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L’estetica musicale è l’insieme delle riflessioni sulla musica, sulla

natura, fini e confini. La disciplina filosofica dell’estetica nasce


alla fine del Settecento, mentre il suo sottogruppo dell’estetica
musicale solo a metà dell’Ottocento, con il saggio “Il bello
musicale” di Hanslick nel1854. La musica era ritenuta infatti un
umile mestiere, non un’arte grandiosa e intellettuale come la
poesia e la letteratura, la pittura, l’architettura, la scultura e il
teatro.
Fin dai tempi dell’antica Grecia, la musica è stata considerata un
mestiere, non un arte, per di più dotata di scarso potere educativo,
rispetto a poesia e letteratura. Questo rafforza la teoria che la
musica sia proprio un’arte a parte, con problemi e una
storia/evoluzione specifici, diversi da quelli di tutte le altre arti. La
musica è considerata un’arte del tempo, e non dello spazio:
significa che è un’arte che prende come propria materia il tempo.

Infatti la parola musica si riconnette al nome delle nove muse,


figlie di Zeus e della ninfa Mnemosine. Zeus era il supremo fra
gli dei e conosceva il presente e futuro. Mnemosine tutelava la
conservazione della memoria come indica il significato del suo
nome. Delle nove muse, sette proteggevano varie forme d’arte,
quali la musica per aulos (strumento musicale aerofono), la poesia
corale, la poesia tragica, la poesia comica, la poesia epica, la
danza e la pantomima.
Le altre due muse (Clio e Urania) proteggevano la memoria
storica (la storia) e l’astronomia (scienza astronomica).

L’astronomia e la storia a noi sembrano non avere attinenza con la


danza, la musica e le varie forme di poesia. Però i greci avevano
immaginato che le nove muse preservavano tutto il sapere che
poteva tramandarsi solo oralmente. Invece non c’erano muse a
proteggere l’architettura o la scultura, perché tali forme d’arte si
tramandavano da sole con manufatti concreti (templi, sculture).
Infatti possiamo dire che le arti si dividono in due categorie: le arti
temporali e arti spaziali.
Temporali (musica, danza, poesia)
Spaziali (architettura, pittura, scultura)
le muse proteggevano solo le arti temporali

Per i greci più antichi Musica erano tutte le arti protette dalle muse
(quelle trasmesse mediante la conservazione della loro memoria).
La parola musica aveva dunque un significato più ampio e più
generico di quello attuale.
Ad esempio Pitagora, matematico insigne, sosteneva che il
numero era il fondamento di tutte le cose (così ci è stato
tramandato dagli allievi della sua scuola). Alla base della sua
affermazione c’era l’osservazione che nella natura ogni fenomeno
si può ricondurre ad armonia e a rapporti tra numeri.
• Infatti stabilì per primo una relazione tra musica e
matematica. Infatti nel medioevo lo studio della musica si
inserì nel quadrivio insieme alle altre scienze (arit, geom e
astronomia) e non nel trivio con le materie letterarie.
• Fece studi sulla scala pitagorica
• Infine elaborò una dottrina: individuò l’esistenza di tre
musiche. La musica mundana (cioè quella del cosmo,
generata dalle sfere celesti, che non si sente con l’orecchio
ma comunque esiste). La musica humana (espressa
dall’anima dell’uomo, esprime armonia fra corpo e mente). E
infine la mudica instrumentalis (ovvero la musica come la
intendiamo noi: strumenti e voci).
Un altro studioso greco fu Platone. Lui di musica non era molto
esperto, però fece sue le idee di un certo Damone. Sosteneva che
ogni musica aveva un ethos (letteralmente significa costume,
ovvero un carattere espressivo che incide sui costumi delle
persone e può condizionare e modificare). Così quindi c’erano
musiche che lasciavano una impronta positiva sui costumi umani e
altre no. Perciò secondo Platone il filosofo che si occupa della
paideia (pedagogia), cioè dell’educazione dell’uomo e del
cittadino dovrebbe occuparsi anche di musica.
Platone individua un genere di musica che rafforzava la volontà,
un genere che calmava l’animo, un genere che esaltava i
sentimenti e cosi via.
Infine abbiamo anche Aristotele che sosteneva che
nell’educazione del nobile deve esserci anche una formazione
musicale per ingentilirne l’animo e il suo diletto. L’aristocratico
però deve restare un dilettante di musica, non diventare un
professionista, perché deve avere tempo per dedicarsi a una
formazione intellettuale più varia e completa.

Quindi perché la musica è stata così poco considerata nel corso del
tempo? La spiegazione è che la musica richiede un altissimo grado
di specializzazione tecnica al musicista e la compositore: per
comporre musica ci vuole un livello educativo e di
specializzazione altissimo, bisogna avere studiato tanti anni;
inoltre, ci vuole anche un interprete all’altezza, che abbia condotto
i medesimi studi elevatissimi e che abbia la delicatezza giusta per
portare in vita l’opera musicale e di farla vivere al pubblico. Per
quanto riguarda lo spettatore, infine, nonostante non ci sia un testo
da seguire ne uno spettacolo da poter osservare sulla scena, la
musica possiede un fortissimo impatto emotivo, anche per lo
spettatore più inesperto. La musica suscita emozioni forti. Ma
nonostante questo, a causa della competenza tecnica richiesta, la
musica è stata declassata ad arte inferiore, ed è stata considerata
per secoli da tutti diversa dalle altre arti. La musica è quindi
considerato un mestiere, e il far musica un’attività servile non
degna di un uomo colto e libero. Per questo, i musicisti più famosi
fino a Beethoven sono sempre stati legati ad un mecenate, il quale
si finanziava e manteneva e commissionava le opere musicali
(giudizio funzionale).

Un legame che mi affascina da sempre è il rapporto tra musica e


poesia. Infatti per secoli la musica si è sviluppata stretto rapporto
alla poesia. Ma perché, dal momento che sono due arti così
diverse? Che cosa hanno in comune? Forse la loro origine. Fino
al seicento, la musica strumentale non era quasi considerata, e si
preferiva di gran lunga la musica vocale. Sia musica che poesia
sono arti del tempo e non dello spazio. Ma anche le parole hanno
un suono ben preciso, e sia musica sia poesia sono arti che
scelgono con cura i loro suoni per comunicare all’uditore. Nella
musica vocale, l’ascoltatore è condotto a partecipare a due
linguaggi, quello della parola e quello del puro suono. Musica e
poesia sono quindi in tensione da sempre, unite ma al tempo stesso
lontane tra loro. Ognuna cerca una propria autonomia, trovata
dalla musica strumentale solo nel barocco. Anche la musica vocale
si è parallelamente evoluta. Questo tema (leitmotiv) di tensione fra
musica e poesia è uno dei più importanti della storia della musica
occidentale. (Leitmotiv: a recurrent theme throughout a musical or
literary composition, associated with a particular person, idea, or
situation.)

Intraducibilità e universalità del linguaggio musicale


I suoni della musica sono intraducibili in qualsiasi altro
linguaggio. Quando noi ci approcciamo a un linguaggio musicale
diverso da quello a cui siamo stati abituati, la comprensione di
questo nuovo linguaggio ci risulta facile, molto più facile che
approcciare ad esempio un testo in un’altra lingua. Questa facilità
ha origine dal fatto che ogni linguaggio musicale ha degli elementi
universali, ovvero comuni a tutti. Questa universalità deriva dalla
nostra percezione uditiva, fatti di elementi naturali e istintivi che
ci permettono di capire e tradurre subito anche linguaggi musicali
distanti da quello a cui siamo abituati. In ogni linguaggio musicale
c’è quindi una componente naturale e una culturale. A volte
l’uomo riesce anche ad andare oltre queste componenti naturali, o
addirittura contro.

Noi possiamo considerare la poesia come un linguaggio, così


come consideriamo la musica un linguaggio. La poesia come la
musica ha delle regole precise da seguire. In musica noi
dobbiamo avere delle conoscenze teoriche, tecniche e una
conoscenza molto approfondita dello strumento. Cosi anche la
poesia ha delle regole e si rifà anche alla metrica.
Io trovo quindi che la musica e la poesia siano in stretto contatto.
Mi viene da citare un autore latino che ho studiato alle superiori:
virgilio. In particolare mi ricordo di aver studiato una bucolica, la
quarta ecogla delle bucoliche che è in esametro e che ha un
andamento molto ritmatico mentre lo leggevamo in metrica.
Le bucoliche fanno riferimento a dei idilli pastorali, paesaggi
senza tempo e senza storia, ai limiti dell’irreale. Quindi avevano
la funzione di celebrare e trasmettere la pace (quindi giudizio
funzionale).

GIUDIZIO FUNZIONALE
con il giudizio funzionale si nota che l’obiettivo principale della
musica (non certo l’unico) era quello di soddisfare nel modo
migliore possibile lo scopo per cui era composta (o
commissionata). La celebrazione della liturgia, evento politico,
sovrano. In tutti questi casi, la musica non era vista come “bella”
in sé e per sé, ma in quanto capace di svolgere una data funzione
variabile a seconda del periodo storico e del contesto sociale.
Ad un giudizio funzionale si affiancava dunque un giudizio
tecnico: per risultare adatta al proprio contesto, la musica doveva
infatti rispondere a una serie di requisiti compositivi che potevano
riguardare la scelta del modo, l’organizzazione interna della frase,
la disposizione delle consonanze e delle dissonanze nel tessuto
polifonico.
GIUDIZIO ESTETICO

Il giudizio estetico valuta il brano per la sua bellezza in se.


Non è più importante il giudizio funzionale, ma solo la bellezza in
se dell’opera. Questo giudizio nasce nell’800.

GIUDIZIO STORICIZZANTE
E’ un giudizio tecnico che non prende più in considerazione il
giudizio estetico e giustifica la musica delle avanguardie del
novecento. L’ultima categoria di giudizio individuata da Dahlhaus
e da questi assegnata al Novecento. Queste avanguardie non
piacciono al pubblico e all’ascoltatore poiché sono molto
dissonanti e difficili da ascoltare soprattutto se non si ha una
conoscenza tecnica e approfondita degli autori. Abbandono della
morfologia e della sintassi tonali, si libera di uno dei principi che,
spesso in modo implicito, aveva fatto da fondamento
all’espressione del giudizio musicale: il piacere.

Musica e cultura: tradizione popolare e tradizione colta

È ovvio che le altre arti, come letteratura, poesia, pittura e


architettura, sono state tramandate di generazione in generazione
attraverso vie auliche e dotte. La musica no, se si pensa che è stata
trasmessa quasi esclusivamente per vie orali, e quindi non dotte,
ma anzi, per vie e culture popolari. Ha quindi una mobilità
verticale notevole (nel tempo, da gen a gen) ma anche mobilità
orizzontale (nello spazio, da paese a paese) e maggiore delle altre
arti. Così stilemi popolari antichi di altri paesi vengono riadattati
in altri tempi e in altri luoghi. Elementi colti trasportati nella
cultura popolare e viceversa. La musica ha la capacità, attraverso i
secoli, di passare agevolmente da un mondo all’altro, mischiando
e cambiando, portando grande varietà, grazie alla facilità di
memorizzazione e alla trasmissione orale, per canali poco dotti e
culturalmente elevati.

Per un diverso modello di storicità


La musica quindi mette in atto un diverso modello di storicità e
memoria storica, molto diverso da quello di tutte le altre arti.
Questo perché la musica è fatta di suoni, e perciò ha un modo
diverso di essere studiata.

La teoria della ricezione


Secondo la teoria della ricezione, la musica ha sempre un
destinatario quando viene creata. Bisogna quindi soffermarsi più
sul momento dell’interpretazione e delle modalità d’ascolto più
che sul momento della creazione della musica, per considerarla
non più un’essenza racchiusa nel suo unico tempo, pensata solo
per il presente, legata solo alla propria epoca. Secondo la teoria
della ricezione quindi la musica è invece proiettata nel futuro e nel
momento in cui si offre all’interprete (sia esso esecutore o
ascoltatore).

Dai pitagorici a Damone di Oa Abbiamo solo frammenti e


testimonianze indirette della musica dell’antichità greca,
nonostante questa abbia influenzato tutti i linguaggi musicali
successivi e ancora oggi ne subiamo le influenze senza
accorgercene. Si trova accenni e discussioni riguardo a questa
musica nei trattati filosofici dei grandi filosofi come Platone ecc,
ma è difficile se non impossibile per noi riuscire a ricostruire il
linguaggio musicale dell’epoca senza effettivamente poterlo
riprodurre e quindi sentirlo. Tutto il pensiero musicale dei greci è
dominato dal tema della rilevanza etica, positiva o negativa, della
musica della società. Ovvero, la musica era considerata e giudicata
in base ai valori etici e istruttivi che poteva trasmettere a chi
l’ascoltava, quindi al suo potenziale educativo. Il concetto di
musica nel mondo greco non è come quello odierno. Musike
significava un complesso di attività artistiche, come ginnastica,
danza, poesia, teatro e quindi anche canto e musica. La concezione
utilitaristica della musica è già presenti nei pitagorici, nel senso
che la musica può servire nell’educazione dell’uomo. Per
pitagorici, a cui stava molto a cuore il concetto di armonia inteso
come un’unione di contrari e il concetto di numero come elemento
alla base del mondo, la natura più profonda dell’armonia e del
numero è rivelata proprio dalla musica. Se i rapporti tra i suoni
potrebbero essere espressi in numeri e se questi rapporti musicali
esprimono l’armonia della natura, la musica diventa un concetto
astratto, diventa la musica non quella eseguita, ma quella degli
astri, dell’universo, intangibile, lo studio solo teorico degli
intervalli e delle armonie. Da qui si apre con i pitagorici greci
quella frattura fra musica humana e musica mondana, tra musica
puramente pensata e musica udibile, con chiara preferenza per la
prima. Secondo i pitagorici, ancora, la musica ha la capacità di
ristabilire l’armonia turbata nel nostro animo tramite la catarsi,
una specie di medicina per l’anima, ovvero il fatto che la musica
possa scatenare, attraverso la potenza o la delicatezza dei suoni,
emozioni dentro di noi che sono quasi curativi. Il rapporto musica-
medicina è antico, ancora prima dei pitagorici. Ma il pitagorico
Damone di Oa specifica che la musica può sia educare l’uomo ma
anche correggerne alcune cattive inclinazioni, questo perché la
musica imita le virtù che si vogliono inculcare nell’animo = catarsi
allopatica. Secondo Aristotele invece la correzione del vizio si
possa ottenere solo attraverso l’imitazione dello stesso vizio da cui
l’animo di deve liberare. Perché il questo modo il vizio diventa
inoffensivo e l’animo si purifica nell’ascolto di una musica che
imitano i sentimenti che ci opprimono, (i vizi di pietà, paura,
rabbia, entusiasmo). In questo caso si parla di catarsi omeopatica.
Platone e Aristotele La musica è sempre al centro degli scritti di
Platone, anche se egli sembra oscillare fra la condanna ad arte
minore e l’esaltazione a forma suprema di bellezza. Nella
repubblica si legge però che la musica è composta da bei suoni,
bei colori, begli elementi, ma che ci allontana dall’esaltazione
della bellezza in sè. Non accenna in oltre a nessuna virtù etico-
educativa della musica, ma gli attribuisce solo l’effetto di produrre
piacere, sminuendola, e nel produrre piacere allontanerebbe i
cittadini dalla legge e dai principi dell’educazione (sembra quasi
un cattivo esempio). Platone si discosta quindi dall’interpretazione
mistica e matematica dei pitagorici, e dice che la musica è solo
una techne, cioè un arte e non una scienza. Una sua prima
valutazione nella repubblica è quindi negativa. Ci sono però
musiche buone e musiche cattive, quelle buone sono quelle della
tradizione, che posso ancora avere valore didattico ed etico,
mentre quelle cattive per Platone sono quelle del suo tempo, che
provocano solo il piacere dell’orecchio. Però Platone esalta al
massimo quella musica astratta, puramente pensata, e concepita
come la massima filosofia, e in questo si ricollega al pensiero dei
pitagorici. L’armonia della musica rappresenta quindi l’armonia
dell’universo, in grado di portare armonia anche all’animo turbato
dell’uomo. Ma questa musica non è quella degli strumenti. Platone
è così conservatore e pensa che la musica del suo tempo sia cattiva
perché lui concepisce come di valore solo la musica astratta, fatta
di un’armonia celeste e quindi già perfetta, per questo lui non
comprende le innovazioni del suo tempo, come quelle della
musica nel teatro di Euripide. Con Platone si intensifica la frattura
fra musica pensata, che si lega alla matematica e alla filosofia e
musica eseguita, considerata un’arte pratica umile e povera, ed è
all’origine della scissione fra musica e cultura che c’è ancora oggi.
È a causa di questa frattura che non ci è stata tramandata la musica
eseguita, ma solo trattati teorici sulla musica. Alcune correnti però
si sono opposte al platonismo (edonisti e epicurei), come
Democrito che afferma che la musica è vincolata solo al piacere,
non deve per forza avere valore educativo, ma che nasce dal
superfluo, è un passatempo, un piacere che ha a che fare con il
reale e non con le leggi naturali e fisiche dell’universo. Nella
politica, Aristotele riprende le posizioni pitagorico-platoniche, ma
tiene anche conto di quelle edonistiche ed epicuree. La politica è il
trattato dedicato alla vita nella polis e all’educazione del cittadino.
Egli afferma che lo scopo della musica è il piacere, ed è quindi un
ozio, che si oppone al dovere e all’attività utile nella polis. Però lui
la inserisce come materia didattica, poiché anche il riposo e il
piacere hanno bisogno di nozioni e pratiche. La musica è quindi
un modo per impiegare i momenti di ozio. Anche qui c’è frattura
fra musica ascoltata, e quindi ozio nobile degno di uomo libero, e
musica praticata, che rimane un mestiere umile. Aristotele nella
Politica si concentra poi sul valore psicologico della musica, e
indaga se essa possa influenzare il carattere e l’animo del
cittadino. Ha due teorie: da una parte quella pitagorica che
sostiene che essendo la musica armonia essa possa ristabilire
armonia in un animo turbato, dall’altro la teoria di Damone di Oa
che sostiene che le melodie imitano virtù o vizi e che quindi la
musica abbia potere educativo. Aristotele preferisce seconda
teoria. La musica in quanto arte è quindi imitazione di sentimenti
umani (che siano virtù o pregi) e da essi quindi si può imparare a
fare meglio. Il beneficio dell’ascolto può verificarsi attraverso il
processo di catarsi, anche se Aristotele non spiega in cosa consista,
anche se sembra riferirsi alla catarsi in senso omeopatico. Si
associa quindi il valore di medicina, di benessere per l’uomo,
diverso dall’idea che aveva Platone della musica. È certo che la
musica provoca benessere e piacere, quindi si lega a quel concetto
di estetica della musica che ritroviamo ancora oggi. Aristosseno,
allievo di Aristotele, compie un passo avanti importantissimo:
pone le basi per un nuovo tipo di approccio alla musica che tenga
conto, per la prima volta, della reazione psicologica ed emotiva
dell’individuo nel momento della fruizione musicale. Per la prima
volta quindi si pone l’attenzione sulla musica eseguita, non solo su
quella pensata, astratta e teorica. Secondo lui, come aveva detto
Aristotele, tutti i modi sono validi nel mondo della musica, anche
quello enarmonico. Però lui potrebbe identificarsi come lo
scopritore del valore estetico della musica, ovvero ciò che rende la
musica bella e percepibile. Oltre al valore etico e educativo, per
Aristosseno la qualità più importante è quella estetica. Da qui
parte una considerazione estetica della musica, di già che è bello
all’udito, e non più all’unica concezione moralistica della musica
(musica come etica, valore educativo nella società).

Il pensiero cristiano e l’eredità classica Nel cristianesimo, la


musica è inequivocabilmente collegata alla preghiera nella sua
forma collettiva come canto liturgico. Fino a questo punto, dal
punto di vista teorico e di riflessioni sulla musica, i cristiani
ereditano i due grandi filoni pitagorico-platonico e peripatetico.
Dal punto di vista della musica pratica ed eseguita, ereditano due
grandi filoni: uno la musica pagana greco-romana legata alle
usanze, ai riti, alle feste del mondo pagano; l’altro la tradizione del
canto sinagoga ebraico. Il mondo cristiano cerca quindi una sua
strada, un suo modo nuovo e originale di intendere la musica, per
esprimere in musica le proprie aspirazioni religiose. La musica
pagana e non cristiana diventa quindi strumento del demonio e di
corruzione, mentre la musica religiosa è musica sacra e strumento
di elevazione spirituale. I padri della chiesa attribuiscono alla
musica il valore che gli attribuivano i pitagorici, ovvero il potere
di portare armonia nell’ordine delle cose e nelle anime, e di
elevare l’uomo a dio, e che l’universo stesso sia fatto di musica (e
armonia cosmica). La musica religiosa diventa il canto di dio. Il
canto liturgico diventa anche un modo per insegnare ai fedeli i
precetti cristiani. Questi precetti pitagorici platonici e la volontà
pedagogica della musica religiosa vengono riassunti alla
perfezione dal filosofo Agostino, che nel trattato “De Musica” e
“Confessioni”. Si capisce in Agostino che oscilla sempre tra il
considerare la musica come una tentazione, uno strumento del
demonio, e il concetto che la musica sia invece uno strumento
utilissimo con effetti salutare, in grado di far assurgere il fedele al
sentimento della devozione cristiana. Nonostante tutto Agostino
afferma che concedersi il piacere di ascoltare la musica sia da
condannarsi e da vedersi come un peccato che va poi espiato. Solo
la parola pura della preghiera (con poco canto di
accompagnamento) è considerato uno strumento utile alla fede
Questa ambiguità è tipica di tutto il pensiero medievale. Anche la
frattura fra musica pensata e musica eseguita (mundana e humana)
permane il tutto il medioevo e nella prima età cristiana. Agostino
non aveva grande simpatia per i musicanti, e oscilla sempre tra il
considerare il canto liturgico come strumento utile e il dedicarsi
esclusivamente alla parola pura della preghiera. Quindi da una
parte musica come scienza teoretica e strumento di ascesi mistica,
dall’altra musica eseguita come attrazione dei sensi, suono fisico e
corporeo e quindi possibile strumento di perdizione. Questo
dualismo ci sarà fino al rinascimento. Le due interpretazioni
derivano una dai pitagorici e da Platone, l’altra da corrente di
pensiero Aristotelica ed empiristica (musica come oggetto di
piacere sensibile, musica come imitazione delle passioni).
Severino Boezio, inoltre, suddivide la musica nella famosa
tripartizione, musica mondana (concezione pitagorico-platonica),
humana, musica che riflette la musica mondana delle sfere e del
cosmo nell’unione armoniosa di anima e corpo, e Instrumentalis,
ovvero la musica praticata. Agostino e Boezio sono i due pilastri
attorno a cui si è sviluppato tutto il pensiero musicale dal
Medioevo al Rinascimento.

Parola e musica: la nascita del melodramma


Già Zarlino aveva evidenziato il problema di adattare al meglio le
parole alla musica, anche se con la prassi polifonica da lui ancora
eseguita non era facile. Il problema di avere la perfetta armonia fra
parola e musica era importante anche perché avrebbe permesso di
smuovere più facilmente gli affetti, ovvero di toccare la sensibilità
dell’ascoltatore generando grandi emozioni. Unendo alla musica la
parola, questo processo diventava più facile. (muoio disperato -
non ho amato mai tanto la vita) - per avere una perfetta armonia
fra musica e parola serve che a una determinata parola si
accompagni una musica che ne rifletta il significato. Nella
camerata dei Bardi però è il linguaggio musicale che deve
sottomettersi a quello più alto del linguaggio della parola. Di
conseguenza c’è la crisi profonda della polifonia e una chiara
polemica al contrappunto, ormai troppo severo e complicato. Al
suo posto sorge la monodia accompagnata, semplice a modello
degli antichi greci. Il medioevo polifonico viene etichettato come
barbaro, una parentesi da dimenticare. Con il rinascimento invece
ci si riallaccia alla gloria dell’antichità classica. Anche nei testi
liturgici si abbandona la polifonia per avere motivi musicali
popolari più semplici, alla portata di tutti. Diventa importantissima
la parola, e la musica deve sottomettersi sempre di più ad essa.
Queste teorie saranno dibattute in ambito umanistico dalla famosa
camerata dei bardi, tra cui Vincenzo Galilei, che traccia la nuova
convenzione razionalista della musica, derivata da considerazioni
finalmente tecniche e storiche, e non più metafisiche e filosofiche.
La monodia è più vera della polifonia perché più naturale e
consola all’animo umano, poi se a ogni intervallo musicale o
modo corrisponde un’emozione, la polifonia non poteva adattarsi,
risultava disordinata e caotica. Nella polifonia infatti regnava la
musica sulla parola, e quindi la musica non imitava gli effetti, per
cui era irrazionale e edonista. Il linguaggio musicale resta quindi
ancora non autonomo ma sottomesso alla parola. Giovanni Maria
Artusi, famoso per le sue polemiche contro Monteverdi, è l’unico
che si oppone all’abbandono della polifonia. Egli difende la
polifonia per due ragioni: è un conservatore, quindi tutto ciò che è
nuovo è un insulto alle orecchie, e poi non è d’accordo con a
concezione che la musica sia espressione degli
affetti, quindi soggetta alla sensibilità
dell’ascoltatore. Egli difende dunque la polifonia, le fughe, il
contrappunto perché sono più facilmente inquadrabili e soggette a
regole matematica. Questa battaglia era destinata alla sconfitta. In
seguito altri teorici, come Cartesio, Eulero e Rameau difenderanno
la musica come linguaggio perfettamente autonomo,
in quanto esso trova la sua ragion d’essere nei
fondamenti naturali dell’armonia tonale. Già nel
pensiero dei primi riformatori infatti, come Lutero, la musica
avvicina a Dio senza bisogno dell’intervento del testo liturgico,
ma per i suoi suoni, è capace di per sè di elevare l’uomo a dio.
Lutero afferma che bisogna istruire i giovani alla musica, in
quanto questa rende buoni e preparati. Non è presente negli scritti
di Lutero riferimento alla minaccia, portata avanti dalla Chiesa nei
secoli precedenti, che il piacere della musica potesse sviare
l’uomo, ed essere peccato. Per Leibniz la musica possiede una
salda struttura matematica, che però non si contrappone alla
sensibilità. La musica infatti è innanzitutto un percepire con
piacere i suoni: la struttura matematica della musica si manifesta
nella percezione stessa della musica nell’ascoltatore, e l’effetto di
questo calcolo matematica inconscio compito dall’anima si
avverte nel senso di piacere che si prova quando si ascoltano suoni
consonanti, e nel fastidio con suoni disossanti. Così è riassunto in
modo sublime per la prima volta il rapporto fra ragione e
sensibilità, arte e scienza. Queste teorie tornano nelle opere di
Rameau e nel ritorno della musica strumentale pura, simbolo
dell’autosufficienza del linguaggio dei suoni e nell’autonomia
della musica, che trovano massima conferma nelle opere di Bach.

Le ragioni della musica e le ragioni della poesia Dalla nascita


della monodia accompagnata e del melodramma, iniziano i
problemi sul rapporto di musica e parola, due mondi opposti
(quello della musica legata ai sentimenti, quello della parola legata
alla ragione e alla razionalità). Nasce da questo problema un
dibattito importantissimo nel 700, ovvero sulle possibilità di
convivenza di questi due linguaggi, ovvero musica e poesia in una
unica forma (melodramma). Ciò che accomuna i polemisti è la
condanna del genere melodrammatico, condanna che si accentua
quando il melodramma incontra favore e successo nel pubblico sia
aristocratico sia borghese. La polemica è del tutto morale e non
estetica, ovvero il melodramma è accusato di non essere istruttivo,
ma di dedicarsi solo al piacere e priva di un concento morale, utile
solo a dilettare l’orecchio. Non c’è niente di razionale nel
melodramma, dunque, è per i conservatori rigidamente
razionalistici questo genere deve scomparire. Musica e poesia
dunque tendono da parti opposte, una ai sentimenti e al
piacere/diletto, uno alla ragione, e sono quindi inconciliabili. Il
melodramma è contrario alla ragione e per nulla
razionale. Questa ostilità generale dei critici italiani e francesi
soprattutto ( Muratori, Alfieri, Maffei, Baretti) era anche verso la
musica strumentale, ovviamente, privo di qualsiasi razionalità.
Queste polemica sfocia poi in tre querelles: 1) Raguenet e Lecerf
de La viéville nel 1702-04: Alla fine del 700 Raguenet fa un
viaggio in Italia e vede da vicino melodramma italiano; afferma
che le opere italiane sono povere dal punto di vista letterario,
mentre quelle francesi sono più coerenti e avvincenti e si possono
rappresentare anche senza musica. Però l’opera italiana ha un
pregio superiore, ovvero la musicalità. Per la prima volta viene
riconosciuta la musica come un elemento del tutto autonomo,
indipendente dalla poesia e libera da doveri morali e intellettuali.
Gli italiani hanno quindi molla più inventiva musicale. Lecerf de
La viéville, sostenitore di Lully, risponde a sostengo dei difensori
della tradizione classica e razionalista, che ripongono fiducia nelle
opere e nel nuovo melodramma francese di Lully. La loro battaglia
è tra sentimento e ragione, tra abbandonarsi alla musica, tra
sensibilità e intelletto, e continuerà in Francia per tutto il 700.

La musica ha una mancanza di una propria storicità, forse dovuta


alla vita effimera della musica e della sua esecuzione, sempre
concentrata sul momento del presente, sull’hic et nunc. Vivere nel
presente non intrappolati dal passato e dal futuro. (carpe diem di
Orazio, concetto di fugacità della vita). La musica secondo la
teoria della ricezione, che si diffonde in Germania tra gli anni 60-
70 del 900’ in ambito letterario intorno all’Università di Costanza
in Germania, ha un destinatario quando viene creata, bisogna
soffermarsi più sul momento dell’interpretazione e delle modalità
di ascolto più che sul momento di creazione della musica, per
considerarla non più un’essenza racchiusa nel suo unico tempo,
pensata solo per il presente. Secondo questa teoria la musica è
proiettata nel futuro e nel momento in cui si offre all’interprete, sia
esecutore o ascoltatore. Dalhaus ne parlerà nel suo saggio, in cui
sostiene che la teoria della ricezione cerca di mediare tra l’infelice
dicotomia fra passato storico e presente estetico in quanto pone
l’accento sul momento in cui l’opera d’arte musicale è recepita
dall’ascoltatore. Questo proietta la musica verso il futuro e parte
così la teoria del dispiegamento, secondo cui la musica acquisisce
nuovi significati più si allontana dal momento in cui ha avuto
origine. La teoria del dispiegamento può essere anche letta in altro
modo, ossia più si allontana più il suo significato intrinseco si
dissolve. Alcuni si riferiscono alla ricezione estetica dell’arte da
parte di un ascoltatore implicito, ovvero ideale che ha tutti i
requisiti per comprendere l’opera d’arte a livello profondo, (non
attendibile perché ascoltatore ideale non esiste, è immanente
all’opera stessa) alcuni fanno riferimento all’esperienza
accumulata dal compositore, ovvero la ricezione di opere
precedenti che esercitano un influsso sulle sue opere, (secondo
approccio). Da prendere in considerazione da Dalhaus perché
prevede il tentativo di rintracciare in un’opera musicale l’impronta
della ricezione di opere anteriori da parte del compositore, ovvero
influenza di opere anteriori. alcuni fanno riferimento alla ricezione
del pubblico e all’effetto che l’opera d’arte produce sul pubblico
che reagisce a seconda di ambiente sociale in cui è inserito. (non
attendibile, marginale nel caso in cui si ammetta che le opere
posseggono un contenuto proprio di fatti e verità tali da consentire
la distinzione tra ciò che è adeguato e inadeguato. Relativo se lo
scompiglio delle 1000 ricezioni contingenti viene considerato
realtà o il vero significato dell’opera musicale. I e III approccio in
competizione. L’arte è reale secondo la teoria della ricezione in
quanto è percepita. La musica è considerata un’ arte del tempo e
non dello spazio infatti prende come propria materia il tempo. La
musica è stata poco considerata nel corso del tempo perché
richiede un altissimo grado di specializzazione tecnica al musicista
e al compositore. Per comporre la musica ci vuole un livello
educativo e di specializzazione altissimo, bisogna avere studiato
anni. Ci vuole anche un interprete all’altezza, che abbia la
delicatezza giusta per portare in vita l’opera musicale e farla
vivere al pubblico. Per quanto riguarda lo spettatore, nonostante
non ci sia un testo da seguire né uno spettacolo da poter osservare
sulla scena, la musica possiede un impatto emotivo fortissimo,
anche per lo spettatore più inesperto quindi la musica suscita
emozioni forti. Nonostante questo a causa della competenza
tecnica richiesta, la musica è stata declassata ad arte inferiore, ed è
stata considerata diversa dalle altre arti. La musica è considerato
un mestiere e il far musica un’attività servile non degna di uomo
colto e libero. Per questo i musicisti fino a Beethoven sono sempre
stati legati ad un mecenate, il quale finanziava e commissionava le
opere musicali.

Musica Mundana e Musica Humana


Diretta conseguenza della situazione di separatezza e di scarsa
considerazione di cui ha goduto la musica nel corso dei secoli, è la
separazione fra musica dei mondi e delle sfere celesti, e musica
umana e degli strumenti. La prima apprezzabile, essenziale,
perfetta, divina, avvicinabile forse solo dal filosofo, la seconda
terrena e udibile da tutti, umana, ma quindi inferiore e
disprezzabile in quanto frutto di un lavoro servile. Di fatto si tratta
dell’evoluzione della musica su due binari ben diversi, uno quello
teorico, l’altro quello pratico. Questa separazione resiste dalla
Grecia fino all’Illuminismo. Queste due evoluzioni autonome e
ben distinte sono uniche della musica. Nessun’altra arte presenta
un’evoluzione simile. I due binari si sono ricongiunti solo nel 700,
quando la musica è entrata ufficialmente nel mondo delle arti e
della cultura a pieno titolo. Da qui la musica è diventata riflessione
vera e propria sui suoni e sulle produzioni musicali di musicisti e
compositori. La musica Mundana si è allora piano piano dissolta.

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