ANDREW BARKER
PSICOMUSICOLOGIA
NELLA GRECIA ANTICA
a cura di
ANGELO MERIANI
Guida
4 Prefazione
ISBN 88-7188-989-4
Presentazione 5
PRESENTAZIONE
di
ANGELO MERIANI
PREFAZIONE
Academy, e che mi ha dispensato per tre anni dai miei consueti obbli-
ghi didattici e amministrativi all’University of Birmingham. Sono lieto
di esprimere la mia gratitudine all’Academy per il sostegno ricevuto:
senza questa preziosa opportunità, non avrei potuto portare a termine
questo progetto. Allo stesso tempo voglio ringraziare i miei colleghi di
Birmingham – e specialmente il Dr Matthew Fox – per aver sostenuto
i pesi che si sono riversati su di loro per la mia assenza.
Andrew D. Barker
Aprile 2005
Introduzione 11
INTRODUZIONE
tanto misteriosi. La musica può darci gioia, come Afrodite d’oro; può
infondere in noi coraggio, o farci perdere il senno, proprio come gli
dèi omerici possono destare lo spirito guerresco di un eroe o indurlo a
compiere azioni sciocche e insensate.
Ma d’ora in avanti lascerò da parte la poesia. A partire dal tardo
V sec. a C., queste idee radicate furono accuratamente esaminate dagli
‘intellettuali’ – teorici della musica, scienziati, filosofi e via dicendo.
Questo libro riguarda i loro tentativi di spiegare che cosa la musica è e
quali sono i suoi poteri, in che modo gli esseri umani sono influenzati
da essa e ad essa reagiscono. Ci porremo diverse domande. Che cosa
conferisce alla musica i suoi particolari poteri? Quanti e quali effetti
produce? Perché diversi tipi di musica, e il suono di strumenti musicali
diversi, ci influenzano in diversi modi? Perché le persone provano pia-
cere ascoltando la musica, e come nasce l’impulso che spinge a com-
porla e a eseguirla? È vero che un certo tipo di musica è buona per noi
e costituisce un benficio per la vita della comunità, mentre un altro
tipo no? E se è così, perché? Ci sono buone ragioni per considerare la
musica una componente centrale dell’educazione di giovani e giovanis-
simi? Come va interpretata l’impressione che la musica in qualche
modo possiede un significato suo proprio, anche quando non si ac-
compagna a parole? Ci sono somiglianze tra i modi in cui note e inter-
valli vengono connessi per dar vita alla musica, e i modi in cui elemen-
ti della nostra psiche stanno insieme per comporre la nostra vita inte-
riore, la nostra ‘anima’? Quello che tutte queste domande e molte altre
simili hanno in comune è che ci richiedono di indagare contemporane-
amente due ‘nature’ molto diverse tra loro, quella della musica e quella
dell’anima, la psychē, e di tenere insieme questi due campi di indagine,
in modo da poterne studiare le reciproche relazioni, e i modi nei quali
essi interagiscono. Questa complessa impresa intellettuale è ciò che io
chiamo “psicomusicologia”.
La via che seguiremo in questo percorso non è rigorosamente
cronologica. Cominceremo dalla più autorevole di tutte le testimo-
nianze antiche sull’argomento, quella contenuta nel III libro della Re-
pubblica di Platone, che riguarda la funzione della musica nella forma-
zione e nello sviluppo del carattere umano (capitoli I e II). Quindi,
torneremo indietro nel tempo (capitoli III e IV), alla scoperta, per
quanto ci sarà possibile, delle fonti alle quali, a quanto pare, Platone
deve aver attinto. Nel capitolo V l’indagine si proietta in avanti, sulla
generazione successiva a Platone, concentrandosi soprattutto su come
Aristotele affronta problemi simili nell’ultimo libro della Politica. Nel
capitolo VI torneremo di nuovo a Platone, stavolta per occuparci di
Introduzione 13
alcuni passi del VII libro della Repubblica e del Timeo: esamineremo
un aspetto più astratto e metafisicamente orientato del suo pensiero,
che ha significative connessioni con l’“etica musicale”, ma il cui nucleo
centrale è l’analisi matematica di un sistema di relazioni che configura-
no una struttura che è comune all’anima dell’universo, al sistema delle
stelle e dei pianeti, all’anima umana e a un modello musicale ben co-
struita. Il capitolo VII ritorna a temi di ambito etico, con l’esame del-
l’opera di due autori che trattano l’influenza della musica sull’anima
come una forma di terapia: il primo è un altro autore del IV sec. a. C.,
Teofrasto, il successore di Aristotele; il secondo è Aristide Quintiliano,
che appartiene a un periodo molto più tardo (probabilmente il III se-
colo d. C.), ma la cui opera, per quanto in molti aspetti originale, evi-
denzia forti debiti nei confronti di Platone, e, a quanto pare, mostra
anche tracce dell’influenza di Teofrasto. Nel Capitolo VIII continuere-
mo a parlare di Aristide Quintiliano, nel tentativo di collocare la sua
concezione della terapia musicale nel più ampio contesto delle sue te-
orie sulla natura dell’anima e sulle proprietà etiche della musica. L’ul-
timo capitolo, il IX, riprende il progetto delineato nel VI a partire dal
Timeo: quello cioè di stabilire, su una solida base intellettuale, se, tra la
musica, l’anima e la struttura dell’universo, esistano realmente delle
affinità, e, nel caso, quale ne sia la natura. Sul tema, prenderò in esame
due testi, in tutto o in gran parte indipendenti dalla dottrina del Timeo
stesso: l’uno è tratto ancora una volta da Aristide Quintiliano; l’altro,
di circa un secolo prima, appartiene a quel formidabile scienziato che
fu Claudio Tolemeo.
Di un argomento così aperto e ramificato è difficile immaginare
una trattazione che possa dirsi “completa”. Ma questo libro non aspira
a tanto: cerca invece solamente di individuare, in materia, qualcuno
degli aspetti più importanti, e di esaminare qualcuno dei temi di ricer-
ca e di approfondimento più significativi. Le omissioni sono evidenti.
Per citarne soltanto alcune, qui non dico nulla su diversi passi che Pla-
tone, soprattutto nelle Leggi, dedica all’argomento; non mi occupo in
dettaglio di autori (come Filodemo, Sesto Empirico, e l’ignoto autore,
vissuto nel IV sec. a. C., del frammento conservato dal Papiro Hibeh I
13) che sostengono che la nozione stessa di “etica musicale” è del tutto
sbagliata; non dico nulla delle sfuggenti concezioni di Aristosseno, il
più autorevole di tutti i musicologi greci; nulla dei commentatori dei
dialoghi di Platone (specialmente del Timeo), né dei teorici Stoici, di
Plutarco, di altri filosofi, scienziati e letterati. Spero però di aver fatto
abbastanza per mettere in evidenza una parte almeno della ricchezza di
questo affascinante intreccio del pensiero greco, e forse per indurre
14 Introduzione
qualcuno dei miei lettori a esplorarne, per conto proprio, altri percor-
si. «Tutte le facoltà della mente» dice Edward Gibbon nella sua auto-
biografia, «possono essere esercitate e messe in luce mediante lo studio
della letteratura antica»; e certamente facoltà diverse da quelle delle
quali mi sono servito io potrebbero essere impiegate con profitto per
affrontare i testi dei quali mi occupo qui. Molti di questi testi sono
stati certamente già esaminati e spiegati da altri studiosi in passato, da
vari punti di vista, e io mi sono avvalso ampiamente del loro lavoro.
Ma, a quanto ne so, non sono stati mai considerati, nel loro comples-
so, alla luce di una prospettiva di ricerca unica, che, pur attraverso vari
percorsi, mira a scoprire le relazioni tra la musica e l’anima. Se qualco-
sa di originale in questo libro c’è, nasce dalla convinzione che, nella
storia intellettuale della Grecia antica, esiste una tradizione di ricerca e
di speculazione psicomusicologica, che delinea per noi i contorni di
uno specifico campo di indagine.
Introduzione 15
PSICOMUSICOLOGIA
NELLA GRECIA ANTICA
16 Prefazione
Affinità tra musica e anima 17
PARTE I
MUSICA E CARATTERE
NELLA REPUBBLICA DI PLATONE
18 Musica e carattere nella Repubblica di Platone
Affinità tra musica e anima 19
I
AFFINITÀ TRA MUSICA E ANIMA
1
Forse queste mie osservazioni potranno sembrare esagerate. E in effetti, quan-
do Platone fa dire a Socrate che poeti più seri e rigorosi saranno bene accolti nella
comunità (398a-b), bisogna pensare che tali poeti non esistessero soltanto nella sua
immaginazione. A mio modo di vedere, gran parte dell’opera superstite di Pindaro
avrebbe forse potuto passare indenne dalle critiche che Platone aveva riservato a
Omero e ai tragici. Ma è vero anche che pochi altri poeti avrebbero potuto soddisfa-
re princìpi così rigidi.
Affinità tra musica e anima 21
sensazioni che contrastino col senso delle parole. Già solo quest’inter-
pretazione piuttosto generica implica, di fatto, che gli elementi stretta-
mente musicali di un canto non vadano considerati soltanto come
mere sequenze di suoni, ma che siano, in un certo senso, dotati di ‘si-
gnificati’ loro propri, che possono essere coerenti o non coerenti con il
contenuto etico delle parole alle quali si accompagnano. Socrate rima-
ne in debito con noi di qualche spiegazione su come delle pure e sem-
plici successioni di suoni possano ‘significare’ qualcosa: è evidente che
questi ‘significati’ non sono esattamente di quelli che si possono cerca-
re in un dizionario. Ma in questa fase l’argomentazione di Socrate non
contiene istanze strettamente teoretiche, e possiamo senz’altro conve-
nire, in via preliminare e provvisoria, che la musica di una marcia mi-
litare, per esempio, non ‘segue’ – nel senso qui richiesto da Socrate –
le parole di una ninnananna, in quanto non è adatta a esse.
A questo punto, Socrate comincia a esaminare gli elementi musica-
li uno per volta, partendo da quello che chiama harmonia. Si tratta di
un termine sfuggente, con un’ampia serie di diversi impieghi: i suoi si-
gnificati, non rigidamente distinti gli uni dagli altri, hanno contorni
piuttosto vaghi, che sconfinano nebulosamente gli uni negli altri, sicché
è spesso difficile decidere con quale di essi abbiamo a che fare, o addi-
rittura se l’autore stesso aveva in mente un significato chiaramente defi-
nito. In questo testo il termine appare per la prima volta quando Socra-
te dice che harmonia è uno dei tre elementi fondamentali del canto,
melos, insieme con parole e ritmo (398d2). Qui, probabilmente, il suo
significato è assai generico: si riferisce all’elemento della composizione
musicale che chiamiamo “melodia”, e Socrate intende semplicemente
dire che ogni canto ha un suo motivo musicale, una sua melodia. Ma
quando, più avanti, Socrate chiede a Glaucone di individuare harmoniai
che abbiano specifiche caratteristiche etiche, per decidere quali debbano
essere usate e quali no (398e1-399c4), è chiaro che non gli sta chiedendo
una lista di motivi musicali, di melodie accettabili e non accettabili: una
lista del genere, se dovessimo includervi ogni singola possibile melodia,
ogni singolo possibile motivo musicale, sarebbe virtualmente infinita.
Per raggiungere lo scopo, e poter utilizzare efficacemente la lista, è ne-
cessario un qualche parametro concettuale in base al quale le infinite
possibili diverse melodie, gli infiniti possibili diversi motivi musicali
possano essere ridotti a un numero limitato di t i p i .
E in effetti Glaucone, rispondendo alle domande di Socrate sulle
harmoniai, fornisce un elenco di poche voci, dando a ciascuna di esse
nomi come meixolydistì, dōristì e così via, ed è chiaramente sottinteso
che ogni singola melodia ricade in una o nell’altra di queste categorie.
Affinità tra musica e anima 23
2
Un esempio chiaro di quest’accezione nella letteratura precedente a Platone
è in Aristoph. Eq. 985-989. Sulle harmoniai di questo passo della Repubblica, vd. in
particolare Aristid. Quint. De mus. I 9 (18, 5-19, 10 W.-I.), un passo al quale avrò
modo di riferirmi con maggiori dettagli più avanti, e nel capitolo III. Un ottimo studio
sul valore del termine harmonia è ROCCONI 1998.
3
Vd., per esempio, Aristox. El. harm. 18, 5-19, 16 (23, 9-24, 15 Da Rios).
24 Musica e carattere nella Repubblica di Platone
4
La stessa parola harmonia appartiene a una famiglia di termini il cui signifi-
cato fondamentale è quello di “mettere insieme”, in riferimento, per esempio, al la-
voro di un carpentiere che mette insieme diversi pezzi di legno separati per formare
un’‘unità’, un prodotto singolo, come una sedia o un tavolo.
5
Vd., per esempio, 443c9-444a2.
Affinità tra musica e anima 25
6
Vd. Ptol. Harm. 65, 32; 81, 8 e 19 Düring.
7
Anche quando è usato in una metafora musicale, come nel verso 5 del fram-
mento 155 K.-A. di Ferecrate, chalaros conserva la connessione con l’allentamento
di una corda; si confrontino le immagini (non musicali) di Plat. resp. 329c7-8.
Affinità tra musica e anima 27
zionale che si può riscontrare nel carattere umano, così come un tem-
peramento caldo non ha nulla in comune con una pietanza calda. Ma
non è affatto chiaro che ‘metafora’ sia la categoria appropriata a que-
sto contesto: come vedremo più avanti, Platone ha concepito il rappor-
to fra i diversi ambiti in maniera piuttosto differente.
Ora però siamo ben avviati ad affrontare una delle questioni cen-
trali che ho individuato prima, la questione di come le strutture musi-
cali possono avere qualità etiche simili a quelle del carattere umano.
Quando Socrate comincia a parlare delle qualità delle harmoniai che
intende conservare (399a), introduce un concetto di fondamentale im-
portanza per la sua trattazione dell’argomento. Si tratta del concetto di
m i m ēs i s , “ i m i t a z i o n e ” , ben noto ai lettori di Platone per l’uso
che egli ne fa nell’esame della pittura e della poesia nel libro X della
Repubblica. In quel contesto, la complessità degli argomenti affrontati
dipende, in parte, dagli apporti teoretici della ben nota teoria delle
idee; ma nel libro III questa teoria non è stata ancora introdotta, e
quando la nozione della mimēsis musicale appare per la prima volta,
sembra scarsamente elaborata8 .
Socrate dice che andrà conservata l’harmonia «che imiti conve-
nientemente (prepontōs an mimēsaito) toni e accenti di un uomo co-
raggioso impegnato in guerra e in ogni azione rude e violenta» (399a-
b). Di seguito aggiunge che bisogna mantenere anche una harmonia
appropriata a persone che agiscono con saggia moderazione in tempi
di prosperità; e riassume dicendo che queste harmoniai «imiteranno
ottimamente (mimēsontai kallista)» i toni di persone che si trovano
nella buona e nella cattiva sorte (399b-c). Il termine phthongoi, che ho
tradotto con “toni”, è di norma adoperato in contesti musicali per
designare le “note”, ma è evidente che Socrate non parla qui di musica
che imita altra musica. Questi “toni” sono quelli del linguaggio uma-
no. Un gruppo di suoni, quello di una harmonia, ne ‘imita’ un altro,
quello del linguaggio di un uomo moderato o coraggioso. È chiaro che
un insieme di suoni ne può imitare un altro se suona in maniera simile,
così come un’immagine ‘imita’ un altro oggetto visibile apparendo si-
mile a esso. Se Socrate – come certamente fa in un passo precedente
(397a) – pensasse anche qui all’imitazione in questi termini, allora il
suo modello apparirebbe fortemente limitato e semplicistico, e certa-
mente non basterebbe a spiegare le relazioni, alle quali è interessato,
tra la musica e gli stati psichici. Il modello rappresenta bene il tipo di
‘imitazione’ che si realizza quando una terza maggiore discendente
8
Sull’argomento, utili i lavori di ELSE 1958, ANDERSON 1966, HALLIWELL 1999.
Affinità tra musica e anima 29
gne teorico della musica del V sec. a. C. I suoi metodi vengono de-
scritti in modo intenzionalmente approssimativo: Socrate, insinuando
ancora una volta di non essere un esperto di cose musicali, dice di
averlo ascoltato condurre complicate analisi di ritmi, ma di non aver
capito molto bene le sue argomentazioni. Il fatto che Socrate e Glau-
cone debbano invocare l’aiuto della competenza di Damone mostra
ancora una volta che le caratteristiche che conferiscono alla musica i
suoi significati etici risiedono sotto la superficie, a un livello che può
essere compreso soltanto per mezzo delle analisi tecniche di un vero
specialista. In questo contesto si tratta delle strutture ritmiche di base,
‘dattili’, ‘enopli composti’ e così via. Socrate, ammettendo di parlare
sulla base di un’impressione non troppo precisa, aggiunge che Damone
può forse aver lodato e criticato quelle che egli chiama le agōgai dei
piedi ritmici, così come i ritmi stessi. Il termine agōgē può riferirsi al
tempo di esecuzione, oppure ai modi nei quali i piedi vengono combi-
nati in sequenze per formare una ‘progressione’ ritmica continua9 ; in
ogni caso, si riferisce a qualcosa che sta al di sopra e oltre le strutture
di base, che Socrate chiama «i ritmi stessi» (400c2-3). Ma l’allusione è
incerta, e l’idea non viene sviluppata qui, né viene ripresa in seguito.
Quando Glaucone confessa di non essere abbastanza esperto per
rispondere alle domande di Socrate sui ritmi, Platone gli fa pronunzia-
re una frase che sembra tendere a ricordarci, come di passaggio, il con-
cetto della mimēsis musicale: «Che genere di forme ritmiche sono
mimēmata, imitazioni, di quali generi di vita», dice Glaucone, «non so
dirlo» (400a7). In realtà, questo è qualcosa di più che un semplice ri-
chiamo. Glaucone non parla qui, come prima aveva fatto Socrate, di
un insieme di suoni che ne imita un altro, né rappresenta il modello di
una successione ritmica di elementi lunghi e brevi come imitazione di
qualcos’altro che sia contrassegnato da fattori temporali misurabili. Un
ritmo è invece mimēma di uno specifico tipo di bios, uno stile di vita
distinto dagli altri per le sue caratteristiche etiche. Non vengono forni-
ti argomenti per giustificare questa supposizione, né, tanto meno, per
dimostrarne la veridicità. Ma l’uso, da parte di Glaucone, dell’espres-
sione biou mimēmata ci avverte che è possibile che siano qui in gioco
tipi di ‘imitazione’ più sottili e astratti di quello suggerito da Socrate,
anche se non sappiamo ancora con precisione di che cosa si tratti.
Il dialogo procede, e Socrate introduce nella discussione sui ritmi
una nuova coppia di termini, ma prima di affrontare il passo nel suo
9
Cf., per esempio, l’uso del termine da parte di Aristosseno in contesti sia
ritmici sia melodici: El. harm. 34, 11-17; 53, 5-11 (43, 15-19; 66, 5-9 Da Rios).
Affinità tra musica e anima 31
10
Si veda, per esempio, Aristox. El. rhythm. II 9; Aristid. Quint. De mus. I 13
(32, 6 W.-I.); II 6, (59, 31 W.-I.), e cf. II 10 (73, 28-74, 6 W.-I.).
32 Musica e carattere nella Repubblica di Platone
11
«Stile poetico» traduce lexis; «materiale verbale» traduce logos. A 392c, dove
i due termini sono nettamente distinti, i logoi di una poesia sono le parole di cui è
formata, considerate come portatori di significato, e la loro bontà o non bontà viene
giudicata sulla base delle idee che comunicano; e sull’argomento Socrate dice di es-
sere impegnato a considerare «ciò che dovrebbe essere detto» (392c2). Lexis, invece,
ha a che fare con il «come bisognerebbe dirlo» (392c8). La medesima distinzione
riappare a 398b. Nel seguito del discorso, Socrate esamina però la lexis da una sola
angolazione: non dice nulla, per esempio, a proposito della scelta delle immagini da
parte del poeta, o a proposito della necessità di sottolineare il senso delle parole con
appropriate figure di suono. Distingue soltanto tra un modo di presentazione pura-
mente ‘narrativo’, in cui la ‘voce’ che pronunzia le parole è esclusivamente quella del
poeta, e un modo ‘mimetico’ o ‘drammatico’, che si serve del discorso diretto dei
personaggi all’interno dell’opera letteraria (392e-394b). Questo secondo tipo di lexis
deve essere evitato perché, argomenta Socrate, spinge i suoi fruitori ad adottare ca-
ratteri diversi dai propri, sì da diventare persone ‘multiple’ (397d-e), piuttosto che
mantenere un’identità coerente e rispettabile. Lo stesso criterio è evidentemente alla
base del rifiuto, per esempio, delle forme ‘panarmoniche’ di musica, a 399c. Ed ecco
che, nel nostro testo, gli altri elementi musicali che ‘seguono’ buoni logoi sono quel-
li che aiutano a comunicare significati edificanti, e quelli che seguono una buona lexis
sono quelli che esprimono i tratti di eccellenza caratteriale e di ineccepibilità morale
della persona la cui ‘voce’ viene comunicata dalla musica. Ma, anche se l’accosta-
mento di logos e lexis introdotto da Socrate più avanti a 400d deve aver inteso ricor-
darci questa distinzione, Socrate stesso non lo enfatizza: e passa, nello spazio delle
sei righe seguenti, da riferimenti a «lexis e logos» alla sola lexis, a eulogia, «buone
parole» (400d6-11), senza nessuna evidente opposizione significativa.
Affinità tra musica e anima 33
12
Il termine è usato in un’accezione molto simile a 377b1-3.
Affinità tra musica e anima 35
13
Di norma, le due sottostrutture erano individuate dai teorici, a partire dal
IV sec. a. C., come una coppia di tetracordi (un tetracordo è una serie di quattro
suoni, i cui estremi abbracciano un intervallo di quarta giusta). Alcune harmoniai
erano formate soltanto da due tetracordi, per un’estensione complessiva di una set-
tima, ossia un po’ meno di un’ottava. Nelle harmoniai più frequentemente analizza-
te dai teorici, per completare l’ottava veniva aggiunto un tono, e nelle forme più
comuni il tono veniva inserito tra un tetracordo e l’altro. Talora, sebbene meno co-
munemente, le due sottostrutture di una harmonia di ottava non vengono conside-
rate come due tetracordi separati da un tono, ma come un tetracordo, che copre una
quarta giusta, e un altro gruppo di note che copre una quinta giusta. Questo sembra
essere il quadro presentato, per esempio, dal pitagorico Filolao alla fine del V sec. a.
C. (44 B 6 D.-K.).
Affinità tra musica e anima 37
14
Vd. Plat. Tim. 35b-36b: un passo che sarà più dettagliatamente esaminato
nel capitolo VI.
38 Musica e carattere nella Repubblica di Platone
15
Vd. Aristid. Quint. De mus. I 9 (18, 5-19, 10 W.-I.) Nell’harmonia dorica
presentata da Aristide, per esempio, la parte inferiore del sistema, quella che com-
prende cioè i suoni dall’intonazione più grave, è costituita, in successione, dagli in-
tervalli di tono, quarto di tono, quarto di tono, due toni, e la medesima sequenza è
ripetuta nella parte superiore, quella che comprende invece i suoni più acuti (la strut-
tura dorica descritta da Aristide abbraccia un’ottava più un tono, ossia la somma di
due quinte giuste). Nell’harmonia ionica, invece, la parte inferiore contiene la suc-
cessione quarto di tono-quarto di tono-due toni, mentre la parte superiore contiene
una sequenza del tutto differente: è formata da due soli intervalli, il più grave dei
quali è di un tono e mezzo, il più acuto è di un tono.
In che modo la musica influenza l’anima 39
II
IN CHE MODO LA MUSICA INFLUENZA L’ANIMA
Nel capitolo precedente abbiamo visto che, nel libro III della
Repubblica, i ritmi e le harmoniai sono rappresentati come ‘imitazioni’
di condizioni dell’anima. Tra un ēthos psychēs e il suo corrispettivo in
musica esistono rassomiglianze a due diversi livelli. Uno è strutturale:
una caratteristica etica dell’anima dipende dal modo in cui i suoi ele-
menti sono organizzati, e un modello organizzativo simile, «impresso
con lo stesso conio», «fuso nello stesso stampo» (402d3), governa le
relazioni tra le note e gli intervalli degli schemi di intonazione che di
quella caratteristica costituiscono l’immagine musicale. Nelle loro nor-
mali interazioni sociali, tuttavia, le persone non sono immediatamente
e reciprocamente consapevoli delle strutture delle anime degli altri; e
d’altra parte, sono pochi quelli che possiedono le capacità specialisti-
che di riconoscere forme e strutture che stanno alla base della musica
che ascoltano. Nonostante ciò, tutti sono in grado di percepire se il
carattere dei propri simili è, per esempio, accomodante e pacifico o
aggressivo, e di riconoscere le caratteristiche corrispondenti in brani
musicali. Questo fatto rimanda al secondo livello al quale la musica è
in grado di imitare il carattere, e secondo quanto si legge nella Repub-
blica questo secondo livello dipende dal primo. Le qualità del carattere
delle persone che incontriamo, e le qualità emozionali che sperimentia-
mo nella musica che ascoltiamo sono le manifestazioni concrete nelle
quali le strutture basilari dell’anima e delle harmoniai si presentano alla
nostra sensibilità etica ed estetica.
Tutto ciò è molto seducente, ma di per sé non spiega in che modo
la musica sia in grado di influenzare l’anima, e possa alterarne il carat-
tere in meglio o in peggio, come Socrate presuppone che faccia. Può
l’ascolto di musica che imita la mollezza – nel senso etico inteso da
Socrate – tendere realmente a ‘rammollirci’? e può l’immagine musica-
le del coraggio renderci coraggiosi? e se questo è possibile, attraverso
40 Musica e carattere nella Repubblica di Platone
salùbre, possano trarre giovamento da ogni cosa, onde ciò che provie-
ne dalle opere belle colpisca la loro vista e il loro udito, come un’aura
che reca salute provenendo da luoghi benefici, e fin da bambini li
conduca, inconsapevolmente, alla conformità, all’amicizia e all’armo-
nico accordo con le parole migliori? (401b1-d3).
1
È molto comune nel contesto della ricerca socratica delle definizioni, e della
teoria delle idee; vd., per esempio, Men. 72a-d, resp. 479d-e. Tutto il Parmenide è
costruito sulla stessa antitesi.
42 Musica e carattere nella Repubblica di Platone
2
Analogamente, si consideri come, a resp. 535a-539d, la fruttuosa ricerca della
verità attraverso la dialettica è fatta dipendere dall’assimilazione preliminare, non
razionale, di valori e tendenze positivi.
44 Musica e carattere nella Repubblica di Platone
testi o nelle iscrizioni. Siamo quindi indotti ad aspettarci che anche l’im-
magine che Socrate dà del mousikos sia quella di un intenditore, capace
di comprendere il significato della musica che ascolta, e che abbia molto
meno da dire a proposito delle competenze richieste a un compositore
o a un esecutore.
Le lettere sono poche, ma quando vengono adoperate nel linguag-
gio scritto si presentano in innumerevoli combinazioni differenti. Il
grammatikos esperto, dice Socrate, non se ne farà scappare neanche una,
ma riconoscerà, in ogni contesto, tutte quelle che gli si presentano (pe-
ripheromena). Nessuna va trascurata; il lettore deve rendersi conto (ai-
sthanesthai) di ognuna di esse, e individuarla con precisione. Vale la
pena sottolineare che nel discorso di Socrate nulla induce a supporre
che il grammatikos possa disporre di una lista di lettere avulse dai con-
testi nei quali vengono adoperate, una lista organizzata insomma come
un alfabeto. Una lista di questo tipo non viene menzionata, neanche
come semplice aiuto alla lettura. La descrizione del lettore competente
si concentra esclusivamente sulla sua abilità di riconoscere ogni lettera,
dovunque appaia, nelle diverse combinazioni e in esempi reali di testi
scritti, iscrizioni e così via.
Socrate fa quindi una strana aggiunta alla sua esposizione. È an-
che vero, dice (402b5-7), che noi non sapremo riconoscere le immagini
(eikones) delle lettere quando le vediamo riflesse nell’acqua o in spec-
chi, se non avremo imparato a riconoscere le lettere stesse. In effetti,
però, non si tratta di due diverse abilità, una per riconoscere le lettere
e un’altra per riconoscerne le immagini riflesse; entrambi i risultati
hanno origine dall’esercizio della medesima abilità (tēs autēs technēs te
kai meletēs). Non è chiaro perché Socrate fa queste precisazioni, dal
momento che è difficile pensare che un aspetto centrale dell’arte del
lettore possa essere quello di decifrare lettere riflesse in uno specchio.
Ci tocca di aspettare e vedere se questa precisazione abbia un signifi-
cato particolare nel contesto della similitudine con la musica.
La questione della lettura era intesa a gettare luce sul caso paral-
lelo del mousikos, al quale Socrate ora ritorna. Aveva riservato un’at-
tenzione particolare all’abilità del lettore nel riconoscere ogni singola
lettera, dovunque appaia in un testo scritto; e ci aspettiamo che ci dica
che il mousikos, allo stesso modo, debba essere preparato a individuare
tutte le singole componenti di ogni brano di musica che ascolta. Siamo
naturalmente portati a supporre che il corrispettivo musicale delle let-
tere di un testo scritto siano le note della scala: come le lettere, anche
le note della scala sono poche, ma si presentano in un’infinità di diver-
se combinazioni. È probabile che anche la diversa ampiezza degli in-
In che modo la musica influenza l’anima 45
tervalli tra una nota e l’altra possa rientrare tra gli ‘elementi’ che un
mousikos deve essere in grado di riconoscere3. Ma qui Platone ci fa una
sorpresa; le cose che un mousikos deve essere in grado di riconoscere
«in tutte le combinazioni che si presentano», non sono né gli intervalli
né le note, e neppure qualche altro elemento specificamente tecnico-
musicale. «Non saremo mousikoi» dice Socrate «né noi né quelli che
abbiamo detto di voler educare perché diventino i difensori, finché non
riconosceremo le forme (eidē) della temperanza, del coraggio, della
generosità, della magnanimità e di tutte le virtù sorelle (adelpha), e dei
loro opposti, in tutte le combinazioni che si presentano, e finché non
percepiremo la presenza loro e delle loro immagini (eikones) là dove si
trovano, senza trascurarle, nelle piccole cose come nelle grandi, con-
vinti che rientrino sempre nei domini della medesima competenza e
disciplina» (402b9-c8).
Il mousikos, dunque, non si distingue per la sua abilità di ricono-
scere note e intervalli. Il discorso di Socrate è accuratamente costruito
per sottolineare i parallelismi tra interpretazione della scrittura e inter-
pretazione della musica, e non lascia adito a dubbi sul fatto che i cor-
rispettivi etici delle lettere scritte non siano le «forme» della modera-
zione, del coraggio, e di altre simili qualità etiche. Il mousikos è dun-
que un individuo perfettamente in grado di riconoscere e s e mp i
d e l l e v i r t ù e d e i v i z i , dovunque si trovi a venire in con-
tatto con essi – ed è chiaro che, di norma, virtù e vizi risiedono nel
carattere degli esseri umani. Socrate sembra essersi allontanato un bel
po’ dai domini della musica come noi la intendiamo, e usa il termine
mousikos in un senso più ampio, metaforico, per riferirsi a persone
dotate di spiccate capacità di discernimento nel campo dell’etica. Ma in
effetti la prospettiva della musica fatta di canto e di strumenti musicali
non viene abbandonata, visto che, come già sappiamo, è proprio la
musica in questo senso a presentare le immagini o ‘imitazioni’ dei ca-
ratteri etici ai quali Socrate si riferisce. Possiamo ora capire perché
Socrate ha incluso un riferimento alle immagini nella sua descrizione
delle abilità del grammatikos. Il riferimento non ha un significato par-
ticolare in quel contesto; ma prepara il terreno per un dettaglio assai
significativo nel caso della musica. La musica, letteralmente, non può
essere coraggiosa o generosa o magnanima, ma può contenere immagi-
ni di queste virtù; e il particolare che Socrate vuole evidentemente en-
3
Paralleli tra gli elementi della melodia e quelli del discorso parlato o scritto
sono molto comuni; per esempio, vd. Plat. Phil. 17b-18d e Adrasto, citato da Theo
Smyrn. 49, 6-50, 1.
46 Musica e carattere nella Repubblica di Platone
4
Cf., in particolare, Plat. leg. 670a-671a.
5
A questo punto, sorgono alcune difficoltà a causa del fatto che la relazione
di ‘rassomiglianza’ è effettivamente una di quelle attraverso le quali Platone tenta di
rappresentare il rapporto tra un’idea e le sue raffigurazioni reali, come fa per esem-
pio nel Parmenide (132c-d), il che pregiudicherebbe la distinzione tra realtà e raffi-
gurazioni. Ma nel libro X della Repubblica (595c-599b) i prodotti di arti come la
pittura e la poesia sono imitazioni di rappresentazioni di idee, non imitazioni dirette
di idee, e le rappresentazioni di esse sono soltanto spettri irreali (phantasmata, 598b)
delle idee: e nel passo che stiamo leggendo non ci sono tracce di un approccio del
genere.
In che modo la musica influenza l’anima 47
6
Vd. 558c-562a, e cf. la descrizione della polis democratica a 555b-558c, in
particolare 557c-d.
7
Tutto il Simposio di Platone ruota attorno a questo concetto; vd. specialmen-
te 204b-c.
50 Musica e carattere nella Repubblica di Platone
ne, sono convinto che i concetti fondamentali non siano una sua crea-
zione ex nihilo: come ogni altro filosofo, per quanto eminente, Platone
costruisce su teorie e speculazioni di predecessori e di contemporanei.
Nei prossimi due capitoli torneremo indietro nel tempo, e cercheremo
di individuare, per quanto ce lo consentono le testimonianze supersti-
ti, i precedenti contributi a questo dibattito; e tenteremo anche di sco-
prire quale uso Platone ne ha fatto nella psicomusicologia della Repub-
blica.
In che modo la musica influenza l’anima 55
PARTE II
TEORIA MUSICALE PRIMA
DELLA REPUBBLICA DI PLATONE
56 Teoria musicale prima della Repubblica di Platone
Damone e i sofisti 57
III
DAMONE E I SOFISTI
1
Vd., per esempio, le osservazioni di ANDERSON 1966, p. 95.
60 Musica e carattere nella Repubblica di Platone
2
Non si può dedurre che le parole di Lachete non abbiano alcun peso come
testimonianza di idee realmente diffuse nell’Atene del V sec. a. C., sulla sola base della
convinzione che Platone avrebbe confezionato il discorso del suo personaggio all’uni-
co scopo di parodiarne l’atteggiamento sciovinistico e xenofobico da «bluff warrior»
(così ANDERSON 1966, p. 72), facendogli pronunziare soltanto battute che lo mettes-
sero in cattiva luce. Certo, è senz’altro possibile che Platone avesse qui anche un certo
intento critico: ma una battuta non viene percepita come tale se il linguaggio in cui è
formulata non è comprensibile. Come ho sottolineato, questa terminologia e questa
strategia metaforica non facevano parte del repertorio usuale di Platone all’epoca della
composizione del Lachete, e la loro presenza qui non si spigherebbe se non fossero
portatrici di significati ben noti nella cultura ateniese del V sec. a. C.
62 Teoria musicale prima della Repubblica di Platone
3
Vd. anche BÉLIS 1992, con l’interpretazione di una scena musicale raffigurata
su un vaso dal Pittore di Esiodo.
Damone e i sofisti 63
quinta giusta. Nella frigia, che Socrate nella Repubblica considera ac-
cettabile, il rapporto è chiaro quasi quanto nella dorica, ma la corri-
spondenza tra le due parti non è perfetta, cosicché, in base a questo
criterio, Lachete può legittimamente rifiutarla. E nelle altre harmoniai
non sembra esserci coordinazione alcuna tra le due sottostrutture.
Mi soffermerò più avanti a valutare l’affidabilità di Aristide: per il
momento, diamola per acquisita. Se interpretiamo le osservazioni di
Lachete alla luce della sua dottrina sulle harmoniai, considerando le
parole di un individuo come una delle due sottostrutture che costitui-
scono il suo bios e le sue azioni come l’altra sottostruttura, superiamo
le difficoltà sollevate dalla nostra prima interpretazione, e il testo di
Platone risulta più comprensibile: per questa ragione penso che questa
seconda via sia preferibile, malgrado le mie incertezze sull’affidabilità
della testimonianza di Aristide Quintiliano. Se si accetta questa inter-
pretazione, il sostrato culturale di questo testo, basato com’è su detta-
gli reconditi di analisi musicologica e non soltanto su cognizioni diffu-
se circa l’uso della musica nell’educazione tradizionale, appare profon-
damente diverso da quello del brano tratto dal Protagora. Il che fa
pensare non solo che Platone avesse familiarità con tecnicismi di que-
sto tipo quando scrisse il Lachete – tecnicismi che il Socrate della Re-
pubblica asserisce di non comprendere – ma che le analisi teoriche qui
presupposte, come anche la loro trasposizione metaforica in un conte-
sto etico, erano già ben radicate nelle elaborazioni del pensiero musi-
cale dell’Atene del tardo V sec. a. C. Si tratta di una conclusione im-
portante, e ci ritorneremo sopra.
Prima di lasciare il Lachete, dobbiamo risolvere un altro proble-
ma. È chiaro che Lachete intende comunicare il concetto che le parole
di un individuo dovrebbero essere coerenti con le sue azioni; Lachete
non può tollerare chi fa bei discorsi sull’importanza della virtù ma agisce
e si comporta da imbroglione e vigliacco: e per noi è facile essere d’ac-
cordo con lui. Ma se questo fosse tutto ciò che aveva da dire, allora
avebbe potuto esprimersi fuor di metafora, in maniera più chiara e sem-
plice, e molto meno oscura: in questo senso la sua articolata metafora
musicale appare ingiustificata, inefficace, e forse addirittura fuorviante.
Se avesse pensato soltanto a un’opposizione tra coerenza e incoerenza,
avrebbe potuto certamente farla corrispondere, in termini musicali, a
una semplice opposizione tra intonazione e mancanza di intonazione.
Ma se così fosse, il richiamo, da parte di Lachete, a strutture musicali
certamente dotate di intonazione, ma non del tutto accettabili, come le
harmoniai lidia, frigia e ionica, sarebbe del tutto fuori posto. Questi
particolari fanno pensare allora, in questo contesto metaforico, a un
64 Teoria musicale prima della Repubblica di Platone
4
Vd. WALLACE 1991, specialmente pp. 37-42.
5
Vd. Arist. Ath. pol. 27, 4; Plut. Per. 4; e cf. Plat. Alc. I 118c; Isocr. 15, 235;
per una discussione, vd. WALLACE 1991, pp. 49-50.
66 Musica e carattere nella Repubblica di Platone
6
Poco si sa di Pitoclìde, l’altro personaggio nominato da Protagora, e non c’è
modo di individuare i «molti altri» ai quali fa cenno. Lo stesso Damone non viene
nominato, perché Protagora è interessato soltanto a figure del passato (vd. 316d3-5,
anche se a 316d10-e1 si concede un riferimento a Erodico, che è ancora in vita),
mentre Damone era più o meno un suo contemporaneo, probabilmente di poco più
giovane.
7
Vd. in particolare le affermzioni attribuite a Gorgia da Platone in Gorg. 455c-
457c. Per una discussione vd. WARDY 1996, cap. 3.
Damone e i sofisti 67
8
Vd. WALLACE 1991, in particolare pp. 42-43.
68 Teoria musicale prima della Repubblica di Platone
9
Quest’ipotesi potrebbe spiegare la circospezione di Aristide nel riferirsi a
Damone in un passo successivo (80, 25-81, 3 W.-I.), nel quale dice che le informa-
zioni di cui dispone a proposito delle «harmoniai analizzate da Damone» non gli
vengono direttamente da lui, ma dai suoi seguaci (hoi peri Damōna): vd. WALLACE
1991, pp. 43-44.
10
Vd. per esempio Aristox. El. harm. 23, 3-23 (29, 14-30, 8 Da Rios).
11
Due esempi sono parafrasati nel De musica pseudoplutarcheo: 1134F-1135B
(Aristox. fr. 83 Wehrli); 1137B-E.
12
La fonte può essere stata l’opera o le opere citate da Ps. Plut. De mus. 1136C
e 1136E, oppure il trattato Sulla composizione melodica citato da Porph. in Ptol.
Harm. 125, 24 Düring, o ancora lo studio delle opinioni dei più antichi teorici della
musica ai quali lo stesso Aristosseno si riferisce in El. harm. 2, 29-30 (7, 2-3 Da Rios).
Damone e i sofisti 69
13
Sui rapporti tra Damone e hoi peri Damona vd. WALLACE 1991 e 1995.
14
Aristox. El. harm. 2, 12-15; 7, 32; 28, 1 (6, 9-12; 12, 15; 36, 2 Da Rios); cf.
BARKER 1978.
15
Stando a una testimonianza di Fainia di Ereso (fr. 32 Wehrli), il primo a usare
questi diagrammi nella pratica didattica fu Stratonico, all’inizio del IV sec. a. C.
16
Per una discussione più ampia dell’argomento, vd. WINNIGTON-INGRAM 1936,
pp. 22-30; WEST 1981, pp. 117-119; BARKER 1984, pp. 165-168. Il passo è tradotto in
inglese, con brevi note, in BARKER 1989, pp. 419-420.
70 Teoria musicale prima della Repubblica di Platone
17
Vd. p. 65, con nota 4.
Damone e i sofisti 71
18
Vd. in particolare ELSE 1958.
72 Teoria musicale prima della Repubblica di Platone
gorici, o che almeno era ben accolta tra i membri di quella scuola. È
certamente difficile rendere la proposta di Simmia coerente con la fa-
mosa dottrina pitagorica della trasmigrazione delle anime. Essa si adat-
ta bene, tuttavia, con le idee cosmologiche del pitagorico Filolao19, e
con la teoria attribuita ai Pitagorici da Aristotele, secondo la quale «tutto
l’universo è harmonia e numero» (Met. 986a). Se l’insieme ordinato
dell’intero universo è un’harmonia, o è integrato e unificato grazie all’
‘accordatura’ delle sue parti l’una con l’altra, non dovrebbe sorprende-
re che il ‘microcosmo’ di un essere vivente fosse talvolta concepito in
modo simile. Poche righe prima, Aristotele afferma infatti che i Pita-
gorici consideravano l’anima come «una particolare modificazione (pa-
thos) di numeri», espressione che probabilmente significa che l’anima,
come un’harmonia, è costituita dal rapporto, o da un complesso di
rapporti, tra aspetti quantificabili dell’essere vivente. Al tempo in cui
Platone scriveva il Fedone, il Pitagorismo esisteva già da più di un se-
colo, ed era una tradizione ramificata in pieno sviluppo, non un corpo
dottrinale unico e uniforme. Il fatto che la teoria di Simmia non sem-
bra compatibile con la dottrina della trasmigrazione non deve impedir-
ci di collocarle entrambe all’interno del complesso di idee note come
‘pitagoriche’ al tempo di Platone, anche se nessuna di esse deve essere
ritenuta proprietà esclusiva di quella tradizione, e nessuna, con tutta
probabilità, era stata originariamente concepita da Pitagora o dai suoi
seguaci.
Della lunga replica di Socrate a Simmia (91c-95a) soltanto una parte
ci riguarda qui (93a-94b). L’argomentazione di Socrate comincia dal
momento in cui i due si accordano sul fatto che nessuna anima è ani-
ma a maggior titolo di un’altra; questo sembra abbastanza ovvio. Ana-
logamente, nessuna accordatura è più o meno accordatura di un’altra:
un insieme di relazioni musicali o è un’accordatura o non lo è, e non
c’è altra possibilità. Socrate fa un’affermazione analoga nel libro I della
Repubblica (349e10-13): se uno strumento è stato correttamente accor-
dato, è assurdo per chiunque cercare di accordarlo ancora di più. Dun-
que, se l’anima è un’accordatura, nessun’anima possiede accordatura,
harmonia, o mancanza di accordatura, anarmostia, in grado maggiore
delle altre. Ora, l’eccellenza di un’anima è la virtù, e l’eccellenza di un
insieme di relazioni musicali è la loro reciproca accordatura. Donde,
nella teoria di Simmia, la virtù in un’anima consisterà in harmonia, e il
vizio in anarmostia. Ma in questo caso è impossibile comprendere come
un’anima possa possedere più virtù o più vizio di un’altra, dal momen-
19
Vd. 44 B 6 D.-K., e, per una discussione, HUFFMAN 1993.
74 Teoria musicale prima della Repubblica di Platone
IV
LA TRADIZIONE MEDICA
1
L’insistenza di Erissimaco sul fatto che harmonia è il risultato di un processo
che avviene nel tempo, a partire da una situazione nella quale gli elementi sono re-
76 Teoria musicale prima della Repubblica di Platone
Nella costituzione stessa (en autēi tēi systasei) dell’harmonia e del rit-
mo non è per nulla difficile distinguere ta erōtika, né d’altra parte vi
si trova un duplice erōs. Ma quando ritmo e harmonia si debbano usare
per gli uomini, o componendo – attività che chiamano “composizione
melodica” – o usando correttamente melodie e strutture metriche già
composte – attività che è stata chiamata “educazione” –, allora sì che
il compito è difficile, e richiede un artefice valente. E qui ritorna il
medesimo discorso (i. e. quello già fatto in relazione alla medicina):
bisogna compiacere gli individui temperanti (kosmioi) anche per far
diventare più temperanti quelli che ancora non lo sono, e custodire il
loro erōs, che è quello nobile e celeste della musa Urania. Quello della
musa Polinnia è invece volgare, e va offerto con cautela a coloro ai
quali si decide di offrirlo, sicché possa produrre il suo piacevole frut-
to senza ingenerare incontinenza (akolasia); e così anche nella nostra
arte è molto importante disciplinare attentamente i desideri stimolati
dall’arte culinaria, in modo tale che se ne possano godere i piaceri senza
ammalarsi. Come in musica, così anche in medicina e in tutte le altre
arti, umane e divine, si deve cercare, per quanto è possibile, di coglie-
re entrambe le forme di amore, visto che entrambe sono presenti in
tutte le cose (187c5-188a1).
in evidenza dall’uso del verbo diagignōskein, che ricorre anche nel pas-
so in cui si delinea un’analoga distinzione nel campo della medicina
(186c7). Con l’espressione «costituzione stessa dell’harmonia e del rit-
mo» Erissimaco intende riferirsi, con tutta probabilità, alle strutture dei
ritmi e delle harmoniai considerate semplicemente in se stesse, astraen-
do da ogni esempio concreto del loro impiego nella pratica musicale.
Gli «impulsi amorosi», ta erōtika, che il musicista scienziato distingue
in queste strutture, debbono essere le forze o gli impulsi che uniscono
in mutua amicizia gli elementi di una struttura musicale; parlando in
termini più astratti, si tratta dei principi grazie ai quali gli elementi si
integrano a formare un tutto ben connesso. Se pensiamo che la ricerca
di questi principi ha impegnato i teorici della musica per secoli, appare
straordinario che Erissimaco dica qui che sono fa c i l i da individuare.
E appare egualmente straordinario che Erissimaco aggiunga, a mo’ di
spiegazione, che in queste strutture stesse non sia attivo un «duplice
erōs». Se ne deduce che l’amore che le tiene insieme è sempre di tipo
‘ bu o n o ’ o ‘celes t e’ , e che non è mai coinvolto l’altro tipo di amo-
re. Perché Erissimaco dovrebbe abbandonare qui la sua strada per far
risaltare una sorprendente eccezione alla sua tesi di fondo, che cioè
entrambi i tipi di amore sono attivi in ogni caso e in ogni campo?
È abbastanza agevole riesporre il suo pensiero in termini più espli-
citi: in sostanza, quando una serie di note forma un’harmonia, nei rap-
porti che la configurano e nei princìpi che presiedono alla sua forma-
zione non possono assolutamente esserci scorrettezze o difetti. Se è
correttamente integrata e musicalmente strutturata, la serie di note è
un’harmonia, altrimenti non lo è. Ne discende che non può e s i s te -
re una struttura autenticamente musicale che allo stesso
t emp o sia fo r m at a in m o d o s co r r et t o o e r r one o. A questa
stessa conclusione conduceva il discorso di Socrate nel passo del Fedo-
ne che ho illustrato nel capitolo III. Ma l’affermazione di Erissimaco,
che Platone fa pronunziare al suo personaggio proprio in un punto in
cui appare pressoché inconciliabile con la teoria di fondo che gli aveva
appena fatto esporre, assume proprio per questo un’evidenza tutta par-
ticolare: segno che il filosofo era ancora seriamente impegnato con i
problemi che essa pone. Potremmo chiederci perché abbia scelto di
riproporla in questa particolare sezione del dialogo, nel contesto di un
discorso pronunziato da uno specialista di medicina. Penso che a que-
sta domanda si può trovare una risposta, e ci ritorneremo più avanti.
Secondo Erissimaco, la distinzione tra i due tipi di amore entra
nuovamente in gioco quando ritmo e harmonia vengono usati dal
musicista ‘artigiano’, sia nella creazione delle proprie composizioni, sia
La tradizione medica 79
2
Questi aspetti della teoria di Empedocle emergono molto chiaramente nel fr.
17 (31 B 17 D.-K.).
3
Vd. in particolare CRAIK 2001, con tutti i riferimenti.
82 Teoria musicale prima della Repubblica di Platone
4
Vd. 411b4: Platone cita Il. 17, 588, dove l’espressione è usata da Apollo a
proposito di Menelao.
86 Teoria musicale prima della Repubblica di Platone
5
Vd. specialmente Pherecr. fr. 155 K.-A., un testo sul quale si è molto discus-
so: vd. per es. RESTANI 1983, WEST 1992, pp. 356-372, ANDERSON 1994, pp. 127-134.
La tradizione medica 89
nata analiticamente, a l l ’ i n t e r n o d i u n m o d e l l o d i r i f e r i m e n t o
c h e n o n è i l s u o . Osservazioni sulla musica vengono rifuse in una
forma che le assorbe negli schemi di pensiero della cosmologia e della
medicina del V sec. a. C.
Alla seconda parte del passo basterà accennare brevemente. Vi si
descrive l’arte culinaria in termini esattamente analoghi alla musica;
anche qui si tratta di combinare insieme cose differenti, producendo
dagli stessi elementi cose che non sono le stesse, e così via. Fare musi-
ca, dunque, è come ‘cucinare con i suoni’ e cucinare è come fare mu-
sica con gli ingredienti che si comprano al supermercato. A quanto ne
so, è la prima volta che un’analogia di questo tipo compare nella lette-
ratura greca, anche se ce ne sono forse lontani ascendenti in Pindaro.
Riappare nel discorso di Erissimaco; e cent’anni dopo, sulla scena co-
mica, è la base di molte battute sagaci6.
Nel terzo paragrafo arriviamo finalmente alla concezione della
musica come mimesi; l’analogia con l’arte culinaria, in effetti, prepara
la strada per l’individuazione, da parte dell’autore, di quella parte del
corpo la cui attività viene ‘imitata’ dalla musica. In questo punto ci sono
difficoltà di natura testuale, ma io le ignorerò: con una sola trascurabi-
le eccezione, seguirò il testo dell’edizione Budé. Ci sono anche diffi-
coltà su alcuni aspetti dell’esegesi, e non sono affatto sicuro di poterle
risolvere. Invece di semplificarle, provo a tradurre questo brano piut-
tosto difficile il più letteralmente possibile:
6
Per es. Damox. fr. 2 K.-A., Euphr. fr. 10 K.-A., Hegesip. fr. 1 K.-A.
90 Teoria musicale prima della Repubblica di Platone
7
Un’interessante descrizione dei tentativi, in tal senso, di un principiante, è
quella di Porph. In Ptol. Harm. 83, 25-84, 5 Düring.
La tradizione medica 91
8
Passi paralleli in altri trattati del Corpus Hippocraticum sono, p. es., De se-
tim. 9; De carn. 19; vd. anche la fonte pitagorica citata da Diog. Laert. VIII 25-35
(in part. VIII 29); cf. anche Plut. De an. procr. 1017e-1018b, Aristid. Quint. 117,18-
118,18 W.-I. Diversamente da tutte queste fonti, tuttavia, il De victu non fa alcun
riferimento ai rapporti matematici che regolano gli intervalli musicali che menziona,
e può non avere alcuna relazione con la tradizione musicologica di matrice pitagori-
ca. L’assimilazione a quel contesto (avanzata da BURKERT 1972, p. 262) è fuorviante.
Il fatto che alcune caratteristiche inusuali della sua terminologia (harmonia per l’ot-
tava, di’ oxeōn per la quinta giusta, syllabē per la quarta giusta) riappaiano nel fr. 6
di Filolao non garantisce una connessione col pitagorismo; come lo stesso Burkert
riconosce (BURKERT 1972, pp. 390-91), si tratta di «early technical terms of profes-
sional musicians», e non vanno intesi come specifici di un’unica scuola di pensiero.
92 Teoria musicale prima della Repubblica di Platone
9
Il fatto che l’approccio pitagorico è discusso nel libro VII della Repubblica
(530d-531c) non deve indurci a leggere i contesti dei primi libri alla luce di quelle
teorie.
94 Teoria musicale prima della Repubblica di Platone
PARTE III
TRA ETICA, PSICOLOGIA E COSMOLOGIA:
ARISTOTELE E PLATONE
98 Tra etica, psicologia e cosmologia: Aristotele e Platone
Musica, etica e anima nella Politica di Aristotele 99
V
MUSICA, ETICA E ANIMA
NELLA POLITICA DI ARISTOTELE
1
Se ometto di parlare delle Leggi di Platone è perché, in questo libro, non
intendo affrontare tutti gli aspetti della speculazione dei Greci sulle funzioni etiche,
sociali ed educative della musica. Intendo invece studiare le idee sui rapporti tra la
musica e l’anima umana, e questi argomenti ‘psicomusicologici’ esulano dagli inte-
ressi principali delle Leggi.
2
Vd. specialmente 1342a32-b6; 1342b23-27. Un passo (1340a14-28) nel quale
Aristotele sembra in effetti mutuare dalla Repubblica sarà discusso più avanti.
100 Tra etica, psicologia e cosmologia: Aristotele e Platone
3
Per i riferimenti di Aristotele alle proprie fonti vd. Pol. 1339a26; 1340b6; b18;
b34; 1341b27-29; b33; 1342a31-32; 1342b8-9; b23-24.
Musica, etica e anima nella Politica di Aristotele 101
die e ritmi nobili, e non solo la musica di consumo, della quale posso-
no godere anche alcuni animali e la massa degli schiavi e dei bambini»
(1341a14-17). Strumenti tecnicamente difficili come l’aulos e la kithara
andrebbero esclusi dalle scuole, e ai fanciulli si dovrebbero insegnare
soltanto quegli strumenti che possano aiutarli o nel campo stesso della
loro educazione musicale o in qualche altra materia (1341a): non c’è
dubbio che Aristotele pensasse in primo luogo alla lyra con la cassa
armonica ricavata dal guscio di tartaruga, normalmente in uso nelle
scuole ateniesi.
3. La terza funzione della musica è quella di concorrere allo s v i -
l up p o d i u n b u o n car at t er e. Aristotele ammette che la tesi se-
condo la quale essa è in grado di farlo non è universalmente condivisa,
e l’argomento che offre per corroborarla è uno dei pochi elementi del
suo discorso a mostrare una chiara dipendenza da Platone. La virtù,
dice Aristotele, è una disposizione ad amare e odiare le cose giuste. È
dunque fondamentale imparare a valutare correttamente il carattere e il
comportamento, e abituarsi ad apprezzare i caratteri buoni e le azioni
nobili. Ora, la musica è piacevole; e ritmi e melodie contengono «so-
miglianze», homoiōmata, con caratteri buoni e cattivi. Se dunque ac-
quisiamo la capacità di provare attrazione per alcune di queste somi-
glianze e repulsione per altre, saremo molto vicini a provare attrazione
e repulsione per gli elementi reali con i quali la musica mostra somi-
glianze, ossia i caratteri stessi, buoni o cattivi (1340a14-28). Questo ra-
gionamento richiama fortemente alla memoria Platone (specialmente
resp. III 401b-402a), sia per l’importanza data alla formazione di cor-
retti giudizi di valore, sia per l’uso della tesi secondo la quale melodie
e ritmi sono mimēseis o homoiōmata del carattere umano. La successi-
va affermazione di Aristotele, però, non è per nulla platonica: i pro-
dotti delle altre arti, che si apprezzano con gli altri sensi, compresa la
vista, non offrono, se non molto raramente, «imitazione di qualità
morali (homoiōma tois ēthesi)», come invece ne offre la musica; e in
ogni caso, dice Aristotele, si tratta di imitazioni vaghe e pressoché inin-
fluenti sullo sviluppo del carattere (1340a28-39). Rispetto alle altre arti,
la musica gode dunque per Aristotele di uno ‘statuto speciale’: s ol -
t an to la mu si ca p r o d u ce in f at t i im it a z i oni di qua l i tà mo-
r ali ch e so n o in g r ad o d i ag ir e s u l c a r a tte r e ; e ciò implica
che le altre arti non possono avere nell’educazione del carattere una
funzione comparabile con quella della musica, ed evidenzia, per con-
verso, l’importanza fondamentale che la musica deve avere nel conte-
sto educativo. A questo punto, è chiaro che dobbiamo cercare di sco-
prire quale fattore, secondo Aristotele, distingue la musica dalle altre
104 Tra etica, psicologia e cosmologia: Aristotele e Platone
4
Sull’argomento la bibliografia è molto ampia: vd. in particolare GOSTOLI 1995,
PAGLIARA 2000 e TARTAGLINI 2001.
Musica, etica e anima nella Politica di Aristotele 105
5
Si tratta del PHibeh I 13. Due esaurienti contributi, con ampia bibliografia,
sono quelli di AVEZZÙ 1994 e LAPINI 1994.
6
Per una diversa interpretazione di questa distinzione, vd. HALLIWELL 1999,
specialmente pp. 20-21.
106 Tra etica, psicologia e cosmologia: Aristotele e Platone
7
Sul passo, vd. l’utile discussione di HALLIWELL 1999, pp. 14-21. Ci sono affi-
nità tra le distinzioni di Aristotele e una ricavabile da Tolemeo (Harm. 93, 11-94, 1
Düring), secondo la quale soltanto due sensi, la vista e l’udito possono percepire la
bellezza (to kalon). Ma la distinzione non è precisamente la stessa, e si fonda su una
base del tutto differente.
8
A me, tuttavia, pare molto probabile che il nucleo del libro XIX, che contie-
ne il brano che ci interessa qui, sia stato composto alla fine del IV sec. a. C., quando
Aristotele era ancora in vita, o pochissimo tempo dopo.
Musica, etica e anima nella Politica di Aristotele 109
re, per esempio, stimola e ‘muove’ l’organo della vista così come il suono
produce un movimento nell’organo dell’udito. Ma il nostro autore dice
che non è questo il movimento a cui pensa. Intende invece riferirsi al
«movimento che segue un tale suono». In sé e per sé, la frase è enig-
matica, ma il senso diventa subito chiaro; qui il movimento consiste
nel susseguirsi di elementi, l’uno dopo l’altro, me ntr e un br a no di
musica si dispiega nell’esecuzione: è la sequenza delle sue com-
ponenti ritmiche, e l’ordine, taxis, secondo il quale note basse e note
alte vengono organizzate in una successione temporale. In generale,
ascoltando un brano di musica noi non lo percepiamo come una serie
sconnessa di eventi isolati, ma come qualcosa di dinamico e in movi-
mento, che fluisce nel tempo. Lo percepiamo come musica solo quan-
do ci concentriamo su di esso come su un organismo che esiste nel suo
progressivo movimento da un suono all’altro, e che impiega un perio-
do di tempo per giungere a compimento9; se, al contrario, ci concen-
triamo su ognuna delle note come oggetto isolato e statico, che esiste
compiutamente in un singolo istante, come una statua o un dipinto,
noi non lo stiamo percependo come musica, ma solo come suono. L’au-
tore dice che le melodie diventano somiglianze, homoiōmata, del carat-
tere, in quanto consistono in movimenti di questo tipo; e nega una
possibilità alternativa, che cioè il carattere della musica si origini dalla
mixis, «mescolanza», ossia dalla combinazione di suoni prodotti simul-
taneamente. Combinazioni di questo tipo, sostiene, non hanno affatto
“carattere” in questo senso, presumibilmente perché non sono “movi-
menti” del tipo in questione.
E allora, quale elemento dello specifico tipo di movimento di una
melodia le conferisce il suo carattere etico, o le consente di contenere
“somiglianze” di ēthos? La spiegazione dell’autore è molto breve. «Que-
sti movimenti (kinēseis)», dice, «sono praktikai, e le azioni (praxeis) sono
sēmasia (segno o espressione) di ēthos». Quest’affermazione si può spie-
gare in due modi, a seconda di come intendiamo l’aggettivo praktikai.
Dicendo che i movimenti di una melodia sono praktikai, l’autore po-
trebbe voler dire che essi ci spingono all’azione, visto che gli aggettivi
con suffisso ‘-ikos’ hanno normalmente un significato causativo;
kinētikos, per esempio, significa normalmente “che genera movimen-
to”, “che induce movimento”, e così via. Ma in questo contesto, que-
sta possibilità non ha molto senso. Dire che la melodia spinge i suoi
ascoltatori all’azione, e che le azioni sono espressione di ēthos, impli-
9
Su questo cf. Aristox. El. harm. 38, 27-39, 3 (48, 11-18 Da Rios); Ps. Plut.
De mus. 1143F-1144C.
110 Tra etica, psicologia e cosmologia: Aristotele e Platone
10
Per es. El. harm. 8, 13-10, 10 (13, 7-15, 5 Da Rios).
Musica, etica e anima nella Politica di Aristotele 111
VI
MUSICA E COSMO: IL TIMEO DI PLATONE
E LA MATEMATICA DELL’ANIMA
1
Su questo, vd. specialmente BURKERT 1972 (1962); KAHN 2001.
2
Il più importante di tutti è il fr. 6. Per una discussione, vd. in particolare
KIRK-RAVEN-SCHOFIELD 1983 e HUFFMAN 1993.
Musica e cosmo: il Timeo di Platone e la matematica dell’anima 115
3
Vd. per es. Archyt. fr. 1 (47 B 1 D.-K.); Plat. Tim. 80a-b; Arist. De anima
419b-420b; Ps. Eucl. Sect. can. 148, 3-149, 24 Jan.
116 Tra etica, psicologia e cosmologia: Aristotele e Platone
4
Questo è vero per Archyt. fr. 1, per esempio; vd. anche Theon Smyrn. 59, 4-
21 e Schol. Plat. Phaed. 108d4. Ci sono molti altri paralleli in autori più tardi.
5
Duris FgrHist 76 F 23. La più completa e chiara descrizione del monocordo
e dei suoi usi è negli Harmonica di Tolemeo, vd. specialmente I 8; II 12-13.
6
Sulla consonanza come “mescolanza”, “fusione”, vd., per es., Plat. Tim. 80b,
Arist. De sensu 448a (cf. 447a-b), Ps. Eucl. Sect. can. 149, 17-20 Jan. Sulle ampiezze
degli intervalli consonanti, vd. per es. Aristox. El. harm. 19, 30-21, 19 (25, 5-27, 13
Da Rios).
Musica e cosmo: il Timeo di Platone e la matematica dell’anima 117
musica nel contesto del pensiero pitagorico deriva, almeno in parte, dal
semplice fatto che le relazioni matematiche all’origine della coerenza e
della bellezza della musica possono essere individuate piuttosto facil-
mente, mentre è molto meno diretto, per esempio, l’accesso ai modelli
di ordinamento che regolano il movimento delle stelle, le relazioni
tra le parti di un corpo sano o tra gli elementi costitutivi – quali che
siano – di un’anima virtuosa e felice. Tuttavia, una volta definite le strut-
ture matematiche che presiedono alle intonazioni musicali, il salto spe-
culativo che le t r as f er is ce in ambiti differenti, e conduce quasi im-
mediatamente a concezioni dell’“armonia” cosmica o psichica basate
sugli stessi rapporti matematici – o sistemi di rapporti matematici – è
irresistibile. Il prodotto più noto di questa linea di pensiero è il con-
cetto di “armonia delle sfere”, che è rimasto l’elemento chiave nell’astro-
nomia scientifica per più di duemila anni, raggiungendo il culmine del-
la sofisticazione nella magnifica Harmonice Mundi di Johannes Kepler,
all’inizio del Seicento7.
4. Le testimonianze in nostro possesso fanno ritenere che la co-
noscenza dei tre rapporti fondamentali e l’interesse per il loro signifi-
cato possono anche risalire a Pitagora in persona. È molto probabile
che i Pitagorici più antichi fossero anche in grado di fare il semplice
calcolo aritmetico che mostra come l’intervallo che costituisce la diffe-
renza tra una quinta giusta e una quarta giusta è rappresentato dal rap-
porto 9:8; e anche questo intervallo, che è noto come “tono” (tonos o
toniaion diastēma), ha una funzione importante nell’analisi musicale dei
Greci. Non abbiamo notizia, invece, di tentativi di definire matemati-
camente la struttura di u n ’ a c c o r d a t u r a c o m p l e t a ( h a r m o n i a ) ,
prima d egli ult im i an n i d el V s ec. a . C . , quando Filolao de-
scrisse un sistema musicale molto lineare dell’estensione di un’ottava
(fr. 6). Anche in questo caso, però, gli unici rapporti matematici indi-
viduati sono quelli delle tre consonanze primarie e del tono; e sebbene
Filolao riconosca che il sistema da lui descritto comprende anche un
altro intervallo, più piccolo del tono (da lui chiamato diesis), non ne
indica il rapporto matematico. (Questo rapporto, noto a Platone8, è
256:243, ed è molto meno semplice di quelli relativi agli altri interval-
li.) Tra le descrizioni matematiche veramente complete di schemi di
accordatura (harmoniai), le più antiche a essersi conservate sono quelle
di Archita, contemporaneo e amico di Platone9.
7
Per una traduzione inglese, vd. KEPLER tr. AITON e altri 1997, e cf. FIELD 1988.
8
Vd. Plat. Tim. 36b.
9
Le divisioni armoniche di Archita sono registrate da Tolemeo (Harm. I 13,
con ulteriori commenti in I 14).
118 Tra etica, psicologia e cosmologia: Aristotele e Platone
Negli strati più antichi della teoria musicale pitagorica c’è un al-
tro vuoto significativo. Sembra che i primi Pitagorici fossero molto
impressionati dalla semplicità dei tre rapporti matematici fondamenta-
li: in essi compaiono, in sequenza, soltanto i primi quattro numeri, che,
dovunque si trovino, presiedono a forme armoniose di ordine, e la cui
somma è il numero perfetto 10 (1+2+3+4=10)10. Ma, a quanto pare,
queste proprietà dei rapporti musicali – proprietà che noi diremmo
‘strettamente matematiche’ – n o n d iv en ne r o uno s pe c i fi c o og -
getto d i stu dio in am b it o m u s icale fi no a l I V s e c . a . C . ,
ancora una volta nell’opera di Archita; e i più antichi tentativi di indi-
viduare i principi di tipo ‘strettamente matematico’ che governano le
strutture musicali in quanto tali, e le distinguono dalle sequenze casua-
li di suoni, si basarono appunto sulla dottrina delle tre medie matema-
tiche – corrispondenti a tre forme di proporzione matematica – elabo-
rata da Archita11.
A questo punto, possiamo dedicarci all’argomento principale di
questo capitolo. Nel libro VII della Repubblica Socrate descrive le cin-
que discipline matematiche che i futuri filosofi, staccati dal mondo
confuso dei sensi, devono padroneggiare per abituarsi al pensiero astrat-
to e per muovere i primi passi verso la comprensione della verità e del
bene. Per il raggiungimento di questo scopo finale, il possesso delle
scienze matematiche non basterà: sarà necessario anche un superiore
livello di esercizio nella pratica dell’argomentazione filosofica, che Pla-
tone chiama “dialettica”. Le discipline matematiche, tuttavia, sono un
preliminare essenziale alla dialettica, e non solo per il loro carattere
astratto e per la loro proprietà di indurre norme di ragionamento rigo-
roso. L’altra loro caratteristica, che più pressantemente le raccomanda,
è che se vengono coltivate nel modo giusto, le conclusioni alle quali
conducono, oltre a essere vere, sono anche utili alla comprensione del
bene, che rappresenta appunto l’obiettivo finale. Questo punto è tal-
volta trascurato, eppure merita di essere messo in evidenza. Le acqui-
sizioni raggiunte grazie alla matematica sono vere; ma forse è ancora
più significativo il fatto che le verità che la matematica consente di
formulare esprimono anche aspetti della natura del bene e della perfe-
zione. Ma di per sé, la sola matematica non può darci la piena com-
prensione dell’essenza di questa “natura”, e non può condurci a capire
come la verità delle acquisizioni raggiunte grazie a essa ha il suo fon-
10
Vd. per es. Sext. Emp. Adv. Math. 7, 94-95.
11
Le tre medie sono esposte in Archyt. fr. 2 (47 B 2 D.-K.) Per le loro appli-
cazioni alle divisioni di Archita, vd. BARKER 1989, pp. 46-52; 1989a.
Musica e cosmo: il Timeo di Platone e la matematica dell’anima 119
12
Vd. Plat. resp. VI 507a-511d (in particolare 510c-511c), VII 528e-534e; cf.
BARKER 1994.
13
Per i Pitagorici, vd. VII 530e1-531a3, 531b7-c4; per gli ‘empirici’, 531a4-b6.
14
Per una discussione, vd. BARKER 1978, MERIANI 2003, pp. 83-119.
120 Tra etica, psicologia e cosmologia: Aristotele e Platone
15
Vd. in particolare MOURELATOS 1980, 1981.
16
È chiaro dalle prime pagine del Timeo (17a-19b) che il dialogo è concepito
come una continuazione della Repubblica.
Musica e cosmo: il Timeo di Platone e la matematica dell’anima 121
17
È un argomento frequentemente discusso da commentatori antichi e moder-
ni. Per alcune brevi note esplicative, vd. BARKER 1989, pp. 58-61. Un valido contri-
buto recente, da una prospettiva insolita, è quello di ZEDDA 2000.
18
ZEDDA 2000, p. 31, illustra chiaramente questa fase della costruzione.
122 Tra etica, psicologia e cosmologia: Aristotele e Platone
19
BARKER 2000.
Musica e cosmo: il Timeo di Platone e la matematica dell’anima 125
cui sede, nella fisiologia del Timeo, è nell’addome, nei pressi del fega-
to. Nel corso di questo processo di trasmissione, i movimenti diventa-
no suoni o, più specificamente, note: i movimenti più veloci diventano
note acute, i movimenti più lenti diventano note gravi. Questo vuol
dire che, prima di attraversare il corpo, sono semplicemente movimen-
ti, più o meno veloci: il loro status di “suoni” e “note” con determina-
te intonazioni riguarda la nostra percezione di essi, non tanto una qual-
che loro caratteristica oggettiva intrinseca. Tutto ciò si ricava abbastan-
za facilmente dalla lettura di 67a-c (vd. anche 79e-80b). Il passaggio
successivo della mia ricostruzione, invece, è più rischioso.
La parte dell’anima che ha sede nell’addome è totalmente irrazio-
nale, e non può essere influenzata da considerazioni intellettuali – di
tipo matematico, per esempio. Ecco perché non comprende né apprez-
za le strutture ben proporzionate insite nei modelli di movimento e di
intonazione. Gli stimoli che possono agire su di essa sono “immagini”
(eidōla) e “apparizioni” (phantasmata). Impulsi e messaggi che proven-
gono dalla sede dell’anima razionale, nella testa, devono dunque essere
trasformati in immagini di questo tipo prima di essere ricevute dalla
parte dell’anima che registra le sensazioni e avverte piacere e dolore.
L’organo responsabile di queste trasformazioni è il fegato, dalla cui
superficie i segnali che provengono dalla testa vengono riflessi, quasi
come da uno specchio, sotto forma di eidōla e phantasmata, a volte
piacevoli, a volte terrificanti20. Gli “stolti” non possono elaborare que-
sti messaggi a un livello superiore a quello che le immagini comunica-
no direttamente. Ma gli impulsi che generano le immagini non si fer-
mano qui; compiono invece un percorso circolare, che ritorna alla te-
sta, la sede occupata dalla parte razionale dell’anima, da dove erano
partiti. Se quest’apparato razionale è in buone condizioni operative, ed
è stato appropriatamente esercitato nella teoria musicale matematica, è
in grado di interpretare i segnali che riceve come modelli di movimen-
to intelligibili. Li riconoscerà come «imitazioni dell’harmonia divina»,
ossia, della struttura musicale e matematica dell’anima del mondo21.
20
Oggi potremmo pensare a questo processo in termini di “input” e “output”,
in analogia col funzionamento del computer. I segnali entrano nella macchina come
serie complesse di impulsi elettronici, che sarebbero privi di significato per noi se li
ricevessimo esattamente in quella forma. Possiamo ricavarne un senso soltanto se sono
“riflessi” a noi, attraverso lo schermo del monitor, come “immagini”, eidōla e phan-
tasmata (ossia, come icone o simboli scritti), o attraverso i diffusori acustici sotto
forma di parole o musica.
21
La base di questo ragionamento è in Tim. 70d-72d, dove non si fa riferimen-
to alla musica, e in 79e-80b.
126 Tra etica, psicologia e cosmologia: Aristotele e Platone
li immaginati nei libri III e VII della Repubblica. Anche in quei testi,
nella prima fase dell’educazione, la musica influenza l’anima a un livel-
lo non razionale, sotto forma di “immagini”, mentre nella seconda fase
le strutture di base, che ‘codificano’ queste immagini, vengono decodi-
ficate da una mente allenata nell’analisi musicale matematica. Almeno
da questo punto di vista, le idee musicali della Repubblica e del Timeo
sono intimamente connesse, anche se i dettagli delle loro corrispondenze
sono troppo complessi per essere esaminati qui.
Nella generazione successiva a Platone, agli elementi matematici,
di matrice ‘pitagorica’, fu data nuova enfasi nell’opera di Senocrate e
Speusippo. Questa dottrina riaffiorò nel I sec. a. C., e la sua influenza
si estese, più o meno a partire dal I sec. d. C.; e per secoli a venire la
forma prevalente del platonismo si sviluppò attorno a concetti mate-
matici. Alcuni autori di questo periodo venivano chiamati, o si profes-
savano, “platonici”, mentre altri erano “pitagorici”: ma la distinzione è
poco più che nominalistica. Tutti condividevano un fondo comune di
idee e di metodi di analisi, al centro del quale c’era la teoria musicale
matematica22. All’interno di questa tradizione, il testo platonico chiave,
che generò un dibattito incessante, fu proprio il Timeo, inteso talora
come espressione di dottrine originali di Platone stesso, talora come
testimonianza di insegnamenti del pitagorico Timeo di Locri: e le pagi-
ne che furono studiate con maggiore attenzione furono proprio quelle
sulla costruzione dell’anima del mondo. Armati di tecniche aritmetiche
più o meno sofisticate, e di vari modelli matematici di analisi musicale,
i commentatori non si sono mai stancati di esplorare le complessità di
questo testo. Agli studiosi moderni di Platone il dispendio di energie
intellettuali su queste quattro pagine di greco appare certamente spro-
porzionato, ma la spiegazione si trova nel Timeo stesso. La terapia, dice
Timeo, è sempre un processo che a ciascuno dà «nutrimenti e movi-
menti» che più gli si adattano. «Ora, i movimenti affini a ciò che di
divino c’è in noi sono i pensieri e i moti circolari dell’universo. Sono
questi, dunque, i movimenti che ciascuno di noi deve seguire, correg-
gendo quelle orbite che quando siamo nati hanno subito deviazioni nella
nostra testa, studiando a fondo le harmoniai e i movimenti circolari
dell’universo, e rendendo simile, così, in accordo con la sua natura
originaria, il contemplante al contemplato; chi abbia raggiunto quest’as-
similazione avrà raggiunto lo scopo dell’ottima vita che fu proposta dagli
dèi agli esseri umani, sia per il presente sia per il tempo a venire» (90c7-
22
Utili discussioni su questi argomenti in DILLON 1977 e KAHN 2001. Per ul-
teriori approfondimenti, vd. la bibliografia di Kahn.
128 Tra etica, psicologia e cosmologia: Aristotele e Platone
d7). Era questa dunque la sfida alla quale i successori di Platone ri-
spondevano. Non fa meraviglia, perciò, che la sezione sulla struttura
dell’anima del mondo esercitasse su di loro un’attrazione così potente:
se fossero riusciti a scandagliare le profondità di questo mistero, le loro
anime avrebbero potuto riecheggiare ancora una volta la divina armo-
nia, ed essi avrebbero raggiunto la perfezione.
Musica e cosmo: il Timeo di Platone e la matematica dell’anima 129
PARTE IV
MUSICA, TERAPIA E COSMO: TEOFRASTO,
ARISTIDE QUINTILIANO, CLAUDIO TOLEMEO
130 Musica, terapia e cosmo: Teofrasto, Aristide Quintiliano, Claudio Tolemeo
Terapia musicale in Teofrasto e in Aristide Quintiliano 131
VII
TERAPIA MUSICALE IN TEOFRASTO
E IN ARISTIDE QUINTILIANO
1
Nella lista di Diogene Laerzio V 42-50 è elencata un’opera in tre libri sulla
musica, una in un libro sulla teoria musicale e una, pure in un libro, sui musicisti,
ma anche scritti su feste, poesia, metrica, recitazione, educazione, astronomia e nu-
meri: e ognuno di questi testi avrebbe potuto contenere osservazioni di argomento
musicale. In generale, sulle testimonianze supersiti, vd. LIPPMANN 1964, pp. 156-165
(lavoro un po’ datato, ma ancora utile).
132 Musica, terapia e cosmo: Teofrasto, Aristide Quintiliano, Claudio Tolemeo
2
Quella di D. N. Sedley, pubblicata nell’edizione di Fortenbaugh.
Terapia musicale in Teofrasto e in Aristide Quintiliano 133
alla musica poteri etici, e che anche se non le rifiutava del tutto, scelse
di non aderire in pieno a quella linea di pensiero. Non è che per Teo-
frasto la musica non avesse alcun potere psicologico, o che avesse po-
teri psicologici del tutto trascurabili, come più tardi ritenne Filodemo;
vedremo però che le teorie di Teofrasto hanno poco o niente a che fare
con l’educazione e con il miglioramento del carattere umano.
A quanto pare, Teofrasto era interessato a comprendere le ragioni
per le quali gli individui producono musica, e in particolare che cosa li
spinga a cantare. Stando a un passo di Plutarco (Quaest. conviv. I 5),
Teofrasto sosteneva che la musica può avere origine da tre principi o
fonti (archai) che hanno sede nel nostro intimo. Si tratta di tre diversi
tipi di emozione: dolore, piacere e ispirazione estatica (enthousiasmos);
e ognuna di esse, ci viene detto, «altera la voce modificandone l’accen-
to normale» (n. 719a F.). Alla base dell’affermazione di Teofrasto c’è
forse un’osservazione del tutto ovvia: anche Aristosseno nota, per in-
ciso, che, quando ci si trova in condizioni di tensione emozionale si
tende a passare a una forma ‘melodica’ di espressione3. Ma Teofrasto
sviluppa l’idea in termini di molto più ampia portata: per lui l’emozio-
ne è la fo n te o r ig in ar ia ed es s en z iale del nostro impulso a can-
tare, e non soltanto una condizione accidentale che occasionalmente
conferisce alle nostre emissioni vocali una caratteristica quasi melodi-
ca. Siamo in grado di precisare un po’ meglio quest’idea. Alla fine del
lungo frammento teofrasteo citato da Porfirio, e da me richiamato al-
l’inizio, c’è una frase che merita la nostra attenzione. La natura della
musica, dice Teofrasto, è una: è «il movimento dell’anima che si origi-
na in corrispondenza con il suo liberarsi dai danni causati dalle emo-
zioni; se questo movimento non esistesse, non esisterebbe neppure la
natura della musica» (n. 716, 130-132 F.).
Ora, questa non è un’osservazione come un’altra su una delle
tante proprietà della musica, ma un’affermazione precisa, che riguarda
la sua stessa n at u r a es s en z iale. Qui la musica non è soltanto
un’espressione di emozioni, come nel brano teofrasteo citato da Plu-
tarco (n. 719a F.): si tratta invece di un movimento dell’anima che l i -
bera dagli eccessi emozionali. Far musica, dunque, è una sorta di
psico terap ia: è il modo dell’anima di curare se stessa dai “danni”
emozionali ai quali è esposta. Teofrasto chiarisce che la musica a cui
pensa è costituita da costruzioni melodiche in senso stretto, e non da
urli e lamenti indeterminati e perciò musicalmente irrilevanti. All’ini-
zio dello stesso brano, osserva quanto straordinariamente accurato sia
3
El. harm. 9, 29-33 (14, 17-19 Da Rios).
134 Musica, terapia e cosmo: Teofrasto, Aristide Quintiliano, Claudio Tolemeo
4
Come ho notato nel capitolo precedente, nel Timeo il tipo di “terapia” che la
musica è in grado di fornire è alquanto inusuale. Soltanto nella sua ultima opera, le
Leggi (790d-791b), Platone sembra in effetti introdurre un concetto di terapia musi-
cale comparabile con le idee che si trovano nelle opere dei suoi successori. Sul brano
citato, vd. PAGLIARA 2000, pp. 202-203, che dà in nota ulteriori riferimenti.
136 Musica, terapia e cosmo: Teofrasto, Aristide Quintiliano, Claudio Tolemeo
suonare l’aulos in direzione del paziente, «guarisce sia la sciatica sia l’epi-
lessia». Il testo continua poi raccontando la storia di un tale che, al
suono della salpinx, si abbandonava sconvolto a grida indecorose, e
veniva addirittura colpito da attacchi di pazzia quando lo strumento
veniva impiegato per eseguire musica militare: l’uomo fu guarito da Ari-
stosseno, il quale «lo introdusse a poco a poco al suono dell’aulos, e
con questa graduale iniziazione lo mise in grado, si può dire, di sop-
portare anche il suono della salpinx» (n. 726A F.). Purtroppo, il testo
dell’ultima parte del passo di Apollonio è corrotto, e non possiamo
sapere con sicurezza se il racconto di quest’episodio della vita di Ari-
stosseno, ammesso che risponda a verità, vada attribuito a Teofrasto, o
allo stesso Apollonio. Per di più, generalmente quest’autore non è il
più attendibile dei testimoni; ma in questo caso, la prima parte del suo
testo sembra contenere una citazione diretta dal trattato Peri enthou-
siasmōn di Teofrasto (l’opera citata anche da Ateneo), e non c’è ragio-
ne di dubitare che Teofrasto considerasse la musica come rimedio effi-
cace per molte e diverse malattie.
L’attenzione dedicata da Teofrasto al potere della musica di alle-
viare la sofferenza, sia fisica sia mentale, è documentata anche da altre
testimonianze. La fame, per esempio, può essere «scacciata», come egli
dice, dal piacere di ascoltare un canto; e cantare può alleggerire la fati-
ca del lavoro (nn. 555, 552a-b F.). Ma questi sono temi ben noti, ripe-
tuti da vari autori. La tesi che la musica può curare le malattie del corpo
è molto più sorprendente, e so che alcuni studiosi sostengono che è
così primitiva e ingenua, che nessun personaggio della cultura di un
Teofrasto avrebbe potuto in alcun modo credere nella sua validità. Come
il termine kataulēsis, che ricorre nel testo di Apollonio, quest’idea ap-
parterrebbe, secondo le supposizioni di questi studiosi, al dominio del
folclore e della magia popolare, e sarebbe del tutto estranea all’equili-
brata razionalità della medicina, della scienza, della filosofia. Ma si tratta
di una visione assurdamente riduttiva, e non solo perché non è corret-
to proiettare all’indietro nel IV sec. a. C. le nostre nozioni ‘accademi-
che’ su ciò a cui è probabile che una persona intelligente e colta dei
nostri tempi possa o non possa prestar fede. Ciò che qui è interessante
osservare è che, stando ad Apollonio, Teofrasto, dopo aver menziona-
to “anima” e “corpo” separatamente, non fa precise distinzioni tra
malattie psicologiche e malattie fisiche, e almeno due delle patologie
che nomina – svenimento ed epilessia – potrebbero a ragione essere
considerate appartenenti all’una così come all’altra delle due categorie.
In realtà, nella trattazione di Teofrasto non dovremmo aspettarci di
trovare un confine che le delimiti chiaramente. Simplicio, citando di-
Terapia musicale in Teofrasto e in Aristide Quintiliano 137
ti. Qui Aristide sembra superare d’un balzo un vuoto non colmato dalle
nostre testimonianze sulle teorie di Teofrasto: come collegare l’affer-
mazione di Teofrasto che alcune emozioni inducono gli individui a
cantare, con la sua tesi che queste stesse emozioni possono essere cu-
rate, in quegli individui, grazie alla musica eseguita da altri con finalità
terapeutiche? Aristide lascia intendere che la connessione è stretta,
poiché sostiene che s o lo le em o z io n i che s pi ng ono a c a nta r e
rispondono al trattamento della therapeia musicale. Vediamo come pro-
segue nella sua argomentazione.
Il punto successivo è che alcune emozioni sono troppo forti per
essere curate dalle sole parole; non riusciamo a distogliere gli individui
dall’ebbrezza suscitata da un piacere intenso soltanto parlando loro, né
possiamo usare le sole parole per curare un intenso dolore, o per libe-
rare dai turbamenti e dai timori irrazionali nei quali possono essere
indotti dall’enthousiasmos. Ma questi eccessi emotivi possono essere
portati a guarigione per mezzo della terapia musicale. All’inizio, ek
prosagōgēs – un altro termine teofrasteo (n. 726a, 11 F.) – i pazienti
non sono consapevoli della sua efficacia, ma la musica li conduce gra-
dualmente a uno stato mentale più equilibrato. È a questo punto che
Aristide ritorna al rapporto tra le fonti emozionali e l’efficacia curativa
della musica: «Un individuo che sia sotto l’influenza modesta di qual-
cuna di queste emozioni, fa musica spontaneamente, mentre uno che è
in preda a un’emozione non temperata (akraton) [ossia estremamente
intensa], potrà essere ammaestrato mediante l’ascolto, perché un’anima
soggetta a disturbi eccessivi non può ricavare benefici se non attraver-
so quegli impulsi grazie ai quali essa stessa agisce quando ne è condi-
zionata solo moderatamente» (58, 23-28 W.-I.).
A questo punto possiamo capire perché Aristide dice che la mu-
sica può essere efficace soltanto contro quelle emozioni che ci spingo-
no esse stesse a cantare. Emozioni moderate di questo tipo generano
da sé le proprie guarigioni, esprimendosi e liberandosi nel canto. Ma
quando queste emozioni diventano eccessivamente intense, la loro ca-
pacità di stimolare il canto e di guarire se stesse è evidentemente bloc-
cata – Aristide non spiega perché – e hanno bisogno di un aiuto ester-
no, indirizzato attraverso l’organo dell’udito. La musica introdotta per
questa via deve essere d ello s t es s o t ip o di quella che l’anima stessa
avrebbe usato per curare le proprie afflizioni più modeste; e può essere
benefica soltanto perché replica il processo che in quegli altri casi por-
ta al loro naturale rimedio.
Una conseguenza di questa posizione è che le emozioni diverse
da quelle dalle quali ha naturalmente origine la pratica musicale – pia-
Terapia musicale in Teofrasto e in Aristide Quintiliano 139
5
Vd. LASSERRE 1954, p. 63,
142 Musica, terapia e cosmo: Teofrasto, Aristide Quintiliano, Claudio Tolemeo
Musica e anima in Aristide Quintiliano 143
VIII
MUSICA E ANIMA IN ARISTIDE QUINTILIANO
re degli individui, così lo sono anche quelle che Aristide chiama le loro
ennoiai, le loro «concezioni» (67, 15-16 W.-I.). La nozione di ennoia è
fondamentale nel seguito del discorso. Qui non la posso esaminare
approfonditamente1, ma, semplificando al massimo, si può dire che in
Aristide il termine ennoia equivale all’incirca a “atteggiamento valuta-
tivo”. Quando due individui guardano la stessa cosa, o sentono lo stesso
suono, non ci sono differenze oggettive tra le cose che si offrono alla
percezione di ciascuno di loro. Ma è possibile che ognuno di loro per-
cepisca quelle stesse cose in modo differente dall’altro. Un colore che
uno dei due vede luminoso e allegro può colpire l’altro come sgrade-
vole e volgare, e un suono o una melodia che a uno sembra dolce e
piacevole può indurre l’altro a tapparsi le orecchie per il disgusto (cf.
67, 16-23 W.-I.). Ciascuno di loro ha in mente una diversa “concezio-
ne” dei diversi fenomeni, e la porta con sé, già formata, prima di fare
esperienza di essi. Queste concezioni non sono neutrali, ma comporta-
no atteggiamenti valutativi che si riferiscono ai fenomeni in questione,
sicché, quando questi passano attraverso il filtro percettivo della con-
cezione che l’anima ha di essi, vengono subito percepiti come buoni o
cattivi, desiderabili o ripugnanti. Nei capitoli 9 e 10, parlando delle
tecniche poetiche, Aristide considera procedimenti stilistici quali la
metafora e la similitudine come s t r u m en t i pe r modi fi c a r e le con-
cezioni attraverso le quali oggetti o azioni vengono percepiti, e indur-
ci, così, a valutarli in modo differente. Omero, per esempio, in tre passi
diversi, usa espressioni molto diverse tra loro per riferirsi all’atto di fare
l’amore, sicché in uno di essi siamo indotti a considerarlo come vergo-
gnoso, in un altro come legittimo e buono, e nel terzo come né degno
di lode né di biasimo (70, 20-71, 5 W.-I.).
È questo il punto realmente importante. Le nostre anime, grazie
alle loro stesse peculiarità, ci predispongono a particolari modi di per-
cepire le cose, e a cedere a particolari emozioni. Ma i loro modi di
percepire possono essere modificati per mezzo dell’arte. Un’arte che
riflette o rappresenta tratti indesiderabili del carattere, o che genera
emozioni dannose, può alterare in peggio le nostre concezioni e i no-
stri atteggiamenti; ma, sempre per mezzo di tecniche artistiche – e in
special modo musicali – è invece possibile alimentare, rafforzare e mi-
gliorare i tratti utili e positivi delle nostre disposizioni interiori.
La terza parte del discorso di Aristide sull’anima viene quasi alla
fine del libro, al capitolo 17. Non lo considererò in questa fase del mio
discorso perché, come ho detto, ogni passaggio dell’argomentazione è
1
Alcuni aspetti della questione sono discussi in BARKER 1999.
Musica e anima in Aristide Quintiliano 147
2
Molto chiara la formulazione di Anon. Bell. 77.
148 Musica, terapia e cosmo: Teofrasto, Aristide Quintiliano, Claudio Tolemeo
tere dipinte su un vaso degli inizi del V sec. a. C.3 Aristide lo descrive
schematicamente (79, 26-80, 6 W.-I.), non spiega diffusamente che cosa
sia e a che cosa serva, e sembra dare per scontato che i suoi lettori sap-
piano già di che cosa si tratta. Sembra verosimile, anche se non possia-
mo darlo per certo, che ai suoi tempi questo sistema venisse usato re-
golarmente nelle scuole. Aristide sembra dare per scontato anche che
la vocale associata con ciascuna nota non sia stata scelta arbitrariamen-
te, ma che sia, per così dire, quella ‘giusta’, l’unica con la quale quella
nota ha la maggiore affinità naturale. Così, una volta appresa la serie
delle note come ta-tē-tō e così via, si possono individuare le qualità
maschili e femminili di ognuna di esse, conoscendo i l g e ne r e de l l a
vo cale con la quale è cantata. Se sappiamo quale vocale è maschio e
quale è femmina, abbiamo la chiave per conoscere i caratteri delle note.
E allora, quale vocale è maschio e quale è femmina? «In genera-
le» dice Aristide «quelle che fanno distendere la bocca in verticale
hanno un suono maestoso, appropriato al maschio, mentre quelle che
la stirano in orizzontale producono suoni più deboli, e più femmini-
li» (78, 4-7 W.-I.). In particolare, ōmega e omicron sono maschi ed
ēta ed epsilon sono femmine (78, 7-14 W.-I.), anche se epsilon, dice
più avanti, può conservare una piccola traccia di mascolinità (79, 17-
19 W.-I.). Delle vocali ancipiti, che possono essere lunghe o brevi (alpha,
iōta, hypsilon), solo alpha è adatta al canto, dal momento che il suo-
no “a” può essere facilmente sostenuto, mentre i suoni più ‘smilzi’
di iōta e hypslon no, e Aristide non ne specifica il genere. Lo stesso
alpha è in parte maschio e in parte femmina, o intermedio tra i due
generi (78, 14-20 W.-I.).
Aristide dice anche diverse altre cose interessanti sulle vocali, e
aggiunge, nel libro III, un’intrigante spiegazione del perché la scelta della
lettera tau come iniziale delle sillabe del solfeggio – ta tē tō te – è stata
particolarmente felice (130, 9-15 W.-I.). Ma è il caso ora di passare al-
l’analisi delle scale musicali. Aristide non è molto chiaro nella sua spie-
gazione, ma con l’aiuto di un altro trattato di teoria musicale possiamo
delinearne lo schema. Nel sistema di due ottave che copre lo spazio
musicale greco, ogni ottava ha la medesima struttura. L’intervallo tra la
nota più bassa e la successiva è un tono. La seconda, la terza, la quarta
e la quinta nota coprono l’estensione di un quarta giusta, e formano
un tetracordo; la quinta nota viene a essere anche la nota più bassa del
secondo tetracordo, che è simile al primo, e che completa l’ottava. Nel
sistema della solmisazione appena descritto, alla nota più bassa di ogni
3
Vd. BÉLIS 1984.
Musica e anima in Aristide Quintiliano 149
4
Vd. Aristid. Quint. De mus. 79, 26-80, 6 W.-I., con Anon. Bell. 77.
150 Musica, terapia e cosmo: Teofrasto, Aristide Quintiliano, Claudio Tolemeo
base alla quale era costruita, la nota tralasciata era di solito una di que-
ste due5. Il ‘sapore particolare’ della melodia sarà dunque prodotto,
secondo la teoria di Aristide, dalla massiccia rimozione di tutte le note
che sono esempi genuini di uno dei due generi, lasciando il totale pos-
sesso del campo alle note dell’altro genere.
A questo punto possiamo vedere come effettivamente opererà il
terapeuta musicale del quale abbiamo parlato nel capitolo precedente.
Le anime affidate alle sue cure sono attratte o da qualità maschili o
da qualità femminili, e patiscono gli eccessi di desideri e istinti del-
l’una o dell’altra sfera. Quando il terapeuta comincia gradualmente ad
applicare i suoi rimedi musicali, ci viene detto che usa motivi musica-
li di qualità i n t e r m e d i a : il che, come ora sappiamo, vuol dire mo-
tivi musicali che contengono sia note maschio sia note femmina, e forse,
all’inizio del trattamento, contengono più elementi di quel tipo dal
quale il paziente è naturalmente attratto, piuttosto che elementi di tipo
opposto. L’anima del paziente, dunque, trova gradevoli questi motivi
musicali; ma, dal momento che essi contengono a n c h e elementi del-
l’altro genere, è indotta, senza esserne consapevole, verso una “con-
cezione valutativa”, una ennoia, mediante la quale può considerare come
altrettanto desiderabili e gradevoli anche le altre loro qualità, quelle
connesse con l’altro genere. Per gradi successivi, gli stati emotivi ec-
cessivamente maschili o femminili del paziente vengono trasformati
in una condizione mentale più equilibrata e salutare. Le stesse tecni-
che che sono in grado di guarire dagli impulsi emozionali eccessivi
possono essere usate anche, in contesti educativi e per prolungati pe-
riodi di tempo, per rimodellare le disposizioni dell’anima e per mi-
gliorarne il carattere, o per rafforzare le buone disposizioni che già
possiede (80, 10-22, cf. 68, 22-69, 5 W.-I.).
Questa teoria, che fa dipendere il carattere etico e i poteri tera-
peutici ed etici di una melodia dalle qualità maschili e femminili dei
suoi elementi costitutivi, non ha riscontri né in Platone o Aristotele,
né, in effetti, in alcun’altra fonte greca; e risulta priva di senso se viene
isolata dall’altrettanto inusuale visione che Aristide ha dell’anima. Non
credo che il riferimento alle harmoniai tramandate dai «seguaci di Da-
mone», alcune delle quali, dice Aristide, contengono alcune note mo-
bili più femminili e altre più maschili, debba essere considerato come
testimonianza che la teoria risalisse allo stesso Damone (80, 25-81, 3
5
Vd. per esempio la sistematica omissione della lichanos nel Peana di Athena-
ios (n. 20 in PÖHLMANN-WEST 2001, pp. 62-73), e in particolare la prima parte (PÖHL-
MANN-WEST 2001, pp. 62-63): osservazioni in merito in BARKER 2002, pp. 127-129.
Musica e anima in Aristide Quintiliano 151
6
Per ulteriori precisazioni, vd. l’appendice a questo capitolo.
7
Una curiosa anticipazione di quest’immagine si trova in uno dei poemi che
circolavano nei secoli V e IV a. C. sotto il nome di Orfeo, alcuni dei quali si erano
certamente conservati fino ai tempi di Aristide. Secondo Aristotele (De gen. an. 734a),
vi si affermava che «una cosa vivente viene al mondo come l’intrecciatura di una
rete» (La rete era il titolo di uno degli scritti attribuiti a Orfeo; vd. Sud. ο 654; ι 578
152 Musica, terapia e cosmo: Teofrasto, Aristide Quintiliano, Claudio Tolemeo
Adler). In De anima 410b Aristotele dice poi che nei «cosiddetti poemi Orfici» si
trova l’affermazione che l’anima, dall’universo (“il tutto, to holon”), entra negli esse-
ri viventi, introdottavi dai venti, mediante insufflazione. Qui si potrebbe vedere un
tratto comune, se non con le idee di Aristide, almeno con il suo lessico, dato che,
per riferirsi all’“universo”, anche Aristide adopera il termine to holon: ma il dato
non ha molto peso, perché il termine è ampiamente attestato in questo senso nel
vocabolario filosofico greco.
8
Il più insigne esponente di questa teoria fu Erofilo (III sec. a. C.), le cui
concezioni sono più volte riprese da Galeno e altri; vd. in particolare i passi 161-
188b in VON STADEN 1989. Sulle teorie di Galeno vd. in particolare i suoi trattati De
differentiis pulsuum e Synopsis de pulsibus; cf. DEICHGRÄBER 1957.
Musica e anima in Aristide Quintiliano 153
ro che il contenuto delle arterie e degli altri vasi fosse l’anima e il re-
spiro, come appunto dice anche Aristide9. Ci sono in Aristide chiare
connessioni con la tradizione medica. Questa parte della teoria sugge-
risce anche uno dei modi nei quali la terapia musicale può migliorare
la salute d el cor p o , anche se i suoi effetti sono avvertiti principal-
mente dall’anima, e non dal corpo: le pulsazioni nelle nostre arterie e
negli altri vasi sono movimenti d ell’ an ima , e possono essere scon-
volte o riordinate attraverso l’influsso dei ritmi musicali, come Aristi-
de spiega nel capitolo 15.
Ma lo scopo principale che Aristide si prefigge descrivendo i viaggi
dell’anima e la natura di vasi e membrane al cui interno è ingabbiata, è
di spiegare le sue affinità con gli s t r u m en t i mus i c a l i , e di rendere
ragione dei loro effetti psicologici. In gran parte del capitolo 18 Aristi-
de tratta questi argomenti da una prospettiva che possiamo chiamare
“scientifica”; nelle frasi finali, e in tutto il capitolo 19, mette invece in
relazione le sue conclusioni con immagini e leggende tramandate dai
poeti, che raccontano di Sirene, Muse, Apollo, Hemes, Athena, Marsia
e di altri personaggi a tutti ben noti: su questo non dirò nulla. Mi sof-
fermerò invece proprio sulla spiegazione più sobriamente scientifica del
capitolo 18, che si divide in due parti, brevi e semplici.
Il fatto che la musica strumentale influenza l’anima in modo così
potente e diretto, dice Aristide, è facilmente spiegabile: lo speciale con-
tenitore dell’anima è costruito co n g li s t e s s i ma te r i a l i – nervi e
fiato – che, negli strumenti musicali, vibrando, dànno origine al suono.
I movimenti del fiato all’interno dell’aulos si trasmettono al fiato in-
trappolato, con l’anima, all’interno delle arterie, e allo stesso modo le
vibrazioni delle corde di budello di una lira si riproducono sui fila-
menti di fibra nervosa che circondano l’anima. Aristide spiega molto
chiaramente il suo pensiero ricordandoci il fenomeno che chiamiamo
“vibrazione per simpatia”. Supponete di accordare due corde di una
kithara all’unisono, dice Aristide, e poggiate un pezzettino di paglia su
una di esse. Ora, quando colpite l’altra corda per farla risuonare, ve-
drete che contemporaneamente la pagliuzza si metterà in movimento
(89, 23-90, 5 W.-I.). «L’arte del dio» continua Aristide «è tanto straor-
dinaria da far muovere e agire anche gli oggetti inanimati. Quanto più
grande deve essere il potere della somiglianza che agisce sulle cose messe
in movimento dall’anima!» (90, 5-8 W.-I.).
9
Le idee di un sostenitore di questa teoria, Erasistrato, sono discusse e confu-
tate da Galeno, soprattutto nel suo An in arteriis natura sanguis contineatur. Vd.
FURLEY-WILKIE 1984.
154 Musica, terapia e cosmo: Teofrasto, Aristide Quintiliano, Claudio Tolemeo
10
Questa semplice classificazione risale ad Aristosseno (vd. Athen. 174e =
Aristox. fr. 112 Da Rios); gli strumenti a percussione vengono considerati talvolta
come un gruppo a sé (Athen. 636c). Per una classificazione più complessa, e diffe-
rentemente fondata, vd. Nicom. Ench. 4.
Musica e anima in Aristide Quintiliano 155
Appendice
11
Vd. per es. Aristoph. Thesm. 20-70 e cf. Plat. leg. 669c, 802d-e.
12
Aristot. Met. 986a, cf. Eth. Nic. 1096b.
Musica e anima in Aristide Quintiliano 157
13
A parte le lievi variazioni nella terminologia usata dai diversi teorici, il senso
delle classificazioni non cambia. Vd, per es., Aristox. El. harm. 70, 15-72, 28 (87, 15-
90, 11 Da Rios); Cleonid. Harm. 186, 1-187, 2; 197, 4-198, 13, cf. 205, 19-206, 2 Jan;
Porph. In Ptol. Harm. 26, 30-27, 16 Düring (sul teorico Archestrato, per la cui im-
postazione, a quanto pare, queste distinzioni avevano un’importanza straordinaria);
Arist. Quint. De mus. 9, 13-24 W.-I.
158 Musica, terapia e cosmo: Teofrasto, Aristide Quintiliano, Claudio Tolemeo
14
Nonostante la novità del sistema, la base sulla quale Aristide fonda la sua
individuazione del genere delle vocali non è affatto inaccessibile o sconosciuta: la
fonte emerge dalle sue stesse semplici osservazioni sui dialetti e sulla grammatica
elementare che si leggono in De mus. 78, 20-79, 2 W.-I.
Musica e anima in Aristide Quintiliano 159
IX
SPECULAZIONE E SCIENZA
IN ARISTIDE QUINTILIANO E CLAUDIO TOLEMEO
1
Aristide pensa a due note dissonanti tra loro, ciascuna delle quali può essere
resa consonante con una terza nota inserita fra l’una e l’altra. Così, l’intervallo di
cinque toni, il cui rapporto è 16:9, è una dissonanza; ma se tra i due suoni che lo
compongono ne viene inserito un terzo, che corrisponde alla media proporzionale
tra 16 e 9, e cioè 12, l’intervallo iniziale viene trasformato in due intervalli, perfetta-
mente consonanti, di quarta giusta (16:12 = 12:9 = 4:3). Allo stesso modo, due per-
sone reciprocamente ostili possono essere riconciliate grazie alla mediazione di una
terza persona che sia ‘consonante’ con entrambi.
Speculazione e scienza in Aristide Quintiliano e Claudio Tolemeo 163
2
Principalmente in III 24; altri echi del Timeo si riscontrano anche altrove, in
particolare a III 19 e 23.
164 Musica, terapia e cosmo: Teofrasto, Aristide Quintiliano, Claudio Tolemeo
paranētē hyperbolaiōn
tritē hyperbolaiōn
nete diezeugmenōn
diezeugmenōn
tetracordo
synēmmenōn
tetracordo
tritē diezeugmenōn paranētē synēmmenōn
paramesē
tritē synēmmenōn
tono
mesē
tetracordo
lichanos mesōn
mesōn
parhypatē mesōn
hypatē mesōn
tetracordo
h y p a t ō n
lichanos hypatōn
parhypatē hypatōn
hypatē hypatōn
tono
proslambanomenos
Figura 1
3
Ho tradotto barytatē con «il più forte»; in musica barytatos significa “il più
grave, il più basso”.
4
Il termine systēma è usato dai teorici in riferimento a una sequenza di note e
intevalli, talvolta a una “scala” completa, talvolta invece a una serie più limitata. Qui,
come spesso in Aristide, i systēmata sono i tetracordi.
5
L’aggettivo oxys, “acuto”, è il termine più comunemente usato in contesti
musicali per connotare un suono dall’intonazione elevata; ma spesso gli autori greci
restano evidentemente consapevoli del valore di oxys come “affilato” o “penetran-
te”, “acuminato”. La parola è comunemente usata anche, come in questo passo di
Aristide, a significare una vista o un’intelligenza “acuta”.
6
L’aria (aēr) è la sostanza umida e nebulosa che si trova nella regione subluna-
re, mentre l’etere (aithēr) è la sostanza chiara e limpida della regione superiore.
166 Musica, terapia e cosmo: Teofrasto, Aristide Quintiliano, Claudio Tolemeo
7
Nella Repubblica non vengono distinti due tipi di temperanza (sōphrosynē), e
le virtù cardinali sono soltanto quattro. Ma, anche se l’intento principale della di-
stinzione di Aristide è quello di rendere il numero delle virtù uguale a quello dei
tetracordi, essa si spiega bene anche da un punto di vista etico, e di fatto riflette
analoghe distinzioni che, motivate su base etica, ricorrono in altri dialoghi di Plato-
ne. I due tipi di sōphrosynē di cui Aristide parla qui sono le virtù che presiedono agli
atteggiamenti eticamente appropriati da tenere in relazione a due tipi di piacere. Uno
è sempre un piacere cattivo (sicché la virtù corrispondente consiste nell’evitarlo e nel
rimanere insensibile a esso), l’altro risulta cattivo soltanto quando se ne gode in
maniera eccessiva (sicché la virtù corrispondente non consiste nell’evitarlo del tutto,
ma nel goderne in maniera oculata, evitando gli eccessi).
8
Procedendo verso l’acuto a partire dalla congiunzione dei tetracordi che si
realizza nella nota mesē, il primo passo (ossia l’intervallo più grave del tetracordo
synēmmenōn) è un semitono se il sistema è diatonico o cromatico. Nell’enarmonico
sarà un quarto di tono, ma dal momento che il senso del discorso di Aristide si fon-
da sul fatto che si tratti di un intervallo piccolo, questa complicazione influisce poco
sull’efficacia dell’argomento (anzi, direi che lo rafforza).
168 Musica, terapia e cosmo: Teofrasto, Aristide Quintiliano, Claudio Tolemeo
9
Nel linguaggio filosofico akrotēs significa una “condizione estrema”, in op-
posizione a una condizione “media” o “intermedia”. Ma il termine sinifica propria-
mente “sommità” o “punto più alto”, e viene usato anche per indicare un ‘culmine
di perfezione’, in contrasto con l’incompletezza e l’imperfezione del vizio.
Speculazione e scienza in Aristide Quintiliano e Claudio Tolemeo 169
10
Tolemeo (Harm. II 16) tratta l’argomento in modo piuttosto simile, ma in-
vertendo i ruoli dei due sistemi. La scala ‘naturale’ è quella che completa la doppia
ottava per disgiunzione lungo i tetracordi diezeugmenōn e hyperbolaiōn, mentre è
considerata ‘modulante’ la sequenza che procede per congiunzione nel tetracordo
synēmmenōn. Altri autori (p. es. Cleonid. Harm. 13, 205, 5-6 Jan) considerano ‘mo-
dulante’ ogni melodia che passa dalla serie disgiunta a quella congiunta, ma non dànno
indizi che inducano a ritenere che l’una o l’altra serie, presa in se stessa, potesse
comportare modulazione.
11
Hes. Op. 287-292.
170 Musica, terapia e cosmo: Teofrasto, Aristide Quintiliano, Claudio Tolemeo
12
Un’analisi è in BARKER 2000a.
172 Musica, terapia e cosmo: Teofrasto, Aristide Quintiliano, Claudio Tolemeo
13
Per i dettagli della questione, vd. l’introduzione di Düring alla sua edizione:
DÜRING 1930, pp. LXXVIII-LXXXVIII; cf. BARKER 1989, pp. 388-390, note 86-87;
SOLOMON 2000, pp. 162-165, note 230 e 239.
Speculazione e scienza in Aristide Quintiliano e Claudio Tolemeo 173
renza tra i due termini è uguale o alla parte intera più grande possibile
del termine minore, o a un suo fattore primo. Così, il rapporto più
prossimo all’uguaglianza è 2:1, nel quale la differenza tra i termini è
uguale al termine minore. Poi viene 3:2, dove la differenza è la metà del
termine minore; e poi 4:3, dove la differenza è un terzo del termine
minore (in 18:17, invece, la differenza tra i termini è pari a un diciasset-
tesimo del termine minore). Questi tre rapporti, come abbiamo visto,
corrispondono all’ottava, alla quinta giusta e alla quarta giusta, intervalli
fondamentali alla costruzione di qualsiasi tipo di accordatura. E come
questi tre rapporti sono i tre più prossimi all’uguaglianza, così, nell’or-
dine, l’ottava, la quinta e la quarta, colpiscono l’orecchio come gli inter-
valli più simili all’ u n is o n o . Il rapporto successivo, 5:4, corrisponde,
in termini moderni, a una terza maggiore, intervallo anch’esso ‘dolce’ e
‘piacevole’. Intervalli rappresentati matematicamente da numeri più
grandi – come per esempio 18:17, che corrisponde all’incirca a un semi-
tono – sono più aspri e stridenti, ed esteticamente meno integrati.
A questo punto, va messo in luce un altro aspetto di una certa
importanza. Tolemeo afferma che nell’analisi di un sistema musicale –
un tetracordo, per esempio – i rapporti matematici degli intervalli più
piccoli vanno definiti per successive divisioni o fattorizzazioni del più
grande, e non viceversa, ossia legando insieme una serie di piccoli gra-
dini quantificati separatamente, per arrivare alla costruzione dell’inte-
ro. La base di partenza deve essere sempre l ’i nte r o, e dall’intero de-
vono essere fatti d er iv ar e i rapporti più piccoli, che dell’intero sono
elementi costitutivi: non è possibile definirli per altra via. Così, ai rap-
porti di quinta e di quarta si giunge per mezzo di una semplice fatto-
rizzazione del rapporto di ottava (3:2 x 4:3 = 2:1); e nel caso del tetra-
cordo, le diverse sequenze di intervalli che possono trovarsi al suo in-
terno sono quantificati mediante una particolare procedura di fattoriz-
zazione del rapporto della quarta giusta, che non è indispensabile esa-
minare qui (per esempio: 4:3 = 9:8 x 8:7 x 28:27; ovvero 4:3 = 7:6 x
12:11 x 22:21; di questo e altro Tolemeo parla in I 15).
Tenendo presenti queste premesse, non sarà difficile comprendere
la base musicologica dell’inizio di III 5. «Le parti principali dell’anima
sono tre: l’intellettiva (noeron), la percettiva (aisthētikon) e la vegetati-
va (hektikon); e tre sono anche le specie principali di omofonia e con-
sonanza14, l’omofonia dell’ottava e le consonanze della quinta e della
14
Tolemeo usa il termine “omofonia” per indicare l’ottava e i suoi multipli in
contesti nei quali intende distinguere queste da altre consonanze, come la quinta e la
quarta.
178 Musica, terapia e cosmo: Teofrasto, Aristide Quintiliano, Claudio Tolemeo
15
Aidōs è la capacità o facoltà di provare vergogna quando si riconosce di aver
compiuto un’azione indegna; è qualcosa di simile (ma non identico) al concetto
moderno di “coscienza”.
182 Musica, terapia e cosmo: Teofrasto, Aristide Quintiliano, Claudio Tolemeo
B
Figura 2
16
Costruzioni simili si trovano anche nel De musica di Aristide Quintiliano
(III 23: vd. in part. 125, 3-15 W.-I.).
Speculazione e scienza in Aristide Quintiliano e Claudio Tolemeo 183
17
Sull’astrologia antica in generale è utile il lavoro di BARTON 1994.
18
I significati di alcune di queste posizioni di particolari pianeti sono menzio-
nati in Harm. III 16.
184 Musica, terapia e cosmo: Teofrasto, Aristide Quintiliano, Claudio Tolemeo
19
Vd. DÜRING 1934, pp. 271-272.
186 Musica, terapia e cosmo: Teofrasto, Aristide Quintiliano, Claudio Tolemeo
brevi ma densi che avevo prima tralasciato, Tolemeo spiega così la cor-
rispondenza tra le specie delle consonanze e le virtù dell’anima: «Le
differenze più evidenti tra le virtù proprie di ciascuna parte dell’anima
sono anche in questo caso in numero uguale alle differenze tra le spe-
cie delle consonanze principali, perché la melodicità (to emmeles), in
un certo senso, è virtù dei suoni, mentre la non melodicità (to ekmeles)
è vizio; in altro ambito, la virtù, in un certo senso, è melodicità delle
anime, mentre il vizio è non melodicità. Caratteristica comune a en-
trambe le classi è che le parti sono accordate tra loro quando si trova-
no in una condizione di conformità alla natura, mentre non sono ac-
cordate quando si trovano in una condizione opposta» (97, 1-8 Düring).
Il punto che Tolemeo mette in evidenza è che la proprietà di ogni vir-
tù dell’anima è identica a quella di ogni specie di una consonanza ben
intonata. Nel caso della musica noi sappiamo quante possono essere le
forme di melodicità di ogni consonanza, e dunque ci possiamo certa-
mente aspettare che il numero di virtù della corrispondente parte del-
l’anima sia lo stesso.
L’affermazione che ogni virtù è una forma di melodicità può esse-
re considerata sotto più di una prospettiva. Da un lato, in quanto ele-
mento della tradizione filosofica, può essere trattata come un ‘dato’,
consolidato dall’autorità di Platone. D’altra parte, in quanto elemento
della teoria di Tolemeo, essa costituisce una premessa dell’applicabilità
del suo modello musicale. Se accettata in base al primo assunto, può
essere portata come testimonianza della fondatezza della teoria. Consi-
derata invece dall’altro punto di vista, non può rispondere a questo
scopo, in quanto darebbe luogo a un ragionamento circolare. Essa in-
vece indica una via per la quale la teoria non descrive soltanto i feno-
meni all’interno del proprio ambito, ma li spiega: tra le specie di con-
sonanze e le virtù c’è corrispondenza p er c hé si tratta di manifesta-
zioni alternative della medesima proprietà formale.
L’altro dei due brevi passi di Tolemeo che avevo tralasciato dice
così: «Come nell’accordatura è necessario che prima di ogni cosa si
proceda alla corretta definizione delle omofonie, e che solo dopo si passi
a definire le consonanze e gli intervalli melodici – giacché un piccolo
errore nei rapporti minori non danneggia la melodia tanto quanto un
errore nei rapporti maggiori e più importanti; così anche nelle anime è
naturale che le parti intellettiva e razionale governino le altre, che sono
subordinate; e c’è bisogno di maggiore accuratezza nel definire pro-
porzioni corrette all’interno di esse (ossia nelle parti intellettiva e ra-
zionale) – giacché dall’errore in esse dipende in tutto o in gran parte
l’errore nelle altre parti dell’anima» (97, 20-27 Düring). L’intento espli-
Speculazione e scienza in Aristide Quintiliano e Claudio Tolemeo 187
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Così, se in un’accordatura musicale (harmonia) non è perfettamente intona-
ta l’ottava, di necessità anche gli intervalli in cui è divisa – tutti o parte di essi –
risultano imprecisi; se invece sono imprecisi soltanto alcuni degli intervalli melodici
al suo interno, il danno è limitato a essi.
188 Musica, terapia e cosmo: Teofrasto, Aristide Quintiliano, Claudio Tolemeo
motivazioni e altri elementi del genere sono tessuti insieme, per opera
della ragione musicale, in un’unica struttura profondamente integrata
che chiamiamo anima.
Tutto questo resta vero anche se i fattori dell’anima corrispondenti
alle note musicali, con la funzione di termini di determinati rapporti
numerici, continuano a sfuggirci. Più dettagli psicologici riusciamo a
conformare al modello senza il loro aiuto, più possiamo essere fidu-
ciosi che l’ipotesi esplicativa globale di Tolemeo sia corretta, e che quindi
tali fattori devono esistere, per quanto sfuggenti possano essere. Senza
l’esatta cognizione di essi, l’applicazione del modello all’anima rimane
sempre in qualche misura incerta, perdendo il saldo ancoraggio di cui
può disporre l’astrologia. Chiunque, continuando la ricerca psicomusi-
cologica sulle tracce di Tolemeo, avrebbe dovuto procedere c ome s e
sapesse che questi fattori fossero presenti, e come se fornissero al mo-
dello dei saldi ormeggi. Nella misura in cui queste ricerche avessero
dato i loro frutti integrando e spiegando un ampio raggio di fatti e
fenomeni psicomusicologici, esse avrebbero aumentato la probabilità che
le ipotesi sulle quali erano basate sono valide. È chiaro che i pochi
capitoli che Tolemeo ha dedicato all’argomento non bastano a trasfor-
mare le sue speculazioni psicomusiclogiche in una scienza pienamente
sviluppata. Ciò che ho tentato di mostrare è che a chiunque accetti la
visione del mondo lato sensu ‘razionalistica’ che sta alla base di tutta la
teoria matematica di Tolemeo, quei capitoli forniscono un’impalcatura
all’interno della quale la psicomusicologia poteva diventare una scien-
za. Ciò non è avvenuto: ma si tratta soltanto di uno dei tanti casi della
storia della cultura.
Speculazione e scienza in Aristide Quintiliano e Claudio Tolemeo 191
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