungo predo-
minio della musica teatrale, scrive Dumesnil, finalmente dagli anni ’70
dell’Ottocento torna a prevalere la musica pura, che non ha alcun rapporto col
mondo («avec aucune notion étrangère à son essence propre»), che esclude l’idea
di descrizione programma simbolo, che si regge sull’architettura di materiale pu-
ramente musicale, che è la più libera delle arti, «immatériel» (altro che «impu-
ra»).4
A onor del vero, però, Marrou non era una voce isolata. Nel suo intervento
al II Congrès international d’esthétique et de science de l’art (Parigi, 1937), Henry
Prunières si concentrò proprio sul «symbolisme dans la création musicale». Per il
direttore della «Revue musicale», «il faut se garder de voir dans la musique de
simples combinaisons abstraites de lignes et de volumes»;5 a riprova della sua af-
fermazione (colorata da una lettura piuttosto libera di Bergson),6 redigeva un e-

2
MARROU 1942 (2007), p. 144.
3
V. supra Capitolo 1, § 2.
4
DUMESNIL 1930, I, pp. 5-7.
5
PRUNIÈRES 1937, p. 232.
6
Nel 1932 era uscito Les deux sources de la morale et de la religion. Prunières fa suo uno dei con-
cetti chiave di quest’opera, l’«émotion créatrice», e lo applica alle arti (mentre il discorso bergso-
niano è in ambito morale).

76
Capitolo 2

lenco di due pagine di mezzi espressivi (che egli chiamava simbolici) utilizzati
nella storia della musica dal medioevo a quando scriveva: dal fortissimo che sug-
gerisce «inévitablement» potenza violenza grandiosità, alle analogie tra ritmo e
respirazione sospiri ansie, alle evocazioni dei suoni acuti o gravi, ai madrigalismi
 in sostanza niente di particolarmente nuovo o approfondito, ma segno di un at-
teggiamento verso la musica (anche contemporanea) antiformalista e convinto che
la creazione musicale sia comunque basata su un rapporto di trasmissione emotiva
tra il compositore e l’ascoltatore.
La lettura della storia della musica del primo Novecento si è spesso allineata
alla posizione di cui Dusmenil è il rappresentante francese: tutti i compositori so-
no stati inquadrati come ‘formalisti’, da Ravel a Stravinskij, da Schönberg ai Sei.
Senza cadere nell’esagerazione contraria di considerare tutti alla ricerca
dell’espressione emotiva tramite simbolismi condivisi, è necessario piuttosto di-
stinguere tra i diversi compositori, tra quello che affermavano e quello che face-
vano, tra interpretazioni ideologiche e analisi imparziali. Come auspicava Arnold
Whittall,

More appropriate, and far more difficult, is the attempt to calibrate compos-
ers’ positions on the continuum between the extremes of ‘pure’ modernism
and ‘pure’ classicism, in a complex ballet of advance and retreat.7

Nella seconda parte di questo capitolo (§ 2) affronterò alcuni studi che hanno svi-
luppato strategie di analisi dei mezzi espressivi, al di là delle poetiche dei diversi
compositori. In questo paragrafo, invece, sarà opportuno continuare a cercare tra
gli scritti di musicisti e musicologi dell’epoca che cosa pensassero a proposito dei
rapporti espressivi tra compositore e pubblico.

1.1. MIGOT NON-CONFORMISTA


Il primo compositore interpellato è Georges Migot, che per la sua veste di fonda-
tore della Spirale e ‘ispiratore’ di Jolivet può essere considerato il padre del pen-

7
WHITTALL 2003, p. 187.

77
F. LAZZARO, Danza, incantesimo e preghiera

siero musicale spiritualista che la Jeune France incarnerà e che, come si è detto e
si vedrà direttamente, si situa nell’alveo di quella svolta non-conformista che co-
stituisce uno dei pilastri dello spirito degli anni ’30 (l’altro essendo, più tardi, il
Front Populaire).
Gli scritti di Migot sono stati raccolti, già negli anni ’30, in quattro volumi:

1932 I: Lexique de quelques termes utilisés en musique avec des commentaires


pouvant servir à la compréhension de cet art, suivi de Compléments, Ad-
jonctions, Déductions
II: Matériaux et mentions
III: Écrits sur des sujets divers
1937 IV: Essais commentés et complétés en vue d’une esthétique générale

Sono raccolte di testi brevi, spesso molto semplici, costruiti con frasi tendenti
all’aforisma, che da un lato non usano mezzi termini, dall’altro si prestano a esse-
re accolte come slogan. Il Lexique è un vero e proprio dizionarietto musicale (in
senso lato: si trova tanto «broderie» quanto «émotion»), più soggettivo che tecni-
co, molto utile come glossario di alcuni termini chiave che si trovano in altri testi
dell’autore (es. «lyrisme» o «émotion»).
Il primo degli scritti vari (volume III) introduce dall’ingresso principale nel
pensiero di Migot, e il suo titolo si presta bene allo scopo: La porte magique.8
Nelle sue quattro pagine riassume, infatti, molti nodi che si ritrovano in numerose
pagine del compositore: la presa di distanza dai formalisti e dall’elogio della velo-
cità, cui contrappone l’essenziale scambio emotivo tra creatore e fruitore, fondato
sul concetto di «eurythmie» e possibile attraverso il «lyrisme». Questo è l’incipit
del brano:

Toute œuvre d’art, pour sa compréhension, comme pour sa survie, doit pos-
séder dans son architecture cette ‘porte magique’ par où pénétrer l’émotion
humaine […].
Depuis quelques années et dans certains milieux seulement, la suppression
de cette porte a été jugée de bon goût.9

8
MIGOT 1932-1937, III (1932), pp. 11-14.
9
Ivi, p. 11.

78
Capitolo 2

Non è difficile rintracciare come destinatarie del riferimento polemico di Migot le


tendenze neoclassiche (considerate formaliste e sterili) degli anni ’20, e forse an-
che l’atonalità (poi dodecafonia) schönberghiana. Migot non è uno scrittore feli-
cissimo:10 nella sua prosa poco sicura vuole importare un certo tono da polemista
che però non riesce a mantenere, e da cui trapela piuttosto una certa insofferenza
che sbocca talvolta in sterile lamentela accompagnata, dispiace constatarlo, da fra-
si da diario di educanda, del tipo:

Au milieu des variations perpétuelles des techniques et des esthétiques,


quelle plus certaine ‘perdurabilité’ de compréhension que celle du cœur, mo-
teur à la fois éternel et sans cesse renouvelé de l’émotion.

Quanto alla lamentela, se sembra capricciosa nei toni, è facilmente comprensibile:


il complotto, di cui Migot si sente vittima, di quelle che potremmo attualizzare
come ‘lobbies radical-chic’ (che indossano la divisa «imposée par un snobisme
ou une chapelle»)11 non era del tutto immaginario, se si considera che egli inten-
deva proporsi, in quanto artista, come un’alternativa alle ‘mode’ dell’epoca, dal
jazz ai neoclassici. Migot era, il linea con i non-conformisti, una minoranza che
voleva proporre una svolta in senso espressivo, usando un vocabolario tra il ro-
mantico e l’esoterico:

une œuvre d’art est plus qu’un ‘magnifiement’ de l’intelligence créatrice,


c’est aussi un temple où se magnifie l’émotion humaine. Comment pénétrer
dans ce temple autrement que par la porte magique?12

10
Talvolta giova, riportandone dei passi, sfoltirli come ho fatto sopra, e illustro qui il perché una
volta per tutte: la frase continuava con il confuso «pour circuler à travers les différentes parties de
ce monument, qu’il soit verbal, sonore, plastique», dove non è immediato riferire «ce monument»
all’«œuvre d’art», tanto più che c’è stato un cambio di soggetto piuttosto implicito («pour circu-
ler» è riferito all’«émotion»), e che il soggetto ricambierà («qu’il soit verbal» è riferito al «monu-
ment»).
11
Ivi, p. 13. La frecciata alla lobby continua: «Après avoir reçu l’ordre de laisser toute espérance
afin de ne jamais être émus, ces pensionnaires s’entendent déclarer posséder ainsi l’intelligence
exacte de la ‘musique pure’!».
12
Ibidem.

79
F. LAZZARO, Danza, incantesimo e preghiera

L’opera d’arte, secondo Migot, non è solo scienza combinatoria e costruzione in-
tellettuale, ma luogo spirituale ed emotivo. La ‘porta magica’ è il canale di acces-
so dei mezzi formali alla risposta emotiva e viceversa, in un rapporto di scambio
espressivo tra compositore e fruitore indispensabile al godimento dell’opera:

Sans elle, on demeure étranger au culte qui s’y ‘compose’, n’accordant


qu’une admiration passagère à son architecture impénétrable et demeurant
par cela même incapable d’atteindre à cette réciproque intégration de
l’œuvre et du spectateur-auditeur, essentielle pourtant à la vie de celui-ci
comme à la survie de celle-ci. Car la survie n’est accordée à une œuvre d’art
qu’en proportion de l’exacte réciprocité de sa valeur formelle et de la valeur
de l’émotion qui l’a suscitée.13

Si ricorderà come in Marrou si era sottolineata l’importanza attribuita allo scam-


bio compositore-fruitore, con un riferimento a Jolivet; il passaggio appena citato
di Migot aggiunge un ulteriore, importante, precedente.
Per non cadere nell’eccesso di considerare troppi passaggi degli scritti di
Migot alla stregua del già richiamato diario da educanda, conviene cercare di ap-
profondire che cosa intendesse il compositore con «émotion». Nel Lexique, ad vo-
cem, si legge:

Mot souvent employé pour exprimer le mouvement intérieur déterminé par


l’audition d’une œuvre […].
L’émotion peut être aussi bien d’ordre psychologique qu’intellectuel.14

L’emozione è una reazione dell’ascoltatore, non per forza irrazionale, ‘di pancia’,
come immagini quali la «porte magique» sembravano suggerire, ma anche intel-
lettuale:

Émotion procurée par les timbres instrumentaux […], émotion née des
rythmes, émotion procurée par le mode ou le ton, émotion suscitée par

13
Ivi, pp. 13-14.
14
MIGOT 1932-1937, I (1932), p. 59.

80
Capitolo 2

l’harmonie, émotion de la ligne, émotion architecturale, et même émotion


extra-musicale par association d’idées.15

Se le reazioni emotive a timbri, ritmi, modalità, melodia e armonia possono essere


anche immediate, “psicologiche” per usare il termine poco preciso di Migot,
l’emozione «architecturale», per quanto riguarda la musica, non può che essere un
tipo di emozione specialistica, e dunque “intellettuale”: solo chi ha consapevolez-
za dei mezzi compositivi può apprezzare, anche a livello emotivo, l’architettura di
un brano; se un rullo di timpani o uno sfrenato ritmo di valzer smuovono soprat-
tutto (o perlomeno in prima istanza) il livello corporeo, animale (ecco perché
“psicologico” è termine infelice) dell’ascoltatore, l’architettura di una fuga o le
proporzioni tra le parti di un movimento sinfonico hanno a che fare con un ascolto
che innanzitutto non può essere distratto: si allontana dunque dal lettore di Migot
il dubbio se accusare di elogio dell’abbandono sensazionalistico la sua difesa del
primato emotivo dell’ascolto. Come si vedrà, i compositori desiderosi di rinnovare
il linguaggio musicale senza perdere il rapporto con il pubblico giocheranno pro-
prio sull’attento dosaggio della componente più immediata e di quella più intellet-
tuale della reazione emotiva all’ascolto.
Come affronta Migot la questione del rinnovamento? In una conferenza te-
nuta nel 1929, poi pubblicata con il titolo Quelques mots à propos de mélodies et
pièces de piano,16 il compositore suggerisce una distinzione illuminante (anche in
senso metaforico, come si vedrà tra poco) tra opera rivoluzionaria e opera nuova.
Il punto di partenza è la solita polemica contro i neoclassici degli anni ’20 («en re-
tournant toujours vers quelque chose, intentionnellment déformée pour paraître
neuve»).17 Costoro sono rivoluzionari, nel senso che vanno contro qualcosa, spac-
cano tutto e destano scalpore, secondo quella che Migot presenta come immagine
esplicativa della rivoluzione artistica:

15
Ibidem.
16
MIGOT 1932-1937, III (1937), pp. 25-33.
17
Ivi, p. 26.

81
F. LAZZARO, Danza, incantesimo e preghiera

Briser les vitres d’une fenêtre existante, et dans le cadre même de cette fe-
nêtre monter une verrière nouvelle avec ces morceaux de vitres, assemblés et
sertis par du plomb.18

Il rivoluzionario spacca la finestra ma ne tiene la cornice; cosa fondamentale, riu-


tilizza gli stessi frammenti di vetro, che riassembla (e qui verrebbe da precisare:
non con la cura positiva di un archeologo che raccoglie e cataloga cocci per tenta-
re la ricostruzione di un vaso, ma con intento spregiativo o più semplicemente se-
guendo il proprio estro). La vetrata è ora riassemblata (“rimontata”, direbbe Ernst
Bloch):19 che impressioni suscita?

Les journaux crient à la révolution, tout le monde s’agite et veut voir.


On trouve cela charmant et inattendu, et l’on s’y accoutume d’autant plus fa-
cilement que l’éclairage de la pièce n’en a pas été changé dans sa direction.20

Il pubblico s’incuriosisce, stupisce, ammira, apprezza. In fin dei conti non fa fati-
ca ad abituarsi: la finestra è sempre lì dov’era, la luce vi penetra esattamente come
prima, e non c’è neanche bisogno di spostare la poltrona per continuare a leggere
(«la fenêtre ‘révolutionnée’ n’oblige pas celui qui lit à changer de place pour voir
clair»). Cosa ben diversa è ricavare dal muro una nuova finestra:

faire œuvre nouvelle, c’est être capable d’étudier la résistance des murs du
palais sonore, afin d’y percer une nouvelle fenêtre, sans détruire l’ancienne,
et d’amener ainsi la lumière dans un endroit nouveau.21

La rivoluzione implica distruzione e montaggio facilmente accettabile. La novità


implica costruzione accanto all’esistente, e per costruire è necessario pensare
(studiare la statica dei muri); il risultato è che la nuova finestra illumina uno spa-

18
Ibidem.
19
V. supra Capitolo 1, n. 114.
20
MIGOT 1932-1937, III (1937), p. 26.
21
Ivi, p. 27.

82
Capitolo 2

zio che prima era buio. Il lettore che dopo la rivoluzione se ne stava tranquillo sul-
la sua poltrona perché nulla era cambiato nell’illuminazione della stanza, non può
essere insensibile alla novità della seconda finestra: «la fenêtre nouvelle vient
troubler sa vue habituelle».22 Cercherà comunque di far finta di nulla:

Pendant un certain temps, il la fermera d’un volet, niera son existence, et


puis, peu à peu, comprendra que cet apport neuf de lumière peut lui être pro-
fitable.23

Proprio perché può cambiare le sue abitudini, il pubblico non ha immediata sim-
patia per la nuova finestra: sa che c’è, ma piuttosto che goderne i vantaggi preferi-
sce nascondere con una tenda la nuova luce che essa fa filtrare. Solo pian piano,
senza che sia la finestra a imporsi, inizia ad abituarsi alla sua presenza (che co-
munque incuriosisce e tenta) e ad apprezzarla:

les œuvres nouvelles […] apparaissent sans bruit, exercent lentement leur ac-
tion et peu à peu, avec les années on s’aperçoit que la vie et la sensibilité
obéissent à leurs persuasives injonctions.24

È da rimarcare l’utilità della nuova finestra rispetto all’inutilità di quella rivolu-


zionata: come si ricorderà, i non-conformisti auspicavano proprio un allontana-
mento dal disimpegno fine a se stesso, che fosse ludico o autoreferenziale. Nel co-
struire una nuova finestra che illumina una porzione di stanza che prima era buia,
l’artista pensa anche al giovamento per l’abitante-lettore, il quale «peu à peu» ca-
pisce che quell’ulteriore luce può essergli «profitable» (e non è semplicemente
«charmant et inattendu»).25

22
Ibidem.
23
Ibidem.
24
Ibidem.
25
Sullo «charme» come categoria vicina a Jolivet (ma in un senso più magico che ‘delizioso’), cfr.
infra Capitolo 3, § 3.1.

83
F. LAZZARO, Danza, incantesimo e preghiera

Quello che Migot non ci dice è quali siano i calcoli da fare per studiare la
resistenza del «palais sonore», quale forma la finestra debba avere per poter essere
costruita senza danni: è quanto si cercherà di analizzare nella Parte II. È chiaro pe-
rò che per il compositore la nuova finestra non può far crollare il palazzo,
dev’essere studiata («L’œuvre nouvelle semble devoir nécessiter à la fois plus de
science et d’intuition»).26 Senza dichiararsi esplicitamente, entra qui in scena la
tradizione, elemento imprescindibile per capire il rinnovamento degli anni ’30, da
intendersi allora più come mediazione fra tradizione e modernità che come avan-
guardia, perché non vuole né distruggere, né costruire ex novo, né anticipare i
tempi, ma inserirsi, affiancarsi, e dare nuova luce alla stanza  è il “nuovo ordine”
non-conformista, umanisticamente fondato su elementi eterni (con le diverse in-
terpretazioni cui si è accennato) contro il ‘disordine’ iconoclasta anni ’20.27 In
termini pratici, a proposito delle mélodies, Migot non vuole accontentarsi
«d’harmoniser du folklore avec modernisme», di rivestire «de façons neuves et
inattendues» certe «coupes symétriques et régulières, créées à certaines époques»
(anche se, vedremo, un procedimento simile è uno dei mezzi più efficaci per rin-
novare senza distruggere il «palais sonore»), non vuole accettare che le nuove mé-
lodies debbano esprimersi solamente «avec humour et par des contrastes cocasses
entre le texte et la musique»: tutti questi mezzi possono esistere, ma non senza
quel «lyrisme» che egli considera essenziale; un «lyrisme», si noti, «libéré des
lyrismes précédents, mais continuant ceux-ci», nuovo ma fondato sulla tradizio-
ne.28
Sulla scorta di un articolo più tardo di Frank Martin, al bersaglio di Migot (i
‘neoclassici’) si può aggiungere Schönberg. Anch’egli è definito un «révolution-
naire et, par conséquent, […] destructive», che a ciò che ha distrutto sostituisce un
sistema del tutto nuovo, «tout intellectuel et arbitraire»: «géniale», senz’altro, ma

26
MIGOT 1932-1937, III (1937), p. 27.
27
WHITTAL 2003, il cui sottotitolo è significativamente Tradition and Innovation, attribuisce alla
musica di Janáek una «tension between community and independence» (p. 43) che è molto vicina
(ma con mezzi realizzativi diversi) al pensiero dei compositori oggetto della nostra indagine.
28
Le citazioni inserite in questo capoverso si trovano in MIGOT 1932-1937, III (1937), pp. 28-29.

84
Capitolo 2

che nega tutto ciò che l’ha preceduto, e pertanto richiede di adattarsi integralmen-
te ai suoi dogmi; Frank Martin ribadisce il concetto che abbiamo appena incontra-
to in Migot:

Comme toutes les révolutions, elle croit aussi que l’avenir est à elle, ne com-
prenant pas que, par son essence, en elle même, elle est éphémère, et que son
apport positif ne peut être fécond que s’il s’intègre dans les valeurs perma-
nentes de la musique. Car il n’est, en art, de valeurs réelles que celles qui
unissent l’immédiat et le permanent.29

L’immagine della spirale, figura che dà il nome all’associazione fondata da


Migot, è esemplare: come ebbe a spiegare Jolivet, simboleggia il progresso conti-
nuo ma sempre ancorato al suo punto d’origine: «Elle symbolise le progrès [ma
potremmo meglio dire il «renouveau»] parce que, bien rattachée constamment à
son centre d’origine, elle ne cesse de se tracer une voie toujours nouvelle».30

1.2. DIGRESSIONE: FINESTRE RINNOVATE


A proposito di finestre, propongo una digressione nella letteratura americana qua-
si coeva, utile per focalizzare meglio le sfumature del concetto di rinnovamento.
C’è un passo di Cannery Row [Vicolo Cannery], 1945, di John Steinbeck, in
cui si descrive la nuova abitazione dei coniugi Malloy:31 una vecchia caldaia in un
terreno abbandonato, che pareva «una locomotiva senza ruote», con «una gran
porta e uno sportello per il combustibile»:

29
MARTIN [1949], p. 69. I passi citati sono sottolineati da Jolivet nella copia del volume che gli
apparteneva; in particolare il concetto di unione dell’immediato e del permanente è evidenziato
con forza (come si vedrà nei § 1.3-4 è alla base della sua idea di renouveau negli scritti degli anni
’30, ed evidentemente il compositore ha ritrovato un decennio più tardi il suo pensiero in quello di
Martin). Sul rapporto tra Jolivet e Schönberg v. infra n. 149. I libri posseduti da Jolivet cui si farà
riferimento sono conservati a Parigi presso la Médiathèque Gustav Mahler.
30
JOLIVETGOLÉA 1960, p. 290, n. 711. Sulla Spirale cfr. DUCHESNEAU 1997, pp. 142-143, e SI-
MEONE 2002. Sul termine «progrès» v. infra § 1.4.
31
STEINBECK 1945 (1947), cap. 8, pp. 51-53.

85
F. LAZZARO, Danza, incantesimo e preghiera

Oramai le tubature se n’erano tutte andate, ed ebbero un appartamento spa-


zioso, asciutto e sicuro. Sì, se entravate dallo sportello del combustibile, do-
vevate camminare sulle mani e sulle ginocchia, ma una volta dentro c’era
modo di stare in piedi, nel mezzo, e non si sarebbe potuto desiderare un luo-
go più asciutto e più caldo. Passarono un materasso attraverso lo sportello
del combustibile e si stabilirono lì dentro. Mr. Malloy vi si sentì felice e sod-
disfatto, e anche Mrs. Malloy lo fu, per un certo tempo.

Non sappiamo dove abitassero prima i coniugi Malloy, probabilmente per strada
(si veda l’insistenza sul fatto che il nuovo appartamento era «asciutto», «sicuro» e
«caldo»). Si può azzardare che parte della felicità e soddisfazione dei Malloy de-
rivasse, oltre che dai benefici materiali di una simile abitazione, dal gusto per il
gioco insito nel mutare destinazione d’uso a un oggetto. Gusto per il gioco che
senza dubbio è ciò che conquista il lettore in questa scena; lettore peraltro avvezzo
alle esperienze artistiche del ready made, cui forse l’ironico realismo stralunato
dei poveracci di Steinbeck ammicca: una caldaia resa abitazione e un gabinetto re-
so opera d’arte rispondono allo stesso principio. Al di là di ciò, ecco come prose-
gue la vicenda: a Mr. Malloy venne l’idea di affittare come dormitori le tubature
abbandonate sparse qua e là nei paraggi della sua caldaia, il che gli procurava «un
piccolo guadagno, ed era felice».

Mrs. Malloy si mostrò soddisfatta fino a quando suo marito diventò padrone
di casa, e proprio allora cominciò a cambiare. Prima un tappeto, poi un ma-
stello per lavare, poi una lampada col paralume di seta colorata.

Negli acquisti di Mrs. Malloy si coglie una spinta che si potrebbe definire addo-
mesticatrice. Nella sua esigenza di rinnovamento dell’ambiente conta più la con-
dizione di partenza che i mezzi per cambiarla; la signora percepisce come vecchio,
o perlomeno non più totalmente funzionale o pienamente bello, lo spazio in cui
vive e ha bisogno di un cambiamento, di vivere in un ambiente in cui ci siano de-
gli elementi nuovi, diversi, rispetto a prima, il che non significa per forza ‘innova-
tivi’; sono nuovi in relazione all’abitudine: abituata a vedere la caldaia con il solo
materasso, quando entrerà nella stanza e il colpo d’occhio muterà completamente

86
Capitolo 2

a causa del tappeto e del paralume di seta colorata (che probabilmente era quanto
di meno innovativo dal punto di vista tecnico e artistico), l’impressione di novità
sarà eclatante. Il suo desiderio di rinnovare va di pari passo con quello di persona-
lizzare: al posto del vuoto impersonale (o, in altri casi, del gusto ritenuto supera-
to), interviene per addomesticare l’ambiente, renderlo nuovo rispetto a come lo ha
trovato (era altro) e avvicinarlo al bello-per-sé. Nel tipo di rinnovamento-
addomesticamento messo in pratica da Mrs. Malloy è dunque in gioco una doppia
dimensione: una estetica, legata al bisogno di rinnovare la freschezza delle aspet-
tative percettive, un’altra ‘addomesticatrice’, legata al bisogno di personalizzare,
rendere proprio. La prima è il trait d’union con il “nuovo” di Migot: getta nuova
luce, fa vedere altro rispetto all’abitudine; la dimensione ‘addomesticatrice’ è as-
sente dal discorso del compositore, perlomeno esplicitamente.
La scena continua e diviene irresistibile:

E infine, un giorno, entrò nella caldaia camminando con le mani e le ginoc-


chia, poi si alzò e disse, un po’ ansante: «C’è una liquidazione di tendine da
Holman. Tendine di vero merletto orlate d’azzurro e di rosa; un dollaro e 98
cents il paio, e danno gratis le bacchette».
Mr. Malloy s’alzò sul materasso. «Tendine?» domandò. «In nome di Dio,
che cosa vuoi fartene delle tendine?»
«Mi piacciono le cose ammodo», disse Mrs. Malloy. «Mi è sempre piaciuto
che tu avessi la casa in ordine», e il labbro inferiore cominciò a tremarle.
«Ma cara», esclamò Sam Malloy, «non ho niente da dire contro le tendine.
Mi piacciono le tendine».
«Soltanto un dollaro e 98 cents», fece Mrs. Malloy con voce tremula, «e tu
mi rifiuti un dollaro e 98 cents», e tirò su col naso e il seno le tremava.
«Non ti rifiuto niente», disse Mr. Malloy. «Ma, cara, Cristo ci protegga, che
cosa ne faremo delle tendine? Non abbiamo finestre».
Mrs. Malloy pianse e pianse ancora e Sam la tenne tra le braccia e la conso-
lò.
«Gli uomini non sanno capire i sentimenti d’una donna», singhiozzò. «Gli
uomini non cercano mai di mettersi al posto di una donna».
E Sam si stese accanto a lei e le carezzò la schiena a lungo, prima che pren-
desse sonno.

87
F. LAZZARO, Danza, incantesimo e preghiera

L’esigenza di personalizzazione dell’ambiente raggiunge il parossismo: il sempli-


ce materasso (un appoggio morbido su cui dormire) era l’unica cosa necessaria
per vivere, tant’è che anche nelle tubature affittate da Mr. Malloy «con un pezzo
di carta catramata da una parte e un rettangolo di tappeto dall’altra, si ottenevano
della comode camere da letto». L’aggiunta, via via, di tappeto, mastello, lampada
(«con paralume di seta colorata»!) rinnova e rende proprio; le tendine, in un am-
biente senza finestre, oltrepassano anche il limite della funzionalità: sono forse
una metafora dell’arte. Belle («di vero merletto orlate d’azzurro e di rosa»), inno-
cue (costano solo «un dollaro e 98 cents il paio, e danno gratis le bacchette»), ap-
pagano l’esigenza espressiva di Mrs. Malloy: il suo addomesticamento
dell’ambiente non si limita a esercitare una funzione di appropriazione, a ‘marcare
il territorio’, ma vi aggiunge l’espressione di sé («i sentimenti d’una donna»).
Questa dimensione poetica, che si associa a quella addomesticatrice, sembra piut-
tosto lontana dal pensiero di Migot: per il compositore il nuovo è comunque indi-
rizzato all’ascoltatore ed è utile, non è un mero slancio dell’artista e non deve
sembrare incomprensibile (come le tendine senza finestra).
Se in Migot e in Mrs. Malloy agisce una spinta al rinnovamento, molto simi-
le a livello estetico (nel senso etimologico di percettivo: la luce che filtra dalla
nuova finestra e gli accessori introdotti nella caldaia modificano il colpo d’occhio
sull’ambiente), diversi sono gli scopi del rinnovamento stesso: quasi educativo
l’uno (fondato sullo studio), quasi capriccioso l’altro (basato sulla spinta emotiva
viscerale). In questa presa di distanza dall’espressione intima e soggettiva si può
ravvisare una presa di distanza del non-conformismo dal romanticismo o
dall’espressionismo tedesco: il riuso di stilemi tradizionali avrà piuttosto lo scopo
di integrare il nuovo nel «palais sonore» per garantirne la fruibilità, per rispondere
alla «minaccia della perdita della dimensione linguistica [che] accompagna come
un’ombra l’ansia di comunicare».32

32
La citazione è da BORIO 2003a, p. 27. Nel medesimo saggio si trova anche una panoramica del
rapporto tra espressione e costruzione nel pensiero romantico, espressionista e neoclassico (pp. 41-
47), argomenti approfonditi in GERACI 2003 e VINAY 2003.

88
Capitolo 2

1.3. «IL FAUT RAMENER LA MUSIQUE À LA SOURCE»33


La prima occorrenza del termine «renouveau» nel pensiero di Jolivet risale al set-
tembre 1936, quando il compositore partecipò alle «grandes enquêtes di Comœ-
dia» con un articolo sull’Avenir du théâtre lyrique. Questo l’incipit:

Ce ne sont pas de temps nouveaux que nous vivons  mais des temps de re-
nouveau: révision et, surtout ré-appropriation des valeurs.
Ces temps verront «un renouveau dans la conception de l’œuvre d’art» dans
le sens d’un rétablissement des rapports vrais  entre l’Art et l’Humain.34

Si noti l’orientamento morale più che estetico del testo e l’onnipresenza del pre-
fisso «re-» nei termini chiave: il «renouveau» si basa sulla «révision» e «ré-
appropriation» dei valori, col fine del «rétablissement» dei rapporti autentici tra
l’arte e l’uomo. È evidente che il rinnovamento, per Jolivet, era una necessità di
correzione di un percorso storico che stava prendendo una piega sbagliata; «guérir
la musique» significava, per il giovane spiritualista, riportarla («ramener») al pub-
blico.35 Si può cercare di approfondire il concetto di «renouveau» secondo Jolivet
confrontando diversi contributi  a partire dalla conferenza tenuta all’École nor-
male de musique il 20 febbraio 1936, passando per quella dell’anno successivo
dal programmatico titolo di Genèse d’un renouveau musical, fino agli scritti retro-
spettivi più tardi  e provando a isolare gli snodi principali (nei brani riportati, tut-
ti i corsivi sono di Jolivet):

1) necessità di un rinnovamento dei fini della musica:

ˆ bisogna ridare alla musica la sua funzione «redonner à la musique ses caractéristiques origi-
magica nelles: sa puissance magique, son sens incantatoire,
son rôle social  et moral»36
«il faut rendre à la musique ses vraies attributions:
expression sonore des rapports de l’homme avec le
cosmos et, dans son véritable climat sonore, son ca-

33
JOLIVET 1936b, p. 46.
34
JOLIVET 1936c, p. 48, corsivo dell’autore.
35
JOLIVET 1936a, p. 44.
36
JOLIVET 1936d, p. 50.

89
F. LAZZARO, Danza, incantesimo e preghiera

ractère réel: Incantation magique»37


ˆ la musica non dev’essere un lusso ma una «Nous souhaitons que la musique soit plus qu’un
necessità vitale luxe pour l’homme. Nous souhaitons qu’elle rede-
vienne pour lui une nécessité vitale. Mais l’homme,
alors, exigera un art fondé sur la vie et non sur
l’intelligence»38
ˆ la musica non deve appartenere alla banali- «En étant incantatoire, l’art cessera d’être inactuel 
tà39 del quotidiano ma essere al contempo “i- dans le sens de: sans rapport avec l’actualité, avec la
nattuale” (cioè distinta dall’attualità contingen- vie de tous les jours  l’art deviendra une nécessité
te) e moralmente “attuale” (un nutrimento spi- vitale, l’art étant fondé sur la vie et non sur
l’intelligence»40
rituale quotidiano)
ˆ la musica deve rigenerare l’umanità «la musique étant un art de masse, au pouvoir
d’action presque illimité, les musiciens pourront par
elle participer à la régénération de l’esprit humain»41
ˆ la necessità di rinnovamento è determinata «j’ai pris conscience des nécessités cosmiques qui
da «nécessités cosmiques» commandent au développement présent et à venir de
la musique (n’oublions pas que nous sommes à la
veille d’entrer dans une nouvelle ère de l’influence
Zodiacale, sous le signe du Verseau)»42
«Dans sept ans, le renouveau musical […] rencon-
trera une période à dominante lunaire; ce qui signi-
fie: remontée des tendances spirituelles»43
«Une civilisation très avancée retourne fatalement à
ses origines, et l’artiste arrivé au dernier degré du
raffinement retrouve la mentalité primitive»44
2) mezzi per ottenere il rinnovamento:

ˆ modifica dei mezzi espressivi, abbandono «Ouvrer dans le sens que je viens de vous indiquer
della tonalità e del temperamento; possibili so- est évidemment moins facile que de s’abandonner à
luzioni: modalità, microtonalità, risonanza na- quelque néo-classicisme. Cela oblige à modifier un
turale, strumenti nuovi (in particolare le onde certain nombre de moyens d’expression»45
Martenot) «Si le système tonal tempéré est faux, les systèmes
qu’on en déduit [i.e. polytonalité et atonalité, ndr] le
seront aussi»46
«Je crois qu’il faudrait […] accorder les claviers
[…] selon la résonance naturelle des harmoniques»47

37
JOLIVET 1937a, p. 71.
38
JOLIVET 1939b, p. 87.
39
Sull’«éloge de la banalité» v. infra Capitolo 3, § 1.1 e n. 19.
40
JOLIVET 1937a, p. 72.
41
JOLIVET 1939b, p. 89.
42
JOLIVET 1936a, p. 42.
43
JOLIVET 1937a, p. 73.
44
JOLIVET 1960, p. 268.
45
JOLIVET 1936a, p. 43.
46
JOLIVET 1937a, p. 58.

90
Capitolo 2

«les instruments d’ondes radio-électriques […] sont


eux qui permettent de se rapprocher le plus possible
d’une harmonie naturelle»48
«le qualités spirituelles de l’homme sont, au-dessus
des millénaires et malgré des fluctuations passa-
gères, une constante. […] l’écriture modale, […] le
sonorités exotiques, […] les recherches de systèmes
d’écriture basés sur le douze demi-tons étaient toutes
des efforts pour se libérer du système tonal tempéré.
Donc d’un point de vue plutôt spirituel comme d’un
point de vue plutôt technique, il y a tentatives pour
se rapprocher du système harmonique naturel»49
«le modalisme n’est qu’un moyen de mettre dans le
langage musical un ordre naturel»50
ˆ bisogna ritornare non al passato ma alla «Pas un stravinkyste retour à Bach  ni même à
«source» Monteverdi. Plus loin que cela. Un vrai retour à la
terre, à la matière, au cosmos. Au rythme»51
«Il faut ramener la musique à la source. La source de
toute expression artistique est le rythme universel»52
«Notre époque est celle des Assurances. […] On
prend une assurance-classiques comme on souscrit
une Assurance-Vie»53
«[la] plongée dans les forces mystérieuses de la na-
ture compense ce que la technique moderne peut
avoir de desséchant […] car c’est l’âme universelle
qu’on y découvre»54
ˆ linguaggio rinnovato non significa linguag- «préciser le point d’évolution actuelle de
gio nuovo: è necessario inserirsi nella tradizio- l’expression musicale tout en montrant la perma-
ne nence éternelle de l’émotion musicale»55
«Le retour aux principes sera un retour à la Tradi-
tion»56
«Le nombre [des] moyens d’expression [qui
s’offrent aujourd’hui] est cause de la diversité pos-
sible des œuvres contemporaines. De plus, un grand
nombre de musiciens se croient obligés de renoncer
à tout système employé antérieurement, ce qui les
amène, les plus souvent, à chercher de s’en créer un

47
Ivi, pp. 59-60.
48
Ivi, p. 60.
49
Ivi, p. 69.
50
JOLIVET 1960, p. 271.
51
JOLIVET 1936b, p. 45.
52
Ivi, p. 46.
53
JOLIVET 1939b, p. 86.
54
JOLIVET 1960, p. 268.
55
JOLIVET 1936d, p. 50.
56
JOLIVET 1937a, p. 54.

91
F. LAZZARO, Danza, incantesimo e preghiera

 qu’ils veulent nouveau et autonome»57


ˆ rinnovamento non significa progresso scien- «Chez nous, le désir d’un renouveau spirituel est
tifico provoqué, en grand partie, par une réaction naturelle
contre la science  je précise: la science appliquée et
l’illusoire progrès qu’elle nous apporte, ce soit di-
sant progrès matériel (avec lequel on veut trop sou-
vent confondre la civilisation)»58

Jolivet sentiva l’esigenza di rinnovare il rapporto diretto tra musica e uomo, un


rapporto che riteneva danneggiato. Di che tipo era il rapporto agognato da Jolivet?
Era mai esistito? Alla prima questione si può rispondere con un appunto molto e-
loquente del compositore: «Ce n’est pas dans l’oreille que nous devons
l’accrocher, c’est AUX TRIPES».59 Il rapporto auspicato è primordiale, immedia-
to; la ‘magia’ della musica cui aspira Jolivet consiste nello stregare l’ascoltatore,
invaderlo con la sua forza e in questo modo staccarlo dalla quotidianità per tra-
sportarlo in uno stato emotivo di comunione spirituale col cosmo. Perciò, musica
di questo genere, secondo Jolivet, non può che rigenerare l’umanità  è dunque un
mezzo per il rinnovamento spirituale. È mai esistita una musica simile? Certo, ri-
sponde Jolivet, nelle società primitive, innanzitutto (che non bisogna semplice-
mente imitare con un esotismo d’importazione, ma di cui bisogna cercare lo spiri-
to); donde la necessità di ritornare. Necessità che per Jolivet va intesa nel senso di
bisogno, ma anche di ineluttabilità, come mostra il fatto che la prima frase sottoli-
neata dal compositore nel suo esemplare di Les deux source de la morale et de la
religion di Bergson è la seguente: «la société humaine aura beau progresser, se
compliquer et se spiritualiser: [l’intention de la nature] demeurera».60

57
Ivi, p. 58.
58
Ivi, p. 65.
59
JOLIVET 1936b, p. 45. Vent’anni dopo, Jolivet ritrovava il suo pensiero in alcuni passi di
ADRIAN 1954, come lo dimostrano le sottolineature decise di frasi come queste: «Des savants on
établi que les vibrations sonores produisent sur les individus des réactions indépendantes de la vo-
lonté, de la conscience, réactions des fonctions vitales, des glandes endocrines, du système ner-
veux, respiratoire, circulatoire» (p. 125); «Le corps est influencé directement par les vibrations so-
nores et en même temps indirectement [cerchiato] par le sens de l’ouïe» (p. 126).
60
BERGSON 1932, p. 21 (la seconda parte della frase è letteralmente: «le statut de sa fondation de-
meurera, ou plutôt l’intention de la nature»; ma Jolivet ha sottolineato solo «demeurera» e
«l’intention de la nature», ponendo quest’ultima a soggetto del verbo tramite una freccia). Anche
un’altra frase sottolineata più avanti da Jolivet esprime particolarmente bene il suo pensiero: «On

92
Capitolo 2

A questo punto, però, il compositore introduce il concetto di tradizione, che


sembrerebbe contraddirne il pensiero: come possono coesistere il ritorno al primi-
tivo e il necessario inserimento nella tradizione? Ritengo che la spiegazione stia
nei diversi livelli in cui entrano in gioco i due mondi: Jolivet vuole ricreare un
modello di pensiero primitivo con i mezzi tecnici con cui si è confrontata la tradi-
zione. Il primitivo è un’idea, la tradizione il modo per realizzarla. Detto in questi
termini, però, sembra che Jolivet voglia rinnovare le intenzioni della musica ma
non il suo materiale: però non è affatto così, come peraltro è evidente all’ascolto
dei suoi brani. La chiave di tutto sta nel fatto che Jolivet ha una concezione evolu-
zionista della tradizione: tradizione non è un insieme di norme tramandate dai pa-
dri ma una storia in cui i mezzi espressivi predominanti si sostituiscono l’uno
all’altro per poter garantire il “potere incantatorio” della musica.61 Da qui due er-
rori possibili: ritenere il linguaggio dei musicisti precedenti «mode d’expression
définitif»62 (e di conseguenza rinnegare la spinta all’innovazione), oppure tagliare
i rapporti col passato e inventare un linguaggio «nouveau et autonome».63 En-
trambi gli atteggiamenti, per Jolivet, commettono il medesimo errore di dissociare
il livello tecnico da quello spirituale: il primo perché non si rende conto che per
mantenere il rapporto magico della musica in un mutato contesto culturale è ne-
cessario rinnovarla, il secondo perché pensa solo alla tecnica e non alle reazioni
del pubblico (da cui «l’étonnement du public […] devant le médium d’expression
de la plupart des musiciens contemporains»).64 Ogni epoca ha bisogno di un rin-
novamento: la Jeune France deve il suo nome a una di queste fasi che ebbe come
protagonisti Berlioz, Hugo e Delacroix.65 Berlioz fu, secondo la vulgata piena-

pourrait dire, en détournant de leur sens les expressions spinozistes, que c’est pour revenir à la Na-
ture naturante que nous nous détachons de la nature naturée» (p. 55).
61
Sul concetto di “tradizione” v. anche infra il prossimo paragrafo.
62
JOLIVET 1937a, p. 57.
63
Ivi, p. 58.
64
Ivi, p. 57. La necessità di non dissociare tecnica e spirito quando si parla di musica è un refrain
che compare in numerosi interventi del compositore.
65
JOLIVET 1941. Il nome Jeune France destò qualche perplessità ai redattori della «Revue musi-
cale»: «Un nouveau groupe formé de quatre jeunes musiciens: Olivier Messiaen, Daniel Lesur

93
F. LAZZARO, Danza, incantesimo e preghiera

mente accolta da Jolivet, colui che inserì nella linea evolutiva della tradizione mu-
sicale francese il rinnovamento apportato da Beethoven;66 il rinnovamento succes-
sivo si ebbe con Chabrier, che iniziò il processo di abbandono della tonalità rein-
troducendo la modalità; lo scatto ulteriore si ebbe con Debussy.67 (Si sarà certa-
mente notato che la tradizione in cui si inserisce Jolivet è esattamente quella ripu-
diata in Le coq et l’arlequin). Jolivet cita alcuni contemporanei che si inseriscono,
a suo avviso, in questo processo evolutivo contribuendo al rinnovamento:

Ceux dont les efforts concourent à ranimer la matière musicale, à lui redon-
ner la vitalité infinie de l’univers […]. De la diversité des personnalités mu-
sicales, de la multitude de leurs moyens d’expression qui sont pour nous les
faits, naît la complexité apparente des tendances.68

Diverse tendenze il cui fine è il medesimo: «émouvoir».69 E allora ecco sfilare


Charles Koechlin, Igor Markevitch, Georges Migot, e i colleghi della Jeune Fran-
ce  nonché, naturalmente, i suoi maestri Paul Le Flem ed Edgar Varèse. A costo-
ro si affiancano i musicisti che sperimentano sistemi microintervallari: Ivan
Wyschnegradsky e Nicolai Obouhov. Microtonalità, modalità, ricerche nelle mu-
siche esotiche, uso di strumenti elettroacustici sono le diverse possibilità intraviste
da Jolivet per rispondere al bisogno di rinnovamento di quegli anni: il superamen-
to del sistema tonale temperato e dei suoi derivati (politonalità e atonalità) ad esso
tanto legati dal punto di vista percettivo (la sensazione di «ut majeur sale»). Il ri-

[sic], André Jolivet et Yves Baudrier s’est constitué sous le titre de Jeune France. On aurait peut-
être préféré un vocable moins téméraire: “Le groupe des quatre” n’aurait, par exemple, laissé sub-
sister aucune équivoque; mais puisque “Jeune France” il y a, souhaitons que l’avenir ratifie le beau
titre que ces musiciens se sont décernés, car, qu’ils le veuillent ou non, il y a toujours beaucoup
d’audace à ajouter le nom d’un pays au sien propre, à moins qu’il s’agisse d’un souvenir roman-
tique, à la vérité difficile à expliquer» ([ANONIMO] 1936b).
66
JOLIVET 1937a, pp. 54-56. Il ritorno a Beethoven come sintesi di impegno costruttivo e forza es-
pressiva è un punto chiave dell’intervento di Lourié al Congrès d’esthétique del 1937: «Beethoven
pourrait […] devenir un nouveau centre de rayonnement, par le besoin de lier les acquisitions
constructivistes de notre temps à la tendance vers un nouvel humanisme» (LOURIÉ 1937, p. 460).
67
JOLIVET 1937a, p. 56.
68
JOLIVET 1937a, p. 53, n. 111.
69
Ivi, p. 63.

94
Capitolo 2

torno al primitivo diviene in questa fase storica anche un mezzo tecnico, non solo
un’aspirazione spirituale: per «refonder» la musica Jolivet spinge a tornare al rap-
porto diretto col suono, cioè a basarsi sui fenomeni di risonanza.70 Mezzi tecnici e
fini spirituali si fondono.
Le idee circa l’esigenza di abbandonare il sistema temperato e di ritornare al
rapporto naturale con la risonanza erano le tesi di Prudent Pruvost in un libro dal
titolo programmatico di La musique rénovée selon la synthèse acoustique (1931),
che Jolivet possedeva e di cui aveva evidenziato, tra gli altri, i seguenti passaggi:

il est indispensable, si nous voulons éviter l’anarchie et la décadence, de


garder non pas seulement les règles d’une partie apparente du monde sonore
et qui ne sont bonnes que pour elle [cioè i capolavori musicali degli ultimi
tre secoli], mais de fixer les lois qui régissent l’ensemble des élements for-
mant la musique universelle.

Est-il possible que la gamme tempérée, composée d’éléments ayant des rap-
ports aussi peu simples, aussi peu logiques, soit considérée comme la gamme
parfaite, la gamme idéale, la gamme absolue de toute musique?

Revenons à la source éternelle, vieille comme le monde, de l’art musical.71

Pruvost sviluppa un sistema musicale basato sugli armonici di un suono fonda-


mentale, perché «il y a une modulation extrêmement variée dans le sein de la
gamme naturelle; elle est même la seule qui soit intéressante».72 Il fine del rinno-
vamento proposto da Pruvost è «refaire un art populaire, au plus beau sens du
terme, et en favoriser la diffusion!».73 Il «plus beau sens du terme» di populaire è

70
Ivi, pp. 58-60 e passim. Sul dibattito francese di quegli anni sulla risonanza e i nuovi sistemi sca-
lari, e sul modo in cui Jolivet applica le sue teorie sulla risonanza cfr. CONRAD 1994, pp. 251-278.
V. anche infra Capitolo 3, § 5.2.
71
PRUVOST 1931, rispettivamente pp. 14, 34 e 35.
72
PRUVOST 1931, p. 64. Pruvost non manca di riferirsi agli “antichi” e al canto gregoriano: «les
modes qu’ils ont crées faisaient partie intégrante d’une seule et même gamme prise tour à tour dans
de multiples combinaisons. Ce n’est pas autre chose que nous voulons faire» (p. 110, corsivi
dell’autore).
73
Ivi, p. 99, corsivi dell’autore.

95
F. LAZZARO, Danza, incantesimo e preghiera

invocato anche su «Esprit», in un numero del 1934 dedicato a «L’art et la révolu-


tion spirituelle»: il compositore Maurice Jaubert, critico musicale della rivista ne-
gli anni ’30, lamenta la separazione tra musica contemporanea e pubblico, la cui
origine, a suo avviso, era nell’atteggiamento solipsistico dei romantici di esprime-
re se stessi; i non-conformisti, invece, reclamano «une musique populaire», ma
non nel senso di pop (il «refrain de carrefour») né attraverso la scorciatoia neo-
classica del ‘ritorno a’:

cette musique populaire, il s’agit de la réinventer. […] la vraie difficulté […]


consiste […] à retrouver la musique dans sa plus stricte nudité. Pour
s’efforcer alors de lui redonner le sens du chant humain et, si possible, col-
lectif.74

«Réinventer», «retrouver», «redonner»: una delle riviste chiave del non-


conformismo e Jolivet utilizzano la stessa retorica. La «stricte nudité» della musi-
ca cercata da Jaubert e la «source» verso cui Jolivet risale il fiume della tradizione
hanno il medesimo fine: tornare a una mitica età dell’oro in cui c’era un rapporto
vero, sincero, autentico tra musica e uomo.
In questa invocazione del ritorno, neanche Jolivet fu immune dalla «trahison
des clercs» denunciata da Julien Benda (1927): la «tradition» cui si riferiva con
fini estetici negli scritti degli anni ’30 divenne infatti la politicizzata «tradition
française» a partire dal 1939, quando il clima politico internazionale amplificava
le istanze nazionalistiche. Così, è difficile riconoscere la spinta rinnovatrice che
abbiamo analizzato in frasi come la seguente:

Chaque époque doit reconstituer son fonds de classicisme, la nôtre doit réta-
blir la tradition musicale française  la musique, langage universel, oui, mais
à condition d’être d’abord nationale.75

74
JAUBERT 1934, p. 72.
75
JOLIVET 1939a, p. 83. Sempre nel 1939 Jolivet scrisse una sorta di storia sintetica della musica
francese (incompiuta) apparsa su «Les volontaires» (JOLIVET 1939c).

96
Capitolo 2

E fu proprio uno sciovinismo quasi fanatico la causa dell’invettiva antistravinski-


jana del 1945, in cui Jolivet accusava questo russo di non aver insegnato nulla ai
francesi («ni au point de vue rythmique, ni au point de vue mélodique, orchestral
et architectural») poiché «la principale caractéristique de la musique française est
le lyrisme», qualità «absente de la musique de Stravinskij».76

1.4. «RENOUVEAU», «TRADITION», «PROGRÈS», «ÉVOLUTION»


Come ha ampiamente raccontato Jane Fulcher, nel periodo tra le Guerre erano più
i vocaboli politicizzati di quelli neutri. Uno dei più problematici è proprio «tradi-
tion». La tradizione non era invocata solo dai conservatori  specialmente in chia-
ve nazionalista , ma era il fulcro di tutte quelle correnti che intendevano la mo-
dernità come «renouveau»: una delle principali era in renouveau catholique pro-
pugnato da Jacques Maritain. Stephen Schloesser si riferisce a questo movimento
culturale con l’attributo di «off-modern» (mutuato da Boym),77 che rinvia alla na-
tura bifronte (andare verso il futuro pensando al passato) di un progetto culturale
che non vuol fare tabula rasa («modernista») ma rivestire  se mi si consente di
parafrasare Winckelmann  «di panni moderni la nobile realtà antica». Il concetto
trova un precedente nell’«antimoderno» invocato da Maritain (Antimoderne è del
1922):

il cattolicesimo è tanto antimoderno per il suo immutabile attaccamento alla


tradizione quanto ultramoderno per la sua arditezza nell’adattarsi alle nuove
condizioni emergenti nella vita del mondo.78

Già in Art et scolastique (1920, ampliato nel 1927) Maritain aveva portato a una
svolta i rapporti tra cattolicesimo e modernità promuovendo l’idea secondo cui i

76
JOLIVET 1945. Poulenc rispose in difesa di Stravinskij (e della realtà dei fatti); cfr. JOLIVET-
ERLIH 2006, pp. 12-13.
77
SCHLOESSER 2005, pp. 13-14. «[Catholic revivalists] self-consciously considered themselves to
be off-modern: anti-modernist in their adhesion to tradition and ultra-modernist in their embrace of
time’s forward motion» (p. 14). Il riferimento è a BOYM 2001.
78
MARITAIN 1922 [1979], p. 12.

97
F. LAZZARO, Danza, incantesimo e preghiera

principi immutabili assumono diverse forme sensibili a seconda delle epoche sto-
riche: opponendosi all’idea conservatrice (e ufficiale) di modernità come rottura,
Maritain la intendeva piuttosto come incarnazione e transustanziazione della “so-
stanza eterna”: «The divine was capable of becoming something else without re-
placing or destroying it».79 Come ha sottolineato Schloesser, questa concezione
deve molto al simbolismo di cui si era imbevuto Maritain in gioventù (fu per tutta
la vita un baudleriano convinto);80 la vera “realtà” sta oltre l’apparenza, quindi per
rappresentarla l’astrattismo o il cubismo sono più adatti del realismo: è una con-
cezione anti-modernista delle avanguardie (la stessa promossa da Cocteau in Le
coq et l’arlequin), in cui «unchanging tradition [lies] hidden beneath the mask of
ever-changing fashion».81 Al contrario della tradizione invocata dai nazionalisti,
da intendersi come ‘tesoro della patria’ da conservare e perpetuare imitandolo, la
tradizione intesa come principio eterno da cui ogni volta ripartire ha forti implica-
zioni universaliste: il “cattolicesimo” di Maritain, nota ancora Schloesser, è da in-
tendersi soprattutto nel senso etimologico di “universalismo” («the catholicity of
Catholicism»).82
Se si applica questo discorso al continuum di correnti musicali protagonista
dell’entre-deux-guerres, si può osservare che l’atteggiamento «off-modern» per-
corse trasversalmente, a livello di intenti, tutti coloro che si opponevano
all’iconoclastia dadaista; in un’ottica di rappel à l’ordre questo avveniva cercando
di costruire un linguaggio musicale sintetico, «ontologico» avrebbe detto Suvin-
skij (nel senso di non psicologicamente informato).83 Si noti come per Stravin-
skij/Suvinskij il nuovo linguaggio musicale ottenuto per via sintetica avesse aspi-
razioni sovratemporali, fosse cioè la ricerca di una ‘lotta contro il tempo’:

79
SCHLOESSER 2005, p. 165, corsivo dell’autore.
80
«Baudelaire had preceded Aquinas in Maritain’s life by almost two decades. Maritain read
Aquinas through Baudelaire’s vision of modernity expressing antiquity» (ivi, p. 166).
81
Ivi, p. 147.
82
Ivi, p. 162; cfr. anche pp. 167-170 e 194-198.
83
Cfr. SUVINSKIJ 1939 e DUFOUR 2006, pp. 64-67.

98
Capitolo 2

La musica è il solo dominio in cui l’uomo realizza il presente. A causa


dell’imperfezione della sua natura, l’uomo è destinato a subire il trascorrere
del tempo – delle sue categorie del passato e dell’avvenire – senza poter mai
rendere reale, e pertanto stabile, quella del presente. Il fenomeno della musi-
ca ci è dato al solo scopo di stabilire un ordine nelle cose, ivi compreso, e
soprattutto, un ordine fra l’‘uomo’ e il ‘tempo’.84

Nella Poétique musicale si sarebbe affermato che la tradizione, cui si oppone


l’abitudine, è una «forza viva che anima e alimenta il presente», che «presuppone
la realtà di ciò che è durevole» e va messa a frutto:85 si coglie una convergenza
verso il pensiero di Maritain, già presente nell’articolo che Lourié aveva dedicato
a Stravinskij nel 1928.86 Nell’ottica del ‘rinnovamento espressivo’ questa conver-
genza diviene ancor più esplicita: la tradizione non era il punto di partenza per
confezionare i «panni moderni» alla ricerca di una sintesi al passo coi tempi o so-
vratemporale, ma il deposito dei principi compositivi immutabili  immutabili
perché basati sulle leggi che regolano l’espressività della musica per l’uomo. Que-
sti principi permangono sotto le vesti linguistiche in costante «évolution» secondo
le epoche storiche. Quando Jolivet scrive che «le retour aux principes sera un re-
tour à la Tradition»,87 definisce la tradizione come la storia dell’incarnazione di
questi principi in una serie di opere musicali (in evoluzione) e come l’insieme dei
principi stessi, la “realtà” che va oltre la manifestazione sensibile: «ce n’est pas
aux habitudes des musiciens qu’il faut obéir, c’est aux ordres de la musique».88
Infatti, rifarsi alla tradizione può prescindere dai linguaggi via via utilizzati dai
compositori per garantire la «permanence éternelle de l’émotion musicale».89 Far
riferimento ai principi e non al linguaggio che è stato sviluppato per incarnarli,

84
STRAVINSKIJ 1935, p. 59.
85
STRAVINSKIJ 1940, p. 42.
86
LOURIÉ 1928; cfr. DUFOUR 2006, pp. 93-97.
87
JOLIVET 1937a, p. 54.
88
JOLIVET 1939b, p. 89.
89
JOLIVET 1936d, p. 50. «Les qualités spirituelles de l’homme sont, au-dessus des millénaires et
malgré des fluctuations passagères, une constante» (JOLIVET 1937a, p. 69).

99
F. LAZZARO, Danza, incantesimo e preghiera

comporta, per Jolivet, il riconoscimento della necessità, nella presente fase storica,
di superare la tonalità; interrompere questo percorso appellandosi a un desiderio
di sintesi significherebbe, secondo questo ragionamento, considerare la composi-
zione come un’operazione che si rivolge alle tecniche utilizzate per incarnare i
principi e non ai principi stessi. Per tornare alla «source», invece, Jolivet propone
di abbandonare la tonalità e i suoi derivati (come la politonalità) e di scrivere mu-
sica secondo altri sistemi (microtonale, basato sulla risonanza, ecc.), di rinnovare
il linguaggio mantenendo saldi i principi. Che cosa questo significhi sul piano pra-
tico sarà l’oggetto della Parte II.
In sintesi, in Jolivet come in Maritain esistono una “realtà” spirituale immu-
tabile e un’evoluzione dei mezzi espressivi per evocarla-realizzarla;
quest’evoluzione è più propriamente un rinnovamento, poiché ha come punto di
partenza sempre il principio stesso, come lo schema qui sotto cerca di visualizza-
re:

Idea di evoluzione Idea di rinnovamento

••• •

Se l’idea di evoluzione si basa su un principio di superamento lineare (si conqui-


stano dei risultati che si sommano), in quella di rinnovamento punto di partenza è
la «source», il principio immutabile che si vuole realizzare, tenendo senz’altro
conto dei precedenti ma senza doverli usare come basi da cui ripartire. (Come mo-
stra la lunghezza progressiva delle frecce, il rinnovamento ha comunque in sé una
concezione evolutiva).90
Un altro termine afferente al campo semantico del «renouveau» di cui è be-
ne valutare le sfumature socioculturali è «progrès», strettamente legato alla tecni-
ca e alla scienza e perciò disprezzato dal pensiero non-conformista; emblema del
«progrès» è l’America che Georges Duhamel ha descritto sarcasticamente in Scè-

90
Sulle sfaccettature dell’idea di evoluzione, sui paradigmi, cioè, dell’arte come progresso (conce-
zione strumentale e progressista), cfr. GOMBRICH 1971 (1985).

100
Capitolo 2

nes de la vie future (1930), un luogo dove tutto è «faux»  mentre i non-
conformisti puntano al “vero”, al “sincero”.91 Se, come fa Bergson in un passo e-
videnziato da Jolivet, si tracciano dei confini netti tra magia e religione da una
parte, e scienza dall’altra (in contrasto con l’idea che la magia sarebbe un preludio
alla scienza),92 Jolivet si pone senz’altro con le prime due discipline.93 Egli usa
talvolta «progrès» come sinonimo di «évolution», come nel caso della definizione
degli intenti della Spirale (v. supra § 1.1), liberandolo pertanto da ogni connotato
«machiniste»: per il compositore il progresso tecnico, con le sue «prodigieuses
réalisations industrielles», può affascinare, ma è impersonale e inumano, mentre

c’est l’humain, et l’humain seul, qui doit être le principe générateur de toute
œuvre. Car la raison d’être de l’art, et surtout de la musique, n’est pas de
nous ravir, de nous saisir et de nous emporter hors même de notre condition
humaine jusqu’à l’infini? Le but de la musique n’est-il pas de réintégrer
l’humain dans l’universel?94

C’è un passo in cui Jolivet esplicita la contrapposizione tra «progrès» (materiale)


e «renouveau» (spirituale):

Chez nous, le désir d’un renouveau spirituel est provoqué, en grande partie,
par une réaction naturelle contre la science  je précise: la science appliquée
et l’illusoire progrès qu’elle nous apporte, ce soit disant progrès matériel
[…]95

91
Sulla concezione negativa dell’America e su Duhamel v. supra Capitolo 1, n. 22.
92
«On a dit que la religion avait commencé par la magie. [Jolivet sottolinea questa frase e scrive
accanto le proprie iniziali, come ad attribuirsene la paternità] On a vu aussi dans la magie un pré-
lude a la science. […] on trouve que magie et religion se tiennent, et qu’il n’y a rien de commun
entre la magie et la science» (BERGSON 1933, p, 172-173).
93
Considerata l’identificazione sostanzialmente unanime da parte dell’entourage non-conformista
della scienza col progresso materiale, non passa inosservato questo auspicio di Hélène de Callias
(di cui si parlerà più diffusamente infra Capitolo 3, § 3.2), peraltro sottolineato con forza dalla ma-
tita di Jolivet sul suo esemplare del libro: «Les temps sont proches où l’on pourra fixer en des la-
boratoires l’influence de chaque sonorité sur tout ce qui existe ici-bas et dans le ciel» (CALLIAS
1938, p. 80).
94
JOLIVET 1937b, p. 76, corsivi dell’autore.
95
JOLIVET 1937a, p. 65, corsivi dell’autore.

101
F. LAZZARO, Danza, incantesimo e preghiera

In breve, Jolivet disprezza il «progrès» nell’accezione più corrente di “progresso


tecnologico”; usa, però, talvolta il termine come sinonimo di «évolution» e per-
tanto in un’accezione positiva.
In conclusione, il concetto di renouveau assume nel contesto in esame
un’accezione piuttosto precisa rispetto all’uso generico con cui è spesso riferito
alla musica fin de siècle.96 Il renouveau si definisce, in contrapposizione alla révo-
lution, come un retour (e non uno sterile progrès), ma non un ritorno esteriore,
tecnico (es. a Bach, à l’ordre), bensì alla source, col fine di far evolvere i mezzi
espressivi della musica all’interno della tradition, che non è una galleria degli an-
tenati ma la garanzia di contatto espressivo e spirituel con gli ascoltatori. Se com-
positori come Migot e Jolivet furono prolifici nell’illustrare la loro posizione, per
altri, come Messiaen, furono soprattutto i commentatori a riconoscere in termini
sintetici l’appartenenza a questa linea di poetica:

Messiaen est, à sa manière, un novateur, mais ce n’est pas un révolution-


naire. Il ne songe pas à improviser un nouveau métier musical sans se sou-
cier de la tradition.97

2. ASPETTATIVE, TOPOI, SIMBOLI


Dallo studio delle poetiche musicali tese a un rinnovamento che non interrompa la
tradizione delle abitudini d’ascolto emerge la necessità di analizzare alcune parti-
ture, per scoprire se e come questi propositi siano stati realizzati. La prospettiva
analitica deve fondarsi sullo studio delle strategie tecniche e retoriche impiegate
dal compositore nei confronti delle aspettative del suo pubblico; dal momento che
il musicista vuole rinnovare mantenendo un rapporto di coinvolgimento, bisogna
analizzare quali siano gli elementi di continuità e in che modo vengano usati (o
riusati): in che modo questi musicisti conciliano la sperimentazione (per esempio

96
Cfr. ad esempio DUMESNIL 1930, BORTOLOTTO 1992 (p. 17) e ROLAND-MANUEL 1960-1963, II,
pp. 829-906.
97
Landormy CIT. DA COLLAER 1963, p. 186. Le posizioni espresse da Messiaen verrano discusse
nel Capitolo 5.

102
Capitolo 2

l’abbandono della tonalità) e la tradizione (presupposto per entrare in empatia con


l’ascoltatore)? Come fanno a tenere vivo quel gioco di aspettative indispensabile a
coinvolgere il loro pubblico? In termini più generali: come rinnovare i mezzi e-
spressivi perché restino tali?
La mia proposta analitica è di integrare due approcci a mio avviso comple-
mentari:
1. una prospettiva topic: per ora riservata soprattutto alla musica del classicismo
viennese, può essere utilissima per studiare la permanenza, il riuso e
l’elaborazione dei gesti musicali tradizionali da parte dei compositori del Nove-
cento;98
2. un atteggiamento fenomenologico: affiancato all’approccio topic, incentrato sul
testo, serve a studiare i meccanismi della percezione (aspettative e orizzonti
d’attesa legati sia ai titoli sia al processo d’ascolto).
Nei paragrafi seguenti approfondirò i presupposti e le implicazioni di questi
approcci analitici, per poi applicarli a un caso di studio, un’antologia di danze
pubblicata nel 1929.

2.1. MUSICA, MONDO, PERCEZIONE


La musicologia, a partire dalla focalizzazione di Leonard Meyer sull’importanza
del gioco con le aspettative  e quindi dell’ascolto come momento interattivo con
il testo musicale di cui crea il significato in termini di risposta che è possibile ana-
lizzare99  si è arricchita di non pochi contributi, sia teorici sia analitici, sullo stu-
dio del rapporto tra il compositore e i meccanismi d’ascolto del suo pubblico: la
musica del classicismo viennese, innanzitutto, è stata completamente riconsiderata

98
È anche interessante studiare come se ne formino di nuovi; cfr. le analisi sul ditirambo in WHIT-
TAL 2003.
99
«Il significato musicale inclusivo è in breve il prodotto di un’attesa. Se, sulla base di
un’esperienza passata, uno stimolo presente ci induce ad attenderci un evento musicale conse-
guente più o meno definito, allora quello stimolo avrà un significato. Ne consegue che uno stimolo
o un gesto che non denotano o producono attese nei confronti di un evento musicale successivo o
conseguente sono vuoti di significato. Dal momento che l’attesa è in gran parte un prodotto
dell’esperienza stilistica, una musica di stile a noi del tutto estraneo ci risulta priva di significato»
(MEYER 1956 [1992], pp. 66-67).

103
F. LAZZARO, Danza, incantesimo e preghiera

dai lavori sui topoi (da RATNER 1980 a MONELLE 2005), grazie ai quali ha riacqui-
stato un forte rapporto col mondo sonoro in cui era inserita, e parallelamente si è
sentita l’esigenza di studiarne l’architettura formale non come l’applicazione di
uno schema ma come una retorica dell’ascolto (cfr. ad esempio BONDS 1991).
Anche per il periodo della cosiddetta ‘nascita della modernità’ a cavallo tra Otto e
Novecento, in cui i mezzi linguistici cambiano e con essi l’ascolto, si è riconside-
rato il rapporto tra mondo e musica (e viceversa): negli studi mahleriani, una pro-
spettiva analitica topic e narratologica (in senso lato) ante litteram era già sentita
come un’esigenza da Adorno nel 1960,100 fino alla teorizzazione e allo studio dei
«vocaboli» di Eggebrecht nel 1982;101 Michael Cherlin ha attirato l’attenzione sul-
le strategie retoriche dell’ascolto di Schönberg tramite le categorie ampiamente
utilizzabili di «distraction» (il tradimento dell’aspettativa) e «imperfection» (il ri-
sultato di questo tradimento);102 recentemente anche per Debussy si sono indagate
le strategie compositive messe in atto per cambiare le abitudini d’ascolto, sfuman-
do molto la distinzione tra musica a programma e assoluta (MALVANO 2009).
Malvano mette in luce come, seppur in una posizione élitaria e opposta alla ricer-
ca del contatto con l’ascoltatore comune, Debussy fosse costretto, proprio «per

100
Adorno proponeva «una teoria materiale delle forme, volta cioè a dedurre le categorie formali
dal loro significato» (ADORNO 1960 [2005], p. 52); ciò era possibile considerando le valenze topics
del materiale musicale, «un materiale linguistico-musicale in cui le intenzioni sono già presenti
oggettivamente: esse vengono per così dire ‘citate’ dalla fantasia del compositore come qualcosa
di preesistente e incorporate al tutto. I materiali in grado di dare questi risultati sono quelli cosid-
detti banali, in cui il significato si è già sedimentato in generale anteriormente all’intervento indi-
viduale del compositore» (ivi, p. 71).
101
«Per vocaboli musicali intendo quei costrutti musicali all’interno della musica composta che si
riallacciano a materiali già formati, antecedenti alla composizione […], formule tipiche, standar-
dizzate dal consumo, dalla funzione e dalla tradizione» (EGGEBRECHT 1982 [1994], p. 57). I voca-
boli possono essere suoni artificiali (come i segnali), suoni di natura (in senso stretto: es. voci di
uccelli; in senso lato, in contrapposizione ai suoni ‘d’arte’; nel senso di panfonia del mondo), suo-
ni del patrimonio musicale comune (popolare e colto): ciò che conta è che «con la forma caratteris-
tica di simili materiali, con la loro tipicità sintattica, è saldamente connesso un contenuto intersog-
gettivamente inconfondibile, una tipicità semantica» (ibidem).
102
CHERLIN 1998. Una comparazione tra l’uso di queste strategie retoriche da parte di diversi
compositori non può che essere fruttuoso. WHITTALL 2003a spingeva tra le righe a una compara-
zione di questo tipo quando scriveva che «it would indeed be absurd to argue that the technical pa-
rameters and expressive qualities of such “distraction” and “imperfection” as we might detect in
Stravinsky are identical to Schoenberg’s» (p. 48).

104
Capitolo 2

cercare di emarginare un certo tipo di pubblico», a tenerne in considerazione le at-


tese (per poi aggirarle).103 Per la sfumatura dei confini tra musica assoluta e a pro-
gramma è essenziale il concetto di “immaginazione”, facoltà che Debussy voleva
attivare in modo antideterministico nel suo fruitore; se denigrava la ricerca di uni-
vocità fruitiva propria della musica a programma, tuttavia cercava una fruizione
totalmente antiformalista grazie al riuso non convenzionale dei topoi: «i pochi sti-
lemi derivanti dalla tradizione sono sufficienti per stimolare l’immaginazione del
fruitore, ma il modo in cui vengono elaborati non permette all’ascoltatore di se-
guire percorsi immaginativi precisi».104 Ed è proprio su questo crinale che si è
concentrata l’elaborazione teorica dei rapporti tra mondo, testo musicale e ascolto:
quello di Debussy, secondo Malvano, «era il primo passo verso la maturazione di
un nuovo modo di concepire la musica con titoli, intesa non più come esperienza
vincolante, ma come strumento in grado di potenziare le facoltà creative
dell’ascoltatore»;105 un approccio, che, come vedremo, sarà essenziale nel reperto-
rio da analizzare.
L’uso ambivalente del termine “fenomenologia” in ambito musicologico è
stato rimarcato da Giovanni Piana. L’«oggettivismo fenomenologico» di posizioni
come quelle di Schenker o Ansermet rivendicava il primato del testo (la «struttura
musicale in quanto tale») sulle sue descrizioni psicologizzanti: la critica dello psi-
cologismo è il legame tra questo «ritorno alle cose stesse» e i punti di partenza
della fenomenologia husserliana. D’altro canto, sottolinea Piana, non bisogna
«perdere mai di vista il fatto che queste “cose stesse” […] sono inevitabilmente
correlate ad una soggettività percettiva»:106 da questo assunto si sviluppano posi-
zioni più propriamente fenomenologiche.107 Il distacco dallo psicologismo, infatti,
non si ottiene negando l’importanza della percezione, ma sostituendo a «questa o
quella soggettività determinata […] una soggettività in generale»: l’oggetto da

103
MALVANO 2009, p. 15 e passim
104
Ivi, p. 174.
105
Ivi, p. 176.
106
PIANA 2005, pp. 9-10.
107
Su queste posizioni cfr. MAZZONI 2004.

105
F. LAZZARO, Danza, incantesimo e preghiera

analizzare (es. la partitura) è «un oggetto “intenzionale”, ovvero esso è sempre


sotto la presa di un “modo di intendere”».108 Da qui l’importanza di interrogare il
testo in relazione alle percezioni possibili in un determinato contesto: «il senso
che un determinato fenomeno sonoro può assumere dipende dall’incontro tra in-
tenzioni soggettive e contesti fenomenologici entro cui esso si presenta».109

2.1.1. AFFORDANCE E ASPETTATIVE

D’abord, le sujet, le titre même font beaucoup. Intitulez “Danse” la “Pavane


pour une infante défunte” de Ravel, combien elle plaira moins! Mettez aux
“Préludes” de Fauré des titres parlant aux yeux, comme pour ceux de De-
bussy: je ne dis point que les pianistes (pour des raisons à eux connues) ne
s’obstineront point à préférer ces derniers, mais, peut-être enfin consenti-
ront-ils à jouer ceux-là…110

Una prospettiva particolarmente in linea con i propositi della mia ricerca è quella
ecologica sviluppata da Eric F. Clarke, che, focalizzando gli interscambi tra gli
individui e l’ambiente (anche sonoro) in cui sono immersi, riflette tra le altre cose
sulla relazione tra topoi e percezione.111 L’approccio ecologico si contrappone a
quello cognitivo: se per quest’ultimo la percezione musicale è un processo menta-
le che si costruisce su una rete di elementi già appresi o da apprendere indipen-
dentemente dall’evento sonoro, Clarke (che applica alla musica le teorie ecologi-
che della percezione, in particolare quelle elaborate da James J. Gibson) propone
invece l’immanenza della totalità dell’informazione al mondo e non al soggetto, il

108
PIANA 2005, pp. 10-11.
109
Ibidem, p. 11.
110
KOECHLIN 1937a, p. 342.
111
Clarke definisce così l’ecologia: «Ecology is the study of the relationships between organisms
and their environments, and autonomy is the state of independent self-sufficiency  of a system
subject only to its own laws or principles» (CLARKE 2005, p. 132, corsivo dell’autore). Il contribu-
to di Clarke è stato efficacemente inquadrato da un suo recensore: «the act of listening is key to his
theory of musical meaning, unlike the semiotics of Agawu or the hermeneutics of Kramer» (SPIE-
GELBERG 2006, p. 127). Il medesimo recensore evidenzia numerosi punti di debolezza del testo di
Clarke, di cui elogia soprattutto il tratto che prendiamo in considerazione nel nostro discorso:
l’interazione tra struttura musicale e percezione.

106
Capitolo 2

quale si educa all’ascolto effettivo e non all’interpretazione mentale di un dato so-


noro povero:

what is important is to consider what is directly specified by the environmen-


tal information  not what a perceiving organism can interpret in, or con-
struct from, a stimulus.112

L’ascoltatore impara dalla percezione, o meglio durante la percezione («percep-


tual learning»); in questo modo si riconosce un certo tipo di procedimento musica-
le in virtù della reiterata esposizione a eventi simili: «recognition is that kind of
perception for which the system has become adapted (or tuned)»:

listeners become more attuned to the invariants that specify a style, or a par-
ticular harmonic invariant (e.g. tonic/dominant alternation) through exposure
to a particular repertoire, whether that exposure is accompanied by direct in-
struction or not.113

Questo genere di elementi, che l’ascoltatore immerso in una certa cultura musicale
impara a riconoscere e cui impara a rispondere emotivamente (come nel caso delle
modulazioni in minore), corporalmente (per esempio certi pattern ritmici), so-
cialmente (l’applauso dopo la cadenza), costituiscono il corpus di aspettative con
cui un compositore attento alla dimensione dell’ascolto ha a che fare e con cui può
giocare, poiché, secondo la teoria ecologica, «when people perceive what is

112
CLARKE 2005, pp. 17-18, corsivo dell’autore. Riporto un passaggio in cui Clarke sintetizza
l’opposizione tra approccio cognitivo ed ecologico: «According to a cognitive view, perception
skills develop through the accumulation of knowledge that guides and informs them, and which
fills the information that is missing in a chaotic and imperfect environment. By contrast, the eco-
logical approach views perceptual learning as progressive differentiation, perceivers becoming in-
creasingly sensitive to distinctions within the stimulus information that were always there but pre-
viously undetected» (p. 22, corsivo dell’autore).
113
Ivi, p. 35. Clarke in questo passaggio commenta un estratto da DOWLINGHARWOOD 1986, p.
161: «if the listener has heard many such pieces with the same pattern of modulation, then the pat-
tern constitutes an invariant that the listener can perceive in each piece he or she hears, even pieces
not heard before. Such invariants across sets of pieces constitute what we mean by a style».

107
F. LAZZARO, Danza, incantesimo e preghiera

happening around them, they are trying to understand, and adapt to, what is going
on».114
Il materiale musicale, scrive Clarke rifacendosi al concetto di «affordance»
coniato da Gibson,115 ‘permette’ determinate reazioni percettive: infatti,
l’affordance è ciò che un contesto permette di associare a un determinato dato
percettivo (es. le azioni, i pensieri, le associazioni che in un certo contesto è pos-
sibile legare a un certo tipo di musica).116 È un concetto effettivamente molto uti-
le, che si era già affacciato a proposito della Gigue di Lourié: in quel caso ci si
chiedeva quale sia l’affordance del termine “giga”, quali aspettative crei, quale
materiale musicale permetta di associarvi  quindi la prospettiva era spostata a li-
vello del paratesto, fondamentale in un contesto di rinnovamento perché può rive-
larsi, come nel caso di Lourié, l’elemento ‘tradizionale’ contro il quale si scontra
la musica (ci si ricorderà, infatti, che le Gigue non era affatto una giga).117
Per intendersi: l’ambiente musicale (il repertorio col quale cresciamo) ci in-
segna ad avere certe aspettative quando ci troviamo davanti a una “giga”; il rinno-
vamento si fonda su questa premessa, attinge all’archetipo di danza non tanto per
ripartire da lì – in senso ricostruttivo post-catastrofe – quanto per avere un punto
di contatto con l’ascoltatore, secondo il meccanismo dell’affordance. È la strada
che, come illustrato da Malvano, percorreva Debussy: il titolo serve a stimolare le
«potenzialità creative dell’ascoltatore» senza però vincolarlo.
I due meccanismi percettivi principali da considerare nelle analisi sono per-
tanto l’affordance di GibsonClarke e l’aspettativa di matrice meyeriana: la prima

114
CLARKE 2005, pp. 6-7.
115
GIBSON 1966, p. 285; per l’applicazione del concetto di affordance in ambito musicologico cfr.
CLARKE 2003, pp. 117-119 e CLARKE 2005, pp. 36-38 e 203-206.
116
NONKEN 2008 è piuttosto critica con l’uso «metaforico» che Clarke fa dell’affordance, che
viene a suo avviso slegata dal processo percettivo, con il «serious problem» di «equate percepts
and concepts» (p. 286). Ciononostante, utilizzerò “affordance” anche nel suo risvolto più metafo-
rico e soggettivo (l’affordance di un titolo, per esempio), a fianco del concetto di “aspettativa”.
117
Nel Fonds Lourié presso la Paul Sacher Stiftung di Basilea (dossier «La Naissance de la beau-
té») è conservato un frammento senza data di «Le Bien public» con una recensione di A. de Pour-
quoy a un concerto di Lourié; a proposito della Gigue, il recensore scrive: «une “Gigue” qui ici
devient une danse de matelots russe [sic]».

108
Capitolo 2

soprattutto in relazione al materiale paratestuale (specialmente il titolo), la secon-


da al processo dell’ascolto. Il processo d’ascolto (che inizia prima dell’ascolto ef-
fettivo) potrebbe quindi essere schematizzato così:

Formazione musicale (passiva e attiva) dell’ascoltatore

Titolo affordances

Ascolto - riconoscimento/non r. di topoi afferenti alle affordances del titolo confermate/violate


- la disposizione del materiale suscita aspettative confermate/violate

2.1.2. TITOLI PER “SENTIRE-COME”


Il titolo, con la sua capacità di indirizzare l’ascolto, è particolarmente importante
in un contesto di rinnovamento. A questo proposito non sarà inopportuno rifarsi a
Wittgenstein, e considerare certi titoli come veicoli del “sentire-come”. Questo
tema della filosofia wittgensteiniana afferisce alla riflessione sul rapporto tra per-
cezione (uno stato) e interpretazione (un’azione)118  sui cui abbiamo visto le re-
centi posizioni di Clarke. Wittgenstein si rivolge innanzitutto e principalmente al-
la percezione visiva: il “vedere-come” è quell’«expérience singulière qui consiste
à reconnaître dans une image la présence d’une figure»;119 il caso delle immagini
multistabili, come l’anatra-coniglio di Jastrow utilizzata da Wittgenstein, dimostra
che la medesima immagine può essere vista come due figure diverse, a seconda
dell’atteggiamento120 con cui la guardiamo (in particolare, se la «fraseggiamo» da
destra o da sinistra). La nozione di «fraseggio», che evidenzia la direzionalità (e
quindi la temporalità) del processo percettivo, ci rimanda inevitabilmente al piano
dell’ascolto, e quindi all’atteggiamento corrispettivo al “vedere-come”, il “sentire-
come”. Non è facile adattare al “sentire-come” la definizione sopra riportata che
Alessandro Arbo ha dato del “vedere-come”, che si appoggiava ai concetti di

118
«È proprio vero che ogni volta vedo qualcosa di diverso, o invece non faccio altro che interpre-
tare in maniera differente quello che vedo? Sono propenso a dire la prima cosa. Ma perché?  In-
terpretare è pensare, far qualcosa; vedere è uno stato» (WITTGENSTEIN 1953 [1999], p. 279).
119
ARBO 2002, p. 150.
120
«“Per me è una fiera trafitta da una freccia”. La tratto come tale; questo è il mio atteggiamento
verso questa figura» (WITTGENSTEIN 1953 [1999], p. 269, corsivo dell’autore).

109
F. LAZZARO, Danza, incantesimo e preghiera

“immagine” e “figura” (l’immagine, anche se può essere fraseggiata, e quindi per-


cepita nel tempo, è comunque già presente nella sua interezza,121 a differenza del
dato sonoro): potremmo dire che il “sentire-come” sia “quella singolare esperien-
za che consiste nel riconoscere in una successione di suoni (o in un brano musica-
le, o in un suo frammento, o in una sua componente) la presenza di un particolare
aspetto: una figura (‘sentire questa successione di suoni come una melodia’, o
‘come un valzer’), un simbolo (‘sentire questo suono come segno che la lezione è
finita’),122 una funzione formale (‘sentire questo passaggio come
un’introduzione’),123 un tratto espressivo (‘sentire questa melodia come lamento-
sa’)124”.
Come ha rimarcato Arbo, il “sentire-come” ha un uso principalmente inter-
soggettivo: usiamo “sentire-come” non tanto per descrivere la nostra percezione
(sarebbe pleonastico), ma indirizzato a terzi, «when a listener actually needs to re-
orient his listening in order to achieve adequate musical understanding».125 Si trat-
ta di «redirect the listener’s attention» verso l’aspetto del dato sonoro che voglia-
mo rimarcare (in quanto importante per un’adeguata comprensione musicale di

121
«Au sens propre, en effet, je devrais dire que je vois toujours la même chose: d’un point de vue
optique, la figure sur la rétine n’a pas changé» (ARBO 2002, p. 154).
122
Cfr. ARBO 2009, p. 99.
123
L’esempio è di Wittgenstein, approfondito, insieme all’analisi di altri casi di figure musicali
“multistabili” in ARBO 2002, pp. 157 sgg., e ARBO 2009, pp. 103 sgg.
124
Cfr. WITTGENSTEIN 1953 (1999), p. 275. Non è questa la sede per discutere la questione della
«sensazione» degli stati d’animo nella musica; rimando a AHONEN 2005, che approfondisce le po-
sizioni di Wittgenstein discutendo l’interpretazione che ne ha dato Roger Scruton. Scruton ha an-
che estremizzato il “sentire-come” ponendolo come atteggiamento necessario a ogni percezione
della musica come musica: per usare ancora una volta un’efficace definizione sintetica di Arbo,
«whenever we are in a situation of listening to music, we do not simply ‘hear sounds’ but rather
‘hear-sounds-as-music’» (ARBO 2009, p. 99 e sgg. per la discussione).
125
ARBO 2009, p. 106. Cfr. un passo di Wittgenstein relativo all’intersoggettività del “vedere-
come”: «dire “Ora vedo questo come…” avrebbe […] tanto poco senso quanto il dire, dando
un’occhiata a un coltello e a una forchetta: “Ora vedo queste cose come un coltello e una forchet-
ta”» (WITTGENSTEIN 1953 [1999], p. 257). L’indirizzarsi a un altro ascoltatore, premette Arbo, non
è comunque esaustivo: «we can say: “I hear those bars as an introduction”. But in this case the ex-
pression loses […] its function, because we can more simply say, “in this bar, I hear the introduc-
tion” or, more likely, “I hear the introductory character (of the passage)” or “I don’t hear it”. So,
“hearing-as” directs us to a public, intersubjective situation» (ARBO 2009, p. 98).

110
Capitolo 2

quanto ascoltato) e che l’altro ascoltatore non coglie.126 Arbo analizza approfondi-
tamente due tipologie di reindirizzamento dell’ascoltatore nella prospettiva del
“sentire-come”: quella di un altro ascoltatore (o di un critico) che esplicita a paro-
le l’aspetto da cogliere (es. “prova a sentire questo passaggio come
un’introduzione”), e quella dell’esecutore che attraverso il suo modo di suonare
guida la percezione di aspetti potenzialmente ambigui o facilmente confondibili
del testo musicale, come le linee di un contrappunto.127
C’è poi una terza tipologia di funzionamento del “sentire-come”, cui Arbo
accenna senza esempi analitici, e che può essere chiarificatrice nel nostro discorso
sul ‘rinnovamento espressivo’. Per slegare la percezione di un dato aspetto
dall’esecuzione particolare del brano, riflette Wittgenstein, si potrebbe fornire
un’indicazione paratestuale (ad esempio, un titolo) che solleciti un certo tipo di
ascolto, cioè un certo modo di fraseggiare, di organizzare la nostra percezione del
lavoro; Wittgenstein propone un esperimento paradossale: far eseguire il medesi-
mo brano a un carillon (quindi meccanicamente e sempre identico a sé stesso) e
associare a ogni ripetizione un’indicazione (che potremmo chiamare un titolo), af-
finché l’ascoltatore senta quella figura musicale «così o così», senza che questo
comporti un diverso modo di suonare.128 Possiamo immaginare un esempio con
una melodia nota come Fra’ Martino. Alla prima ripetizione si associ il titolo
«Marcia»; questo significa dire all’ascoltatore: “Sentilo come una marcia”, e ve-
rosimilmente egli tenderà a sentire il brano in , con degli accenti più marcati in
battere  cioè lo fraseggerà “come una marcia”. Alla seconda ripetizione si potrà
associare il titolo «Ninna nanna»; probabilmente l’ascoltatore sarà portato a per-
cepirlo più legato e delicato. Se alla terza ripetizione si assocerà il titolo «Valzer»,
l’ascoltatore resterà spaesato; avremo creato un cortocircuito tra l’affordance del

126
Ivi, p. 106.
127
Cfr. gli esempi di ARBO 2009, pp. 103-105, e ARBO 2002, pp. 157 sgg.
128
Cfr. WITTGENSTEIN 1980 [1990], I, § 545 e 1130, e ARBO 2002, p. 163-164. ARBO 2009, in rife-
rimento a RIDLEY 2004, distingue tra il fine programmatico e quello rappresentativo (representa-
tional) dei titoli: «it is sometimes possible to use illustrations, less in order to target contents of
meanings than to reorganize our perception/conception of the work» (p. 103). Sul ruolo dei titoli
cfr. anche LEVINSON 1990, cap. 8, pp. 159-178.

111
F. LAZZARO, Danza, incantesimo e preghiera

titolo e le effettive possibilità di sentire il brano: se nulla vieta che Fra’ Martino
possa essere sentito come una marcia o come una ninna nanna, non può però esse-
re sentito come un valzer, poiché la sua struttura ritmica non risponde ai requisiti
immaginativi ‘permessi’ dal titolo (su tutti, il dover essere in metro ternario). Un
ascoltatore che legge «Valzer» ha, a causa delle sue conoscenze e delle sue espe-
rienze d’ascolto, un orizzonte d’attesa in cui il parametro “metro ternario” è al
primo posto: per ascoltare come un valzer il brano che gli viene proposto cercherà
pertanto di fraseggiarlo in tre, ma durante l’ascolto le sue aspettative verranno
continuamente tradite, con un effetto straniante.
Si provi ad applicare queste riflessioni al caso della Gigue di Lourié. Le af-
fordances del titolo sono molteplici (barocco, rapido, ritmo ternario o composto,
brano conclusivo di una suite, danza di paese, ecc.),129 ma quasi tutte vengono
tradite all’ascolto, tranne la velocità. Ma la velocità della giga, il suo abituale ca-
rattere vivace, è dato soprattutto dal fluente snocciolarsi di note in prolazione per-
fetta, ‘terzinate’ (indipendentemente dal fatto che la pulsazione sia binaria o terna-
ria). Il titolo Gigue, che Lourié lo volesse o no, invita a sentire il brano come una
giga, cioè a cercare il suo carattere di giga, a fraseggiarlo come una giga (sia in
veste di esecutore sia di ascoltatore, quest’ultimo inevitabilmente influenzato dalle
scelte del primo), e cioè, in primo luogo, a evidenziarne la ternarietà. La scrittura,
come avevamo già notato a proposito dei temi pseudoliturgici, non aiuta: il brano
infatti è notato in tempo tagliato. All’esecutore o all’ascoltatore che tentassero di
riorganizzare la loro percezione per far emergere l’aspetto della giga si presentano
diverse possibilità che ingenerano però aspettative subito deluse. Nell’esempio
che segue si visualizzano quattro diverse opzioni di fraseggio dell’incipit della
Gigue (di cui si traccia uno schema ‘gestuale’; si può leggere lo spartito supra,
nella Figura 1):
a) scansione ternaria;
b) scansione ternaria con anacrusi;
c) raggruppamenti in base alla regola gestuale “mano sinistra in battere”;

129
Per una tassonomia della giga cfr. LITTLEJENNE 2001, pp. 143-184, specialmente pp. 142-145.

112
Capitolo 2

d) raggruppamenti in base alla regola gestuale “mano destra in battere”.

Esempio 7 A. Lourié, Gigue, batt. 1-7: letture ritmiche.

(C) e (d) sono dettati dal carattere gestuale della scrittura, che potrebbe nascondere
una regola accentuativa: far cadere il battere sui suoni della mano destra piuttosto
che della sinistra resta una possibilità di fraseggio che trascende le stanghette di
battuta e carica il brano di un ritmo ora ‘barbaro’ (nel caso di [c]: la continua alter-
nanza di binario e ternario) ora molto regolare, ma a scansione decisamente quater-
naria (il )* )* | ) )* * in loop di [d]). Un accenno alla ternarietà è esplicitato dai tre
accenti consecutivi che Lourié scrive a batt. 6; se si inizia il brano fraseggiandolo
in tre (a) tale indicazione viene rispettata (cosa che non avviene se si ipotizza
un’anacrusi, come mostra [b]). In entrambi i casi di scansione ternaria si creano tut-
ti i tipi di figure gestuali possibili (* )* ; )* ) ; )* * ; ) )* ), che si susseguono senza re-
golarità sfuggendo alle aspettative.
Con nessuno dei possibili fraseggi si riconoscono i tratti principali di una
giga nella Gigue di Lourié, tuttavia rimane il fatto che la spinta (data dal titolo) a
(provare a) sentirla come una giga stimola l’ascoltatore e gli provoca un senso di
straniamento. Questa esperienza si inquadra in una forma di rinnovamento che
può essere riassunta così: “il ritmo dovrebbe essere quello di una giga, ma nella

113
F. LAZZARO, Danza, incantesimo e preghiera

modernità tutto è diverso, quindi quello che ieri sarebbe stata una giga oggi suona
così”. L’uso del titolo ha indirizzato l’ascolto dell’ascoltatore verso la ricerca di
alcuni parametri; senza alcuna indicazione sarebbe mancato il bagaglio di aspetta-
tive con cui confrontarsi, l’ascolto avrebbe forse colto il carattere di novità del
brano (per forma, armonie, sonorità, ecc.) ma non quello di rinnovamento. A que-
sta forma straniante, in cui le affordances e le aspettative vengono frustrate, si af-
fianca un modello di rinnovamento che invece sfrutta il soddisfacimento delle a-
spettative tradizionali relativamente ad almeno un parametro (es. il ritmo). Sareb-
be il caso di un brano in cui vengano a mancare gli appigli armonici tradizionali e
la consequenzialità melodica, ma che fosse costruito su un inconfondibile ritmo di
giga: in questo caso sarebbe come se il compositore suggerisse (tramite un gesto,
che può fare a meno di un’indicazione paratestuale) di sentire il brano come una
giga, nonostante tutto. È un modo per rinnovare il linguaggio musicale pur mante-
nendo il contatto con l’ascoltatore che potremmo descrivere con un’esperienza di
questo tipo: “sentire il ritmo di una giga mi aiuta a godere di un brano che ha ab-
bandonato il linguaggio abituale”. Nei prossimi capitoli si analizzerà proprio il
modo in cui i compositori del “rinnovamento espressivo”, e in particolare Jolivet e
Messiaen, hanno utilizzato, consciamente o no (e con o senza successo), questi
due stratagemmi percettivi per non perdere il rapporto con l’ascoltatore e al con-
tempo modificare il linguaggio musicale.

2.2. TOPOI E SIMBOLI


I contributi analitici che hanno incentrato il proprio interesse sullo studio delle ri-
sposte percettive al dato musicale sono perlopiù incentrati sul repertorio del clas-
sicismo viennese (ma possono e devono essere estesi al XX secolo). Raymond
Monelle parlava dell’operazione compiuta dal giustamente venerato Leonard Rat-
ner in termini di «mission», termine in cui convivono sfumature militari (“obietti-
vo strategico”), commerciali (ma siamo sicuri che Monelle non pensava a quelle)
e ovviamente religiose (“missione” ma anche “vocazione”):

114
Capitolo 2

Ratner’s mission was to show that certain portrayals are conventional, and
that musical figures can therefore suggest objects that […] are part of a se-
mantic universe within which the music is composed. Thus, no text or title is
necessary for musical topics to carry signification.130

Una missione  quella di riconoscere un livello semantico all’interno della musi-


ca, che non per questo diventa ‘a programma’, e che viceversa non ha bisogno di
un programma per rimandare a significati anche con rimandi extramusicali  con-
tro e pro: contro l’approccio ‘puro’ imperante e ritenuto esaustivo, pro lo studio
dei «learned cultural codes»131 che informano i topoi. Se il termine «learned» può
avere sfumature sia cognitive sia ecologiche (ma si è visto con Wittgenstein come
il confine tra interpretazione e percezione sia labile), è evidente che Monelle è
piuttosto in linea con la seconda prospettiva: l’ascoltatore del tardo Settecento im-
parava dalla percezione quotidiana a conoscere certi stilemi (melodici, armonici,
ritmici, timbrici) come appartenenti a una determinata sfera del mondo e a ricono-
scerli nelle loro apparizioni nella musica composta.132 Addirittura Monelle si sca-
glia contro la necessità di Ratner di trovare negli scritti dei contemporanei le giu-
stificazioni al suo approccio, e lo fa evidentemente per togliere zavorre cognitive
(anche potenzialmente falsanti) a degli elementi, quali i topoi, di cui nel suo The
Musical Topic (2005) investigherà proprio i caratteri di appartenenza condivisa a
un mondo.133 Questa spinta verso l’effettiva percezione musicale degli ascoltatori
ha avuto degli esiti anche sul versante dell’analisi delle forme: la tendenza, ancora
fresca e in pieno dibattito,134 è quella ad abbandonare l’approccio cognitivo tra-

130
MONELLE 2000, p. 14. Monelle apre alla prospettiva topic orizzonti che oltrepassano il reperto-
rio classico: propone egli stesso alcuni esempi, da Wagner a Ives.
131
Ibidem.
132
CLARKE 2005 condivide, infatti, gli assunti fondamentali della prospettiva topic (con le riserve
per cui v. infra n. 135), la cui ecologia contrappone alla tendenza psicologista a considerare piutto-
sto degli «emotional topics» transculturali fondati su qualità cinematiche e dinamiche (p. 175).
133
«Ratner’s mistake was to announce a basis in the writings of contemporaries, that is, a histori-
cal basis for his ideas. If theoretical ideas have any real interpretative force, it is unlikely that they
will have been proclaimed by contemporaries, for contemporaries are engaged in the justification
of their music and thus in concealing vital features» (MONELLE 2000, p. 24, corsivi dell’autore).
134
Cfr. CAPLINHEPOKOSKIWEBSTER 2009.

115
F. LAZZARO, Danza, incantesimo e preghiera

mandato dalla Formenlehre ottocentesca verso la definizione di strategie sempre


meno basate su schemi costituiti.
Monelle diffida dal fare affidamento sui discorsi dei contemporanei, ma non
è antistoricista in senso veterostrutturalista, tant’è che il suo approccio è quanto
mai ‘storicamente informato’ e ben conscio dei problemi che ha un ascoltatore di
oggi verso quei topoi appartenenti a un mondo che non c’è più.135 Il suo appello a
stare attenti alle letture falsate di chi deve legittimarsi è in ogni caso sempre fon-
damentale. In questo studio, nella ricerca di un approccio adatto per verificare gli
intenti dichiarati dai compositori ma non schiavo delle loro analisi, intendo non
limitarmi all’utile ma spesso un po’ fine a se stessa applicazione al repertorio dei
principi tecnici con cui autori facondi come Jolivet o Messiaen hanno dichiarato
di aver concepito la loro musica; il risultato porta di solito a un riconoscimento
piuttosto che a un’interrogazione del brano secondo alcune linee guida scelte in
base a uno scopo (l’ho mostrato nel caso di studio introduttivo, sul Banquet céle-
ste: il riconoscimento del secondo modo a trasposizione limitata o della lentezza
nella successione degli eventi  cioè di due elementi che Messiaen dichiara essere
presenti nella sua musica  poco ci dice degli effetti che l’utilizzo di tali procedi-
menti sortisce, e cioè dell’idea più latamente musicale e non strettamente tecnica
che informa il comporre di Messiaen).136
È raro incontrare studi che affrontano la musica del Novecento dal punto di
vista della sua percezione, che analizzano il modificarsi dei mezzi espressivi intesi
come punto di contatto tra il compositore che cerca il nuovo e l’ascoltatore che ha

135
CLARKE 2005, nel paragrafo che dedica alla topic theory, affronta proprio questo problema: se
un approccio topic è fortemente ecologico in relazione a (certi) ascoltatori del periodo storico in
esame (vuole studiare, cioè, come effettivamente si ascoltava la musica all’epoca), diventa imposi-
tivo e basato su un’applicazione cognitiva laddove voglia insegnare ad ascoltare come all’epoca a
un pubblico che non riconosce più i topoi come parte condivisa del suo mondo percettivo (pp. 159
sgg.).
136
Si ricordi l’ammonimento di ISER 1978 (1987) a proposito del fatto che l’autore possa essere il
proprio lettore ideale, cosa «frequentemente screditata dalle affermazioni che gli scrittori hanno
fatto sulle loro opere stesse. Generalmente, come lettori essi non fanno quasi mai osservazioni
sull’impatto che i loro testi hanno esercitato, ma preferiscono parlare in linguaggio referenziale
delle loro intenzioni, strategie e costruzioni, in modo conforme alle condizioni che si ritengono
valide per il pubblico che si tenta di guidare» (p. 66, corsivo mio).

116
Capitolo 2

formato il suo ciclo di percezione/azione (per usare Clarke) su certi invarianti e


certi topoi. Vorrei concentrarmi in particolare su due contributi che hanno a che
fare strettamente con il repertorio in esame: Approches symboliques de la musique
d’André Jolivet (1999) di Gérard Moindrot e Olivier Messiaen’s System of Signs
(2008) di Andrew Shenton.
Il primo è un esempio di ciò che mi propongo di non fare, e cioè accettare e
applicare pedissequamente la poetica esplicita di Jolivet alla sua musica, dandole
un carattere di autoevidenza invece di spiegare, semmai, in che modo si traducono
musicalmente certe idee del compositore. Già all’inizio dell’introduzione l’autore
scopre le carte: Moindrot è un fedele di Jolivet, non un suo studioso:

Depuis des temps immémoriaux, la conscience du sacré apparait totalement


inséparable de la condition humaine et la musique a toujours été le médiateur
privilégié entre l’homme et la divinité. […] Pourtant depuis quelques siècles,
la musique semblerait avoir perdu cette fonction sacrée. […] Si le langage
musical était coupé de tout son lien avec le transcendant, il ne serait plus
[…] qu’un exercice de rhétorique.137

E così via: è Moindrot che parla o Jolivet? L’autore continua con un lungo discor-
so su simboli e archetipi, finalizzato a dimostrare che ci sono in musica alcuni e-
lementi ‘primordiali’ che garantiscono una «fonction symbolique», grazie alla
quale

l’œuvre musicale se présente comme un métalangage qui, au-delà d’une cer-


taine rhétorique issue des éléments conceptuels de la technique composition-
nelle, s’adresse pour une part importante à l’inconscient de l’usager.138

Sembrerebbe di capire che Moindrot distingue un livello simbolico-espressivo in


qualche modo autentico dalle formule con le quali si realizza effettivamente: nega,
cioè, che la comunicazione con l’ascoltatore (l’«usager»: la musica è uno stru-

137
MOINDROT 1999, p. 7.
138
Ivi, p. 14.

117
F. LAZZARO, Danza, incantesimo e preghiera

mento, non un fine) avvenga tramite elementi del linguaggio musicale (topoi,
forme, formule, ecc.) che hanno una tradizione e che attraverso il loro uso nella
storia della musica hanno acquisito le valenze simbolico-espressive che detengo-
no. L’affermazione, seppure problematica, andrebbe perlomeno dimostrata; in-
vece Moindrot non offre nessun appiglio: «c’est à l’usager de la musique de Joli-
vet qu’il incombe de trouver ses propres résonances avec les œuvres du créa-
teur».139
Per spiegare la musica di Jolivet, Moindrot non fa che riportarne le dichiara-
zioni. Per esempio:

selon l’optique de Jolivet, le musicien travaille avec des vibrations ou des as-
sociations symboliques qui entrent en relation directe avec le psychisme de
l’auditeur. En fait, le secret de la magie des sons consiste en une utilisation
ingénieuse du matériau sonore et musical.140

Ma è effettivamente così? Le “vibrazioni” e le “associazioni simboliche” usate in


modo “ingegnoso” provocano il coinvolgimento dell’ascoltatore di Jolivet in un
non meglio spiegato automatismo? Moindrot non spiega in che modo: Jolivet non
avrà forse fatto uso dei materiali che aveva a disposizione e che gli forniva la tan-
to citata tradition per (cercare di) scrivere una musica che risvegliasse
nell’ascoltatore suo contemporaneo le reazioni che desiderava? «On connait
l’importance accordé au rythme par Jolivet»:141 è senz’altro vero, ma non ci viene
spiegato come lo usa.
Il caso del testo di Moindrot è fin troppo estremo nel suo abbracciare acriti-
camente la poetica esplicita di Jolivet, e pertanto non spiega nulla del rapporto tra
intenti dichiarati e composizione effettiva; soprattutto non spiega nulla di come
Jolivet abbia lavorato con la «fonction symbolique» della musica, data semplice-
mente per scontata e demandata alle reazioni dei singoli ascoltatori. Ritengo, in-

139
Ivi, p. 37.
140
Ivi, pp. 50-51.
141
Ivi, p. 53.

118
Capitolo 2

vece, che sia opportuno tentare un «approche symbolique» alla musica di Jolivet
considerando che è stata composta a Parigi, in una determinata epoca, tenendo
conto di determinate abitudini di ascolto; analizzare, come si farà nel prossimo
capitolo, le Danses rituelles da questo punto di vista significa interrogare i testi
musicali in relazione al trattamento dei topoi utilizzati e al gioco con le aspettative
generate dai titoli (che sono parte integrante dei brani) e dai gesti musicali (nel ca-
so in esame, che dichiara esplicitamente un’appartenenza al mondo della danza,
specialmente ritmici).
Shenton, al contrario di Moindrot, si pone da subito il dubbio che
l’ascoltatore non colga automaticamente nella musica che ascolta il pensiero del
compositore: «many people like Messiaen’s music, but do they understand it?».142
Inizia quindi, anch’egli, un lungo discorso sul simbolo, questa volta di stampo di-
chiaratamente semiotico, in cui ripercorre la terminologia della disciplina e alcune
posizioni.143 Il caso è particolare, perché, come si è detto a proposito del Banquet
céleste, Messiaen intendeva trasmettere con la sua musica contenuti di fede ben
precisi, il che, nota Shenton è un duplice problema:

first, his music sounds like no other, so there is no frame of reference for the
listener; and secondly, he is writing about Catholicism, which may have
been familiar territory to twentieth-century French audiences, but is no long-
er the case for the majority of listeners now […].144

A differenza di Shenton, credo che nonostante l’originalità di Messiaen, sussista


nella sua musica un «frame of reference» rispetto al quale il pubblico dell’epoca
in cui la musica veniva composta esercitava i suoi meccanismi di attesa: anche
Messiaen scriveva a Parigi, in una determinata epoca, tenendo conto di determina-
te abitudini di ascolto, e i contenuti simbolici o più immediatamente espressivi dei
suoi brani passavano attraverso il riuso che egli faceva di certi topoi, di certe for-

142
SHENTON 2008, p. 3, corsivi dell’autore.
143
Ivi, pp. 5-11.
144
Ivi, p. 47. Per ovviare alle lacune dottrinali del suo lettore, Shenton dedica il primo capitolo del
suo libro all’esposizione compendiaria della religione cattolica.

119
F. LAZZARO, Danza, incantesimo e preghiera

mule, di certi gesti. Così, se Shenton sceglierà come caso di studio le Méditations
sur le mystère de la Sainte Trinité (1969) in cui Messiaen applica il suo «langage
communicable»  esperimento di crittografia musicale che richiede un altissimo
tasso di conoscenza del nuovo codice per essere compreso appieno , nell’ultimo
capitolo ci si interrogherà piuttosto sul rapporto tra la nuova tecnica musicale ela-
borata da Messiaen e la possibilità di ascoltarla come imparentata, nonostante tut-
to, alla musica cui l’ascoltatore degli anni ’30 era più abituato. Shenton fornisce
istruzioni per decifrare un linguaggio altamente formalizzato, ma accanto a questa
dimensione semantica dell’ascolto ce n’è una, verso cui Messiaen ha più volte in-
dirizzato, di più immediato coinvolgimento,145 che si può cercare di spiegare at-
traverso lo studio di simbologie che non hanno bisogno di legende esplicative, ma
che si presentano sotto forma di associazioni e deviazioni da modelli connotati.
Entrambi i lavori di Moindrot e di Shenton affrontano il sistema di simboli
racchiusi nella musica rispettivamente di Jolivet e di Messiaen: musica che è con-
cepita, dunque, come un assemblaggio di elementi spesso criptici, che necessitano
di una spiegazione dell’esegeta perché l’ascoltatore possa apprezzarne in pieno le
implicazioni simbolico-esoteriche. In tal modo, Jolivet e Messiaen vengono con-
siderati soprattutto come compositori più vicini a quella che Meyer ha chiamato
“espressione referenziale”  per cui l’espressione emotiva dipende dalla compren-
sione del contenuto referenziale della musica  piuttosto che all’espressione “as-
soluta”  «nel senso che concepiscono i significati espressivi ed emozionali in-
nanzitutto come una reazione alla musica».146 Ritengo che la componente simbo-
lica e referenziale sia una componente importante, soprattutto sotto forma di nu-
merologie, ma che non esaurisca il valore espressivo ricercato da Jolivet e Mes-
siaen; il coinvolgimento emotivo che ricercavano, il rinnovato incontro tra musica
e uomo finalizzato a una comunione con il cosmo (Jolivet) e con Dio (Messiaen),

145
Cfr. ad esempio questo passo: «Il n’est pas obligatoire que l’auditeur puisse déceler d’une façon
précise tous les procédés rythmiques de la musique qu’il entend, de même qu’il n’a pas besoin de
chiffrer tous les accords de la musique classique […]. Du moment qu’il reçoit un choc, que c’est
beau, que la musique le touche, le but est atteint!» (SAMUEL 1999, p. 123).
146
GERACI 2003, p. 384; per la distinzione tra espressionismo referenzialista e assolutista cfr.
MEYER 1956 (1992), pp. 27 sgg.

120
Capitolo 2

non poteva richiedere per forza, per essere efficace, un ascolto informato, ma do-
veva cercare la sua forza nell’immediatezza dei mezzi musicali: risonanze che a-
giscano sui nervi, ritmi che travolgano e disorientino, riuso di topoi che risveglino
associazioni espressive sedimentate nell’enciclopedia musicale degli ascoltatori.
Che poi questi mezzi espressivi  ora dovrebbe essere più chiaro in che senso 
siano confezionati seguendo la serie di Fibonacci piuttosto che secondo i rapporti
suono-colore percepiti da Messiaen può spiegare il motivo per cui i compositori
hanno selezionato quel materiale, ma non aiuta a comprendere il modo in cui essi
cercavano di dare al loro pubblico una musica vivante. Ciò che si farà nella Parte
II sarà analizzare la costruzione dell’espressione: espressione che non significa
espressione dell’io del compositore (in senso romantico o espressionista)147 ma
coinvolgimento emotivo suscitato dal «processo di strutturazione derivato
dall’espansione di oggetti sonori dotati di una loro intrinseca valenza espressi-
va»148  intrinseca perché legata alla loro natura sonora (una risonanza, un ritmo,
un timbro) e alla loro storia (topoi).

147
La differenza sta nello statuto dell’io, che nell’espressionismo diviene un’insieme disordinato
di impulsi inconsci (cfr. BORIO 2003a, p. 42); per una storia dei concetti di espressione e costru-
zione cfr. MORELLI 2003, pp. 343-363.
148
VINAY 2003, p. 402. La frase riportata è riferita, da Vinay, a Varèse (il maestro di Jolivet, non
lo si scordi) in contrapposizione a Stravinskij, in una riflessione sul rapporto tra i concetti di “cos-
truzione” ed “espressione”; riporto l’intero passo: «La costruzione è per Stravinskij una formaliz-
zazione e una strutturazione che esclude l’espressione in quanto matrice psicologico-soggettiva
riflessa sull’oggetto sonoro. Ciò non significa che tale oggetto non conservi tracce profonde della
soggettività dell’artefice. Le conserva, eccome, ma le esprime in puri valori formali e costruttivi:
la costruzione è espressione. Per Varèse, invece, la costruzione è il risultato di un processo di
strutturazione derivato dall’espansione di oggetti sonori dotati di una loro intrinseca e intensa va-
lenza espressiva. La funzione del creatore è quella di un medium che libera queste valenze. Donde
le metafore poetiche connesse al concetto di arte-scienza (meglio sarebbe: arte-alchimia).
L’espressione si fa, diventa costruzione. Di questa natura espressionistica l’arte varèsiana conserva
non solo la visione poetica, ma anche la violenza della gestualità sonora» (corsivi dell’autore). Si
noti che la dichiarata non-espressività di Stravinskij sarebbe paradossalmente un’espressività (a
livello di costruzione) dell’io, secondo il modello romantico-espressionista. Si noti anche il sugge-
rimento di considerare quella di Varèse un’«arte-alchimia», molto vicino alla concezione magica
della musica ricercata da Jolivet (e in un certo senso da Messiaen); su questo cfr. anche VINAY
2007.

121
F. LAZZARO, Danza, incantesimo e preghiera

3. LE “DANZE” COME SPIE DEL «RENOUVEAU»


Nello scorso paragrafo ho proposto che per studiare le strategie di ‘rinnovamento
espressivo’ (cioè fondato sul riuso calibrato di topoi tradizionali attraverso i quali
l’ascoltatore possa mantenere un contatto espressivo con la nuova musica) sia uti-
le appoggiarsi ad alcuni punti chiave dell’approccio ecologico sviluppato da Eric
Clarke: in particolare il concetto di affordance e l’attenzione al ciclo percezio-
ne/azione che si basa sull’associazione, da parte dell’ascoltatore, di certe aspetta-
tive a certo materiale musicale. Infatti, il compositore che riusa e modifica, piutto-
sto che abbandonarli, i mezzi espressivi tradizionali (cadenze, ritmi, figure retori-
che) sfrutta proprio la tendenza dell’ascoltatore a reagire a quanto sta sentendo: in
questo il rinnovamento si contrappone alla novità tout court (come per esempio
era concepita, allora, la dodecafonia: troppo mentale e troppo poco attenta ai mec-
canismi percettivi).149 Le due possibilità di rinnovamento basato sulla tradizione
percettiva che abbiamo individuato sono la frustrazione oppure lo sfruttamento di
quella che Iser chiamò «la rete di strutture risposta-invito»:150 nel primo caso le

149
Come giustamente sottolinea MUSSAT 2001, in particolare pp. 178-182, Schönberg era ammira-
tissimo dai giovani compositori francesi, ma nessuno sceglieva di seguirlo. Jolivet stesso, che ave-
va appreso la tecnica dodecafonica da Varèse, la usava liberamente, più in senso modale che seria-
le (il suo modello era Berg più che Schönberg). Si legga questo passo significativo delle interviste
autobiografiche che il compositore concesse ad Antoine Goléa nel 1960: «la musique devant être
avant tout un phénomène sonore [, c]’est d’ailleurs en fonction de l’acoustique que Varèse et moi-
même avons adapté la technique de Schönberg, dont le moins qu’on puisse dire c’est qu’elle ne
s’est pas toujours préoccupée du résultat sonore» (JOLIVETGOLÉA 1960, II entretien, p. 282, cor-
sivo mio; cfr. anche n. 694); cfr. CONRAD 1994, pp. 278-293, che sintetizza in questi termini il
nuovo linguaggio di Jolivet: «it was perhaps [the] perceived difficulty of writing in a truly atonal
style, combined with his interest in natural resonance and attraction to ancient and exotic modes,
that led Jolivet to develop what might be described as a new kind of modal musical language. This
language generally draws upon the resource of all twelve pitch classes but gives attention to natu-
ral resonance as well, privileging certain intervals and notes […] and often creating subsets of
pitch classes, that may function as ‘modes’ and that can ‘modulate’ to other modes» (p. 285).
150
ISER 1978 (1987), p. 74. Trattando l’interazione tra testo e fruitore, è importante citare Iser, rife-
rimento di questo approccio negli studi letterari. Negli anni ’70 contrappose alla prospettiva critica
tradizionale, per cui il significato sarebbe una ‘cosa’ oggettiva da estrarre dal testo senza coinvol-
gimento del soggetto, una prospettiva nuova per la quale il significato è «un effetto da sperimenta-
re»: si trattava allora «non […] di spiegare un’opera, ma […] di rivelare le condizioni che produ-
cono i suoi vari possibili effetti, […] chiarifica[re] il potenziale di un testo» (ivi, p. 53). Per farlo
Iser si appoggiava alla fenomenologia, e in particolare al gioco di aspettative (chiamate, con ter-
mine husserliano, «protensioni»). Iser si confrontava con la teoria della letteratura e quella
dell’arte figurativa (in particolare Gombrich), senza alcun riferimento alla musica: tant’è che in-

122
Capitolo 2

aspettative suscitate dal titolo (o meglio, le affordances del titolo) entrano in rap-
porto dialettico con l’ascolto effettivo, nel secondo l’ascolto di un brano lontano
dalle abitudini percettive viene aiutato dalla presenza di alcuni elementi tradizio-
nali, in un processo che può comportare un rinnovamento dei topoi imprescindibi-
le dal loro riconoscimento. Nel caso della giga, i due casi si presentavano così: a)
un brano che si intitola “giga” ma non è una giga (in senso tradizionale), b) una
giga molto rivisitata (che può anche fare a meno del titolo “giga”; ma si può e-
gualmente immaginare il caso di un brano che si intitola “giga” e che è effettiva-
mente una giga molto rinnovata: semplicemente lo sfruttamento delle aspettative
sarà anticipato dalle affordances del titolo piuttosto che scaturire direttamente
dall’ascolto).
In breve, di fronte a un brano che si intitola “giga” ci si potrà chiedere: co-
me viene riutilizzata la forma “giga”, quali sono le caratteristiche minime per ga-
rantire a un brano di chiamarsi così senza che vengano frustrate le aspettative ge-
nerate dal titolo? Si può allargare l’indagine a tutte le forme di danza e a tutti i
brani che si intitolano con il nome di una danza specifica o semplicemente “dan-
za”: nel primo caso vale la domanda proposta per “giga”, nel secondo bisognerà
chiedersi come si inventa una danza, cioè quali elementi facciano percepire un
brano come una danza. Detto altrimenti: nel primo caso ci si interrogherà sulle af-
fordances di un titolo e sul ruolo del “sentire-come” che implica, nel secondo caso
ci si interrogherà sui topoi necessari a non scardinare del tutto il ciclo percezio-
ne/azione e quindi la risposta dell’ascoltatore al brano.
Per cercare di capire che cosa facciano i compositori francesi degli anni ’30
che dichiarano di voler rinnovare i mezzi espressivi, bisogna individuare quali
siano questi mezzi espressivi ormai sentiti come triti; su quali aspettative giochi-
no, quali meccanismi ritengano opportuno modificare, elaborare. La sintetica pun-

troducendo il suo concetto di «punto di vista errante» (p. 171), scriveva che è esclusivo dell’opera
letteraria il non essere colta tutta in una volta (evidentemente in contrapposizione all’arte figurati-
va). Nonostante la musica sia assente dalla sua trattazione, la riflessione di Iser è molto ‘musicale’:
alcuni dei suoi punti chiave, come la retroattività delle aspettative (che una volta tradite modifica-
no la percezione del testo che le aveva prodotte) o l’aspettativa del tradimento dell’aspettativa, so-
no fruttuosi nell’analisi musicologica.

123
F. LAZZARO, Danza, incantesimo e preghiera

tualità della Storia dell’arte di Ernst H. Gombrich viene in aiuto al ragionamento;


si parla del cubismo e del suo principio di disegno di un oggetto «dall’angolo vi-
sivo atto a farne risaltare più chiaramente la forma caratteristica»:

Naturalmente in questo modo di costruire l’immagine di un oggetto si anni-


dava il pericolo di cui erano ben consci i fondatori del cubismo. Esso è attu-
abile solo con forme più o meno familiari. Coloro che guardano un quadro
devono sapere come appare un violino per poter mettere in rapporto l’uno
con l’altro i vari frammenti dell’opera.151

È questo il motivo per cui ho scelto di indagare le danze: sono «forme più o meno
familiari», che l’ascoltatore può facilmente riconoscere e che si prestano pertanto
a giochi paracubisti di ridistribuzione oppure a fungere da idee di partenza (fami-
liari) da rinnovare. Per intendersi, se si ascolta un brano piuttosto rapido, in metro
ternario ben scandito (“zum-pa-pa”), verrà automatico etichettarlo come valzer.
Quindi, il compositore che voglia rinnovarne la percezione potrà giocare per e-
sempio sugli accenti, sugli slittamenti ritmici, e permettere contemporaneamente
all’ascoltatore di riconoscere l’archetipo di valzer dietro i suoi interventi.
Un esempio chiaro e consapevole (per via della sua programmaticità) è la
Valse (1919) di Poulenc contenuta nell’Album des Six del 1920. Il titolo e il mo-
dulo d’accompagnamento dichiarano apertamente che si tratta di un valzer, la me-
lodia ci gioca:

151
GOMBRICH 1994 (1995), p. 574, corsivo mio.

124
Capitolo 2

Esempio 8 F. Poulenc, Valse, batt. 1-8; 17-20: slittamenti metrici.

Ho evidenziato sopra la melodia lo scarto tra il metro percepito e quello scritto.


L’attacco del tema sembra sfasato: l’accento cade sul secondo tempo della battuta,
le semicrome iniziali vengono percepite come un’anacrusi. L’altro metodo di con-
fusione ritmica è l’emiolia, realizzata in vari modi (v. batt. 7-8, 17-18, 19-20).
La deformazione, però, non è l’unico metodo di relazionarsi alle danze, che pos-
sono invece essere sfruttate, proprio grazie alla loro riconoscibilità, per mantenere
aperta la comunicazione con l’ascoltatore laddove vengano a mancare, ad esem-
pio, gli appigli della tonalità. Infine, le danze si possono anche inventare: esistono
dei tratti indispensabili a definire un brano “danza”? A cosa ci si ispira per creare
una danza, per esempio una finta danza rituale? Sono questioni che emergono con
forza da molti brani nati in clima non-conformista.
Se ho scelto un esempio tipicamente “anni ’20”, la Valse dell’Album des
Six, è stato per anticipare una possibile obiezione, e cioè che non è certo una novi-
tà dei Jolivet o dei Migot giocare con le forme di danza, e che anzi è qualcosa di
squisitamente neoclassico. Il mio intento non è, tuttavia, di rivendicare per i com-
positori vicini al non-conformismo l’idea di servirsi delle forme di danza, sarebbe
insensato. La mia è invece la scelta di un punto d’osservazione che ritengo parti-

125
F. LAZZARO, Danza, incantesimo e preghiera

colarmente favorevole alla ricerca ‘sul campo’ del loro dichiarato interesse a rin-
novare i mezzi espressivi appoggiandosi alla tradizione. Si avrà modo, nel pros-
simo capitolo, di comparare danze neoclassiche e sperimentali (dal punto di vista
non-conformista), e di considerare i diversi atteggiamenti che hanno guidato i
compositori.152 Generalmente, quello che veniva considerato l’atteggiamento anni
’20 (si ricordi la finestra di Migot) era programmaticamente iconoclasta e agiva
sui mezzi espressivi romantici (es. il valzer) scardinandoli, mentre un compositore
del ‘rinnovamento espressivo’ si serviva piuttosto dei medesimi mezzi espressivi
(che riusava più che scardinarli) e della loro carica trainante nei confronti
dell’ascoltatore. Arnold Whittall così intende l’atteggiamento ‘neoclassico’ à la
Stravinskij (che contrappone al «modern classicism» di Bartók) e il suo rapporto
con l’espressione:

to the extent that neoclassicism depends on sudden shifts, conflicts and dis-
orienting textural and stylistic effects, it is as much an outgrowth of late ro-
manticism as of earlier, genuine classicism. Yet the music by Stravinsky
generally categorized as neoclassical is not the result of an attempt to be ‘in-
expressive’: rather, it concerns the possibilities for expression which arise
when the concept of ‘expressiveness’ is no longer tied to the aura of a late
romantic style.153

152
Arnold Whittall ha messo in guardia dal confondere l’uso di procedimenti tecnici simili con
l’assimilazione automatica del loro portato espressivo: «it is important to realise that very different
expressive qualities can be embodied in similar compositional techniques and textures» (WHIT-
TALL 2003a, p. 41), e viceversa che si possono esprimere «similar things in different ways» (p. 46).
Il suo discorso si riferisce a Stravinskij e all’affermazione (di Taruskin) che poiché il compositore
ha fornito le principali radici tecniche della modernità, allora sarebbe «the very stem» di tutta la
musica del Novecento (cfr. TARUSKIN 1996, II, p. 1675; cit. e discusso in WHITTALL 2003a). Nel
nostro discorso il fatto che il rapporto compositivo con le forme di danza non dia sempre lo stesso
tipo di risultato espressivo è basilare: solo partendo da tale assunto si può ricercare se il trattamen-
to delle forme di danza da parte dei compositori ispirati a ideali non-conformisti porti a risultati
espressivi diversi rispetto a quelli dei colleghi che denigravano.
153
WHITTALL 2003, p. 56. Lo studioso ha evidenziato anche altrove che è deviante non solo guar-
dare alla musica del primo dopoguerra con le categorie adorniane, ma anche e soprattutto far inter-
pretare a Stravinskij la parte dell’‘oggettivo’: «it is not the case that, after The Rite of Springs,
Apollo entirely eliminates Dionysus, or that (neo)classicism promotes synthesis at the expense of
continued, unresolved dialectic. Rather, the Stravinskian context […] intersects with those of other
composers, and is not absolutely, inherently different» (WHITTALL 2003a, p. 43).

126
Capitolo 2

Stravinskij, secondo Whittall, può sperimentare nuovi mezzi espressivi perché ri-
nuncia a quelli romantici: sostanzialmente li rimpiazza, il che è ben diverso
dall’affermare che elimina il livello espressivo dalla sua musica. Si può ritenere
che invece la musica composta secondo lo “spirito degli anni ’30” conservi il con-
cetto di «expressiveness […] tied to the aura of a late romantic style» quale punto
di contatto utile al coinvolgimento del fruitore: se gli uni scardinano e potenzial-
mente creano dei nuovi mezzi espressivi, gli altri rinnovano. In un altro passo,
però, Whittall sembra leggere i mezzi espressivi stravinskiani come molto più le-
gati alla tradizione di quanto sembrino:

not only do Stravinsky’s various vocal and instrumental works  even those
called symphony or concerto  ‘remake the past’ in ways that help to define
their inherent modernity; they allude to past modes of expression (and with
as much pleasure and anxiety) in ways that reinforce their generic links with
tradition, at the same time as they proclaim, stylistically, their distance from
tradition.154

A supporto di questa tesi, Whittall propugna uno studio trasversale sulla «resour-
ceful exploitation» da parte di Stravinskij delle «allusions to dance and song, and
to contrasts between dynamic and lyric topoi»:155 una proposta molto in linea con
quanto mi propongo di fare nel presente studio con i compositori non-conformisti.
A costoro, che sono l’oggetto della nostra indagine, Whittall perviene quando, do-
po Bartók e Stravinskij, si concentra su Messiaen; è interessante il riassunto che
dà della poetica della Jeune France, in cui spicca (sotto il peso di un evidente di-
samore), un richiamo a quelle medesime allusioni alla danza e alla canzone:

Messiaen managed to remain faithful to the concern of the ‘Jeune France’


group […] “to reemphasize passion and sensuality in music”, and to do this
by way of generic associations rooted in song and dance which normally
sought out varieties of ecstasy and only very rarely engaged with the fa-

154
WHITTALL 2003a, p. 44.
155
Ibidem.

127
F. LAZZARO, Danza, incantesimo e preghiera

voured twentieth-century genre of lament, or with any compensating Apol-


lonian serenity.156

Si tratta forse dell’unico passo della letteratura critica in cui si associa alla danza
la ricerca di ritorno all’espressione in musica propugnata dalla Jeune France; ten-
terò, nella Parte II, di approfondire meglio quelle che lo studioso chiama «generic
associations»: quelle «associazioni generiche radicate nella canzone e nella danza
che di solito cercavano di scoprire diversi tipi di estasi» sono, nelle intenzioni
non-conformiste, non una scorciatoia («generic») o una mancanza di gusto per il
moderno (nelle sue due vesti complementari: il «lamento» espressionista e la «se-
renità apollinea»),157 ma il fondamento del coinvolgimento espressivo radicato
nella tradizione.
Affrontare Stravinskij dal punto di vista di Whittall  cioè indagando la con-
tinua dialettica, finalizzata al rinnovamento espressivo, tra momento iconoclasta e
appoggio sulla tradizione  è senz’altro fruttuoso; ciò che conta in questa sede è
che per valutare l’appoggio alla tradizione lo studioso ha suggerito proprio un ap-
proccio analitico che considera la danza come una spia privilegiata. Se lo studio
delle danze (mascherate) in Stravinskij permette di evidenziare quei rapporti con
la tradizione che il compositore principalmente negava, tanto più sarà efficace in
un contesto poetico che invece non fa che rivendicarli.

***

Prima, però, di interrogare la musica, propongo un quadro. E chiedo al letto-


re che non ne conoscesse il titolo di azzardarne uno.

156
WHITTALL 2003, p. 66, corsivo mio.
157
In linea con quanto richiamato sopra, queste due anime della modernità non vanno intese come
afferenti per forza a diversi compositori: in Stravinskij, per esempio, Whittall illustra che convivo-
no (cfr. WHITTALL 2003a, pp. 44 sgg.)

128
Capitolo 2

Figura 2 P. Picasso, La danse, olio su tela, 1925.

Molte delle persone a cui ho informalmente posto la stessa domanda hanno pensa-
to a Festa; qualcuno che intuiva dove volessi andare a parare si è spinto verso il
campo semantico della danza. Effettivamente, il titolo di quest’opera di Pablo Pi-
casso è La Danse (1925). Titolo piuttosto generico. Si potrebbe facilmente sostitu-
ire con uno altrettanto generico e che non c’entra nulla, ma che trovi qualche giu-
stificazione iconografica, ad esempio Il bordello: c’è una donna nuda ‘in mostra’,
una coppia che interagisce (sembrano un uomo, a destra – forse nudo, poiché a
campitura monocromatica – e una donna, a sinistra – parrebbe indossare una gon-
na e ha in mezzo al petto qualcosa che ricorda un seno). Si potrebbe anche sostitu-
ire il titolo generico La danza con uno allegorico: è un’operazione che, peraltro, è
stata fatta da chi vi ha letto una rappresentazione dei tre stadi dell’isteria o una
crocifissione.158 Anche un titolo più specialistico sarebbe applicabile: una volta

158
Il riferimento all’isterismo, e in particolare alla lettura di CHARCOT 1887, è riportato da TOSO
2004, p. 100; LEYMARIE 1985, che interpreta le tre figure come femminili, sottolinea gli elementi
che si rifanno all’iconografia della crocifissione: «L’artiste, en cours de travail, apprit la mort de
son ami de jeunesse Ramón Pichot. […] Le profil de l’homme immobile et sombre que l’on voit se
découper à droite est le fantôme du peintre catalan. Il s’ajoute aux trois protagonistes féminins et
semble présider l’étrange spectacle où le rituel de la danse, frénétique d’un côté, majestueux de
l’autre, s’ordonne sur un schème de crucifixion. La danseuse médiane aux bras écartés […] en est
l’axe sacrificatoire et la bacchante convulsive de gauche s’identifie à la ménade en pleurs de
l’iconographie italienne. Sa fureur démoniaque est le revers de sa violence sacrée» (p. 81, corsivo
mio).

129
F. LAZZARO, Danza, incantesimo e preghiera

accertato che si tratti di una danza, si potrebbe proporre Charleston (forse), ma


non certo Cake-walk o Tango poiché la postura dei due ballerini non lo permette;
si potrebbe anche ipotizzare che la coppia danzi un charleston e la donna nuda sia
una ballerina classica, che probabilmente sta facendo un passé con le braccia in
terza posizione: Présent et passé sarebbe allora un titolo (con tanto di calembour)
che espliciti la compresenza di danza moderna e classica. Ciò che conta è che nel
quadro si possono cogliere sì dei tratti che tradiscono un’ispirazione a una danza
particolare, ma Picasso è più interessato a creare una sua danza, o meglio una sua
immagine di danza, che a ritrarne una; per poterlo fare deve comunque utilizzare
alcuni segni dell’immaginario “danza” (es. la coppia, la gamba sollevata).
Il titolo del quadro qui sotto, invece, non è semplicemente Danza o Balleri-
na; è un titolo specialistico: Fin d’arabesque (Edgar Degas, 1876-1877).

Figura 3 E. Degas, Fin d’arabesque, tempera e pastello su tela, 1876-77.

È un titolo che si rifà a un codice, quello dei passi di danza, che il pittore eviden-
temente conosce e che permette diverse risposte da parte del pubblico. Si può in-
nanzitutto verificare se sia corretto: lo è, e si può anche perfezionare, in quando si
tratta di un’arabesque ouverte (la gamba sollevata e il braccio allongé sono dalla

130
Capitolo 2

parte del pubblico: viceversa sarebbe un’arabesque croisée). Non si può sostituire
con uno altrettanto specialistico che sarebbe errato: ad esempio, Attitude preve-
drebbe un braccio sopra la testa. Piuttosto, il titolo specialistico si può sostituire
con uno più generico: e in particolare quest’opera ce l’ha, Danseuse au bouquet o
Danseuse saluant.159 Più difficile sarebbe sostituirlo con uno generico ma icono-
graficamente mal sopportabile, come, ancora una volta, Il bordello: è pur vero che
vi sono molte fanciulle, se vogliamo alquanto discinte, ma sono troppo connotate
(“ballerine classiche”) perché la competenza dello spettatore le possa confondere.
Se al contrario avessi sottoposto al lettore prima i titoli e poi i quadri, avrei
generato delle aspettative generiche, molto ampie nel caso di La danza, più speci-
fiche nel caso di Fin d’arabesque. Allo stesso modo, quando ci si trova davanti a
brani musicali con titoli come “Danza” (generico) o “Minuetto” (più specifico), si
hanno aspettative con un grado di normatività differente: per “minuetto” il codice
prescrive alcuni elementi imprescindibili, immodificabili (come il metro di ), con
un margine di libertà ristretto; “danza” permette più cose: implica se non altro
un’aspettativa di regolarità ritmica, o di ciclicità, probabilmente. Quali tratti irri-
nunciabili contiene l’idea di danza nella Francia degli anni ’30? Quali oggetti in-
vitano ad essere percepiti come “danza”? Che cosa permetteva (affordance) quel
contesto di intitolare “danza”?160

159
I differenti cataloghi dell’opera di Degas riportano l’uno o l’altro di questi titoli. Il testo dove
vengono citati in modo più completo è ROUART 1988, ma c’è confusione tra l’edizione francese e
quella ameicana (pp. 44-47). Rouart tratta le due Ballerines au bouquet della collezione Camondo:
la prima, del 1876-77 è la nostra (Fin d’arabesque ou Danseuse saluant), la seconda è del 1878
(Danseuse au bouquet saluant sur la scène); l’edizione inglese mescola titoli e sottotitoli e scam-
bia le didascalie: la nostra risulterebbe essere Dancer with Bouquet, Bowing on the Stage (1878),
l’altra Dancer with Bouquet, End of the Arabesque (1876-77). L’analisi del movimento rappresen-
tato sulla tela toglie però ogni dubbio: la nostra ballerina sta finendo un’arabesque, l’altra sta in-
chinandosi; entrambe hanno in mano un bouquet e, verosimilmente, salutano il pubblico.
160
COOPER 2002 illustra un interessantissimo caso di traduzione di un’idea di danza da parte di un
artista figurativo: si tratta dell’uso che avrebbe fatto Piet Mondrian di alcuni ritmi jazz per infor-
mare le proporzioni di alcune sue opere basate sulla combinazione di forme geometriche e colori.

131
F. LAZZARO, Danza, incantesimo e preghiera

4. UN CASO: TREIZE DANSES (1929)


Nel 1929, una casa editrice parigina, La Sirène musicale,161 dava alle stampe
un’antologia intitolata Treize danses. Si tratta di tredici brani per pianoforte di al-
trettanti compositori, omogenei per estensione (tra le due e le quattro pagine
l’uno) e per titolo: tutti si rifanno più o meno esplicitamente alla danza;
l’omogeneità viene meno quando si analizzano le caratteristiche di ogni brano.
Nella tabella che segue si può trovare qualche informazione sui brani:

Titolo e dedica Autore Batt. Metro


[con ritornelli]
1 Danse Conrad BECK 57 
à Bobuslav [sic] Martinu
2 Rigaudon Marcel DELANNOY 113 [140] 
à Ricardo Viñes
3 The Bacchante (Blues) Pierre O. FERROUD 64 [127] 
4 Fox-Trot Tibor HARSÁNYI 58 ‚
à la memoire de W.A. Johnson
5 Valse Jacques LARMANJAT 48 
à Michel Dillard
6 Gavotte Nikolai LOPATNIKOFF 83 [103] base 

7 La Danse Bohuslav MARTIN 43 


à mon ami Conrad Beck
8 La Sègue (Danse lente) Georges MIGOT 39 [55] 
9 Chindia (Danse paysanne roumaine) Marcel MIHALOVICI 125 base 
à Michel Dillard
10 Valse des pêcheurs à la ligne Manuel ROSENTHAL 48 
à Michel Dillard
11 Boston Erwin SCHULHOFF 100 
12 Burlesque Alexandre TANSMAN 69 ‚
à Arthur Hoérée
13 Rêve Jean WIÉNER 46 metri vari
pour ma Femme

4.1. GIOCARE CON LE FORME DI DANZA


Non è certo la prima volta nella storia della musica che si pubblica un’antologia di
danze. Pierre Attaingnant, per risalire agli albori della stampa musicale, pubblicò
nei suoi circa trent’anni di attività nove libri esplicitamente dedicati alle danze:
dalle Dixhuit basses dances garnies de Recoupes et Tordions… in intavolatura per
161
Nata come “La Sirène” (cfr. SIMEONE 2001 e HOPKINSON 1954, p. 113), La Sirène musicale
venne rilevata da Eschig nel 1936. Le Treizes danses sono ancora in commercio.

132
Capitolo 2

liuto (1529) al Septième livre de danceries a quattro parti di Estienne du Tertre


(1557).162 La destinazioni di simili raccolte erano puramente musicali o coreuti-
che? L’amatore, da un lato, imparava «à sonner espinettes, violons et fleustes, a-
vec basses dances, elëues pavanes, gaillardes et branles», lo scopo era dunque fa-
miliarizzare con lo strumento e «sçavoir les mesures et cadences de la musicque et
de toutes dances»163 (tradizionali, moderne e importate dall’Italia); d’altro canto,
però, la presenza nelle raccolte di danze composte a partire dalle chansons sembra
tradire una destinazione coreutica dei brani: le medesime melodie si cantavano
(acquistando le antologie di chansons) o si ballavano (non avrebbe avuto senso
trasformarle in danze se lo scopo fosse stato la sola esecuzione strumentale, per
cui sarebbe bastata l’intavolatura dell’originale vocale). Accanto a a) imparare la
musica (tecnica esecutiva e forme) e b) ballare, nasceva poi c) la pratica del virtu-
oso-compositore, specie di strumenti a tastiera, basata sull’elaborazione artistica
di temi e forme di danza intese come materiale compositivo (testimoniata, per e-
sempio, dalle due raccolte superstiti edite da Daniel Heartz).164 Per fare un esem-
pio significativo per ogni tipologia di raccolta: a) il trattatista-didatta Johann Kir-
nberger compose il suo Recueil d’airs de danse caractéristiques [1788] al dichia-
rato scopo di «servir de modèle aux jeunes compositeurs et d’exercice à ceux qui
touchent du clavecin»; b) il maestro di danza Feuillet illustrava il suo Recueil de
dances (1700) con i passi e gli schemi coreografici; c) il compositore Johann Se-
bastian Bach scrisse almeno 41 suites, per strumento solista o orchestra, magari
qualcuna a scopo didattico (le 6 Partite BWV 825-830 furono raggruppate sotto il
titolo di Klavierübung, ad esempio), ma sicuramente con forte intento di rielabo-

162
MCGOWAN 2008 scrive che Attaingnant «published at least one book of music for dances every
year from 1529 onwards» (p. 1); in realtà ciò non è esatto, come risulta dal catalogo approntato da
Daniel Heartz (1969): i libri dedicati alle danze sono i nn. 16, 17, 20, 28, 164, 165, 170, 172, 173.
163
Come recita il frontespizio di Musicque de Joye, la raccolta pubblicata a Lione da Jacques Mo-
derne verso la metà del XVI secolo.
164
HEARTZ 1965, edizione moderna del n. 28 (1531) del catalogo Attaingnant (Quatorze Gail-
lardes, neuf Pavennes, sept Branles et deux Basses Dances, le tout reduict de musique en la tabu-
lature du ieu d’Orgues, Espinettes, Manicordions et tels semblables instrumentz musicaulx…) e di
una raccolta pubblicata da Gardane a Venezia nel 1551 (Intabolatura nova di varie sorte de balli
da sonare per arpichordi, claviciembali, spinette et manachordi…).

133
F. LAZZARO, Danza, incantesimo e preghiera

razione compositiva (aspetto prevalso nettamente a livello di ricezione).165 Già


che si cita Bach, penso sia doveroso non dimenticare l’ammonimento con cui Me-
redith Little e Natalie Jenne accoglievano il lettore del loro Dance and the Music
of J.S. Bach:

As a personal word of advice, we urge readers not to intellectualize rhythm.


Many problems arise when rhythm is analyzed as a thing to be understood
by the mind, rather than as an activity perceived primarily by the body and
only secondarily by the mind. One aim of this book is to encourage a feeling
for the rhythms in the Baroque dances so that the full strength of their vitali-
ty may be experienced […].166

Quando si ha a che fare con delle danze, cioè, non si può prescindere dalla loro
dimensione potenzialmente coreutica poiché, anche se stilizzate o rese irricono-
scibili, implicano uno schema gestuale di partenza che bisogna tener presente an-
che solo per poter riconoscere le trasformazioni a cui sono state sottoposte; per fa-
re un esempio moderno: riconosciamo che la citata Valse di Poulenc non sia un
vero valzer, in quanto non si può ballare, ma proprio in questo riconoscimento in-
stauriamo un legame con la forma tradizionale che ci permette di apprezzarne l'al-
terità. Kirnberger si riferiva a forme di danza che andavano perdendo d’attualità:
la sua “guida alla composizione di danze” serviva proprio a insegnare quali fosse-
ro le caratteristiche standard delle diverse forme per poterle rielaborare artistica-
mente, e soprattutto per sfruttarne a proposito il portato espressivo (ed è pertanto
molto utile ancora oggi per studiare una tradizione irrimediabilmente interrotta);
molte danze barocche andavano via via perdendo la loro pratica sociale, ma resta-
vano come topoi compositivi: «teachers chose to instruct their pupils in the reco-

165
DREYFUS 1996, specialmente nel cap. 2, avvicina una danza di Bach (l’Allemande dalla suite
francese in sol maggiore, BWV 816) secondo un’ottica molto simile a quella che seguo per analiz-
zare le danze del mio corpus: si chiede, infatti, se non sia più interessate leggerla «‘against the
grain’ of the French genre» piuttosto che considerarla «as ‘influenced’ by the French ‘style’» (p.
37); così, «the inclusion of the French formula but in the wrong place therefore shows that Bach
was well aware of the conventional practice, but chose, intentionally, to rethink its meaning and
value» (p. 42).
166
LITTLE–JENNE 1991, p. x.

134
Capitolo 2

gnition of the various expressive gestures, and used the social dances, the danses
caractéristiques, as a primer for their study».167 Bach, invece sapeva danzare: ela-
borava un materiale vivo, percepito a più dimensioni.168
Anche Chopin, per citare un esempio emblematico del secolo successivo,169
ballava – e bene170 – valzer, mazurke, polacche. Nella sua Varsavia, negli anni ’20
dell’Ottocento, la vita era un ballo continuo: feste private e sfarzosissime (redu-
tas), balli pubblici e mascherate, danze nei salotti, fino a 15 balli per notte nel fre-
netico Carnevale; l’editoria musicale sfornava danze originali e riduzioni pianisti-
che di quelle suonate dalle orchestre nei grandi balli pubblici, per poterle ripetere
nelle feste private, o anche solo come ricordo di una bella serata171 (ancora oggi,
nei villaggi turistici, si può acquistare la compilation delle musiche che hanno fat-
to da colonna sonora – volenti o nolenti – al soggiorno). Erano perlopiù composi-
zioni dozzinali, di dilettanti, e anzi comporre valzer era un gioco alla moda, con
tanto di manuali pratici per inetti alla musica.172 Chopin, oltre a ballare regolar-
mente, suonava: Eric McKee ritiene (e supporta analiticamente la sua tesi) che
molti suoi valzer e mazurke, prima di finire sul pentagramma, siano nati nella sala
da ballo: molte delle loro caratteristiche sarebbero legate al movimento dei corpi
(un legame doppio: seguire le esigenze dei ballerini e imitarne in musica le mo-
venze). Dopo il 1930, lasciata Varsavia, Chopin introdusse nei valzer elementi e-
stranei ai moduli di danza (disturbi del metro e un’attenzione più marcata alla
struttura globale del brano), ma ciononostante in queste composizioni l'elemento
167
ALLANBROOK 1983, p. 29, cui rimando per gli ammiccamenti socio-culturali nella musica del
secondo Settecento.
168
Cfr. LITTLE–JENNE 1991.
169
«No other Romantic composer of art music was more devoted to the composition of dance mu-
sic than Fryderyk Chopin […].[N]early half of Chopin’s works are dances, and a large portion of
the remaining works incorporate dance elements within them». Così Eric McKee apre il suo illu-
minante saggio sui rapporti tra danza e musica nei valzer di Chopin (2004, p. 106).
170
Se no non gli sarebbe stato concesso l’onore di aprire le danze nella festa a Szafarnia di cui tes-
timonia in una lettera del 1825 (MCKEE 2004, p. 117 e n. 53).
171
Ivi, pp. 107-117 e passim.
172
Ivi, p. 116, si cita (n. 45) il manuale di Jósef Damse, Milion walców czyli Sposób ukadania mi-
liony walków dla tych nawet, który muzyki nie znaja [Un milione di valzer, ovvero Come compor-
re un milione di valzer anche per coloro che non sanno nulla di musica] (1829).

135
F. LAZZARO, Danza, incantesimo e preghiera

ritmico mantiene un implicito invito al movimento.173 Ne deriva una conclusione


molto importante, estendibile a tutto il repertorio musicale che si riferisce alle
forme di danza (da Attaingnant a Lachenmann – penso alla Tanzsuite mit Deu-
tschlandlied [1980]): «the distinction between functional and stylized was largely
a matter of how they were used in their social context».174
Come emerge dallo studio di McKee su Chopin, la relazione tra la forma di
danza e il suo scopo primario, ballare, non scompare e anzi assume importanza
nell’apprezzamento delle elaborazioni e nella connotazione espressiva. Arnie Cox,
interrogandosi sulla pregnanza del termine «gesture» in ambito musicale, offre
una riflessione interessante, a partire dall’idea che «our perception and understan-
ding of [musical] gestures involves understanding the physicality involved in their
production»:175 è importante studiare «how music engages us bodily»176 dal mo-
mento che «mimetic participation is fundamental to human comprehension»:177

Although all of our metaphoric conceptions of motion and space can be un-
derstood to bear the residue of their embodied origins, “gesture” seems to fo-
reground this embodiment more than most.178

È efficace il termine inglese, embodiment, per parlare dell’aspetto di fisicità resi-


dua nella nostra percezione musicale:

173
MCKEE 2004, p.121. Ad esempio, anche in valzer molto lirici come l’op. 69 n. 1, la scansione
ternaria dell’accompagnamento non si interrompe in corrispondenza di volatine non misurate (v.
batt. 27); nel corso del brano la figura alla mano sinistra si modifica e porta con sé uno spostamen-
to d’accento (’ ¥ ’ con accento sul terzo tempo, ’ ‘ con accento sul secondo), ma non viene mai
messa a rischio la percezione della scansione ternaria dei potenziali passi della danza.
174
Ibidem.
175
COX 2006, p. 45.
176
Ivi, p. 46.
177
Ivi, p. 47.
178
Ivi, p. 56.

136
Capitolo 2

Our embodied engagement with music affords an intimate, visceral and in-
tuitive way of knowing music.179

E non solo:

our embodied experience also motivates conceptualizations whose meanings


remain tied to this embodied experience […].180

Abbiamo, insomma, un residuo di corrispondenza fisica col suono che ci permette


(afford) non solo di rapportarci «visceralmente» e «intuitivamente» alla musica,
ma anche di trovare la fonte della connotazione associata ad alcuni gesti sonori. Il
termine «gesture» è dunque più pregnante di «figure», così legato alla percezione
visiva, che per la musica può essere solo metaforica, mediata:

“motive” and “figure” do not reflect that quasi-tangible feature indicated by


“gesture”, which focuses our attention on a more physically intimate under-
standing of how the music works.181

Il linguaggio, continua Cox, ha a disposizione, per indicare l’atto di apprendere,


termini afferenti al campo della vista («reveal», «show», «clarify») o del gesto,
dell’afferrare (grasp: «comprehend», «conceive», «perceive»),

but grasping has a different feel than seeing: grasping is more immediate;
and while it stills objectifies that which is grasped, our knowledge of the
thing grasped is more intimate and visceral than it is when we simply regard
it.182

Cox si riferisce a un tipo di ascolto mimetico, isomorfico (basato sull’imitazione


dei gesti dell’esecutore o su abituali equazioni cognitive) coi gesti musicali («all

179
Ibidem.
180
Ibidem.
181
Ivi, p. 57.
182
Ibidem.

137
F. LAZZARO, Danza, incantesimo e preghiera

such spatial conceptions begin with the feeling of an exertion dynamic that results
from mimetic partecipation»).183 Il discorso (nel quale continuiamo a riconoscere
il principio ecologico di percezione/azione) si può estendere a livello di forme di
danza e alla percezione di singoli brani che si distanziano dalla loro gestualità
standard: sento un minuetto, il mio «embodied engagement» mi indurrebbe a mo-
venze misurate da film in costume ancien régime, ma dopo pochi secondi scopro
che il presunto minuetto è atonale, o zoppo, la mia tentazione all’attualizzazione
del gesto riconosciuto in passo di minuetto si interrompe e subentra un’attenzione
alla differenza tra il gesto archetipico e il suo riuso. L’impossibile adesione corpo-
rea al gesto musicale porta a spostarsi su un livello percettivo meno automatico;
ma l’iniziale impulso a fisicizzare l’ascolto assicura una partecipazione più viva
all’evento musicale. Il compositore che per sperimentare si appoggia a una forma
di danza sfrutta la corrispondenza acquisita culturalmente tra gestualità sentita (il
ritmo di danza) e agita (l’impulso a ballarlo) per avvicinare fisicamente
l’ascoltatore al suo brano, salvo poi tradire (in vari modi) queste corrispondenze e
richiedere un tipo di attenzione anche intellettuale.
Per ritornare all’antologia del 1929, possiamo affermare con convinzione
che non era stata concepita per danzare. Proseguiva sicuramente la tradizione del-
le elaborazioni artistiche su forme di danza (c) e, accogliendone di inusuali, non
mancava di ammiccare alla funzione (a) di familiarizzare con quelle nuove (fox-
trot, boston) o rispolverare le antiche (rigaudon, gavotte). In un articolo sulla Mu-
sique moderne de piano, apparso in traduzione sulla «Revue musicale» nel 1930,
Roland Tenschert avrebbe dedicato un paragrafo a un «point très important dans
la musique moderne de piano, l’influence des danses modernes et de la musique
de jazz»:

Presque toutes les danses à la mode des vingt dernières années se retrouvent
maintenant dans la musique d’art, leurs outrances sont souvent atténuées,
leurs duretés tempérées, leur écriture plus artiste; on y ajoute des raffine-
ments et des complications. Dans la plupart des cas, le caractère de chaque

183
Ivi, p. 55.

138
Capitolo 2

danse est sauvegardé quoique les compositions aient complètement renoncé


à servir d’accompagnement à la danse; souvent aussi les caractéristiques de
différentes danses se trouvent combinées en une danse de fantaisie de style
moderne, simple Danse ou Ragtime, Ragcaprice, etc.184

Il corpus che Tenschert aveva preso in considerazione per l’articolo era costituito
da due serie di raccolte: «Musik der Zeit» (sei fascicoli pubblicati da Universal) e
«Das neue Klavierbuch» (tre volumi Schott).185 Si tratta dunque di antologie, co-
me quella della Sirène musicale: queste danze divenute «musique d’art», che han-
no «complètement renoncé à servir d’accompagnement à la danse», che mescola-
no tratti specifici di danze diverse, e che si intitolano ora semplicemente «Danza»
ora «Ragtime» o «Ragcaprice» (come non pensare al The Bacchante [Blues]
dell’antologia della Sirène musicale?), «sont largement représentées» nelle raccol-
te Universal e Schott, così come erano protagoniste di quella parigina. Per di più,
l’autore si sofferma proprio su due danze di Erwin Schulhoff e Conrad Beck: due
boston, che «permettent de se rendre compte à quel point la stylisation a déjà été
poussée».186 Oltre ai boston, a un tango di Hába e altre danze jazz, ci sono le
«danses de fantaisie».187 In ogni caso, come avviene con la «mélodie populaire»,
le danze sono considerate «un prétexte, une invitation à faire de la musique mo-
derne»,188 sono «une matière brute intacte» (perché di origine popolare) data per
la modernità.189 È un contemporaneo che ce lo conferma: la danza è un materiale,
un pretesto per sperimentare. Era un fenomeno diffuso, anche se non sempre ap-
prezzato. René Lévy critica duramente, sempre sulle pagine della «Revue musica-
le», le Trois pièces de danse (1928) di Tibor Harsányi.190 L’idea di «recréer» ed

184
TENSCHERT 1930, p. 231.
185
Ivi, p. 229.
186
Ibidem.
187
Ivi, p. 232.
188
Ivi, p. 231.
189
Ivi, p. 230.
190
Il recensore vi si riferisce come Trois Danses; il titolo che riporto è quello dello spartito Heugel
(lastra H. 29.948).

139
F. LAZZARO, Danza, incantesimo e preghiera

«élever jusqu’au domain de l’art» i ritmi contemporanei («les rythmes saltatoires


de notre temps»: si tratta di un tango, un boston e un fox-trot) è, secondo il critico,
molto ambiziosa, ma «non sans raison»: chi la mette in pratica si situa sulla stessa
linea di un Couperin o di un Bach, ma, nel caso di Harsányi, senza esserne
all’altezza:

Le jeune compositeur d’un Quatuor [il n. 1, del 1925] qui fit le tour de salles
de concerts européennes, a pensé, non sans raison, que les rythmes salta-
toires de notre temps étaient tout aussi génésiques de musique symphonique
que pouvaient l’être pour un Bach ou un Couperin les danses de leur époque.
Rien à dire contre le principe de cette idée, mais seule la réalisation justifiait
l’entreprise.191

E invece,

malgré le déploiement d’un orchestre complet augmenté par une batterie fort
nombreuse, je n’ai que bien rarement entendu des tangos, fox-trotts et boston
aussi ternes, aussi dépourvus de couleur, de vie et d’entrain que ceux par
lesquels M. Harsanyi a prétendu typifier ces danses.192

Il giovane compositore, critica Lévy, non avrebbe saputo inserirsi nella linea dei
«vieux maîtres» e anzi avrebbe privato le nuove danze della «sève qui anime les
ébats terpsichoriens contemporains», senza la capacità di sintesi necessaria a e-
strarne la «substance spirituelle».

4.2. COME ANALIZZARE LE DANZE


Come ogni editore sa, l’immagine in copertina è il primo approccio del possibile
lettore con un libro: una sintesi grafica di contenuto e carattere. Se prendiamo in
mano uno degli spartiti di danze pubblicati a Varsavia al tempo di Chopin, ad e-
sempio la Valse di A. wieszewski riprodotta da McKee,193 ci troviamo a leggere

191
LÉVY 1930.
192
Ibidem.
193
MCKEE 2004, p. 113.

140
Capitolo 2

un frontespizio tutto fronzoli, e con il titolo in francese (la lingua dell’alta società
– e della moda del valzer), illustrato con l’immagine, ricca di elementi significati-
vi, di una coppia che danza:

The fashions of the waltzing couple are French. The long, loose-fitting dress
of the woman, sans corset and ornamented with ribbons, accentuates her
whirling movements. The two dancers return our gaze as if to invite us into
their waltz [in nota: To avoid vertigo partners dancing the waltz would nor-
mally fix their gaze on each other.].194

Gli abiti, dunque, alla francese come il loisir di chi li indossa; e soprattutto lo
sguardo che si allontana dalla sua forma standard (la coppia che volteggia dovreb-
be guardarsi fissa negli occhi) per dirigersi verso il lettore-ballerino e assumere
una invitante valenza comunicativa (per parafrasare, “I want you for Parisian bal-
lroom”).
L’immagine scelta per rappresentare l’antologia di tredici danze è un dise-
gno di Michel Larionov; un secondo disegno si trova in quarta di copertina («cou-
verture d’aprèse les dessins originaux de M. Larionow», v. Figure 4 e 6).
Le edizioni della Sirène avevano in catalogo almeno due copertine originali
d’eccezione, una di Picasso per lo spartito del Rag-time di Stravinskij (1919) e
una di Raoul Dufy per quello di Le Bœuf sur le toit di Milhaud (1920), oltre al li-
bello Le Coq et l’arlequin di Cocteau illustrato sempre da Picasso;195 il che depo-
ne, se non altro, a favore dell’attenzione rivolta a questo importante elemento pa-
ratestuale. La scelta di Larionov, pittore russo emigrato a Parigi, protagonista in-
sieme alla compagna Natalia Gonarova della storia dei Ballets russes,196 sembra

194
MCKEE 2004, p. 113 e n. 34.
195
Cfr. FULD–BARULICH 1986.
196
Larionov, strettissimo collaboratore di Djaghilev, scenografo e costumista di allestimenti quali
Chout (1921) di Prokof’ev, le Histoires naturelles (1916) di Ravel e Renard (1922) di Stravinskij,
ha anche scritto e illustrato un libro dedicato ai Ballets russes (LARIONOV 1970): i disegni che lo
pervadono  immagini di ballerine, ballerini e ritratti di protagonisti della compagnia  sono meno
stilizzati della copertina delle Treize Danses (altri disegni di Larionov si possono vedere in LA-
RIONOV 1973; celebre è anche la sua illustrazione  copertina e nove disegni  del poema Il sole di
Vladimir Majakovskij, pubblicato a Parigi nel 1923). Sul rapporto tra Larionov (e la Gonarova) e

141
F. LAZZARO, Danza, incantesimo e preghiera

nettamente in sintonia con quella che qualcuno ha definito la politica dell’editore


Michel Dillard (che avrebbe promosso alcuni musicisti  perlopiù immigrati
dall’est europeo e residenti a Parigi  etichettandoli come “École de Paris”)197 e
con lo status di immigrés dello zoccolo duro degli autori delle tredici danze.

Figura 4 La copertina di M. Larionov per l’antologia delle Treize danses

Si consideri che lo stemma della Sirène musicale era un monogramma che inglo-
bava una S in una lira (l’immagine è tratta dalla copertina per le Sept pièces brè-
ves pour piano [1920] di Honegger):

i Ballets russes, cfr. ILJUKHINA 2005; sui due pittori cfr. anche almeno GONAROWALARIONOV
1996.
197
HOÉRÉEKELLY 2001. Il caso della cosiddetta École de Paris non è mai stato studiato in modo
approfondito e sarebbe una digressione troppo ampia in questa sede; la ricerca su questo presunto
gruppo dalle identità multiple sarà l’oggetto della mia ricerca presso l’Université de Montréal a
partire da gennaio 2012. Basti qui dire che le fonti dell’epoca sono contraddittorie su tutti i para-
metri che definirebbero questo gruppo, dai suoi componenti agli anni di attività, al punto da rende-
re dubbio il fatto che sia mai esistito un gruppo simile.

142
Capitolo 2

Figura 5 Monogramma delle edizioni La Sirène musicale,


tratto da A. Honegger, Sept pièces brèves pour piano, 1920.

La quarta di copertina di Larionov lo richiama:

Figura 6 M. Larionov, quarta di copertina delle Treize danses.

La lira era da almeno un secolo una delle immagini più fortunate dell’editoria mu-
sicale, secondo William Atwood un punto saldo dell’iconografia legata alla ma-
linconia romantica: «sheet music with covers depicting pensive young ladies, we-
eping muses, and dying poets, most of whom cradled a lyre in their arms».198 Co-
me spesso succede, i simboli più abusati acquistano nuova vita nelle rivisitazioni

198
ATWOOD 1999, p. 170.

143
F. LAZZARO, Danza, incantesimo e preghiera

ironiche; e così, in due celebri fotografie, Fauré si fece ritrarre con un ombi
(un’arpa della Guinea) tra le mani invece che con una lira (ma reggendo lo stru-
mento esattamente secondo l’iconografia dell’artista con la lira), e Stravinskij pas-
sò direttamente a un radiatore di automobile. La lira molto stilizzata della Sirène
musicale non lascia spazio a fraintendimenti romantici, e la rivisitazione di Lario-
nov vi aggiunge un che di ‘primitivo’ (avrebbero detto all’epoca) e ‘russo’ (nel
senso di vigorosamente e sinceramente popolare) che ben connota la raccolta di
danze (il fatto stesso di rivisitare un modello standard è parte integrante dello spi-
rito dell’antologia).
Le Treize Danses furono eseguite da Lucette Descaves il 28 febbraio 1931,
alla Salle Cortot, nell’ambito dei concerti della Société Musicale Indépendante.199
Il programma le citava proprio come «Album de La Sirène»: questa la loro ‘iden-
tità’, senza scomodare riferimenti alla problematica École de Paris. Un’identità
comunque non neutrale: le edizioni della Sirène erano state fondate da Cocteau,
erano il portavoce del paradigma ‘Six’; nel 1929, però, il clima era cambiato ri-
spetto a 10 anni prima: i Sei, se mai furono tali, sicuramente non lo erano più,
Cocteau stesso si era convertito al cattolicesimo e aveva perso la sua immagine
(reale o presunta) di iconoclasta.200 L’antologia della Sirène non contiene nessun
brano di membri dell’ex gruppo dei Sei, e accoglie anzi lo spiritualista Georges
Migot; la ratio sembra più quella del mescolamento promosso dai concerts salade
di Wiéner (che infatti suggella la raccolta con un brano a sua volta ‘salade’).
Queste danze sono diversissime l’una dall’altra, per ispirazione, spirito, sti-
le, ruolo dei titoli:
Ì titolo corrispondente a una forma di danza tradizionale: Rigaudon (Marcel De-
lannoy), Valse (Jacques Larmanjat), Gavotte (Nikolai Lopatnikoff), Valse des pê-
cheurs à la ligne (Manuel Rosenthal);

199
Cfr. DUCHESNEAU 1997, p. 325, concerto 151.
200
Sul Cocteau ‘finto rivoluzionario’ per fermare l’avanzata dei ‘veri rivoluzionari’ e imporre i
suoi ideali conservatori cfr. FAURE 1997, cap. 7. Sul rapporto tra Cocteau e il cattolicesimo, cfr.
SCHLOESSER 2005, cap. 5, pp. 173-209. Sul paradigma ‘Six’ v. supra Capitolo 1, § 5.

144
Capitolo 2

Ì titolo corrispondente a una forma di danza jazz: The Bacchante (Blues) (Pierre-
Octave Ferroud), Fox-Trot (Tibor Harsányi), Boston (Erwin Schulhoff);
Ì titolo corrispondente a una danza folklorica: Chindia (Danse paysanne roumai-
ne) (Marcel Mihalovici);
Ì titolo generico: Danse (Conrad Beck), La Danse (Bohuslav Martin
), La Sègue
(Danse lente) (Georges Migot), Burlesque (Alexandre Tansman), Rêve (Jean
Wiéner).
Se la danza di Mihalovici è l’unica che fa riferimento esplicito a
un’ispirazione folklorica, La Danse di Martin
(H 177) rientra a pieno titolo nel
genere, di cui entrambe condividono alcuni tratti caratteristici quali l’irregolarità
metrica e la ripetizione variata di pochi moduli melodico-armonici che costitui-
scono il materiale di base su cui il compositore costruisce la sua ricreazione a ta-
volino della pratica improvvisativa.
Le danze dai titoli neoclassici (Rigaudon e Gavotte) sono piuttosto diverse
nell’atteggiamento nei confronti dei loro modelli: se la prima, di Delannoy, riveste
lo scheletro della danza antica con materiale moderno (soprattutto urti dissonanti
tra materiale di per sé consonante), la Gavotte di Lopatnikoff inizia su un ritmo di
gavotta (politonale) ma lo perde dopo poche battute, quando i metri e gli accenti
iniziano a comportarsi come nelle danze di ispirazione folklorica: siamo davanti a
un esempio di meticciato franco-russo che qualcuno potrebbe definire da École de
Paris?
Ma i meticciati non sono un’esclusiva degli émigrés: Pierre-Octave Ferroud
confeziona un capolavoro di ironia sul retour à Bach e sulla jazz-manie intitolan-
do The Bacchante la sua versione blues dell’Aria ‘sulla quarta corda’:

Esempio 9 P.-O. Ferroud, The Bacchante (Blues), batt. 1-4.

145
F. LAZZARO, Danza, incantesimo e preghiera

A Ferroud, che avrebbe di lì a poco fondato la Société Triton (1932-1939), ri-


sponde degnamente uno degli organizzatori musicali più ferventi del decennio che
si stava esaurendo, Jean Wiéner, che in pieno spirito anni ’20 gioca un po’ con
tutti: il minimalismo onirico (satiano) che suggerisce titolo (Rêve) e refrain del
brano, e le forme di danza che vi inserisce  con didascalie:201

Esempio 10 J. Wiéner, Rêve, incipit delle sezioni.

Le affordances del titolo vengono tradite senza pudore da Larmanjat, la cui Valse
è in ; se si assume un atteggiamento percettivo influenzato dal titolo, se si cerca,
cioè, di sentire il brano come un valzer, si avrà l’impressione di un grammofono
che si inceppa regolarmente: il metro ternario è rispettato (e sottolineato dalla
scrittura e dagli interventi del basso) nella prima parte di ogni battuta, mentre alla

201
L’accostamento iconoclasta di generi contrastanti era la formula che Wiéner utilizzava anche
nella scelta dei brani per i suoi concerts salades (cfr. FULCHER 2005, pp. 152-154).

146
Capitolo 2

seconda è come se mancasse un ottavo  non per nulla l’indicazione agogica


all’inizio del brano è «Moderato (Tempo rubato)»:

Esempio 11 J. Larmanjat, Valse, batt. 5-8.

Il discorso sulle affordances del titolo si fa più spinoso  ma è qui il fulcro


della questione  davanti ai titoli Danse; se quella di Martin
si accosta a un mo-
dello folklorico, in che modo quelle di Beck e Migot rispondono alle aspettative
generiche di una danza? O per converso: nel contesto in esame, quali tratti per-
mettevano (afford) a un brano di essere intitolato “danza” (o di figurare in
un’antologia di danze, come è il caso della Burlesque di Tansman)? Ai brani di
Beck e Migot è prescritto rispettivamente «Lent et triste» e «Danse lente. Lente-
ment et plastiquement»; non puntano tanto sulla ricorrenza regolare di un ritmo o
sulla percezione costante di un metro, ma sul ricamo armonico melodico di qual-
che cellula ricorrente.
Nel caso della Danse di Beck, a struttura ABAB’, ci sono due pattern ge-
stuali di base, uno per sezione:

Esempio 12 C. Beck, Danse, batt. 1-2 e 17: i due pattern gestuali.

I due gesti sono complementari: il primo è una discesa cromatica in levare che poi
risale con una scala spezzata (in crescendo), il secondo un forte appoggio in battere

147
F. LAZZARO, Danza, incantesimo e preghiera

e nel grave che salta d’ottava (con successivo diminuendo). Si noti che il primo ge-
sto, basato sull’incipit Á ¥ , è metricamente ambiguo a causa della diversa interpre-
tabilità della disposizione degli accenti. L’esempio seguente esplicita alcune possi-
bilità:

Esempio 13 C. Beck, Danse, batt. 1-4: letture metriche.

Se si considera il fraseggio della mano destra (scritto sopra lo spartito), sino alla li-
nea tratteggiata una scansione ternaria è verosimile; sull’ultimo movimento di batt.
2 c’è un ulteriore battere, e il tentativo di fraseggiare da questo punto in poi come
se fosse ancora in tre non è convincente. Se si considera la parte della mano sinistra
come guida per i movimenti in battere, lo schema accentuativo (che ho tracciato
nella parte inferiore dell'esempio, sotto il sistema) abbandona la ternarietà già al
secondo piede per riguadagnarla solo all’ultimo; per la seconda parte della frase, lo
schema dettato dal basso è senz’altro più efficace da un punto di vista percettivo. In
breve, fino alla linea tratteggiata sembra prevalere la percezione di metro ternario
dettata dalla linea melodica, mentre da quel punto in poi è il basso a guidare la
scansione  che, in ogni caso, non combacia mai con il metro d’impianto così come
rappresentato dalla divisione in battute.
Il titolo della danza di Georges Migot, La Sègue, è probabilmente un nome
proprio (“sègue” non ha alcun significato in francese e non è un toponimo);
l’ipotesi, da verificarsi, è avallata da un’altra danza per pianoforte del composito-
re, La “Nimura” (1935), esplicitamente dedicata «au Maître-Danseur Nimura»;
inoltre, la mancanza di dedica fa supporre che il titolo sia in sé una dedica. La sua
struttura è più complessa di quella di Beck e privilegia una costruzione a tasselli
in eco:

148
Capitolo 2

1-2 3 5-6 7 9-10 11-14 15 17 19-20 21 23 25-27 28 30-31 32-33 34 36 38-39


4 8 bis 16 18 22 24 29 bis bis 35 37
bis
bis 1-8
34-35

I numeri corrispondono ai numeri di battuta. Nello schema, la battuta «en écho» è


stata posta sotto la sua gemella ed evidenziata in grigio. L’indicazione «bis» signi-
fica che la coppia di battute è scritta tra segni di ritornello con la prescrizione «la 2e
fois p». C’è anche un caso di ‘eco al quadrato’: la batt. 35 è eco (p) di 34 (f), e la
coppia di battute è tra segni di ritornello (anche le prime otto battute erano da ripe-
tersi, ma si tratta di un più tradizionale ritornello del primo periodo).
Gli effetti di ripetizione si inseriscono in un progetto più generale di ricerca
della regolarità (che non significa prevedibilità, chiaramente evitata); la regolarità
passa attraverso il solido impianto in  quasi privo di sincopi e l’utilizzo di cellule
ritmiche ricorrenti: oltre alle semplici ·poo– , ’ ¥ , ¥ ’ e ’ , caratteristiche del brano
sono —qËoo– e la duina di ottavi  che ovviamente destabilizza il carattere ternario:

Esempio 14 G. Migot, La Sègue (Danse lente), batt. 9-10 e 17-18: combinazioni ritmiche.

***
Questa breve panoramica sull’antologia delle Treize danses è servita a toc-
care con mano le questioni legate al rapporto tra titoli, aspettative, gesti, riuso e

149
F. LAZZARO, Danza, incantesimo e preghiera

invenzione di forme di danza. Si potrebbe riassumere che analizzare le ‘danze’


composte dai musicisti francesi degli anni ’30 significa rispondere alle seguenti
questioni:
Ì c’è continuità tra le nuove danze e i tratti che tradizionalmente venivano (e ven-
gono) compresi nel termine?
Ì quali sono i modelli o le forme di danza (se ci sono) cui si rifanno?
Ì c’è uniformità nell’utilizzo non convenzionale del termine “danza”, e cioè si va
in una direzione più o meno univoca di rinnovamento?
Ì il termine “danza” è un pretesto (con tutto il suo portato di aspettative) che serve
a contenere una ricerca linguistica che ha bisogno di un appoggio rassicurante?
Il corpus di brani intitolati “danza” o con riferimento a uno specifico genere
di danza (giga, tango, ecc.), è piuttosto esteso: alcuni compositori, che fanno capo
a tendenze estetiche diverse e impiegano tecniche differenti, hanno un catalogo
ricco di danze (Georges Migot, André Jolivet, Darius Milhaud). Alcuni di questi
brani sono stati eseguiti nell’ambito dei concerti organizzati dalle principali asso-
ciazioni musicali che si contendevano la piazza (La Sérénade, Triton, La Spirale e
Jeune France): i loro programmi, che offrono un punto d’accesso indicativo per la
ricerca sulla programmazione di musica contemporanea a Parigi in quegli anni,
non fanno che aggiungere titoli. Il seguente elenco è un panorama del materiale
potenzialmente analizzabile:202

Jeune France
A. Jolivet Tango (pf. 1927)
Grave et Gigue (vl. pf. 1930)
Algeria-Tango (pf. 1934)
Danse pour Zizou, one step (pf. 1934)

202
I programmi di Sérénade e Triton sono riportati in DUCHESNEAU 1997, quelli di Spirale e Jeune
France in SIMEONE 2002. Ho consultato inoltre i cataloghi di diversi compositori: i protagonisti
della Jeune France (André Jolivet [KAYAS 2005], Olivier Messiaen [SIMEONE 1998], Daniel-Lesur
[GUT 1984], Yves Baudrier [GRIFFITHS 2001]); gli ex-Sei (Darius Milhaud [COLLAER 1982], Fran-
cis Poulenc [SCHMIDT 1995], Arthur Honegger [HALBREICH 1994], Germaine Tailleferre [HAC-
QUARD 1999], Georges Auric [GOLÉA 1958], Louis Durey [ROBERT 1968]); Georges Migot (HO-
NEGGER 1977), Igor Markevitch (DREW 1980), Alexandre Tansman (HUGON 1995), Arthur Lourié
(GOJOWY 1993), Pierre-Octave Ferroud (ROSTAND 1957). Sul corpus di danze jazz composte da
Erwin Schulhoff, v. infra Capitolo 3, n. 72.

150
Capitolo 2

El viejo camello, tango (pf. 1935)


Fom Bom Bo [tango] (pf. 1935)
Madia, rumba (pf. 1935)
Danse incantatoire (orch. 1936)
Cinq danses rituelles (pf./orch. 1939)
Symphonie de danses (orch. 1940)
O. Messiaen Danse de la fureur (VI del Quatuor pur la fin de temps, 1940)
Danse du bébé Pilule (III degli Chants de la terre et du Ciel, v. pf. 1938)
Daniel-Lesur Suite française (orch./pf. 1935)
Passacaille (pf. orch. 1937)
Pavane (pf. 1938)
Ex Groupe des Six
D. Milhaud Souvenir de Rio [tango] e Polka (IX e XI di Le Carnaval d’Aix op. 83b orch.
1926)
Polka op. 95 (pf./orch. 1927)203
Trois Valses de Madame Bovary op. 128c (pf. 1933)
Suite d’après Corrette op. 161b (VII: Menuets, ob. cl. fg. 1937)
Introduction et marche funèbre op. 153b (orch./banda 1936)
Cortège funèbre op. 202b (orch. 1939)
F. Poulenc Villageoises (I: Valse tyrolienne e IV: Polka, pf. 1933)
Suite française (orch./pf. 1935)
Bourrée d’Auvergne (pf. 1937)
Deux marches et un intermède (orch. 1937)
G. Tailleferre Ballade (pf. orch. 1920-22)204
Deux Danses da Le Marin de Bolivar (orch. 1937)
Altri
J. Alain Deux Danses à Agni Yavishta (org. 1932-1934)
Trois danses (org. 1937-40)
M. Delage Chants de la jungle (II: Themmangée [Danse du tigre], v. orch. 1935)
C. Delvincourt Danceries (vl. pf. 1935)
M. Duruflé Trois Danses (orch. 1932)
T. Harsányi Trois pièces de danse (orch. 1928)
I. Markevitch Danse e Gigue (II e III del balletto Rébus, orch. 1931)
Galop (8 strum. 1932)
G. Migot Voici les Danseurs. Estampie (III di Suite en concert, hp. orch. 1926)
Prélude, Salut et Danse. Trois gestes plastiques sonores (pf. 1927, orch. archi
1931)
La Sègue, danse lente (pf. 1929)

203
Parte del balletto collettivo L’Eventail de Jeanne. Anche all’Album des Six (1919) Milhaud
aveva partecipato con una danza, la Mazurka composta nel 1914 (tra la Sarabande di Honegger e
alla Valse di Poulenc, per un totale di tre danze su sei pezzi).
204
Questo brano per pf. e orch. risale al 1920-22 ma è significativo che sia stato scelto per il primo
concerto della Jeune France.

151
F. LAZZARO, Danza, incantesimo e preghiera

Berceuse e Danse de la Noctuelle (II e III del Concert fl. vc. hp. 1929)
Les Poèmes du Brugnon (T. Klingsor) (nn. 14: Venez me faire danser, 16: Der-
nière danse, v. pf. 1933)
La «Nimura» (pf. 1934)
La Danse de Bérénice (pf. 4 m./2 pf. 1935-36)
Le livre des danceries (fl. vl. pf. 1929; orch. 1930)
G. Pittaluga Six Danses (orch. 1939)
J. Rivier Danse (orch. 1930, d’après Le retour du Tchad di Gide
A. Tansman Sonatine Transatlantique (I : Fox-Trot; III: Charleston, pf./orch. 1930)

La doppia via già accennata, brani intitolati genericamente “danza” o allusioni a


danze specifiche, porta a distinguere un primo livello di disomogeneità fra i com-
positori: solo il generico “danza” in Migot, solo danze precise in Milhaud (lo stes-
so avviene in Poulenc), entrambe le occorrenze in Jolivet. L’elenco proposto non
include la musica composta per i balletti, che ha evidentemente un altro tipo di
genesi e di fruizione (ma non si potrà non affrontare la questione della resa coreu-
tica di alcuni brani nati con titoli di danza, v. infra Capitolo 3, § 6).
Si è deciso di considerare un caso di studio complesso, le Cinq Danses ri-
tuelles di Jolivet, che permettono di affrontare, grazie agli stimoli analitici che of-
frono, alcuni dei brani elencati come corpus potenziale. Jolivet, come si è visto, è
il compositore che insieme a Messiaen elabora un pensiero estetico e un linguag-
gio musicale originali, in linea con le idee di stampo non-conformista. La presen-
za di titoli di danza nel suo catalogo degli anni ’30 è cospicua e piuttosto omoge-
nea: dopo i brevi pezzi degli anni di formazione, ispirati a forme di danza barocca
(Grave et Gigue) o contemporanea (tra cui i numerosi tanghi), la danze di Jolivet
divengono incantatorie e rituali; si cercherà di capire a quali modelli attinse il
compositore per elaborare la sua idea di danza rituale, in che misura fu influenzato
dal Sacre du printemps, con quali mezzi tecnici ed espressivi cercò di coinvolgere
il suo ascoltatore in questa musica che aspirava ad andare alla source della rela-
zione tra suono e uomo, in un confronto serrato con le diverse soluzioni scelte da
altri compositori che si trovavano a maneggiare materiali simili.

152
PARTE II

TRACCE DI DANZA,
TRA INCANTESIMO E PREGHIERA
3.
DANZE RITUALI
(INTORNO A JOLIVET)

Souvent, des textures denses se combinent à des motifs rythmiques répétitifs,


créant une atmosphère de frénésie qui permet de saisir l’auditeur et d’établir
“l’état vibratoire” recherché.1

Il ne peut être question dans une œuvre musicale contemporaine d’utiliser in


extenso les procédés parfois un peu simplistes en apparence des musiques
primitives: rythmes obstinés, répétition à satiété, tournures mélodiques fon-
dées sur un nombre très restreint d’intervalles, toujours les mêmes. Le pro-
blème était pour moi de transcender ces éléments pour en faire ce que doit
être toute œuvre de nos jours: un discours musical.2

[O]n n’a pas encore compris l’action psychique, physiologique et peut-être


thérapeutique d’une œuvre comme les “Danses rituelles”: c’est peut-être une
force mal connue…3

Il punto di riferimento di questa indagine sui brani con titoli di danza saranno le
Cinq Danses rituelles di Jolivet: innanzitutto perché sono cinque, e ciascuna è co-
struita in modo diverso, cosa che permetterà di associare alle diverse procedure
compositive altri brani di altri autori; e poi perché il loro titolo – rituelles – è un
trampolino per tuffarsi nel mondo che circonda e che giustifica i procedimenti
compositivi, ancora una volta toccando altri esempi dello stesso Jolivet o di altri;
ma soprattutto perché nessuna è una danza nel senso che l’ascoltatore occidentale
potrebbe aspettarsi, eppure tutte procedono da elementi di danza in senso tradizio-
nale, mascherati ed elaborati. Si tratta dunque di un caso complesso di trasforma-
zione di mezzi espressivi tradizionali spesso molto precisi e largamente condivisi.

1
CONRAD 1994, p. 107.
2
JOLIVET-GOLÉA 1960, p. 284.
3
O. Messiaen in SAMUEL 1999, p. 329.

155
F. Lazzaro, Danza, incantesimo e preghiera

La presenza di moduli legati alle forme di danza (di ispirazione ‘primitiva’, come
l’ostinato della Danse initiatique, o popolare, come il tango della Danse du héros)
può essere un mezzo per compensare il vuoto di aspettative armonico-melodiche
generate dall’abbandono della tonalità; allo stesso tempo, però, il modulo ritmico
stesso gioca in continuazione, nel corso del brano, con le attese che suscita, crean-
do in tal modo una propria regola di risposta percettiva. Inoltre, le aspettative ge-
nerate da un titolo (le affordances di quel titolo) talvolta si scontrano con l’ascolto
effettivo del brano. Oltre ai moduli ritmici, alcuni elementi relativi alla sfera del
‘magico’ e del ‘primitivo’ appartengono a reti intertestuali che abbracciano altre
composizioni di Jolivet: in questo modo il compositore crea nuovi topoi, che di-
vengono riconoscibili (e quindi legati ad aspettative) proprio perché ricorrenti.
Questo primo capitolo a carattere analitico approfondirà pertanto due dei
termini che costituiscono il titolo del presente lavoro: «danza» e «incantesimo».
Le cinque Danses rituelles forniranno altrettante possibilità sfruttate da Jolivet per
la creazione delle sue “danze”:
§ 1. Danse initiatique: trasformazione e stratificazione di ostinati;
§ 2. Danse du héros: sviluppo di una cellula ritmica connotata;
§ 3. Danse nuptiale: apparizione, alternanza, trasformazione di cellule ritmiche
non connotate in un contesto prevalentemente melodico;
§ 4. Danse du rapt: interruzione di un ritmo semplice;
§ 5. Danse funéraire: alternanza di sezioni su un ritmo base e di altre basate
sull’accostamento di ritmi, in una ricerca costante di fenomeni di risonanza.
Si sperimenterà, infine (e con un certo rammarico), che il rapporto tra testo e para-
testo, nella pratica, talvolta si autotradisce (§ 6).

1. OSTINATI E CLIMAX
Alle prime esecuzioni della Danse initiatique, qualcuno aveva forse già letto la
Storia della danza di Curt Sachs, uscita in francese (in edizione ridotta), nel 1938

156
Capitolo 3

(l’originale tedesco è del 1933);4 probabilmente gli era rimasto ben vivo nella
memoria, se non altro per l’effetto sgradevole di alcune pratiche, che «nei riti di
iniziazione di tutti i popoli, venga in essi praticata la circoncisione, la subincisione
del membro, la perforazione del lobo dell’orecchio, la limatura dei denti o altro, le
danze hanno sempre una parte considerevole».5 E probabilmente ricordava che le
danze di iniziazione possono essere, secondo lo schema comparatista di Sachs,
imitative o non imitative (nel primo caso non si poteva certo dimenticare che «la
forza di generare e partorire è trasmessa ai novizi, non con l’aiuto di circoli magi-
ci estatici, ma con la rappresentazione diretta dell’atto sessuale e della voluttà»).6
Le danze non imitative hanno spesso carattere circolare: gli adulti danzano intorno
alla fanciulla o al fanciullo per trasmettergli l’energia necessaria all’età adulta
(specialmente per procreare abbondantemente e in tal modo assicurare il futuro
della tribù), ovvero sono gli iniziandi ad acquisire l’energia dagli adulti circon-
dandoli in un circolo magico; le danze imitative sono più immediate (didattiche
piuttosto che magiche, osserva Sachs): una sorta di educazione sessuale, in cui la
danza imita i movimenti pelvici, la nudità offre ai due sessi un’occasione di con-
fronto tra gli apparati genitali, ai quali si può anche alludere per mezzo di oggetti
(ad esempio, flauti e frecce sono i sostituti fallici presso gli Apalaii del Brasile
nordorientale). In breve, dalle descrizioni di Sachs e da quanto si era potuto vede-
re all’Exposition coloniale del 1931 (ancor più che al meno vivant Musée de
l’homme, inaugurato nel 1937) il pubblico parigino poteva recepire in modo abba-
stanza informato una composizione come quella che proponeva Jolivet.7 In parti-

4
La prima esecuzione della versione pianistica (composta nel 1939) delle Danses rituelles ebbe
luogo il 15 giugno 1942; la prima della versione per orchestra (approntata nel 1940-41) il 5 dicem-
bre 1944.
5
SACHS 1933 (2006), p. 89; versione francese (1938) p. 42. Curt Sachs aveva anche curato, nel
1934, la mostra «La Danse sacrée» al Musée d’Ethnographie del Trocadéro; cfr. BAXMANN 2006,
pp. 58-59. Un anno prima, insieme a Erich von Hornbostel, aveva tenuto delle conferenze «sur la
musique orientale et les symboles de la danse» (cfr. PETIT 1933).
6
SACHS 1933 (2006), p. 124; versione francese (1938) p. 61.
7
Il testo di Sachs non figura nella biblioteca di Jolivet, e non si può pertanto sapere se lo cono-
scesse (v. infra § 3.3). Il concetto di imitazione rituale poteva essergli noto da altri libri che posse-
deva, ad esempio LÉVY-BRUHL 1935 (cfr. in particolare il cap. 5, «La participation-imitation dans

157
F. Lazzaro, Danza, incantesimo e preghiera

colare, dai passi sachsiani citati balzano all’occhio alcuni elementi di interesse
musicale: l’idea del circolo magico, che richiama i «Cercles mystérieux des adole-
scentes» del Sacre du printemps; i movimenti pelvici; il flauto fallico.
Stravinskij iniziava il suo «Circolo mistico», che secondo le categorie di
Sachs è una danza non imitativa finalizzata allo scambio di energia (nel caso spe-
cifico probabilmente le fanciulle traggono energia dalla terra per poter generare
come essa fa in primavera), con una melodia a tasselli accostati per difetto, col ri-
sultato di un’irregolarità metrica: 6-7-4-5-6. Queste frasi si possono scomporre in
due parti (denominabili arsi-tesi, attacco-desinenza, a-b): (4-2)-(4-3)-(2-2)-(2-3)-
(1-5). Lo schema chiarisce questi rapporti:

Esempio 15 I. Stravinskij, Sacre du printemps, II.2. «Cercles mystérieux des adolescentes», nn.
91-92.

Jolivet, per la sua danza, ripropone il procedimento di a-b irregolare (4-3), ma a


differenza di Stravinskij lo ripete per 14 volte (batt. 1-14):  ( +
 ) ¥ ’ ’ ’ ¥ ¦ ¥ ’ ’ ¥ .8

le mythes») o JUNOD 1936; cfr. l’inventario del Fonds Jolivet conservato presso la Médiathèque
Gustav Mahler a Parigi.
8
Nella voce «Ostinato» del Grove Music Online curata da Laure Schnapper (2001), l’ostinato del-
la Danse initiatique è proposto come esempio di «Rythmic ostinato on a single pitch»; peccato che

158
Capitolo 3

C’è pertanto un’idea di circolarità, di girotondo, ma su una base metrica dispari e


sincopata (pelvica?), sulla quale svetta l'assolo del flauto in sol (simbolo fallico?),
in un mélange di elementi non imitativi e imitativi. Questa interpretazione forse
stravagante del materiale delle prime 14 battute è solo una proposta di lettura delle
strutture musicali alla luce del contesto che potrebbe averle dettate: Jolivet era
molto sensibile alle simbologie; se anch’egli aveva letto Sachs, o chi per esso (il
musicologo tedesco crea un sistema a partire dalle letture di studi altrui), è forte-
mente probabile che ne avesse assimilato gli insegnamenti. Per comporre una
danza rituale di iniziazione, Jolivet avrebbe attinto a un modello musicale (Stra-
vinskij) e a descrizioni verbali che gli suggerissero il materiale e il modo di trat-
tarlo: nella Danse initiatique creata da Jolivet si possono ritrovare elementi carat-
teristici delle danze di iniziazione tradizionali (o perlomeno della loro descrizione
etnografica). Quanto al materiale si è già suggerito qualche spunto; ora è bene a-
nalizzare come viene trattato. La Danse initiatique si divide in due macrosezioni,
come fossero due momenti distinti del rito di iniziazione, ognuno dei quali ha una
struttura in climax ad arco.9
1-14 A
D (15-16)
17-23
(transiz.)
ostinato B
24-33 C
34-44 a
E 45-48 D b
sezione melodica 49-58 a’

l’estratto musicale (es. 2) sia tratto da Le Gibet di Ravel (secondo movimento di Gaspard de la
nuit, 1908, cfr. GUT 1990, pp. 34-35). L’errore è sicuramente dovuto al fatto che nel suo
L’ostinato, procédé musical universel (1998), l’esempio raveliano (es. 54) precede quello di Joli-
vet (batt. 1-3 della riduzione per pianoforte). Ma anche in questa sede c’è qualcosa che non qua-
dra: l’autrice spiega che l’ostinato su una sola nota è il mezzo con cui Jolivet rende sul pianoforte
l’idea di uno strumento a percussione, «impossible à traduire autrement sur un piano» (p. 88): ep-
pure nella versione orchestrale, che evidentemente Schapper non conosceva, l’ostinato non è mai
affidato alle percussioni, e anzi la sua componente di altezza determinata ha una parte rilevante nel
processo di climax.
9
Nel suo resoconto sulle danze cui aveva assistito nel suo giro del mondo, Alexandre Tansman
descrisse tra l’altro il segretissimo tcha-tcha di alcuni villaggi a sud di Bali: ciò che il compositore
rimarcava come «purement admirable» proprio la struttura in climax ad arco di questa danza
(«Cette conception de ‘l’émotivité en triangle’: montée, point culminant, descente»), che non ha
pochi punti in comuni con la Danse initiatique (TANSMAN 1934 [2005], pp. 138-139; v. § 3.3).

159
F. Lazzaro, Danza, incantesimo e preghiera

La prima climax nasce a livello di ispessimento progressivo dell’orchestrazione e


di arricchimento della melodia del flauto in A; in B si sposta sul parametro altezza
con l’innalzamento della nota ribattuta dell’ostinato (da sol a sol a si#) e passaggi
sempre più rapidi degli strumenti melodici fino all’esplosione dinamica e distesa
(cessa l’ostinato) di C, che si spegne in una stasi, zona neutra di passaggio a D; la
seconda ha il suo apice nella melodia spianata della sottosezione b.
Vale la pena di soffermarsi sui meccanismi di climax, dal momento che si tratta di
un mezzo espressivo tanto comune quanto per nulla scontato. Procedimento co-
struttivo effettivamente poco associato alle forme di danza in senso popolare o sti-
lizzato, è pertanto assente nei brani neobarocchi e neorinascimentali coevi. Ma il
coinvolgimento cui mirava Jolivet richiedeva una forma a climax: come spiegaro-
no due allievi del compositore a Bridget Conrad  che li interrogò sul perché della
struttura a climax tipica di molti brani, e in particolare delle Danses rituelles  il
maestro «compared the pacing of a musical composition with the act of sex and
argued that it shoul excite (faire barder) the audience in a similar way»  «Le pu-
blic est une femme, et il la faut faire subir».10

1.1. SUITE FRANÇAISE: POULENC E DANIEL-LESUR

Une suite française  non ce n’est pas ce que vous croyez: la Marseillaise n’y
figure point et il y aura une forlane, une gigue, pas de tango cependant.11

La Suite française op. 80 di Poulenc (1935) è un serbatoio di danze rinascimentali


(danceries di Claude Gervaise, XVI sec.), rielaborate per uno spettacolo teatrale:
Margot di Edouard Bourdet, andato in scena il 26 novembre 1935 al Théâtre Ma-
rigny di Parigi. Poulenc certamente ha avvicinato le danze alla base della sua ela-
borazione grazie a un volume antologico del 1908 dedicato alle Danceries (Ier vo-

10
CONRAD 1994, p. 353; i due musicisti intervistati sono Marc Bleuse e Philippe Drogoz.
11
Lettera di Ravel a Roland-Manuel del 1 ottobre 1914, cit. in MARNAT 1986, p. 409 (cfr. RAVEL
1990 [1998], lettera 122, pp. 115-116: 116).

160
Capitolo 3

lume) di Claude Gervaise, Estienne du Tertre e anonimi.12 Il soggetto del dramma


giustifica la scelta musicale: si tratta infatti della vicenda di intrighi attorno a
Margherita di Valois (1553-1615), argomento già musicato da Meyerbeer negli
Hugeuenots (1836) e romanzato da Dumas père dieci anni più tardi.13 Poulenc a-
veva scritto le musiche di scena per la pièce di Bourdet (op. 78, purtroppo risulta-
no perdute) insieme a Georges Auric.14 Quanto ci rimane, le danze raccolte nella
Suite française, è ben lungi dal rispecchiare il lato romantico della vicenda: sono-
rità ‘antica’ (2 oboi e 2 fagotti, 2 trombe e 2 tromboni, percussioni e clavicemba-
lo, ma accostati in modo non tradizionale) e nessuna traccia di climax in queste
danze. La forma bipartita dei modelli viene sostituita nella maggior parte dei casi
con un percorso più direzionato ABA’, ma senza introdurre caratteri di sviluppo o
di arco espressivo (come accade nelle due sezioni, pure tripartite, della Danse ini-
tiatique di Jolivet), anzi cercando la ripetizione e la quadratura, ma in un continuo
variare timbrico dei tasselli: la regolarità è mascherata dalla frammentazione.
Il «Bransle de Bourgogne» che apre la Suite è il n. 2 della sezione dedicata a
questo genere di danza nell’antologia del 1908. Ecco come lavora Poulenc a livel-
lo di derivazione melodica:

12
EXPERT 1908.
13
Dumas ha scritto nel 1845 il romanzo La reine Margot e ne ha tratto una pièce omonima
(«Drame en cinq actes et treize tableaux»), andata in scena al Théâtre Historique il 20 febbraio
1847 (come recita il frontespizio dell’edizione Michel Lévy del Théâtre complet [1874], p. 1).
14
Il lavoro è dato per perduto da SCHMIDT 1995, pp. 238-240. Tuttavia, Myriam Chimènes cita la
dedica sul manoscritto degli interludi per il secondo atto, che quindi risulterebbe (almeno quello)
esistere (POULENC 1994, p. 1014). La pièce si presta a un utilizzo drammaturgico della musica che
sarebbe interessante studiare, nel caso si rintracciasse il materiale. Basti leggere le ultime battute
del dramma (BOURDET 1949, p. 599):
POMINY: Ça y est, elle est accordé. Nous pourrions chanter notre duo à présent ?
MARGOT: Non
POMINY: Alors, quand ?
MARGOT: Plus jamais. On ne chantera plus jamais maintenant.
Più immediato è collocare alcune delle danze di Poulenc nella pièce in quanto interventi musicali
diegetici richiesti dalle didascalie.

161
F. Lazzaro, Danza, incantesimo e preghiera

Esempio 16 F. Poulenc, Suite française, I. «Bransle de Bourgogne»: confronto con il modello.

Questa la costruzione dei tasselli (le differenze tra il motivo base e i suoi derivati
sono di ordine armonico e timbrico):

A B
G. a b :|| c c c’ d cad :||
P. a b a’ b c c’ d cad d’ cad’ a’’ b a’’’ b’ c c’’ d cad’ a b a’’’’ b c c’ d cad d’ cad’
D D’ D’’

Come è evidente, Poulenc segue una logica di ripetizione variata dell’intera danza
di Gervais (e la prassi rinascimentale prevedeva probabilmente una simile ripeti-
zione con interventi estemporanei); una volta impostato, il susseguirsi dei tasselli

162
Capitolo 3

non viene modificato (manca solo la cadenza d’inganno in D’). Non c’è climax,
c’è ripetizione.
Più rimescolati sono gli elementi del secondo numero della Suite, la «Pava-
ne», per la quale Poulenc attinge alla Pavane d’Angleterre, prima della sezione
Pavanes avec Gaillardes dell’antologia. In questo caso la danza originale è tripar-
tita, ogni frase è composta di testa (a, b, ecc.) e desinenza (w, x, ecc.):

A B C
G. a-w :|| b-x :|| cc’- x’y :||

D E D’/J
A B M N A C B
P. a-w a-w b-x b’-x’ d-z d-z’ e-k f-k a-w cc’-x’’x’’’ b-x b’-x’’’’

La struttura generale resta tripartita, ma secondo strategie retoriche molto diverse:


in Poulenc è presente il principio della ripetizione come ripresa, mentre nello
schema di danza rinascimentale la ripetizione è locale, le sezioni non vengono ri-
chiamate più tardi (fatta salva la prassi, non scritta, di ripetere la prima).
La terza sezione non è semplicemente C come in Gervais, ma la ripresa di A e B
(D) con l’interpolazione del nuovo materiale C (che è nuovo fino a un certo punto,
già in Gervais, perché mantiene una desinenza già sentita: x), cosa che spinge da un
lato a designarla con D’, per il suo carattere di ripresa, dall’altro ad accostare un J,
perché in effetti il materiale interpolato a quello ripreso viene sentito per la prima
volta.
Si noti che la sezione contrastante (E) utilizza materiale non presente nella Pavane
d’Angleterre e non riconducibile ad alcuna delle danceries della raccolta. È una
costante di questa Suite, fatta eccezione per in n. 1 (una sola fonte), il n. 4 (che
non è una danza ma un «Complainte», durchkomponiert e stilisticamente lontano
dal carattere rinascimentale degli altri brani) e il 7 (che è un rondò ma risponde
alla stessa concezione: le due sezioni contrastanti sono ricavate dai Bransles sim-
ples I e V, il refrain dal III):15

15
Si noti che i Bransles simples I e III sono anonimi, ma Poulenc li utilizza pur rifacendosi espres-
samente a Claude Gervaise.

163
F. Lazzaro, Danza, incantesimo e preghiera

Materiale utilizzato
A B A’
I Bransle de Bourgogne I idem idem
II Pavane d’Angleterre ? Pavane d’Angleterre
III Bransle simple VI ? Bransle simple VI
V Bransle de Champagne II ? Bransle de Champagne II
VI ? ? ?

In breve, le sezioni contrastanti utilizzano materiale autonomo, che in nessun caso


(tranne il rondò n. 7) si riesce a rinvenire nell’antologia: è probabilmente compo-
sto ex novo da Poulenc, e infatti è di solito il più personale armonicamente. Nel
suo processo compositivo Poulenc ha cercato la forma a contrasto attingendo a
materiale esterno alla danza-fonte principale: ciò resta naturalmente oscuro
all’ascoltatore che non conosca gli originali e sia quindi impossibilitato ad accor-
gersi delle interpolazioni. Tuttavia è interessante dal punto di vista dell’idea com-
positiva: Poulenc, evidentemente, concepiva la danza come un ABA, ed esigeva,
per B, un contrasto maggiore di quanto potesse offrire il materiale appartenente al
medesimo brano-modello. Questa strategia a contrasto è altra cosa rispetto alla
climax ad arco costruita gradualmente, come si può illustrare graficamente: àyà
piuttosto che < >. Parallelamente a questa ricerca del contrasto formale, a livello
metrico sono rari i momenti in cui Poulenc introduce delle irregolarità che minano
lo scorrere della danza. Il n. 1, il più fedele al modello, ne accresce anzi la quadra-
tura: il branle borgognone e della Champagne, secondo i trattatisti coevi, era il più
irregolare;16 è evidente se si ritorna allo schema dell’Esempio 16: il motivo b,
quasi strascicato in Gervaise, viene inquadrato da Poulenc in due battute e in que-
sto modo assimilato a tutti gli altri (anche d viene ripetuto due volte per lo stesso
motivo). Il risultato è un susseguirsi regolare di motivi di due battute, fino al rullo
di tamburo (sostituito nella versione pianistica con una pausa generale) tra D’ e
D’’, che spezza l’andamento ormai assimilato prima di ripartire con l’ultima ripre-
sa.

16
Daniel Heartz associa il bransle coupé, irregolare, descritto da Antonius de Arena a quello che
Thoinot Arbeau chiama Bransle de Bourgogne o de Champagne, parimenti irregolare (rispetto alla
quadratura 2+2 del double e 2+1 del simple (HEARTZ–RADER 2009).

164
Capitolo 3

Nella «Pavane» (n. 2), invece, la sezione centrale introduce oltre al contra-
sto del materiale melodico-armonico anche una disparità metrica: le frasi e-k e f-k’
non sono più di , ma di ' la prima e  la seconda, per effetto della struttura ter-
naria della desinenza k:

Esempio 17 F. Poulenc, Suite française, II. «Pavane», struttura fraseologica.

In breve: Poulenc nella sua elaborazione delle danze di Gervaise opta per una lo-
gica di ripetizione variata, di solito inserita in uno schema tripartito, ma in ogni
caso senza processi di climax – una retorica estranea al modello rinascimentale e
al gusto parnassiano della Suite. Nelle sezioni contrastanti compone in stile un
materiale proprio, che nel caso della «Pavane» giunge a incrinare la regolarità me-
trica che caratterizza questa concezione della danza (regolarità che viene addirittu-
ra ricercata modificando il modello nel Bransle de Bourgogne).17
La disparità di concezioni formali tra le danze di Jolivet e quelle di Poulenc
rispecchia una divergenza di poetica? In altri termini, la poetica effettiva

17
Per un caso di studio simile a quello proposto cfr. RICHARDSON 2003.

165
F. Lazzaro, Danza, incantesimo e preghiera

(«l’orizzonte di pensiero che si disegna dietro [alla] composizione»)18 rispecchia


la poetica esplicita dei musicisti? Le posizioni estetiche del Poulenc degli anni ’30
erano per certi versi contraddittorie, come è evidente da un suo intervento del
1935 che creò un certo dibattito: Éloge de la banalité.19 Da un compositore con il
passato nel gruppo dei Sei come Poulenc, ci si potrebbe aspettare un elogio scan-
zonato della banalità in musica, della dimensione ludica e disimpegnata del com-
porre, ma questo è vero solo in parte. Poulenc si scaglia innanzitutto contro i mu-
sicisti che vogliono «du neuf à tout prix», capofila dei quali è Schönberg; Poulenc
si pone invece nella scia di «Haydn, Schubert, Liszt, Mozart, surtout Mozart»,
cioè di quei compositori che «ont assemblé dans un ordre nouveau des éléments
déjà connus». Fin qui nulla di strano. Ciò che desta stupore è il sesto capoverso:

Je rends grâce à Markevitch de créer un univers sonore tout neuf avec la


composition d’orchestre d’un classique. Voilà à mon sens la voie la plus
large, la plus vivante pour la musique, à l’heure actuelle.20

Il tono parareligioso («Je rends grâce») è il meno: Poulenc si era convertito e sta-
va scrivendo su una rivista cattolica  il capoverso successivo inizierà con: «Cer-
tains diront que je prêche pour mon saint». Ciò che stona, in un «éloge de la bana-
litè» è il contenuto religioso delle sue affermazioni: Igor Markevitch era un com-
positore spirituale,21 e ciò per cui Poulenc stava “rendendo grazie” era una musica
che nei suoi fini e nei suoi mezzi era e voleva essere tutt’altro che banale. A que-
sto slancio segue però la definizione, questa volta in tono paracocteauiano, di
«banalité», che si manifesta nei materiali musicali volgari da accostare a quelli
raffinati, e nel fine ludico e spensierato (purché dichiarato e autentico) del com-
porre e dell’ascoltare:

18
BORIO 2003a, pp. 1-3.
19
L’articolo apparve su «Présence» in ottobre, e sul numero di dicembre la redazione comunicò
che suscitò «nombre de réactions et de commentaires», motivo per cui si pubblicava la risposta di
Ernest K enek. DUCHESNEAU 1997, pp. 131-137 ricostruisce il dibattito, che continua sul «Méne-
strel» nel 1936 con due interventi di Koechlin (1936e) e Machabey.
20
POULENC 1935, p. 24.
21
Su Markevitch v. infra Capitolo 4, § 4.3.

166
Capitolo 3

J’ai pris depuis longtemps mon parti de mettre dans le même sac l’harmonie
rare et la cadence vulgaire. On ne peut pas se nourrir éternellement
d’ailerons de requins, de nids d’hirondelles, de laitances de carpes et de con-
fiture de roses.
Je hais également la cuisine synthétique, le parfum synthétique, l’art synthé-
tique  je veut de l’ail dans mon gigot, un vrai parfum de rose, une musique
qui dise bien ce qu’elle veut, même si elle doit parler gras. Je loue la banali-
té, et “oui pourquoi pas”, si elle est voulue, sentie, truculente, et non pas une
preuve de déficience.22

Nella sua risposta all’articolo di Poulenc, Ersnt K enek notava la contraddizione:

Francis Poulenc se trahit lui-même, me semble-t-il, lorsqu’il identifie l’usage


du langage traditionnel avec la banalité dont il fait l’éloge. Il loue la banalité
“si elle est voulue”; mais Schubert n’est pas banal et n’a jamais cherché à
l’être. La banalité est une façon naturelle et vraie de s’exprimer seulement si
elle n’est pas voulue, mais ingénue  en ce cas elle est “une preuve de défi-
cience”, comme Poulenc le constat justement.23

L’impressione è che Poulenc da un lato si sentisse legato a uno spirito ‘Six’, fatto
di gioco e irrisione innocua, dall’altro fosse percorso dall’«esprit de serieux» del
nuovo decennio, che si manifestava in lui nell’esigenza di sincerità dell’artista:
l’unione di queste due tendenze porta all’elogio di un’improbabile ‘banalità che si
prende sul serio’. Quello che non muta, nel compositore, è la tecnica: Poulenc re-
sta fedele al linguaggio tonale e alle forme classiche; la sua poetica effettiva resta
neoclassica, anche se quella esplicita ondeggia tra frivolezza e tensioni spirituali.
Il compositore della Jeune France che ha nel suo catalogo alcuni titoli che
rinviano a danze antiche è Daniel-Lesur.24 Sua è la Suite française eseguita al
primo concerto organizzato dal gruppo, cui seguiranno una Passacaille per piano-
forte e orchestra nel 1937 e una Pavane per pianoforte nel 1938 (pubblicata da
22
POULENC 1935, p. 25.
23
K ENEK 1935, p. 35.
24
Grave et Gigue per violino e pianoforte (1930) di Jolivet risale alle opere del periodo di prepara-
zione del compositore, e non è pertanto preso in considerazione; basti dire che la Gigue è una giga
che rispetta le affordances del suo titolo.

167
F. Lazzaro, Danza, incantesimo e preghiera

Durand nel 1939). Se si paragona quest’ultima alla «Pavane» di Poulenc appena


analizzata, si scopre che si potrebbero potenzialmente scambiare di paternità sen-
za creare scandali: infatti, dopo un incipit che suscita forti aspettative sul rinno-
vamento di cui Daniel-Lesur sembra investire la danza, comincia una pavana che
l’ascoltatore non deve fare alcuno sforzo per sentire tale: lenta, cadenzata, forma
ABA, qualche slittamento metrico tra  e  (esplicitato o derivante dalla disposi-
zione del materiale), coerenza interna ancora più forte che in Poulenc, poiché la
sezione centrale si basa sulla medesima cellula ritmico-melodica di A.

Esempio 18 Daniel-Lesur, Pavane, batt. 1-8.

La Suite française ha un’impostazione diversa dal suo omonimo poulen-


chiano. È composta da soli tre brani (I. «Divertissement», II. «Menuet», III. «Can-
tilène et ronde pastorale») e ha un’ispirazione popolare più che settecentesca. Si
prenda in esame il «Menuet»; nell’Esempio 19 (qui a lato) la sua struttura, con
l’incipitario delle sezioni.25
Da subito le affordances del titolo sono messe a dura prova: un minuetto in  (che
peraltro talvolta diventano 9)? Dopo la sezione A, che potrebbe essere autosuffi-
ciente e lasciare il dubbio sulla sua natura di minuetto, arriva come sezione contra-
stante un minuetto vero e proprio, che a causa della sua staticità armonica e della
sequenza di quarte parallele rinvia a un immaginario orientale o ‘impressionista’.
Poi ritorna il ritmo composto (@), più rapido di prima, su cui viene intonata una
melodia infantile fatta di poche note e accordi paralleli; il minuetto si conclude,
quasi fosse stato interrotto dalla canzoncina, più lento di com’era iniziato, e attacca
la ripresa della sezione A (conclusa da una reminiscenza, più lenta, della melodia
infantile y).

25
Gli esempi sono tratti dalla riduzione per pianoforte (Grenoble, Amphion, 1944, lastra A-103).

168
Capitolo 3

Esempio 19 Daniel-Lesur, Suite française, II. «Menuet»: forma complessiva con incipitario.

a :||

a’

y […]

x’
a
A’ b
a’
coda y’ a tempo (’ = 88)

Daniel-Lesur, a differenza di Jolivet, utilizza un materiale piuttosto semplice (im-


pianto modaleggiante, melodie di corto respiro tra l’infantile e il popolare, ritmi
regolari); al contempo, a differenza di Poulenc, non si rifà esplicitamente o impli-
citamente alla musica del passato: non rielabora gli antichi maestri né scrive à la
manière de. La costruzione del suo «Menuet» gioca con le affordances del titolo
su almeno due livelli: il primo è la sorpresa di scrivere tutta la prima sezione in un
metro non ortodosso per il genere, il secondo è l’introduzione, a un certo punto, di

169
F. Lazzaro, Danza, incantesimo e preghiera

un minuetto che è tale per metro e texture ma è ben distante dal Settecento per le
scelte armoniche. A livello macroformale, la danza della Suite française di Da-
niel-Lesur non si discosta dal modello ABA delle danze della Suite française di
Poulenc; se quest’ultimo privilegiava la giustapposizione e la combinazione di
tasselli, il musicista della Jeune France opta per un discorso più progressivo, più
unitario, ma comunque molto diverso dal complesso meccanismo di climax scelto
da Jolivet.26 A dichiarazioni di poetica simili possono corrispondere realizzazioni
ben diverse, e viceversa.

1.2. LA DANSE INITIATIQUE


Le Danses rituelles di Jolivet sono concepite in tutt’altro modo: in particolare nel-
la Danse initiatique la logica della ripetizione variata di tasselli in successione fis-
sa è sostituita da quella della elaborazione continua di ostinati sovrapposti, in un
processo di accumulazione a climax. Siamo di fronte alla seconda alternativa for-
male alla Formenlehre oltre a quella del montaggio neoclassico:

La concezione della forma organica non venne solo minata da un costruttivi-


smo che ricomponeva frammenti di strutture preordinate secondo un proget-
to formale calato, per così dire, dall’alto, ma anche in virtù del principio op-
posto, quello di un flusso continuo che sembra derivare da una tendenza na-
turale, ‘dal basso’, della materia sonora.27

All’idea di sviluppo si sostituisce quella di trasformazione continua, una conce-


zione formale caratteristica di Jolivet e di Messiaen  che la battezzerà «variation
perpétuelle»  e particolarmente adatta a coinvolgere le attese dell’ascoltatore.28
Nella prima sezione della Danse initiatique (ricordo che il brano è netta-
mente diviso in due ‘processi energetici’) l’aspettativa di regolarità metrica della

26
Diverso sarebbe il discorso per la Passacaille, un grandioso ciclo di variazioni perfettamente
inserito nella tradizione del genere e che pertanto non ha nulla a che fare con la passacaglia in
quanto danza.
27
BORIO 2003a, p. 35.
28
Sulla «variation perpétuelle» v. infra Capitolo 4, § 4.2.

170
Capitolo 3

danza è soddisfatta dall’ostinato in : basterebbe seguirne il percorso  anche iso-


lato dagli elementi che gli si sovrappongono  per individuarne le potenzialità e-
spressive. In presenza di un ostinato, un simile filtraggio non dovrebbe essere del
tutto inappropriato e deviante. Più l’ascolto è distratto più tenderà a cogliere sol-
tanto la regolarità ritmica e conseguentemente l’elemento che la genera: in effetti
l’ascolto di questa sezione della Danse initiatique può facilmente limitarsi alla
percezione dell’ostinato e della sua storia.29 Diverso sarà il discorso per la secon-
da sezione, dove la sovrapposizione di ostinati tenderà a un effetto di maschera-
mento degli ostinati stessi. Le due sezioni del brano esemplificano pertanto i due
diversi atteggiamenti che Laure Schnapper individua come alternativi nel rapporto
ostinato/percezione: da un lato, cioè, un ostinato che si definisce come tale proprio
in relazione alla sua identificazione da parte dell’ascoltatore, dall’altro l’ostinato
«lisible sur la partition mais pas audible, du moins par un auditeur non averti».30
Da un lato, l’ostinato come funzione dell’ascolto, dall’altro come ingrediente
compositivo. Si vedrà che la seconda sezione potrà fare a meno degli ostinati sen-
za diminuire la possibilità di ‘ascolto ordinato’ poiché un altro elemento facilmen-
te riconoscibile balzerà in primo piano: la melodia. Ma per ora si torni alla climax
dell’ostinato in , isolato da ciò che gli accade intorno.
Si ha un passaggio graduale dalla meccanicità sottovoce al ‘disordine’ forte; c’è un
aumento di entropia: l’ostinato di un solo strumento su una sola nota, a bassa en-
tropia in quanto molto ordinato, perde di prevedibilità (caratteristica essenziale
dell’ordine di un ostinato) mutando timbro (in un crescendo sempre più corposo
flautoclarinetto+arpa+fagotto) e arricchendosi armonicamente, poi perde
prevedibilità melodica (solsolsi#si) e infine ritmica, il disordine massimo, la
massima entropia.

29
GUT 1990 fa una considerazione inversa: la cellula ostinata nel terzo movimento della Sonatine
di Ravel «crée un effet obsédant auquel aucun auditeur attentif n’echappe» (p. 30, corsivo mio):
sembra pertanto che l’effetto dell’ostinato sia percepibile solo dall’ascoltatore attento.
30
SCHNAPPER 1998, p. 41. L’autrice si pone naturalemente il problema dei differenti livelli
d’ascolto a seconda degli individui, ma ritiene che «pour le cas aussi simple et universel de la ré-
pétition – il n’existe pas de musique sans répétition – on peut penser qu’un consensus existe par-
delà les limites d’un groupe culturel homogène, a fortiori lorsque cette répétition est obstinée» (p.
42).

171
F. Lazzaro, Danza, incantesimo e preghiera

A 1-4 Fl. in sol31 RICONOSCIBILITÀ: il pattern non è da subito percepito


come ostinato a causa della lentezza e della disparità
4+3

5-6 Cl. 1-2 SOSTITUZIONE TIMBRICA verso un timbro più corposo

7-9 + Hp. 2 INCREMENTO timbrico e armonico

10 + Cl. basso, Ve. e Vc. APPOGGIO timbrico, dinamico e melodico con effetto
di rubato

11-13 = 7-9 + Fg. RITORNO ALLA STABILITÀ con aggiunta timbrica

14 = 10 Secondo APPOGGIO e svanimento dell’ostinato

15-16 TRANSIZIONE: interruzione dell’ostinato


B 17-22 Fl., Fl. in sol, Cl. SVILUPPO: l’ostinato non è mai ripetuto uguale, cam-
bia di posizione melodica e di timbro

23 DISSOLUZIONE COMPLETA dell’ostinato in slancio me-


lodico
C 24-29 REMINISCENZE DELL’OSTINATO in melodia costruita
con combinazioni di cellule ritmiche in derivazione
reciproca
30-33 NESSUNA TRACCIA dell’ostinato

31
Gli estratti sono riportati in note reali per l’evidenza del percorso delle altezze.

172
Capitolo 3

Parallelamente al mutare dell’ostinato cambiano gli accenti metrici forti: il pas-


saggio, è da 4+3 a 3+4, come è evidente sullo spartito per pianoforte:

Esempio 20 A. Jolivet, Cinq danses rituelles, I. Danse initiatique: variazioni del metro nelle tre
sezioni della prima parte.

In A la scansione metrica in 4+3 è regolare, sottolineata dalla parte degli strumenti


gravi, dalla seconda arpa e dall’alternarsi di tam-tam (4) e gong (3).32 In B si dis-
solve la regolarità dell’ostinato e con essa quella degli accenti metrici, che dappri-
ma sono disposti in 2+4+1 e poi (2+2)+(1,5+1,5), ma senza regolarità. In C manca
ogni punteggiatura: e così il passaggio, indicato in partitura, della concezione dei 
da 4+3 a 3+4 è molto sfumato, e si afferma solo a batt. 30 (per subito svanire) in
(1+1+1)+(2+2), anticipato a batt. 28 dall’organizzazione a sestine degli archi acuti.

32
Il gong, strumento facilmente e genericamente associabile all’‘oriente’, è stato oggetto di un
suggestivo studio (FINK 2001) che ne indaga la presenza (esplicita, ma soprattutto retorica) nella
poesia del Novecento: il gong sarebbe portatore sonoro del sacro di cui l’occidente si svuota, ma
anche simbolo di violenza disgregante (quando viene colpito rilascia un suono che nega la bellezza
musicale tradizionale e nella sua complessità apre una «multiplication des chemins possibles», p.
242, e soprattutto spinge a un ripiegamento interiore dell’ascolto piuttosto che esteriore, delle ap-
parenze); il gong, oltre che avere una funzione tematica, è «une métaphore de la spécificité du mot
poétique au XXe siècle» (p. 248), che si manifesta in una poetica della «concentration sonore, de
la résonance, […] du coup et du heurt» (p. 249), della densità e della concentrazione monosillabi-
ca.

173
F. Lazzaro, Danza, incantesimo e preghiera

La seconda sezione del brano (E) si è detto essere concepita come una sovrapposi-
zione di ostinati che fungono da tappeto alla vera protagonista che è la melodia.
L’orchestra suona da subito piuttosto nutrita, divisa in tre gruppi: melodia, ostina-
to a, ostinato b e ostinato c:

Esempio 21 A. Jolivet, Cinq danses rituelles, I. Danse initiatique: ostinati della seconda parte e
loro orchestrazione.

batt. 34-37 38 39-40 41 42 43-44

Fl. in sol + Fl. 1-2 + Ob. 2 + Ob. 1


Cl. 1
Melodia Vl. 1
Ve.
Cb.
Hp. 1 ms
ostinato a Tam-tam
Fg. 2
Hp. 1 md + C.I. + tamb. + Ve. 2 (Ve. 1)
Cl. 2 + Hp.2 + Vc. 1
ostinato b Cl. basso b’ + Vc .2
Cr. 1
Cymb. cin.
Cr. 2 + Vc. 133
ostinato c Fg. 1 c’
Gong

33
I violoncelli I suonano la figura di c’ sugli accenti di b.

174
Capitolo 3

La climax si crea grazie all’ispessimento dell’organico con derivante aumento di


dinamica, ma a differenza di quanto avveniva in D, qui il processo entropico è in-
verso.
Se nel corso della sezione a (batt. 34-44) l’ispessimento dell’organico e l’infittirsi
dell’eterofonia aumentano in effetti il disordine, questo non è che la scintilla che fa
esplodere l’ordine liberatorio, la pressione che arrivata al massimo deflagra:
l’acme, la sezione b (batt. 45-48), è nettamente semplificato, si blocca il processo
di massimo disordine creato dalla sovrapposizione di ostinati e la maggior parte
degli strumenti si allinea a rinforzare la melodia, con un solo ostinato per contro-
canto (che per altro è il motivo della sezione c di D, dunque materiale già sentito,
più ‘ordinato’) e un ritmo regolare ben scandito da percussioni e arpa:

La fase di climax discendente (a’, batt. 49-58) funge da coda all’intero brano:
l’organico si assottiglia, la dinamica cala, ritorna il ‘disordine’ degli ostinati so-
vrapposti e l’onda melodica cede il posto a un dialogo tra stralci di melodia sempre
sfasati ritmicamente e pertanto imprevedibili. A cavallo di batt. 56-57, appena pri-
ma della fine (l’ultima batt. è la 58), il flauto in sol ripropone l’ostinato con cui a-
veva aperto la danza, sulla medesima nota (sol) e il medesimo metro (4+3).
Si può dunque riassumere che la Danse initiatique è bipartita in due processi
energetici, ognuno dei quali, tripartito, persegue una climax ad arco che ha al suo
apice un momento di esplosione melodica: tale strutturazione retorica della ten-
sione è ben differente dalla logica di accostamento propria di una concezione
maggiormente orientata in senso neoclassico della danza, come può essere quella
di Poulenc nella Suite française. In più, le strategie per creare la climax sono op-
poste nelle due sezioni: la prima procede da una condizione ordinata (ostinato,
metro scandito) verso un acme di elevato ‘disordine’ dei diversi parametri (au-
mento di entropia); la seconda, al contrario, nasce già ‘disordinata’ (sovrapposi-
zione di ostinati) e porta questo stato di disordine a esplodere in un acme molto
più regolare (melodia e controcanto ostinato, ritmo scandito: bassa entropia). La
differenza tra i due processi risiede nel diverso uso espressivo di quel mezzo

175
F. Lazzaro, Danza, incantesimo e preghiera

compositivo che è l’ostinato: il primo ne sfrutta la proprietà di guida regolare


dell’ascolto, il secondo lo considera un ingrediente per creare una condizione di
caos apparente.

1.3. TRA STRAVINSKIJ E VARÈSE


La forma a climax e la sovrapposizione di strutture ritmiche hanno un protagonista
importante in quegli anni: Edgard Varèse. Le sue composizioni approdarono a Pa-
rigi (dove risedette dal 1928 al 1933): per Jolivet fu un colpo di fulmine.34 Octan-
dre (1923) fu eseguito a Parigi nel 1927, Intégrales (1924) e Amériques (1921) nel
’29, l’anno seguente Offrandes (1921), e nel 1932 Arcana (1926-27).35 Ionisation
nacque durante il soggiorno francese di Varèse sotto gli occhi di Jolivet, che però
non poté ascoltarla che in disco nel 1934, poiché la prima fu newyorkese (assente
Varèse, nel 1933).36 La produzione di Varèse ha avuto una vera e propria influen-
za sulle idee compositive di Jolivet.37 In particolare la retorica della climax analiz-

34
I rapporti tra Varèse e Jolivet si possono leggere nella frizzante corrispondenza intercorsa tra il
1931 e il 1935 (VARÈSE–JOLIVET 2002). CONRAD 1994 ne ha evidenziato i legami compositivi,
VINAY 2007 ha sottolineato l’influenza di Varèse sulla concezione magica della musica di Jolivet.
35
Jolivet ebbe la rivelazione di Varèse con Amériques; solo nel 1931 ascoltò Intégrales (KAYAS
2005, pp. 95-96). Quanto a Octandre, la leggenda vuole che Varèse ne abbia chiesto una trascri-
zione pianistica a Jolivet come ‘esame d’ammissione’ del suo apprendistato (Ivi, p. 108).
36
Cfr. le lettere 29, 30, 31, 36, 41, 71 dell’epistolario VARÈSE–JOLIVET 2002.
37
“Influenza” è uno di quei termini che non si possono più usare senza pinze; nel caso del rapporto
Varèse-Jolivet si confugura, a mio avviso, un quarto tipo di influenza rispetto a quelle catalogate
da STRAUS 1990 (pp. 9 sgg.): non è del tipo 2 («influence as generosity») né del tipo 3 («influence
as anxiety») perché non è storica ma diretta, ma allo stesso tempo non è del tipo 1 («influence as
immaturity», quella tipica maestro-allievo), perché nel caso specifico Varèse è un maestro che
rappresenta l’avanguardia estrema e non la tradizione. L’influenza Varèse-Jolivet è una sorta di
tipo 1 positivo, in cui i tratti che l’allievo trae dal maestro si legano a un futuro agli albori e non a
un passato da superare. BARTHEL 2007, che si occupa di Stockhausen, Xenakis e Carter, non osa
parlare di «influence», ma piuttosto di «rapports» tra questi compositori e Varèse (p. 175, n. 9); nel
caso di Jolivet ritengo invece che «influence» (nell’accezione che ho specificato) sia proprio adat-
to, visto il contatto anche didattico tra i due compositori. KAYAS 2005 (pp. 116-119) parla di «œu-
vres sous influence» solo per quelle sottoposte direttamente a Varèse per consigli e correzioni: la
Sonate per vl. e pf. (1932) e il Trio per fl. vc. hp. (1933-34); ma è ovvio che l’influenza continua, a
livello affettivo (si pensi ai feticci di Mana), compositivo e di consigli anche indiretti come questo
del luglio 1934 (VARÈSE–JOLIVET 2002, lettera 31, corsivi di Varèse): «Mettez-vous à des œuvres
d’orchestre. Vous serez toujours à même de les améliorer lorsque de nouveaux moyens sonores
verront le jour – et seront d’usage courant – et d’emploi pratique – Instruments à ondes Impossible

176
Capitolo 3

zata per la Danse initiatique può trovare un pendant importante nella tipica strut-
turazione usata da Varèse: accostamento di episodi che accumulano energia fino a
un punto culminante quasi brutale che funge da cadenza e dopo il quale inizia
l’episodio successivo. Régis Authier associa questa concezione della climax alla
definizione che ne diede Kandinskij in Punto, linea, superficie: «nell’avvicinarsi
al margine della superficie di fondo, una forma guadagna in tensione, finché que-
sta tensione, nel momento del suo contatto col margine, improvvisamente ces-
sa».38 L’idea di spingersi fino a un limite invalicabile da cui non si può che crolla-
re nel vuoto, nel silenzio, come nel precipizio oltre le Colonne d’Ercole; climax
come non plus ultra, evidentissima in composizioni come Intégrales, dove dopo
le desinenze esplosive si ripresenta un ulteriore ciclo della figura principale,39
quasi in un eterno ritorno (mai, però, uguale a se stesso). È una concezione a una
sola direzione (<), a differenza di quella ad arco applicata da Jolivet (<>): in
quest’ultima il punto culminante è l’inizio di qualcosa, un trampolino su cui
l’energia si accumula per lanciare un’idea a piena voce, mentre in Varèse si tratta
di un urlo sempre più forte fino alla mancanza di fiato. Lo schema seguente illu-
stra il susseguirsi dei processi energetici di Intégrales:

A a 1-31 I ciclo
b 32-70 II ciclo
71-78
c 79-92 compatto
x 93-100 danza
d 101-126 III ciclo con corale
x’ 127-142 danza con desinenza
e 143-154 IV ciclo (coda)

B nenia dell’Ob.
f 155-181 risposta ottoni
desinenza
squillo dell’Ob.
g 182-190 risposta ottoni
desinenza

de décrire – Il faut entendre – Mais allez-y pour une œuvre d’orchestre et ne perdez pas votre
temps à composer pour violoncelle».
38
KANDINSKIJ 1926 (1999), p. 159.
39
La scelta di «figure» per designare i tasselli di base con cui è costruito il brano è di AUTHIER
2007, p. 204.

177
F. Lazzaro, Danza, incantesimo e preghiera

salti dell’Ob.
h 191-198 risposta ottoni
desinenza
nenia dell’Ob.
f’ 199-212 risposta ottoni
desinenza
dialogo perc./ottoni/legni
coda 213-224 corale di d
desinenza

Quasi tutti gli episodi (lettere minuscole) si concludono con un crescendo compatto
‘a picco’, per seguire l’immagine delle Colonne d’Ercole. O più esattamente: la
segmentazione che propongo si basa su questi eventi cadenzali. L’episodio c può
essere bipartito all’altezza di batt. 78 (cadenza ‘a picco’), con la seconda metà che
funge da slancio per la ‘danza’ di batt. 93-100 (di cui parlerò nel § 2.2). AUTHIER
2007 pone a batt. 78 la prima grande cesura formale del brano, a cui seguono quel-
la di batt. 154 (dove io faccio finire la sezione A) e la cadenza conclusiva; effetti-
vamente si apre una zona un po’ diversa dalla precedente, con i due potenti inserti
di ‘danza’ e una gestualità molto più compatta;40 tuttavia i criteri di segmentazione
sono potenzialmente molti e altrettanto validi: la forte cesura di batt. 154 mi sem-
bra di statura ben diversa da quella di batt. 78 (che anzi considero come mediana a
un medesimo episodio), e preferisco pertanto non considerarle equipollenti a livello
di articolazione formale. La sezione B è infatti costituita da episodi con una costru-
zione tipica e non utilizzata prima: sono tripartiti, basati su una risposta degli ottoni
a un gesto dell’oboe, e conclusi con la cadenza in climax. L’eccezione a questo tipo
di cadenza si trova nell’episodio f, che gioca con l’attesa del crescendo in sintonia
con gli episodi precedenti e la capovolge in un diminuendo; un’eccezione di questo
tipo non fa che sottolineare la regola (invertendola).
Intégrales fornisce, pertanto, un esempio eclatante del potere strutturante della
climax a picchi cadenzali in Varèse. La strategia retorica della climax può essere
negata (danze della Suite française), sfruttata in entrambe le sue direzioni (Danse
initiatique), o in una sola (Intégrales).41 Si è tirato in ballo Varèse per motivi di

40
Le radici di questa concezione tripartita del brano affondano almeno nell’analisi che ne diede
Marc Wilkinson nel 1957 (riportata da OUELLETTE 1989, pp. 224-225, n. 3).
41
Si sarà notata la relativa elasticità con cui si utilizza il termine climax: etimologicamente legato
alla gradualità, viene spesso usato metonimicamente per “acme”, che è il suo culmine, come nota
AUTHIER 2007 (p. 211, n. 14: «Dans la langue anglaise, [climax] désigne un apogée, un point cul-
minant. Cette signification correspond certainement à son emploi le plus fréquent»); in compenso,
il fenomeno di intensificazione graduale, cioè la climax vera e propria, viene spesso designato da-

178
Capitolo 3

completezza riguardo a questo argomento, ma così facendo ci si è allontanati dal


corpus di danze (o forse no, come si vedrà a proposito dell’episodio x di Intégra-
les).

2. RITMI ESOTICI
Il tango arrivò a Parigi nel 1905. Una moda sfrenata, che si manifestò nel modo di
vestirsi («un chapeau-tango, une coiffure-tango, un col-tango […], un escarpin-
tango, une robe-tango […], un parfum-tango, un sac-tango»),42 di mangiare («un
gâteau-tango»), di ballare, di flirtare.43 Negli anni precedenti il primo conflitto
mondiale «les professeurs français créèrent une danse exotique, restant assez
sombre»:44 il tango europeo, addolcito e codificato, nasce a Parigi e da qui si dif-
fonde (naturalmente come “tango argentino”); le standardizzazioni necessarie alle
competizioni internazionali si completano negli anni ’20-’30, col risultato di un
tango internazionale che si basa su quello francese e che è sempre più distante da
quello argentino.45
La tangomania parigina ha un importante effetto sull’orecchio musicale: il
ritmo su cui danza l’eroe di Jolivet nella seconda delle Danses rituelles, entrato
potentemente nell’immaginario francese con la Carmen come ritmo di habanera,
sarà ormai soprattutto percepito come “ritmo di tango”.46 Senza contare che il

gli anglosassoni col termine momentum, derivato dalla fisica (per un esempio di uso ripetuto di
climax nel senso di acme e di momentum nel senso di climax cfr. ROSAND 2007, pp. 251-253 e
passim). Il problema, nel nostro caso, è che la gradualità assume aspetti sempre diversi: dal mutare
dell’ostinato, alla sovrapposizione di voci, al crescendo rapido e simultaneo.
42
WEILAND 1996, p. 106. Senza dimenticare la fortunata rivista «Jazz-Tango» (cfr. JACKSON 2003,
p. 42 e passim).
43
Per un’analisi etnografica del rapporto tra il tango e Parigi che tematizza la costruzione di una
pratica e di un immaginario da parte di una cultura altra cfr. WEILAND 1996. Uno degli aspetti su
cui l’antropologa si sofferma è appunto quello del rapporto di coppia, in cui il tango introduce
l’‘improvvisazione’. Cfr. anche SAVIGLIANO 1995, pp. 109-128.
44
HESS 1996, p. 41.
45
Ivi, p. 41-2.
46
Il ritmo di habanera-tango aveva ricevuto intorno al 1920 una forte connotazione brasiliana gra-
zie alle Saudades do Brasil (op. 67, 1920-21) di Milhaud. La permanenza della connotazione cu-

179
F. Lazzaro, Danza, incantesimo e preghiera

compositore aveva un rapporto particolarmente stretto con questa danza: tra i sette
titoli consacrati, nel suo catalogo tra il 1927 e il 1935, a forme di danza, ci sono
ben quattro tanghi (Tango, Algeria-Tango, Fom Bom Bo, El viejo camello  che
nonostante il sottotitolo «tango» è in realtà più vicino a un fox-trot o a un cake-
walk, di tradizione affermata almeno dai tempi del Children’s Corner), una rumba
(Madia), una giga (Grave et Gigue), e una indefinita Danse pour Zizou. È curioso
che il tango più tradizionale scritto da Jolivet sia Fom Bom Bo, il cui titolo, come
è evidente, non vi allude, mentre Tango, di sette anni precedente e il primo a esse-
re composto in assoluto,47 vuole essere una lettura personale  seppure inquadrata
nel genere  di questa danza (esattamente ciò che succedeva sul versante della
pratica del ballo: resta il nome, ma vengono reinventati i passi). Tango sembra
una sintesi del genere: più che un brano unitario, è un ritratto delle diverse anime
del tango  quella più malinconica (la sezione in minore, con indicazione «Inter-
prétez»), e quella più solare e danzante («Rythmé»). Il titolo ha pertanto una fun-
zione più didascalica (“vi parlo del tango”) che di semplice indicazione di genere
(“questo è un tango”).

2.1. LA DANSE DU HÉROS: TANGO RITUALE?


La Danse du héros ripropone, più di dieci anni dopo e in modo molto più com-
plesso, un ‘tango secondo Jolivet’, arricchito da Varèse. Quali sono i mezzi e-
spressivi scelti da Jolivet per creare una danza dell’eroe? E innanzitutto, chi è
l’eroe di Jolivet? Bernard Gavoty gli chiese se questa danza simboleggiasse la vi-
rilità; abbiamo un appunto del compositore sulla risposta datagli: «De l’homme
agissant (20 ans) et quand il agit bien, il est un héros».48 Una risposta molto ‘u-

bana del ritmo permane: lo testimoniano brani isolati come La Palmera, «danse havanaise» allega-
ta al numero del 6 giugno 1930 del «Guide du concert» (XVI, n. 36, p. 956). KOECHLIN 1937b ri-
teneva il tango «de la habanera dégénérée» a causa delle sue origini nei bassifondi e del suo esse-
re «un prétexte à pelotage»; il tango, per Koechlin, si riscatta solo quando è «stylé par un vrai mu-
sicien», come nel caso delle Saudades.
47
Questo secondo la datazione di KAYAS 2005, per cui Fom Bom Bo sarebbe del 1935; l’edizione
Billaudot (1991, lastra G 4963 B), però, scrive «sans date» e lo antepone a Tango.
48
Si tratta degli appunti per la presentazione di un concerto in cui Jolivet diresse le sue Danses ri-
tuelles nel 1959 (JOLIVET 1959, p. 458).

180
Capitolo 3

manista’, ma la domanda dell’interlocutore era sensata: i mezzi impiegati da Joli-


vet in questo brano appaiono ‘virili’; ma in che senso? La musicologia femminista
ha esplicitato a più riprese i tratti che possono essere tacciati di machismo musica-
le nella tradizione eurocolta (o meglio, la semiologia della più o meno voluta co-
struzione di genere in musica):49 uno su tutti la caratterizzazione dei temi della
forma sonata come maschile e femminile, tratta da Adolf Bernhard Marx, e sulla
cui applicazione acritica a livello analitico James Hepokoski ha prudentemente
messo in guardia.50 Ciò che può interessare ora non è tanto la vexata quaestio del
genere dei temi, quanto la definizione che Marx dà di ‘maschile’:

In diesem Paar von Sätzen ist […] der Hauptsatz das zuerst, also in erster
Frische und Energie Bestimmte, mithin das energischer, markiger, absoluter
Gebildete, das Herrschende und Bestimmende.51

Ne deriva l’attribuzione di virilità a temi con le suddette caratteristiche: freschez-


za (?), energia, enfasi, precisione formale. Perlomeno enfasi ed energia balzano
subito all’ascolto della Danse du héros: la virilità percepita da Gavoty. Vale la
pena analizzare quali siano i mezzi utilizzati da Jolivet per creare questo effetto,
tenendo conto della connotazione erotica del tango nel contesto parigino tra le
guerre, dei modelli ‘eroici’ di Jolivet, di un precedente ‘colto’ che in termini di
rappresentazione di genere si situa proprio agli antipodi della virilità: la Habanera
di Carmen.

49
«Beginning with the rise of opera in the seventeenth century, composers worked painstakingly
to develop a musical semiotics of gender: a set of conventions for constructing ‘masculinity’ or
‘femininity’ in music» (MCCLARY 1991, p. 7, corsivo mio, a evidenziare la convinzione di
McClary nel lavoro attivo dei compositori nella creazione di segni musicali di genere).
50
«The problem for us has become not whether sonata structures are capable of encoding social
constructions of gender, but rather how and to what extent they do so – and how we might steer
clear of the temptation to seize onto Marx’s masculine-feminine metaphor as an ideological grid
for crudely politicized, reductive analyses» (HEPOKOSKI 1994, pp. 494-495). TREITLER 1993 ha
mostrato che la presentazione in termini ‘maschili’ della musica occidentale affonda le sue radici
già in Boezio e nella tradizione storiografica che ha fondato la musica europea sul canto gregoria-
no dotato di vis, virtus, vigor, potestas, ratio (p. 27).
51
MARX 1846-1851, III (1848), p. 282.

181
F. Lazzaro, Danza, incantesimo e preghiera

Per rimanere in un contesto gender, si può iniziare proprio da questo modello. Già
le soglie del testo sono eloquenti: «Allegretto quasi Andantino» in Bizet, «Assez
lourd» in Jolivet; metronomo: ’ = 72 contro ’ = 88. Basta un cenno
all’orchestrazione della prima frase: in Carmen l’ostinato di habanera è affidato ai
violoncelli «aussi pp que possibile» (tre note in staccato su quattro), e su di esso
nasce la sinuosa melodia della zingara, sostenuta da violini e viole pizzicati (cui si
aggiunge il flauto); viceversa l’eroe di Jolivet è puro ritmo: la cellula di habanera
divenuta tango non sorregge alcuna melodia, non è accompagnamento ma sostan-
za: sostanza sostanziosa, mi si concederà, che nella sua prima enunciazione è affi-
data, in mf (senza staccati, ma anzi con accenti e note tenute), a violoncelli, viole
fagotti, clarinetto e clarinetto basso, cui si aggiungono contrabbassi divisi, arpa II,
tuba e controfagotto ad appesantire il battere (sporcato peraltro da una doppia ac-
ciaccatura). In più: la cellula puntata è ·p p œ in Bizet, ·p pÂoÍ in Jolivet:

Esempio 22 G. Bizet, Habanera da Carmen (batt. 1-2) e A. Jolivet, Cinq danses rituelles, II. Dan-
se du héros, batt. 1: confronto tra le cellule ritmiche.

La caratterizzazione di genere di un medesimo ritmo di danza (cui basta una lieve


modifica alla cellula puntata perché sia più incisivo) avviene efficacemente coi
mezzi dell’orchestrazione, dei modi d’attacco, dell’agogica, della dinamica. Se in
Bizet il sottile ostinato è un accordo arpeggiato che funge da accompagnamento
alla melodia della voce, vera protagonista del numero, in Jolivet l’ostinato croma-
tico e circolare non accompagna nulla, ma viene variato e appesantito fino a e-
splodere in una cadenza in crescendo ‘a picco’ di lezione varèsiana. Il ritmo che
col suo esotismo serviva a incarnare la seduzione acquista quel carattere ‘virile’
rimarcato da Gavoty; all’epoca di Jolivet continua a essere un ritmo esotico per
origine, ma ormai ben inquadrato nella cultura parigina che anzi, si è detto, se ne è
appropriata. Dal punto di vista del rapporto con la sessualità, il tango parigino ha

182
Capitolo 3

da subito regolato la carica erotica del suo modello argentino, ma ciononostante


dagli anni ’10 agli anni ’30 non smise di suscitare le reazioni scandalizzate dei
benpensanti: il contatto estremo, l’idea di coppia che improvvisa (non più regolata
in una coreografia fissa come nella regina delle danze di coppia europee, il val-
zer),52 i codici di invito che abbandonano il carnet a favore della seduzione fisica
(basata sull’invito non rifiutabile e sulle occhiate); e, caratteristica peculiare del
tango, i ruoli sono ben distinti e complementari: l’uomo guida, la donna segue. Se
oggi, come nota Alexandra Weiland, entrare in questo tipo di rapporto non è im-
mediato perché distante da quella che è la concezione quotidiana dell’altro sesso,
nei primi decenni del secolo doveva essere più normale: nel tango, come nella vi-
ta, «l’homme parle, la femme écoute»;53 nel tango l’uomo agisce, e, per tornare a
Jolivet, se agisce bene è un eroe: è forse questo il sostrato di virilità che il compo-
sitore associava a quel ritmo che ha utilizzato per la seconda delle sue Danses ri-
tuelles. Martha Savigliano ha studiato le sfaccettature e le contraddizioni del con-
cetto di “machismo” legato al tango;54 una delle fonti che commenta lamentava
(nel 1926) la degenerazione del tango rispetto al periodo aurorale di questa danza,
quando era davvero una “danza dell’eroe”, slegata da componenti erotiche e vota-
ta alla competizione virile: la técnica milonguera «had the remarkable capacity to
enact ‘true’ maleness (virilidad)».55 È come se nella sua Danse du héros, Jolivet

52
L’integrazione tra ritmo di valzer e modello di coppia introdotto dal tango si ha nel vals argenti-
no, che consiste paradossalmente nell’«exécuter des pas de tango sur une musique de valse. La
danse perd le côté répétitif qu’on lui connaît. Elle intègre la révolution culturelle apportée par le
tango, à savoir que le couple exécute les figures qui se trouvaient exclues durant tout le XIXe
siècle de la dynamique du couple tournoyant. A cette époque, c’est dans la quadrille que l’on fai-
sait des figures. Au moment où l’homme et la femme se trouvaient ensemble, ils se contentaient de
tourner sur eux-mêmes» (HESS 2003, p. 154-155).
53
WEILAND 1996, p. 109, e in generale sul rapporto di coppia nel tango i capp. 4 (Le Tango, danse
exotique) e soprattutto 6 (Le couple); sul modello dell’invito e le differenze fra tradizione europea
(che fatica a introdurre i cenni codificati a favore dell’invito verbale) e argentina (dove la donna
può rifiutare), v. il paragrafo L’invitation, pp. 118-121. Per un inquadramento della ricezione fran-
cese del tango e delle altre danze esotiche cfr. DÉCORET-AHIHA 2004, specialmente il cap. 2 (La
«dansomanie» exotique), dove sono citati tra l’altro diversi interventi della stampa periodica sul
tema della moralità di queste danze e dei nuovi rapporti di coppia che propongono.
54
SAVIGLIANO 1995, pp. 40-48.
55
Ivi, p. 40; la fonte commentata è ROSSI 1926.

183
F. Lazzaro, Danza, incantesimo e preghiera

avesse (inconsapevolmente) ridato il suo carattere originale al tango. Altre erano


le danze che si ponevano invece sotto il segno dell’emancipazione femminile,
quelle del music-hall:

A partir des années 1930, la presse spécialisée, “Paris music-hall”, “Paris


plaisirs” ne consista plus qu’en des albums photographiques de femmes
nues, dans des poses toujours plus suggestives. Dans l’entre-deux-guerres, la
danseuse nue de music-hall s’imposa même comme l’un des modèles de la
femme libérée économiquement et sexuellement dont la littérature se fit
l’écho.56

Nel 1875 Bizet si serve di un mezzo musicale esotico (afro-cubano)57 per connota-
re un personaggio (zingara) seducente (il testo della canzone, indispensabile alla
caratterizzazione erotica, è in francese e pertanto comprensibile dal pubblico) in
un contesto altro (Andalusia); nel 1939 Jolivet usa un ritmo esotico ma ormai fa-
miliare (il tango è internazionalizzato), ricco di connotazioni sociali e relazionali
(la danza di coppia improvvisata), per rigettarlo in un nuovo esotismo (danze ri-
tuali inventate) e accentuarne una componente caratteristica (l’uomo che agisce
bene, l’eroe).
Se ci si vuole poi interrogare sui modelli classici di rappresentazione
dell’eroismo, si tenga presente che Jolivet riteneva Beethoven il fondatore del
nuovo corso della musica.58 Nella sua monografia su Berlioz (l’altro polo di rife-
rimento di Jolivet, che però è più un rappresentante dell’antieroismo) uscita pro-
prio nel 1939, Guy de Pourtalès si sentì in dovere di inserire una «longue paren-
thèse» dedicata a «l’immense Beethoven» (il qualificativo è di Berlioz), dal mo-
mento che

56
DÉCORET-AHIHA 2004, pp. 112-115.
57
Come è noto, la fonte di Bizet è la canzone El Arreglito di Sebastián Yradier, pubblicata nella
raccolta Chansons espagnoles (1864): si tratta di un finto canto popolare spagnolo (così veniva
percepito) composto in realtà in stile cubano ed eseguito nel mondo del café-concert.
58
Il che marca un’inversione di tendenza fondamentale nei confronti del ritorno a Bach degli anni
’20: non si dimentichi che in Le coq et l’arlequin si leggeva che «Beethoven est fastidieux lor-
squ’il développe, Bach pas, parce que Beethoven fait du développement de forme, et Bach du dé-
veloppement d’idée» (COCTEAU 1918 [1984], p. 48).

184
Capitolo 3

Qu’on le veuille ou non, Beethoven domine l’art musical tout entier. Il est,
de droit divin comme par droit d’excellence, la figure même de la Musique.
Il est le mythe musical dans sa solitude tragique. Il est le Pauvre, le Mécon-
nu, le Sourd qui entend, le Créateur d’un monde avant lui sans voix. Il est
l’Homme, dans tout ce qu’un tel mot, isolé de toute parenté humaine, de tout
amour terrestre, représente de certitude intime et de luttes d’avance consen-
ties. Il est l’Artiste, le héros de sa propre valeur, l’ouvrier condamné au long
martyre de l’accomplissement. Il est le Saint, celui qui a voué son existence
à une perfection abstraite, le porteur d’une extase disciplinée, l’obscur dona-
teur de qui chacun reçoit un enrichissement, un affinement de sa propre
substance. Premiers éléments de la seule souveraineté vraiment durable.59

Paradigma ricettivo noto e, come si evince dal passaggio citato, ancora dominante
(rimarco a costo di annoiare che tale panegirico è inserito in una monografia su
Berlioz, che la storiografia musicale francese ha sempre presentato come colui che
ha ‘importato’ Beethoven).60 Jolivet scrisse nel 1943 un libriccino su Beethoven,
stampato solo nel 1955. È il suo omaggio a colui che «marque la conclusion de
toute une ère de l’expression musicale» per aprire con la sua opera «toutes les
voies qui ont été suivies et élargies depuis lui par les musiciens»: Jolivet si sentiva
parte degli eredi di Beethoven quando pronunciava queste parole nella conferenza
Genèse d’un renouveau musical del 1937.61 Per la verità il suo discorso è, come
sempre, piuttosto esoterico: Beethoven, grazie alla sua sordità («une bénédic-

59
POURTALÈS 1939, p. 46-47. Il capitolo «L’immense Beethoven» occupa le pp. 45-61.
60
Jolivet stesso diceva: «Le musiciens français utiliseront les caractères nouveaux que nous ve-
nons de relever chez Beethoven, acclimatés en France par Berlioz» (JOLIVET 1937a, p. 56). La ri-
cezione di Berlioz come il Beethoven francese era dettata in gran parte dalla sua ammirazione per
il compositore tedesco e dalla sua eccezione sociologica nel contesto musicale francese (come ha
sottolineato Catherine Rudent in RUDENT-PISTONE 2003). Sul rapporto tra Jeune France e Berlioz
cfr. CURINGA 2010. Sulla ricezione di Beethoven nella Francia tra le Guerre cfr. il numero mono-
grafico dedicato al compositore dalla «Revue musicale» in occasione del centenario dalla morte
(VIII/6, n. 72, aprile 1927; si segnala in particolare un saggio su Berlioz «propagateur de Beetho-
ven» a firma di Adolphe Boschot, e l’articolo di Koechlin sul «retour à Beethoven»). Cfr. anche
NICHOLS 2002, pp. 251-253; per LOURIÉ 1937 Beethoven (e non Wagner) sarebbe la matrice
dell’espressionismo musicale viennese, e «Beethoven pourrait ainsi devenir un nouveau centre de
rayonnement, par le besoin de lier les acquisitions constructivistes de notre temps à la tendance
vers un nouvel humanisme» (p. 460; v. supra Capitolo 2, n. 66).
61
JOLIVET 1937, p. 54.

185
F. Lazzaro, Danza, incantesimo e preghiera

tion»), sarebbe entrato direttamente in contatto col «Principe (cosmique) de la


musique», motivo per il quale le sue opere, seppure scritte col linguaggio della sua
epoca, obbediscono al «Rythme Universel» e pertanto sono eterne.62 Il rapporto tra
Jolivet e Beethoven non si situa, quindi, su basi di tecnica compositiva, ma su fu-
mosi discorsi concernenti il genio e l’ispirazione cosmica. Per quanto ci concerne
ora, ecco che cosa scrive per introdurre l’Eroica:

Pour nous, le héros anonyme de la Troisième Symphonie, c’est l’Homme tout


entier, l’individu d’élite, qui vit intensément : l’Amour, la Douleur, la Force,
et que sa puissance met en conflit avec son milieu antagoniste. S’il suc-
combe, ce n’est pas en vain; de son sacrifice, l’Idée rejaillira magnifiée.
C’est le héros triomphant de l’épreuve, guide de l’humanité, que nous re-
trouverons dans Léonore, dans Coriolan, dans Egmont. Cette conception
nous évite de chercher dans la Troisième Symphonie des descriptions de ba-
tailles, encore moins des intentions politiques.63

Simili discorsi, del tutto slacciati dal dato musicale, rendono superflua la ricerca
di mezzi espressivi particolari cui Jolivet si possa essere ispirato per la resa
dell’eroe.64 Conviene piuttosto addentrarsi nell’analisi della partitura: nella storia
della cellula di tango.
La Danse du héros è puro ritmo: colonne di strumenti che tracciano la storia
della cellula base del tango; una storia che la sviluppa e la rende altro da sé: que-
sto brano ha della danza tradizionale la scansione ritmica, ma se ne distanzia per-
ché tale scansione è continuamente cangiante. La lezione di Varèse entra con le
cesure che abbiamo definito ‘a picco’, che interrompono la regolarità metrica e
62
Ivi, pp. 54-55, corsivi dell’autore.
63
JOLIVET 1955, p. 694-695. Le parole di Jolivet parafrasano sostanzialmente Wagner, i cui scritti
su Beethoven conosceva nella traduzione di Jean-Louis Crémieux del 1937 (citata nella bibliogra-
fia del suo contributo): «le terme “héroïque” doit être pris dans son sens le plus large et ne pas être
rapporté à un héros militaire. Si nous entendons d’une manière générale par “héros” l’Homme tout
entier, l’Homme complet [den ganzen, vollen Menschen], qui possède en propre, dans leur absolue
plénitude et leur intensité, tous les sentiments purement humains de l’amour, de la douleur et de la
force […]» (WAGNER 1937, p. 80; per l’originale cfr. WAGNER [1871-1873]). Sulla ricezione
dell’elemento umano della musica “eroica” di Beethoven negli anni ’20 cfr. EGGEBRECHT 1989.
64
Per un’indagine sull’“eroismo” beethoveniano attraverso la storia di quest’immagine ermeneuti-
ca e la sua applicabilità analitica cfr. BURNHAM 1995.

186
Capitolo 3

sono un mezzo di rappresentazione efficace di energia, forza, potenza: eroismo.


Lo schema dell’Esempio 23 traccia la storia dello sviluppo della cellula base.

Esempio 23 A. Jolivet, Cinq danses rituelles, II. Danse du héros: sviluppo della cellula base.

187
F. Lazzaro, Danza, incantesimo e preghiera

Si possono distinguere due mezzi di sviluppo della cellula ritmica: 1) la sostituzio-


ne dei moduli che la compongono (in diverse combinazioni, come avviene in A, in
Cb e in Da) lasciando intatto il metro, col risultato di una percezione unitaria delle
cellule in successione, solo leggermente fiorite, e 2) l’azione di modifica sul metro
stesso che intacca in modo sostanziale l’identità della cellula base: da quella di tan-
go di A, a quella anacrusica e a valori lunghi di B, a quella di C caratterizzata dalla
scansione delle crome e dalla rapida terzina conclusiva, a quella di D movimentata
(‘disparizzata’) dalla terzina di crome in ultima sede. L’impronta di Varèse si ma-
nifesta nelle punteggiature ‘a picco’ (nello schema, vista la natura del loro gesto, lo
ho designate come “volate”). Si noti la loro disposizione a intervalli irregolari e
sempre più ravvicinati che genera un senso di accelerazione: in B lo stacco avviene
dopo 6 ripetizioni del modulo ritmico, poi dopo 4 poi dopo 3 più 1 variato (che
rappresenta già un’interruzione dell’uguale); in Cb la prima volata è dopo 9 ripeti-
zioni, cui ne segue subito un’altra dopo una sola occorrenza dell’ostinato. La tran-
sizione dopo C, al contrario, si spegne in anticlimax e dal suo nulla sorge la lunga
sezione D, caratterizzata da un ritmo ibrido che grazie alla terzina in ultima sede
acquista un carattere di ciclicità e che si conclude, in Dc, come un tango che si in-
canta.
Nella prima versione manoscritta della Danse du héros,65 l’introduzione era di 8
batt. e si basava su un ritmo terzinato simile a Db, ripetuto quanto basta a creare
delle aspettative:

Esempio 24 A. Jolivet, Cinq danses rituelles, II. Danse du héros, prima versione ms., batt. 3-8.

65
Il ms. è conservato in F-Pn, Musique, Ms. 24097. Esiste anche un secondo ms. (Ms. 24098), che
abbrevia notevolmente il primo e presenta delle indicazioni a matita di correzioni da effettuarsi.
Una descrizione succinta delle varianti tra i mss. è nel Catalogue raisonné di Jolivet redatto da
Lucie Kayas, inedito.

188
Capitolo 3

Non è da escludere che Jolivet abbia deciso di eliminare questa sezione affinché il
ritmo puntato venisse sentito per primo e dunque come il principale. Ma gli aggiu-
stamenti di Jolivet avevano anche un altro fine: far cadere la sezione aurea del bra-
no in un momento significativo. Nella prima versione cadeva (come indicato a ma-
tita dal compositore con il simbolo Ø) sulla quarta battuta di D, un momento parti-
colarmente insignificante, nel mezzo di una ripetizione di un ostinato; nella versio-
ne successiva ritroviamo lo stesso simbolo a batt. 47, una battuta vuota, di risonan-
za («laissez vibrer), che funge da cesura tra le sezioni C e D. Nei margini del ma-
noscritto della prima versione ci sono diverse operazioni a matita tese evidente-
mente a calcolare le proporzioni del brano, elemento sostanziale in un musicista
tanto affascinato dalla numerologia e attento lettore di GHYKA 1938.66

L’organizzazione ritmica della Danse du héros può essere descritta, in conclusio-


ne, come sviluppo di una cellula base molto connotata; sviluppo che avviene
all’interno della cellula, tramite sostituzione dei moduli che la compongono, o che
agisce sulla sua identità stessa; dalla cellula principale ne derivano sostanzialmen-
te 3 – in base alle quali ho segmentato il brano in sezioni –, che a loro volta subi-
scono fenomeni di sviluppo interno. Il ritmo puntato caratteristico della cellula di
tango iniziale è quasi sempre presente (la grande eccezione sono le 10 ripetizioni
di Db, che funge però da transizione verso il tango che si incanta di Dc). L’idea
tradizionale di danza viene affermata nella ripetizione di moduli ritmici caratteri-
stici e al contempo negata nel loro continuo sviluppo. La retorica della climax ri-
compare nella versione ‘a picco’ di Varèse, dunque in modo differente rispetto a
quanto utilizzato nella Danse initiatique.

66
Sul manoscritto completo delle Danse rituelles (F-Pn, Musique, Ms. 24096) non ci sono indica-
zioni riguardanti le proporzioni, per nessuna delle danze. La Danse funéraire ha una pausa genera-
le con indicazione di risonanza molto simile a quella della Danse du héros, ma non cade esatta-
mente sulla sezione aurea (sebbene ci sia uno scarto minimo), sia questa calcolata sul numero delle
battute o dei tactus (CONRAD 1994, p. 360, afferma al contrario che la sezione aurea cade sulla
pausa generale, ma in realtà fa un errore nel computo delle battute, come è evidente nella figura
40, in cui quella che considera la batt. 48 è in effetti la 49). Sulla sezione aurea in Jolivet cfr. CON-
RAD 1994, pp. 358-361.

189
F. Lazzaro, Danza, incantesimo e preghiera

2.2. ANCORA SU INTÉGRALES DI VARÈSE


Qualche pagina fa era sorto il dubbio che, con Intégrales, ci si fosse allontanati
dal corpus delle danze. Invero, ci sono tracce di danza in Intégrales: frammenti
isolati alle percussioni nell’episodio iniziale (Aa) che perdono la loro identità in
quelli successivi, ma il cui intento si condensa nell’episodio x (con ripresa in x’)
in una danza a piena orchestra.
Secondo un procedimento che sarà fondante in Ionisation, Varèse
nell’episodio iniziale di Intégrales associa, per alcuni strumenti, timbri e gesti (ma
senza la coerenza e la costanza di Ionisation). È un mezzo importante per favorire
l’emancipazione delle percussioni: il gesto ritmico sostituisce quello melodico.
L’associazione deriva ora dalla natura dello strumento (come il rullo altalenante
del tamburo rullante), ora dall’associazione di uno strumento a un mondo: è così
che il biglietto da visita delle castagnette, a batt. 7, è una cellula di habanera (o
tango), —qÍ ·p – (che si svilupperà a batt. 17 in ·oËo– —p p·p œ). In compenso la cassa
chiara entra accennando un bolero, che riprenderà nelle battute successive:

Esempio 25 E. Varèse, Intégrales: il ritmo di bolero della cassa chiara.

Compaiono dunque delle tracce di danza negli interventi delle percussioni. Ma ol-
tre a questo primo livello, la danza esplode in Intégrales quasi inattesa, in un con-
testo metrico assolutamente indefinito (cambia quasi a ogni battuta). A batt. 93
nasce una pulsazione; le battute precedenti sono state, con la loro omoritmia di
clarinetti, corni e trombe, il trampolino per ciò che avviene  ma, trattandosi di
Varèse, la cosa non è così semplice. Riporto il frammento in riduzione:

190
Capitolo 3

Esempio 26 E. Varèse, Intégrales, batt. 93-100 (riduzione): danza ‘bulgara’.

Le indicazioni metriche della partitura sono devianti. Ho raggruppato i metri effet-


tivi (derivanti da fraseggio e accenti) sopra la linea melodica: ne risulta una se-
quenza di “ritmi bulgari”:

Trenta battute dopo ricompare un frammento della stessa danza:

Esempio 27 E. Varèse, Intégrales, batt. 131-133 (riduzione): ricomparsa della danza ‘bulgara’.

Questa volta le componenti metriche sono le seguenti:

Per l’ascoltatore di oggi (o per quello parigino della première francese nel 1929)
c’è poi un particolare che associa questi passaggi alla danza: la curvatura melodi-

191
F. Lazzaro, Danza, incantesimo e preghiera

ca ricorda il primo tema del Bolero di Ravel (eseguito all’Opéra nel 1928), di cui
sembra un caricatura grottesca…

2.3. LA SONATINE TRANSATLANTIQUE DI TANSMAN: FARE JAZZ

Cette bastringue ataxique, essoufflée, qui, depuis tant d’années déjà, tré-
buche aux mêmes contretemps, qui nasille, qui larmoie, grince et piaille sur
toute la face de la terre. Triomphe de la sottise barbare, avec approbation,
explications et commentaires techniques de musiciens instruits qui redoutent,
par-dessus tout, de n’avoir pas l’air ‘à la page’, de contrarier leur clientèle,
et qui sacrifient au jazz comme les peintres de 1910 sacrifiaient au cubisme,
par grande frayeur de laisser filer le coche, comme les romanciers de ce jour
sacrifient au gout régnant en glissant dans toutes leurs histoires une paire de
pédérastes et un brelan de toxicomanes.67

Mozart, Haydn and Chopin, were they alive today, would write fox-trots as
naturally and inevitably as they once composed gavottes, minuets and ma-
zurkas. The perfection of these new classic dance forms, which in their unpo-
lished state were the ‘jazz’ of their day, may be attributed largely to the en-
nobling influence of such masters.68

Nella Danse du héros si incontrano due esotismi: quello immaginato e ancestrale


di una danza rituale e quello presente e vivo del ballo ‘tormentone’
d’importazione. Non c’è da stupirsi della compresenza di questa polarità: la dop-
pia natura primitiva e futuristica era la caratteristica del nuovo genere musicale
per eccellenza, il jazz; Jolivet, si potrebbe azzardare, nell’unire tango e rito, Mon-
tparnasse e colonie, fa in un certo senso del jazz. Non si equivochi: il termine
“jazz”, all’epoca, non era tanto il nome di un genere musicale definito, quanto
l’etichetta di un campo semantico che comprendeva modern life, incontro tra cul-
ture (America, Africa, Francia), ballare («renaissance rythmique»),69 renouveau

67
DUHAMEL 1930, pp. 105-106.
68
Da un breve intervento di George Vail apparso su «The étude» nel settembre 1924 col titolo
Would Mozart write fox-trots if he live to-day? e ripubblicato in KOENIG 2002, p. 357.
69
JEANNERET 1927, p. 26; «Le nègre apporte à la musique européenne un rappel impératif au
rythme» (p. 24).

192
Capitolo 3

(il nuovo che sfida e infrange le norme musicali tradizionali), effetti timbrici e
strumenti speciali, alternativa primitivista alla cultura occidentale in crisi.70
L’eroe che danza uno pseudo-tango non è molto lontano dai primi uomini
che si uniscono nella danza sincopata della Création du monde di Milhaud (1923):
sono passati quindici anni, l’assimilazione dei nuovi ritmi nella musica d’arte ha
cessato di dare scandalo71 e il termine “jazz” ha assunto dei margini più definiti
(nessuno avrebbe più detto, effettivamente, che la Danse du héros fosse, o avesse
uno spirito, jazz), ma la pratica del rinnovamento della musica attraverso
l’integrazione del nègre continuava a manifestarsi. Nel caso di Jolivet, però, sem-
bra che il “jazz” (il tango in questione)72 sia in realtà l’elemento più conservatore
del brano: se Milhaud osava inserire il jazz in una composizione colta e in questo
modo la rinnovava, Jolivet può osare sperimentare proprio grazie al tango che gli
garantiva un punto di riferimento tranquillizzante; in Milhaud il jazz è il rinnova-
mento, in Jolivet è il punto di partenza.73

70
Per una considerazione organica di tutti gli aspetti del jazz nella Francia tra le guerre cfr. JA-
CKSON 2003, in particolare pp. 1-33. Sul fatto che la musica di origine africana fosse percepita co-
me francese per via del dominio coloniale, e che pertanto il primitivismo contribuisse a leggere in
chiave nazionalista il modernismo che vi si rifaceva cfr. BATSON 2005, p. 161 e passim. Migot,
intervistato da José Bruyr, esponeva le sue idee sull’origine francese del jazz, risalente
all’emigrazione di ugonotti in Sud Carolina: «les nègres étaient nombreux aux bords de l’Ashley.
C’est eux qui, d’abord, ont murmuré, marmonné si vous voulez, ou, mieux, jasé, en les déformant,
nos chansons françaises mal apprises» (BRUYR 1930, p. 63, corsivo mio).
71
Per il caso specifico della Création du monde, cfr. LAVOIE 2006, che dimostra la progressiva ac-
cettazione del balletto con il passare degli anni.
72
«One of the first periodicals to discuss jazz music on a regular basis was called “Jazz-Tango”,
emphasizing that what united these two styles of dance music was more important than what dis-
tinguished them» (JACKSON 2003, p. 42). Che il tango facesse parte della non ben definita catego-
ria del jazz è documentato anche a livello dei compositori, come dimostrano alcune raccolte piani-
stiche dichiaratamente «jazz» di Erwin Schulhoff, tutte comprendenti almeno un tango: la Suite
dansante en jazz del 1931 è articolata in «Stomp», «Strait», «Waltz» [!], «Tango», «Slow«, «Fox-
trot»; la Jazz-like Partita in «Fox (all art is useless...)», «Jazz-like», «Tango-Rag», «Fox à la Ha-
wai», «Boston (c'était dans une petite chambre au quartier latin...)», «Rag (o Alaxender, Alexander
you are a salamander)», «Tango», «Shimmy (joli tambour donne moi ta rose...)»; nelle 5 Etudes de
jazz del 1926 troviamo «Charleston», «Blues», «Chanson», «Tango», «Toccata sur le Shimmy
‘Kitten on the Keys’ de Zez Confrey»; cfr. BEK 1994.
73
Pochi anni dopo la composizione delle Danses rituelles Jolivet scrisse a Cœuroy che considera-
va il jazz «une forme particulière et déjà caduque de la musique» (lettera del 20 luglio 1942, con-
servata in F-Pn, Musique, bob. 30174).

193
F. Lazzaro, Danza, incantesimo e preghiera

Tra il jazzismo per épater les bourgeois dei primi anni ’20 e l’operazione di
Jolivet alla fine dei ’30 c’è un lungo periodo di meticciato e ‘sbiancamento’ del
jazz che lascia le sue tracce in numerose danze: quanti fox-trot, boston, charleston
e simili occupavano (e divertivano) i compositori? Anche tra le Treize danses del-
la Sirène musicale c’erano, si ricorderà, un Fox-Trot di Harsányi e un Boston di
Erwin Schulhoff. Nel 1930 Alexandre Tansman, che aveva fatto la sua prima
tournée negli Stati Uniti nel 1927, compose una Sonatine transatlantique in tre
movimenti: Fox-Trot, Spiritual and Blues, Charleston. Ne esistono una versione
per pianoforte e una per orchestra (con riduzione per due pianoforti; altri l’hanno
trascritta anche per violino e pianoforte e violoncello e pianoforte).74 La nota
dell’autore in calce all’edizione Leduc recita:

Cette œuvre ne se propose pas comme but de réaliser une ‘musique améri-
caine’, mais, tout simplement, de transcrire ‘la réaction’ d’un musicien euro-
péen au contact des rythmes de danse d’outre-mer.

(Tansman si impegnò anche nel contrario: lavorò con Gershwin all’orchestrazione


dell’opera che costui dedicava alla «réaction» di un musicista americano a contat-
to con la musica parigina, e cioè An American in Paris).75 Irving Schwerke, dedi-
catario della Sonatine e primo biografo di Tansman, considera il pezzo «comme
un recueil d’impressions de voyage»: il compositore non voleva scrivere della
«musique de danse américaine (il y en a trop, surtout de la mauvaise)» e non l’ha
fatto;76 piuttosto, sempre secondo Schwerke, l’ha razionalizzata e resa artistica: «il
l’a réconciliée avec une forme définie» e le ha dato «rythmes et […] harmonies
[…] infiniment plus complexes que les rythmes et les harmonies qui leur sont

74
La prima esecuzione per pianoforte ebbe luogo a Berlino nel settembre 1930 dalle mani di Wal-
ter Gieseking; due mesi dopo grazie a José Iturbi la ascoltarono anche i transatlantiques, a Boston;
la prima della versione per orchestra fu a Parigi, Concerts Pasdeloup, il 28 marzo 1931 (nota di
Gérald Hugon in TANSMAN 2005, p. 297, n. 18). Le trascrizioni per violino e pianoforte, e per vio-
loncello e pianoforte sono rispettivamente di S. Frenkel e E. Stegman (secondo il frontespizio
dell’edizione per pianoforte Leduc, 1930 [lastra A. L. 17.720], consultata).
75
Per queste notizie biografiche e per un elenco dei brani di Tansman con espliciti riferimenti jaz-
zistici cfr. HUGON 2000, p. 19.
76
SCHWERKE 1931, p. 72. Alla Sonatine transatlantique sono dedicate le pp. 72-74.

194
Capitolo 3

dues».77 È vero? E da che cosa emerge l’occhio di Tansman in questi brani? Ana-
lizzarle, e compararle con altri casi, permetterà di avere un esempio di utilizzo
delle idee di danza d’oltre oceano: idee di danza che sono più che altro ritmi e
modelli armonici (specie laddove, in composizioni per pianoforte, manca la com-
ponente timbrica caratteristica delle jazz band) che si possono condire con idee
compositive personali e inquadrare in diversi schemi formali.
In via preliminare, conviene accennare a un’altra raccolta di «impressions
de voyage» di Tansman: Le tour du monde en miniature del 1933 (prima esecu-
zione ed edizione 1934), raccolta di 15 schizzi pianistici ispirati a luoghi visitati
dal compositore in occasione della sua tournée mondiale iniziata nel 1932. Docu-
mentò il viaggio filmando di persona luoghi e persone (tra cui Gandhi, del quale
fu ospite) e tradusse le sue impressioni in questi «feuillets de voyage» musicali.
Anche una rapida occhiata all’indice tematico proposto nell’Esempio 28
(nella pagina seguente) permette di capire che qui non si tratta di rielaborazione e
formalizzazione di stilemi esotici che divengono brani dotati di una forte persona-
lità compositiva, ma davvero di schizzi evocativi senza pretese di originalità: sono
cartoline.
Si aggiunga che la durata media di ogni pezzo è assai contenuta: se i tre mo-
vimenti della Sonatine transatlantique contano rispettivamente 103, 80 e 78 batt.
(ritornelli esclusi), nel Tour du monde si va dalle 8, 14 e 16 batt. dei nn. 7, 2 e 13,
3 (che non prevedono neanche ritornelli), alle 14 e 15 con ritornelli dei nn. 5 e 9,
ai pezzi compresi tra le 20 e le 30 batt., circa una pagina a stampa (nn. 1, 4, 6 [34
batt.], 8, 11 [18 batt.], 12, 14 [18 batt.]); fanno eccezione solo il n. 10 e la tarantel-
la conclusiva (che è decisamente il brano più elaborato e personale della raccolta,
una vera eccezione in chiusura), rispettivamente di 54 e 113 batt.

77
Ivi, p. 73.

195
F. Lazzaro, Danza, incantesimo e preghiera

Esempio 28 A. Tansman, Le tour du monde en miniature: incipitario.

1) Coconut-Grove, Hollywood, Cal.


(U.S.A.)

2) Waïkiki-Beach de Honolulu
(Iles Hawaï)

3) Complainte de Nikko
(Japon)

4) Le marché d’oiseaux à Shanghaï


(Chine)

5) Les gongs dans un temple de


Hong-Kong

6) Les Iles Philippines

7) Le charmeur des serpents à


Singapore

8) Les singes dans la jungle de


Penang

9) La flûte de bambou dans la forêt de


Bandoeng (Java)

10) Le Gamelang de Bali


(Waïang-Théâtre d’ombres)

11) Les éléphants blancs de


Ceylon

12) Les tours de silence à


Bombay

13) La nuit sur le


Nil

14) Puerto de Soller


(Iles Baléares)

15) Napoli

196
Capitolo 3

Tansman dichiarava all’inizio della raccolta di aver

soit utilisé des thèmes indigènes, notés sur place, soit essayé de rendre une
ambiance. Plusieurs morceaux sont construits sur une pédale, rythmique ou
mélodique: procédé commun à presque toute la musique populaire de
l’Extrème Orient.78

E infatti la maggior parte dei brani è costruita sull’utilizzo di una sola scala difet-
tiva o di un modello ritmico ripetuto (o sulla combinazione di entrambi): a titolo
di esempio, il n. 2 ricama liberamente sulla pentatonica sol-la-si-re-mi, il n. 6 si
fonda sul ritmo incisivo della mano sinistra, il n. 4 non solo non interrompe mai
l’ostinato ma usa solo le quattro note mi-fa-la-si. I brani che vogliono ricreare
un’atmosfera piuttosto che fotografare una sonorità tipica della musica locale uti-
lizzano topoi occidentali piuttosto che tratti orientali: il n. 8 è frenetico e saltellan-
te (scimmiesco), il n. 11 è pesante e immobile (elefantesco: potrebbe far parte di
qualsiasi raccolta per bambini), il 12 crea l’orientalismo con la ripetizione ostinata
di una quinta vuota, il 13 è una barcarola. Almeno tre brani vogliono non solo
suggerire ma davvero imitare un pezzo locale, di cui adottano più di un ingredien-
te tecnico: il 14 ha l’allure riconoscibilissima di una ‘schitarrata’ spagnoleggiante,
di cui ricalca il ritmo e l’armonia (l’ondeggiare tra accordo di base e il suo napole-
tano, che si ottiene spostando di un tasto la mano sinistra con il barré); il 10 sarà
molto piaciuto all’entourage parigino, che dal 1889 aveva un debole per il game-
lan: in effetti, quello di Tansman andrebbe studiato nel corpus di questa tradizio-
ne, di cui non poteva non tenere conto (una cosa è presentare al pubblico parigino
la melodia di un incantatore di serpenti [n. 7], un’altra è proporre il proprio game-
lan);79 infine, trait d’union tra questa raccolta e la Sonatine transatlantique è il

78
Dalla prima pagina della versione per pianoforte nell’edizione Eschig, 1934 (M. E. 4303).
79
Si potrebbe fare un’analisi della aspettative suscitate dal gamelan nella Parigi di quegli anni ana-
loga a quella che stiamo conducendo su certe forme di danza: si tratta infatti di forme ‘alla moda’.
Tansman stesso avrebbe contestato l’artificiosità del gamelan parigino, ma citando come occa-
sione d’incontro la recente Exposition Coloniale del 1931: «L’art chorégraphique des Indes Néer-
landaises n’est plus inconnu à Paris, depuis l’Exposition Coloniale, mais si un art peut être dénatu-
ré par son arrachement au sol natal, c’est bien la danse de Java, et surtout de Bali, où la danse sort
du sol comme une plante ou une fleur tropicale. J’ai vu moi-même ces danses, à Paris, accompa-

197
F. Lazzaro, Danza, incantesimo e preghiera

blues n. 1: nessuna aspirazione compositiva sembra affiorare da questo song squi-


sitamente costruito coi tratti caratteristici del genere, dal ritmo off-beat
all’alternanza di tonica e sottodominante, dalle note blues a un malinconico indu-
gio dal sapore improvvisativo su un passaggio ripetuto per quattro volte di segui-
to, ogni volta un po’ diverso (è un vero e proprio assolo per strumento solista,
come suggeriscono le indicazioni di dinamica):

Esempio 29 A. Tansman, Le tour du monde en miniature, I. «Coconut-Grove», batt. 18-22:


l’assolo.

In che cosa era diverso l’atteggiamento compositivo della Sonatine transat-


lantique, pubblicata quattro anni prima?80 È corretto quanto scrive Schwerke a
proposito del decisivo intervento di Tansman sulla musica ‘americana’? Se si ana-
lizza il primo movimento, si notano sostanzialmente tre elementi che impediscono
di confondere questo «Fox-Trot» con un fox-trot da ballo di quelli che Tansman

gnées de la merveilleuse musique des gamelans […]; mais ce que j’ai vu et entendu sur place
n’avait aucun rapport avec ces démonstrations» (TANSMAN 1934 [2005], p. 136). Il gamelan affa-
scinò i compositori di due generazioni lontane: quelli, come Debussy, che lo scoprirono
all’Exposition universelle del 1889 (cfr. FAUSER 2005, in particolare pp. 165-215), e quelli per cui
fu un colpo di fulmine all’Exposition coloniale del 1931; tra questi, Messiaen (cfr. CONRAD 1994,
pp. 486-488).
80
Prenderemo in considerazione, anche per maggiore omogeneità, la versione per pianoforte solo
(edita da Leduc nel 1930, A. L. 17.720).

198
Capitolo 3

aveva sicuramente sentito suonare innumerevoli volte nei locali statunitensi (e pa-
rigini):81 a) la tendenza a interrompere la marcatura della pulsazione al basso, b) la
complessità dell’armonia, c) la forma tripartita con la parte centrale più lirica.
a) Elemento basilare di ogni musica per la danza (e che tende a scomparire o
a mascherarsi allorquando la forma di danza viene rielaborata secondo un pensie-
ro compositivo allo scopo di suonarla e ascoltarla piuttosto che ballarla) è la chia-
ra percepibilità della cellula ritmica che ne sta alla base e che, costantemente pul-
sata, guida i passi. L’ascolto di un discreto campione di fox-trot insegna che il
basso scandisce regolarmente il quarto (fermandosi, di norma, nei raccordi caden-
zali) e articola l’armonia. Tansman, verosimilmente, apprendeva le nuove forme
di danza soprattutto per via aurale e ne filtrava le caratteristiche, che seguiva o
tradiva al momento della rielaborazione compositiva: nel caso del «Coconut-
Grove» che apre il Tour du monde questo livello di regolarità pulsante viene asso-
lutamente accolto e perdura per tutto il brano (che vuole infatti essere una fotogra-
fia e non una rielaborazione, vuole poter essere scambiato per un ‘originale’); in-
vece nel «Fox-Trot» il basso inizia regolare82 (segno che il compositore aveva ben
presente questo elemento e voleva che l’ascoltatore lo percepisse e riconoscesse
nel suo brano proprio un fox-trot), per poi scombinare il metro (da  a  [3-3-2]) o
scomparire: è in questo scarto tra l’aspettativa generata in apertura e il suo tradi-
mento che sta una delle costanti del gioco con le forme di danza che stiamo con-
statando.83

81
Parigini ancor prima che statunitensi: Tansman, infatti, iniziò a ispirarsi al jazz ben prima della
sua tournée oltre oceano  e proprio con un fox-trot: «Avec son “Fox-Trot” central, la Sonatine
pour flûte et piano inaugure à l’orée de l’année 1925, une série d’œuvres ouvertes au jazz et aux
formes de danses de la musique populaire moderne» (HUGON 2005, p. 13).
82
Dopo poche battute libere di ‘riscaldamento’, tipiche del genere.
83
Si aggiunga che l’irregolarità metrica era particolarmente d’effetto nei brani che si rifacevano al
jazz; come scrisse Milhaud: «la musique syncopée exigeait la régularité d’un rythme aussi inexo-
rable que celle de Bach, dont il est la base même» (MILHAUD 1963, p. 125).

199
F. Lazzaro, Danza, incantesimo e preghiera

Esempio 30 A. Tansman, Sonatine transatlantique, I. «Fox-Trot», batt. 5-16.

Le prime due battute, fatta salvo forse l’armonia (come si dirà), sono perfettamente
in stile: melodia dall’andamento sincopato costruita su appoggiature cromatiche,
basso che ribatte stabile (anche armonicamente) la semiminima. Poi, a batt. 7,
l’elemento destabilizzante: gli accenti cadono sul I, IV e VII ottavo; la struttura
metrica 3-3-2 ricompare speculare e più mascherata nel basso della battuta succes-
siva, complementare, e, a ben vedere, era presente già dall’inizio, ma per aumenta-
zione rispetto a quella appena individuata: gli accenti indicati dal compositore di-
vidono la melodia, infatti, in 3-3-2 semiminime (sulla coppia di battute). La batt.
12, che si sostituisce alla 8 a conclusione della ripetizione della prima frase, mesco-
la il 3-3-2 alla pulsazione regolare dei . La seconda frase si apre, come vuole lo
standard, sul IV grado; il ritmo scandito del fox-trot è ormai dissolto: le appoggia-
ture melodiche sono sostenute da un basso 3-3-2 che però si libera subito, a batt.
14, in un gioco di incastri; la formula cadenzale (rivisitata) del ragtime (si pensi a
The Entertainer) a batt. 15 si tuffa su un 3-3-2 che non è più tale a causa di una tra-
slazione.
Il ritmo 3-3-2 che si sovrappone o sostituisce alla pulsazione regolare del fox-trot
è jazzistico o tansmaniano? Va, cioè, classificato tra gli elementi che Tansman

200
Capitolo 3

sfrutta per imitare al meglio un vero fox-trot (come le appoggiature cromatiche


sincopate o la struttura fraseologica fondata sull’armonia di fondo I-I-IV-I), oppu-
re tra quelli che demarcano la sua «réaction» (per dirla con Schwerke) a quel mo-
dello? Naturalmente è difficile dare una risposta certa a causa della scivolosità del
repertorio che rappresenterebbe il modello stesso;84 se è certo che dallo swing,
dalle sincopi e dagli accenti sui tempi deboli deriva spesso un’articolazione melo-
dica a base ternaria (sostenuta dalla solida pulsazione, come nella batt. 12 di
«Fox-Trot»), è pur vero che Tansman enfatizza il ritmo zoppo, assegnandolo a
melodia e accompagnamento insieme, e soprattutto alternando blocchi più regolari
a blocchi irregolari e creando in questo modo una sorta di fermata, di ‘inciampo’.
Ciò detto, nel caso specifico di Tansman è però da notare che l’inserimento
di una battuta 3-3-2 si ritrova quasi come cifra stilistica in molti suoi brani, anche
lontanissimi dallo spirito jazz: se si considera il campione delle sonate e sonatine
per pianoforte (quindi un corpus omogeneo con la Sonatine transatlantique) pub-
blicate dal compositore tra gli anni ’20 e ’30, vi ci si imbatte regolarmente.85 Il ca-

84
Le mie ricerche non mi hanno condotto ad alcuno studio sulla struttura del fox-trot. Le enciclo-
pedie e i lavori più divulgativi spesso non lo contemplano neanche (è il caso, per esempio, di
LONGSTREET et alii 1960, BERENDT 1973, GRIDLEY 1985, COOKEHORN 2002) o non danno in-
formazioni di rilievo (TESTONI et alii 1953, KIRCHNER 2000); anche in testi più approfonditi, come
SCHULLER 1968 (1996), è facile non trovare la voce “fox-trot” neppure nel glossario. Le mie os-
servazioni si basano pertanto sull’ascolto e sullo studio di alcuni spartiti.
85
ARMENGAUD 2000 accenna fugacemente al «fameux rythme tansmanien destabilisateur, qui
transforme la pulsation des trois temps en un rythme à deux temps, éventuellement après une ana-
crouse, donnant l’impression de mesures asymétriques» (p. 110). La Sonata n. 2 viene trattata dif-
fusamente nel testo. Per quanto riguarda il resto del campione analizzato: nella Sonata ‘Rustique’,
n. 1 (1925, dedicata a Maurice Ravel) si incontrano diversi giochi tra binario e ternario, ma il caso
specifico di 3-3-2 cade in I, batt. 66 (spartito Universal del 1926, U. E. 8599). Nella Sonata n. 3
(1932, dedicata ad Arthur Rubinstein come la n. 2), nel I movimento («Introduzione e Fugato») le
batt. 20-23, 28-30, 55-56, 118-20, 143-48 (proprio in cadenza) sono attraversate da una frenetica
successione di 3 e di 2 che si incastrano e si sovrappongono, mentre un ritmo zoppo netto (2-3-3) è
a batt. 78; il II movimento («Notturno») gioca molto sull’alternanza -@; la «Toccata» conclusiva
offre alcune battute che staccano un dinamico 3-3-2 (batt. 5, 20, 51, 70-73), mentre a batt. 26-29
c’è un gioco di alternanza binario-ternario a livello di biscrome (spartito Eschig del 1992, M. E.
8788). Per quanto riguarda le sonatine, la n. 1 (1923, dedicata a Mecislas Horszowski) ha già una
traccia di 3-3-2 a batt. 3, che rimane un unicum (spartito Salabert, E. S. 6415); la n. 2 è la Transat-
lantique; il primo movimento («Pastorale») della Sonatine n. 3 (1933, dedicata a Walter Spies «en
souvenir de Bali» [cfr. TANSMAN 1934 (2005), pp. 137-138]) usa un 3-3-2 come molla per far ri-
partire la prima sezione ritornellata (batt. 12), incastra 3-3-2 e 2-3-3 (batt.15), riutilizza il modulo a
batt. 25 e lo varia i 3-2-3 a batt. 36; il frenetico «Rondò-Perpetuum mobile» (III movimento) riesce

201
F. Lazzaro, Danza, incantesimo e preghiera

so più emblematico è la Sonata n. 2 (1929), dedicata ad Arthur Rubinstein,86 in


cui il ritmo zoppo ricorre più volte in tre dei quattro movimenti (manca nel «Lar-
go»), con funzioni diverse: nel primo  molto denso, armonico più che melodico,
senza un profilo ritmico regolare  l’apparizione del modulo 3-3-2 paradossal-
mente non serve ad ‘azzoppare’, come in altri contesti, ma a creare una regolarità,
un’aspettativa ritmica legata a un modulo riconoscibile e dinamico; nel terzo mo-
vimento, vivacissimo e continuamente cangiante, è solo uno degli svariati moduli
accentuativi combinati (lui stesso si presenta in diverse forme, come 2-3-3 o 3-2-
3); nel quarto, che è, di base, una danza (mazur), occorre solo in un momento di
riconduzione, con la su funzione abituale di destabilizzatore  crea il ‘disordine’
che spinge verso la nuova regolarità di una pseudo-ripresa. Si noti che in tutta la
Sonata c’è una sola terzina, ed è un abbellimento: è evidente che Tansman si ser-
ve del gioco di accenti per creare il contrasto binario-ternario, il che porta al ritmo
zoppo.
Se il ritmo zoppo 3-3-2 è così integrato nel linguaggio compositivo di Tan-
sman, si può pertanto propendere per l’ipotesi che il suo utilizzo nel «Fox-Trot»
non sia jazzistico ma appropriativo, che non si tratti cioè di un ingrediente per
rendere ‘jazz’ il brano, ma di un tratto stilistico che serve a personalizzare il mo-
dello cui si ispira (un rinnovamento alla Mrs. Malloy).
b) Altrettanto rilevante, e qui si viene al secondo punto, è la densità
dell’armonia. Il senso di instabilità delle appoggiature cromatiche tipiche del ge-
nere è accresciuto da Tansman con diversi espedienti: protrae il cromatismo ritar-
dando la risoluzione e lo sfasa ritmicamente per confondere la prevedibilità delle
note in posizione forte.
Nelle prime due battute del chorus (Esempio 30 supra) il compositore ritarda la
comparsa dell’accordo fondamentale (sol maggiore) fino al terzo movimento della
seconda battuta (cosa che, peraltro, enfatizza la divisione 3-3-2 di questo incipit);

a rallentare la sua corsa nelle ultime tre battute proprio con un efficace 3-3-3-3-2-2-2 (spartito E-
schig, M. E. 3993). A batt. 12 della Burlesque contenuta nell’antologia della Sirène musicale il 3-
3-2 del basso viene sovrapposto al 2-3-3 della melodia.
86
Edita da Schott (lastra 32431), è in quattro movimenti: I [Allegro risoluto], II [Largo], III.
Scherzo [Molto vivace], IV. Finale (Mazur) [Moderato  Allegro con brio].

202
Capitolo 3

un ‘fox-trot modello’, The Castle di James Reese Europe (uno dei grandi importa-
tori del jazz a Parigi e forse proprio l’inventore del genere),87 inizia il chorus appo-
giandosi sull’accordo fondamentale (do maggiore con la settima) e usando i croma-
tismi per girarci intorno:

Esempio 31 J. R. Europe, The Castle, batt. 5-8.

Si noti che la trottola tematica mi-do-re-re è ripetuta da Europe sempre nella me-
desima posizione ritmica, con l’inizio in battere, mentre a batt. 17-18 Tansman sfa-
sa, ritmicamente e in relazione agli accordi, la discesa cromatica del basso dal mi al
do: in questo modo l’accordo mi-sol-si viene ad assumere quattro bassi differenti a
seconda di quale nota venga a trovarsi in posizione forte, e viene pertanto reinter-
pretato come mi-sol-si, do-mi-sol-si, mi-sol-si-re, do-mi-sol-si:

Esempio 32 A. Tansman, Sonatine transatlantique, I. «Fox-Trot», batt. 17-18.

Il gioco con le appoggiature e le note di passaggio cromatiche confonde una su-


perficie armonica del brano già piuttosto densa per l’utilizzo di accordi complessi:

Esempio 33 A. Tansman, Sonatine transatlantique, I. «Fox-Trot», batt. 36-37.

87
Cfr. BADGER 1995, pp. 115-117.

203
F. Lazzaro, Danza, incantesimo e preghiera

L’accordo di partenza non deriva da cromatismi della battuta precedente, ma è il


blocco con cui Tansman risolve una semplice dominante: il re# aggiunto (in com-
presenza, si noti, col re naturale) è pertanto ‘gratuito’: si può spiegare con una scala
ottatonica, tipica del linguaggio tansmaniano,88 o come gradino necessario a salire
cromaticamente fino a mi# (si osservi il movimento di ogni voce, concepito linear-
mente: è il pensiero contrappuntistico di una big band?), il VI abbassato su cui si
conclude questa cadenza d’inganno su ritmo 3-3-2.
Non mancano passaggi dal gusto politonale (Esempio 34a), dove magari si som-
mano un’armonia triadica e una per quarte (Esempio 34b: si noti ancora una volta
la struttura 3-3-2):

Esempio 34 A. Tansman, Sonatine transatlantique, I. «Fox-Trot», a) batt. 40-41, b) batt. 30-31.

L’orecchio si abitua a questo jazz in cui c’è qualcosa che non quadra, e
quando le complicazioni di Tansman vengono intercalate da gesti squisitamente in
stile, come quello dei raccordi cadenzali per discesa cromatica, li si accoglie con
quel sorriso sornione con cui evidentemente il compositore stesso li aveva pensati
(come tradiscono le prescrizioni espressive):

Esempio 35 A. Tansman, Sonatine transatlantique, I. «Fox-Trot», batt. 35.

c) La struttura generale di «Fox-Trot» è la seguente:

88
Cfr. UVIETTA 2000. Emerge, qui e nell’Esempio 34b, qualche tratto di quell’armonia ‘russa’ che
nel complesso di Fox-Trot risulta però secondaria, giusto un ulteriore sigillo stilistico del composi-
tore in un brano che si basa sostanzialmente su sovrapposizioni di terze.

204
Capitolo 3

Intro
A ’ = 176 Chorus (sol maggiore)
Episodi di sviluppo89
Chorus e transizione
B ’ = 144 Melodia ripetuta variata (si# maggiore)
A’ ’ = 176 Chorus

La tripartizione del brano è nettamente scandita dal cambio di tempo e di tonalità


della sezione centrale, una sorta di trio. A causa della già denunciata assenza di
letteratura tecnica sul fox-trot, è difficile dire se si tratti di un tratto tipico del ge-
nere oppure di uno degli sratagemmi con cui Tansman avrebbe «réconciliée avec
une forme définie» questa danza: se è pur vero che il fox-trot nasceva già come un
rallentamento del ragtime e che quindi aggiungere una sezione ancora più lenta a
una danza per sua natura già ‘più lenta’ non avrebbe molto senso, e se molti fox-
trot che si possono ascoltare sono perlopiù all’insegna della struttura a chorus,
senza sezioni contrastanti, è altrettanto vero che lo spartito del già citato The Ca-
stle di James Reese Europe si conclude con una sezione giustappunto denominata
Trio (alla quale l’esecutore dovrebbe far seguire una ripresa del chorus?); anche il
«Fox-Trot» di Harsányi inserito nell’antologia della Sirène musicale è nettamente
bipartito da una doppia stanghetta di battuta che introduce una sezione di carattere
più terso, che sembra proprio richiamare la pratica del concludere i fox-trot con un
trio. Se, però, Tansman e Harsányi sembrano condividere una concezione «piano
e dolce» di questa sezione, il Trio di Europe è semplicemente costruito sul IV
grado, senza differenze di carattere con il resto del brano; a ben vedere, molti fox-
trot monotematici hanno una ripetizione del chorus sottovoce: Harsányi e Tan-
sman hanno sostanzialmente accolto questa caratteristica esecutiva, il primo con-
servando in parte il monotematismo (una delle voci che si intrecciano riprende,

89
A differenza dello schema ripetitivo-improvvisativo del jazz, Tansman adotta una tecnica di svi-
luppo: non ripropone la macrostruttura del percorso armonico variandone la superficie, ma svilup-
pa il materiale presentato nel chorus in una sequenza di brevi episodi che sfociano l’uno nell’altro.
Si può osservare, ad esempio, l’idea di progressione cromatica presente in nuce alla voce centrale
di batt. 12 (v. Esempio 30) sviluppata nell’episodio riportato nell’Esempio 33 o nell’Esempio 34b.
Si ricorderà che invece nel blues del Tour du monde il compositore, interessato in quella sede a
fotografare e non a reinventare, aveva scritto una sorta di improvvisazione (v. supra Esempio 29).

205
F. Lazzaro, Danza, incantesimo e preghiera

semplificandolo, un motivo swingato già proposto), il secondo accentuando il


contrasto con una texture del tutto nuova.

Esempio 36 A. Tansman, Sonatine transatlantique, I. «Fox-Trot», batt. 56-63; T. Harsányi, Fox-


Trot, batt. 30-34; J. R. Europe, The Castle, batt. 53-56: trii a confronto.

Si noti che il trio di Tansman è molto più regolare del resto del brano, in tutti i pa-
rametri; ritorna la figura ritmica precadenzale rag (·o– ¥ ’ ¥ ’) già incontrata nel
chorus. Dal punto di vista ritmico, Harsányi crea un ciclo di   decisamente ‘fuori
stile’  che aveva già introdotto a batt. 18 sgg. e che per la sua ricorrenza è un po’
il marchio del pezzo, sulla falsariga del 3-3-2 di Tansman.
In conclusione, la verifica analitica sembra confermare il giudizio di
Schwerke: Tansman si è appropriato di una forma di danza contemporanea per
scrivere un pezzo suo, con caratteristiche che si possono ricondurre a tratti stilisti-
ci ricorrenti nella sua produzione coeva (dal 3-3-2 alle ottatoniche); la danza che
ne risulta è più complessa del suo modello (cui continuamente ammicca) dal pun-
to di vista ritmico, armonico e formale, pur mantenendo un livello di riconoscibili-
tà tale da poterne garantire una fruizione che metta in gioco le competenze
dell’ascoltatore e un fruttuoso scarto di aspettative. (Nonostante l’atteggiamento

206
Capitolo 3

appropriativo di Harsányi nei confronti del fox-trot, egli dichiarò che «un fox ou
un tango sont pour moi des pièces à danser, tout simplement»).90 Nel suo uso del
jazz non come mezzo per rinnovare la musica ma proprio come una di quelle mu-
siche da rinnovare, si può dire che Tansman abbia un atteggiamento nei confronti
di questo repertorio che non è più quello degli anni ’20, ma già, come nel Jolivet
della Danse du héros, anni ’30  di renouveau a partire da un linguaggio consoli-
dato e fruibile  seppure senza condividere la poetica esplicita degli spiritualisti.
Un atteggiamento compositivo simile nei confronti del materiale musicale non per
forza corrisponde al medesimo intento estetico.

3. MELODIE INCANTEVOLI
3.1. LO CHARME DELLA DANSE NUPTIALE

Bernard Gavoty: «La Danse nuptiale, c’est celle de l’amour et du mariage.


Vous êtes-vous appuyé sur certaines traditions exotiques?»
André Jolivet : «Phrase sinueuse du hautbois ‘un charme’»91

È uno dei vocaboli più ricchi della lingua francese: charme significa propriamente
“incantesimo”, attestato già dal XII secolo proprio come “formula magica”,92 e
per estensione “fascino” che si esercita su qualcuno (ce n’è una traccia
nell’italiano “incantevole”). Sottende l’idea che l’attrazione è cosa magica, so-
prannaturale, abbraccia la concezione dell’amore come daimon. E, particolare da
non trascurare, deriva dal latino carmen, così come enchanter: secondo

90
«Il n’y a pas de genre inférieur. Je considère un tango ou un jazz-fox comme Haydn considérait
un menuet, Chopin une mazur, Schubert un Ländler, Johann Strauss une valse. Tandis que Stra-
winsky dans son Piano-Rag-Music semble vouloir encore créer une ‘atmosphère’ ou suggérer une
image, un fox ou un tango sont pour moi des pièces à danser, tout simplement» (in BRUYR 1933, p.
48).
91
JOLIVET 1959, p. 458.
92
Secondo quanto indicato da Le Nouveau Petit Robert (2002), che pur dichiarando di appoggiar-
si, per le etimologie, sul Französisches etymologisches Wörterbuch di W. von Wartburg, rischia di
traviare in questo caso l’originale che recita, ad vocem: «Influence occulte ou magique, qui produit
une illusion des sens» (non per forza tale influenza è dovuta a una formula).

207
F. Lazzaro, Danza, incantesimo e preghiera

l’etimologia proposta da Jules Combarieu (che Jolivet aveva letto), «il verbo “in-
cantare” [enchanter] ha indicato dapprincipio l’azione specialissima che si eserci-
tava sopra un oggetto o una persona, con l’aiuto del canto».93 La melodia
dell’oboe protagonista della terza danza rituale è proprio un carmen, un canto ma-
gico e d’amore.94 Tutto il brano ruota attorno a questa cantilena in @ che subisce
interruzioni, prolungamenti, variazioni e un ampio sviluppo nella sezione centrale.
La Danse nuptiale95 non è tanto incentrata sulla percezione di un ritmo (con i suoi
cambiamenti, come nella Danse du héros), quanto sulla sinuosità del carmen ac-
canto al quale fanno capolino alcune cellule ritmiche ricorrenti: una su tutte quella
dell’ostinato della Danse initiatique, quasi a richiamare quel momento di scoperta
della sessualità che ora si concretizza nell’accoppiamento (e molto distante dalla
codificazione culturale del rapporto di coppia evocata nel tango). La nenia
dell’oboe ha un metrica ben precisa e percepibile: i @ sono divisi in 3+3, una salita
che ricade sulla sensibile per innestare un possibile processo di loop:

Esempio 37 A. Jolivet, Cinq danses rituelles, III. Danse nuptiale, batt. 9.

93
COMBARIEU 1909 (1982), p. 32. Cfr. anche p. 14: «Nelle diverse epoche della civiltà, e in tutti i
paesi, la musica è stata considerata come la grande potenza di seduzione e di incantesimo
[charme]. Unica differenza tra noi e i nostri più lontani antenati sta nel fatto che noi con la parola
“incantesimo” designiamo effetti estetici che posson variare a seconda del temperamento
dell’ascoltatore, laddove gli antichi facevano esprimere al medesimo termine effetti necessari, de-
terminati da leggi». Il musicologo, basandosi su una dotta serie di citazioni in cui occorrono i ter-
mini chiave della sua indagine, induce che se carmen ha designato nella storia sia “magia” sia
“canto”, ciò è spia di un’origine in cui le due cose coincidevano. Sebbene il libro di Combarieu
non sia presente tra i volumi della biblioteca di Jolivet conservati alla Médiathèque Gustav Ma-
hler, Christine Jolivet testimonia che suo padre lo possedeva e che, come accadde con molti altri
testi, andò perduto in qualche trasloco.
94
In una conferenza del 1960 Jolivet parlò proprio di «charmes, c’est-à-dire […] chants magiques»
(JOLIVET 1960, p. 268).
95
C’è una discordanza tra la versione pianistica e quella orchestrale: tra le batt. 28 e 29 di
quest’ultima, la prima interpola una ripresa delle batt. 9-11 (batt. 28a, 28b, 28c).

208
Capitolo 3

Si noti che l’attesa di una fase discendente dopo le prime tre note è data dal fatto
che l’accordo diminuito che tracciano è abituato, in un contesto tonale, a risolversi
chiudendosi in una terza (si-re-fa  do-mi): l’armonia di Jolivet disattende questa
soluzione, ma abbraccia l’aspettativa del profilo. La bipartizione è sottolineata
dall’armonia, perlomeno all’inizio (come si vedrà nel prossimo esempio).
Il meccanismo impiegato contiene in nuce i mezzi per esprimere la ripetitività, la
circolarità. Ed è con questa aspettativa che gioca Jolivet interrompendo il loop e
prolungando la cantilena invece di ripeterla.

Esempio 38 A. Jolivet, Cinq danses rituelles, III. Danse nuptiale, batt. 9-17 (riduzione).

L’esempio riporta le prime battute (introduzione esclusa) della Danse nuptiale. Il


trattamento del modulo circolare è evidente: viene ripreso (e quindi si asseconda la
sua circolarità, come indicano le frecce), oppure concluso (nel qual caso si inseri-
scono dei moduli ritmici sulla finalis tenuta), ripreso dalla sensibile (cerchiata), va-
riato. Si noti che i moduli ritmici che si inseriscono nei momenti di stasi della can-
tilena sono due diversi (per deludere, ancora una volta, l’aspettativa): il secondo è,
si sarà notato, l’ostinato della Danse initiatique (presente, peraltro, già
nell’introduzione della Danse nuptiale), e nelle successive apparizioni muterà la

209
F. Lazzaro, Danza, incantesimo e preghiera

sua durata. A rendere più sfumata la ripetizione della nenia contribuisce l’armonia:
se nelle prime apparizioni sottolinea la bipartizione salita–discesa, in seguito si al-
terna di pari passo con la ripresa del modulo (I e II indicano la prima e la seconda
armonia).
Il modulo ritmico della Danse initiatique (¥ ’ ’ ¥ ) non solo si affaccia, ma guada-
gna via via un ruolo sempre più emergente. A batt. 33-34 è inglobato nella nenia:

Esempio 39 A. Jolivet, Cinq danses rituelles, III. Danse nuptiale, batt. 33.

E da en pressant di batt. 39 (Esempio 40) riacquista il suo status di ostinato irre-


golare (b) che stringe in un tema ritmico (c) di bicordi la#-si#, fino allo sciogli-
mento in una transizione che porta a uno sviluppo (Esempio 41) caratterizzato dal-
la contrapposizione tra ritmo (elemento ostinato di b ed elemento accordale omo-
ritmico di c) e non-ritmo (elemento fluido del’introduzione).

Esempio 40 A. Jolivet, Cinq danses rituelles, III. Danse nuptiale, batt. 39-46: schema
dell’ostinato.

210
Capitolo 3

Esempio 41 A. Jolivet, Cinq danses rituelles, III. Danse nuptiale, batt. 49-60: schema
dell’alternanza dei moduli variati.

La danza si conclude, dopo la ripresa della nenia, con una coda ancora una volta
puramente ritmica.

Esempio 42 A. Jolivet, Cinq danses rituelles, III. Danse nuptiale, batt. 66-78: schema della coda.

211
F. Lazzaro, Danza, incantesimo e preghiera

Non si può non notare che la nenia dell’oboe si fonda su un tritono si-fa. Il tritono
in Jolivet ha naturalmente, come per tutti i musicisti dell’epoca, una funzione anti-
tonale (si ricordi che una delle società musicali nate nella Parigi degli anni ’30 si
chiamava proprio Triton); ma il suo ruolo non si esaurisce qui, e si colora di im-
plicazioni primitiviste, riguardanti sia la sua natura sia il suo uso. Per quanto con-
cerne la natura del tritono, Jolivet spiega in più occasioni che, trattandosi di un in-
tervallo contenuto tra i primi armonici, è parte integrante della risonanza di una
nota, e pertanto primordiale e fisico (sia dal punto di vista dell’emissione, sia da
quello della ricezione).96 Quanto all’uso ‘magico’ del tritono, Jolivet evidenzia
con forza la frase conclusiva della descrizione di una danza balinese: «Le thème
principal de ces chants est écrit sur l’ambitus du triton»;97 nello stesso libro, qual-
che pagina prima, aveva già sottolineato con la medesima decisione questo para-
grafo:

Les chants magiques des noires, le disque enfin nous le révèle, sont placés
sous le signe de la répétition. La mélodie assez courte est faite de deux
phrases, la première lancée par le sorcier, et la seconde reprise en chœur, à la
manière de nos litanies. Et, chose curieuse, ces phrases sont composées sur
l’ambitus de ce fameux triton banni de la liturgie catholique et réputé
d’inspiration diabolique.98

Nel prossimo paragrafo si analizzeranno nel dettaglio proprio i rapporti tra costru-
zione melodica e procedimenti incantatori.

3.2. FORMULE MAGICHE, RIPETIZIONE E IMITAZIONE: LE CINQ INCANTATIONS


All’inizio del paragrafo precedente ci si era soffermati sul termine charme. Per la
Danse nuptiale, l’etimologia da carmen si è visto essere non poco appropriata;
ma, trattandosi di Jolivet, non è da sottovalutare il potere incantatorio associato al
96
Per un’illustrazione dell’impiego della risonanza naturale cfr. JOLIVET 1937a, pp. 59-63.
Sull’importanza della ricezione fisica del fenomeno sonoro, dell’effetto delle vibrazioni prima an-
cora che dell’ascolto, v. supra Capitolo 2 § 1.3 e n. 59.
97
CALLIAS 1938, p. 81.
98
Ivi, p. 75.

212
Capitolo 3

termine. Jolivet ha sempre dichiarato primario il ruolo della melodia, pertanto vale
la pena di soffermarsi ad analizzare le regole compositive che informano la sua
creazione melodica. Per farlo mi appoggerò innanzitutto laddove la melodia è più
nuda, e cioè a un brano per strumento solista; e nulla è più adatto di un brano che
racchiuda in sé entrambe le sfumature del termine charme (canto e incantesimo):
le Cinq Incantations per flauto solo del 1939.99 In particolare, la circolarità (qui si
pensi alla costruzione del motivo) e la ripetizione sono elementi che la letteratura
sulla magia a disposizione di Jolivet metteva in primissimo piano. Oltre allo stori-
co testo di Jules Combarieu, La musique et la magie (1909), già citato, penso a un
libello esoterico molto apprezzato dal musicista, La magie sonore (1938) di Hélè-
ne de Callias (amica dei coniugi Jolivet).100
Procederò in modo analitico, a partire da Combarieu, per approdare al rile-
vamento nella musica incantatoria di Jolivet di alcune regole di strutturazione
considerate tipiche del mondo magico e fino ad allora secondarie nella teoria oc-
cidentale della composizione. Sono sostanzialmente due i tratti caratteristici
dell’arte incantatoria secondo Combarieu: la ripetizione e l’imitazione. «In tutti
gli incantesimi noti le formule magiche non son considerate valide quando non ri-
petute tre o quattro volte»:101 la spiegazione risiederebbe nella natura stessa degli
spiriti a cui l’uomo si rivolge per imporre la propria volontà (la magia è un’azione
di comando, a differenza della preghiera che sarà una domanda, la richiesta di un
impotente); per esempio, le iscrizioni nella camera mortuaria del re Unas, nella pi-

99
Per una disamina delle tecniche di costruzione melodica di Jolivet cfr. CONRAD 1994, pp. 301-
315; il suo cap. 8 è interamente dedicato all’analisi delle Cinq Incantations.
100
La dedica dell’esemplare che appartenne a Jolivet è: «Pour André Jolivet qui trouvera son nom
dans ce petit livre». Probabilmente molti dei contenuti del libello erano argomento di conversazio-
ne con i Jolivet.
101
COMBARIEU 1909 (1982), p. 88. L’autore spiega con questo dato l’importanza della ripetizione
in musica, che naturalmente ha mutato statuto nel corso della storia: «Nessuno dubiterà certo che
in seguito questa tripla o quadrupla ripetizione abbia coinciso con una soddisfazione del senso e-
stetico senz’altre connotazioni e significati, non però per la ricerca di codesto mero gradimento
essa principiò: le preoccupazioni utilitarie son di molto anteriori a quelle estetiche» (ibidem). A
proposito del rapporto tra ripetizione e magia, non si può non pensare al carattere iterativo de
L’apprenti sorcier (1897) di Paul Dukas, compositore apprezzato da Jolivet e scomparso nel 1935
(l’anno successivo la «Revue musicale» gli dedicò un numero speciale [XVII, n. 166 di maggio-
giugno], l’unico volume degli anni ’30 di questa rivista presente nel biblioteca di Jolivet).

213
F. Lazzaro, Danza, incantesimo e preghiera

ramide egizia di Saqqara («il documento più antico di cui possa avvalersi la storia
della musica»),102 prescrivono di ripetere quattro volte ogni formula poiché «Unas
è ritenuto regnare ai quattro angoli dell’orizzonte» e pertanto è come se ci si ri-
volgesse a quattro persone differenti.103 Una delle tesi più ribadite da Combarieu è
che la religione, e in particolare la tradizione cattolica, ha ereditato gli schemati-
smi della magia: ne è traccia la triplice ripetizione del Kyrie eleison, non certo do-
vuta al fatto che «il numero 3 produce la ‘compunzione’ più di quanto farebbero il
4 o il 5…»;104 la ragione va piuttosto ricercata, per Combarieu, nella tradizione
«veterrima» (efficace latinismo della traduzione di Maurizio Papini) del canto
magico nel suo cammino per divenire canto tout court: infatti lo schema Kyrie e-
leison (x3)–Christe eleison (x3)–Kyrie eleison (x3) sarebbe il nucleo da cui deriva
la struttura per eccellenza del canto profano (la forma Lied A-B-A), e a sua volta
rappresenterebbe una cerniera fra tradizione magica e religiosa.
Quando Jolivet prescrive, nella prima delle Cinq Incantations, di ripetere il
corpo centrale del brano «au moins 3 fois», ci porta subito in un mondo molto vi-
cino a quello tratteggiato da Combarieu.105 E soprattutto lontano dal sistema ‘a
base 2’ che si è imposto con le danze barocche. La terza Incantation accoglie sia
la ripetizione ternaria sia quella quaternaria: la seconda, lunga (dura ), battuta va
ripetuta quattro volte «en variant chaque fois la nuance»; segue una frase identica
(cambia solo la conclusione), cosicché effettivamente la si ascolta cinque volte;
dopo due battute si arriva a una cadenza acuta e fortissimo (à la Varèse), e «on

102
COMBARIEU 1909 (1982), p. 83.
103
Ivi, p. 88.
104
Ivi, p. 132.
105
E da Hélène de Callias, come dimostra un passo evidenziato da Jolivet: «Quant à nous, recher-
chons désormais pour toujours retrouver les formules de magie sonore propagées par trois puis-
sances principales: le symbolisme des nombres, la répétition, les appropriations cosmiques. En
magie musicale, les nombres jouent un rôle éminent. En Europe, l’incantation est presque toujours
sous le signe du nombre trois» (CALLIAS 1938, p. 57). A proposito dei rapporti tra numero 3 e
formulario musicale cattolico, si legga questo passo (anch’esso sottolineato da Jolivet): «Il semble-
rait que les compositeurs aient totalement méconnu le sens occulte de ces invocations par trois, si
l’on s’en réfère aux Agnus Dei qu’ils composent, et dans lesquels ils font répéter le texte un
nombre de fois indéterminé, au gré de leur inspiration musicale» (p. 61). Il primo contributo che
ha cercato elementi ‘magici’ nelle Cinq Incantations è KEMLER 1983.

214
Capitolo 3

peut reprendre ce passage [dalla seconda misura, quella ripetuta quattro volte]
plusieurs fois de suite». La seconda metà del brano funziona alla stessa maniera,
con la differenza che non si può riprendere «plusieurs fois de suite» e che la prima
frase è da reiterarsi solo tre volte (sempre «en variant chaque fois la nuance»).
L’ultimo passo in cui Jolivet richiede la ripresa di un passaggio per un numero di
volte diverso da due, cioè diverso da quello standardizzato dal segno di ritornello,
è la prima frase dell’ultima Incantation, tre volte, peraltro ognuna con una conclu-
sione differente, proprio come nella tradizione del ritornello classico (I volta, II
volta, e qui, III volta). C’è poi un caso, nella quarta Incantation, di ripetizione «en
écho»: un frammento ritmico e melodico viene riproposto dal compositore leg-
germente mutato (‘tradito’ dall’eco, si potrebbe dire), ma alla seconda ripetizione
si prolunga, non si conclude, diventa altro:

Esempio 43 A. Jolivet, Cinq incantations, IV. «Pour une communion sereine de l’être avec le
monde», batt. 11-15.

È un’esplicitazione, con lo stratagemma dell’eco, della tecnica utilizzata da Jolivet


per la creazione melodica: è un’altra coniugazione del principio della ripetizione,
non più letterale ma, per parafrasare Schönberg, «in sviluppo».106 Il meccanismo è
semplice, ed è già stato rilevato nei casi di testa-desinenza (che possono servirse-

106
Mi riferisco al principio di «variazione in sviluppo» che Arnold Schönberg attribuì alla musica
del classicismo viennese. Cfr. una definizione secca in un testo del 1950 leggibile in SCHÖNBERG
2008, p. 268: «la variazione degli elementi costitutivi di una unità fondamentale determina tutte le
formulazioni tematiche che forniscono da un lato scorrevolezza, contrasto, varietà, logica e unità e,
dall’altro lato, ogni differenziazione necessaria; quindi, l’elaborazione del pensiero di un brano».
Per una discussione dell’applicazione del concetto nelle analisi effettuate da Schönberg, cfr. DAL-
HAUS 1986 (1999). V. anche supra e infra il concetto di «variation perpétuelle».

215
F. Lazzaro, Danza, incantesimo e preghiera

ne oppure no). Ora risulta chiaro che il concetto di partenza è sempre quello “ma-
gico” della ripetizione; inoltre, una frase costruita secondo la ripetizione in svi-
luppo, può essere a sua volta ripetuta letteralmente: ecco che si fondono le due
tecniche compositive basate sul principio della ripetizione. Schematicamente:

a) testa-desinenza
ripetizione in sviluppo eventuale ripetizione letterale
b) solo testa variata

Nel caso (a), la testa può essere o meno variata. Se si torna al carmen della Danse
nuptiale, si trova una casistica di esempi cospicua. L’intera nenia si fonda sulla
ripetizione della melodia ad arco di sei note (v. supra Esempio 37): ripetizione let-
terale, cadenzante (quando chiude la sensibile fermandosi sul si3 tenuto), variata
(v. Esempio 38); laddove la fioritura si dilunga e fa perdere il senso della compiu-
tezza della melodia di partenza siamo di fronte a una desinenza, che andrà a con-
cludere per poi ridare l’avvio alla melodia di partenza.
Un esempio di costruzione di tipo (a) con la testa sempre variata seguita da
una desinenza sempre differente che conclude però con il medesimo sigillo (natu-
ralmente, un po’ variato) è la prima parte della Incantation (…pour que l’image
devienne symbole) (1937), un’altra «incantation» (oltre alle Cinq) per strumento
melodico (a seconda delle versioni: flauto in sol, in do, violino o onde Marte-
not).107

Esempio 44 A. Jolivet, Incantation (…pour que l’image devienne symbole): struttura delle prime
tre frasi.

107
Traggo gli esempi dalla versione per flauto (Paris, Billaudot, 1967, lastra M. R. 1096 B. F.).
Quella per violino o onde Martenot è notata una quarta sotto.

216
Capitolo 3

Quanto al principio costruttivo di tipo (b), basato sulla sola ripetizione variata di
una testa, è ben esemplificato dalla seconda delle Cinq Incantations. Il brano è co-
struito sostanzialmente sull’alternanza di due moduli (uno ritmico, su una sola no-
ta: A; uno melodico: B) ripetuti per diverse volte sempre variati. L’Esempio 45
(nella pagine seguente) schematizza il processo di variazione (ogni variante è in-
serita nello schema in ordine di apparizione, ma può avere diverse occorrenze, il
cui numero è indicato dall’apice tra parentesi).
Nell’esempio, le stanghette tratteggiate indicano l’originale divisione di battuta. La
distinzione tra prima e seconda parte ha senso, nell’economia dello schema, per la
cellula A (il cui trattamento muta molto: cellula ritmica variamente componibile
prima, variazione di un discorso fraseologico dopo), meno in B, che viene lungo
tutto il brano concepita come una cellula che è anche frase.
Si noti la gerarchia e la polarità delle altezze: il mi#3 è trattato come nota di riposo –
di partenza e di arrivo –, come ‘tonica’, e questo suo ruolo è enfatizzato dal re4, la
sua ‘sensibile’. Il tema A viene intonato su entrambe le note, esattamente secondo
il principio sonatistico della contrapposizione tra area di tonica e di dominante, con
funzione anche di organizzazione strutturale (la seconda parte del brano, dopo una
lunga sosta sulla ‘tonica’ – vera e propria cadenza che conclude la sezione iniziale
– si apre col tema A ribattuto sulla ‘sensibile’). Le variabili principali del tema B (il
cui scheletro melodico è mi#3-re#3-fa#3-re4) sono: la velocità dell’arpeggio verso il
re4; la dinamica con cui questa nota conclusiva viene emessa (cadenza varèsiana ‘a
picco’ oppure sfumatura verso il silenzio); l’omissione del mi# di partenza; la fiori-
tura oltre il re4 (presente in 4 occorrenze sempre più ricca e rapida);
l’interpolazione di note tra quella di partenza (mi#4) e la seconda, che dà il via allo
slancio verso l’alto (re#3).

217
F. Lazzaro, Danza, incantesimo e preghiera

Esempio 45 A. Jolivet, Cinq incantations, II. «Pour que l’enfant qui va naitre soit un fils»: proces-
si di variazione.

218
Capitolo 3

La ripetizione gioca, dunque, un ruolo di primo piano nella costruzione melodica


di questi brani-incantesimi di Jolivet. Si diceva che c’è un altro principio che
Combarieu ritiene fondamentale nelle pratiche magiche, e cioè l’imitazione. A
ben vedere, se si segue il suo ragionamento, la ripetizione può avere un’origine
imitativa: «la spiegazione data per il canto religioso […] che la ripetizione, nella
melodia con parole, aveva come scopo di far meglio penetrare certe parole im-
portanti»,108 non ha, per il musicologo, alcun senso, dacché «neanche Gesù prova
il bisogno di ripetere le ‘parole importanti’; e sarebbe grossa davvero che i prose-
cutori della sua parola avessero escogitato un procedimento oratorio superiore al
suo!».109 Ingenuità a parte, ciò che conta per Combarieu è l’originale finalità ma-
gica (e non oratoria) della ripetizione; fin da principio collegata alla musica (per la
coincidenza di musica e incantesimi), essa ne sarebbe divenuta caratteristica pecu-
liare: «la ripetizione è evitata il più possibile nel linguaggio verbale artistico; se
essa compare in qualche luogo speciale di tale linguaggio (versi di eguale misura,
rima, ecc.), deve questa sua introduzione alla musica».110 Lo schema proposto è
dunque: musica e magia coincidevano, la magia era ripetitiva, la musica diviene
ripetitiva (l’origine della ripetizione sta nella magia), ciò che fuori dalla musica è
ripetitivo ha origini musicali (es. la rima) e, eventualmente, magiche (secondo lo-
gica). C’è qualcosa, però, che non quadra: la magia è ripetitiva poiché musicale
(dunque la ripetizione sarebbe originariamente musicale, indipendentemente dal
fortunato incontro di musica e magia), oppure deve la sua ripetizione ad altro e la
musica dunque conosce la ripetizione poiché unita alla magia? La risposta di
Combarieu sembra essere che, in epoca moderna, la ripetizione sia una regola
propriamente musicale (e necessaria alla musica: «esiste opera musicale solo lì
ove si trovi un sistema di forme organizzate secondo uno schema o progetto. Ora,
l’organizzazione delle forme, in musica, obbedisce a una legge fondamentale: la
ripetizione»),111 ma che l’origine fosse funzionale, dunque magica, e non costrut-

108
COMBARIEU 1909 (1982), p. 171, corsivo dell’autore.
109
Ivi, p. 172.
110
Ivi, p. 170.
111
Ivi, p. 169.

219
F. Lazzaro, Danza, incantesimo e preghiera

tivo-formale («La musica deriva dalla magia: ora, una delle regole universalmente
seguite nell’uso delle formule magiche, è la ripetizione»;112 e ancora: «Senza dub-
bio v’è un momento in questa evoluzione in cui il godimento estetico del cantore e
degli ascoltatori si trova appagato da codest’uso e lo coltiva in maniera disinteres-
sata, appunto: per il piacere»  la funzione ornamentale-ricreativa segue quella
utilitaria).113 Viene da chiedersi allora: perché la magia è ripetitiva? Il motivo sa-
rebbe l’origine talvolta imitativa della ripetizione. In senso lato, anche il caso cita-
to del re egizio Unas può essere fatto rientrare in una categoria imitativa: la ripeti-
zione dell’invocazione imita la natura una e tetrastica del dio (la funzione ripetiti-
va è qui, però, meno indiretta: è chiaro che se Unas vive in quattro posti diversi è
bene recapitargli il messaggio a tutti i suoi indirizzi). Ripetizione e imitazione
possono essere legate in senso lato, o in senso simbolico: i «numeri preferiti» da
magia e musica sono il 3 e il 4, e loro multipli («nessuna formula magica deve es-
sere ripetuta 11 o 13 volte… e questi numeri sono pure estranei al ritmo musica-
le»).114 Il che ribadisce il legame magia-musica e deriva da ragioni facilmente
immaginabili: il sistema a base 2 dalla simmetria del corpo umano, quello a base 3
dal concetto 2+1 (con implicazioni sovraumane). La ripetizione sarebbe dunque
dovuta o a ragioni dirette (gli ‘indirizzi’ del dio) o simbolica. E l’imitazione in
senso stretto?
Il musicologo vi dedica un intero capitolo, «La teoria dell’imitazione nelle
arti figurative e nelle arti del ritmo», poiché «il mago si sforza di agire sul simile a
mezzo del simile».115 Il che è comodamente illustrabile proprio con la danza (mi-

112
Ivi, p. 174.
113
Ivi, p. È proprio quanto, nel primo capitolo del suo lavoro, Combarieu sostiene essere la «tesi
sostenuta in questo libro»: «Il canto profano proviene dal canto religioso; il canto religioso provie-
ne dal canto magico. […] Se la musica non fosse sortita dall’intimo del cuore umano e se fosse
stata all’inizio solo un espediente per risolvere certe difficoltà della vita, allora essa sarebbe stata
abbandonata, una volta vinte quelle difficoltà col progredire della civiltà. Si tratta perciò di cosa
diversa da un mezzo pratico […]. Prima però dell’‘arte’, che è un lusso, incombe al vivente
l’imperiosa necessità di assicurare la propria esistenza, e l’attitudine musicale s’è dapprima mani-
festata in un senso ampiamente utilitario» (ivi, p. 13).
114
Ivi, pp. 175-176.
115
Ivi, p. 152, corsivo dell’autore.

220
Capitolo 3

metica) e il canto: ad esempio, una danza per favorire la caccia mirerà a riprodur-
re, tramite pellicce, versi, movimenti e quant’altro, quegli animali su cui si intende
esercitare il proprio potere venatorio; quanto al canto, Combarieu lo definisce arte
imitativa in relazione alla danza:

In origine, poesia, canto o musica strumentale, e danza si trovavano stretta-


mente uniti […]. Era precisamente il ritmo a regolare contemporaneamente
le parole, i suoni, i passi. Questa tripla esecuzione simultanea vale da caratte-
ristica dell’arte primitiva. Essa è tra gli antichi l’equivalente della polifonia
moderna […].116

Non è dunque relativamente alla riproduzione vocale di certi versi di animali o di


direzionalità simboliche (come potrebbe essere l’emissione di un ticchettio per
evocare la pioggia), come si potrebbe pensare, che Combarieu definisce la com-
ponente imitativa del canto. Per la verità, in altri passi del libro porta anche esem-
pi simili, con valore descrittivo, come i salti d’ottava con corone che, in un canto
magico messicano, «valgono da richiamo, seguito da attesa e da angoscia, alle co-
se dell’alto».117 Mi sembra possibile rintracciare nella prima delle Cinq Incanta-
tions proprio un’ispirazione imitativa: Jolivet crea un incantesimo mimetico. Per
capirlo bisogna sapere che, come recita il titolo del brano, questa Incantation è fi-
nalizzata alla buona riuscita di un incontro diplomatico («Pour raccueillir les né-
gociateurs – et que l’entrevue soit pacifique»). Come in una danza mimetica di
caccia si mimano gli animali da cacciare e la caccia stessa, così questo incantesi-
mo mima le due parti, il loro dialogo, il loro accordarsi. Ognuna delle due parti è
ben caratterizzata musicalmente: una si esprime a salti e rapide acciaccature in ar-
peggio nella zona grave del flauto (sostanzialmente do3-re4), l’altra conduce una
melodia molto acuta (do5-do6) per gradi congiunti in Flatterzunge. Il loro dialo-
go serrato va ripetuto «au moins 3 fois» (ecco che il principio dell’imitazione e
della ripetizione compartecipano a ricreare il mondo degli incantesimi). Dopodi-
ché la musica sembra mimare la buona riuscita dell’incontro: le due voci si fon-

116
Ivi, p. 159.
117
Ivi, p. 46, corsivo dell’autore.

221
F. Lazzaro, Danza, incantesimo e preghiera

dono in un’unica linea melodica che copre tutta la tessitura (da do3 a re6; anche se
manca l’elemento distintivo di una delle parti, il Flatterzunge).

Esempio 46 A. Jolivet, Cinq incantations, I. «Pour accueillir les négociateurs  et que l’entrevue
soit pacifique», batt. 5-6 e 13-17: divisione delle voci e loro unione finale.

Secondo le letture proposte, appare verosimile che Jolivet si sia servito delle sug-
gestioni scritte a mo’ di ricette per la sua musica incantatoria. Ha riempito delle
formule con uno stile personale; voleva creare una musica nuova che suscitasse
reazioni universali, e per farlo si è servito non di materiale musicale pre- o anti-
storico che ha assemblato secondo il suo gusto e le sue regole (come in parte ha
fatto lo Stravinskij del Sacre, per intenderci), ma al contrario ha inserito un mate-
riale originale in schemi tratti da riflessioni su delle musiche che non ha mai con-
siderato effettivamente come modelli diretti: Jolivet in questi casi non parte dal
dato diretto di un brano popolare ascoltato e che cerca di ricreare (per atmosfera,
sonorità, strumentazione, ecc.), come poteva essere il caso dei musicisti folgorati
dal gamelan giavanese, ma parte dall’astrazione musicologica o esoterica come
serbatoio di istruzioni per costruire una musica che sia assolutamente sua, ma che
affondi le radici – e conseguentemente gli effetti – in una tradizione di simboli e
strutture che riteneva universali. Jolivet non vuole andare incontro, accostarsi o
arricchirsi con l’altro, ma vuole trovare la pietra filosofale del potere incantatorio
dei suoni. Nell’esotico non cerca il lontano, ma il principio da riapplicare  non è
dissimile in questo dall’atteggiamento di Messiaen nei confronti degli schemi rit-
mici indiani.118 Si può affermare quasi paradossalmente che la scelta del composi-

118
V. infra Capitolo 4, § 4.1.

222
Capitolo 3

tore di creare una musica nuova rifacendosi a modelli antichi (verrebbe da dire
‘preantichi’) abbia anche alcuni punti di contatto con lo spirito à la manière de ti-
pico degli anni tra le guerre, in quanto partecipa (quanto consapevolmente?) del
processo di messa a distanza e riuso decontestualizzato dei modelli. È ancora
Combarieu ad aiutarci a comprendere in che modo, con la sua illustrazione del
funzionamento della magia. Il punto fondamentale è che la magia (e quindi il po-
tere incantatorio della musica) agisce sugli spiriti che pervadono la natura, mai
sull’uditorio umano (emotivamente o esteticamente); quando l’incantesimo è di-
retto verso l’uomo (come nel caso di malattia o amore), la formula magica ha in
realtà effetto sugli spiriti interni al corpo, e può dunque sortire risposte fisiologi-
che. Ora, se Jolivet conosceva questa spiegazione di Combarieu o di chi per esso,
almeno in parte la tradiva: infatti egli ha sempre dichiarato di rivolgersi diretta-
mente all’uditorio umano, senza le finalità pratiche proprie della magia (favorire
la caccia, invocare la pioggia, guarire, ecc.), ma piuttosto con un fine etico di par-
tecipazione di ogni uomo, tramite la musica, all’Essere, al cosmo. Dunque, in un
certo senso, decontestualizza il modello “formula magica” (finalizzata a
un’azione) e lo riusa, ricreandolo, con altri scopi.
La fonte di tale slittamento della concezione del magico dall’effetto pratico,
concreto, a quello metafisico è la tradizione esoterica, e in particolare il libro su
musica e magia di Hélène de Callias. Basta il capoverso di apertura a darne
un’idea:

L’art des sons est un art essentiellement abstrait. Les trésors accumulés par
le génie musical depuis des siècles laissent, en effet, apparaître
l’inexprimable que les mots trop restreints ou trop précis ne peuvent nous
révéler, l’origine psychique de leur élan et, enfin, les affinités latentes de
notre âme avec l’inconnu.119

Si mescolano termini romantici («génie», «l’inexprimable») a idee parapsicologi-


che ed esoteriche. Il tutto (molto confusamente) con base in Combarieu,
nell’origine unica di musica e magia:
119
CALLIAS 1938, p. 7.

223
F. Lazzaro, Danza, incantesimo e preghiera

Mais ces expressions musicales si opposées en apparence semblent avoir un


point de départ unique: la volonté de l’homme qui, pour dominer un monde
terrifiant, s’aidait de bruits ayant le pouvoir d’atteindre la divinité protec-
trice.120

Da questo nucleo iniziale hanno avuto origine, secondo Callias, le diverse tradi-
zioni musicali, che hanno sviluppato in modo diverso i tre elementi che compon-
gono l’arte dei suoni: il ritmo ha trovato la sua zona fertile in oriente (Africa, In-
dia, Estremo Oriente, Caraibi…), la melodia ovunque,121 la polifonia in Occidente
(un occhiolino esoterico all’avanguardia, che «remet la polyphonie à son vrai
plan: une spire d’enveloppement qui évolue autour de la phrase musicale en élar-
gissant ses ondes jusque dans l’infini»).122 Molti esempi, aneddoti, entusiasmo per
questi mondi musicali distanti, descrizioni tanto affascinate quanto dilettantesche
e mal documentate. Come quella del taqsim, l’improvvisazione-esplorazione del
maqam che prelude ai brani di musica turca: Callias spiega questo «préluder d’une
façon qui nous parait assez vague» con lo scopo di portare il pubblico «à un cer-
tain degré de receptivité superieur» e di «‘appeler’ une ambiance bénéfique dans
les ondes sonores».123 È un rituale di coinvolgimento dell’uditorio, sul quale la
musica deve esercitare un potere. Eccoci dunque al punto di partenza, e cioè alla
concezione della magia musicale che allontana Jolivet da Combarieu: gli effluvi
magici della musica sono diretti all’uomo, lo portano a fondersi all’«inconnu» in
una dimensione cosmica. Distacco dalla concezione pre-storica della magia come
azione sugli spiriti della natura e allineamento alla tradizione esoterica, ficiniana,
fatta di numerologia, correlazioni tra fisiologia e cosmologia, sintesi simboliche:

120
Ibidem.
121
Ivi, p. 24: «Or si le rythme est presque exclusivement un art oriental, la mélodie, avec des types
de beauté très différents, est cependant aussi belle en Finlande qu’en Perse, en Ecosse, aux Indes,
en France ou aux Antilles».
122
Ivi, p. 48. Ci sarà una connessione tra questa concezione della polifonia dell’avanguardia come
«spire» e il nome Spirale dato da Migot al suo gruppo?
123
Ivi, p. 50.

224
Capitolo 3

Les éléments accumulés par le génie populaire de toutes les races allait-il
[sic] permettre aux compositeurs de trouver une inspiration à la fois cos-
mique et humaine?
Les nombres primordiaux: un, deux et trois vinrent constituer d’abord
l’œuvre de musique pure.124

La fuga rappresenta il numero uno, la suite il due, la sonata il tre; le note sono set-
te (come i giorni della settimana, i pianeti maggiori, i gradi della conoscenza), i
semitoni sono dodici (come i mesi dell’anno, i segni zodiacali, le ore del giorno e
della notte, gli apostoli):

Il est regrettable que les jeunes compositeurs ignorent cette force contenue
dans la forme. […] Savent-ils que notre système musical a des racines aussi
merveilleusement symboliques?125

Di fronte a questi esempi incentrati sulla musica di tradizione eurocolta viene da


chiedersi che fine abbiano fatto gli elogi affascinati dei sistemi musicali “orienta-
li” con i loro cinque (il numero della Sfinge),126 i loro 72 (i modi indiani), i loro
90 (quelli turchi), 94,16 (i modi arabi rispettivamente antichi e moderni),127 e così
via; o che fine abbiano fatto pure gli elogi alla polifonia delle avanguardie, se è il
nostro accordo perfetto basato sulla quinta giusta a dare «une sensation de solidité
en rapport avec le pentagramme = l’homme dans sa force consciente».128 Il gusto
dell’autrice affonda nella musica romantica, «bien souvent inspiré[e] de magie»;
ciò che chiede ai giovani compositori è di proseguire in quel solco (era proprio
l’intento della Jeune France), arricchendolo con la «sonorisation incantatoire»

124
Ivi, p. 85.
125
Ivi, p. 86.
126
Cfr. ivi, p. 71-72. I cinque elementi simbolici della sfinge (ali d’aquila, fianchi di toro, testa
umana, artigli di leone, seni di donna) con i loro significati (apprendere le cose spirituali, potere,
conoscere, cogliere le occasioni d’agire, dare) rimanderebbero al «pouvoir de l’homme, dans son
plan spirituel et matériel» (p. 71). Sarà un caso se Jolivet ha composto 5 Incantations e 5 Danses
rituelles?
127
Ivi, p. 33.
128
Ivi, p. 87.

225
F. Lazzaro, Danza, incantesimo e preghiera

portata dagli «chanteurs de toutes couleurs et les orchestres de toutes contrées».129


Si noti che le musiche ‘altre’ erano ormai vicinissime (esposizioni universali,
viaggi, balli, prestiti compositivi), ma ciò che vi si ricercava era ancora la favola,
l’oriente magico, il rapporto diretto con la natura e le sue forze sfuggito alla socie-
tà razionalista occidentale: in un periodo in cui il linguaggio musicale tradizionale
non era più il solo disponibile, era più il mondo a cui quelle musiche rimandavano
ad attrarre i musicisti, piuttosto che la loro diversità e novità. Se vigeva ancora
quella parte del paradigma orientalista che cercava rifugio intellettuale in un mon-
do primitivo e puro in cui si mescolano tutti i popoli ‘altri’, scompariva per molti
spiritualisti-umanisti, forse, la vis egemonica nei suoi confronti in nome di un oc-
cidente superiore.130
Un compositore come Jolivet non era insensibile a scritti di questo tipo. Ol-
tre alle influenze sulla sua poetica e le sue dichiarazioni, ci sono molto probabil-
mente passaggi di cui fece tesoro come ispirazione per il proprio, nuovo, linguag-
gio musicale. Elementi vaghi, come la complessità ritmica o le simbologie timbri-
che, ma probabilmente anche più precisi. Proprio nel già citato passaggio sul ta-
qsim, e nelle considerazioni in proposito di Hélène de Callias, si può vedere una
possibile fonte per l’introduzione ‘fluida’ della Danse nuptiale. Dopo aver inter-

129
Ivi, p. 89. L’“oriente” è il depositario della tradizione ancestrale: «Tandis qu’en Occident nous
recherchons les traces perdues, l’Orient, depuis des siècles, le suit sans hésiter» (p. 68).
130
Il rapporto con l’esotico della corrente spiritualista differiva sostanzialmente, almeno secondo
l’analisi di James Clifford, da quello surrealista: «A differenza dell’esotismo ottocentesco, che
muoveva da un ordine culturale più o meno fiducioso di sé in cerca di un fugace frisson, di una
esperienza circoscritta del bizzarro, il surrealismo e l’etnografia moderni prendevano le mosse da
una realtà posta radicalmente in questione. Gli altri apparivano ora come serie alternative umane;
diventava possibile il moderno relativismo culturale» (CLIFFORD 1988 [1999], p. 146). Tale ele-
mento di relativismo, sia nei confronti della propria sia delle altre culture, mi sembra assente negli
spiritualisti, che cercano piuttosto gli elementi in comune tra le differenti tradizioni, in nome di un
umanesimo che affonda le proprie radici in una mitica origine unitaria, e di un trascendentalismo
fatto di simboli condivisi da tutte le etnie e da tutte le epoche storiche. Neanche gli spiritualisti, è
vero, cercano nell’esotico il «fugace frisson», ma non era solo questo il contenuto
dell’orientalismo ottocentesco, che si nutriva non poco di inseguimento delle origini e nostalgia di
una realtà sognata; e che nel pescaggio decontestualizzante e selezionato di oggetti e conoscenze
degli altri non differiva poi molto dalla gita dei surrealisti al marché aux puces, «dove si potevano
riscoprire gli artefatti della cultura mescolati alla rinfusa e risistemati» (ivi, p. 147).
Sull’orientalismo in generale, naturalmente, cfr. SAID 1978 (1999).

226
Capitolo 3

pretato la funzione rituale del preludiare sul maqam, Callias ne azzarda


un’influenza sulla musica chitarristica spagnola:

même les virtuoses de la guitare, dans leurs récitals, ont l’habitude, avant
d’attaquer un morceau de leur programme, de ‘chercher’ si l’on peut dire,
l’ambiance propice faisant passer dans l’air, pendant un assez long moment,
une sorte d’avant-propos en arpèges, notes effleurées, rythmes, dont per-
sonne ne comprend la signification.131

Non credo sia troppo azzardato


ipotizzare che passi del genere
potessero stuzzicare la fantasia
di un compositore come Jolivet,
il quale voleva ricreare una mu-
sica incantatoria e per farlo at-
tingeva qua e là alle tradizioni
che gli venivano spacciate come
tali. L’«avant-propos» della
Danse nuptiale, che crea
un’«ambiance propice» con
«arpèges, notes effleurées [ac-
ciaccature, trilli], rythmes
[l’abbozzo di ritmo sincopato
della Danse initiatique]», sem-
bra proprio ispirato alla pagina Figura 7 A. Jolivet, Cinq danses rituelles, III. Danse nup-
tiale, batt. 6-7.
50 della Magie sonore.132

131
CALLIAS 1938, p. 50.
132
È pur vero che se realmente questa pagina introduttiva avesse la funzione di un taqsim, sarebbe
difficile spiegare la ripresa del gesto fluido più avanti nel brano (batt. 49-57), quando si alterna con
le figure di tipo c (v. Esempio 41). Tuttavia non è neanche da escludere che Jolivet abbia voluto
iniziare il brano con qualcosa di simile a un taqsim e poi utilizzarne il materiale per la sezione di
sviluppo, fondendo, come è caratteristico del suo stile, strategie compositive orientali e occidenta-
li.

227
F. Lazzaro, Danza, incantesimo e preghiera

3.3. I MODELLI DI JOLIVET, «SURREALISTA ETNOGRAFICO»


Jolivet, con le sue danze rituali d’invenzione, esattamente come il «surrealista et-
nografico» tratteggiato da James Clifford, «si delizia delle impurità culturali e dei
sincretismi perturbanti».133 Abbiamo rintracciato in alcuni testi le possibili fonti
letterarie attraverso cui Jolivet scopriva le culture ‘primitive’ e magiche;134 più
difficile è dire quali esempi musicali concreti avesse ascoltato.
Ci sono due testimonianze contraddittorie della relazione delle Danses rituelles
con musiche effettivamente ascoltate dal compositore: a) una pronunciata da Joli-
vet stesso nella quarta puntata delle sue interviste con Antoine Goléa, b) l’altra ri-
portata da Hilda Jolivet (moglie di André) come una «notice» del compositore
(assente però nella partitura):

a) À la fin de la Danse initiatique il y a le sou- b) Si dans la Danse initiatique, il y a le souve-


venir, très transposé, d’un air de flûte que nir d’un air de flûte que j’entendis aux confins
j’avais entendu et noté près d’une caserne de du désert, par contre, cinq ans après avoir écrit
Blida. Quant à la Danse funéraire, elle est fon- mon œuvre, j’appris que son rythme était le
dée sur un rythme à cinq temps dont j’appris rythme sacré de certaines cérémonies funé-
quelques années après qu’il était le rythme sa- raires delphiques.
cré de certaines cérémonies funéraires del-
phiques. Dans la Danse du héros j’ai affirmé La même identification s’est faite de mon
un rythme que j’avais relevé lors d’un récital rythme de la Danse du héros avec un rythme
de danseurs péruviens. péruvien.
[Goléa:] En somme, ces réminiscences et ren- Réminiscences ou rencontres assez exception-
contres restent tout de même assez exception- nelles.
nelles.
[Jolivet:] En tout cas, je crois les avoir suffi- En tout cas mes formules mélodiques et mes
samment intégrées à un langage hors du temps rythmes dits “primitifs” sont suffisamment in-
pour que ces mêmes passages aient pu être in- tégrés à un langage hors du temps pour qu’ils
corporés dans mon ballet Guignol et Pan- aient pu être incorporés dans mon ballet Gui-
135
dore. gnol et Pandore.136

133
CLIFFORD 1988 (1999), p. 158. KAYAS 2005 intitola un paragrafo «Ethnographie surréaliste /
Surréalisme ethnographique» (pp. 141-144).
134
La moglie di Jolivet scrisse di aver condotto con sé il marito alle lezioni sulle società primitive
che seguiva alla Sorbona (JOLIVET 1978, pp. 77-78).
135
JOLIVETGOLÉA 1960, IV entretien, p. 296. Su Guignol et Pandore v. infra § 6.

228
Capitolo 3

Nell’intervista a Goléa, Jolivet dichiara che alcune idee melodiche o ritmiche sono
state composte su influsso diretto di esperienze d’ascolto (un’idea del flauto nella
Danse initiatique, ricordo dei sui viaggi in Algeria, e il ritmo della Danse du hé-
ros, sentito a un’esibizione cui probabilmente assistette all’Exposition coloniale
del 1931), mentre altre sono state associate a posteriori (il ritmo della Danse funé-
raire). La notice riportata da Hilda Jolivet non cita la Danse funéraire, e quella
che era l’identificazione a posteriori del suo ritmo come proprio di una cerimonia
delfica viene riferita alla Danse initiatique; il ritmo della Danse du héros non sa-
rebbe stato influenzato da un’esperienza diretta d’ascolto, ma associato da altri a
un ritmo peruviano. Queste contraddizioni tra i due testi non sono da poco, poiché
influiscono sull’interpretazione del commento che segue: «réminiscences ou ren-
contres assez exceptionnelles» suona nel primo caso (pronunciato da Goléa) come
“si è ispirato qua e là a qualche idea ‘autoctona’, ma non è questo che fonda il suo
lavoro”; nel secondo caso sembra il commento stupito di Jolivet di fronte
all’identificazione dei ritmi della Danse initiatique (l’ostinato che abbiamo ana-
lizzato) e della Danse du héros (in cui si è riconosciuta una cellula di tango) ri-
spettivamente con il ritmo di una cerimonia (funebre!) delfica e con uno peruvia-
no, mentre il compositore non fa nessun accenno all’origine effettiva di quei ritmi,
le cui succitate associazioni considera «exceptionnelles», cioè inattese, fonte di
meraviglia, come se le sue intenzioni e le sue fonti d’ispirazione fossero decisa-
mente altre. Ciò che resta immutato, «en tout cas», è la rivendicazione di univer-
salità (fuori dallo spazio e dal tempo) delle sue melodie e dei suoi ritmi, come di-
mostra il fatto che le Danses rituelles (e in particolare proprio le due citate) si so-
no potute prestare a sorreggere il balletto Guignol et Pandore.
Jolivet era stato in Algeria due volte, nel 1932 e nel 1933, con la sua futura
moglie Hilda Guighui, originaria di quel Paese. Ma il suo rapporto con l’Africa,
seppure indiretto, aveva già conosciuto due tappe: la richiesta di terminare il ser-
vizio militare in Marocco (non accordata), e prima ancora il fascino esercitato sul
piccolo André dalla collezione di oggetti e strumenti musicali africani del suo pa-

136
JOLIVET 1978, p. 142.

229
F. Lazzaro, Danza, incantesimo e preghiera

rente Louis Tauxier, amministratore coloniale. Non si dimentichino, poi,


l’Esposizione coloniale del 1931 e la mostra «La Danse sacrée» del 1934.137 Di
tutte queste esperienze Jolivet lascia appunti entusiastici,138 che però non si riferi-
scono mai a nessuna esperienza musicale precisa, per esempio tramite schizzi di
melodie o ritmi ascoltati: aveva mai assistito a una danse rituelle o incantatoire?
Alexandre Tansman sì: dà un resoconto delle danze cui ha assistito in giro
per il mondo in un articolo del 1934 per «Archives internationales de la danse».
Vale la pena citarlo perché proprio nella parte conclusiva di questo diario di viag-
gio Tansman descrive una danza rituale balinese molto rara e segreta, il «tcha-
tcha», che lo colpisce soprattutto per la sua struttura, concepita secondo quella che
chiama «‘émotivité en triangle’: montée, point culminant, descente». Si tratta e-
sattamente della struttura a climax che abbiamo riconosciuto nella Danse initiati-
que di Jolivet, che sembra di sentire leggendo la descrizione di Tansman:

Une pédale obsédante de gongs accompagne toute la cérémonie d’un bout à


l’autre, de sa sourde résonance et son rythme implacable. [l’ostinato].
[…] la danseuse sacrée […] exécute la danse en état de transe. [il flauto]
[…] au début, très lent et très doux. Peu à peu les mouvements du corps et de
la tête augmentent, en même temps que les cris, d’intensité et de vitesse et
atteignent bientôt un degré de puissance vertigineuse, vrai « tournement »
dynamique accompagné d’un son presque « motorique ». Le rythme devient
de plus en plus compliqué, scandé sur la pédale des gongs et des voix jus-
qu’au véritable paroxysme extatique. [climax]

137
V. supra, n. 5.
138
KAYAS 2005 ne riporta alcuni; è a questa monografia, in particolare pp. 119-121 e 131-148, che
si rimanda per il dettaglio dei rapporti di Jolivet (e in generale il contesto artistico e culturale fran-
cese) con l’Africa. Sulla musica all’Exposition coloniale cfr. AUDISIO 1931; in particolare sulle
danze cfr. LEVINSON 1933, cap. 8. Per una descrizione da parte di un compositore delle danze viste
in giro per il mondo cfr. TANSMAN 1934. Il compositore Léo Louis Barbès donò a Jolivet lo sparti-
to delle proprie Trois danses berbères per pianoforte, con la seguente dedica: «Au bon composi-
teur André Jolivet qui est bien connu sur la terre barbaresque»; vale la pena citare anche la nota
dell’autore che compare sulla copertina: «Le caractère principal des danses arabo-berbères étant la
monotonie, les amateurs de vérité ethnique pourront considérer les morceaux suivants comme des
mouvements perpétuels et les répéter, s’il leur plait, indéfiniment» (ed. Sénart, lastra 8426).

230
Capitolo 3

Le crescendo du mouvement circulaire et du son aboutit à un cri déchirant


[…]. Puis le point culminant se résout en pianissimo.139 [cadenza ‘a picco’]

4. INTERRUZIONE DI UN RITMO SEMPLICE


4.1. LA DANSE DU RAPT: HOMMAGE À STRAVINSKIJ?
La Danse du rapt di Jolivet non ha nulla a che fare con il «Jeu du rapt» di Stravin-
skij, eccezion fatta per le implicazioni del titolo: alle affordances generiche che
può suscitare una «danse du rapt» si aggiungono quelle intertestuali  ci si aspetta,
cioè, un richiamo al modello del Sacre du printemps. Se però la danza di Jolivet
deve richiamare un episodio del Sacre, si tratta piuttosto, come suggerisce Lucie
Kayas, dell’«Action rituelle des ancêtres» (ma a velocità doppia: ’ = 116 contro
52).140
In realtà, la concezione che informa la struttura percettiva dei due «rapt»,
pur molto diversi nella scelta del materiale, non è dissimile: entrambe le danze so-
no basate su un ritmo principale molto semplice e regolare che viene interrotto
(verrebbe da dire ‘rapito’) in continuazione senza perdere, tuttavia, il suo ruolo
trainante. Se in Stravinskij si trattava di un terzinato travolgente, scardinato da
spostamenti di accenti e interruzioni in metri diversi, in Jolivet la base della Danse
du rapt è un ritmo binario (·p pÁ p pÁ p pÁ – Á), scandito dai contrabbassi (cui si aggiungo-
no quasi sempre il pianoforte, e in alcune sezioni i violoncelli e i fagotti), che vie-
ne continuamente interrotto secondo questo schema:

batt. ritmo 9,5


5 5,5 2 2 2 2 1 4
principale
batt.
1 3* 4* 7 2 2 2 2 5* 3
interruzioni

Su 64 battute ben 31 non hanno il ritmo principale, eppure esso viene percepito
come tale, in quanto le figurazioni che lo interrompono sono sempre diverse e,

139
TANSMAN 1934, p. 138-139.
140
KAYAS 2005, p. 258.

231
F. Lazzaro, Danza, incantesimo e preghiera

tranne in tre casi (individuati con un asterisco nello schema), non hanno una rego-
larità interna che ingeneri un meccanismo di aspettative tale da farle percepire
come un ritmo alternativo.
Dopo il secondo dei casi con ripetizione interna (batt. 25-28), il ritmo prin-
cipale non ricompare (v. il cerchio nello schema). È il punto culminante del brano,
a metà della sua durata e al picco dinamico (una classica forma a climax); se fino-
ra ha dominato la struttura a blocchi contrapposti, qui Jolivet opta per l’altra gran-
de strategia compositiva del Sacre (la tipologia ritmica II secondo Van der To-
orn),141 cioè la sovrapposizione di strati a cicli disuguali, per di più variati, in un
condensato di tecniche stravinskijane.

Esempio 47 A. Jolivet, Cinq danses rituelles, IV. Danse du rapt, batt. 29-35: sovrapposizione di
cicli disuguali.

Lo strato più regolare è costituito da quattro cicli di accordi a durata diseguale (ma
che nei primi tre cicli cresce proporzionalmente: tuttavia non si ha l’impressione di
‘allungamento’ poiché la testa del ciclo è sempre diversa). Lo strato inferiore è
molto più irregolare: il secondo ciclo riprende l’idea di cromatismo discendente del
primo e lo conduce per una quarta eccedente (sol-re#); l’ultimo ciclo abbandona il
cromatismo e mantiene solo il tritono. Sull’ultimo accordo tenuto dell’ultimo ciclo
superiore, al basso riprende il ritmo base, dando inizio alla sezione successiva. Si
noti che il ciclo superiore è basato sulla trasposizione di un medesimo accordo, che
non è altro che l’“accordo del Sacre” (una settima maggiore con al centro un trito-
no, in termini intervallari: 0-6-11).
Nell’episodio che segue (batt. 40-51, in grigio nello schema), dopo un breve
ritorno del ritmo principale (subito interrotto), il rapporto tra ritmo base e interru-

141
La classificazione delle strutture ritmiche del Sacre (tipo I: successione di blocchi a metro va-
riabile; tipo II: sovrapposizione di periodi metricamente disomogenei, spesso ostinati), viene espo-
sta dettagliatamente in VAN DER TOORN 1987, cap. 4.

232
Capitolo 3

zione muta in una relazione antecedente-conseguente: l’interruzione è una risposta


f/ff a un melodiare sul ritmo base p/pp. Inoltre, le tre risposte sono imparentate tra
loro, e nella seconda emerge con evidenza un ritmo che richiama il carattere della
Danse du héros:

Esempio 48 A. Jolivet, Cinq danses rituelles, IV. Danse du rapt, batt. 40-51: relazioni anteceden-
te-conseguente.

Lo Stravinskij del Sacre, riferimento d’obbligo per il soggetto delle Danses


rituelles, è una presenza forte nella tecnica compositiva dei giovani della Jeune
France; costoro, che volevano riportare in auge (rinnovandola) la musica sinfoni-
ca, vi trovavano un modello particolarmente vincente a cui attingere e lo dichiara-
vano apertamente, piantando con cura dei solidi paletti tra il ‘loro’ Stravinskij e
quello a loro contemporaneo; Messiaen, di cui è nota l’analisi ritmica del Sacre,142
in un’intervista a José Bruyr disse:

142
MESSIAEN 1994-2002, II, pp. 91-124 (v. infra Capitolo 4, n. 39). Già nel 1939, mentre Jolivet
scriveva le Danses rituelles, Messiaen aveva pubblicato un breve articolo sul ritmo in Stravinskij
(MESSIAEN 1939).

233
F. Lazzaro, Danza, incantesimo e preghiera

Toute la musique française me semble aujourd’hui polarisée par Albert


Roussel […] et par le premier Strawinsky. Je dis le premier, car je n’entends
toujours rien au second […]143

4.2. HOMMAGE À BERG? LA DANSE INCANTATOIRE


Per Jolivet «le premier Strawinsky» era, insieme a Varèse, un modello di ritorno
alla source primitiva della musica decisamente preferibile rispetto a quello dei
viennesi: si è già accennato al fatto che Jolivet riteneva necessario adattare la tec-
nica (intellettuale) di Schönberg alle esigenze (fisiche) dell’acustica e del risultato
sonoro  in sostanza utilizzava il totale cromatico come un modo.144 Si è detto an-
che che Migot bocciava la strada viennese perché impostata sulla “rivoluzione” e
non sul “rinnovamento”: facendo piazza pulita e ripartendo da zero, Schönberg
non garantiva, cioè, quell’appoggio sulla tradizione irrinunciabile per il nuovo or-
dine non-conformista. Conseguentemente, il viennese più amato dai francesi del
renouveau era piuttosto Alban Berg, la cui scomparsa nel dicembre 1935 riecheg-
gia in un concerto dedicatogli dalla Spirale il 5 maggio 1936 e nella Danse incan-
tatoire di Jolivet eseguita al primo concerto della Jeune France (3 giugno), nella
prefazione alla quale il compositore dichiara di aver utilizzato «un language assez
voisin de celui d’Alban Berg» (filtrato dalle «innovations» del proprio maestro,
Varèse).145 Di Berg Jolivet possedeva senz’altro le partiture del Quartetto op. 3,
della Lyrische Suite e del Wozzeck; se quest’ultimo arrivò a Parigi solo nel

143
BRUYR 1933, p. 128. Messiaen continua confessando di non aver ancora ascoltato la Sinfonia di
Salmi: chissà se, almeno quella, gli disse qualcosa.
144
V. supra Capitolo 2, n. 149. Cfr. KAYAS 2005, in particolare le sezioni dedicate alla Sonate per
violino e pianoforte (1932, pp. 115-117) e al Quatuor (1934, pp. 121-130)  nella nota introduttiva
a quest’ultimo Jolivet nomina Berg; oltre a questi brani del periodo di formazione, l’impiego del
totale cromatico come modo (e quindi con ripetizioni) è evidente in Beaujolais, il pezzo con cui si
apre Mana (1935).
145
Partitura Billaudot, 1991 (lastra G 4952 B); non esiste un’edizione precedente, poiché Jolivet,
insoddisfatto del risultato, decise di non pubblicarla (KAYAS 2005, p. 166): pertanto la sua prima
esecuzione fu anche l’ultima, fino a quella del 1994 diretta da Arturo Tamayo. Sulle date e i pro-
grammi dei concerti organizzati dalla Spirale e dalla Jeune France faccio riferimento a SIMEONE
2002, app. 1 e 2.

234
Capitolo 3

1950,146 i primi due brani furono eseguiti, insieme alla Piano Sonata op. 1 e ai
Sieben frühe Lieder, al concerto-omaggio della Spirale: di tutto il programma, la
Lyrische suite era la composizione più recente (1927), ed è verosimilmente a essa
che Jolivet si riferiva quando citava Berg come modello. Peraltro, la predilezione
particolare di Jolivet per questo brano è attestata dal fatto che molti anni dopo
progettò di intitolare l’Allegro centrale del suo Concerto per violino (1972) «mi-
sterioso delirando», un riferimento esplicito al terzo e al quinto movimento della
Lyrische suite, rispettivamente «Allegro misterioso» e «Presto delirando».147
La Danse incantatoire affida il suo ‘potere magico’ alle onde Martenot: «la
production radio-électrique de leur sonorité si pure les rattache plus directement
que tout autre instrument au système ondulatoire universel  et qu’ils agissent ain-
si plus directement sur notre propre magnétisme». In questo abbandono fiducioso
alla forza irrazionale delle Martenot siamo lontani dalle strategie tecnico-
espressive che Jolivet sperimenterà nelle Danses rituelles: non ci sono ostinati, ri-
petizioni, costruzioni a testadesinenza, non c’è gioco con le aspettative, né ritmi-
che né melodiche; nella prefazione alla partitura Jolivet dichiara anzi di voler arti-
colare la forma solo in base ai «changements de densité sonore», e di voler scrive-
re una “danza” che sia il meno possibile una danza in senso tradizionale, soprat-
tutto annullandone la prevedibilità ritmica:

Si cette pièce pour orchestre est propre à soutenir les évolutions d’un dan-
seur elle ne s’en justifie pas moins symphoniquement. Cependant on
s’efforcerait en vain d’y retrouver les procédés harmoniques ou contrapun-
tiques du développement musical traditionnel, pas plus que les formules mé-
triques ou agogiques qui forment la structure habituelle des musiques de bal-
let. […]

146
Al Théâtre des Champs-Elysées, in forma di concerto; la prima all’Opéra sarà nel 1963 (PA-
ZDRO 1991).
147
KAYAS 2005, p. 521. La Lyrische suite era amata anche da Messiaen, il quale dichiarò che il
suo debole per questo brano aumentò quando venne a conoscenza del programma nascosto (SA-
MUEL 1999, p. 77); sull’influsso compositivo del brano sul Quatuor pour la fin du temps cfr. PO-
PLE 1998, pp. 70-71.

235
F. Lazzaro, Danza, incantesimo e preghiera

D’autre part l’auteur s’est efforcé de justifier le sens exact du mot rythme,
qu’on a trop souvent perdu de vue, et d’éviter sa confusion, faite volontiers,
avec la carrure ou la répétition à satiété de formules rythmiques.

Effettivamente, la scrittura ritmica del brano fa di tutto per essere poco percepibi-
le. Dopo il gesto introduttivo in cui predomina il canto glissato delle onde Marte-
not, un battuta affidata alle percussioni sembra voler iniziare un ritmo definito che
serva da base per la danza: o perlomeno questa doveva essere presumibilmente
l’aspettativa del pubblico andato ad ascoltare una Danse. Ma già a metà della pri-
ma battuta la scansione metrica si confonde con la sovrapposizione di terzine e
quartine, per poi divenire del tutto informe appena entra il tappeto armonico affi-
dato ad archi, arpe e pianoforte, e in cui i sedicesimi ribattuti del piatto sospeso
hanno più una funzione timbrica (e, vista la loro regolarità, metronomica) piutto-
sto che ritmica:

Esempio 49 A. Jolivet, Danse incantatoire, batt. 11-13 (riduzione).

236
Capitolo 3

Il tappeto armonico degli archi e dell’arpa II è un esacordo costituito dagli interval-


li di quarta e quinta giuste e tritono (anche altri strumenti che non sono stati inseriti
nell’esempio perché hanno interventi discontinui condividono lo stesso campo ar-
monico); si noti la natura gestuale di questo agglomerato nelle parti dei violini I (2)
e II (1 e 2): imbracciati sulle ginocchia, vengono pizzicati come con una rasgueado
di chitarra, a corde vuote (quindi per quinte) tranne una che genera il tritono. La
parte del pianoforte aggiunge tre ulteriori note (fa-fa-si); al totale cromatico man-
cano sol, do e do: le prime due sono nella parte dell’arpa I, l’ultima compare
nell’assolo delle onde Martenot (cui il tappeto armonico serve da sostegno) a batt.
19.
La struttura del primo esacordo e di quello formato dalle note che completano il to-
tale cromatico è la stessa, e non è da escludere che Jolivet si sia ispirato alla serie
della Lyrische Suite:

Esempio 50 Confronto tra il materiale della Danse incantatoire e della Lyrische Suite.

Si noti che il primo e il secondo esacordo sono costruiti sullo stesso schema inter-
vallare: 0-6-7-7-6-5.
La struttura della serie della Lyrische Suite è illustrata da Berg in una lettera a
Schönberg che ovviamente Jolivet non poteva conoscere;148 indipendentemente
dal fatto che avesse analizzato attentamente la Suite (scoprendo il meccanismo su
cui è costruita la serie), molto probabilmente il compositore aveva sperimentato
148
Lettera del 3 luglio 1926; cfr. ASHBY 1995, p. 73 e 75-76, dove riporta lo schema della serie.

237
F. Lazzaro, Danza, incantesimo e preghiera

con Varèse le diverse modalità di organizzare il totale cromatico, arrivando anche


a questa soluzione basata solo su quarte, quinte e tritoni. La sovrapposizione di
questi intervalli dà luogo al già citato “accordo del Sacre”, onnipresente nella
Danse incantatoire a partire dall’accordatura dei timpani: fa-do-fa (0-6-11; cfr.
anche il gesto dei violini II nel tappeto armonico dell’Esempio 49: mi-la-mi#).
Alla Danse incantatoire è dedicata quasi l’intera recensione del primo con-
certo Jeune France sulla «Revue musicale». Il brano aveva evidentemente colpito
chi ha firmato il resoconto, Suzanne Demarquez, ma ‘colpito’ in senso ben diver-
so da quello auspicato da Jolivet; lungi dall’essere catturata dal magnetismo in-
cantatorio delle onde Martenot, Demarquez le trovò fastidiose e si chiese se fosse-
ro proprio necessarie:

Était-il bien nécessaire d’y ajouter deux Martenots? Leurs vagissements,


glapissements, rugissements, ne semblent pas toujours s’incorporer dans
l’économie générale de l’ouvrage. “Intention ésotérique”, explique le com-
positeur.149

Per quanto concerne poi il carattere di danza del brano, Demarquez ci offre un
punto di vista assai interessante per comprendere le aspettative legate a un titolo
come Danse incantatoire da parte del pubblico della prima. Il punto di partenza
del suo commento è proprio la componente ritmica: la base del brano, scrive, è
una somma di ritmi orchestrata in modo da evidenziare le diverse componenti:

sa construction à lui est la résultante des agrégations rythmiques qu’il con-


çoit sur un plan […] sonore, la sonorité lui servant à différencier les rythmes
plutôt qu’à les opposer. [… I]l timbre sa percussion, il nuance et en grade les
sonorités afin de créer un centre rythmique sur lequel semblent s’appuyer les
autres régions de l’orchestre.150

149
DEMARQUEZ 1936, p. 50.
150
Ibidem.

238
Capitolo 3

Questa attenzione alla struttura ritmica  che come abbiamo sottolineato emerge
tutt’altro che in primo piano  era dettata probabilmente da un ascolto teso a tema-
tizzarla (e dalla lettura della partitura, come esplicita Demarquez): davanti a un
titolo di “danza”, Demarquez ha cercato di ascoltare il brano come una danza. Se
alla lettura poteva sembrare in primo piano la struttura ritmica, evidentemente
l’ascolto non era esauriente da questo punto di vista: il recensore ritiene che ci sa-
rebbe voluto «l’aide d’un danseur et d’un décor»  il primo per cogliere la danza,
il secondo per darle un’ambientazione esoterico-primitivista:

Au fait, pourquoi pas, et que cette Danse Incantatoire prendrait donc de si-
gnification avec des rythmes humains et une mise en scène qui la compléte-
rait!151

5. RONDÒ FUNEBRE
5.1. MILHAUD E LA TRADIZIONE DELLA MARCIA FUNEBRE
«La Marche funèbre de Milhaud n’est pas si lointaine parente de celle qu’on en-
tendit dans Les Malheurs d’Orphée»; il che dimostra, secondo Charles Koechlin,
che nel comporre le musiche per Le 14 juillet di Romain Rolland (andato in scena
il 14 luglio 1936) Roussel, Ibert, Auric, Milhaud, Honegger, Lazarus e Koechlin
stesso non hanno semplificato il loro linguaggio al fine di creare un’opera popola-
re: questo perché il loro stile era già quello di una musique savante che «reste
simple dans son ensemble», e che pertanto è al contempo populaire: «une inspira-
tion collective n’exige aucunement la banalité, encore moins la vulgarité».152 Co-
me sono queste musiche funebri savantes et populaires di Milhaud? Quali erano i
modelli possibili per una Danse funéraire? Considerare i topoi legati al genere
della marcia funebre può essere utile per affrontare il materiale impiegato da Joli-
vet nell’ultima delle Danses rituelles.

151
Ibidem.
152
KOECHLIN 1936a, p. 281. Che il riferimento alla «banalité» sia una frecciata a POULENC 1935?
V. supra § 1.1 e n. 19.

239
F. Lazzaro, Danza, incantesimo e preghiera

I due brani di Milhaud citati da Koechlin sono in effetti molto simili, co-
struiti entrambi su un tappeto ritmico a rintocchi costanti. La Marche funèbre per
Le 14 juillet inizia con la sovrapposizione di rintocchi per terze discendenti su un
pedale di tonica con il ritmo puntato tipico del genere:153

Esempio 51 D. Milhaud, Marche funèbre, batt. 1 (riduzione).

La cellula puntata, nella storia della marcia funebre romantica, ha diverse si-
stemazioni possibili all’interno dei , come dimostra qualche esempio:
Ì II posizione fissa: ’ ·oœ ’ ’ (Berlioz, Marche funèbre dalla Symphonie funèbre et
triomphale op. 15; stesso modulo utilizzato dal compositore anche per la Marche
funèbre pour la dernière scène d’Hamlet, op. 18 n. 3);
Ì II posizione + diffusione: ’ ·oœ ‘ :|| ’ ·oœ ’ ·oœ | ·oœ ·oœ ‘ (Chopin, Marche [funè-
bre] dalla Sonata op. 35, III mov.);
Ì III-IV posizione (“ in 4): ’ —qÏ qÍ, a fine frase anticipato in II posizione: ·p —qÍ ¥ Á
(Beethoven, Marcia funebre dalla III Sinfonia, op. 55, II mov.); il ritmo puntato è
qui sempre contrappuntato da un rullo terzinato: ÈÉÍ | ¥ Á ;
Ì IV posizione: ·o– ·oÊqÍ (Mendelssohn, op. 62 n. 3); oltre al ritmo puntato è pre-
sente il terzinato (v. Beethoven);
Ì posizioni varie: è quanto fa Alkan nella sua parodia della marcia funebre
(Sympnohie pour piano seul op. 39, II parte, Marche funèbre).

153
La Marche funèbre comincia al n. 65 della partitura di Introduction et marche funèbre (Paris,
Editions sociales internationales, 1938; lastra ESI 520); non è specificato un valore di metronomo,
che non potrà in ogni caso rimanere quello dell’Introduction («Mouvement de Marche», ’ = 120).

240
Capitolo 3

I rintocchi, laddove presenti, possono essere ascendenti o discendenti, con


diverse estensioni intervallari, per esempio:
Ì tonica mediante minore (es. Chopin cit.)
Ì tonica dominante (es. Mahler, Sinfonia n. 1, II mov.)
Ì arpeggio dell’accordo (es. Alkan cit.)
Nei Malheurs d’Orphée non c’è una marcia funebre ma un coro funebre (n.
9, «Chœur des funérailles»), che impiega il topos dei rintocchi. Nella seconda me-
tà del numero le parti vocali si basano su un’ulteriore figura tipicamente funebre,
il «semitono dolente»:154

Esempio 52 D. Milhaud, Les malheurs d’Orphée, IX. «Chœur des funérailles», batt. 23-32 (linee
vocali).

Le quattro voci (Renard, Loup, Sanglier, Ours) intonano due linee melodiche (ric-
che di seconde discendenti  cerchiate nell’esempio: il semitono dolente), che di-
vengono una (all’ottava) sulle parole «Douce, douce légère colombe»; sul ff il testo
verbale scompare e inizia un lamento vero e proprio sulla sillaba «Ah». Tutto il
brano è sostenuto da un rintocco implacabile:

Nella Marche funèbre, Milhaud non rinnega il gusto romantico della strut-
tura a climax:
b. 65 b. 73 b. 81 b. 87 b. 94 b. 100 b. 108
A A’ B A var. coda 1 A’’ A’’’ + coda 2
p mp mf ff fff > pp [pp] [pp]

154
Cfr. BEGHELLI 2003.

241
F. Lazzaro, Danza, incantesimo e preghiera

5.2. LA DANSE FUNÉRAIRE


Jolivet ha scelto come ritmo base per la sua Danse funéraire un baccheo, il piede
metrico (piuttosto raro) legato ai canti dionisiaci. Il legame molto probabilmente
non è voluto, ma l’eccezionalità rispetto alla tradizione sicuramente sì: il composi-
tore ha scelto di impostare la sua danza funebre in . Il ritmo baccaico (’ ‘ ‘ ) è, di-
latato nei valori, l’ultima apparizione fortemente metamorfizzata dell’ostinato del-
la Danse initiatique poi ripreso e sviluppato nella Danse nuptiale (le tre danze di-
spari, mentre quelle pari erano unite dalla figura con la terzina in conclusione di
ciclo); è disposto in levare, a marcare il semitono dolente (fa-fa) che costituisce
la base dell’elemento melodico del brano e di cui esso stesso si fa portatore (alter-
nanza si-si#):155

Esempio 53 A. Jolivet, Cinq danses rituelles, V. Danse funéraire, batt. 1-5: nenia e rintocchi.

Il semitono dolente non è l’unico elemento retorico tradizionale che entra


nella Danse funéraire: a batt. 14 la sezione basata sul baccheo lascia il posto a una
che estremizza l’uso della cellula puntata, in una struttura anacrusi-accento-
desinenza (per usare la terminologia di Messiaen)156 esplicitata
dall’orchestrazione:

155
CONRAD 1994 individua in questa alternanza di due note non tanto il riuso di un topos occiden-
tale quanto una tecnica primitivista: «This repetitive oscillation helps create a monotonous effect
and a mood of resignation perhaps appropriate to funeral dance. […] That such two-note oscilla-
tions appear in Jolivet’s ‘primitivist’ works is not surprising, since two-note melodies were com-
monly understood to be among the earliest musical melodies» (pp. 302-303).
156
MESSIAEN 1944, I, p. 9.

242
Capitolo 3

Esempio 54 A. Jolivet, Cinq danses rituelles, V. Danse funéraire, batt. 14: anacrusi-accento-
desinenza.

La struttura generale alterna sezioni basate sulla nenia funebre scandita dai rintoc-
chi in metro baccaico (A) ad altre in cui si susseguono ritmi, metri ed elementi
melodico-armonici disomogenei (B)  a batt. 35 compare addirittura il metro
3½/4. Ma l’elemento espressivo che Jolivet sviluppa lungo tutta la durata del bra-
no è la risonanza, realizzata con l’impiego costante di note gravissime del piano-
forte che si traducono nell’uso estensivo di gong e tam-tam nell’orchestrazione.
La conclusione del brano (e del ciclo delle Danses rituelles) è il momento in cui
Jolivet cerca con tutti i mezzi che ha a disposizione di trascinare l’ascoltatore in
quello che evocava come il «magnetismo» della risonanza, forse cercando di ri-
creare nella sua danza rituale quell’unità cosmica tra vita e morte che poteva es-
sergli stata suggerita dalla lettura di passi come il seguente, tratto da Combarieu:

L’evocazione dei morti a mezzo del canto autorizza a credere che la trenodia
fosse dapprincipio adoperata per riportare in vita un morto che si supponeva
semplicemente addormentato.157

Il compositore espone per la quinta (si è già notata la simbologia del numero) e
ultima volta la trenodia («à peine plus fort, mais très intense d’expression»), affi-
dandola alle diverse famiglie dell’orchestra come in un ultimo slancio verso la ri-
cercata unità cosmica, il «rythme universel»; ad accompagnare il lamento ci sono
naturalmente i rintocchi, che si stabiliscono sul si# e vanno eseguiti in continuo
crescendo, con accenti secchi e con il fa che risuona alle ottave superiori per gene-
rare il maggior numero di armonici.

157
COMBARIEU 1909 (1982), p. 118.

243
F. Lazzaro, Danza, incantesimo e preghiera

La risonanza, si è già visto parzialmente, era un elemento espressivo centra-


le nel pensiero di Jolivet e anche di Messiaen, sulla scia di Varèse e Migot:

L’accord parfait, l’accord de dominante, l’accord de neuvième ne sont pas


des théories, ce sont des phénomènes qui se manifestent spontanément au-
tour de nous et que nous ne pouvons pas récuser. La résonance existera tant
que nous aurons des oreilles pour écouter ce qui nous entoure.158

La ricerca di fenomeni di risonanza ha spinto i compositori all’utilizzo di strumen-


ti «dont la résonance apporte un certain mystère»:

Ces instruments nous offrent la puissance, la poésie et l’irréalité, autant les


vibraphones avec leur résonance vibrée que les gongs, les tam-tams et les
cloches avec leur halo d’harmoniques, leurs résultantes de fausses fonda-
mentales et autres phénomènes sonores très complexes qui nous rapprochent
d’ailleurs de certains bruits énormes et étranges de la nature comme les cas-
cades et les torrent de montagne.159

L’analisi spettrale delle ultime battute del brano permette di affrontare il te-
ma della risonanza in modo più preciso.160 Si consideri innanzitutto la versione o-
riginale per pianoforte (le linee tratteggiate corrispondono a intervalli di 10 se-
condi nell’esecuzione di Pascal Gallet utilizzata per gli spettrogrammi):161

158
SAMUEL 1999, p. 79.
159
Ivi, p. 86.
160
Come si è già detto (Capitolo 2, § 1.3), Jolivet calcolava probabilmente il risultato delle riso-
nanze avvalendosi di PRUVOST 1931. Per la creazione degli spettrogrammi e la loro analisi ringra-
zio Giacomo Albert, senza la cui disponibilità ed esperienza le pagine che seguono non sarebbero
state possibili.
161
CD Maguelone 111.137.

244
Capitolo 3

10 20

30 40
50

60 70

Figura 8 A. Jolivet, Cinq danses rituelles, V. Danse funéraire, batt. 63-76: minutaggio
dell’esecuzione di P. Gallet.

Lo spettrogramma dell’intero passo conferma ciò che si può immaginare al-


la lettura dello spartito e che emerge all’ascolto: c’è un costante aumento
dell’energia spettrale corrispondente all’aumento di intensità del si# al basso:

Figura 9 A. Jolivet, Cinq danses rituelles, V. Danse funéraire, batt. 63-76: spettrogramma.

245
F. Lazzaro, Danza, incantesimo e preghiera

Il range di frequenze impostato per lo spettrogramma dei due canali è diverso ma


comunque molto alto: il sinistro (in alto) permette di visualizzare le formanti in tut-
ta la loro estensione, mentre il destro (in basso) fa uno zoom dello spettro fino a
7000 Hz. Si noti il picco al sec. 30, in corrispondenza dell’accento che genera con-
temporaneamente molte formanti di si# e di fa  mentre in seguito il fa naturale
servirà a far risuonare le formanti di si#, il cui numero dipenderà prevalentemente
dall’intensità del basso, come è evidente dallo spettrogramma che segue:

Figura 10 A. Jolivet, Cinq danses rituelles, V. Danse funéraire, batt. 63-76: spettrogramma (evi-
denza di fa e si#).

Di fatto vengono eccitate le medesime parziali, che creano un timbro unitario tra-
valicando gli attacchi del pianoforte.

L’analisi delle frequenze più forti (fino a 800 Hz) permette di riconoscere quali
siano le parziali più importanti: da notare il cluster tra do5 e re5, molto evidente,
che ‘sporca’ lo spettro di si# e che pertanto doveva essere molto desiderato da Jo-
livet:

246
Capitolo 3

Figura 11 A. Jolivet, Cinq danses rituelles, V. Danse funéraire, batt. 63-76: spettrogramma (clus-
ter tra do e re).

Il do5 è contemporaneamente terza armonica del fa3 (la cui serie armonica è: fa3,
fa4, do5, fa5, la5, do6, mi#6, fa7, ecc.) e nona armonica del si#1 (la cui serie armonica
è: si#1, si#2, fa3, si#3, re4, fa4, la#4, si#4, do5, re5, ecc.).

Come si giustifica la scelta di Jolivet di introdurre un sol# a fine di batt. 73? Pro-
babilmente la spiegazione è di ordine spettrale: il compositore ha sinora giocato
con il graduale aumento della risonanza, ma per concludere vuole anche compli-
carla. Il sol# sfff non determina infatti un ulteriore aumento dell’energia spettrale
(v. Figura 9) ma genera una serie di battimenti (v. Figura 12: la vicinanza delle
frequenze risonanti è visibile in quelle formanti che diventano bianche-nere-
bianche-nere-ecc.). In particolare, molto evidente è la dissonanza che il sol# intrat-
tiene con il do (tritono) e con il fa (semitono): Jolivet ricrea a livello spettrale la
struttura intervallare su cui ha impostato l’armonia del brano, ossia l’ubiquo “ac-
cordo del Sacre”, che nella Danse funéraire era protagonista delle sezioni B.

247
F. Lazzaro, Danza, incantesimo e preghiera

Figura 12 A. Jolivet, Cinq danses rituelles, V. Danse funéraire, battimenti dell’ultimo accordo.

Nella versione orchestrale,162 la risonanza risulta in aumento (anche a livello


di frequenze, che si spostano verso l’acuto), ma naturalmente più ricca e pertanto
più confusa:

Figura 13 A. Jolivet, Cinq danses rituelles, V. Danse funéraire, batt. 63-76: spettrogramma della
versione orchestrale.

162
Esecuzione dell’Orchestre nationale de l’ORTF diretta da Jolivet (CD Erato 2564 61320-2).

248
Capitolo 3

Ciononostante si può rilevare l’evidenza, pur nella massa orchestrale più ca-
otica, delle frequenze caratteristiche del timbro prodotto dalla risonanza del piano-
forte (che è presente anche nell’orchestrazione, a scandire il rintocco del si# in-
sieme a arpe, violoncelli II, contrabbassi pizzicati, fagotto II e controfagotto,
trombone, tuba, nonché grancassa, gong, tam-tam):

Figura 14 A. Jolivet, Cinq danses rituelles, V. Danse funéraire, batt. 63-76: le frequenze caratteri-
stiche nello spettrogramma dell’esecuzione orchestrale.

6. DALLE DANSES RITUELLES A GUIGNOL ET PANDORE163


Nel 1935, Serge Lifar, da sei anni coreografo all’Opéra, scrisse e pubblicò un suo
manifesto: Le manifeste du chorégraphe.164 Il cardine della sua poetica era
un’idea che ormai ci è familiare: «remontons à la source primitive». La source,
per Lifar, era la danza: «à l’origine était la danse».165 Causa dell’appello al ritorno

163
Il contenuto di questo paragrafo è stato esposto, con il titolo Dalle “Danses rituelles” a “Gui-
gnol et Pandore”: Lifar, Jolivet, e l’invenzione della danza, alla giornata di studi Il corpo e la mu-
sica nel Novecento. Riflessioni intorno ai rapporti fra musica e coreografia (Università degli studi
di Milano, 23 maggio 2011).
164
LIFAR 1935. Lifar avrebbe ripreso e sviluppato le tesi del manifesto nella sua corposa storia del-
la danza (1938) e l’avrebbe riprodotto nella IV parte («Pour une doctrine») del suo Traité de cho-
régraphie (1952).
165
LIFAR 1935, p. 18.

249
F. Lazzaro, Danza, incantesimo e preghiera

alle origini era l’insostenibile situazione attuale, in cui, secondo Lifar, il balletto
era del tutto schiavo della musica. La danza si trovava tra Scilla e Cariddi: Scilla,
la «musique dansante» classica coi suoi numeri obbligatori, convenzionali e fissi;
Cariddi, la musica del XX secolo, che «ignore la danse et ses possibilités, de plus
elle a souvent cherché à s’asservir le choréauteur».166 La colpa era in gran parte
dei coreografi stessi:

nos chorégraphes ont déclaré “qu’il n’est pas d’œuvre musicale que nous ne
puissions danser”. Cette profession de foi accorde au musicien une licence
absolue: “vous pouvez tout danser, eh bien, dansez ma production musicale”
 le compositeur n’a plus à se soumettre aux ‘exigences’ du ballet.167

I compositori, ignari delle esigenze del corpo, iniziarono a scrivere una musica del
tutto inadatta a essere danzata: brani troppo lunghi, o dalle caratteristiche maschili
laddove si richiedeva un numero femminile, o con «rythmes capricieux, intradui-
sibles par l’intermédiaire du corps humain». Ma in fondo, scrive Lifar, questi non
sono neanche problemi insormontabili: «le mal ne réside pas dans ces ignorances,
[…] mais dans les changements de rythme». I cambiamenti di ritmo, ecco il ber-
saglio del coreografo:

Une danse, n’importe laquelle: fut-elle d’une durée de trois ou de vingt mi-
nutes, est construite sur une carcasse, formée par un dessin rythmique inalté-
rable et par des figures rythmiques qui reviennent périodiquement et harmo-
niquement. […] L’intrusion d’un élément étranger au point de vue rythmique
détruit la danse.168

Le mal n’est pas, je le répète, dans la mesure en soi (nous pouvons parfaite-
ment danser sur des rythmes à 5, à 7, voire à 11 temps), mais dans les chan-
gements fréquents, dans la ‘salade de rythmes’.169

166
LIFAR 1938, p. 46.
167
LIFAR 1935, p. 14, corsivo dell’autore.
168
Ivi, pp. 15-16, corsivo dell’autore.
169
LIFAR 1952, p. 96.

250
Capitolo 3

La soluzione per liberare la danza dalla schiavitù nei confronti della musica non
stava nelle strade intraprese da Isadora Duncan e da Jacques Dalcroze, che non
convincevano Lifar: la prima rendeva una danza una pantomima, la seconda pote-
va essere un utile esercizio ma troppo meccanico.170 La via vincente era un’altra:
che il coreografo («corautore») componesse la struttura ritmica del balletto e fosse
il compositore a sottomettersi alle esigenze della danza; è la «voie d’Icare»,171
sperimentata da Lifar nell’omonimo balletto del 1935: il «corautore» compose lo
scheletro ritmico del balletto e lo sottopose al compositore della musica, il quale
aveva tutte le libertà fuorché deviare dallo schema fornitogli:

en voulant libérer le ballet de l’esclavage qu’il subit, je ne désire nullement


asservir le musicien […]. Le musicien qui voit une transcription [per esem-
pio cinematografica]172 de ma chorégraphie peut s’en inspirer tout aussi bien
qu’il s’inspire d’une poésie qu’il a lue […]. Mon canevas rythmique laisse
au musicien la plus grande liberté d’inspiration, je n’exige qu’une chose de
lui  qu’il laisse intact mon schéma général.173

La musica non doveva essere il punto di partenza del balletto, ma un commento


utile a intensificare le emozioni del pubblico, proprio come avveniva in teatro con
le musiche di scena: «la musique est un complément nécessaire et une génératrice

170
«Le duncanisme voulut illustrer une production musicale indépendamment des éléments ou des
qualités rythmiques et dansantes qu’elle comportait ou non. [… L]e ballet renonça à ses moyens
d’expression propres pour les remplacer par des moyens mimico-dramatiques, devenant, de danse
qu’il était, une pantomime» (LIFAR 1935, p. 12); per le riserve su Dalcroze cfr. LIFAR 1938, pp.
179-182.
171
«La voie d’Icare accorde une pleine liberté au choréauteur, non pas en lui ôtant le joug de la
musique, mais en lui donnant la faculté de créer ses rythmes. Au XVIIIe et XIXe siècles, cette créa-
tion était soumise à des canevas rythmiques et dansants rigoureusement établis à l’avance, englo-
bés en des schémas musicaux canoniques (le musicien n’avait qu’à les connaitre pour composer ce
qu’on appelait précisément la “musique dansante”)  le choréauteur n’avait plus qu’à inventer des
pas et des figures, sans créer le rythme de ses mouvements, autrement dit, il ne créait qu’à demi»
(ivi, p. 45).
172
Lifar intravide il cinema un mezzo utilissimo alla danza: «Notre époque a donné au ballet un
moyen de transcription, resté inutilisé jusque-là  le cinéma. […] une édition imprimée du ballet»
(LIFAR 1935, p. 26).
173
Ivi, pp. 27-28.

251
F. Lazzaro, Danza, incantesimo e preghiera

d’émotions».174 Nel caso di Icare, il compositore che partecipò all’esperimento fu


Arthur Honegger, il quale optò per un organico di sole percussioni.175
Nel 1940, Lifar fu coinvolto in un progetto intitolato Le cercle enchanté, un
soggetto di Claude Vilmorel sulle Danses rituelles di Jolivet, che ne incominciò
pertanto l’orchestrazione. L’idea narrativa proponeva una vicenda tribale così co-
me suggerita dalle danze di Jolivet: una fanciulla che dev’essere iniziata, l’arrivo
di un uomo selvaggio che caccia e danza intorno al suo bottino, e che quando vede
la fanciulla la violenta, per poi essere ucciso da «forze invisibili» e condotto in
corteo funebre.176 Il progetto andò in fumo, forse perché troppo simile al Sacre du
printemps, sicuramente perché Lifar considerava queste danze indanzabili.177 Ma
né l’idea di coreografare (almeno in parte) le Danses rituelles né quella di una col-
laborazione tra Jolivet e Lifar venne abbandonata: il 15 marzo 1941 andò in scena
un balletto su soggetto di Henri-René Lenormand dal titolo Les quatre Vérités, la
cui coreografia doveva essere di Lifar, ma poi passò a Madika; Lifar propose in-
vece a Jolivet un balletto ispirato a Guignol, la marionetta popolare lionese (dal
Sacre a Petruška, insomma).178 Nella partitura approntata da Jolivet per questo

174
LIFAR 1952, p. 95.
175
Il lavoro era stato dapprima chiesto a Igor Markevitch; la partitura fu a lungo attribuita a J. E.
Szyfer; su Icare cfr. FEIST 2003 e CALMEL 2003.
176
Riporto il soggetto, insieme a quello degli altri balletti trattati, in fondo al capitolo. Gli originali
in francese si trovano in KAYAS 2005: Les quatre Vérités pp. 303-305, Le cercle enchanté p. 311,
Guignol et Pandore pp. 311-312, Ombres lunaires p. 455.
177
Cfr. KAYAS 2005, p. 311; purtroppo non esistono tracce, né sotto forma di appunti né di corri-
spondenza, su questo e i seguenti progetti di balletto, eccezion fatta per un lettera in cui Lifar scri-
ve a Jolivet che a causa della morte di Philippe Gaubert non ci sono novità sul balletto (Le cercle
enchanté? Guignol et Pandore? Sicuramente non Les quatre Vérités, già andato in scena a marzo;
lettera del 3 ottobre 1941, in F-Pn, Musique, bob. 25908).
178
«Avec son ballet Guignol et Pandore, Serge Lifar vient de doter notre Académie Nationale de
Danse d’un Petrouchka français» (VUILLERMOZ 1944); «Voici que prend place dans le nouveau
répertoire un Petrouchka français, très rythmé par une musiquette spirituelle d’André Jolivet»
(MERLIN 1948): la musica di Jolivet, finora «spirituelle» nel senso spiritualista, diventa «spiri-
tuelle» nel senso di “spiritosa” (v. supra Capitolo 1, § 1). La rassegna stampa è conservata nel dos-
sier dedicato a Guignol et Pandore presso gli Archives André Jolivet. Le Danses rituelles vennero
coreografate da George Skibine nel 1964.

252
Capitolo 3

Guignol et Pandore179 confluirono diversi brani già composti, fra cui tre delle
Danses rituelles (v. Figura 15, in fondo al capitolo). Nelle prossime pagine si in-
dagherà in che modo la pratica dell’autoimprestito possa conciliarsi con quel rap-
porto tra musica e paratesto che si è visto veicolare i contenuti immaginativi, indi-
rizzare i meccanismi percettivi delle Danses rituelles; si cercherà inoltre di capire
quali siano state le richieste di Lifar tese a rendere ballabili queste “danze”.
L’assenza, negli archivi di Jolivet, di materiale preparatorio non permette di
conoscere con certezza quali fossero gli schemi ritmici che il «corautore» Lifar
fornì al compositore perché li ‘amplificasse’ musicalmente; si sa, però, che Lifar
chiese espressamente di modificare le danze che riutilizzava per renderle più rego-
lari. I brani che non sono autoimprestiti (per la maggior parte scene pantomimi-
che) sono verosimilmente quelli per cui Lifar predispose lo schema ritmico: la dif-
ferenza con gli originali di Jolivet è infatti lampante  si basano su una cellula
ritmica semplice che rimane costante. Questi, invece, gli autoimprestiti:
Ì Il n. 3 è il passo a due su cui si consuma l’adulterio tra Guignolette, moglie di
Guignol, e Pandore. La fonte dell’autoimprestito musicale è nel balletto la cui co-
reografia passò da Lifar a Madika, Les quatre Vérités, che a sua volta era
un’elaborazione di un’idea di Symphonie lyrique abbozzata da Jolivet nel 1939;
quattro danze del balletto divennero la Symphonie de danses, a sua volta coreogra-
fata nel 1960 con il titolo Ombres lunaires (un altro caso di slittamento verso il
mondo delle marionette). Il soggetto di Les quatre Vérités è semplice quanto sim-
bolico: tre false Verità (la libertà, la sottomissione, il possesso materiale) tentano di
conquistare l’uomo, ma sarà la quarta (la morte) ad avere la meglio. La danza che
diverrà di adulterio era in origine la danza dell’oro della Terza Verità.
Ì Il n. 4, la «Danse du reproche» di Guignol tradito, corrisponde alla prima parte
della Danse du héros (sezioni A-C, v. supra Esempio 23); la seconda parte (sezio-
ne D) verrà utilizzata come ingresso del boia, n. 10.
Ì Il n. 5, in cui i coniugi si riconciliano in una «Danse tendre», deriva dal «Prélude»
alla Petite suite per flauto, viola e arpa (1941) tratta dalle musiche di scena che Jo-

179
«Pandore» non è la Pandora del mito ma il gendarme per antonomasia; cfr. la canzone Pandore
ou Les deux gendarmes di Gustave Nadaud.

253
F. Lazzaro, Danza, incantesimo e preghiera

livet compose per una pièce di Lope de Vega, Aimer sans savoir qui, che doveva
essere rappresentata con la regia di Jean Vilar.
Ì La prima sezione del n. 6, l’ingresso della suocera (che verrà uccisa da Guignol),
è un’altra delle danze da Les quatre Vérités, il momento di scatenamento bellicoso
delle tre Verità.
Ì Il n. 12, la marcia al supplizio di Guignol condannato a morte per l’omicidio della
suocera e di Pandore, è imbastita sulla Danse funéraire. Dopo che Guignol sarà
giustiziato, interverrà, deus ex machina, il direttore del teatro che riporterà tutti in
vita.
In linea di massima, nel loro inserimento all’interno del balletto, i brani fu-
rono accorciati: basti dire che la Danse funéraire è ridotta da 76 a 23 batt. (si ri-
corderà che uno dei difetti contro cui Lifar si scagliava nel suo manifesto era
l’eccessiva durata dei numeri da danzare). Inoltre, gli interventi mirano alla rego-
larizzazione, sia nei dettagli ritmici sia nella forma complessiva, ritenuta indispen-
sabile dal coreografo; il risultato fu riconosciuto anche dai critici:

La partition d’André Jolivet, inspirée et d’un modernisme élégant, présente


les qualités requises par la chorégraphie: les rythmes incisifs ou caressants,
l’expression humoristique ou sentimentale, s’harmonisent parfaitement avec
la cadence de l’action […].180

La partition de Jolivet contient beaucoup d’accents rythmiques et très peu de


musique, ce qui devient de plus en plus l’idéal suprême de la chorégraphie
moderne. Le compositeur remplit ici sa modeste mission avec la plus par-
faite abnégation […].181

Si consideri nel dettaglio il caso della Danse du héros, nei due numeri in cui ven-
ne ripartita. Nel n. 4 venne eliminata la transizione tra A e B, con lo scopo eviden-
te di non interrompere la pulsazione. Per rendere uniforme la scansione metrica, la
parte in  della sezione C venne normalizzata in :

180
ANDOLFI 1944.
181
[ANONIMO] 1948.

254
Capitolo 3

Esempio 55 A. Jolivet, Guignol et Pandore, IV. «Variation de Guigno», lettera D: variante rispet-
to alla Danse du héros.

Nel n. 10, nella sezione C vennero inserite alcune battute per accrescere la
quadratura formale (incorniciate nell’esempio):

Esempio 56 A. Jolivet, Guignol et Pandore, X. «Entrée du Bourreau» : varianti rispetto alla Danse
du héros.

255
F. Lazzaro, Danza, incantesimo e preghiera

Attraverso l’inserimento delle due battute iniziali l’ostinato inferiore viene sentito
isolatamente, in modo da essere riconosciuto come modulo ritmico principale pri-
ma che gli si sovrapponga l’altro; quest’ultimo ha la particolarità di variare ogni
due battute: nell’unico caso in cui ciò non accadeva viene aggiunta una battuta u-
guale alla precedente (lo schema rende evidente la successione di coppie di battute
uguali, a ognuna delle quali corrisponde un sistema). Nella Danse du héros,
l’ostinato superiore finiva per divenire omoritmico al primo e dare inizio alla se-
zione fondata sulla ripetizione del ritmo terzinato (sottosezione b, variata dopo 10
volte in c, nell’Esempio 23); in Guignol et Pandore, invece, la danza viene tagliata:
la sezione terzinata non c’è, quindi la battuta in cui i due ostinati si incontravano
viene sostituita con una non terzinata che precede la cadenza.
Dal punto di vista della ridistribuzione formale, la danza che subì più modi-
fiche è la danza dell’oro della Terza Verità, divenuta il pas de deux di Guignolette
et Pandore (n. 3). Analizzarla è anche un pretesto per avvicinare l’ultimo lavoro
intitolato alla danza del Jolivet anni ’30, quella Symphonie lyrique (abbozzo del
1939) che divenne Symhonie de danses (1943) passando attraverso il balletto Les
quatre Vérités (1940).182 Il suo inserimento in Guignol et Pandore comportò nor-
malizzazioni di breve respiro  come la sostituzione sistematica di una cellula ir-
regolare con una coppia di crome: , e soprattutto una ridistribuzio-
ne formale tesa ad accentuare la quadratura fraseologica. Il brano è costituito
dall’alternanza di sezioni basate su due moduli ritmici reiterati:

Esempio 57 A. Jolivet, Symphonie de danses: moduli ritmici della danza dell’oro.

182
L’analisi sarà condotta sulla partitura della Symphonie de danses (Paris, Noël, 1955, lastra P. N.
6.224; quella che nel balletto era la danza dell’oro comincia 5 battute dopo M); del balletto Les
quatre Vérités resta solo una riduzione per pianoforte (KAYAS 2005, p. 306): non è da escludersi
che la forma del brano fosse identica nei due balletti e sia stata modificata nella suite; ma, conside-
rati anche gli altri esempi di autoimprestito modificati per andare incontro alle esigenze di Lifar,
anche questo caso sembra analogo.

256
Capitolo 3

Materiale melodico-armonico diverso associato al medesimo ritmo dà origine a


cinque differenti tasselli musicali per il ritmo 1 (a, b, c, e, h) e tre per il ritmo 2 (d,
f, g). Lo schema seguente mostra la struttura del brano nella Symphonie de danses
e in Guignol et Pandore (i tasselli relativi ai due ritmi sono posti su due colonne
per coglierne a colpo d’occhio l’alternanza):

Symphonie de danses Guignol et Pandore

a ’ = 100 a ’ = 104
b a’
c b
d c1
d’ c1’
e ’ = 104 c1’
d’’ ’ = [108] a’’
c2 a’’’
d’’’ ’ = 112
c3 =
f ’ = 116
g ’ = 120 g + 2 batt.
h ’ = 126 h tagliato
d’’’’ ’ = 120 h’
d’’’’’ d’’’’
cadenza

Le parti in grigio sono quelle che hanno subito modifiche, mentre quella centrale in
bianco resta identica nelle due versioni della danza. Come si può notare, la modifi-
ca più importante riguarda la prima parte: laddove nell’originale c’era una succes-
sione di tre tasselli sul medesimo ritmo, in Guignol et Pandore Jolivet crea una
struttura ad arco (con il ritorno, variato, dell’episodio a  esposto a sua volta sem-
pre due volte anziché una, il che aumenta la regolarità percepita). La modifica del
finale è meno drastica, e comporta, come in tutti i casi di autoimprestito, l’aggiunta
di una cadenza ad hoc. Ma la variante più vistosa tra le due sezioni non riguarda la
successione dei tasselli, bensì l’andamento della pulsazione: nella modifica per Li-
far, la danza perde l’incremento progressivo della prescrizione metronomica per
rimanere fissa su ’ = 104.
Si può concludere che lo studio degli autoimprestiti di Jolivet per Guignol et
Pandore offre la possibilità di analizzare l’applicazione concreta dei principi che
Lifar esponeva nel Manifeste du chorégraphe: le “danze” di Jolivet, la cui caratte-
ristica era la continua metamorfosi della cellula ritmica da cui traevano origine,

257
F. Lazzaro, Danza, incantesimo e preghiera

per diventare delle danze vere e proprie dovettero in parte rinunciare a questo
principio.
L’autoimprestito, infine, mette in questione il “sentire-come”: se la Danse
funéraire non subisce un’eccessiva trasformazione tematica divenendo la varia-
zione premortuaria di Guignol, le altre sono soggette a slittamenti anche notevoli
del contenuto immaginativo indirizzato dal paratesto. La disposizione cronologica
che segue aiuta a seguire la storia di come il medesimo brano venne sentito:

Composizione I esecuzione
1939 Danses rituelles
1940 Le cercle enchanté e Les quatre Vérités
1941 (marzo) Les quatre Vérités
1941 (aprile) Aimer sans savoir qui
1942 (giugno) Danses rituelles pf.
1943 (luglio) Guignol et Pandore
1943 (novembre) Petite Suite e Symphonie de danses
1944 (aprile) Guignol et Pandore
1944 (novembre) Danses rituelles orch.
1960 (maggio) Ombres lunaires
1964 (febbraio) Danses rituelles balletto

Il caso della Danse du héros, su cui ci si è soffermati, è particolarmente significa-


tivo. Come si è visto, l’idea di Jolivet è che l’eroe delle Danses rituelles era
l’uomo giovane che agisce («l’homme agissant [20 ans] et quand il agit bien, il est
un héros»);183 nel progetto di Le cercle enchanté diventa un selvaggio brutale; in
Guignol et Pandore quello che era l’eroe diviene Guignol adirato perché tradito
(n. 4), e poi addirittura il boia (n. 10). La Danse nuptiale non è da meno: se nelle
Danses rituelles è la danza dell’amore, del matrimonio e dello charme,184 in Le
cercle enchanté è piuttosto lo sfogo violento del desiderio sessuale, e in Guignol
et Pandore la danza di Guignolette che cerca di persuadere il giudice a non giusti-
ziare Guignol  pur sempre di charme si tratta. Della danza dell’oro che diviene
episodio adulterino si è già detto; quanto alle musiche di scena per Aimer sans sa-
voir qui, «il Prélude [che] accompagna le fantasticherie di una fanciulla sentimen-

183
JOLIVET 1959, p. 458. V. supra § 2.1.
184
V. supra § 3.1.

258
Capitolo 3

tale che si dondola su un’amaca in una voluttuosa serata primaverile» diviene la


danza di riappacificazione coniugale tra Guignol e Guignolette (saranno state di
questo tipo le fantasticherie della fanciulla?). Ma nulla supera l’ironia (forse) in-
volontaria per cui lo scatenamento della furia delle tre Verità si trasforma
nell’ingresso della suocera.

***

Soggetti dei balletti (in grassetto gli autoimprestiti)

Ì Aimer sans savoir qui


Il Prélude accompagna le fantasticherie di una fanciulla sentimentale che si dondola su
un’amaca in una voluttuosa serata primaverile.
Il Modéré sviluppa l’impressione di plein air sprigionata dal Preludio.
Il Vif mescola ritmi spagnoli e volatine di sedicesimi, a suggerire il gioco all’inseguimento di una
giovane coppia di innamorati.
L’Allant vede svolgersi un dialogo tenero e ne esprime pienamente l’amabile dolcezza, mentre per
contrasto il Finale espone il punto di vista ironico e burlesco del tradizionale valletto da commedia
divertito da tutte queste avventure sentimentali.

Ì Le cercle enchanté
1. Una tribù si prepara a celebrare la cerimonia del tabù su una fanciulla terrorizzata, accerchiata
da un cerchio magico. La tribù di allontana, lasciando sola la fanciulla.
2. Costei si nasconde e vede venire verso di sé un uomo selvaggio che caccia freneticamente e
danza intorno al suo bottino.
3. L’uomo scopre la fanciulla spaventata. Sedotto, dà corso al suo desiderio selvaggio e sen-
suale.
4. Egli sente delle forze ostili e vuole fuggire portandosi in spalla la fanciulla. Ma si scontra con
delle forze invisibili e muore abbattuto da una freccia. Prigioniera del cerchio magico, la fanciulla
si sottomette.
5. Corteggio funebre dell’uomo, mentre la fanciulla va spontaneamente a inchiodarsi
all’albero del tabù.

Ì Les quatre Vérités


Su dei basamenti che evocano degli apparecchi radio si ergono le tre Verità che rappresentano le
ideologie contraddittorie che si disputano la coscienza dell’Uomo moderno. A sinistra, la Libertà,
al centro, la Schiavitù consentita, a destra, l’Oro. […]

259
F. Lazzaro, Danza, incantesimo e preghiera

1. Al levarsi del sipario, l’Uomo è in scena, in preda all’angoscia e all’incertezza. Ascolta e inter-
roga la prima Verità, poi la Seconda. Resiste e si gira verso la Terza. Indecisione.
2. La Prima Verità ricattura l’attenzione dell’Uomo grazie ai suoi appelli, le sue dimostrazioni, la
sua eloquenza propagandistica. Scende dal suo basamento e comincia a danzare. Esalta la libertà
nell’azione, nel pensiero, nella parola, nel sogno. L’Uomo, sedotto e persuaso, la accompagna e
poi la raggiunge. Ma ogni volta che sta per prenderla, quella si sottrae. Alla fine risale sul suo ba-
samento. L’uomo si ferma, sperduto.
3. Entra in azione la Seconda Verità. Le sue mani sono legate, ma da questa costrizione ella ricava
una forza e una gioia che la sua danza esalterà. Glorifica la sottomissione serena alla disciplina, la
nobiltà della servitù, la grandezza nell’abnegazione. È balzata a terra. L’Uomo, provocato e quindi
sedotto, si lascia prendere dalla sua danza. Ma, nel momento in cui ella l’ha conquistato con
l’ideale che rappresenta, si scosta e risale sul suo basamento.
4. Dopo che si è ritirata la Seconda Verità, l’Uomo continua a roteare, soggiogato dal ritmo terna-
rio. Gli gira la testa, si volta e si trova bruscamente di fronte alla Terza Verità che ha appena la-
sciato il suo basamento. La sua danza propone all’Uomo l’ebbrezza dell’oro, il possesso delle
ricchezze materiali. Ancora una volta, egli si lancia alla conquista di un nuovo ideale. Ma
come prima la Verità ingannevole si scosta e si rifugia sul suo basamento.
5. Deluso, illuso, sempre più angosciato, l’Uomo interroga una dopo l’altra le tre Verità, poi ricade
in ginocchio. […]
6. Le tre Verità si sono girate per un istante sui loro basamenti e ora si mostrano con il viso
coperto con maschere da guerra. Il loro arringare diviene aggressivo, il loro agire minaccio-
so. Si provocano, poi scendono dai loro basamenti e si gettano in una furiosa battaglia in cui
l’Uomo è al tempo stesso la vittima e la posta in gioco. I corifei prendono parte alla mischia.
Alla fine del combattimento, l’Uomo è a terra agonizzante. Anche le tre Verità sono sfinite
dalla lotta: contemplano la loro vittima, tracollano e si trascinano davanti ai loro basamenti.
[…]
7. Nel cielo divenuto libero e luminoso, in cima a un piano inclinato, appare la Quarta Verità, che
è l’Angelo della Morte. L’Angelo scende, si avvicina alle tre Verità, toglie loro le maschere, chiu-
de loro la bocca e le fa rialzare. Costoro, ridivenute umilmente umane, scompaiono su ordine
dell’Angelo. L’Angelo si avvicina all’Uomo, lo rianima e si fa riconoscere: «Solo la morte lo libe-
rerà dalla menzogna!». L’Uomo, in uno slancio di fiducia patetica, si dà alla Morte che lo culla te-
neramente e gli chiude gli occhi. L’Uomo e l’Angelo si portano sul piano inclinato e si elevano,
avvinghiati, vero la luce.

Ì Guignol et Pandore
Uno spettacolo di Guignol, del tipo cui si assiste nei giardini pubblici. Il direttore del teatro è una
marionetta, e tutti i suoi personaggi sono esseri umani, giacché sono loro a vivere il dramma, ani-
mati dalle mani dell’impassibile direttore.
Il galante Pandore, bicorno in testa e baffi da conquistador, fa la corte alla bella e un po’ scontrosa
Guignolette. I due amanti sono sorpresi da Guignol, marito tradito. Ne segue una grande scena di
famiglia che costa la vita alla suocera, giunta a sproposito, e durante la quale viene accoppato Pan-
dore.
Guignol è condannato dai giudici alla decapitazione. Ma egli è immortale: basterà un cenno del
direttore per far rivivere i morti e dare il segnale per una ronda generale.

260
Capitolo 3

Ì Ombres lunaires
1. In una città scura. Pierrot, troppo malinconico, viene lasciato da Pierrette.
2. Accortosi di un ballo in una dimora mondana, Pierrot si traveste e si unisce alla festa. Nasce un
idillio con una delle ballerine. Ma quando le coppie si smascherano, Pierrot si rifiuta di scoprirsi.
La sua dama gli strappa di forza la maschera e tutti ridono per la sua delusione.
3. Rimasto solo, Pierrot si dispera. È presto raggiunto dai Pierrot di tutto il mondo, da Petruška a
Pagliaccio, e riconquista il mondo della poesia.
4. Una grande esplosione in lontananza. I Pierrot, vinti dal mondo reale, si trascinano in ginocchio.
Pierrot sta per ultimo. Danza con la Morte e poi scompare, sollevato sul suo spicchio di luna.

Figura 16 (pagina seguente) A. Jolivet, Guignol et Pandore: schema degli autoimprestiti.

261
Aimer sans savoir qui Petite suite (fl, vla, arpa) Guignol et Pandore
mus. di scena comp. 1941 sogg. e cor.: Serge LIFAR
testo LOPE DE VEGA [Amar sin saber a quién] I es. 13.11.1943 comp.: 08.07.1943
regia Jean VILAR I: 29.04.1944
comp. 16.04.1941 1. Prélude
2. Modéré 1. Prélude
3. Vivement 2. Parade (Défilé des principaux personnages. Marche)
4. Allant
5. [Final] 3. Pas de deux (Guignolette, Pandore)
4. Variation de Guignol (Danse du reproche)
5 Danses rituelles Le cercle enchanté 5 Danses rituelles 5 Danses rituelles 5. Pas de deux (Guignol, Guignolette. Danse tendre)
comp. pf . 1939 balletto orch. 04.1940-04.1941 balletto 6. Pas de quatre
I es. 15.06.1942 sogg. Claude VERMOREL I es. 05.12.1944 cor. George SKIBINE a) Entrée de la belle-mère
cor. Serge LIFAR I es. 10.02.1964 b) La belle-mère tente de détacher Guignolette de
1. Danse initiatique comp. 1940 Guignol
2. Danse du héros c) Pandore reparait
3. Danse nuptiale d) Guignol tue la belle-mère
4. Danse du rapt
7. Bastonnade
5. Danse funéraire a) Entrée des Gendarmes
b) Guignol matraque Pandore
Symphonie lyrique Les Quatres Vérités Symphonie de Ombres lunaires c) Guignol est ‘passé à tabac’
danses 8. Entrée du Juge
appunti, agosto 1939 balletto balletto
sogg. Henri-René LENORMAND comp. orch. 1943 sogg.-cor. SKIBINE 9. Variation de Guignolette (Danse de supplication)
«Trois plans de la connaissance: comp. [pf, Martenot, fl, vc, perc]: autunno 1940 I es. 24.11.1943 comp. 1956-1960
I es. 05.1960 10. Entrée du Bourreau
le sujet, l’objet, la vérité» I es. 15.03.1941
A. Assez vif. La vie cor. LIFAR > MADIKA [4 danze= nn. 2, 3, 11. Variation prémortuaire de Guignol
B. Lent. L’esprit 5, 7]
C. Vif (passionné). L’amour 1. Introduction et Mimodrame de l’Homme 12. Marche au supplice
2. Danse de la Première Vérité 13. Exécution de Guignol
3. Danse de la Deuxième Vérité
4. Mimodrame de l’Homme et danse de la Troi- 14. Variation du Directeur
sième Vérité 15. Final
5. Désarroi de l’Homme a) Marche
6. Déchaînement des trois Vérités b) Ronde
7. Danse de la Quatrième Vérité et conclusion
4.
DANZE RELIGIOSE
(INTORNO A MESSIAEN)

[L]’actualité spirituelle me semble osciller entre deux extrêmes que j’ai ap-
pelés la danse et la prière.1

C’è un grande assente nel discorso finora fatto sui brani con titoli di danza: Oli-
vier Messiaen. Il suo catalogo degli anni ’30 ne include un paio: la Danse du bébé
Pilule (terzo dei Chants de Terre et de Ciel, per soprano e pianoforte, 1938), e la
Danse de la fureur, pour les septs trompettes (sesto movimento del Quatuor pour
la fin du temps, 1941). Tuttavia, come si vedrà nelle prossime pagine, ci sono altri
brani che il compositore descrive come danze. Vista la peculiare attenzione pre-
stata da Messiaen ai mezzi ritmici, sarà opportuno soffermarsi su questi brani e sui
meccanismi d’ascolto con cui si confrontano.
Questo secondo capitolo a carattere analitico sarà pertanto dedicato al rap-
porto tra il primo e l’ultimo termine del titolo del presente lavoro: «danza» e
«preghiera». Ci si interrogherà sui rapporti delle forme di danza con la religione
cattolica (§ 1) e con lo strumento di chiesa per eccellenza, l’organo (§ 2); si incon-
treranno poi dei brani di Messiaen che fanno riferimento alla danza rispettivamen-
te nei loro testi di presentazione (§ 4), nel testo cantato e nel titolo (§ 5).

1. DANZA E RELIGIONE
Prima di andare in casa del religiosissimo Messiaen, propongo una tappa al nume-
ro 11 di rue de la Chaise, nel VII arrondissement di Parigi. Si tratta di ciò che ri-
mane dell’Abbaye-aux-bois, antico convento di bernardine parzialmente distrutto

1
BOUCHER 1926, p. 148, corsivi dell’autore.

263
F. LAZZARO, Danza, incantesimo e preghiera

per motivi urbanistici nel 1907. Alla fine degli anni ’30, le sorelle Josette e Renée
Foatelli vi fondarono l’École de danse religieuse chrétienne. Interessate al ruolo
mistico del corpo, diedero alle stampe una storia delle danze cristiane e un vero e
proprio metodo illustrato (con disegni e loro fotografie) di «danza religiosa cri-
stiana» (leggi: cattolica).2 Il metodo fu la risposta obbligata alle conclusioni del
volume storiografico:

Il faudrait une danse chrétienne, comme il y a du chant chrétien, de la sculp-


ture et de la peinture décrivant les beautés mystiques.3

Questa danza di cui le sorelle Foatelli sentivano la necessità richiedeva di essere


formalizzata:

il manque une technique fondamentale, et je ne crois pas qu’elle puisse être


créée sans la base traditionnelle populaire […]. Il ne faut pas songer ici à la
danse d’inspiration spontanée. Elle est impossible à tout amateur et
n’aboutirait qu’à des gambades inesthétiques.4

Se i casi di danza legata al culto dalle origini ai loro giorni dimostravano che ci
sono sempre state delle «danses d’église», le sorelle Foatelli sottolineavano che
non ci furono mai delle «danses liturgiques»:5 la danza cristiana «n’a jamais fait
partie intégrante du culte» ma fu sempre «une sorte de fioriture», un mezzo perché
le cerimonie religiose da un lato si impreziosissero e dall’altro fossero più coin-
volgenti.6 Se in alcuni esempi paleocristiani le danze venivano inserite tout court

2
FOATELLI 1939 (il testo è firmato dalla sola Renée, che però specifica in nota a p. 95: «Je travail-
le en étroite collaboration avec ma sœur Josette») e FOATELLI 1941; cfr. anche MONFORT 1923.
3
FOATELLI 1939, p. 91.
4
Ivi, p. 94.
5
Ivi, p. 90.
6
Ivi, p. 89. Cfr. MONFORT 1923, p. 248: «La danse avait été de tout temps un signe d’adoration,
une démonstration extérieure de la dépendance des créatures vis-à-vis de Dieu, une expression
primitive de reconnaissance. Elle se présenta naturellement à l’esprit des premiers chrétiens
comme un moyen d’animer leurs fêtes, d’embellir leurs cérémonies, de rendre leur culte plus im-
posant».

264
Capitolo 4

tra le parti di una cerimonia, le danze religiose auspicate dalle sorelle Foatelli non
hanno autonomia: il movimento è uno dei mezzi per amplificare la parola, che re-
sta l’elemento centrale del culto:

La prière dansée?… Pourquoi pas? […] L’interprétation des textes litur-


giques, chants sacrés, hymnes, chœurs parlés, mimés et dansés entrainerait le
peuple en des réjouissances plus pures et plus naïvement fraiches que celles
qu’on a l’habitude de pratiquer aujourd’hui.7

Infatti, il metodo di danza religiosa cristiana che le due sorelle elaborarono andava
proprio in questa direzione:

La musique peut être choisie dans le répertoire si varié de nos hymnes, can-
tiques, chant grégorien, palestrinien et de toute la musique religieuse en gé-
néral.8

La danza delle sorelle Foatelli è un’aggiunta del corpo al repertorio musicale reli-
gioso, col duplice fine di essere «hommage, offrande, suplication, adoration, priè-
re» e di illustrare i contenuti della fede : «le caractère narratif de la danse, sa va-
leur imitative lui confère une valeur nettement pédagogique».9
Ben diverso, pertanto, lo statuto di una danza cristiana rispetto a quello di
una danza rituale in cui è il gesto stesso il centro dell’azione magica. Se un com-
positore affascinato dai popoli extraeuropei come Jolivet poteva ricreare in termi-
ni musicali una danza rituale, comporre una danza cristiana sarebbe stato una con-
traddizione, poiché essa esiste solo come rivestimento coreutico di un inno, senza
caratteristiche musicali precipue. Pertanto, i brani di Messiaen con riferimenti di-
retti o indiretti all’idea di danza saranno come degli affreschi (delle vetrate, a-

7
FOATELLI 1939, pp. 93 e 95.
8
FOATELLI 1941, p. 14. Nell’ultima sezione del loro metodo suggeriscono alcune coreografie su
inni e sequenze gregoriani (pp. 80-92). Chiude il testo una lunga «Prière à Notre-Dame de la
danse» (pp. 93-4).
9
Ivi, pp. 14-15.

265
F. LAZZARO, Danza, incantesimo e preghiera

vrebbe preferito il compositore)10 descrittivi di alcune scene bibliche (la danza


davanti all’Arca, le trombe dell’Apocalisse) o di alcune credenze (la danza degli
angeli, data per certa e accettata anche dai santi più coreofobi).11 La musica di
Messiaen ha il fine più volte dichiarato di comunicare i contenuti della fede catto-
lica:12 le danze non fanno eccezione.

2. JEHAN ALAIN: DANZE PER ORGANO


L’organista Jehan Alain è un significativo trait d’union tra danze rituali e religio-
se, tra l’immaginario di Jolivet e quello di Messiaen. A Claude Rostand «sembra»
che Alain dovesse entrare a far parte della Jeune France;13 Helga Schauerte ritiene
che a chiederglielo fosse stato Messiaen, suo compagno di organo nella classe di
Dupré, ma che Alain declinò l’invito per non compromettere la sua indipendenza
con l’appartenenza a un gruppo (presa di posizione di cui Wilhelm Hafner si do-
manda l’attendibilità).14 In ogni caso, il 17 febbraio 1938 nella chiesa della Trinité
ci fu un concerto d’organo con brani di Alain, Daniel-Lesur e Messiaen.15 Tra i
brani del primo fu eseguita una Danse funèbre pour honorer une mémoire héroï-
que; l’anno successivo Alain scrisse a Daniel-Lesur che aveva ultimato
(nell’aprile 1938) Trois Danses per organo e doppio quintetto d’archi, di cui la

10
Cfr. POZZI 2007, pp. 8-9.
11
«Saint Ambroise fulminait contre elle, et saint Basile affirmait que la danse était la principale
occupation des Anges au Ciel!» (FOATELLI 1939, p. 9)
12
«La première idée que j’ai voulu exprimer, celle qui est la plus importante parce qu’elle est pla-
cée au-dessus de tout, c’est l’existence des vérités de la foi catholique. […] Un certain nombre de
mes œuvres sont donc destinées à mettre en lumière les vérités théologiques de la foi catholique.
C’est là le premier aspect de mon œuvre, le plus noble, sans doute le plus utile, le plus valable»
(SAMUEL 1999, p. 24).
13
«Il semble même qu’à un moment le nom de Jehan Alain ait été prononcé en ce qui concerne
une semblable affiliation [alla Jeune France]» (ROSTAND 1952, p. 55)
14
SCHAUERTE 1983, pp. 42-43 e HAFNER 2000, p. 17 e n. 57.
15
Cfr. HAFNER 2000, pp. 15-17. Alain («excellent compositeur») fu il primo nome citato da Mes-
siaen in risposta a Calude Samuel che gli chiedeva quali fossero, a suo avviso, «les personnalités
les plus marquantes de l’école français d’orgue du XXe siècle»: «sans nous connaitre vraiment,
nous avons suivi peu à peu les mêmes voies et il est possible, s’[Alain] avait vécu plus longtemps,
qu’il se soit orienté dans le même sens que moi» (SAMUEL 1999, p. 200).

266
Capitolo 4

Danse funèbre era il secondo brano;16 nel 1940 il compositore morì in guerra: por-
tava nel sidecar della sua motocicletta molte partiture che il vento disperse, tra
cui, verosimilmente, l’orchestrazione delle Trois danses.17 In sintesi, ecco i testi-
moni superstiti di questo trittico che fu concepito per orchestra ma che è diventato
un importante pezzo organistico:18

Trois Danses
c) particella per pf., 02.1937-04.1938 I. Joies a) Sarabande («Danse funèbre pour
honorer une mémoire héroïque»),
II. Deuils particella per org., 08.1937
d) versione per org., 08.1937-04.1940, ed. Leduc
1943 (II ha per sottotitolo «Pour honorer une III. Luttes b) Danse funèbre pour honorer une
mémoire héroïque» e può essere eseguito da solo mémoire héroïque, per doppio quin-
col titolo di Danse funèbre pour honorer etc.) tetto d’archi, timpani, org., s.d., ed.
Leduc 1993

Una danza per organo non era qualcosa di standard. Nello studio in cui
mette in relazione il corpus organistico di Alain con il contesto francese in cui fu
concepito, Wilhelm Hafner riesce a citare dei modelli per brani dai titoli Berceuse,
Lamento, Complainte, Fileuse, Intermezzo, ma per quanto riguarda le danze si ri-
chiama solo alle Trois Danses per orchestra op. 6 (1932) di Duruflé (organista) e
alle Cinq Danses rituelles di Jolivet.19 L’antecedente organistico diretto delle
Trois Danses in realtà c’è, ma è di Alain stesso: si tratta delle Deux Danses à Agni
Yavishta (1932-1934). È un dittico su soggetto orientale, iniziato sulla scia
dell’Exposition coloniale del 1931, che poneva l’organo in un mondo decisamente
extracristiano, sia per soggetto sia per linguaggio; i modi orientali occupavano, a
onor del vero, un certo spazio nel Traité d’improvisation à l’orgue (1925) di Mar-
cel Dupré e, com’è noto, il giovane Messiaen si concentrò sullo studio dei ritmi
greci e indiani.20

16
Un estratto della lettera è riportato in HAFNER 2000 p. 481.
17
ALAIN 1968, p. 209.
18
Sui testimoni cfr. HAFNER 2000, pp. 313-321 e pp. 523-25.
19
Ivi, pp. 407-15.
20
Sul ruolo della musica orientale negli allievi di Dupré cfr. HAFNER 2000, pp. 434-39; più preci-
samente sulla presenza di modi extraeuropei nelle Trois Danses cfr. ivi, pp. 336-37. La monografia
di Hafner contiene anche la più recente analisi delle Danses à Agni Yavishta (pp. 137-49), correda-

267
F. LAZZARO, Danza, incantesimo e preghiera

Nei titoli delle Trois Danses i commentatori hanno intravisto tratteggiati gli
stati d’animo fondamentali della vita umana: le gioie di gioventù («Joies»), le sof-
ferenze della maturità («Deuils»)  le lotte sempre («Luttes»).21 Se questo fosse
stato davvero il progetto di Alain, si tratterebbe di un ulteriore elemento di contat-
to con le Danses rituelles di Jolivet, che, come anche Hafner ricorda, volevano ri-
percorrere le tappe fondamentali della vita umana.22 A prescindere dalle questioni
extramusicali ma restando a un livello paratestuale, come si è detto il primo stadio
della composizione di questo trittico fu la futura seconda danza (v. lo schema qui
sopra), che aveva per titolo Sarabande. Danse funèbre pour honorer une mémoire
héroïque  il sottotitolo fu aggiunto dopo la morte della sorella Marie-Odile in un
incidente in montagna il 3 settembre 1937 (l’eroe della danza di Alain è pertanto
una donna).23 Le prime battute del brano rendono ragione sia alle affordances di
«Sarabande» sia a quelle di «Danse funèbre»: si tratta infatti di un’apertura in len-
to metro ternario (sarabanda), in cui ricorre con regolarità una cellula puntata
(ritmo funebre):

Esempio 58 J. Alain, Trois danses, II. «Deuils», batt. 2-7: tema.

La struttura intervallare della prima metà di questo tema è quella di una scala tzi-
gana, con semitoni dal sapore frigio e seconde eccedenti. L’ispirazione orientale
guida la scelta delle figure dei due passaggi a batt. 108 e 113:

ta  come per tutta la produzione organistica di Alain  da una ricca bibliografia. Da notare come
SCHAUERTE 1983 (pp. 40-47) legga i sistemi scalari usati in questo brano in ottica Messiaen-
centrica, chiamando “II modo a trasposizione limitata” la scala ottatonica e “I modo a trasposizio-
ne limitata” la scala esatonale (a p. 70).
21
Cfr. SCHAUERTE 1981, p. 67 e HAFNER 2000, pp. 321-22.
22
HAFNER 2000, p. 413, n. 48.
23
Ivi, p. 314.

268
Capitolo 4

Esempio 59 J. Alain, Trois danses, II. «Deuils», batt. 108 e 113: passaggi orientali.

Con la sua serie di variazioni sul basso ostinato dell’Esempio 58, la danza assume
la forma di una passacaglia, o di una ciaccona,24 con la particolarità che le varia-
zioni consisteranno nell’aggiunta progressiva di voces organales in scrittura to-
talmente omoritmica (anche nei rapidi gesti irregolari da cui germineranno figure
come quelle riportate nell’Esempio 59); il risultato è che l’ascoltatore percepisce
in modo molto distinto il ritorno melodico-ritmico, proprio come avviene nelle
danze pensate per essere ballate. Dopo una sezione con funzione di ponte in cui,
per contrasto, si impone via via il metro composto (@), il principio della ripetizio-
ne variata ha definitivamente la meglio su quello della variazione: il tema al bas-
so, mutato nel ritmo e compresso in due battute, viene ripetuto a diverse altezze
(sormontato da quattro voces organales) 16 volte secondo uno schema di propo-
sta/eco (2 batt + 2 batt) tra grand’organo e positivo (tra organo e archi nella ver-
sione con doppio quintetto). A una diciassettesima proposta risponde una fanfara
che aveva già interrotto due volte il meccanismo e inizia la terza serie di ripetizio-
ni variate, che questa volta abbandona la durata fissa del ciclo per mettere in gioco
anche le aspettative legate alla durata del ciclo stesso:

24
Il titolo Sarabande non esclude una forma a variazioni: nelle sue forme secentesche la sarabanda
«was accompanied by castanets and by a guitar or guitars playing continuous variations on a series
of harmonies» (LITTLEJENNE 2001, p. 92).

269
F. LAZZARO, Danza, incantesimo e preghiera

Esempio 60 J. Alain, Trois danses, II. «Deuils», batt. 101-113: schema dei cicli fraseologici.

Se la sezione con funzione di ponte aveva imposto la percezione del metro com-
posto (@), il suo ritorno continua invece ad alternare gesti in metri cangianti e an-
che sovrapposti; l’esempio seguente riproduce le prime battute di questa sezione:

270
Capitolo 4

Esempio 61 J. Alain, Trois danses, II. «Deuils», batt. 114-117: disomogeneità gestuale e metrica.

L’aspettativa di danza legata alla prevedibilità della pulsazione e alla ripetizione


di moduli si è dissolta completamente, e il brano si conclude con una lunga coda
monodica «ad libitum (comme un récitatif)» che rinuncia drasticamente alla divi-
sione in battute. Schematicamente, questa la concezione del brano:

basso durata cicli principio effetto


A I versione variabile aggiunta e poi sottrazione pro- passacaglia
gressiva di voces organales
B compare alla no cicli graduale affermazione @ ponte
fine (II vers.)
A1 III versione 2 batt. + 2 batt. ripetizione con eco, trasposi- ripetizioni
zioni
A2 IV versione variabile con in- ripetizione con trasposizione punto culminante
terruzioni
B’ assente no cicli combinazione di tre moduli in negazione della
successione variabile pulsazione
coda assente no cicli, no me- libero melodiare recitativo, canto
tro piano

Nelle sezioni A, basate sul basso ostinato, Alain mette in atto il principio della ri-
petizione variata su due livelli: all’interno di ogni sezione e variando l’aspetto del

271
F. LAZZARO, Danza, incantesimo e preghiera

basso tra le sezioni. Nel brano con cui concluderanno le Trois Danses, «Luttes», il
compositore utilizzerà solamente materiale delle due danze precedenti, e nella se-
zione conclusiva il basso ostinato della Danse funèbre (ora ribattezzata «Deuils»)
assumerà un’ultima, solenne, forma:

Esempio 62 J. Alain, Trois danses, II. «Deuils» e III. «Luttes»: versioni del basso.

L’esempio riproduce la prima occorrenza delle diverse forme del tema al pedale
(nelle ultime due battute di 5, ognuna ripetuta, il pedale tace: si riproduce la voce
più grave del manuale). Alain ha cambiato d’abito il suo tema pur mantenendone la
riconoscibilità grazie a) al mantenimento della curva melodica, b) al caratteristico
ritmo ‘giambico allungato’ (—o–). La durata della curva melodica di 1 viene contrat-
ta in 2 e 3; in 4 l’interruzione del gesto dopo la fase ascendente si coniuga al ruolo
formale di interruzione che gli viene assegnato; in 5, il finale delle Trois Danses, il
tema raggiunge la sua massima dilatazione: le ripetizioni dei singoli frammenti di
gesto (rese nell’esempio con indicazioni di ritornello) si richiamano alla tecnica di

272
Capitolo 4

ripetizione usata in 2 (e ripresa in 4), mentre il tema non sarà più ripetuto (e varia-
to) nella sua interezza.
Quando comporrà la prima danza, «Joies», Alain adotterà una tecnica simile
a quella della ex Danse funèbre: l’intero brano è basato su due idee tematiche che
vengono ripetute, variate, combinate:

Esempio 63 J. Alain, Trois danses, I. «Joies»: le due idee tematiche, fanfara e danza.

Al gesto di danza è stata riconosciuta un’ispirazione jazz, soprattutto in relazione


al décalage ‘swing’ tra manuale e pedale a cavallo tra il primo e il secondo tactus
(cerchiato nell’esempio; le freccine scandiscono il tactus). Se si confrontano gli
schizzi relativi alla genesi della veste ritmica del gesto riprodotti da Schauerte con
la versione definitiva si nota che la ‘swingatura’ doveva in origine entrare in gioco
verso la fine del modulo, un modulo peraltro molto regolare, con l’effetto di in-
frangere tramite una slabbratura quella regolarità pulsativa:

Esempio 64 J. Alain, Trois danses, I. Joies: il ritmo di danza negli schizzi.

273
F. LAZZARO, Danza, incantesimo e preghiera

A questa creazione di un’aspettativa chiara seguita dalla sua frustrazione, Alain


preferisce da subito una veste ritmica non banale, che riesce a generare aspettative
solo grazie alla sua ripetizione; ma dopo dieci ripetizioni un cambio di metro pro-
voca quella slabbratura che in fase di schizzi era stata immaginata all’interno del
modulo e che invece prenderà forma nella sua ripetizione:

Esempio 65 J. Alain, Trois danses, I. «Joies», batt. 9-20

Si noti che il modulo è chiuso da un palindromo ’ ¥ ’ : grazie alla sua posizione


‘contro il metro’ (il battere percepito è sulla prima semiminima e non sulla croma)
e alla sua esecuzione sia al manuale sia al pedale dopo che quest’ultimo aveva ta-
ciuto per tre crome, questo gesto diviene forse il punto di riferimento più stabile del
modulo: il taglio che avviene a batt. 19 crea uno scompenso tanto maggiore in
quanto comporta proprio la negazione dell’aspettativa del ritorno di questo punto di
riferimento.

Il meccanismo di trasformazione della veste ritmica delle due idee è stato il-
lustrato da Hafner, di cui riproduco lo schema che illustra la trasformazione del
gesto di danza da + a 9 a batt. 58:25

25
Cfr. HAFNER 2000, p. 328. Aggiungo allo schema di Hafner le cifre relative alla struttura inter-
vallare e la linea che riproduce il gesto melodico.

274
Capitolo 4

Esempio 66 J. Alain, Trois danses, I. «Joies»: trasformazione ritmica.

Quella che era nata come un’idea ritmica si è trasformata in uno schema melodico
disponibile a trasformarsi ritmicamente; per la verità anche la struttura intervallare
subisce delle variazioni, come è evidente nell’Esempio 66 (le cifre indicano gli in-
tervalli: tutti, tranne i ribattuti, vengono dilatati di un semitono), ma mantenendo
la stessa struttura gestuale (riprodotta dalla linea spezzata) e pertanto rimanendo
molto simile dal punto di vista percettivo. Ma alla fine la metamorfosi sarà totale,
e non resterà che un basso lontano gestualmente dal precedente e inserito in un
modulo ciclico di durata variabile, su cui si snoderà rapidissimo un perpetuum
mobile cromatico e fuori metro:26 Alain torna a quell’oriente protagonista delle
Danses à Agni Yavishta27 e, come succedeva alla fine della Danse funèbre mini-
mizza l’aspetto ‘danzante’ del brano riducendo la regolarità della pulsazione e
l’aspettativa legata al ritorno di moduli ritmici, fino a dissolvere il tutto in un tre-

26
HAFNER 2000, pp. 329-331, parla a questo proposito a una tecnica isoritmica basata sulla com-
binazione di talea e color: in realtà non è così in senso stretto, dal momento che la presunta talea
ha un ciclo diverso a ogni ripetizione (come lo studioso mette in luce nell’utilissimo schema di p.
331).
27
Hafner vi legge una «Stilisierung der sowohl für die indische als auch für die arabische Musik
typischen Mikrointervalle» (ivi, p. 329).

275
F. LAZZARO, Danza, incantesimo e preghiera

molo  momento che Hafner mette in relazione a un passo analogo nel Sacre du
printemps, ancora una volta antecedente obbligato di tutte queste ‘danze’.28
Sono tre gli ostinati che vengono variati e combinati in questa sezione (Esempio 67
qui a fianco): la serpentina di settimine (quattro varianti: a, b, c, d, ognuna ripetuta
fino al subentro della successiva  tra a e b c’è una transizione, indicata con un
tratteggio nello schema: si modifica la prima parte di a cui viene fatta seguire la se-
conda di b); la linea discendente del basso, sempre sfasata rispetto al metro
d’impianto e di conseguenza al primo ostinato (a partire da do3, nelle due varianti x
e x’; a partire da mib3: y, y’, y’’; a partire da mi3: z, z’); il terzo ostinato deriva dal
tema fanfara (due varianti: m, m’), e a partire dal suo ingresso i tre ostinati hanno
ciclo isocrono, fino alla dissoluzione nel tremolo cadenzale.

3. DANZE DAVANTI ALL’ARCA


Il 9 febbraio 1935 i Concerts Siohan offrirono la prima esecuzione della versione
orchestrale di L’Ascension di Olivier Messiaen. Il debutto sinfonico di Messiaen
risaliva al 1930, quando Le banquet eucharistique venne suonato dall’orchestra
del Conservatorio accanto a brani di d’Indy e Saint-Saëns e alla Nona di Beetho-
ven; il brano non soddisfaceva il giovane Messiaen: già nel 1928 ne aveva tra-
scritto un estratto per organo  Le banquet céleste.29 Anche L’Ascension fu tra-
scritta, con una modifica sostanziale, per organo; la sua esecuzione in questa veste
precedette di qualche giorno quella orchestrale (29 gennaio) e fu riproposta in se-
guito al primo dei concerti della Spirale, il 12 dicembre 1935.30 La modifica so-
stanziale riguarda la sostituzione del terzo movimento («Alléluia sur la trompette,
alléluia sur la cymbale»), descritto dal compositore stesso, nella presentazione
della versione orchestrale, come «une sorte de danse devant l’Arche»;31 in quella

28
Ivi, p. 332 e n. 64; si tratterebbe della cifra 13, Danses des adolescentes, dove però non c’è alcun
dissolvimento in tremolo: non è chiaro, pertanto, il riferimento di Hafner, ma è significativo che
per commentare i casi di ‘danze’ non tradizionali si tiri in ballo il Sacre, anche se a sproposito.
29
HILL-SIMEONE 2005, p. 25.
30
HILL-SIMEONE 2005, p. 54; SIMEONE 2002, p. 28.
31
[MESSIAEN] 1935, p. 49.

276
Capitolo 4

Esempio 67 J. Alain, Trois danses, I. «Joies», batt. 86-98.

277
F. LAZZARO, Danza, incantesimo e preghiera

per organo, al suo posto, c’è una «dazzlingly idiomatic toccata»32 («Transports de
joie d’une âme devant la gloire du Christ qui est la sienne»): che Messiaen, al con-
trario di Alain, non considerasse appropriato che l’organo suonasse una danza?

3.1. LE ROI DAVID DI HONEGGER


Il paragone tra l’«Alléluia sur la trompette, alléluia sur la cymbale» e una «Danza
davanti all’Arca» comportava un riferimento intertestuale forte a Le roi David
(1921) di Honegger, oratorio («psaume symphonique») di grandissimo successo
la cui «Danse devant l’Arche» occupa quasi integralmente la seconda parte. (Si
noti che nel 1921 Honegger era membro a pieno titolo dei Sei, il che non gli im-
pedì di ottenere successo con un oratorio, ulteriore riprova della scivolosità dei
paradigmi tratteggiati nel Capitolo 1). La citazione dal salmo 46 che Messiaen
mette in epigrafe al suo brano richiama l’atmosfera di festa e inno a Dio rappre-
sentata da Honegger; la bipartizione del frammento citato, con il primo periodo
che presenta l’ascesa gloriosa del Signore e il secondo che esorta a celebrarlo, è la
medesima del testo di René Morax per Honegger:

Messiaen33 Honegger34

Le Seigneur est monté au son de la trom- Jehovah, viens à nous, Éternel,


pette… lumière du matin et splendeur de midi.
Ouvrez la porte à l’Éternel,
ouvrez la porte de la justice.
Les justes seuls peuvent entrer.
Tous les peuples m’ont attaqué au nom de Jehovah,
je les détruis.
L’essaim d’abeilles était serré au nom de Jehovah,
je les détruis.
Le buisson sec je l’ai brulé au nom de Jehovah,
je les détruis.
Car Jehovah m’a protégé
et sa main droite m’a conduit.
Jehovah, lève-toi, disperse l’ennemi.
Nations, frappez toutes des mains; Chantons le Dieu fort et clément,
célébrez Dieu par des cris d’allégresse! dansons au bruit des instruments,

32
HILL-SIMEONE 2005, p. 54.
33
Partiturina Leduc (Paris, 1948, lastra A. L. 20.523).
34
Testo tratto dalla riduzione canto e piano Foetisch (Lausanne, 1921, lastra F. 5990 F.).

278
Capitolo 4

chantons pour lui de nouveaux chants.


Que la terre et la mer frémissent
et que les fleuves applaudissent
et que les montagnes mugissent.
La lumière est son élément,
il plaine sur l’aile du vent
et l’abîme est son vêtement.
Il fait sa tente des nuages
et sa voix parle dans l’orage.
Rendons au Créateur hommage,
hommage à l’Éternel,
le Dieu fort d’Israël.

La danza di Honegger prosegue riprendendo la prima sezione del testo e viene in-
terrotta dalla comparsa di un angelo che annuncia a David la nascita di un figlio
che regnerà sulle nazioni; il coro di angeli intona allora un alleluia conclusivo.
Danza, alleluia, tromba: gli elementi fondamentali del terzo movimento de
L’Ascension ne fanno effettivamente una «Danza davanti all’Arca». L’altra carat-
teristica di quella che potremmo chiamare “l’idea di danza davanti all’Arca” è la
complessità, non nel senso di difficoltà, ma di multiformità; come è chiaro in Ho-
negger grazie alla presenza del testo, si tratta di una grande festa cui partecipa tut-
to il popolo: il narratore, all’inizio, illustra che stanno arrivando da tutte le tribù
pastori, contadini, vignaioli, artigiani, cantori e musici, guerrieri, sacerdoti, donne
e vergini. La multiformità si traduce sul piano musicale in una successione di se-
zioni: una danza davanti all’Arca è piuttosto una serie di canti e danze. In Honeg-
ger assume la forma seguente:

N. Metro Ritmo Testo


2 (-4) ¾Ÿ, poi šŸ Movimento circolare Narratore
4 Moduli sovrapposti e in sostituzione, si afferma ’ ·o– «Jehovah, viens à nous»
‡
9 Ostinato ¥ Á —q q qœ «Tous les peuples»
12 «Chantons»
” «La danse proprement dite»35
22 «Jehova, viens à nous»
24 ‡ Ostinato ¥ Á —q q qœ «Jehovah m’a protégé»
25 š Ritmo fisso legato al testo ’ ¥ ’ «Jehovah, lève-toi»
26 Recitativo «David»
‡
28 Prevalenza di ·oËooœ «Halléluia»

35
HALBREICH 1994, p. 488.

279
F. LAZZARO, Danza, incantesimo e preghiera

Se Harry Halbreich considera che la danza vera e propria sia la sezione in metro
ternario corrispondente al canto di lode, è pur vero che già poche battute prima del
n. 2, mentre il narratore descrive l’arrivo del popolo per la festa, l’idea di danza
compare in alcune figure in metro composto concepite secondo un ritorno regola-
re: probabilmente pastori e compagni giungono danzando, o qualcuno già balla
davanti all’arca mentre gli altri arrivano. Quando entra il coro e intona la preghie-
ra («Jehovah, viens à nous») l’idea di danza si modifica ma non scompare: i ritmi
ostinati dall’orchestra conquistano il canto stesso, con il coro che scandisce una
successione martellante di anapesti; non c’è presenza scenica della danza, ma Ho-
negger fa ‘danzare’ il testo cantato, probabilmente con lo sguardo rivolto al teatro
greco:

Esempio 68 A. Honegger, Le roi David, II parte, «La Danse devant l’Arche», 6 batt. dopo il n. 5
(riduzione): danza anapestica del coro.

Al contrario, nella sezione centrale, la regolarità del metro ternario è percepibile


attraverso una serpentina ininterrotta di ottavi, senza bisogno di sottolinearne gli
accenti con l’inevitabile effetto valzer; questa scrittura è sufficiente a suggerire la
danza, e il canto può articolarsi più liberamente: già le prime due frasi accolgono
un’emiolia e un accento sull’ultimo tactus della battuta:

Esempio 69 A. Honegger, Le roi David, II parte, «La Danse devant l’Arche», 3 batt. dopo il n. 12
(riduzione).

280
Capitolo 4

Nella ripresa dell’invocazione iniziale, l’anapesto si inserisce nel metro ternario,


aumentando l’effetto di circolarità della danza:

Esempio 70 A. Honegger, Le roi David, II parte, «La Danse devant l’Arche», n. 22 (riduzione):
fusione di anapesto e metro ternario.

Dopo la ripresa (testuale e musicale) abbreviata della sottosezione «Tous les peu-
ples», limitata ora alla conclusione («Jehovah m’a protegé»), torna l’idea di ‘paro-
la danzante’ sull’invocazione conclusiva, questa volta su un ritmo ’ ¥ ’ ; Honegger
fonde in questo modo la danza delle parole e il metro ternario:

Esempio 71 A. Honegger, Le roi David, II parte, «La Danse devant l’Arche», 2 batt. dopo il n. 25.

Di tutti i cori di Le roi David36 questi sono gli unici, oltre a una significativa
eccezione, a utilizzare la tecnica della ripetizione di moduli verbali su un piede
ritmico, ed è quindi giustificabile la loro interpretazione come ‘parole danzanti’.
L’eccezione cui si accennava è nel numero appena precedente la «Danse devant

36
Le roi David ha 14 numeri corali su 27.

281
F. LAZZARO, Danza, incantesimo e preghiera

l’Arche», il «Cantique de fête», che ha una funzione di trampolino verso la grande


festa (questa coppia di numeri costituisce la seconda parte dell’oratorio). Qui il
soprano esorta le sue «sœurs» a cantare a Dio, cosa che il coro femminile fa senza
esitazione ripetendo per sei volte e mezza una frase basata su un martellante piede
anapestico, molto simile a quella che risuonerà nella «Danse devant l’Arche»;
l’impressione, rafforzata dall’indicazione «rythmico», è che il coro canti e danzi:

Esempio 72 A. Honegger, Le roi David, II parte, «Cantique de fête», batt. 8-11 (riduzione): danza
anapestica del coro.

Il ritmo puntato che caratterizza i melismi alleluiatici conclusivi (e che ri-


torneranno alla fine dell’oratorio) non ha nulla a che vedere con il teatro greco né,
vista la sua disposizione irregolare, con la danza: viene in mente, piuttosto, un ri-
ferimento molto poco ‘Six’ al canto angelico della Quarta di Mahler, «Das him-
mlische Leben»:37

Esempio 73 A. Honegger, Le roi David; G. Mahler, Sinfonia n. 4, IV, batt. 12-14 (riduzione): con-
fronto tra melismi angelici.

37
Che Honegger sia sempre stato visto come il meno ‘Sei’ dei Sei è risaputo; degno di nota è che
negli anni ’30 fu vicino al movimento non-conformista, collaboratore assiduo del periodico
«Plans»; cfr. FULCHER 2005, pp. 265-270.

282
Capitolo 4

3.2. L’ASCENSION DI MESSIAEN


Sull’‘idea di alleluia’ si potrebbe scrivere un intero volume. Nella versione sinfo-
nica de L’Ascension, due movimenti su quattro hanno «alleluia» nel titolo (II.
«Alléluias sereins d’une âme qui désire le ciel»; III. «Alléluia sur la trompette, al-
léluia sur la cymbale»). Prima di affrontare il terzo movimento, quella «sorte de
danse devant l’Arche», non si può non notare che il secondo sviluppa,
nell’alternanza di due sezioni, due idee legate all’alleluia, la seconda delle quali è
proprio il melisma puntato dei cori angelici di Mahler e Honegger:

Esempio 74 O. Messiaen, L’Ascension, II. «Alléluias sereins d’une âme qui désire le ciel», n. 1
(riduzione).

La prima sezione parafrasa invece l’idea gregoriana di alleluia, con l’orchestra che
intona all’unisono una melodia melismatica con il fa nel ruolo di finalis:

Esempio 75 O. Messiaen, L’Ascension, II. «Alléluias sereins d’une âme qui désire le ciel», incipit
(riduzione).

Questa idea melismatica di alleluia sarà riaffermata ed esplicitata con il canto in


due degli Chants de Terre et de Ciel (1938):

283
F. LAZZARO, Danza, incantesimo e preghiera

Esempio 76 O. Messiaen, Chants de Terre et de Ciel, II. «Antienne du silence», batt. 3-4 (riduzio-
ne) e VI. «Résurrection», batt. 1 (riduzione): melismi alleluiatici.

Nel terzo movimento de L’Ascension, Messiaen elabora invece un’idea ritmica e


squillante di alleluia, in una costruzione complessa degna di una grandiosa danza
davanti all’Arca. Questa la struttura:

nn. 0-8 A ”Ÿ Squillo


nn. 8-10 B “ Melodia
nn. 11-15 A’ ”Ÿ Squillo
n. 16 C ” Cadenza
nn. 17-22 D “ Ostinati

Il movimento si apre con il tema di trombe che informa la sezione A: la informa in


virtù della sua ricorrenza (è quindi il tema principale) e del fatto che le parti che lo
costituiscono saranno i tasselli che Messiaen combinerà per comporre il resto del-
la sezione (è quindi il tema generatore):

Esempio 77 O. Messiaen, L’Ascension, III. «Alléluia sur la trompette, alléluia sur la cymbale»,
batt. 1-11 (riduzione): tema principale.

I tasselli b e d ricompariranno nel corso del brano anche sotto le loro varianti
non acefale, b’ e d’.

284
Capitolo 4

Nel tema generatore mancano due tasselli che compariranno verso la fine della se-
zione, x e y; variati, essi apriranno la seconda sezione: la loro funzione è di colle-
gamento, prima che compaia z, il nuovo tassello melodico protagonista di B:38

Esempio 78 O. Messiaen, L’Ascension, III. «Alléluia sur la trompette, alléluia sur la cymbale»,
tasselli generatori della sezione B (3 batt. dopo il n. 8).

Per esemplificare la logica compositiva usata da Messiaen, lo schema che segue


(qui dietro) illustra la combinazione dei tasselli che costituisce le sezione A (ogni
casella corrisponde a una battuta, ogni riga a una sezione orchestrale; le cifre indi-
cano le sottosezioni; si tralasciano le figure con funzione di riempimento, prive
dello status di tasselli; c* è l’inversione del tassello c).
Come risulta dallo schema, la sezione A è sostanzialmente bipartita: la prima parte
si articola in quattro sottosezioni corrispondenti al ritorno del refrain delle trombe
(con varianti dovute alla ridistribuzione dei tasselli), mentre la seconda, a organico
più compatto, abbandona il tassello a e gioca più sulla sovrapposizione dei moduli
che sulla loro combinazione orizzontale. Si aggiunga per completezza che nella se-
zione A’ Messiaen introdurrà un ulteriore tassello (—qËÂoËo– ) la cui ripetizione osti-
nata ai bassi accentuerà il carattere di danza del pezzo.

38
Per POZZI 2007, B «presenta due idee che rafforzano il carattere di danza dell’intera meditazio-
ne» (p. 58), ma non è chiaro se si riferisca a questi due tasselli o se li consideri in blocco come la
prima idea (y variante di x), mentre la seconda sarebbe il tassello melodico z (che però non ha uno
spiccato carattere danzante).

285
F. LAZZARO, Danza, incantesimo e preghiera

Tr a a b c d
1
Ve, Vc, Cb d
Tr a a b c d
2
Ve, Vc, Cb d
Fiati a a a a d’ d
3 Vl, Ve d
Vc, Cb b b
Tr a a b c d d’ d’
4 Vl b’
Vc, Cb, Fg d
Fl, Ob, Cl, CrIng x
5 Vl c* d b’
Vc, Cb, Fg d
Fl, Ob, Cl, CrIng x
6 Vl c* d
Vc. Cb, Fg d y x
Tr y y y y y
7
Archi + Cr c c c c c

In questo brano Messiaen combina l’idea della variazione continua degli ostinati
che sarà di Jolivet e la giustapposizione ‘secca’ di tasselli che tanto lo affascinava
in Stravinskij (Van der Toorn la chiamerà «block structure»);39 il transito alla se-
zione B tramite la presentazione, pur in altro contesto metrico e agogico, di due
tasselli comparsi in A risponde a una logica dello sviluppo (inteso in senso orga-
nico di crescita progressiva) pur in un contesto modulare: una logica che tenderà a
scomparire nel Messiaen successivo, in cui l’idea di sviluppo  «with its appeal to
forward-moving time»  lascerà sempre più il posto a «decorated repetition and
palindrome».40
Dopo una cadenza dilatata e solare (C) in cui si afferma l’accordo di mi#
maggiore, inizia una lunga, nuova sezione D:41 un tema, che si presenta come

39
Cfr. ad es. VAN DER TOORN 1987, p. 97: «block structure […] two or more blocks of relatively
heterogeneous content are repeatedly and often abruptly juxtaposed». Messiaen attribuiva a Stra-
vinskij il merito inestimabile «d’avoir remis le rythme à l’honneur» (MESSIAEN 1939b, p. 91); nei
suoi ultimi entretiens con Claude Samuel ricordava di aver iniziato ad analizzare il Sacre per sé a
22 anni, prima di divulgare il suo lavoro tra i suoi allievi (SAMUEL 1999, p. 107); il saggio sui per-
sonaggi ritmici è stato pubblicato in MESSIAEN 1994-2002, II, pp. 91-124.
40
GRIFFITHS 1985, p. 62. Messiaen parla di «variation perpetuelle», v. infra § 4.2.
41
Vista la novità del materiale impiegato e la lunghezza di questa sezione ritengo sia riduttivo eti-
chettarla come “coda” (POZZI 2007, p. 58).

286
Capitolo 4

soggetto di una fuga, viene invece ripetuto per sette volte in progressiva ascesa
vero l’acuto (Messiaen vuole probabilmente rappresentare l’ascensione sfruttando
la tradizionale figura del profilo melodico che sale),42 e grazie alle punteggiature
ritmiche che gli vengono sovrapposte sotto forma di moduli ostinati assume il ca-
rattere di una danza vorticosa  si riconosce il debito di Messaien nei confronti del
suo maestro Paul Dukas, a cui questo pezzo è stato infatti riferito.43

Esempio 79 O. Messiaen, L’Ascension, III. «Alléluia sur la trompette, alléluia sur la cymbale», n.
17: tema di D con i moduli ostinati che gli vengono sovrapposti.

42
GRIFFITHS 1985 sottolinea la preminenza dell’immagine dell’ascesa nel primo e nell’ultimo mo-
vimento, con l’effetto dell’esaudimento in chiusura della tensione verso l’alto dell’inizio (p. 57).
Ma che l’immagine sonora dell’ascensione sia la caratteristica dell’intera composizione viene sug-
gerito nel commento conclusivo al brano: «if it is not a symphony, L’Ascension is a suite that finds
in the ascension theme a stimulus towards new and striking musical images» (p. 58).
43
GRIFFITHS 1985 rimarca che questo movimento richiama L’apprenti sorcier «in its relentless
energy and growth» (p. 56); HILL-SIMEONE 2005 si rifanno a questo commento quando definisco-
no il pezzo un «colourful and decidedly Dukas-like orchestral scherzo» (p. 54).

287
F. LAZZARO, Danza, incantesimo e preghiera

I moduli ostinati vengono elencati in ordine di apparizione. L’1 compare contem-


poraneamente, nelle sue due forme, a timpani e viole, violoncelli, contrabbassi. Il 3
è un blocco unico formato da tre elementi: dopo la triplice ripetizione del primo si
passa alla duplice ripetizione del secondo e si chiude con il terzo. Le tre vesti del
modulo ostinato 4, riguardante le percussioni a suono indeterminato, si sostituisco-
no l’una all’altra dopo che sono state ripetute per la durata del tema.
Il primo ingresso dei corni, sulla terza ripetizione del tema (n. 18), è tutt’altro che
ritmicamente definito: note lunghe con attacco in posizione variabile; man mano
che grazie alla sovrapposizione dei moduli ostinati il tema guadagna carattere di
danza, anche i corni ‘si adeguano’ e al n. 20 suonano insieme a violini II e viole
l’ostinato ascendente-discendente identificato con 3 nello schema.
Nella versione sostitutiva per organo di questo movimento l’idea di danza scom-
pare totalmente: secondo Griffiths, Messiaen si allontana dai modelli di Dukas e
Stravinskij e compare il suo gusto per l’irregolarità; e anche se «“Transports de
joie” does not take irregularity very far» sarebbe un gradino verso gli sviluppi
ritmici del Messaien della Nativité du Seigneur: un Messaien che Griffiths ritiene
più autentico, tanto da proporre di considerare la ‘vera’ Ascension nella sua ver-
sione per orchestra ma con il terzo movimento sostitutivo.44 La danza è dunque
inconciliabile con il ‘vero’ Messiaen?

4. LA DANZA DEGLI ANGELI


4.1. «UNE SORTE DE DANSE PARADISIAQUE»: LA NATIVITÉ DU SEIGNEUR
Nella sua recensione al concerto Jeune France comparsa su «Beaux-Arts», André
Cœuroy riportava di aver letto sul programma del concerto che uno dei brani de
La Nativité du Seigneur intendeva descrivere gli angeli in «une sorte de danse pa-
radisiaque».45 Siamo di nuovo dinanzi a un caso in cui il brano non si dichiara e-
splicitamente una danza (il termine non compare nel titolo), ma viene presentato
al pubblico come «una sorta di danza». Il che è degno di nota se non altro perché

44
GRIFFITHS 1985, p. 58.
45
CŒUROY 1936b.

288
Capitolo 4

la storiografia messiaeniana sottolinea come uno dei tratti fondativi dello stile svi-
luppato da Messiaen a partire dalla metà degli anni ’30, e di cui La Nativité è tra i
primi esempi, proprio la ricerca dell’allontanamento dalla logica metrica e dalla
pulsazione, grazie all’uso dei ritmi indù scovati sull’enciclopedia Lavignac.46 Fu
Messiaen stesso a porre l’accento sulla sua ricerca di naturale irregolarità:

une musique rythmique est une musique qui méprise la répétition, la carrure
et les divisions égales, qui s’inspire en somme des mouvements de la nature,
mouvements de durées libres et inégales.47

In che modo la ricerca ritmica di Messiaen ricrea l’impressione di una danza? In


che modo coinvolge le aspettative metriche dell’ascoltatore? Bisogna riconoscere
che Messiaen rispondeva in pieno alle esigenze non-conformiste di rinnovamento
fondato sulla tradizione, o meglio sugli archetipi48 (oltre che a quelle di spirituali-
smo, ovviamente): come ha sintetizzato efficacemente Paul Griffiths, la ricerca
ritmica (valori aggiunti, ritmi non retrogradabili, ecc.) e armonica (i modi a tra-
sposizione limitata) del compositore presenta dei «leanings towards unorthodox
manoeuvres with orthodox units: metrical patterns in the one case, comon chords
in the other». In più, la costruzione a ripetizione più che a sviluppo consequenzia-
le (l’«iterazione modulare variata e ornata» secondo l’efficace formula di Pozzi) è
il mezzo più efficace per giocare con le aspettative:

46
GROSSET 1931, pp. 274-284.
47
SAMUEL 1999, p. 101.
48
Come ha commentato giustamente POZZI 2007, «per una corretta valutazione critica
dell’approccio di Messiaen a questi materiali [i ritmi indù], vanno considerati gli effetti del suo
universalismo religioso. Egli va infatti alla ricerca di archetipi, di fondamenti ritmici naturali smar-
riti dall’uomo occidentale. In questo senso si nota nel compositore un’adesione ad un concetto del
primitivo come momento di purezza originaria che contiene in sé una scintilla divina» (pp. 64-65;
si noti in questo atteggiamento la il cattolicesimo come “cattolico” – nel senso di universale  trat-
teggiato da Maritain; v. supra Capitolo 2, § 1.4 e n. 82). In questo senso «il musicista consider[a] i
deci-tâla indù veri e propri archetipi ritmici naturali» (p. 68) e il suo linguaggio «tend[e] a conver-
gere  attraverso il gusto per l’iterazione modulare variata e ornata, per i ritmi asimmetrici ed i
raggruppamenti neumatici  con alcune caratteristiche delle musiche di tradizione orale» (pp. 73-
74).

289
F. LAZZARO, Danza, incantesimo e preghiera

One keeps hearing the same cadential gestures […] but the approach is al-
ways different; or one hears the same rhythmic pattern set to different notes,
or the same note differently harmonized.49

È importante notare che la tecnica del valore aggiunto ha per Messiaen soprattutto
un ruolo preliminare alla composizione: quando dichiara che «on entendra rare-
ment le rythme simple avant adjonction de la valeur ajoutée» e che al contrario «il
en sera presque toujours immédiatement pourvu»50 sta affermando che il valore
aggiunto non nasce con l’intento di scuotere le aspettative dell’ascoltatore modifi-
cando il ritmo che ci si attende di sentire perché già precedentemente proposto;
nelle intenzioni di Messiaen, cioè, il valore aggiunto non vuol essere il corrispetti-
vo della nota che sporca l’accordo (espediente neoclassico che come tale non con-
divideva):51 come i modi a trasposizione limitata, il valore aggiunto è una tecnica
per creare un linguaggio dotato di un sistema coerente con forti connotati simboli-
ci e numerologici. La forza della tecnica del valore aggiunto rispetto all’uso di
ritmi irrazionali (per cui ha optato Jolivet)52 si manifesta, però, proprio a livello
percettivo: anche se il ritmo semplice non viene proposto prima di venire modifi-

49
GRIFFITHS 1985, p. 61.
50
MESSIAEN 1944, I, p. 8.
51
Per l’attacco di Messiaen contro la «pigrizia» neoclassica cfr. MESSIAEN 1939a; su una lettura in
chiave anticocteauiana degli scritti di Messiaen degli anni ’30 cfr. BROAD 2007. Poetica esplicita
antineoclassica e poetica effettiva si incontrano, come esplicitato da questo passo, a livello di con-
cezione formale: «Je considère que [les schémas formels classiques] sont ‘fini[s]’. De même qu’on
ne peut plus écrire maintenant un opéra mozartien avec airs et récitatifs, il est impossible de faire,
comme Beethoven, un premier mouvement de symphonie avec un thème qui entre en disant: “Je
suis le thème”, e qui, après le développement, revient en affirmant: “C’est encore moi, je suis le
thème, me reconnaissez-vous?” […] Je n’ai pas abandonné le principe éternel du développement
parce que ce n’est pas concevable, ni celui de la variation qui est également éternel. J’ai utilisé des
formes qui, pour ne pas être classique au sens du XVIIIe siècle, le furent néanmoins dans un passé
lointain, comme la triade grecque: strophe, antistrophe, épode» (SAMUEL 1999, p. 195). Più oltre,
Messiaen risponde in questi termini all’intervistatore che gli chiedeva se ci fossero delle opere ne-
oclassiche valide: «Ah non! Le principe en est totalement condamnable; je dirai même que c’est
une absurdité complète» (ivi, p. 332).
52
Messiaen tratterà «le mélange des valeurs rationnelles et irrationnelles» in Jolivet, e in partico-
lare nelle Danses rituelles, in MESSIAEN 1994-2002, II, pp. 412-420. Da notare che negli esempi
tratti dalle Danses rituelles non si occupa mai degli ostinati ma sempre della costruzione ritmica
delle melodie.

290
Capitolo 4

cato, esso è la ‘tradizione’ su cui Messiaen si appoggia e che rinnova.53 In questo


senso, le «orthodox units» di cui parla Griffiths offrono il denominatore comune
tra le aspettative dell’ascoltatore e il rinnovamento di Messiaen: nel sentire ’ ·ooœ
’54 c’è coinvolgimento anche se non è stato preceduto da ’ ·o– ’ , a causa delle abi-
tudini di ascolto:

L’émotion, la sincérité, d’abord. Mais transmises à l’auditeur par des


moyens surs et clairs.55

Messiaen chiamava questa emozione derivante dallo scarto rispetto alla normalità
«le charme étrange des impossibilités»; Messiaen parla di questo «charme» pro-
prio in relazione all’ascolto:

Pensons maintenant à l’auditeur de notre musique modale et rythmique: il


n’aura pas le temps, au concert, de vérifier les non-transpositions et les non-
rétrogradations, et, à ce moment-là, ces questions ne l’intéresseront pas: être
séduit, tel sera son unique désir. Et c’est précisément ce qui se produira: il
subira malgré lui le charme étrange des impossibilités: un certain effet
d’ubiquité tonale dans la non-transposition, une certaine unité de mouvement
[…] dans la non-rétrogradation56

La seduzione provocata nell’ascoltatore «malgré lui» (Messiaen, come Jolivet, lo


prende «aux tripes»), ha un fine religioso: lo porterà «à cette sorte ‘d’arc-en-ciel
théologique’ qu’essaie d’être le langage musical dont nous cherchons édification
et théorie».57

53
Messiaen fonda la tecnica del valore aggiunto su una sua teoria della percezione temporale che
definisce tanto più autenticamente ritmica quanto più irregolare e, per questo, più naturale: «Plus
de rythmes monotones par leur carrure meme; nous voulons librement respirer!» (SAMUEL 1999, p.
51; v. infra § 4.2 e n. 66).
54
Si tratta dell’es. 7 proposto da MESSIAEN 1944.
55
Note de l’auteur a La Nativité du Seigneur, Paris, Leduc, 1936 (lastra A.L. 19.271).
56
MESSIAEN 1944, I, p. 13.
57
Ibidem.

291
F. LAZZARO, Danza, incantesimo e preghiera

«Les anges», sesto movimento de La Nativité du Seigneur è basato


sull’iterazione a livello sia microscopico sia macroscopico di moduli la cui natura
è irregolare, cioè non iterativa (o contro-iterativa): questa disparità delle cellule
ritmiche ripetute, grazie al tempo rapido, può essere facilmente sentita come una
danza  «irregular rhythmic grouping in a quick tempo may boost excitement»:58
non si dimentichi l’importanza fisica, l’«embodiment», della percezione di dan-
za.59 Il brano è bipartito: i moduli ritmici principali della prima sezione sono tutti
dispari (3, 7, 9, 11 semicrome), quello della seconda è pari ma asimmetrico (10
semicrome divise in 4+6). Ognuno di questi moduli viene ripetuto almeno due
volte, il che lo rende percepibile come dotato di una propria identità; l’incipit del
brano è un esempio significativo  e importante, poiché grazie alla sua posizione
detta le regole dell’ascolto di quanto segue: e creare aspettative di iterazione è
qualcosa di molto simile a chiedere si essere ascoltato come una danza:

Esempio 80 O. Messiaen, La Nativité du Seigneur, VI. «Les anges», batt. 1-3.

POZZI 2007 riconosce tra i ritmi a base di questo brano il deci-tâla n. 72 (vasanta: ¥
¥ ¥ ’ ’ ’) e l’epitrito IV della metrica classica (   B).60 Messiaen utilizzerà questo
incipit all’inizio della Technique de mon langage musical per illustrare il funzio-
namento della «valeur ajoutée»: in particolare spiegherà il ritmo della prima battuta
come formato dal numero primo 5 più valore aggiunto (¥ ¥ ¥ ¥ ¥ ¦ );61 ciò non toglie
che più oltre nel brano l’epitrito IV avrà poi vita autonoma nelle sottosezioni d (v.
qui sotto). Se non ci si ferma, come spesso avviene, a riportare la spiegazione che il

58
GRIFFITHS 1985, p. 60. POPLE 1995 (2008) accenna alla presenza in Messiaen della «vitalità di
danze estatiche» (p. 25).
59
V. supra Capitolo 2, § 4.
60
POZZI 2007, p. 76.
61
MESSIAEN 1944, I, p. 8 e II, es. 10.

292
Capitolo 4

compositore ha dato della sua tecnica compositiva ma si analizza la musica come


un testo che può mostrare le sue regole, si può leggere il ritmo del primo modulo
non come cinque crome con valore aggiunto, ma come un vasanta con semicroma
aggiunta a ciascuno dei suoi membri: —q qœ œ ·oo– œ (con uno spostamento percetti-
vo del beat da croma a semicroma); il che ha anche implicazioni numerologiche:
La Nativité è composta da nove brani «pour honorer la maternité de la Sainte Vièr-
ge», e il vasanta è un ritmo a nove impulsi; inoltre, le prime tre battute hanno
un’evidente continuità a livello della mano destra e secondo questa interpretazione
sarebbero unite anche dal ritmo base della sinistra.
La sintassi della prima sezione (Vif et joyeux) è articolata secondo una strut-
tura a testa-desinenza (nello schema seguente ogni riga è una sottosezione, che
combacia con la ripresa della testa; ogni casella corrisponde a una battuta: le bat-
tute non sono isocrone, ma hanno una funzione di fraseggio e spesso delimitano i
moduli):

Testa Desinenza

a b
a b c d
a c
a c d c

La testa combacia con le prime tre battute del brano riportate nell’Esempio 80. Il
materiale delle desinenze si basa sui seguenti moduli ritmici:

b —q q qœ —q qœ
c ÈÉÉÍ e —o–
d ·oooœ

Una cadenza funge da spartiacque tra le due sezioni. La seconda (Plus mo-
déré) ha una struttura molto più lineare della prima, basata sull’iterazione del mo-
dulo 4+6 e del suo contrario 6+4 in tre cicli di 4, 5 e 3 battute (più 5 di cadenza)
che iniziano con queste due battute (l’idea della forma testa-desinenza, pertanto,
permane):

293
F. LAZZARO, Danza, incantesimo e preghiera

Esempio 81 O. Messiaen, La Nativité du Seigneur, VI. «Les anges», batt. 49-50 (= 53-54, 58-59).

Il fatto che il ritmo della seconda battuta sia stato concepito come 6+4 e non 4+6 è
chiaramente indicato dalla posizione in cui Messiaen sceglie di porre la stanghetta.

4.2. CHANTS DE TERRE ET DE CIEL


Il ricorrere di cellule ritmiche ben connotate, reiterate in successione e a distanza
(a strutturare la percezione della micro- e della macroforma) è una formula riuti-
lizzata da Messiaen in un’altra (non dichiarata) danza di angeli, il secondo brano
degli Chants de Terre et de Ciel, «Antienne du silence (pour le jour des Anges
gardiens)». Proprio come in «Les anges», il brano è una successione di moduli
ritmici semplici in combinazione irregolare (alla mano sinistra), in questo caso
scanditi da un incessante perpetuum mobile di semicrome (alla destra, cui è affi-
dato anche un controcanto).62 I moduli hanno durate tra i 3 e i 7 sedicesimi:

3: ·oœ
4: ·o–
5: ·ooœ e ·oËo–
6: ·oo–
7: ·ooËo– e ·oËoo–

Uno schema della loro successione mette in evidenza l’abbondanza di forme pa-
lindrome (evidenziate dai riquadri) che ne regolano la distribuzione:

62
Il controcanto, la parte più in rilievo (p contro pp), occupa la sezione centrale della tessitura: un
altro elemento di convergenza con il modello polifonico medievale di questa scrittura evidenziato
da POZZI 2007, p. 90.

294
Capitolo 4

3
4
5
6
7

3
4
5
6
7

Oltre ai numerosi palindromi si evidenziano altre due distribuzioni regolari dei


moduli. La prima, cerchiata nell’esempio, è una semplice ripetizione (4-5-4-5); la
seconda, nel parallelogramma, si può leggere: 7-5-4/6-5-4/3-5-4. La coda del brano
è una successione di quartine di sedicesimi, e pertanto è stata resa nello schema
come una serie di moduli 4. I triangoli mostrano che ogni frase-battuta (tranne
l’ultima: triangolo tratteggiato) si conclude con la medesima successione di moduli
(v. infra il commento all’Esempio 82).
Tuttavia, la natura di perpetuum mobile del brano ostacola la percezione dei sin-
goli moduli, a meno che l’esecutore non scelga di articolarli distintamente (con-
travvenendo all’indicazione «très lié»); il disegno melodico, infatti, non sempre
segue la scansione con cui è fissato graficamente:

Esempio 82 O. Messiaen, Chants de Terre et de Ciel, II. «Antienne du silence», batt. 1.

Alla mano sinistra sono affidati i moduli ritmici, ma alla loro separazione grafica
corrisponde una struttura musicale? Le cerchiature evidenziano la scala cromatica

295
F. LAZZARO, Danza, incantesimo e preghiera

discendente che soggiace alla linea della prima battuta: la divisione in moduli sa-
rebbe giustificata (e percepibile) se ognuno iniziasse su uno dei gradi della scala
cromatica, ma perché fosse effettivamente così i moduli centrali dovrebbero essere
raggruppati come suggerito dalla tratteggiatura (la successione di questa prima bat-
tuta non sarebbe pertanto 6-5-4-4-5-4-6, ma 6-5-8-9-6); inoltre, l’ultimo modulo
termina su un ulteriore grado della scala (che dovrebbe quindi suonare come la
prima nota di un ulteriore modulo). Si aggiunga che la differente morfologia che
presentano alcuni moduli isocroni nel corso del brano (le due forme dei moduli da
5 e da 7) non contribuisce certo a semplificarne l’individuazione.
La divisione in moduli sembra piuttosto trovare la sua giustificazione nella melodia
del controcanto, di cui suggerisce il fraseggio;63 ciò è particolarmente importante se
si pensa che ogni frase del controcanto si conclude con quella che BRUHN 2008
chiama una «rhythmic cadence» identica (’ ’ , che comporta i moduli 4-6), dopo la
quale Messiaen pone la stanghetta di battuta.64 Bruhn, attenta alla linea del contro-
canto più che a quella inferiore, non evidenzia che in realtà la «rhythmic cadence»
inizia un po’ prima, con un modulo 5 (tranne nell’ultima battuta prima della coda,
dove c’è un 6): Messiaen costruisce quindi una successione di frasi di lunghezza e
ritmo variabile che terminano puntualmente con il ritmo 5-4-6 (v. il rettangolo
nell’Esempio 82 e i triangoli nello schema della successione dei moduli supra).
Ciò che l’ascoltatore percepisce sono le ‘azzoppature’ date a intermittenza irrego-
lare dall’inserimento di una semicroma lungo il percorso dello walking bass di
crome. Nello schema seguente ogni pallino è un ottavo e ogni stanghetta obliqua il
sedicesimo che ne interrompe la successione  assai irregolarmente, come si può
vedere:

••••/•••••••/••••••••/••••/•••••/••••••••/•••••••/•••/••••••/••••/•/•••••••••/••/••••/•••••••••/
••••/••••/•/•••••••/••••••/•/••••••••••/••/•••••••/••/••••/•/••••••••••• + coda

Si noti che i moduli ritmici dispari spesso contengono al loro interno il sedicesimo:
in quei casi, l’interruzione percettiva data dalla sua presenza è in contrasto con la

63
Per questo non ritengo che il termine “eterofonia” utilizzato da GRIFFITHS 1985 (p. 87) per de-
scrivere questa scrittura sia calzante.
64
BRUHN 2008, pp. 102-103.

296
Capitolo 4

continuità grafica del modulo. Lo schema che segue integra il precedente indicando
i confini dei moduli (stanghetta verticale):

•••|•/•|••|••|••/|••|•••|••|•/•|••|•/•|•••|•/•|••|•••|••/•|••|••|••/•|••/|••|•••|•/•|••|•/|•/•|••|•••|••|•/•|
•/|•••|•/•|••|•••|•••|/•|••|•/•|••|•/|•/•|••|•••|•/••|•••|•/|•/•|••|•••|•••|•/|••/|••|••|••|•/•|•/|••|••/|•/•|
••|•••|••|••• + coda

Come visualizza lo schema seguente, l’intervallo con cui il sedicesimo interrompe


le serie di ottavi è del tutto irregolare, e pertanto non crea alcuna prevedibilità
all’ascolto:










10 ¥
11 ¥

I casi di rallentamento (ovale), di accelerazione (ovale tratteggiato) e ripetizione


regolare (rettangolo) sono pochi e isolati; nel contesto di irregolarità svaniscono.

Sia nella Nativité du Seigneur sia negli Chants de Terre et de Ciel gli angeli di
Messiaen ‘danzano’ su quei ritmi ametrici che Messiaen considerava il vero rit-
mo:

Une musique rythmique est une musique qui méprise la répétition, la carrure
et les divisions égales, qui s’inspire en somme des mouvements de la nature,
mouvements de durées libres et inégales.65

Si potrebbe credere che questa ricerca della non prevedibilità fosse un vezzo com-
positivo, un elemento di ricerca che non tiene in considerazione la dimensione

65
SAMUEL 1999, p. 102. A proposito dei modelli naturali, Messiaen riteneva «la vraie périodicité»
quella delle onde del mare, «le contraire d’une répétition pure et simple» (MESSIAEN 1994-2002, I,
p. 42); una trattazione dei differenti «rythmes extra-musicaux» è ivi, pp. 52-68.

297
F. LAZZARO, Danza, incantesimo e preghiera

dell’ascolto; ma lo scopo di Messiaen è invece proprio coinvolgere l’ascoltatore


più di quanto faccia ciò che normalmente si intende con “musica ritmica”, basata
cioè su una chiara percepibilità dell’impulso, la cui

succession ininterrompue de durées égales […] plong[e] l’auditeur dans un


état de satisfaction béate; rien ne vient contrecarrer son pouls, sa respiration
et les battements de son cœur, il est donc très tranquille, il ne reçoit aucun
choc […].66

Messiaen vuole proprio creare quello choc, vuole «contrecarrer»: è esattamente


ciò che fanno le «valeurs ajoutées», che nel caso siano utilizzate come moduli
ritmici combinati nei modi appena esaminati negli esempi creano quel

mouvement répété avec des variantes toujours nouvelles; c’est à dire […]
l’infini de la périodicité irrégulière. Non pas la répétition du même, non pas
l’alternance du même et de l’autre: mais la succession de mêmes qui sont
toujours autres, et d’autres qui ont toujours quelques parentés avec le même:
c’est la variation perpétuelle.67

L’attenzione al momento dell’ascolto è forte: la «variation perpétuelle» fa sentire


“altri” gli “stessi” che si ripetono, ma al contempo ne garantisce il riconoscimento
come sempre “gli stessi”: l’irregolarità, come nelle Danses rituelles, non vuole
togliere appigli, ma al contrario coinvolgere l’ascoltatore nei suoi meccanismi; in
un certo senso la tecnica della «variation perpétuelle», applicata agli ostinati o ai
moduli ritmici di base di un brano, porta all’interno del brano stesso il concetto di
rinnovamento.

66
Ibidem. Si noti che in MESSIAEN 1994-2002, I, p. 42, il compositore cita a proposito di questa
distinzione il saggio di Matila Ghyka (1938) tanto amato anche da Jolivet (v. supra Capitolo 3, §
2.1 e n. 66; cfr. anche ivi, p. 44). CONRAD 1994 fa notare che «the notion that metrical accentua-
tion does not have to do with rhythm is a common French view», e si ritrova, prima che in Mes-
siaen, in Varèse e Jolivet (p. 327).
67
MESSIAEN 1994-2002, I, p. 39, corsivo dell’autore.

298
Capitolo 4

4.3. LE PARADIS PERDU DI IGOR MARKEVITCH


Forse si ricorderà che Marrou era preoccupato per «l’eccesso di volontaria spiri-
tualità» di alcuni compositori: Igor Markevitch (caso «patologico»), «quel bravo
Migot» e Messiaen («caro ragazzo»).68 Nel 1936  che Cœuroy prevedeva sarebbe
stato «une année-temoin dans l’histoire de la musique» 69 le recensioni sul nume-
ro di luglio-agosto della «Revue musicale» erano piuttosto significative: il Con-
certo spirituale di Lourié, Le paradis perdu di Markevitch, il primo concerto Jeu-
ne France; l’aggettivo «spirituel» compariva in continuazione.70 Markevitch, gio-
vane russo emigrato nella svizzera francese, aveva già illustrato ai lettori della ri-
vista, sul numero di aprile, le linee guida del suo oratorio, tutte incentrate sulla
dimensione “umana” dell’arte: «en moi l’homme travaillait en premier, le musi-
cien n’étant qu’un réalisateur en second».71 In quest’ottica, il compositore non de-
ve cercare né l’ammirazione né lo stupore presso il suo pubblico, bensì coinvol-
gerlo nei suoi contenuti spirituali; per farlo, l’opera deve rinnovare il suo vocabo-
lario, ma senza perdere contatto (l’«intimité») con l’ascoltatore:

pour parvenir au contenu spirituel de l’œuvre [nouvelle], l’auditeur est en


quelque sorte obligé de pénétrer le langage que le musicien doit inventer
[…] comme un poète qui devrait forger des mots nouveaux chaque fois qu’il
aurait à dire des choses nouvelles. Il faut […] chercher la cause de ce
‘manque d’intimité’ que je remarque entre le public et la musique dans
l’attitude des compositeurs qui n’ont pas cultivé avec le public un contact
nécessaire que dans la prétendue mauvaise volonté de l’auditeur, dont les
musiciens se servent trop souvent pour expliquer leur insuccès.72

Sono posizioni molto vicine a quelle promosse dalla Jeune France: Markevitch re-
sterà una figura autonoma (e anzi alcune sue composizioni di quegli anni furono

68
V. supra Capitolo 1, § 3.
69
CŒUROY 1936b.
70
Sezione «Les concerts», «Revue musicale», XVII/6, n. 167 (luglio-agosto 1936), pp. 45-50.
71
MARKEVITCH 1936, p. 274.
72
Dichiarazione di Markevitch citata in [ANONIMO] 1936, p. 147.

299
F. LAZZARO, Danza, incantesimo e preghiera

commissionate ed eseguite alla società di concerti ‘nemica’, la Sérénade),73 ma la


sua poetica si inserisce nel clima di «nouvel humanisme» e rinnovamento spiritua-
le  categorie entro le quali veniva recepito:

Tout ceux qui ont assisté au concert du 18 juin [1936: Le paradis perdu] ont
compris que l’extrême nouveauté de l’œuvre ne consistait pas dans des trou-
vailles d’ordre musical, dans des créations de rythmes, de timbres ou de
lignes mélodiques mais bien dans la position spirituelle du musicien.74

Si aggiunga che André Cœuroy concludeva il suo già citato articolo-recensione al


primo concerto Jeune France con un gemellaggio esplicito:

Bientôt nous entendrons le Paradis perdu de Markévitch, où la musique, elle


aussi, ne veut pas se séparer de l’homme. La Jeune France n’est pas un mou-
vement isolé ou gratuit.75

Il motivo per cui Markevitch entra ora nel nostro discorso è “una sorta di danza
degli angeli”: questa volta la definizione è mia, dal momento che ha molto in co-
mune con quelle di Messiaen. Due precisazioni sono necessarie: questa sezione di
Le paradis perdu (da 3 prima del n. 117 al n. 122) non è in alcun modo designata
come “danza”; inoltre, gli angeli sono piuttosto spiriti o voci interiori («Chœurs
d’esprits et de voix intérieures» è quanto la partitura dichiara in organico, ma sen-
za specificare di volta in volta):76 nella sua spiegazione dell’opera, il compositore
parla di «Forces vitales et invisibles, manœuvrant la ‘chose humaine’» e di
«chœur de voix intérieurs qui nous poussent à agir, dont nous ne savons, ni d’où
elles viennent, ni où elles nous entraînent, et que, jusqu’à un certain point, nous

73
Si tratta della Partita (prima esecuzione 1932) e di Prélude et Hymnes (1933); lo stesso Paradis
perdu è dedicato alla viscontessa de Noailles ([ANONIMO] 1936a, p. 147).
74
KOCHNITZKY 1936, p. 49. «La quête essentielle [de Markevitch] est celle d’un nouvel humani-
sme» scriverà senza mezzi termini Jean-Claude Marcadé nella sua introduzione a MARKEVITCH
1984 (p. 18).
75
CŒUROY 1936b.
76
Paritura Boosey & Hawkes, 1978 (lastra B. & H. 20.716).

300
Capitolo 4

pouvons suivre au gré de notre libre arbitre»77  ma resta il fatto che il coro inizia-
le descrive l’uomo come «pareil a Lui, | Pareil à nous, | Mais sans nos ailes», par-
ticolare che ingenera nell’ascoltatore l’idea di un coro di angeli. Tutta la partitura
ha un vigore ritmico molto pronunciato, costruito secondo due procedimenti: la
sovrapposizione di metri binari e ternari reiterati (è quanto avviene nella lunga se-
zione iniziale, nn. 0-11, poi ripresa da 1 dopo n. 100 a 3 dopo n. 104), oppure la
scelta di un metro costante con un modulo ritmico ben definito che subisce micro-
variazioni non destabilizzanti. Nel brano in oggetto (il primo coro della seconda
parte), invece, Markevitch cambia metro quasi a ogni battuta:

Esempio 83 I. Markevitch, Le paradis perdu, da 3 prima del n. 117 al n. 122: “danza degli angeli”.

77
MARKEVITCH 1936, p. 275.

301
F. LAZZARO, Danza, incantesimo e preghiera

La divisione in battute non aiuta a cogliere la struttura a impulsi irregolari del bra-
no, che si regolano sulla sintassi del testo cantato (con alcuni casi particolari, co-
me mostra lo schema qui sotto).
Si può considerare il brano come una declamazione intonata del testo sulla figura
¥ Á ; questa figura subisce due tipi di alterazioni dovute a quelle che si potrebbero
definire due formule ritmiche cadenzali: la prima, a carattere spondaico (  , in
B
grigio scuro), dilata la pulsazione alla minima, mentre l’altra, un cretico (  , in
grigio chiaro), grazie alla successione di due crome (colonna sovrastata
dall’archetto) la ‘azzoppa’; la distanza sempre diversa di un prolungamento o di un
azzoppamento dal successivo provoca il dinamismo irregolare che si ritrova nelle
‘danze celesti’ di Messiaen. Si noti che non sempre il modulo che si viene a creare
(formato da pulsazione base, cadenza, eventuale desinenza) coincide con il verso
poetico (v. le stanghette verticali nel testo) o comunque con un’unità verbale: se il
primo verso coincide con il primo modulo, il successivo «du monde» si spezza tra
una cadenza cretica e la ripresa della figura base che porterà a un’ulteriore cadenza,

302
Capitolo 4

che coinciderà, questa volta, con la fine del verso e della frase. L’ottavo modulo è
particolare: la cadenza spondaica ternaria diviene pulsazione ternaria sino a fine
verso. I tre moduli raggruppati dalla graffa rivestono la ripetizione della stessa me-
lodia in una sorta di ABA’ ritmico.

¥ Á ¥ Á ¥ Á ¥ ¥ Á
Sau- vé du Ma- lin |
¥ Á ¥ Á ‘ ’ ’ ¥ ¥ Á
est le no- ble a- de- pte du
¥ Á ¥ Á ’ ¥ ¥ Á „
mon- de des E- sprits |
¥ Á ¥ Á ¥ Á ¥ Á ¥ ¥ Á
ce- lui qui s’ef- for- ce
¥ Á ¥ Á ¥ Á ¥ Á ¥ Á ¥ Á ¥ ‘
tou- jours | et cher- che dans la pei-
¥ Á ¥ Á ¥ ¥ Á
ne | nous pou- vons
¥ Á ¥ Á ’ Á
le sau- ver |
¥ Á ¥ Á ¥ Á ¥ Á ’ ¥ Á Á ¥ Á Á ¥ Á Á
Et si sur tout l’a- mour d’en haut |
¥ Á ¥ ¥ Á
in- ter- cède
¥ Á ¥ Á ¥ Á ’ Á „
en sa fa- veur |
¥ Á ¥ Á ¥ Á ’ ¥ ’ ¥ Á „
la trou- pe bien- heu- reu- se |
¥ Á ¥ Á Á ¥ ¥ Á ¥ Á ¥ Á „
vient au de- vant de lui |
¥ Á ¥ Á ¥ Á ¥ Á Á ¥ ¥ Á „
et fê- te de tout cœur |
¥ Á ¥ Á ¥ Á ‘ ¥ Á
sa bien- ve- nu- e|

Come in Messiaen, siamo di fronte alla combinazione in successione di mo-


duli composti da ritmi semplici che grazie al loro allungamento e al loro accor-
ciamento infondono irregolarità metrica al brano. L’esempio di Markevitch non fa
accenno esplicito, lo si è detto, né alla danza né agli angeli, quindi sarebbe forzato
parlare di un nuovo topos della danza celeste comune a più compositori; tuttavia
ho ritenuto interessante segnalare se non altro un’affinità di mezzi espressivi tra
musicisti dalle poetiche per molti aspetti convergenti. Per Messiaen l’aritmia e-
sprimeva il vero ritmo, la perfezione, e quindi si confaceva agli angeli: se ne ha

303
F. LAZZARO, Danza, incantesimo e preghiera

prova anche a contrario, laddove a danzare sono nientemeno che i suoi peccati,
nel penultimo degli Chants de Terre et de Ciel.

5. TITOLI DI DANZA
5.1. LA DANZA DEI PECCATI
L’invito a sentirli come danze i brani dall’Ascension e dalla Nativité du Seigneur
analizzati nei paragrafi precedenti («una sorta di danza davanti all’Arca», «una
sorta di danza paradisiaca») proveniva da testi di presentazione e non dai titoli o
da altri elementi paratestuali compresenti al testo musicale. Nel penultimo degli
Chants de Terre et de Ciel  «Minuit pile et face (pour la Mort)»  invece, è il te-
sto cantato a indirizzare l’ascolto: nella seconda sezione (separata dalla prima da
una lunga pausa), dopo due battute del pianoforte la voce declama «Ils dansent», e
ridefinisce in questo modo quanto si è appena sentito, indirizzando al contempo
l’ascolto delle battute successive, tutte basate sulla medesima figura ·o– „ ·oo– ’
alternata alla sua variante ·o– ·o– ·oo– ’:

Esempio 84 O. Messiaen, Chants de Terre et de Ciel, V. «Minuit pile et face», batt. 14-21.

304
Capitolo 4

Probabilmente, l’impiego della ripetizione del pattern  variata sì nelle al-


tezze e nella texture, ma non nella sua regolarità ritmica , procedimento che
Messiaen condannava, si spiega con il fatto che siano i peccati a danzare. Solo
dopo sei ripetizioni del pattern (dodici, se si considera che la coppia di battute che
lo costituiscono presenta solo una variante che non intacca il metro del modulo
base) Messiaen inizia a variarlo (in concomitanza con la climax agogica e dinami-
ca), per poi farlo ricomparire al culmine del crescendo:

Esempio 85 O. Messiaen, Chants de Terre et de Ciel, V. «Minuit pile et face», batt. 14-34: sche-
ma ritmico.

Le tecniche con cui il modulo cambia sono l’aggiunta e la sottrazione di elementi


che lo compongono, come evidenzia l’incolonnamento scelto nello schema. Se il
modulo base era costituito dall’accostamento di due varianti della stessa figura, i
moduli variati si dispongono in coppie di elementi identici (nello schema la ripeti-
zione è indicata da “bis”); una sola volta il modulo non è in coppia, con un effetto
cadenzale; infatti, appena dopo ricompare il modulo base, scritto in modo che le

305
F. LAZZARO, Danza, incantesimo e preghiera

sue due varianti si compenetrino (una alla mano destra, l’altra alla sinistra). Un
modulo a sé e che ha la ripetizione come regola costitutiva interna decreta la con-
clusione della danza.
Danza dei peccati, una sorta di danza macabra («danza ritmica diabolica»
per Jane Manning).78 Le campane suonano i loro rintocchi di mezzanotte, e alla
fine del brano Messiaen torna alla regolarità metrica, che questa volta ha un fine
ben preciso: cullarlo. «Lent et berceur», la ninna-nanna di Messiaen è un cullante
@ sul quale la voce rievoca l’innocenza dell’infanzia: «Oh! m’endormir petit! sous
l’air trop large, dans un lit bleu, la main sous l’oreille, avec une toute petite che-
mise». Il compositore utilizza il ritmo regolare affidandogli esattamente l’effetto
che gli contestava: «plong[er] l’auditeur dans un état de satisfaction béate».

5.2. LA DANZA DEL PICCOLO PASCAL


Il primo titolo di Messiaen contenente la parola “danza” è associato proprio
all’infanzia: la «Danse du bébé-Pilule», per il suo «petit Pascal» (nato il 14 luglio
1937), terzo degli Chants de Terre et de Ciel. Come si può immaginare, non è una
danza in senso tradizionale; anzi, come Messiaen stesso ha indicato della Techni-
que de mon langage musical e tutti i commentatori riportano, si tratta di una can-
zoncina popolareggiante, con tanto di refrain cantilenante nonsense, «Malonlan-
laine, ma»  «on peut créer aussi de fausses chansons populaires, sans oublier le
petit refrain en onomatopées».79
La «Danse du bébé-Pilule» è una sintesi di canzoncine infantili; contiene in
sé molti degli elementi caratteristici del genere: onomatopea-nonsense, descrittivi-
smo, animali, rime senza connessione logica. Messiaen condensa nei due moduli
che aprono il brano e che costituiscono il materiale gestuale più ricorrente le due
possibilità metriche di un’allegra danza per bambini: il metro binario e quello ter-
nario (ovviamente ‘azzoppati’):

78
MANNING 1995 (2008), p. 121.
79
MESSIAEN 1944, I, p. 25 e II, es. 101.

306
Capitolo 4

Esempio 86 O. Messiaen, Chants de terre et de Ciel, III. «Danse du bébé-Pilule», batt. 1-2 (ridu-
zione).

Si osservi il gesto del pianoforte: nel primo modulo punteggia l’azzoppatura altri-
menti indistinguibile nella parte vocale; nel secondo si comporta come un basso si
valzer (‘zum-paa’) accentuando la percezione di ternarietà  e di danza.
Come si è visto nel caso della danza dei peccati, il testo cantato indirizza i
meccanismi d’ascolto: «Pilule, viens, dansons» spinge l’ascoltatore a immaginare
il bambino che balla su questa musica, quindi a sentirla come una danza, nono-
stante i ‘trucchi’ ritmici con cui Messiaen evita di scrivere una danza tradizionale.
Uno dei modi possibili di immaginare questa scena, secondo quanto suggerisce la
scrittura musicale, è che il bambino ascolti la proposta dell’adulto (in metro bina-
rio) e risponda muovendosi-danzando sul refrain «Malonlanlaine, ma» (nel saltel-
lante metro ternario). Questo meccanismo funziona per poco, e poi, come preve-
dibile, Messiaen spezza la regolarità:

Modulo binario (¥ _ ·o– ·o– _ ·oœ ’ ) Modulo ternario (·ooœ ·oo– _ ’ )

Puilule, viens, dansons. Malonlanlaine, ma.


Ficelles du soleil. Malonlanlaine, ma.
C’est l’alphabet du rire aux doigts de ta maman.
Son oui perpétuel *était un lac tranquille.
*Malonlanlaine, ma-
-a.
*était un lac tranquille.
*Malonlanlaine, ma-
-a,
ma-
-a,

* = variato: ¥ª¥ ’ ¥ _ ·oœ ’ * = variato: ·ooœ ‘B·oo– _ ’

307
F. LAZZARO, Danza, incantesimo e preghiera

La tabella schematizza la distribuzione del testo cantato sui moduli gestuali; si leg-
ge da sinistra a destra, seguendo le righe. Dopo che l’alternanza proposta-
binario/refrain-ternario è stata ripetuta due volte, la terza vede sul gesto ternario il
completamento della frase invece che il refrain; lo stesso avviene appena dopo,
dove inoltre il gesto ternario si interrompe a metà (modulo variato) per poi conclu-
dere. Questa modifica del gesto e pertanto delle attese porta con sé un cambiamen-
to: invece di ricominciare con il ciclo di proposte/risposte, la canzoncina riprende
con il refrain che, per aumentazione del suo primo pattern ritmico (·ooœ  ¥ª¥ ’ ¥
[= ’ ’ ¥ ]), si inquadra nel ritmo binario che era della proposta (con il cui secondo
pattern, ·oœ ’ , infatti, conclude). Ma non è una semplice inversione delle parti: il
refrain si prolunga in quello che era il suo gesto, che viene anzi reiterato (v. nella
tabella il «ma» prolungato), con una conseguente affermazione del modulo più
‘danzante’.

Una canzoncina ‘originale’ non avrebbe probabilmente rotto la simmetria propo-


sta/risposta; in ogni caso, sarebbe andata avanti secondo uno schema, magari ripe-
tendolo. Invece, arrivato a questo punto, Messiaen è come se incominciasse
un’altra canzoncina, basata sul descrittivismo: «douceur des escaliers» (con scale
ascendenti e discendenti), «tous les oiseaux légers» (e gesti ‘svolazzanti’), ripeti-
zione di una parola («bleus») associata a quella di un gesto. Quando, dopo un ra-
pido glissando del pianoforte e un melisma sulla sillaba «io» il refrain dell’inizio
ritorna, è trasformato sia nella sua forma verbale sia in quella musicale: «malon-
lanlaine» diventa «malonlaine», e insiste su un gesto melodico cui viene modifica-
ta a ogni ripetizione la veste ritmica (Esempio 87 qui a lato).
Il primo «malonlaine» (a) subisce una trasformazione profonda, dopo la quale sarà
oggetto solo di due valori aggiunti (indicati dalle frecce); l’intero gruppo b (com-
posto da due «malonlaine» differenziati dai valori aggiunti e un lungo «ma») viene
ripetuto (b’) con la sola variante della nota conclusiva.

308
Capitolo 4

Esempio 87 O. Messiaen, Chants de terre et de Ciel, III. «Danse du bébé-Pilule», batt. 47-57 (ri-
duzione).

Che fine ha fatto la «danse» del bébé-Pilule? La canzoncina scritta da Mes-


siaen si rivela una ‘supercanzoncina’ che ne contiene tante: quella danzante
dell’inizio, quella descrittiva della seconda sezione, quella libera-improvvisata del
bambino che canticchia su una sillaba o una parola senza senso. Il brano prosegue
con una sezione che richiama la seconda  in cui si inserisce un lunga pittura so-
nora della parola «chanter» (alla fine del pezzo si trova invece una risata)  e una
ripresa della ‘danza’ iniziale (la forma complessiva è pertanto ad arco: A-
BCBA).80
I sei Chants de Terre et de Ciel sono raggruppati in tre coppie: rispettiva-
mente due per la moglie di Messiaen, due per il figlio, due per se stesso. L’altro
brano dedicato al piccolo Pascal, «Arc-en-ciel d’innocence (pour mon petit Pa-
scal)», è di carattere completamente diverso dal primo: una contemplazione amo-
revole del figliolo da parte del padre. Ci sono però alcune battute in cui torna lo

80
«While not a palindrome in the succession of its smaller entities», come precisa BRUHN 2008, p.
104, la quale ritiene che questo procedimento di ricapitolazione variata sia, accanto alle «multiple
local repetitions», veicolo di quella «easy recognition that is charachteristic for children’s songs».

309
F. LAZZARO, Danza, incantesimo e preghiera

spirito giocoso della «Danse du bébé-Pilule», e torna sotto forma di una canzonci-
na, per mezzo di un improvviso utilizzo della regolarità e del descrittivismo  la
descrizione musicale di un movimento: il bimbo che salta.

Esempio 88 O. Messiaen, Chants de Terre et de Ciel, IV. «Arc-en-ciel d’innocence», batt. 28-30 e
38-39.

Se nei casi di descrittivismo come quello appena proposto il testo cantato


semantizza il gesto musicale che vi si associa, il caso della prima sezione della
«Danse du bébé-Pilule» è un po’ diverso: Messiaen non mima semplicemente la
danza  non dice «Pilule danza» e aggiunge un gesto inequivocabile , ma indiriz-
za l’ascoltatore a percepire il brano nel suo complesso come una canzoncina da

310
Capitolo 4

ballare; vuole che la si percepisca come una danza, non che vi si riconosca
l’imitazione di una danza.

5.3. DANZA APOCALITTICA


Non ci sono danze nell’Apocalisse. La «Danse de la fureur, pour les sept trom-
pettes» del Quatuor pour la fin du temps (1941) è un’idea di Messiaen.81 Intitolare
«danse» questo brano ha dichiarate connessioni con la sua natura ritmica:
«rythmiquement, le morceau le plus caractéristique de la série», lo presenta il
compositore nella prefazione alla partitura.82 Idea di danza come dominio del rit-
mo, scrivere una “danza” per approfondire questo parametro; tant’è che Messiaen
sceglie di far suonare i quattro strumenti all’unisono.
La forma e le sperimentazioni ritmiche del brano sono state illustrate da
molti;83 ciò che non è stato messo in rilievo è l’idea cinetica base di questa «dan-
se», costituita da una serie di brevi rincorse verso un appoggio, un procedimento
che si può illustrare con la prima esposizione del tema:

rincorsa appoggio
·o– ·oËo– ·o– ’ 6/8 e 1/16 1/4
·o– —ooÊqœ ‘ 4/8 e 1/16 2/4
·o– ·oËo– ·ooœ ’ 7/8 1/4
·ooÊqœ ·o– ‘ 5/8 e 1/16 2/4
—qËo– —qËo– ·oœ ·oo– ’ 8/8 e 1/16 1/4
·oÊqËo– ·o– —qËo– ·oo– ·oËoo– ·o– ‘ 16/8 e 1/16 2/4

81
POPLE 1998, pp. 64-65, intravede invece un parallelo nella struttura del brano con il versetto 8,
13: «Vidi poi e udii un’aquila che volava nell’alto del cielo e gridava a gran voce: “Guai, guai,
guai agli abitanti della terra al suono degli ultimi squilli di tromba che i tre angeli stanno per suo-
nare!”». Il pp alla lettera F sarebbe un possibile riferimento a questo passaggio dopo gli squilli del-
le prime quattro trombe delle sezioni A-E (in cui il tema viene esposto per quattro volte). GRIF-
FITHS 1985, p. 99, invece, era «tentato» di vedere le sette trombe proprio alla lettera F, corrispon-
dentemente ai sette ritmi non retrogradabili per cui v. infra nel paragrafo).
82
Partitura Durand, 1942 (lastra D. & C. 14.064), Préface, pp. i-iv: ii.
83
POZZI 2007, p. 111, fa un elenco dei piedi riconoscibili come tasselli ritmici; POPLE 1998, pp. 69-
70, descrive il ritmo nel suo svolgimento; GRIFFITHS 1985, pp. 97-99, propone interessanti consi-
derazioni sui rapporti tra ritmo e armonia. Per considerazioni generali sull’uso del ritmo nel Qua-
tuor cfr. MATHESON 1995 (2008).

311
F. LAZZARO, Danza, incantesimo e preghiera

Questa struttura  frasi di lunghezza e costituzione ritmica sempre diversa che si


muovono verso un punto di appoggio su una nota tenuta  si interrompe alla lette-
ra F, dove peraltro la dinamica muta da ff a pp. Inizia allora la sezione ritenuta più
sperimentale: una sorta di mottetto isoritmico la cui talea è costituita da sei ritmi
non retrogradabili (uno è ripetuto due volte, per un totale di sette moduli  il nu-
mero delle trombe; durante la duplice esposizione della talea il color viene ripetu-
to anch’esso sette volte; inoltre, la parte retrogradata dai ritmi 2-4 è di sette semi-
crome). Tutti questi ritmi non retrogradabili sono costruiti secondo una ratio cine-
tica opposta a quella che ha informato il pezzo finora: il valore più lungo sta sem-
pre al centro a scandire la simmetria (il ritmo 4 fa eccezione):

1 ¥ ’B¦ ‘ ’B¦ ¥
2 ’ ¥ ’B¥ ¥ ’
3 ·oo– ’B¦ ·oo–
4 —qËoo– ·oËo– ·ooÊqœ
5-6 ·oÊq qœ ¥ —q qËo–
7 —q q q qœ ¥ —q q q qœ

Il ritorno del principio rincorsa-appoggio sancisce la fine di questa sezione: Mes-


siaen dichiarava che non si aspettava che il suo ascoltatore riuscisse a sentire i
ritmi non retrogradabili,84 ma nel caso specifico sembra proprio che abbia fatto di
tutto per farli risaltare. Tuttavia, dopo che le aspettative sono state educate al mo-
dello rincorsa-appoggio, la presenza del valore più lungo sull’asse di simmetria
del ritmo non retrogradabile può essere percepita come appoggio: se si indicano i
ritmi retrogradabili con axa*, byb*, czc*, ecc. (dove * indica l’inversione del tas-
sello), e se gli assi di simmetria (x, y, z, ecc.) sono note tenute, la percezione sarà
pertanto del tipo ax | a*by | b*cz ecc.
Alla lettera I (anticipata a H dalla cadenza che interrompe la sezione isorit-
mica), il principio rincorsa-appoggio diviene ancora più limpido, poiché la rincor-
sa non è più composta da moduli ritmici irregolari combinati ma da sequenze di
semicrome: «the dance of the first part of the movement is flattened out into an

84
V. supra § 4.1.

312
Capitolo 4

exotic toccata of racing semiquavers»;85 le altezze delle note sono le medesime


del tema iniziale,  che sembra essersi ‘sciolto’  ma i punti d’appoggio sono tutti
su si#, in una formula cadenzale ripetuta e distinta anche graficamente:

Esempio 89 O. Messiaen, Quatuor pour la fin du temps, VI. «Danse de la fureur, pour le sept
trompettes», batt 1-4 e lettera I: variazione ritmica della stessa melodia.

Il principio rincorsa-appoggio ha un’indubbia utilità per sottolineare le note


che si vogliono far percepire come più importanti in un contesto non tonale: un
metro regolare, oltre a «plonger l’auditeur dans un état de satisfaction béate», non
ha utilità fraseologica, non consente, di per sé, di gerarchizzare le altezze. Messia-
en, allungandole, crea le sue finales. Nell’esempio appena proposto la stessa me-
lodia viene segmentata in punti diversi grazie a una nuova veste ritmica: se in una
logica isoritmica questo avviene in modo circolare, qui è Messiaen che ha regola-
to su lunghezze variabili il medesimo principio di rincorsa-appoggio per poter sot-
tolineare delle note diverse. L’andamento saltellante iniziale (per Griffiths la
«danse» vera e propria) lascia il posto a un più lineare gioco di prolungamenti (- =
¦ ) prima della cellula cadenzale ({):
-----{
------{
---------{

***

85
GRIFFITHS 1985, p. 99.

313
F. LAZZARO, Danza, incantesimo e preghiera

In conclusione, nella loro ricerca di universalismo  pre-culturale e magico da un


lato, cattolico dall’altro  Jolivet e Messiaen hanno inteso le loro “danze” come
discorsi sonori fondati su una forte carica gestuale: scrivere una danza era per en-
trambi non un rinchiudersi nella meccanica quadratura di uno schema, tradiziona-
le o inventato che fosse, ma lo sperimentare un’invenzione ritmica, che si offrisse
all’ascoltatore come esercizio (compositivo e percettivo) di «variation perpétuel-
le». In Jolivet, i ritmi irrazionali così tipici della sua scrittura si situano soprattutto
a livello melodico, sorretti da giochi di ostinati fondati su ritmi semplici; in Mes-
siaen l’elemento irrazionale è sempre assente («je préfère des rythmes extraordi-
naires mais francs»),86 e la danza si presenta come ricercatezza di invenzione sul
parametro ritmico. È una concezione delle forme di danza ben diversa da quella
neoclassica: il ritorno alle origini non è appropriazione di forme, ma di gesti sem-
plici da cui ripartire.

86
SAMUEL 1999, p. 120.

314
CONCLUSIONE

Ce n’est point en abdiquant sa personnalité propre, ni son langage, que le


musicien réalisera le miracle de la communion avec son peuple; et ce ne peut
être du peuple même, à l’heure actuelle, que sortiront les chants populaires
(parce qu’il n’entend plus assez de musique en soi), ils seront l’œuvre d’un
inspiré, tout ensemble individualiste et vouant son art à la société, qui
s’exprimera librement, individuellement, et dont les ondes, devenues
collectives, rayonneront sur tous les hommes, au loin…1

Una delle domande chiave poste all’inizio di questo lavoro riguardava la


possibilità di rinnovare il linguaggio musicale senza smarrirne la valenza
espressiva; ci si chiedeva in che modo certi compositori francesi degli anni ’30,
vicini al clima culturale umanista e spirituale del non-conformismo, abbiano
attuato il ‘rinnovamento espressivo’ che propugnavano nelle loro dichiarazioni di
poetica. Si è trattato di proporre uno studio dell’ascolto post-tonale basato
sull’analisi: uno studio che andasse «beyond structural listening», secondo la
formula di Andrew Dell’Antonio,2 e che mirasse piuttosto a individuare nelle
partiture le possibilità di un expressive listening. Andare «beyond structural
listening» e analizzare la musica di conseguenza significa mettere da parte alcune
idee che poco hanno a che fare con i compositori vicini al non-conformismo:
innanzitutto la concezione organicistica dell’opera musicale, il cui godimento
estetico ed espressivo risulterebbe dal riconoscimento dell’unità logica che
informa la struttura del brano; in secondo luogo l’idea che tale riconoscimento
possa essere staccato dall’ascolto effettivo (che «the notion of “listening”» sia
potenzialmente separabile dal «sense of hearing»),3 poiché la composizione

1
KOECHLIN 1937, p. 353.
2
DELL’ANTONIO 2004. Il volume si pone come uno sviluppo delle questioni sollevate da
SUBOTNIK 1988.
3
DELL’ANTONIO 2004, p. 3.

315
F. Lazzaro, Danza, incantesimo e preghiera

sarebbe concepita come un oggetto scritto e da analizzare sulla partitura, che


mette in secondo piano il parametro del suono. L’accento posto da Migot, Jolivet,
Messiaen sui fenomeni di risonanza e sui meccanismi della percezione richiede un
approccio analitico molto diverso, poiché il loro scopo non era strutturale, ma,
piuttosto, emotivo  non volevano cioè che il loro ascoltatore riconoscesse la
logica unitaria dei loro pezzi, ma che ne venisse coinvolto. In questo senso, andare
«beyond structural listening» non significa rigettare il concetto di struttura, ma
intenderla come un fenomeno che si presenta in modo dialogico rispetto
all’ascolto effettivo, secondo l’idea che «the most productive way to approach
structure is through the listening experience itself».4
In tale prospettiva, gli elementi cui si è rivolta l’attenzione maggiore sono
stati sostanzialmente tre: il paratesto, con il bagaglio di aspettative o affordances
che porta con sé; i topoi, ora tradizionali, ora rinnovati, ora inventati, con le loro
valenze simboliche e più generalmente connotative; la fisicità dell’ascolto, che si
traduce nelle reazioni (attese e risposte embodied) agli elementi ritmici, ai
fenomeni di risonanza, e, in misura più mediata, alle tensioni melodico-
armoniche.
La scelta di analizzare alcuni brani esplicitamente proposti come danze ha
permesso di mettere a confronto numerose possibilità di interazione di paratesto,
topoi e fisicità in un corpus dotato di una sua omogeneità; al parametro del ritmo
si è riservata un’attenzione particolare, essendo il più legato all’idea di danza e il
nesso più immediato con i meccanismi tradizionali d’ascolto laddove vengano
meno i punti di riferimento tonali o modali. L’attenzione posta sulla dimensione
ritmico-gestuale è sicuramente prevalsa su quella melodico-armonica, che è stata
affrontata soprattutto come serbatoio di ulteriori elementi di cui è possibile
valutare l’efficacia percettiva: la ripetizione, la risonanza, la riconoscibilità di un
profilo o di un campo armonico. Questo è per certi versi limitante: non si è forse
dedicato spazio sufficiente allo studio di quel lyrisme che da Migot a Jolivet a
Messiaen veniva considerato come elemento fondamentale dello scambio

4
Ivi, p. 5.

316
Conclusione

musicale tra compositore e ascoltatore; in parte questa scelta è stata dettata dalla
disponibilità di studi sulla costruzione melodica, mentre mi sembrava perlomeno
una lacuna da colmare il fatto che nessuno avesse approfondito le molteplici
implicazioni di brani che si dichiarano danze e lo sono, come si è visto, in modo
vario e imprevedibile.5
La dialettica tra titolo di danza e forma del brano va di pari passo con quella
tra poetica esplicita e implicita (o effettiva, secondo la terminologia di Danuser).
Su entrambi i piani, il momento verbale offre una chiave di lettura e una serie di
aspettative con cui bisogna confrontare la realizzazione musicale effettiva. Per
passare dalle dichiarazioni di poetica ai discorsi tecnici, ho voluto insistere sul
fatto che l’analisi possa prendere altre vie rispetto alle spiegazioni che i
compositori hanno fornito della loro musica: “beyond composer oriented
analysis”, potremmo dire, poiché per rintracciare i legami tra poetica esplicita ed
effettiva si rivelano in molti casi più utili approcci analitici autonomi da quelli
dichiarati dai compositori; per rifarsi a quanto si è già notato, Messiaen illustra
che cosa siano i modi a trasposizione limitata o i ritmi non retrogradabili, ma non
come agiscono nella costruzione espressiva dei brani.
Il ‘rinnovamento espressivo’ proposto ha nei fatti suscitato il
coinvolgimento cui aspirava? Perlomeno per quanto riguarda Jolivet la risposta è
parzialmente negativa: durante la guerra, in un momento di forte bisogno di
comporre per tutti, sceglierà di semplificare il suo linguaggio e renderlo più
immediatamente fruibile attraverso ritmi più regolari e uso della modalità  che è
come riconoscere il fallimento dei mezzi adoperati prima nel ricreare
l’immediatezza primitiva e il coinvolgimento magico. Ma se alcuni brani degli
anni ’40, come la Petite suite (1947), sono effettivamente più ‘moderati’, sarebbe
vano aspettarsi dalla Suite française del 1957 un brano parente di quello di
Poulenc o Daniel-Lesur: nessuna traccia di «souvenirs folkloriques ou danses
anciennes (régionales)», ma piuttosto la ricerca di evocare la Francia del XX
5
Basti dire che le pagine dedicate da KAYAS 2005 alle Danses rituelles si propongono di
«expliciter deux notions clés de son langage: double basse et résonance inférieure», considerate la
differenza fondamenteale con il modello di danza rituale proposto dal Sacre du printemps (p. 252);
le analisi si concentreranno infatti sul parametro dell’altezza.

317
F. Lazzaro, Danza, incantesimo e preghiera

secolo con una scrittura complessa che ha le sue basi nel periodo Jeune France.6
L’auspicio di entrare in contatto magico con l’ascoltatore, di conquistarlo con una
musica che ricercasse il coinvolgimento primitivo tra suono e uomo, non si è
tradotto in una creazione di un prodotto che si adeguasse ai gusti del pubblico; il
clima culturale fortemente impegnato eticamente della Francia degli anni ’30 ha
forgiato in profondità le personalità artistiche di musicisti come Jolivet e
Messiaen, che non hanno mai abbandonato il fin éthique del loro comporre. Come
ha sottolineato Lucie Kayas a proposito di Jolivet e della sua polemica degli anni
’50 con la nuova scuola guidata da Boulez, il compositore era profondamente
ancorato agli anni ’30: «son humanisme échappe à la nouvelle génération qui ne
veut parler ni éthique ni esthétique mais matière musicale, technique d’écriture».7
Per tornare, quindi, al difficile rapporto tra poetica esplicita ed effettiva, si può
concludere che al rinnovamento spirituale dichiarato si è accompagnato nei fatti
un lavoro di rinnovamento espressivo a livello di tecnica compositiva, con scelte
diverse ma, come le analisi hanno dimostrato, convergenti nella ricerca di basare
l’emotività dell’ascolto non tonale su costruzioni sintattiche di natura
prevalentemente gestuale. «Ce n’est pas dans l’oreille que nous devons
l’accrocher, c’est AUX TRIPES».

6
Dichiarazione di Jolivet citata in HONDRÉ 2006, p. 27 (la voce è curata da Hélène Cao).
7
KAYAS 2005, p. 438.

318
INDICE DELLE FIGURE E DEGLI ESEMPI MUSICALI

FIGURE1
1 LOURIÉ, Arthur p. 35
Gigue
Paris, Rouart-Lerolle, [1927] (R. L. 11.646)
Prima pagina
2 PICASSO, Pablo 129
La danse
1925, olio su tela, London, Tate Gallery
3 DEGAS, Edgar 130
Fin d’arabesque
1876-77, tempera e pastello su tela, Paris, Musée d’Orsay
4 LARIONOV, Michel 142
Treize danses (copertina)
in Treize danses, Paris, La Sirène musicale, 1929 (S. M. 156-168)
5 [ ?] 143
Monogramma de La Sirène musicale
in Arthur Honegger, Sept pièces brèves pour piano, Paris, La Sirène musicale, 1920
6 LARIONOV, Michel 143
Treize danses (quarta di copertina)
in Treize danses cit.
7 JOLIVET, André 227
Danse nuptiale
da DRo
batt. 6-7
8 ID. 245
Danse funéraire
da DRpf
batt. 63-76
9 ID. 245
Ibidem
spettrogramma della versione pianistica
10 ID. 246
Ibidem
spettrogramma (evidenza di fa e si#)

1
Le Cinq Danses rituelles di Jolivet sono indicate con le sigle seguenti:
Ì DRpf: versione per pianoforte, Paris, Durand, 1947 (D. & F. 13.257)
Ì DRo: versione per orchestra, Paris, Durand, 1959 (D. & F. 13.888)

319
F. LAZZARO, Danza, incantesimo e preghiera

11 ID. 247
Ibidem
spettrogramma (cluster tra do e re)
12 ID. 248
Ibidem
battimenti dell’ultimo accordo
13 ID. 248
Danse funéraire
da DRo
batt. 63-76: spettrogramma della versione orchestrale
14 ID. 249
Ibidem
le frequenze caratteristiche nello spettrogramma dell’esecuzione orchestrale
15 ID. 262
Guignol et Pandore
schema degli autoimprestiti

ESEMPI MUSICALI

1 MESSIAEN, Olivier p. 19
Le banquet céleste
Paris, Leduc, 1960 (A. L. 22.893)
batt. 1-4
2 ID. 22
Ivi
batt. 3-4; 7-8
3 ID. 24
Ivi
batt. 12-23: la melodia del pedale
4 JOLIVET, André 29
«Pour que la moisson soit riche qui naîtra des sillons que le laboureur trace»
da Cinq Incantations, London ecc., Boosey & Hawkes, 1938-1939 (B. & H. 19381)
batt. 9: gesto conclusivo trillo-Flatterzunge
5 LOURIÉ, Arthur 49
Gigue cit.
batt. 37-46: la melodia nascosta
6 ID. 50
Ivi
i tre gruppi melodici
7 ID. 113
Ivi
batt. 1-7: letture ritmiche
8 POULENC, Francis 125
Valse
in Album des Six, Paris, Eschig (ex La Sirène), 1920 (E. 1960 D.)
batt. 1-8; 17-20: slittamenti metrici
9 FERROUD, Pierre-Octave 145

320
Indice delle figure e degli esempi musicali

The Bacchante (Blues)


in Treize danses cit.
batt. 1-4
10 WIÉNER, Jean 146
Rêve
in Treize danses cit.
incipit delle sezioni
11 LARMANJAT, Jacques 146
Valse
in Treize danses cit.
batt. 5-8
12 BECK, Conrad 147
Danse
in Treize danses cit.
batt. 1-2 e 17: i due pattern gestuali
13 ID. 148
Ivi
batt. 1-4: letture metriche
14 MIGOT, Georges 149
La Sègue (Danse lente)
in Treize danses cit.
batt. 9-10 e 17-18: combinazioni ritmiche
15 STRAVINSKIJ, Igor 158
«Cercles mystérieux des adolescentes»
da Sacre du printemps, London ecc., Boosey & Hawkes, 1947; 19672 (B. & H. 19.441)
nn. 91-92
16 POULENC, Francis 162
«Bransle de Bourgogne»
da Suite française, versione per pf., Paris, Durand, 1935 (D. & F. 12.607)
confronto con il modello
17 ID. 165
«Pavane»
da Suite française cit.
struttura fraseologica
18 DANIEL-LESUR 168
«Pavane»
da Suite française, Grenoble, Amphion, 1945 (A. 103)
batt. 1-8
19 ID. 169
«Menuet»
da Suite française cit.
forma complessiva con incipitario
20 JOLIVET, André 173
Danse initiatique
da DRpf
variazione del metro nelle tre sezioni della prima parte
21 ID. 174
Danse initiatique
da DRo

321
F. LAZZARO, Danza, incantesimo e preghiera

ostinati della seconda parte e loro orchestrazione


22 ID. / BIZET, Georges 182
Danse du héros / Habanera
da DRpf / da Carmen [1875], Paris, Choudens, s. d. (A. C. 4954)
confronto tra le cellule ritmiche
23 JOLIVET, André 187
Danse du héros
da DRpf, DRo
sviluppo della cellula base
24 ID. 188
Danse du héros
prima versione ms., F-Pn, Musique, Ms. 24097
batt. 3-8
25 VARÈSE, Edgar 190
Intégrales
New York, Colfranc, 1926; 1980 (ed. a cura di Chou Wen-Chung)
il ritmo di bolero della cassa chiara
26 ID. 191
Ivi
batt. 93-100, danza ‘bulgara’
27 ID. 191
Ivi
batt. 131-133, ricomparsa della danza ‘bulgara’
28 TANSMAN, Alexandre 196
Le tour du monde en miniature. 15 feuillets de voyage, Paris, Eschig, 1934 (M. E. 4303)
incipitario
29 ID. 198
«Coconut-Grove»
da Le tour du monde en miniature cit.
batt. 18-22: l’assolo
30 ID. 200
«Fox-Trot»
da Sonatine translatlantique, versione per pf., Paris, Leduc, 1930 (A. L. 17.720)
batt. 5-16
31 EUROPE, James Reese 203
The Castle
New York, Stern, 1913
batt. 5-8
32 TANSMAN, Alexandre 203
«Fox-Trot»
da Sonatine translatlantique cit.
batt. 17-18
33 ID. 203
Ivi
batt. 36-37
34 ID. 204
Ivi
batt. 40-41; 31-31

322
Indice delle figure e degli esempi musicali

35 ID. 204
Ivi
batt. 71
36 ID. / T. HARSÁNYI / J. R. EUROPE 206
«Fox-Trot» / Fox-Trot / The Castle
da Sonatine transatlantique cit. / in Treize danses cit. / cit.
batt. 56-63 / batt. 30-34 / batt. 53-56: trii a confronto
37 JOLIVET, André 208
Danse nuptiale
da DRpf
batt. 9
38 ID. 209
Ivi
batt. 9-17
39 ID. 210
Ivi
batt. 33
40 ID. 210
Ivi
batt. 39-46: schema dell’ostinato
41 ID. 211
Ivi
batt. 49-60: schema dell’alternanza dei moduli variati
42 ID. 211
Ivi
batt. 66-78: schema della coda
43 ID. 215
«Pour une communion sereine de l’être avec le monde»
da Cinq incantations cit.
batt. 11-15
44 ID. 216
Incantation (…pour que l’image devienne symbole)
versione per flauto, Paris, Billaudot, 1967 (M. R .1096 B. F.)
struttura delle prime tre frasi
45 ID. 218
«Pour que l’enfant qui va naitre soit un fils»
da Cinq incantations cit.
processi di variazione
46 ID. 222
«Pour accueillir les négociateurs  et que l’entrevue soit pacifique»
da Cinq incantations cit.
divisione delle voci e loro unione finale
47 ID. 232
Danse du rapt
da DRpf
batt. 29-35, sovrapposizione di cicli disuguali
48 ID. 233
Ivi
batt. 40-51, relazioni antecedente-conseguente

323
F. LAZZARO, Danza, incantesimo e preghiera

49 ID. 236
Danse incantatoire
Paris, Billaudot, 1991 (G 4952 B)
batt. 11-13
50 ID. 237
Ivi
confronto con il materiale intervallare della Lyrische Suite
51 MILHAUD, Darius 240
«Marche funèbre»
da Introduction et Marche funèbre, Paris, Éd. sociales internationales, 1938 (ESI 520)
batt. 1
52 ID. 241
«Chœur des funérailles»
da Les malheurs d’Orphée, riduzione per canto e pf., Paris, Heugel, 1926 (H. 29.202)
batt. 23-32
53 JOLIVET, André 242
Danse funéraire
da DRpf
batt. 1-5 : nenia e rintocchi
54 ID. 243
Danse funéraire
da DRo
batt. 14: anacrusi-accento-desinenza
55 ID. 255
«Variation de Guignol»
da Guignol et Pandore, riduzione per canto e pf, Paris, Eschig, 1948 (M.E. 6393)
variante rispetto alla Danse du héros
56 ID. 255
«Entrée du Bourreau»
da Guignol et Pandore cit.
variante rispetto alla Danse du héros
57 ID. 256
Symphonie de danses
Paris, Noël, 1955 (P. N. 6.224)
moduli ritmici della danza dell’oro
58 ALAIN, Jehan 268
«Deuils»
da Trois danses, Paris, Leduc, 1943-1971 (A. L. 20.094)
bat. 2-7: tema
59 ID. 269
Ivi
batt. 108 e 113: passaggi orientali
60 ID. 270
Ivi
batt. 101-113: schema dei cicli fraseologici
61 ID. 271
Ivi
batt. 114-117: disomogeneità gestuale e metrica
62 ID. 272

324
Indice delle figure e degli esempi musicali

«Deuils» e «Luttes»
da Trois danses cit.
versioni del basso
63 ID. 273
«Joies»
da Trois danses cit.
le due idee tematiche, fanfara e danza
64 ID. 273
Ivi
il ritmo di danza negli schizzi
65 ID. 274
Ivi
batt. 9-20
66 ID. 275
Ivi
trasformazione ritmica
67 ID. 277
Ivi
batt. 86-98
68 HONEGGER, Arthur 280
«La Danse devant l’Arche»
da Le roi David, riduzione per canto e pf, Lausanne, Foetisch, 1921 (F. 1990 F.)
6 batt. dopo n. 5: danza anapestica del coro
69 ID. 280
Ivi
3 batt dopo il n. 12
70 ID. 281
Ivi
n. 22: fusione di anapesto e metro ternario
71 ID. 281
Ivi
2 batt. dopo il n. 25
72 ID. 282
«Cantique de fête»
da Le roi David cit.
batt. 8-11: danza anapestica del coro
73 ID. / MAHLER, Gustav 282
Le roi David cit. / Sinfonia n. 4, London ecc., Eulenburg, 1966 (E. E. 6448)
confronto tra melismi angelici
74 MESSIAEN, Olivier 283
«Alléluias sereins d’une âme qui désire le ciel»
da L’Ascension, versione per orch., Paris, Leduc, 1948 (A. L. 20.523)
n. 1
75 ID. 283
Ivi
incipit
76 ID. 284
«Antienne du silence» e «Résurrection»

325
F. LAZZARO, Danza, incantesimo e preghiera

da Chants de Terre et de Ciel, Paris, Durand, 1939 (D. & F. 12.961)


batt. 3-4 e batt. 1: melismi alleluiatici
77 ID. 284
«Alléluia sur la trompette, alléluia sur la cymbale»
da L’Ascension cit.
batt. 1-11, tema principale
78 ID. 285
Ivi
tasselli generatori della sezione B (3 batt. dopo il n. 8)
79 ID. 287
Ivi
n. 17: tema di D con i moduli ostinati che gli vengono sovrapposti
80 ID. 292
«Les anges»
da La Nativité du Seigneur, Paris, Leduc, 1936 (A. L. 19.271)
batt. 1-3
81 ID. 294
Ivi
batt. 49-50 (= 53-54, 58-59)
82 ID. 295
«Antienne du silence»
da Chants de terre et de Ciel cit.
batt. 1
83 MARKEVITCH, Igor 301
Le paradis perdu
London ecc., Boosey & Hawkes, 1978 (B. & H. 20.716)
da 3 prima del n. 117 al n. 122: “danza degli angeli”
84 MESSIAEN, Olivier 304
«Minuit pile et face»
da Chants de Terre et de Ciel cit.
batt. 14-21
85 ID. 305
Ivi
batt. 14-34: schema ritmico
86 ID. 307
«Danse du bébé-Pilule»
da Chants de Terre et de Ciel cit.
batt. 1-2
87 ID. 309
Ivi
batt. 47-57
88 ID. 310
«Arc-en.ciel d’innocence»
da Chants de Terre et de Ciel cit.
batt. 28-30 e 38-39
89 ID. 313
«Danse de la fureur, pour les sept trompettes»
da Quatuor pour la fin du temps, Paris, Durand, 1942 (D. & C. 14.064)
batt 1-4 e lettera I: variazione ritmica della stessa melodia.

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