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Prefazione 1

UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI SALERNO


QUADERNI DEL DIPARTIMENTO DI SCIENZE DELL’ANTICHITÀ
2 Prefazione
Prefazione 3

ANDREW BARKER

PSICOMUSICOLOGIA
NELLA GRECIA ANTICA

a cura di
ANGELO MERIANI

Fisciano, febbraio 2002

Guida
4 Prefazione

© 2005, Alfredo Guida Editore


Via Port’Alba 19 - Napoli
www.guidaeditori.it
libri@guida.it

ISBN 88-7188-989-4
Presentazione 5

PRESENTAZIONE
di
ANGELO MERIANI

L’attenzione che negli ultimi decenni si è sviluppata tra gli anti-


chisti verso i fenomeni e i contesti della comunicazione culturale ha
portato con sé un interesse sempre crescente nei confronti della musi-
ca greca antica. Come è noto, col termine mousikē i Greci indicavano
un complesso sistema comunicativo in cui erano inestricabilmente
connesse la parola poetica cantata e recitata, il suono degli strumenti
(a fiato, a corde, a percussione) e la danza. La parola moderna “musi-
ca” corrisponde dunque soltanto in parte, e forse in piccola parte, alla
parola antica. L’intera vita sociale dei Greci era piena di mousikē: sim-
posi, feste pubbliche e private, agoni, culti erano altrettante occasioni
per l’esecuzione di mousikē, con diversi livelli di partecipazione popo-
lare o di gruppo. Se non tutti, moltissimi erano in grado di cantare e
di danzare e, in misura minore, anche di suonare uno strumento. Val-
ga soltanto un esempio. In Atene, tra V e IV sec. a. C., all’esecuzione
dei ditirambi, che aveva luogo durante le grandi feste in onore di Dio-
niso, erano tenute a partecipare rappresentanze corali di tutte le dieci
tribù territoriali. Ciascuna di esse doveva curare, ogni anno, la prepa-
razione di due cori, uno di cinquanta adulti e uno di cinquanta ragaz-
zi, che, divisi nelle due categorie, partecipavano a una gara di esecu-
zione musicale per l’assegnazione del premio finale: in tutto, dunque,
non meno di mille persone. Il dato acquista un rilievo ancora maggio-
re, se lo pensiamo in rapporto al totale di poche decine di migliaia di
cittadini. Benché nessuno dei coreuti fosse musicista di professione,
tutti dovevano imparare a memoria testo, musica e movimenti orche-
stici di lunghe composizioni, per poi eseguirle in pubblico: e possia-
mo immaginare che il lavoro di preparazione che precedeva la rappre-
sentazione fosse davvero molto complesso. Il grande evento collettivo
delle Grandi Dionisie era però anche l’occasione per rappresentare
tragedie, commedie e drammi satireschi: e anche in questi casi moltis-
simi cittadini dovevano partecipare all’esecuzione musicale e alla dan-
6 Presentazione

za nei cori. Quanta musica, in quella sola grande occasione, si impri-


meva nelle menti di così tante persone! Ma la musica era presente in
tutte le feste ufficiali ateniesi, non solo nelle maggiori: e di feste uffi-
ciali, in Atene, ogni anno, ce n’erano veramente molte (gli studiosi ne
contano da 120 a 144). Se a queste aggiungiamo le moltissime feste
private, quelle legate agli eventi importanti dei gruppi familiari (nasci-
te, matrimoni, funerali), il quadro sarà più completo. Possiamo sup-
porre che anche nelle altre città-stato le cose musicali non andassero
molto diversamente.
Nella Grecia antica, dunque, la dimensione del fenomeno musi-
cale era assolutamente pervasiva, e davvero formidabile il coinvolgi-
mento dei cittadini non solo nella fruizione, ma anche nella produzio-
ne della musica. Mai più, nella storia occidentale, si è potuto poi regi-
strare un nesso così potente tra la musica e la vita di un’intera comu-
nità politica. È celebre il passo della Repubblica nel quale Platone
mette in bocca a Socrate l’idea di un teorico della musica suo contem-
poraneo, Damone: non si danno cambiamenti nella prassi musicale
senza precisi – e importantissimi – provvedimenti legislativi. Peraltro,
fin dai poemi omerici, era molto diffusa nella cultura greca la convin-
zione che la musica fosse in grado di suscitare sentimenti e disposi-
zioni emotive; che l’assuefazione a certi tipi di musica potesse influire
sulla formazione del carattere e sul comportamento umano. Certo,
questa convinzione non era universalmente condivisa, ma il fatto stes-
so che fosse occasionalmente contestata non fa che confermare il suo
forte radicamento culturale. Questa funzione psicologica, o meglio
psicagogica, della musica spiega perché un filosofo come Platone, nel
disegnare il suo progetto di uno Stato ideale (nella Repubblica e nelle
Leggi), desse così tanta importanza all’educazione e alla pratica musi-
cale nella formazione dei cittadini; e perché un poeta come Aristofa-
ne, così attento alla vita politica della sua città, fosse così attento an-
che alla produzione della musica che vi si eseguiva.
Nonostante esistesse un sistema di notazione, normalmente la
musica non veniva fissata per iscritto, e i canali della sua trasmissione
dovettero essere prevalentemente orali-aurali. L’ipotesi è suggerita
dalla circostanza che la musica veniva composta per essere eseguita
nell’hic et nunc di occasioni ben specifiche, molto spesso determinate
dalla committenza, e nelle quali anche l’interprete (specialmente nella
musica strumentale) godeva di ampi margini per l’improvvisazione
estemporanea: dopo l’evento comunicativo, l’esigenza di fermare una
realtà così mutevole e legata al momento doveva essere piuttosto ri-
dotta. Ecco perché di tutta la musica che si eseguiva in Grecia ci sono
Presentazione 7

rimasti soltanto pochissimi frammenti di partiture musicali, di epoca


troppo tarda e con troppi problemi di interpretazione per poterci fare
un’idea anche solo approssimativa di tutta l’ampia gamma di generi e
di stili. Possiamo leggere i preziosissimi trattati di teoria musicale, che
però, oltre a riferirsi anch’essi a una realtà piuttosto tarda (il più anti-
co risale al IV sec. a. C.), sono tanto dettagliati nelle spiegazioni e nei
tecnicismi quanto avari di esemplificazione pratica. Un campo di in-
dagine molto più promettente è rappresentato invece dal ricchissimo e
multiforme corpus di testimonianze e di riflessioni sulla musica, e so-
prattutto sui suoi effetti: testi letterari, scientifici e filosofici che, come
è stato detto efficacemente, ci dànno la preziosa opportunità, a saperli
leggere con occhio attento, di «ascoltare la musica antica con l’orec-
chio degli antichi» (Rossi).
Intorno alla musica greca antica, da tempo, all’interno Diparti-
mento di Scienze dell’Antichità dell’Università di Salerno è avviato un
intenso lavoro di ricerca, sicché il Collegio dei Docenti del Dottorato
di Ricerca in Filologia classica ha sempre ritenuto di dover fornire ai
giovani studiosi opportunità di riflessione e di approfondimento orga-
nico su questi temi tanto importanti. Una di queste opportunità si
determinò tra la fine del 2001 e i principi del 2002, quando Andrew
Barker – uno dei massimi esperti al mondo in questo campo di studi –
accettò con entusiasmo il nostro invito a tenere un ciclo di lezioni al-
l’interno delle attività del nostro Dottorato. Il tema prescelto fu il ric-
co complesso dottrinale relativo agli influssi della musica sulla psiche,
sulla formazione del carattere e sul comportamento umano. Furono
giorni di lavoro molto intenso, nei quali il nostro autorevole ospite ci
guidò lungo un percorso affascinante, invitandoci a rileggere sotto
una luce nuova intere pagine di autori noti, e presentandoci autori del
tutto nuovi per la grande maggioranza dei non addetti ai lavori. Il suo
corso suscitò il vivo interesse e l’attiva partecipazione non soltanto
dei dottorandi – ai quali era istituzionalmente destinato – ma anche di
borsisti, laureandi, studenti e docenti. Tutti noi conserviamo ancora,
di quei giorni, un ricordo molto bello.
Da quelle lezioni, da quel lavoro, vede ora la luce questo libro
importante, che non mancherà di suscitare l’interesse degli antichisti,
dei musicologi, dei filosofi, e che abbiamo il singolare privilegio di
presentare ai lettori direttamente in edizione italiana. Mi sia concesso,
in questa sede, di rivolgere il mio personale, vivissimo ringraziamento
all’amico Andrew Barker per aver voluto affidare alle mie cure queste
sue splendide pagine, dalle quali ho imparato moltissimo.
8 Prefazione
Prefazione 9

PREFAZIONE

Questo libro nasce da una serie di lezioni da me tenute presso il


Dipartimento di Scienze dell’Antichità dell’Università di Salerno nel
Febbraio del 2002, nell’ambito delle attività del Dottorato di Ricerca
in Filologia classica (cicli VI e VII), coordinato dai colleghi Luciano
Nicastri e Silvio M. Medaglia. Malgrado la destinazione originaria del-
le lezioni, e la sua collocazione in una collana di pubblicazioni scienti-
fiche, il libro intende rivolgersi anche a un pubblico più vasto: ecco
perché ho evitato di riportare i testi antichi nell’originale, e ho sempre
traslitterato il greco, riducendo al minimo l’apparato erudito.
Per l’invito e per l’ospitalità sono molto grato alle autorità acca-
demiche salernitane, e in particolare al Direttore del Dipartimento,
Mario Mello e a Paola Volpe, titolare della Cattedra di Letteratura gre-
ca. La mia gratitudine va anche a tutti i colleghi, i borsisti, i dottoran-
di, i laureandi e gli studenti per le stimolanti discussioni avute con
loro, per la magnifica accoglienza che hanno riservato a me, a mia
moglie e a mio figlio, e per l’atmosfera amichevole che hanno saputo
creare attorno a noi: non dimenticheremo la gita nell’entroterra cam-
pano in occasione del Carnevale, durante la quale, guidati da un’allegra
brigata di giovani antichisti e antropologi, abbiamo avuto l’opportuni-
tà di conoscere interessanti aspetti della cultura popolare italiana. Ma
più di tutti devo ringraziare il mio ottimo amico Angelo Meriani, che
ha organizzato la mia visita fin nei dettagli, e col quale ho avuto pre-
ziosi scambi di idee sulla musicologia greca. È stato lui ad assumersi il
non facile compito di riscrivere in italiano questo libro e, a suo tempo,
tutte le mie lezioni salernitane, di ricontrollare ora tutte le citazioni e
rivedere con cura e competenza tutte le mie traduzioni inglesi degli
autori antichi. In una parola, il suo contributo è stato essenziale.
Alle lezioni e al libro ho lavorato nel corso di una Research Pro-
fessorship in the Humanities, che mi è stata concessa dalla British
10 Prefazione

Academy, e che mi ha dispensato per tre anni dai miei consueti obbli-
ghi didattici e amministrativi all’University of Birmingham. Sono lieto
di esprimere la mia gratitudine all’Academy per il sostegno ricevuto:
senza questa preziosa opportunità, non avrei potuto portare a termine
questo progetto. Allo stesso tempo voglio ringraziare i miei colleghi di
Birmingham – e specialmente il Dr Matthew Fox – per aver sostenuto
i pesi che si sono riversati su di loro per la mia assenza.

Andrew D. Barker
Aprile 2005
Introduzione 11

INTRODUZIONE

Nel IX libro dell’Iliade Achille, nella sua tenda, cerca di lenire la


collera che angustia il proprio animo cantando e accompagnandosi con
uno strumento a corde, la phorminx, (Il. 9, 182 ss.). Nell’Odissea Cir-
ce descrive a Odìsseo il potere fatale della musica delle Sirene (Od. 12,
36 ss.). Nella Teogonia Esiodo dice che se qualcuno, triste o spaventa-
to, ascolta della musica, «subito ansia e dolore dimentica, né i lutti /
ricorda: presto lo distolgono i doni delle Muse» (Hes. Theog. 97 ss.;
102-103). In Eschilo le Furie legano la loro vittima con un canto ma-
gico (Aesch. Eum. 306 ss.); e nell’Eracle di Euripide Lyssa, la personi-
ficazione della pazzia, fa uscire di senno Eracle col suono degli auli
(Eur. Her. 867 ss.). In Pindaro i canti possono ristorare le membra
stanche addrittura più dolcemente di quanto possa fare il contatto con
l’acqua calda (Pind. Nem. 4, 1 ss.), o deliziare l’ascoltatore come una
bevanda di latte e miele (Nem. 3, 76 ss.); la lira d’oro di Apollo fa ca-
dere un magico sonno sulla grande aquila di Zeus e, insieme con le
voci delle Muse, incanta le menti degli dèi, addolcendo il cuore finan-
che del violento Ares, dio della guerra, ma atterrisce i nemici di Zeus
(Pyth. 1, 1 ss.).
Nella poesia greca i riferimenti agli strani poteri della musica ab-
bondano, ma, per l’argomento di questo libro, costituiscono soltanto il
punto di partenza. Ci mostrano che fra i Greci, fin dai tempi più anti-
chi, era molto diffusa, e comunemente condivisa, l’idea che la musica è
in grado di operare potentemente su di noi, e di influenzare i modi nei
quali registriamo le nostre percezioni, formuliamo i nostri pensieri,
regoliamo il nostro modo di vivere. Quando i poeti dicevano che la
musica viene dagli dèi, intendevano certamente dire che la musica por-
ta qualcosa di buono in un mondo altrimenti aspro e difficile; ma in-
tendevano anche significare che può agire su di noi con la stessa forza
e la stessa potenza di un intervento diretto degli dèi, e in modi altret-
12 Introduzione

tanto misteriosi. La musica può darci gioia, come Afrodite d’oro; può
infondere in noi coraggio, o farci perdere il senno, proprio come gli
dèi omerici possono destare lo spirito guerresco di un eroe o indurlo a
compiere azioni sciocche e insensate.
Ma d’ora in avanti lascerò da parte la poesia. A partire dal tardo
V sec. a C., queste idee radicate furono accuratamente esaminate dagli
‘intellettuali’ – teorici della musica, scienziati, filosofi e via dicendo.
Questo libro riguarda i loro tentativi di spiegare che cosa la musica è e
quali sono i suoi poteri, in che modo gli esseri umani sono influenzati
da essa e ad essa reagiscono. Ci porremo diverse domande. Che cosa
conferisce alla musica i suoi particolari poteri? Quanti e quali effetti
produce? Perché diversi tipi di musica, e il suono di strumenti musicali
diversi, ci influenzano in diversi modi? Perché le persone provano pia-
cere ascoltando la musica, e come nasce l’impulso che spinge a com-
porla e a eseguirla? È vero che un certo tipo di musica è buona per noi
e costituisce un benficio per la vita della comunità, mentre un altro
tipo no? E se è così, perché? Ci sono buone ragioni per considerare la
musica una componente centrale dell’educazione di giovani e giovanis-
simi? Come va interpretata l’impressione che la musica in qualche
modo possiede un significato suo proprio, anche quando non si ac-
compagna a parole? Ci sono somiglianze tra i modi in cui note e inter-
valli vengono connessi per dar vita alla musica, e i modi in cui elemen-
ti della nostra psiche stanno insieme per comporre la nostra vita inte-
riore, la nostra ‘anima’? Quello che tutte queste domande e molte altre
simili hanno in comune è che ci richiedono di indagare contemporane-
amente due ‘nature’ molto diverse tra loro, quella della musica e quella
dell’anima, la psychē, e di tenere insieme questi due campi di indagine,
in modo da poterne studiare le reciproche relazioni, e i modi nei quali
essi interagiscono. Questa complessa impresa intellettuale è ciò che io
chiamo “psicomusicologia”.
La via che seguiremo in questo percorso non è rigorosamente
cronologica. Cominceremo dalla più autorevole di tutte le testimo-
nianze antiche sull’argomento, quella contenuta nel III libro della Re-
pubblica di Platone, che riguarda la funzione della musica nella forma-
zione e nello sviluppo del carattere umano (capitoli I e II). Quindi,
torneremo indietro nel tempo (capitoli III e IV), alla scoperta, per
quanto ci sarà possibile, delle fonti alle quali, a quanto pare, Platone
deve aver attinto. Nel capitolo V l’indagine si proietta in avanti, sulla
generazione successiva a Platone, concentrandosi soprattutto su come
Aristotele affronta problemi simili nell’ultimo libro della Politica. Nel
capitolo VI torneremo di nuovo a Platone, stavolta per occuparci di
Introduzione 13

alcuni passi del VII libro della Repubblica e del Timeo: esamineremo
un aspetto più astratto e metafisicamente orientato del suo pensiero,
che ha significative connessioni con l’“etica musicale”, ma il cui nucleo
centrale è l’analisi matematica di un sistema di relazioni che configura-
no una struttura che è comune all’anima dell’universo, al sistema delle
stelle e dei pianeti, all’anima umana e a un modello musicale ben co-
struita. Il capitolo VII ritorna a temi di ambito etico, con l’esame del-
l’opera di due autori che trattano l’influenza della musica sull’anima
come una forma di terapia: il primo è un altro autore del IV sec. a. C.,
Teofrasto, il successore di Aristotele; il secondo è Aristide Quintiliano,
che appartiene a un periodo molto più tardo (probabilmente il III se-
colo d. C.), ma la cui opera, per quanto in molti aspetti originale, evi-
denzia forti debiti nei confronti di Platone, e, a quanto pare, mostra
anche tracce dell’influenza di Teofrasto. Nel Capitolo VIII continuere-
mo a parlare di Aristide Quintiliano, nel tentativo di collocare la sua
concezione della terapia musicale nel più ampio contesto delle sue te-
orie sulla natura dell’anima e sulle proprietà etiche della musica. L’ul-
timo capitolo, il IX, riprende il progetto delineato nel VI a partire dal
Timeo: quello cioè di stabilire, su una solida base intellettuale, se, tra la
musica, l’anima e la struttura dell’universo, esistano realmente delle
affinità, e, nel caso, quale ne sia la natura. Sul tema, prenderò in esame
due testi, in tutto o in gran parte indipendenti dalla dottrina del Timeo
stesso: l’uno è tratto ancora una volta da Aristide Quintiliano; l’altro,
di circa un secolo prima, appartiene a quel formidabile scienziato che
fu Claudio Tolemeo.
Di un argomento così aperto e ramificato è difficile immaginare
una trattazione che possa dirsi “completa”. Ma questo libro non aspira
a tanto: cerca invece solamente di individuare, in materia, qualcuno
degli aspetti più importanti, e di esaminare qualcuno dei temi di ricer-
ca e di approfondimento più significativi. Le omissioni sono evidenti.
Per citarne soltanto alcune, qui non dico nulla su diversi passi che Pla-
tone, soprattutto nelle Leggi, dedica all’argomento; non mi occupo in
dettaglio di autori (come Filodemo, Sesto Empirico, e l’ignoto autore,
vissuto nel IV sec. a. C., del frammento conservato dal Papiro Hibeh I
13) che sostengono che la nozione stessa di “etica musicale” è del tutto
sbagliata; non dico nulla delle sfuggenti concezioni di Aristosseno, il
più autorevole di tutti i musicologi greci; nulla dei commentatori dei
dialoghi di Platone (specialmente del Timeo), né dei teorici Stoici, di
Plutarco, di altri filosofi, scienziati e letterati. Spero però di aver fatto
abbastanza per mettere in evidenza una parte almeno della ricchezza di
questo affascinante intreccio del pensiero greco, e forse per indurre
14 Introduzione

qualcuno dei miei lettori a esplorarne, per conto proprio, altri percor-
si. «Tutte le facoltà della mente» dice Edward Gibbon nella sua auto-
biografia, «possono essere esercitate e messe in luce mediante lo studio
della letteratura antica»; e certamente facoltà diverse da quelle delle
quali mi sono servito io potrebbero essere impiegate con profitto per
affrontare i testi dei quali mi occupo qui. Molti di questi testi sono
stati certamente già esaminati e spiegati da altri studiosi in passato, da
vari punti di vista, e io mi sono avvalso ampiamente del loro lavoro.
Ma, a quanto ne so, non sono stati mai considerati, nel loro comples-
so, alla luce di una prospettiva di ricerca unica, che, pur attraverso vari
percorsi, mira a scoprire le relazioni tra la musica e l’anima. Se qualco-
sa di originale in questo libro c’è, nasce dalla convinzione che, nella
storia intellettuale della Grecia antica, esiste una tradizione di ricerca e
di speculazione psicomusicologica, che delinea per noi i contorni di
uno specifico campo di indagine.
Introduzione 15

PSICOMUSICOLOGIA
NELLA GRECIA ANTICA
16 Prefazione
Affinità tra musica e anima 17

PARTE I
MUSICA E CARATTERE
NELLA REPUBBLICA DI PLATONE
18 Musica e carattere nella Repubblica di Platone
Affinità tra musica e anima 19

I
AFFINITÀ TRA MUSICA E ANIMA

Nella Repubblica di Platone il discorso sull’educazione del carat-


tere prende le mosse da un problema sollevato da Socrate fin dal libro
II (375a-c). I difensori o ‘guardiani’ dello Stato ideale che lui e i suoi
amici immaginano devono essere guerrieri aggressivi e coraggiosi, e
affrontare i nemici con fierezza e vigore; ma devono anche essere miti
e amichevoli, tra loro e nei riguardi degli altri cittadini della comunità.
Queste due ‘nature’ – la mitezza, e l’animosità fieramente aggressiva –
sembrano essere opposte, e non è facile vedere come possano essere
compresenti in un unico carattere. Per mostrare che questa strana
combinazione è possibile, a Socrate basta citare l’esempio dei buoni
cani da guardia, che sono mansueti con le persone conosciute e feroci
verso gli estranei. Socrate lascia intendere anche che la mitezza è in
qualche modo connessa con la conoscenza, ossia con l’abilità di distin-
guere correttamente ciò che è oikeion, familiare, e va accolto e trattato
con benevolenza, da ciò che va rigettato come estraneo, allotrion
(375d-376b). Ma Socrate non intende dire semplicemente che i guar-
diani dello suo Stato ideale, come i cani da guardia, debbono essere
capaci di distinguere i familiari dagli estranei. Il suo proposito è molto
più ampio: i guardiani debbono saper riconoscere e accogliere come
‘cosa propria’ tutte le qualità umane, i valori e i modi di vivere tipici
dello S t a t o c h e d i f e n d o n o . Devono dunque possedere una qual-
che facoltà di percepire e assorbire simpateticamente tutte quelle qua-
lità e quei valori: una facoltà che Socrate chiama to philosophon, e che
è componente essenziale del loro temperamento, altrettanto essenziale
quanto l’ardente impulso vitale che chiama to thymoeides. È importan-
te notare che in questo stadio dell’argomentazione il termine philo-
sophon ha ben poco a che fare con la “filosofia” nel senso nostro del
termine. Nel philosophon, infatti, l’abilità di riconoscere si combina
20 Musica e carattere nella Repubblica di Platone

con la disposizione emozionale ad amare e alimentare ciò che ‘appar-


tiene’ allo Stato e ai suoi valori: il termine non implica alcun tipo di
analisi o comprensione intellettuale.
Quando dunque Socrate comincia a parlare del tipo di ‘educazio-
ne’ (paideia) che deve alimentare questi due aspetti della natura dei
guardiani (376d-e), non pensa a un’educazione che li fornisca di infor-
mazioni, o che acuisca le loro capacità di ragionamento. Si tratta inve-
ce di far convergere le loro inclinazioni e disposizioni emozionali su
oggetti appropriati, accrescendo in loro la consapevolezza di ciò che
va apprezzato e ammirato, e di indurli non soltanto a difendere, col
loro comportamento, i valori sani sui quali la comunità è fondata, ma
anche ad amarli, e a odiare tutto ciò che sia in conflitto con essi. In
linea con la consuetudine tradizionale, questo tipo di educazione si
articolerà in due àmbiti, gymnastikē e mousikē (376e).
In diversi passi della Repubblica, alcuni dei quali studieremo in
dettaglio, il termine mousikē significa anche “musica” nel senso nostro
del termine, ma in prima istanza la sua portata semantica è assai più
ampia, e abbraccia anche i significati di “racconto” e di “poesia”, an-
che quando racconti e poesie non vengano eseguiti sotto forma di can-
to. Ed è proprio a racconti e poesie che Socrate dedica attenzione in
primo luogo, quando intraprende la sua nota campagna per purgare il
canone letterario della Grecia da tutto ciò che considera non desidera-
bile, lasciando dietro di sé un cumulo di macerie. Omero viene muti-
lato fino a essere irriconoscibile, tragedia e commedia vengono bandi-
te; e in realtà, a seguire le prescrizioni di Socrate fino alle estreme con-
seguenze, si dovrebbe fare un bel falò di tutta la tradizione poetica che
definisce l’identità culturale greca. Una pagina che suona francamente
eccessiva, e tanto più sconvolgente, secondo me, per il tono apparente-
mente moderato e ragionevole del testo, e per la supina adesione degli
altri interlocutori alle raccapriccianti proposte di Socrate1 .
Tutto ciò è ben noto, e non dirò nulla di più al riguardo. Ma
poiché sulla musica di questo periodo sappiamo molto meno di quan-
to non sappiamo sulla poesia, ci risulta difficile valutare con precisione
l’impatto che, in questo campo, il programma di Socrate avrebbe potu-

1
Forse queste mie osservazioni potranno sembrare esagerate. E in effetti, quan-
do Platone fa dire a Socrate che poeti più seri e rigorosi saranno bene accolti nella
comunità (398a-b), bisogna pensare che tali poeti non esistessero soltanto nella sua
immaginazione. A mio modo di vedere, gran parte dell’opera superstite di Pindaro
avrebbe forse potuto passare indenne dalle critiche che Platone aveva riservato a
Omero e ai tragici. Ma è vero anche che pochi altri poeti avrebbero potuto soddisfa-
re princìpi così rigidi.
Affinità tra musica e anima 21

to avere, se realmente fosse stato attuato. E se ho messo in evidenza la


radicalità del suo attacco alla tradizione poetica è soltanto per suggeri-
re che le implicazioni della sua discussione sulla musica, per quanto
oscure possano apparirci, saranno risultate certamente altrettanto bru-
tali, nel contesto culturale contemporaneo.
Il più importante discorso di Socrate sull’educazione musicale in
senso stretto (III 398c-403c) abbraccia tre temi fondamentali. La prima
parte (398c-400c) contiene un insieme di proposte concrete, intese a
depurare il repertorio musicale dagli elementi indesiderabili, mante-
nendo soltanto gli schemi ritmici e melodici più edificanti, e riducendo
al minimo le varietà degli strumenti musicali. Il seguito del discorso
tende a dare saldi fondamenti teoretici a queste proposte; e in questo
senso il secondo e il terzo punto dell’argomentazione di Socrate sono
strettamente interconnessi tra loro. Il secondo (400c-401a) sviluppa la
tesi che le composizioni musicali e l’anima umana, per diversi impor-
tanti aspetti, sono simili: la musica, come l’anima, possiede, a quanto
pare, caratteristiche etiche; e l’anima o il carattere umano possiedono
proprietà che è possibile descrivere efficacemente in termini musicali.
Sembrano idee molto strane, se vi si riflette a stretto rigore, e dovremo
cercare di scoprire qual è il senso esatto che Socrate intende dare alle
proprie affermazioni. Il terzo argomento (401b-403c) è che la musica
non solo ha proprietà molto simili a quelle dell’anima, ma può anche
agire su di essa, e può avere effetti estremamente significativi sul carat-
tere di chi la ascolta. Diversi tipi di musica influenzano il carattere
degli ascoltatori in modi diversi, in bene o in male; e Socrate si impe-
gna molto nel tentativo di spiegare il meccanismo di azione di que-
st’influenza. Il suo discorso mira principalmente a rendere comprensi-
bili e plausibili queste due tesi, e ad associarle in modo da giustificare
la drastica ‘purificazione’ del repertorio musicale che era stata annun-
ciata all’inizio.
Seguendo Socrate, cominceremo con l’esporre le proposte di libe-
rare la musica dello Stato da ogni fattore eticamente dannoso; le spie-
gazioni verranno dopo. Socrate e Glaucone concordano che il melos,
che qui significa “canto”, consiste di tre elementi: parole, harmonia e
ritmo. Definiti i criteri per selezionare le parole, gli altri due elementi,
dice Socrate, dovranno seguire le parole (398d8-9). Questa nozione di
“seguire” avrà una funzione importante più avanti, e dovremo consi-
derarla più da vicino. Ma al momento Socrate intende probabilmente
esprimere soltanto un concetto piuttosto semplice, e cioè che le har-
moniai e i ritmi di un canto devono essere in qualche modo a p p r o -
p r i a t i al senso delle parole, e non devono suscitare negli ascoltatori
22 Musica e carattere nella Repubblica di Platone

sensazioni che contrastino col senso delle parole. Già solo quest’inter-
pretazione piuttosto generica implica, di fatto, che gli elementi stretta-
mente musicali di un canto non vadano considerati soltanto come
mere sequenze di suoni, ma che siano, in un certo senso, dotati di ‘si-
gnificati’ loro propri, che possono essere coerenti o non coerenti con il
contenuto etico delle parole alle quali si accompagnano. Socrate rima-
ne in debito con noi di qualche spiegazione su come delle pure e sem-
plici successioni di suoni possano ‘significare’ qualcosa: è evidente che
questi ‘significati’ non sono esattamente di quelli che si possono cerca-
re in un dizionario. Ma in questa fase l’argomentazione di Socrate non
contiene istanze strettamente teoretiche, e possiamo senz’altro conve-
nire, in via preliminare e provvisoria, che la musica di una marcia mi-
litare, per esempio, non ‘segue’ – nel senso qui richiesto da Socrate –
le parole di una ninnananna, in quanto non è adatta a esse.
A questo punto, Socrate comincia a esaminare gli elementi musica-
li uno per volta, partendo da quello che chiama harmonia. Si tratta di
un termine sfuggente, con un’ampia serie di diversi impieghi: i suoi si-
gnificati, non rigidamente distinti gli uni dagli altri, hanno contorni
piuttosto vaghi, che sconfinano nebulosamente gli uni negli altri, sicché
è spesso difficile decidere con quale di essi abbiamo a che fare, o addi-
rittura se l’autore stesso aveva in mente un significato chiaramente defi-
nito. In questo testo il termine appare per la prima volta quando Socra-
te dice che harmonia è uno dei tre elementi fondamentali del canto,
melos, insieme con parole e ritmo (398d2). Qui, probabilmente, il suo
significato è assai generico: si riferisce all’elemento della composizione
musicale che chiamiamo “melodia”, e Socrate intende semplicemente
dire che ogni canto ha un suo motivo musicale, una sua melodia. Ma
quando, più avanti, Socrate chiede a Glaucone di individuare harmoniai
che abbiano specifiche caratteristiche etiche, per decidere quali debbano
essere usate e quali no (398e1-399c4), è chiaro che non gli sta chiedendo
una lista di motivi musicali, di melodie accettabili e non accettabili: una
lista del genere, se dovessimo includervi ogni singola possibile melodia,
ogni singolo possibile motivo musicale, sarebbe virtualmente infinita.
Per raggiungere lo scopo, e poter utilizzare efficacemente la lista, è ne-
cessario un qualche parametro concettuale in base al quale le infinite
possibili diverse melodie, gli infiniti possibili diversi motivi musicali
possano essere ridotti a un numero limitato di t i p i .
E in effetti Glaucone, rispondendo alle domande di Socrate sulle
harmoniai, fornisce un elenco di poche voci, dando a ciascuna di esse
nomi come meixolydistì, dōristì e così via, ed è chiaramente sottinteso
che ogni singola melodia ricade in una o nell’altra di queste categorie.
Affinità tra musica e anima 23

Dōristì non è il nome di un motivo musicale, ma designa un insieme


nel quale rientra un gran numero di diversi motivi musicali. E allora,
che cosa esattamente significa harmonia in locuzioni come “harmonia
dorica”, “harmonia lidia tesa” e così via? E che cosa distingue una
harmonia dall’altra?
Definire gli usi di espressioni di questo tipo lungo tutta la storia
della letteratura greca è un compito difficile, ma sembra chiaro, alme-
no a me, che qui, con il termine harmonia, Socrate e Glaucone inten-
dono designare u n m o d e l l o d i a c c o r d a t u r a 2 . Qualificazioni
come “dorica”, “frigia”, etc., si riferiscono insomma a una specifica or-
ganizzazione di note e di intervalli in base alla quale lo strumento
musicale va accordato per prepararlo all’esecuzione di melodie di un
certo tipo. Una harmonia costituisce dunque la fondazione strutturale
sulla quale possono essere basate diverse melodie; o, se si preferisce,
offre gli elementi, il materiale grezzo, che l’esecutore disporrà in un
qualche ordine da lui prescelto, per produrre un suo motivo musicale.
Diverse harmoniai forniscono i materiali per melodie di diversi tipi.
Così, se si accorda la lyra nell’harmonia dorica, si dispone di materiale
per comporre un certo insieme di motivi musicali; se la si accorda nel-
la missolidia, nella quale note e intervalli sono diversamente organiz-
zati, si dispone di materiale per motivi musicali di diverso tipo melodi-
co, in quanto fondati su una diversa struttura musicale. Ogni harmo-
nia, potremmo dire, definisce, all’interno dello ‘spazio musicale’, un
particolare insieme di punti di riferimento, tra i quali una melodia si
può muovere, delimitando altresì tutti i molti possibili percorsi di essa
all’interno di quell’unico schema.
I modi di organizzare note e intervalli per creare una harmonia
musicale possono essere vari e diversificati, ma gli autori greci accetta-
no, di norma, l’idea che è possibile distinguere nettamente un modello
di accordatura vero e proprio – una harmonia – da un aggregato ca-
suale di suoni3 . Fra i teorici, la natura precisa della distinzione era
molto dibattuta, ma su un punto centrale il consenso era unanime: gli
elementi di una harmonia, diversamente da quanto accade negli aggre-
gati casuali, sono integrati in una struttura che l’orecchio musicale per-

2
Un esempio chiaro di quest’accezione nella letteratura precedente a Platone
è in Aristoph. Eq. 985-989. Sulle harmoniai di questo passo della Repubblica, vd. in
particolare Aristid. Quint. De mus. I 9 (18, 5-19, 10 W.-I.), un passo al quale avrò
modo di riferirmi con maggiori dettagli più avanti, e nel capitolo III. Un ottimo studio
sul valore del termine harmonia è ROCCONI 1998.
3
Vd., per esempio, Aristox. El. harm. 18, 5-19, 16 (23, 9-24, 15 Da Rios).
24 Musica e carattere nella Repubblica di Platone

cepisce come un’unità organica4 . Harmoniai differenti sono modi dif-


ferenti di riunire serie di elementi in complessi unitari ben organizzati:
ed è certamente possibile distinguere con chiarezza e obiettività
un’unità organizzata da un mero aggregato informe di parti, anche se
può risultare molto difficile spiegare in che cosa esattamente consista
la distinzione. I teorici della musica hanno dibattuto per secoli, come
ho detto, attorno ai princìpi che governano questa integrazione e fon-
dano questa unità, e non è mia intenzione di aprire qui questo vaso di
Pandora.
Nella trattazione dell’argomento che troviamo nella Repubblica,
le qualità che una melodia acquista per il fatto di essere basata su una
harmonia piuttosto che su un’altra sono molto più significative di
quelle che la distinguono dalle altre melodie basate sulla medesima
harmonia. È l’harmonia sulla quale è basata che conferisce a una melo-
dia le sue caratteristiche etiche, alle quali Socrate è interessato; e ciò
vuol dire che quelle caratteristiche hanno origine da qualche elemento
strutturale, che fornisce l’intelaiatura attorno alla quale si articolano
tutti i motivi musicali basati sulla stessa harmonia. Poco più avanti
(400a-c) Socrate assumerà una posizione simile riguardo al ritmo:
l’aspetto più significativo del ritmo non è costituito dalla specifica se-
quenza di elementi lunghi e brevi che si viene configurando durante
l’esecuzione di un brano, ma dalle forme o strutture dei modelli ritmi-
ci in base ai quali quella sequenza è stata composta.
A questo punto, allora, si può trarre una prima importante con-
clusione. Le caratteristiche della musica che a Socrate interessano per
fini etici e pedagogici riguardano la conformazione della s t r u t t u r a
che sta alla base dei contorni melodici e ritmici di un canto, e non i
dettagli della loro configurazione. È facile prevedere gli ulteriori svi-
luppi di un’impostazione del genere: nella visione di Platone non sono
i dettagli concreti delle azioni di un individuo a renderlo cattivo o
buono, ma il suo c a r a t t e r e , che sta alla base delle sue azioni, la sua
disposizione d’animo, della quale le sue azioni sono manifestazioni5 .
Analogamente, Platone concepisce le harmoniai come strutture, com-
plessi ordinati di elementi, i cui caratteri si trasferiscono alle singole
melodie basate su di esse.

4
La stessa parola harmonia appartiene a una famiglia di termini il cui signifi-
cato fondamentale è quello di “mettere insieme”, in riferimento, per esempio, al la-
voro di un carpentiere che mette insieme diversi pezzi di legno separati per formare
un’‘unità’, un prodotto singolo, come una sedia o un tavolo.
5
Vd., per esempio, 443c9-444a2.
Affinità tra musica e anima 25

Ma in che senso le harmoniai o altre strutture musicali possono


avere caratteristiche etiche? Certo non possono essere coraggiose o vili
o sagge o stupide, come le persone. Questa sembra una difficoltà reale;
ciò nonostante non è difficile cogliere – almeno approssimativamente –
che cosa Socrate intende dire quando chiama alcune harmoniai
thrēnōdeis, «lamentose», e altre malakai e sympotikai, «molli» e «sim-
posiali». Qui Socrate non è rappresentato come un esperto di musica.
«Io non conosco le harmoniai» dice poco più avanti (399a5), sicché
non dovremmo leggere niente di teoricamente complesso o di specifi-
camente tecnico negli aggettivi che usa: intende semplicemente dire
che alcune harmoniai, e le melodie basate su di esse, creano un’atmo-
sfera di forte intensità emotiva, mentre altre sembrano rilassate e disin-
volte. Non sa neppure quali siano le caratteristiche delle singole har-
moniai, e per ottenere informazioni sull’argomento si appella a Glau-
cone, che, a quanto pare, è uno specialista in materia: «Sy gar mou-
sikos», «L’esperto di musica sei tu», dice Socrate (398e1). Se dunque
vorremo trovare idee meno generiche, e di natura più tecnica, dovre-
mo cercarle nelle repliche di Glaucone.
Concentriamoci un attimo su questa “mollezza”, malakia, che
Socrate attribuisce ad alcune delle harmoniai. Quando Socrate ne parla
per la prima volta (398e9), si riferisce a un fattore distintivo della di-
sposizione umana, la ‘mollezza’ del carattere. In seguito chiede a
Glaucone quali harmoniai siano malakai (398e9), con l’evidente impli-
cazione che queste harmoniai, di qualunque cosa si tratti, hanno l a
m e d e s i m a c a r a t t e r i s t i c a che si trova in esseri umani ‘mol-
li’. Rispondendo a Socrate, Glaucone non solo individua le harmoniai
in questione, ma dà anche un indizio sui fondamenti tecnici di questa
‘mollezza’ musicale. Egli nomina l’harmonia iastia o ionica, e poi ag-
giunge: «e alcune delle harmoniai lidie sono anche chiamate chalarai”,
«allentate» o «rilassate» (398e10).
Due dettagli dell’intervento di Glaucone richiedono un’attenzio-
ne particolare. Innanzi tutto, bisogna considerare che Glaucone non
chiama “rilassate” alcune harmoniai lidie sulla base di una sua perso-
nale descrizione o valutazione. Dice infatti che esse « s o n o c h i a m a -
t e ( k a l o u n t a i ) c h a l a r a i » : il che implica, naturalmente, che il ter-
mine era usato, presumibilmente da musicisti, per connotare un parti-
colare gruppo di harmoniai lidie. In secondo luogo, l’aggettivo che le
designa non è lo stesso usato da Socrate. Per quanto malakos “molle”,
e chalaros “allentato” o “rilassato” possano essere in qualche modo ac-
costati, il loro significato non è identico. Diversamente da malakos,
l’aggettivo chalaros, così come il verbo chalān e simili, è sempre usato
26 Musica e carattere nella Repubblica di Platone

in connessione con la nozione di “ t e n s i o n e ” , la tensione di oggetti


come le corde di uno strumento musicale o un arco, o, nella letteratura
medica, la tensione di nervi, tendini e simili, all’interno di un organi-
smo vivente. Una corda, o un nervo, è chalara se è allentata e il suo
grado di tensione è basso. Termini di questa famiglia appaiono molto
frequentemente in unione con termini di significato opposto (di solito
epiteinein, epitasis e simili), che indicano un alto grado di tensione (in
Platone, per esempio, Phaed. 86c, 94c, 98d). È particolarmente impor-
tante notare che chalaros, chalān, e altre parole di questo gruppo sono
quasi invariabilmente usate in senso letterale, non metaforico, come
invece accade spesso per malakos; e il riferimento alla tensione resta
alla base del loro significato anche in contesti metaforici, musicali e
non musicali. Nella letteratura tecnico-musicale l’uso di questi termini
è piuttosto raro (non compaiono affatto, per esempio, né in Aristosse-
no, né in Aristide Quintiliano). Quando, però, ricorrono6 , non desi-
gnano, metaforicamente, una ‘rilassatezza’ del suono, ma si riferiscono,
letteralmente, all’allentamento di una corda di uno strumento musica-
le, in opposizione col processo opposto, quello di aumentarne la ten-
sione, epiteinein7 .
Da queste osservazioni possiamo trarre tre conclusioni. In primo
luogo, nonostante chalaros non sia, in senso stretto, un termine tecni-
co della teoria musicale greca, la frase di Glaucone suggerisce implici-
tamente che apparteneva al g e r g o d e i m u s i c i s t i contemporanei,
che lo usavano per designare particolari modelli di accordatura. Inol-
tre, la nostra aspettativa di trovarlo usato per marcare l’opposizione
con harmoniai nelle quali l a t e n s i o n e è alta, è pienamente soddi-
sfatta: le harmoniai lidie “allentate”, chalarai, sono evidentemente op-
poste alla syntonolydistì, la «lidia tesa», di 398e2. Infine, il fatto che
chalaros sia così coerentemente usato in senso letterale conduce alla
conclusione che designi una caratteristica assolutamente obiettiva di
queste harmoniai: la loro struttura si basa s u l l ’ a l l e n t a m e n t o di
alcune corde.
Sono conclusioni importanti. Diversamente dal termine usato da
Socrate, malakos, l’aggettivo chalaros introdotto da Glaucone non si
riferisce semplicemente a una vaga impressione emozionale, ma defini-
sce con grande precisione una specifica caratteristica strutturale di certi

6
Vd. Ptol. Harm. 65, 32; 81, 8 e 19 Düring.
7
Anche quando è usato in una metafora musicale, come nel verso 5 del fram-
mento 155 K.-A. di Ferecrate, chalaros conserva la connessione con l’allentamento
di una corda; si confrontino le immagini (non musicali) di Plat. resp. 329c7-8.
Affinità tra musica e anima 27

tipi di harmoniai. Costruzioni di questo tipo sono chalarai se certe


corde sono allentate, sicché le note da esse prodotte hanno un’intona-
zione più bassa, rispetto a quella delle note corrispondenti in altri si-
stemi. L’aggettivo designa una caratteristica o g g e t t i v a della strut-
tura, individuabile senza incertezza almeno da un musicista esercitato,
e non soltanto l’atmosfera emozionale alla quale fa pensare il termine
malakos, adoperato da Socrate.
Ma Glaucone suggerisce implicitamente anche che esiste una con-
nessione tra l’ ‘allentamento’ della struttura musicale e la ‘mollezza’
del suo corrispettivo emozionale. Quando dice che alcune accordature
lidie sono strutturalmente ‘allentate’ (chalarai), lo fa in risposta alla
domanda di Socrate: «Quali accordature sono emozionalmente ‘molli’
(malakai)?» E la risposta ha senso solo se la loro struttura, che, tecni-
camente parlando, è ‘allentata’, le rende in qualche modo ‘molli’ anche
nell’accezione psicologica richiesta da Socrate. Allo stesso modo, no-
nostante il passo non sia del tutto esplicito su questo punto, l’intensità
emozionale delle harmoniai associate col lamento deriva da una forma
di ‘tensione’ che è insita nelle loro strutture. Qui il termine cruciale è
syntonos, “tirato”, o “fortemente teso”, che, come ho detto, compare
nel composto syntonolydistì, il nome dato da Glaucone all’harmonia
“lidia tesa”. Si tratta, evidentemente, di una harmonia lidia nella quale
l’intonazione di alcune note, che vengono ‘tese’ o innalzate di tono,
differisce da quella delle forme lidie ‘allentate’: e le melodie basate su
forme ‘tese’ di accordatura producono, evidentemente, impressioni di
fortissima ‘tensione’ emotiva. Va notato, incidentalmente, che i lamenti
greci mostrano ‘tensione’ anche da un altro punto di vista, anch’esso
relativo alla sfera tecnico-strutturale, e abbastanza evidente anche per
ascoltatori non specialisti: molti autori antichi parlano dell’intonazione
a c u t a dei lamenti, e dell’intenso s f o r z o v o c a l e che l’ese-
cuzione di essi richiedeva.
Da tutto ciò emergono due punti importanti. Uno è che abbiamo
trovato un caso in cui le medesime proprietà possono apparire i n t r e
d i v e r s i c o n t e s t i : il carattere umano, l’impressione emotiva destata
da una costruzione musicale, e un modello strutturale di note e inter-
valli oggettivamente identificabile. In secondo luogo, le proprietà di
cui Socrate e Glaucone parlano si riferiscono a d u e f a t t o r i o p p o -
s t i , la tensione e l’allentamento. Si potrebbe muovere un appunto a
Socrate e Glaucone perché si servono di metafore in modo fuorviante:
la ‘tensione’ musicale di una harmonia, che corrisponde alla tensione
delle corde dello strumento sul quale viene eseguita musica composta
secondo quell’harmonia, non può essere assimilata alla ‘tensione’ emo-
28 Musica e carattere nella Repubblica di Platone

zionale che si può riscontrare nel carattere umano, così come un tem-
peramento caldo non ha nulla in comune con una pietanza calda. Ma
non è affatto chiaro che ‘metafora’ sia la categoria appropriata a que-
sto contesto: come vedremo più avanti, Platone ha concepito il rappor-
to fra i diversi ambiti in maniera piuttosto differente.
Ora però siamo ben avviati ad affrontare una delle questioni cen-
trali che ho individuato prima, la questione di come le strutture musi-
cali possono avere qualità etiche simili a quelle del carattere umano.
Quando Socrate comincia a parlare delle qualità delle harmoniai che
intende conservare (399a), introduce un concetto di fondamentale im-
portanza per la sua trattazione dell’argomento. Si tratta del concetto di
m i m ēs i s , “ i m i t a z i o n e ” , ben noto ai lettori di Platone per l’uso
che egli ne fa nell’esame della pittura e della poesia nel libro X della
Repubblica. In quel contesto, la complessità degli argomenti affrontati
dipende, in parte, dagli apporti teoretici della ben nota teoria delle
idee; ma nel libro III questa teoria non è stata ancora introdotta, e
quando la nozione della mimēsis musicale appare per la prima volta,
sembra scarsamente elaborata8 .
Socrate dice che andrà conservata l’harmonia «che imiti conve-
nientemente (prepontōs an mimēsaito) toni e accenti di un uomo co-
raggioso impegnato in guerra e in ogni azione rude e violenta» (399a-
b). Di seguito aggiunge che bisogna mantenere anche una harmonia
appropriata a persone che agiscono con saggia moderazione in tempi
di prosperità; e riassume dicendo che queste harmoniai «imiteranno
ottimamente (mimēsontai kallista)» i toni di persone che si trovano
nella buona e nella cattiva sorte (399b-c). Il termine phthongoi, che ho
tradotto con “toni”, è di norma adoperato in contesti musicali per
designare le “note”, ma è evidente che Socrate non parla qui di musica
che imita altra musica. Questi “toni” sono quelli del linguaggio uma-
no. Un gruppo di suoni, quello di una harmonia, ne ‘imita’ un altro,
quello del linguaggio di un uomo moderato o coraggioso. È chiaro che
un insieme di suoni ne può imitare un altro se suona in maniera simile,
così come un’immagine ‘imita’ un altro oggetto visibile apparendo si-
mile a esso. Se Socrate – come certamente fa in un passo precedente
(397a) – pensasse anche qui all’imitazione in questi termini, allora il
suo modello apparirebbe fortemente limitato e semplicistico, e certa-
mente non basterebbe a spiegare le relazioni, alle quali è interessato,
tra la musica e gli stati psichici. Il modello rappresenta bene il tipo di
‘imitazione’ che si realizza quando una terza maggiore discendente

8
Sull’argomento, utili i lavori di ELSE 1958, ANDERSON 1966, HALLIWELL 1999.
Affinità tra musica e anima 29

prodotta da un flauto riproduce il suono di un cuculo, ma non aiuta a


comprendere in quali modi la musica può trasmettere emozioni e stati
d’animo. La musica della Winterreise di Schubert esprime una vasta
gamma di stati d’animo con straordinaria vividezza, ma non suona
esattamente come «i toni e gli accenti» di qualcuno che reagisca alle
esperienze dettagliatamente descritte nei testi poetici ai quali si accom-
pagna. Ma questa non è l’ultima parola di Socrate sull’argomento.
Come altre volte, il Socrate di Platone introduce qui un nuovo concet-
to in maniera diretta e decisa e in forma piuttosto rudimentale: così
facendo lo rende disponibile per sviluppi futuri, più penetranti e sod-
disfacenti.
Prima di addentrarci in queste allettanti complessità, vorrei porta-
re a termine molto brevemente l’esame delle proposte di Socrate per la
riforma della musica. Egli rifiuta tutte le harmoniai tranne due, la dori-
ca e la frigia. In seguito dà un taglio netto anche alla lista degli strumen-
ti musicali disponibili nell’Atene contemporanea: tutti vengono abban-
donati tranne la lira (lyra) e la cetra (kithara), da adoperare in città, e il
flauto di Pan (syrinx) per i mandriani della campagna (399c-e). La vitti-
ma più importante di questa epurazione è l’aulos, lo strumento a fiato
essenziale alle rappresentazioni drammatiche e ditirambiche, e a molte
altre forme di musica colta e popolare, per non parlare del rituale reli-
gioso. Può forse apparire sorprendente che il rifiuto, da parte di Socra-
te, dell’aulos, non è basato sul timbro o sulla potenza del suono che
esso produce. L’unica ragione che Socrate dà è invece il fatto che questo
strumento può modulare liberamente, passando da una harmonia all’al-
tra. E poiché molte harmoniai sono inaccettabili, vanno rifiutati gli
strumenti che le rendono tutte o in gran parte prontamente disponibili.
Il fatto che Socrate si concentri soltanto su questa considerazione, men-
tre se ne potrebbero immaginare alcune altre più ovvie, evidenzia una
volta di più la sua convinzione che sono le strutture musicali, presenti
sotto la superficie delle composizioni e delle esecuzioni, ad avere pro-
prietà eticamente significative, e a poter influenzare il carattere dell’ani-
ma, anche quando probabilmente l’ascoltatore sia inconsapevole della
loro presenza. È evidente allora che le caratteristiche più superficiali e
più immediatamente percepibili della musica, come per esempio la con-
figurazione delle melodie o i timbri degli strumenti, non hanno tali pro-
prietà, e non toccano le disposizioni dell’anima.
Infine, Socrate rivolge la sua attenzione ai r i t m i (399e-400c).
Qui lo scopo di individuare quelli che corrispondono allo stile di vita
di un uomo ordinato e coraggioso è troppo tecnico perfino per Glau-
cone, e Socrate propone di affidarsi ai consigli di Damone, il più insi-
30 Musica e carattere nella Repubblica di Platone

gne teorico della musica del V sec. a. C. I suoi metodi vengono de-
scritti in modo intenzionalmente approssimativo: Socrate, insinuando
ancora una volta di non essere un esperto di cose musicali, dice di
averlo ascoltato condurre complicate analisi di ritmi, ma di non aver
capito molto bene le sue argomentazioni. Il fatto che Socrate e Glau-
cone debbano invocare l’aiuto della competenza di Damone mostra
ancora una volta che le caratteristiche che conferiscono alla musica i
suoi significati etici risiedono sotto la superficie, a un livello che può
essere compreso soltanto per mezzo delle analisi tecniche di un vero
specialista. In questo contesto si tratta delle strutture ritmiche di base,
‘dattili’, ‘enopli composti’ e così via. Socrate, ammettendo di parlare
sulla base di un’impressione non troppo precisa, aggiunge che Damone
può forse aver lodato e criticato quelle che egli chiama le agōgai dei
piedi ritmici, così come i ritmi stessi. Il termine agōgē può riferirsi al
tempo di esecuzione, oppure ai modi nei quali i piedi vengono combi-
nati in sequenze per formare una ‘progressione’ ritmica continua9 ; in
ogni caso, si riferisce a qualcosa che sta al di sopra e oltre le strutture
di base, che Socrate chiama «i ritmi stessi» (400c2-3). Ma l’allusione è
incerta, e l’idea non viene sviluppata qui, né viene ripresa in seguito.
Quando Glaucone confessa di non essere abbastanza esperto per
rispondere alle domande di Socrate sui ritmi, Platone gli fa pronunzia-
re una frase che sembra tendere a ricordarci, come di passaggio, il con-
cetto della mimēsis musicale: «Che genere di forme ritmiche sono
mimēmata, imitazioni, di quali generi di vita», dice Glaucone, «non so
dirlo» (400a7). In realtà, questo è qualcosa di più che un semplice ri-
chiamo. Glaucone non parla qui, come prima aveva fatto Socrate, di
un insieme di suoni che ne imita un altro, né rappresenta il modello di
una successione ritmica di elementi lunghi e brevi come imitazione di
qualcos’altro che sia contrassegnato da fattori temporali misurabili. Un
ritmo è invece mimēma di uno specifico tipo di bios, uno stile di vita
distinto dagli altri per le sue caratteristiche etiche. Non vengono forni-
ti argomenti per giustificare questa supposizione, né, tanto meno, per
dimostrarne la veridicità. Ma l’uso, da parte di Glaucone, dell’espres-
sione biou mimēmata ci avverte che è possibile che siano qui in gioco
tipi di ‘imitazione’ più sottili e astratti di quello suggerito da Socrate,
anche se non sappiamo ancora con precisione di che cosa si tratti.
Il dialogo procede, e Socrate introduce nella discussione sui ritmi
una nuova coppia di termini, ma prima di affrontare il passo nel suo

9
Cf., per esempio, l’uso del termine da parte di Aristosseno in contesti sia
ritmici sia melodici: El. harm. 34, 11-17; 53, 5-11 (43, 15-19; 66, 5-9 Da Rios).
Affinità tra musica e anima 31

complesso, devo fare qualche osservazione di dettaglio. In greco, i due


termini sono e u s c h ēm o s y n ē e a s c h ēm o s y n ē. Nel loro uso più co-
mune, si riferiscono alla bellezza o bruttezza della forma di qualcosa,
del suo schēma. L’euschēmosynē di un corpo ben fatto equivale all’incir-
ca a termini come “grazia”, “bellezza”, e una persona il cui carattere è
euschēmon è “raffinata”, “educata”, “gentile”, in un senso che compor-
ta apprezzamento etico e culturale al tempo stesso. Tutti questi signifi-
cati lasciano tracce nel testo platonico che stiamo esaminando, ma qui è
presente anche un’accezione specificamente m u s i c a l e ; schēmata, in
gergo musicale, sono le “forme” o i modelli visuali formati dalle posi-
zioni e dai movimenti di un danzatore10 , e l’euschēmosynē di un danza-
tore è la grazia o l’appropriatezza con la quale li esegue.
Questo ci aiuta a comprendere in che senso l’euschēmosynē e
l’aschēmosynē «seguono» il ritmo buono e quello cattivo (400c8). La
nozione di “seguire”, che abbiamo già incontrato di sfuggita, ha una
funzione molto importante nella discussione che segue. Socrate non
intende che i movimenti di un danzatore sono aschēmones se non sono
eseguiti a tempo col ritmo della musica: in questa sezione della Repub-
blica non c’è traccia di distinzioni tra esecuzioni corrette o scorrette
da un punto di vista tecnico. Socrate vuol dire piuttosto che se i ritmi
musicali sono cattivi, nel senso indicato dall’analisi di Damone, figure
di danza e movimenti che vi si conformeranno saranno anch’essi catti-
vi, proprio come le harmoniai che ‘seguono’ parole eticamente inaccet-
tabili sono anch’esse inaccettabili.
A questo punto Socrate costruisce una piccola r e t e di elementi
che ‘seguono’ gli uni gli altri (400c-d). La euschēmosynē segue un rit-
mo buono, un ritmo buono segue un contenuto verbale bello, tēi kalēi
lexei, e lo stesso vale per una buona harmonia; la aschēmosynē segue
un ritmo cattivo, e un ritmo cattivo e una cattiva harmonia seguono
parole ugualmente cattive. Il punto centrale è che la qualità etico-este-
tica di queste componenenti musicali deriva da quella degli elementi
che esse, come dice Socrate, ‘seguono’. Socrate lascia trapelare un indi-
zio che questo ‘seguire’ va inteso in termini di mimēsis, anche se il ter-
mine non viene usato: un buon ritmo, egli dice, segue uno stile poetico
elegante «assimilandosi a esso, homoioumenon» (400d2). Questo non
può significare che un ritmo musicale è buono in quanto si conforma
alla lunghezza ‘naturale’ delle sillabe parlate. Come era stato chiarito
dalla lunga discussione sulla poesia (in particolare 377a-392c), le parole

10
Si veda, per esempio, Aristox. El. rhythm. II 9; Aristid. Quint. De mus. I 13
(32, 6 W.-I.); II 6, (59, 31 W.-I.), e cf. II 10 (73, 28-74, 6 W.-I.).
32 Musica e carattere nella Repubblica di Platone

di un canto sono belle e buone in virtù del loro s i g n i f i c a t o ,


non della lunghezza delle loro sillabe, sicché l’‘assimilazione’ del ritmo
a ciò che le parole significano va intesa qui in un senso più astratto.
La cosa si fa ancora più chiara nel seguito dell’argomentazione. Il
ritmo e l’harmonia ‘seguono’ il contenuto verbale, la dizione. «Ma»,
chiede Socrate, «che cosa diremo dello stile poetico e del materiale
verbale?» (400d6). Ossia, che cosa seguiranno, e da che cosa deriva la
loro bontà11 ? Socrate si risponde da solo: ciò che seguono è «il carat-
tere dell’anima, tōi tēs psychēs ēthei» (400d6-7). In questo caso, conti-
nua, dal momento che tutti gli altri elementi seguono le parole, dob-
biamo concludere che buon materiale verbale, buona struttura musica-
le (harmonia), euschēmosynē e buon ritmo, sono tutti elementi che se-
guono un buon carattere. Se qualche dubbio rimane sul se un elemen-
to ne ‘segue’ un altro imitandolo, e quindi assomigliando a esso, il
dubbio è risolto poche righe più avanti. Socrate afferma che le qualità
di cui si è parlato – euschēmosynē e simili – si possono trovare nei
prodotti di ogni tipo di artigianato (dēmiourgia): raffigurazioni pittori-
che, decorazioni di tappezzeria, edifici, e così via, e anche nei corpi di
animali e piante. Aschēmosynē, irregolarità ritmica, cattiva harmonia,
dice Socrate, sono «sorelle, adelpha», di un cattivo discorso e di un

11
«Stile poetico» traduce lexis; «materiale verbale» traduce logos. A 392c, dove
i due termini sono nettamente distinti, i logoi di una poesia sono le parole di cui è
formata, considerate come portatori di significato, e la loro bontà o non bontà viene
giudicata sulla base delle idee che comunicano; e sull’argomento Socrate dice di es-
sere impegnato a considerare «ciò che dovrebbe essere detto» (392c2). Lexis, invece,
ha a che fare con il «come bisognerebbe dirlo» (392c8). La medesima distinzione
riappare a 398b. Nel seguito del discorso, Socrate esamina però la lexis da una sola
angolazione: non dice nulla, per esempio, a proposito della scelta delle immagini da
parte del poeta, o a proposito della necessità di sottolineare il senso delle parole con
appropriate figure di suono. Distingue soltanto tra un modo di presentazione pura-
mente ‘narrativo’, in cui la ‘voce’ che pronunzia le parole è esclusivamente quella del
poeta, e un modo ‘mimetico’ o ‘drammatico’, che si serve del discorso diretto dei
personaggi all’interno dell’opera letteraria (392e-394b). Questo secondo tipo di lexis
deve essere evitato perché, argomenta Socrate, spinge i suoi fruitori ad adottare ca-
ratteri diversi dai propri, sì da diventare persone ‘multiple’ (397d-e), piuttosto che
mantenere un’identità coerente e rispettabile. Lo stesso criterio è evidentemente alla
base del rifiuto, per esempio, delle forme ‘panarmoniche’ di musica, a 399c. Ed ecco
che, nel nostro testo, gli altri elementi musicali che ‘seguono’ buoni logoi sono quel-
li che aiutano a comunicare significati edificanti, e quelli che seguono una buona lexis
sono quelli che esprimono i tratti di eccellenza caratteriale e di ineccepibilità morale
della persona la cui ‘voce’ viene comunicata dalla musica. Ma, anche se l’accosta-
mento di logos e lexis introdotto da Socrate più avanti a 400d deve aver inteso ricor-
darci questa distinzione, Socrate stesso non lo enfatizza: e passa, nello spazio delle
sei righe seguenti, da riferimenti a «lexis e logos» alla sola lexis, a eulogia, «buone
parole» (400d6-11), senza nessuna evidente opposizione significativa.
Affinità tra musica e anima 33

cattivo carattere e le loro opposte sono «sorelle e imitazioni, adelpha


kai mimēmata» di un carattere opposto, buono e moderato (401a1-8).
All’inizio del discorso successivo, Socrate dice anche che poeti e com-
positori debbono essere costretti a «imprimere nelle loro composizioni
l’immagine, eikōn, di un buon carattere» (401b1-3). Il carattere del-
l’anima, to tēs psychēs ēthos, è così diventato la cosa di cui tutti gli
elementi strutturali e significativi di una composizione musicale sono
imitazioni o immagini. Dunque, abbiamo elementi che ne ‘seguono’
altri, come euschēmosynē segue un buon ritmo, che a loro volta ne se-
guono altri; donde, per quanto questo ‘seguire’ implichi imitazione o
somiglianza, un elemento non segue l’altro somigliando direttamente a
esso, ma somigliando a ciò a cui esso somiglia. La bontà o non bontà
di ciascuno di questi elementi deriva dalle qualità di ciò che segue o
imita. Alla fine di questa catena mimetica c’è il carattere dell’anima; e
la bontà o la non bontà di ogni struttura musicale dipende interamente
da quella del carattere umano di cui è eikōn o mimēma.
Fin qui, tutto bene; ma non sappiamo ancora in virtù di che cosa
una figura di danza, un ritmo o un’accordatura possano diventare im-
magini di un elemento così diverso da loro, come l’ēthos dell’anima
umana: e il seguito del passo ci fornisce pochissimi chiarimenti. Due
piccoli indizi, tuttavia, ci suggeriscono conclusioni che ci aiutano a ca-
pire perché Platone non dà una spiegazione più completa di questo rap-
porto. Il primo è nel termine adelpha, “sorelle germane”, che ricorre
due volte alla fine del discorso che abbiamo appena considerato (401a7-
8). Se un buon ritmo e una buona harmonia non sono soltanto
mimēmata di un buon carattere, ma sono anche suo fratello e sua sorel-
la, la metafora implica che sono in qualche modo derivati dalla stessa
origine; hanno, per così dire, lo stesso padre e la stessa madre. In questo
caso, la ‘somiglianza’ di una harmonia a un ēthos psychēs consiste nella
relazione che entrambi hanno con u n e l e m e n t o c h e a e n t r a m b i
h a t r a s m e s s o l a p r o p r i a n a t u r a . Il secondo indizio arriva un
po’ dopo (402d1-4), in una frase che non parla di musica o dei suoi ele-
menti, ma fornisce, a quanto pare, un caso parallelo. Socrate chiede di
immaginare una persona «nella cui anima ci siano buone disposizioni,
kala ēthē, e nel cui aspetto fisico ci siano elementi che sono in accordo
e in consonanza con queste disposizioni, tou autou metechonta typou,
che partecipano dello stesso typos”. Il termine typos può designare l’ar-
nese impiegato nella produzione delle monete: il conio; oppure la forma
nella quale viene modellata l’argilla, o viene colato il bronzo fuso per ri-
cavarne delle figure, statuette e simili: il calco; in generale, si tratta della
forma originaria di un modello, che può trasmettere quel modello a un
34 Musica e carattere nella Repubblica di Platone

numero indeterminato di altre cose. Nel nostro passo si tratta di qual-


cosa che può imprimere lo stesso modello all’anima, per formarne il
carattere, e al corpo, per dare a esso il suo aspetto esteriore12 . Ancora
una volta, cose che da un certo punto di vista non hanno nulla in comu-
ne, come l’anima e il corpo, sono ‘accomunate’ l’una all’altra per essere
state impresse dallo stesso modello, trasmesso a esse da un’altra cosa
che è distinta e separata da entrambe. E allora, che cos’è quest’altra
cosa? Chi abbia familiarità con la metafisica platonica potrebbe ricono-
scere qui tracce inequivocabili della teoria delle idee, e non ho dubbi
che si possa essere incoraggiati a interpretare il concetto di mimesi mu-
sicale alla luce di quella teoria; una struttura musicale imita il carattere
dell’anima o gli rassomiglia in quanto entrambe partecipano della me-
desima idea. Ma un’affermazione esplicita in tal senso non sarebbe pos-
sibile in questo punto del testo, dal momento che Platone non è ancora
pronto a innalzare la discussione a un livello così astratto. E infatti co-
mincia a preparare il terreno in questo senso soltanto a partire dalle
pagine finali del libro V.
Possiamo fare un piccolo passo avanti, tuttavia, in un’altra dire-
zione. Più sopra ho detto che, all’inizio della discussione sulle harmo-
niai, vi sono indicazioni per considerare che le caratteristiche emozio-
nali a esse assegnate sono concepite come espressioni delle loro
s t r u t t u r e : fattori che uno studioso di teoria musicale considera
strutturali e tecnici, da un ascoltatore comune sono percepiti come
qualità e m o z i o n a l i . Queste qualità emozionali, a loro volta, porta-
no con sé implicazioni e t i c h e ; e abbiamo appena visto come una
harmonia abbia un significato etico perché porta in sé i segni di un
medesimo stampo, o perché è costruita sullo stesso modello della cor-
rispondente disposizione d’animo. Forse, allora, questo modello è im-
presso nell’anima, così come nell’harmonia, in quanto è una specifica
organizzazione della sua struttura interna, sicché l’anima e lo schema
di intonazione sono strutturalmente identici. In termini di teoria delle
idee, l’idea alla quale entrambi partecipano va concepita come u n
p r i n c i p i o o r g a n i z z a t o r e , che può governare le relazioni tra gli
elementi di un’anima particolare e quelli di una particolare harmonia,
o quelli di molte altre cose, come i prodotti artigianali e i corpi natura-
li ai quali Socrate ha attribuito proprietà simili.
Con quest’aspetto sono connessi due passi successivi. Nel primo
(410b-412a), Socrate ci ricorda che due qualità opposte, la fierezza
contenuta nel thymoeides e la gentilezza che fluisce dal philosophon,

12
Il termine è usato in un’accezione molto simile a 377b1-3.
Affinità tra musica e anima 35

debbono essere appropriatamente bilanciate nell’anima dei difensori.


Ecco perché questi due elementi debbono essere mantenuti tra loro in
un rapporto equilibrato, sviluppandoli con la pratica di discipline ap-
propriate a ciascuno di essi, la gymnastikē per il thymoeides e la
mousikē per il philosophon. Il punto cruciale è che il processo median-
te il quale questo scopo viene conseguito è descritto esso stesso in ter-
mini m u s i c a l i , che riflettono le procedure seguite da un musicista
che tende e allenta le corde del suo strumento per ottenere la corretta
intonazione. Se il thymoeides viene portato a un grado troppo elevato
di t e n s i o n e , diventa troppo aspro e selvaggio, e se il philosophon è
troppo a l l e n t a t o diventa «più molle di quanto dovrebbe essere»
(410e2). I due elementi, dice Socrate, debbono essere a c c o r d a t i ,
h a r m o s t h a i , l’uno all’altro, e l’anima di una persona che sia ben ac-
cordata, hērmosmenos, è temperante e coraggiosa, mentre quella di una
persona che non è accordata, anarmostos, è vile e rozza (410e8-411a2).
Socrate chiude il discorso dicendo che la funzione della gymnastikē e
della mousikē è quella di assicurare che i due elementi dell’anima ven-
gano «accordati l’uno all’altro, allēloin sunarmosthē-ton», tendendoli e
allentandoli fino a raggiungere il rapporto corretto (411e4-412a2). La
persona che abbia correttamente applicato alla propria anima un’equi-
librata mescolanza di gymnastikē e mousikē potrebbe essere chiamato
– sostiene Socrate – «musicale in sommo grado e ottimamente accor-
dato», a maggior titolo di chi abbia la capacità di regolare alla perfe-
zione l’accordatura delle corde o delle note di uno strumento musicale
(412a6-7).
Sarebbe un grave errore considerare questo fuoco di fila di imma-
gini musicali come un mero ornamento letterario. Il processo educativo
mirante alla corretta formazione del carattere presenta qui tratti analo-
ghi al processo dell’accordatura di uno strumento, e il carattere corret-
tamente formato viene presentato come una struttura ben equilibrata e
integrata, simile a quella dell’accordatura di uno strumento. La stessa
concezione, espressa con una terminologia musicale più elaborata, appa-
re in un passo del libro IV (443d-e). Vi si dice che una delle virtù, la
giustizia, comporta la corretta accordatura reciproca dei t r e e l e m e n t i
principali dell’anima, esattamente come la musica comporta l’accordatu-
ra delle tre note principali di una harmonia, chiamate neatē, hypatē e
mesē; analogamente, anche elementi intermedi dell’anima, se ne esisto-
no, vanno accordati, proprio come le note intermedie dell’harmonia di
uno strumento. Tutti questi elementi debbono essere legati insieme in
un’unità che è temperante e ben accordata. Una persona giusta, dunque,
è quella nella cui anima gli elementi sono b e n a c c o r d a t i gli uni agli
36 Musica e carattere nella Repubblica di Platone

altri e integrati in un’unica struttura coerente, precisamente come lo


sono le intonazioni delle corde di uno strumento musicale.
Per quanto non si addentri nei dettagli, il testo dà senz’altro l’im-
pressione che l’analogia tra le strutture musicali e l’anima non va intesa
in un senso vago e generico. Fin dall’inizio, risulta chiaro che per acco-
stare ogni harmonia e ogni ritmo al suo elemento corrispettivo nell’ani-
ma è necessaria una specifica c o m p e t e n z a t e c n i c a : e questo perché
il compito richiede conoscenza o abilità che soltanto uno specialista
possiede. Solo uno specialista, infatti, può analizzare dettagliatamente le
strutture musicali, per individuare differenze sostanziali tra esse, e per
classificarle coerentemente in categorie. È difficile vedere come questo
tipo di analisi possa chiarire quale struttura musicale corrisponda a qua-
le ēthos, a meno di non ammettere che queste disposizioni dell’anima
sono anch’esse forme strutturate, composte da elementi strettamente
analoghi a quelli delle accordature, e che i modelli formati da questi ele-
menti possono essere variati secondo processi molto simili.
Ora, le harmoniai sono strutture certamente complesse, che com-
portano, nei casi tipici, precise regolazioni di rapporti reciproci tra
s e t t e o o t t o n o t e differenti. Le anime, così come vengono imma-
ginate nel libro III della Repubblica, sono molto più semplici, a quan-
to pare: e le tensioni che vanno regolate sono soltanto quelle di d u e
e l e m e n t i , il thymoeides e il philosophon. Può dunque sembrare inve-
rosimile che Platone intendesse postulare una qualche corrispondenza
precisa tra le strutture musicali e le strutture dell’anima; le connessioni
richieste dalla regolazione reciproca di due elementi non possono esse-
re assolutamente le stesse di quelle richieste per accordare una serie
completa di otto corde.
Ma questo è un problema risolvibile. Ogni harmonia, che abbrac-
cia all’incirca l’estensione di un’ottava, viene normalmente descritta dai
teorici della musica come una connessione di due sottostrutture: una
nella parte inferiore del sistema, l’altra in quella superiore13 . Così,

13
Di norma, le due sottostrutture erano individuate dai teorici, a partire dal
IV sec. a. C., come una coppia di tetracordi (un tetracordo è una serie di quattro
suoni, i cui estremi abbracciano un intervallo di quarta giusta). Alcune harmoniai
erano formate soltanto da due tetracordi, per un’estensione complessiva di una set-
tima, ossia un po’ meno di un’ottava. Nelle harmoniai più frequentemente analizza-
te dai teorici, per completare l’ottava veniva aggiunto un tono, e nelle forme più
comuni il tono veniva inserito tra un tetracordo e l’altro. Talora, sebbene meno co-
munemente, le due sottostrutture di una harmonia di ottava non vengono conside-
rate come due tetracordi separati da un tono, ma come un tetracordo, che copre una
quarta giusta, e un altro gruppo di note che copre una quinta giusta. Questo sembra
essere il quadro presentato, per esempio, dal pitagorico Filolao alla fine del V sec. a.
C. (44 B 6 D.-K.).
Affinità tra musica e anima 37

quando un musicista accorda uno strumento, deve naturalmente assi-


curarsi che ognuna delle due sottostrutture sia costruita correttamente;
ma deve anche assicurarsi che entrambe siano correttamente collegate
l’una all’altra. È sicuro che Platone aveva dimestichezza con questo
tipo di analisi quando scrisse il Timeo14 , e il passo del libro IV che ho
appena citato fornisce una prova evidente che ne era già al corrente
mentre scriveva la Repubblica. Qui individua quelli che chiama i «con-
fini, horoi», di un’harmonia (443d5-7); e precisa che non ce ne sono
soltanto due, ai due estremi di essa, ma tre, due agli estremi, e un altro,
la mesē, che si trova esattamente alla metà tra i due estremi se l’harmo-
nia è formata soltanto da due tetracordi, o nelle sue immediate vici-
nanze – una quinta giusta a partire dal basso e una quarta giusta a par-
tire dall’alto – se l’harmonia abbraccia un’ottava completa (vd. nota
13). In termini musicali, la mesē segna il limite superiore della più bas-
sa delle sottostrutture; e il fatto che Platone specifichi che si tratta di
un terzo ‘confine’ sembra sottintendere che stia seguendo esattamente
il metodo di analisi che ho citato, secondo il quale ogni accordatura è
formata da d u e parti.
Supponiamo, allora, che i due elementi dell’anima considerati nel
libro III, il thymoeides e il philosophon, non siano concepiti semplice-
mente come singole note o corde, ma come strutture già in sé relativa-
mente complesse, analoghe alle due sottostrutture contenute in un’har-
monia. In questo caso il parallelo tra le strutture musicali e le forme
dell’organizzazione psichica può essere reso più calzante. Ma devo
ammettere che, probabilmente, questo suggerimento può apparire for-
zato, perché nel testo c’è un solo accenno diretto al fatto che Platone
concepiva le ‘parti’ dell’anima come ‘complesse’ nel senso richiesto
qui. Lo ricaviamo dallo stesso passo del libro IV, dove si dice che una
giusta disposizione d’animo implica l’accordo vicendevole di t r e e l e -
m e n t i principali, già esaminati a fondo nelle pagine precedenti, e cor-
rispondenti alle tre note fondamentali di una harmonia musicale; ma vi
si dice anche che questa disposizione d’animo richiede l’accordo di
«ogni altro elemento che possa eventualmente occupare una posizione
intermedia tra quei tre elementi principali» (443d7). La frase risulta
piuttosto evasiva, e tutt’altro che univoca. Ma non c’è dubbio che que-
sti «altri elementi» non identificati vengono trattati alla stessa stregua
delle altre note, quelle meno fondamentali di un sistema musicale; per

14
Vd. Plat. Tim. 35b-36b: un passo che sarà più dettagliatamente esaminato
nel capitolo VI.
38 Musica e carattere nella Repubblica di Platone

quanto Platone non esamini l’argomento più dettagliatamente, nella


sua concezione della struttura dell’anima umana esistono complessità
nascoste.
Le immagini usate nel libro IV non sono esattamente dello stesso
tipo di quelle del III, e sono connesse con una diversa concezione de-
gli elementi dell’anima e dei loro rapporti reciproci. Ma offrono alcuni
incoraggiamenti, sia pur non del tutto evidenti, all’ipotesi che il thy-
moeides e il philosophon del libro III siano abbastanza complessi da
contenere il corrispettivo di tutte le note di una harmonia, raggruppate
in due sottostrutture, e che non corrispondano semplicemente a note
singole. Se avessimo abbastanza informazioni sulle relazioni tra le sot-
tostrutture nelle varie harmoniai alle quali Socrate si riferisce, potrem-
mo avere un quadro più chiaro del pensiero di Platone sui diversi
modi nei quali il thymoeides e il philosophon si rapportano tra loro,
all’interno dei diversi tipi di carattere umano. Ma l’unico autore a of-
frire un’analisi dettagliata di queste harmoniai, Aristide Quintiliano,
appartiene al III sec. d. C., e non possiamo essere sicuri che sia atten-
dibile: mi occuperò brevemente di queste difficoltà nel capitolo III. È
un fatto, però, che nel sistema del quale parla, il rapporto tra le due
sottostrutture contenute nelle harmoniai dorica e frigia, le uniche ap-
provate da Socrate, è molto più diretto e musicalmente intellegibile di
quanto non lo sia quello che si può riscontrare nella ionica, nella mis-
solidia e nella sintonolidia, che Socrate rifiuta15 . Tutto ciò è perfetta-
mente coerente con l’ipotesi che quando Socrate parla di relazioni
musicalmente appropriate tra le due parti dell’anima, le considera ana-
loghe a quelle esistenti tra le due sottostrutture in un sistema musicale,
che sono ordinate e comprensibili nelle harmoniai ‘migliori’, mentre
risultano confuse e poco chiaramente coordinate nelle altre harmoniai.
Naturalmente, una fonte di circa sei secoli posteriore alla Repubblica
deve essere trattata con prudenza; ma le informazioni che ci fornisce
sono interessanti, e meritano attenta considerazione. Ci torneremo,
come ho detto, nel capitolo III.

15
Vd. Aristid. Quint. De mus. I 9 (18, 5-19, 10 W.-I.) Nell’harmonia dorica
presentata da Aristide, per esempio, la parte inferiore del sistema, quella che com-
prende cioè i suoni dall’intonazione più grave, è costituita, in successione, dagli in-
tervalli di tono, quarto di tono, quarto di tono, due toni, e la medesima sequenza è
ripetuta nella parte superiore, quella che comprende invece i suoni più acuti (la strut-
tura dorica descritta da Aristide abbraccia un’ottava più un tono, ossia la somma di
due quinte giuste). Nell’harmonia ionica, invece, la parte inferiore contiene la suc-
cessione quarto di tono-quarto di tono-due toni, mentre la parte superiore contiene
una sequenza del tutto differente: è formata da due soli intervalli, il più grave dei
quali è di un tono e mezzo, il più acuto è di un tono.
In che modo la musica influenza l’anima 39

II
IN CHE MODO LA MUSICA INFLUENZA L’ANIMA

Nel capitolo precedente abbiamo visto che, nel libro III della
Repubblica, i ritmi e le harmoniai sono rappresentati come ‘imitazioni’
di condizioni dell’anima. Tra un ēthos psychēs e il suo corrispettivo in
musica esistono rassomiglianze a due diversi livelli. Uno è strutturale:
una caratteristica etica dell’anima dipende dal modo in cui i suoi ele-
menti sono organizzati, e un modello organizzativo simile, «impresso
con lo stesso conio», «fuso nello stesso stampo» (402d3), governa le
relazioni tra le note e gli intervalli degli schemi di intonazione che di
quella caratteristica costituiscono l’immagine musicale. Nelle loro nor-
mali interazioni sociali, tuttavia, le persone non sono immediatamente
e reciprocamente consapevoli delle strutture delle anime degli altri; e
d’altra parte, sono pochi quelli che possiedono le capacità specialisti-
che di riconoscere forme e strutture che stanno alla base della musica
che ascoltano. Nonostante ciò, tutti sono in grado di percepire se il
carattere dei propri simili è, per esempio, accomodante e pacifico o
aggressivo, e di riconoscere le caratteristiche corrispondenti in brani
musicali. Questo fatto rimanda al secondo livello al quale la musica è
in grado di imitare il carattere, e secondo quanto si legge nella Repub-
blica questo secondo livello dipende dal primo. Le qualità del carattere
delle persone che incontriamo, e le qualità emozionali che sperimentia-
mo nella musica che ascoltiamo sono le manifestazioni concrete nelle
quali le strutture basilari dell’anima e delle harmoniai si presentano alla
nostra sensibilità etica ed estetica.
Tutto ciò è molto seducente, ma di per sé non spiega in che modo
la musica sia in grado di influenzare l’anima, e possa alterarne il carat-
tere in meglio o in peggio, come Socrate presuppone che faccia. Può
l’ascolto di musica che imita la mollezza – nel senso etico inteso da
Socrate – tendere realmente a ‘rammollirci’? e può l’immagine musica-
le del coraggio renderci coraggiosi? e se questo è possibile, attraverso
40 Musica e carattere nella Repubblica di Platone

quali meccanismi gli influssi di quelle musiche operano su di noi? La


questione mostra evidenti collegamenti con alcuni problemi seriamente
dibattuti nella nostra cultura contemporanea: le immagini televisive della
violenza rendono violento chi le guarda? e la pornografia corrompe,
pervertendole, le abitudini sessuali dei suoi fruitori? e, se la risposta a
queste domande è affermativa, come vanno spiegati i processi attraver-
so i quali ciò si verifica?
Nella Repubblica, il problema se realmente le immagini musicali
influenzino il carattere umano non viene quasi per nulla sollevato: per
Socrate è sottintso che la musica influenza il carattere. Concentriamoci
allora sui suoi tentativi di spiegarne i meccanismi di azione. Noteremo
che Socrate non presenta il suo pensiero sull’argomento in maniera
organica e definitiva. Come nel caso della mimesi musicale, procede con
una serie di approssimazioni, ognuna delle quali, basandosi sulla pre-
cedente, la precisa e la approfondisce, sicché non possiamo essere del
tutto sicuri che Platone considerasse soddisfacente anche la sua ultima
versione.
L’argomento viene introdotto a 401b1, con un periodo di esten-
sione e complessità veramente straordinarie. È un esempio splendido
della sintassi di Platone, libera e disinvolta, e deve essere uno dei peri-
odi più lunghi che abbia mai scritto: diciotto righe nell’edizione oxo-
niense, per un totale di centosessantadue parole. Lo raccomando agli
intenditori come un piccolo capolavoro di prosa d’arte greca. Si può
supporre che a una tale elaborazione formale corrisponda un contenu-
to concettuale al quale Socrate annette un’importanza tutta particolare.
Come la gran parte dei suoi discorsi, il messaggio è espresso sotto for-
ma di domanda:

Ma allora solo ai poeti (o ‘compositori’) dovremmo imporre la nostra


supervisione, obbligandoli a rappresentare nelle loro opere l’immagi-
ne del carattere buono, o, altrimenti, a non esercitare affatto la loro
attività nella nostra città; o non dovremmo piuttosto sorvegliare an-
che gli altri artigiani, proibendo loro di rappresentare un carattere mal-
vagio, con la sua incontinenza, meschinità e malagrazia, sia nelle im-
magini di esseri viventi sia nella costruzione di edifici, sia in qualun-
que altro prodotto artigianale, e a nessuno che non sia capace di con-
formarsi a questi princìpi dovremmo permettere di operare nella no-
stra città come artigiano, sì che i nostri difensori non siano allevati fra
le immagini della malvagità, come in un cattivo pascolo, e ogni gior-
no, poco alla volta, non raccolgano molte cose da molte parti e se ne
alimentino, ammassando senza accorgersene un’unica grande malvagi-
tà nelle loro anime; o non dovremmo invece cercare quegli artigiani
capaci di seguire abilmente le tracce della natura del bello e della buo-
na grazia, in modo che i giovani, abitando, per così dire, in un luogo
In che modo la musica influenza l’anima 41

salùbre, possano trarre giovamento da ogni cosa, onde ciò che provie-
ne dalle opere belle colpisca la loro vista e il loro udito, come un’aura
che reca salute provenendo da luoghi benefici, e fin da bambini li
conduca, inconsapevolmente, alla conformità, all’amicizia e all’armo-
nico accordo con le parole migliori? (401b1-d3).

Socrate dunque, in questo lunghissimo periodo, sottintende che


se i giovani difensori fossero allevati tra immagini di kakia, «malvagi-
tà», sarebbero simili a puledri o a vitelli cresciuti en kakēi botanēi, «in
un cattivo pascolo»: oggi potremmo pensare ai pascoli contaminati dalle
scorie industriali. Chi invece vive fra immagini di bellezza e bontà, ne
assimila l’essenza, per così dire, respirandola, come l’aria fresca e salù-
bre dei prati alpini. L’idea generale è perfettamente chiara, ma due det-
tagli del modo in cui Socrate la presenta richiedono qualche attenzio-
ne. Primo, l’influenza esercitata da questi fattori sui giovani è graduale
e cumulativa. Nasce dalla loro assimilazione di «molte cose da molte
parti, ogni giorno, poco alla volta». L’accumulazione costante di que-
ste «molte cose», se si tratta di cose brutte, alla fine produce nella loro
anima «un’unica grande malvagità». Quest’antitesi così accuratamente
costruita tra “molto” e “uno”, polla ... apo pollōn ... nemomenoi, hen ti
sunistantos, è stilema tipico di Platone1, ma in questo contesto salta
all’occhio più che altrove, in quanto inserisce sorprendentemente mo-
duli concettuali ed espressivi astratti all’interno di un un brano descrit-
tivo ricco di particolari molto concreti. Ognuna delle «molte cose»
esercita il suo influsso nella medesima direzione. Per quanto diverse
esse siano, «molte cose da molte parti», l’elemento che insinuano nel-
l’anima di chi vive tra queste immagini è lo stesso – evidentemente in
virtù di qualche caratteristica comune a tutte; e quando il ripetuto
impatto di questo elemento sull’anima dà origine in essa a «un’unica
grande malvagità», possiamo difficilmente dubitare che questa malva-
gità non sia la stessa caratteristica propria di ciascuna di quelle «molte
cose», e che si è ora saldamente impressa nell’anima, determinandone
il carattere.
Il secondo punto è che dalle immagini che si trovano attorno a
loro i giovani ricevono benefici e danni s e n z a a c c o r g e r s e n e . A
quanto pare, Socrate sembra annettere una certa importanza a questo
fatto, che, oltre a essere implicito nelle sue metafore, viene da lui sot-
tolineato dall’enfatica ripetizione del verbo lanthanein, “non accorger-

1
È molto comune nel contesto della ricerca socratica delle definizioni, e della
teoria delle idee; vd., per esempio, Men. 72a-d, resp. 479d-e. Tutto il Parmenide è
costruito sulla stessa antitesi.
42 Musica e carattere nella Repubblica di Platone

si, essere inconsapevole” (401c3, d1). I giovani sono evidentemente in-


consapevoli del fatto che stanno imparando o assimilando qualcosa dal
loro ambiente; l’intero processo ha luogo a un livello subconscio. An-
che se, in realtà, i fanciulli, nel contesto della loro educazione, sanno
perfettamente di essere impegnati in un progetto che tende a farli di-
ventare buoni cittadini, non sono affatto consapevoli degli influssi che
stanno assorbendo dai canti che cantano, e non sanno in che modo tutto
ciò possa avvenire. È interessante notare che, per esprimere le proprie
idee sulle immagini e sul loro potere educativo, Platone abbia scelto a
sua volta di usare vivide immagini verbali, piuttosto che una precisa
descrizione letterale. E proprio il suo testo ci offre un esempio convin-
cente del processo stesso che descrive. Proprio come i giovani difenso-
ri assimilano qualcosa di diverso e di più profondo rispetto alle imma-
gini musicali o pittoriche, noi stessi assorbiamo dalle immagini verbali
del testo di Platone qualcosa di diverso e di più profondo ripsetto a
ciò che apertamente rappresentano, e, proprio come i giovani difenso-
ri, anche noi apprendiamo da esse qualcosa senza comprendere piena-
mente come ciò avviene.
Questi temi e queste metafore continuano all’inizio del successivo
intervento di Socrate (401d5-e1). Quando una persona riceve ‘nutrimen-
to’ musicale, il ritmo e l’harmonia penetrano profondamente all’inter-
no della sua anima e, mediante la bellezza (euschēmosynē) o bruttezza
(aschēmosynē) della loro struttura, la influenzano in modo formidabi-
le, imprimendovi il carattere di cui sono portatori. Socrate dice, infatti,
che, sotto questo aspetto, il nutrimento musicale ha il potere più forte
di tutti, e il suo riferimento al ritmo e all’harmonia garantisce che in-
tende parlare proprio della musica in senso stretto, e non della ‘cultu-
ra’ in generale. Le immagini musicali, in questa prospettiva, esercitano
un’influenza etica più forte che le immagini di ogni altro tipo, ed è un
peccato che Socrate non si fermi a spiegare perché. Nel capitolo V esa-
mineremo dettagliatamente l’interpretazione di questi temi data da un
autore più tardo.
Nel brano seguente (401e-402a), Socrate sposta la sua attenzione
dal processo attraverso il quale l’influsso di queste immagini musicali
opera su di noi, alla natura degli ef f et t i che esse producono. Se un
individuo è stato allevato tra immagini di tipo buono, in seguito, di
fronte a prodotti artigianali o naturali che non siano conformi ai me-
desimi modelli di nobile bellezza, sarà capace di riconoscerli come tali
con chiarezza; apprezzerà e loderà le cose belle e sarà giustamente di-
sgustato da quelle mal riuscite, le biasimerà e le aborrirà. Socrate sem-
bra sottintendere che un’esperienza musicale vissuta in coerenza con le
In che modo la musica influenza l’anima 43

immagini di ciò che è bello può in qualche modo acutizzare anche la


percettività etica degli individui. Qualcosa di buono sarà riconosciuto
come tale in virtù della sua rassomiglianza con le immagini con le qua-
li si ha familia r it à, anche se non si tratta di un brano di musica, ma
di un prodotto della natura o di qualche altra arte; e qualcosa le cui
caratteristiche entrano in conflitto con quelle alle quali si è abituati pro-
durrà una forte impressione di es t r an eit à, e per questa ragione sarà
rifiutato come cattivo. Queste reazioni non sono razionali; sembrano
piuttosto simili a dei ‘riflessi condizionati’. Si verificano, dice Socrate,
quando si è troppo giovani per poterne comprendere il logos, la ragio-
ne. Quando poi la capacità di ragionare si sarà attivata, chiunque sia
stato nutrito con immagini musicali sane accoglierà il logos con gioia
di’oikeiotēta, «perché appartiene al suo oikos», ossia, lo abbraccerà, come
se fosse un membro della sua famiglia, o uno dei suoi amici più cari.
La capacità di ragionare, logos, viene rappresentata qui, io penso, come
la facoltà grazie alla quale giungiamo a capire ciò che è vero, e perché
è vero. Noi accogliamo con gioia il logos come parte del nostro oikos
in quanto lo riconosciamo come affine a noi, come qualcosa che rivela
con pienezza, e convalida, i valori nei confronti dei quali il nostro ti-
rocinio musicale pre-razionale ci ha già fatto provare un forte coinvol-
gimento emotivo2.
In questa pagina, pur così vivida e stimolante, resta ancora non
del tutto chiaro, tuttavia, in che modo effetti di così ampia portata
possano essere prodotti semplicemente mettendo i giovani a contatto
con una musica i cui ritmi e le cui harmoniai siano immagini di un
buon carattere. Fin qui, quasi tutto è stato espresso per metafore, e
sentiamo il bisogno di qualche indicazione più concreta. A ricavarla ci
condurrà il seguito dell’argomentazione di Socrate (402a7-c8), che pure
non contiene dichiarazioni esplicite in tal senso. Si tratta di un’ampia
similitudine tra i requisiti da possedere per essere annoverati tra i gram-
matikoi, e quelli da possedere per essere mousikoi. Esaminando il pas-
so, è importante ricordare che, sebbene in greco il termine gramma-
tikos venga normalmente adoperato per designare un esperto tanto nella
lettura quanto nella scrittura, la scrittura è qui un fattore irrilevante per
Socrate, che non dice nulla al riguardo. Il suo interesse è concentrato
esclusivamente sugli aspetti connessi con la pratica di leggere ciò che è
scritto, di interpretare il significato delle lettere che si incontrano nei

2
Analogamente, si consideri come, a resp. 535a-539d, la fruttuosa ricerca della
verità attraverso la dialettica è fatta dipendere dall’assimilazione preliminare, non
razionale, di valori e tendenze positivi.
44 Musica e carattere nella Repubblica di Platone

testi o nelle iscrizioni. Siamo quindi indotti ad aspettarci che anche l’im-
magine che Socrate dà del mousikos sia quella di un intenditore, capace
di comprendere il significato della musica che ascolta, e che abbia molto
meno da dire a proposito delle competenze richieste a un compositore
o a un esecutore.
Le lettere sono poche, ma quando vengono adoperate nel linguag-
gio scritto si presentano in innumerevoli combinazioni differenti. Il
grammatikos esperto, dice Socrate, non se ne farà scappare neanche una,
ma riconoscerà, in ogni contesto, tutte quelle che gli si presentano (pe-
ripheromena). Nessuna va trascurata; il lettore deve rendersi conto (ai-
sthanesthai) di ognuna di esse, e individuarla con precisione. Vale la
pena sottolineare che nel discorso di Socrate nulla induce a supporre
che il grammatikos possa disporre di una lista di lettere avulse dai con-
testi nei quali vengono adoperate, una lista organizzata insomma come
un alfabeto. Una lista di questo tipo non viene menzionata, neanche
come semplice aiuto alla lettura. La descrizione del lettore competente
si concentra esclusivamente sulla sua abilità di riconoscere ogni lettera,
dovunque appaia, nelle diverse combinazioni e in esempi reali di testi
scritti, iscrizioni e così via.
Socrate fa quindi una strana aggiunta alla sua esposizione. È an-
che vero, dice (402b5-7), che noi non sapremo riconoscere le immagini
(eikones) delle lettere quando le vediamo riflesse nell’acqua o in spec-
chi, se non avremo imparato a riconoscere le lettere stesse. In effetti,
però, non si tratta di due diverse abilità, una per riconoscere le lettere
e un’altra per riconoscerne le immagini riflesse; entrambi i risultati
hanno origine dall’esercizio della medesima abilità (tēs autēs technēs te
kai meletēs). Non è chiaro perché Socrate fa queste precisazioni, dal
momento che è difficile pensare che un aspetto centrale dell’arte del
lettore possa essere quello di decifrare lettere riflesse in uno specchio.
Ci tocca di aspettare e vedere se questa precisazione abbia un signifi-
cato particolare nel contesto della similitudine con la musica.
La questione della lettura era intesa a gettare luce sul caso paral-
lelo del mousikos, al quale Socrate ora ritorna. Aveva riservato un’at-
tenzione particolare all’abilità del lettore nel riconoscere ogni singola
lettera, dovunque appaia in un testo scritto; e ci aspettiamo che ci dica
che il mousikos, allo stesso modo, debba essere preparato a individuare
tutte le singole componenti di ogni brano di musica che ascolta. Siamo
naturalmente portati a supporre che il corrispettivo musicale delle let-
tere di un testo scritto siano le note della scala: come le lettere, anche
le note della scala sono poche, ma si presentano in un’infinità di diver-
se combinazioni. È probabile che anche la diversa ampiezza degli in-
In che modo la musica influenza l’anima 45

tervalli tra una nota e l’altra possa rientrare tra gli ‘elementi’ che un
mousikos deve essere in grado di riconoscere3. Ma qui Platone ci fa una
sorpresa; le cose che un mousikos deve essere in grado di riconoscere
«in tutte le combinazioni che si presentano», non sono né gli intervalli
né le note, e neppure qualche altro elemento specificamente tecnico-
musicale. «Non saremo mousikoi» dice Socrate «né noi né quelli che
abbiamo detto di voler educare perché diventino i difensori, finché non
riconosceremo le forme (eidē) della temperanza, del coraggio, della
generosità, della magnanimità e di tutte le virtù sorelle (adelpha), e dei
loro opposti, in tutte le combinazioni che si presentano, e finché non
percepiremo la presenza loro e delle loro immagini (eikones) là dove si
trovano, senza trascurarle, nelle piccole cose come nelle grandi, con-
vinti che rientrino sempre nei domini della medesima competenza e
disciplina» (402b9-c8).
Il mousikos, dunque, non si distingue per la sua abilità di ricono-
scere note e intervalli. Il discorso di Socrate è accuratamente costruito
per sottolineare i parallelismi tra interpretazione della scrittura e inter-
pretazione della musica, e non lascia adito a dubbi sul fatto che i cor-
rispettivi etici delle lettere scritte non siano le «forme» della modera-
zione, del coraggio, e di altre simili qualità etiche. Il mousikos è dun-
que un individuo perfettamente in grado di riconoscere e s e mp i
d e l l e v i r t ù e d e i v i z i , dovunque si trovi a venire in con-
tatto con essi – ed è chiaro che, di norma, virtù e vizi risiedono nel
carattere degli esseri umani. Socrate sembra essersi allontanato un bel
po’ dai domini della musica come noi la intendiamo, e usa il termine
mousikos in un senso più ampio, metaforico, per riferirsi a persone
dotate di spiccate capacità di discernimento nel campo dell’etica. Ma in
effetti la prospettiva della musica fatta di canto e di strumenti musicali
non viene abbandonata, visto che, come già sappiamo, è proprio la
musica in questo senso a presentare le immagini o ‘imitazioni’ dei ca-
ratteri etici ai quali Socrate si riferisce. Possiamo ora capire perché
Socrate ha incluso un riferimento alle immagini nella sua descrizione
delle abilità del grammatikos. Il riferimento non ha un significato par-
ticolare in quel contesto; ma prepara il terreno per un dettaglio assai
significativo nel caso della musica. La musica, letteralmente, non può
essere coraggiosa o generosa o magnanima, ma può contenere immagi-
ni di queste virtù; e il particolare che Socrate vuole evidentemente en-

3
Paralleli tra gli elementi della melodia e quelli del discorso parlato o scritto
sono molto comuni; per esempio, vd. Plat. Phil. 17b-18d e Adrasto, citato da Theo
Smyrn. 49, 6-50, 1.
46 Musica e carattere nella Repubblica di Platone

fatizzare è che il riconoscimento di queste immagini comporta l’eserci-


zio della medesima abilità richiesta per il riconoscimento delle virtù
stesse. Così il mousikos al quale Socrate guarda non deve avere neces-
sariamente familiarità con i tecnicismi dell’analisi musicale scientifica,
né deve essere al corrente dei modi in cui i musicisti di professione
descrivono melodie e ritmi del loro repertorio; deve invece, idealmen-
te, essere altrettanto affidabile nel distinguere la buona musica dalla
cattiva. Mentre i musicisti di professione e i musicologi classificano serie
di note in harmoniai sulla base dell’ampiezza e dei rapporti reciproci
degli intervalli che contengono, il mousikos di Socrate distingue le com-
posizioni e le harmoniai eticamente edificanti da quelle che non lo sono,
e le classifica, di conseguenza, sulla base del loro grado di rassomiglianza
con le disposizioni virtuose dell’anima umana4.
Torneremo su questo punto fra un attimo, ma voglio prima eli-
minare una potenziale fonte di fraintendimento. Quando Socrate par-
la di eidē, le “forme” delle virtù, si potrebbe essere tentati di saltare
alla conclusione che stia alludendo alla famosa ‘teoria delle idee o forme’,
e che le “forme” nominate in questo passo siano le entità trascendenti
la cui esistenza reale è un postulato di quella teoria. Non è difficile
mostrare che questo sarebbe un errore. In primo luogo, in questo passo
Socrate parla di queste forme come realmente presenti in alcune delle
cose che incontriamo nel corso della nostra esperienza ordinaria (402c4-
6), laddove le forme attorno alle quali è imperniata la teoria delle idee
non lo sono. E ancora, nel contesto della teoria delle idee sarebbe molto
difficile poter distinguere, come Socrate fa qui molto chiaramente, tra
gli esempi reali delle idee, che riconosciamo nelle cose che incontria-
mo, e le mere immagini di esse5. In terzo luogo, questo passo, secon-
do quella interpretazione, implicherebbe che esistano idee degli op-
posti delle virtù (ta toutōn au enantia), ossia i vizi; ma ciò sarebbe
chiaramente in contraddizione con la visione elaborata più avanti nel-
la Repubblica, secondo la quale le idee sono in qualche modo subor-

4
Cf., in particolare, Plat. leg. 670a-671a.
5
A questo punto, sorgono alcune difficoltà a causa del fatto che la relazione
di ‘rassomiglianza’ è effettivamente una di quelle attraverso le quali Platone tenta di
rappresentare il rapporto tra un’idea e le sue raffigurazioni reali, come fa per esem-
pio nel Parmenide (132c-d), il che pregiudicherebbe la distinzione tra realtà e raffi-
gurazioni. Ma nel libro X della Repubblica (595c-599b) i prodotti di arti come la
pittura e la poesia sono imitazioni di rappresentazioni di idee, non imitazioni dirette
di idee, e le rappresentazioni di esse sono soltanto spettri irreali (phantasmata, 598b)
delle idee: e nel passo che stiamo leggendo non ci sono tracce di un approccio del
genere.
In che modo la musica influenza l’anima 47

dinate all’idea del Bene. Infine, la considerazione più ovvia: quando


la parola eidos, “forma”, ricorre poche righe più avanti (402d2), il
contesto chiarisce che viene usata in un senso totalmente non tecnico,
e che designa senza alcun dubbio la “forma” visibile, l’ “apparenza”
del corpo umano. Possiamo dunque essere certi che nel passo che stiamo
esaminando, gli eidē delle virtù, lungi dall’essere realtà metafisicamente
trascendenti, sono semplicemente le “apparenze” che queste virtù ci
presentano quando ci imbattiamo in esse nelle nostre interazioni con
gli altri esseri umani. Sono i tratti distintivi che riconosciamo negli
altri o in noi stessi quando riconosciamo una persona come coraggio-
sa, un’altra come magnanima, e così via. La teoria delle idee si riferi-
sce invece al coraggio, alla giustizia, e così via, in se stessi, indipen-
dentemente dalle loro manifestazioni in caratteri individuali, e i loro
corrispettivi, nell’analogia impostata da Socrate, avrebbero dovuto essere
le lettere come appaiono in un alfabeto astratto, separato da ogni te-
sto reale. Di entrambe le cose non c’è traccia nel passo che abbiamo
davanti.
Non è necessario, dunque, che individui che abbiano ricevuto
un’appropriata educazione musicale abbiano anche compreso la natura
reale delle virtù. E neppure è necessario che siano in grado di ricono-
scere note e intervalli, o comprendere – più di quanto non sappia fare
Socrate – le strutture armoniche e ritmiche la cui organizzazione riflet-
te quella delle virtù del carattere, di cui sono l’immagine. Il loro curri-
culum – pur senza aver toccato aspetti specificamente tecnici – li ha
semplicemente messi in grado di riconoscere e di percepire come ec-
cellenti quelle composizioni musicali i cui principi organizzativi – dei
quali, appunto, essi non sanno nulla – sono in effetti eccellenti, e che,
per questo, sono immagini di virtù. Ora, secondo l’argomentazione di
Socrate, questi individui non sono capaci di riconoscere queste imma-
gini di virtù fin quando non siano divenuti capaci di riconoscere anche
le virtù in se stesse, dovunque le incontrino. Ma qui può sorgere
un’obiezione. La nostra abilità di riconoscere i riflessi delle lettere in
uno specchio dipende dalla nostra capacità di leggere le lettere stesse,
soltanto se si presume che quando noi le riconosciamo le stiamo rico-
noscendo come riflessi, appunto, di lettere, e non soltanto di forme
familiari. Allo stesso modo, dunque – si potrebbe argomentare – la tesi
di Socrate si manterrà in piedi solo se i giovani difensori riconoscono
le composizioni musicali non soltanto perché sono piacevoli o familia-
ri, ma perché sono immagini delle relative virtù. Ma finora, a partire
dal testo, possiamo dire soltanto che essi hanno assorbito una grande
quantità di buona musica, e nessuna musica brutta. Sembra che nulla
48 Musica e carattere nella Repubblica di Platone

nella loro esperienza possa indurli a riconoscere la musica che apprez-


zano come immagine di qualcos’altro, tanto meno come immagine di
virtù.
Non credo però che questa sia un’obiezione decisiva. Quando
questi individui rispondono positivamente alla musica di un tipo e
negativamente a un’altra, la loro reazione è determinata dalle impres-
sioni immediate prodotte su di loro dai due tipi di musica, e possono
certamente essere inconsapevoli delle differenze strutturali in base alle
quali riuscirebbe a distinguerle un esperto. Ma in realtà è appunto da
queste differenze strutturali che dipendono le impressioni diverse che
le diverse musiche determinano. Ora, dal momento che queste struttu-
re sono costruite sul medesimo modello che sta alla base delle virtù e
dei vizi del carattere, sembra ragionevole concludere che, quando in-
contreremo virtù e vizi, essi determineranno in noi impressioni simili a
quelle destate dalle composizioni musicali di cui sono immagine. Così,
qualsiasi cosa la cui struttura sia simile a quella di una ‘buona’ musica
stimolerà nei difensori sensazioni e reazioni simili a quelle destate in
loro dall’ascolto di quella musica. Dunque, il tirocinio che rende il
mousikos capace di riconoscere la buona musica, e di distinguerla dalla
cattiva, dovrà certo dotarlo allo stesso tempo di un’altrettanto acuta
capacità di discernimento etico.
Torniamo adesso ai punti fondamentali emersi finora. Socrate era
partito da un’idea semplice, espressa mediante metafore relative al nu-
trimento e alla respirazione: se assimiliamo cose buone, esse migliore-
ranno la nostra salute psicofisica. Aveva quindi argomentato che que-
sta salute psicofisica consiste nel giungere a percepire le immagini di
ciò che è buono come familiari, come qualcosa che ci ‘appartiene’, sic-
ché saremo felici di accoglierle, come se fossero amici. Di conseguen-
za, individui esposti soltanto a musica cattiva, nel senso inteso da So-
crate, saranno corrotti, dal momento che apprezzeranno immagini di
quel tipo; e per quanto anche loro, probabilmente, saranno capaci di
distinguere un tipo di musica dall’altro, la loro reazione sarà inappro-
priata: rifiuteranno la musica buona e accoglieranno quella cattiva. I
loro valori sono capovolti. C’è un terzo tipo di esperienza che i gio-
vani potrebbero vivere, e che Platone avrà certamente pensato come
l’esperienza normalmente vissuta dai giovani dell’Atene a lui contem-
poranea. Nel periodo della loro formazione, musica buona e musica
cattiva erano indiscriminatamente mescolate: e crescendo in questo
mondo musicalmente così caotico non avrebbero interiorizzato alcun
criterio di giudizio musicale. Il loro atteggiamento mentale nei con-
fronti della musica è molto simile, in effetti, a quella che Platone, più
In che modo la musica influenza l’anima 49

avanti nel corso della Repubblica, chiama la personalità ‘democratica’6.


Col terzo passaggio dell’argomentazione di Socrate ci siamo già con-
frontati, ed è certamente il più difficile da capire. Ma le conclusioni
che Socrate ne trae sono abbastanza chiare. Un individuo che sia
diventato mousikos, abile a percepire e valutare correttamente le qua-
lità che si trovano nella buona musica, sarà diventato allo stesso tempo
un abile interprete e valutatore del carattere etico.
Socrate conclude con un’ulteriore affermazione. Tratti “belli” o
“eccellenti” del carattere, kala ēthē, e altri elementi impressi dallo stes-
so conio o modello, typos, sono il più bello spettacolo, kalliston thea-
ma, per chiunque sia capace di percepirli, ossia, per la persona il cui
tirocinio musicale abbia acuito la sua capacità visiva nel modo che ab-
biamo descritto. Ma, continua Socrate, ciò che è bello in sommo grado
è anche erasmiōtaton, amabile in sommo grado, e dunque il mousikos
amerà più di ogni altro chi è dotato di buon carattere. Nessun indivi-
duo “amusicale”, asymphōnos, sarà capace di farlo, dal momento che è
incapace di percepire e apprezzare questa bellezza (402d1-9). Non posso
seguire il resto dell’argomentazione (402d10-403c8), che costituisce il
fondamento filosofico dell’affermazione cruciale che ho citato, ossia che
ciò che è kalliston, bello in sommo grado, è anche erasmiōtaton, ama-
bile in sommo grado7. Socrate sembra voler dire che chi è capace di
riconoscere la bellezza per quella che realmente è, non potrà non amarla:
l’amore è una reazione inestricabilmente legata alla percezione indivi-
duale che qualcosa è bello in sommo grado. Qui Socrate torna alla sua
tesi secondo la quale gli individui che hanno seguito un tirocinio mu-
sicale corretto possono apprezzare la buona musica e il buon carattere
grazie alla familiarità da loro raggiunta con questi elementi. Una volta
che questa familiarizzazione li abbia condotti al punto di poter perce-
pire la vera bellezza in ogni sua manifestazione, non è più la relazione
soggettiva di questa con loro, la sua familiarità, a determinare la loro
reazione emotiva. Percepire la bellezza dove esiste davvero significa
anche valutarla e amarla; e ciò, stando al pensiero di Socrate sull’argo-
mento, è un fatto assolutamente obiettivo, che rimarrebbe vero anche
indipendentemente dal processo attraverso il quale una persona ha ac-
quisito la necessaria capacità percettiva.
C’è un altro passo, più avanti, sempre nel libro III della Repub-
blica, che ritorna sull’influenza della musica sull’anima (410b-412a).

6
Vd. 558c-562a, e cf. la descrizione della polis democratica a 555b-558c, in
particolare 557c-d.
7
Tutto il Simposio di Platone ruota attorno a questo concetto; vd. specialmen-
te 204b-c.
50 Musica e carattere nella Repubblica di Platone

L’argomento è affrontato in modo molto diverso, e vedremo che c’è


qualche difficoltà nel conciliare i due passi. Socrate afferma che, in re-
altà, le due parti del tirocinio dei difensori, la mousikē e la gymnastikē,
non riguardano, rispettivamente, l’anima e il corpo: entrambe, dice,
«sono state istituite in vista dell’anima». All’inizio, Glaucone è diso-
rientato da questa dichiarazione, ma subito comprende ciò che Socrate
intende dire: chi trascura la musica e trascorre tutto il proprio tempo
nell’esercizio fisico diventa troppo selvatico e rozzo, mentre chi fa l’op-
posto incorre nella “mollezza”, malakia. Poi Socrate collega queste
osservazioni ovvie con le due parti dell’anima, il thymoeides e il philo-
sophon. Il thymoeides presiede all’aggressività del carattere: se è eserci-
tato in maniera appropriata, produce coraggio, ma se è troppo ‘teso’ il
risultato sarà la rozzezza e la selvatichezza. Allo stesso modo, il philo-
sophon contiene il lato gentile della nostra natura: se ben esercitato, è
mite e ordinato, ma quando è troppo ‘allentato’, diventa malakōteron,
«più molle» del dovuto (410b-e).
L’immagine evocata da questo “tendere” e “allentare” è chiaramen-
te di ambito musicale; le due parti dell’anima vengono tese e allentate
come le corde di uno strumento musicale. La musica è concepita come
l’elemento che ‘allenta’, e così ‘rende molle’ il philosophon; ed è chiara-
mente sottinteso che questa parte dell’anima è appropriatamente rego-
lata se viene allentata, accordata più bassa, per così dire, anche se l’al-
lentamento non deve essere eccessivo. Analogamente, il thymoeides deve
essere teso, alzato di intonazione. Questo scopo si raggiunge con la
gymnastikē, anche se, ancora una volta, la tensione eccessiva deve esse-
re evitata. A quanto pare, siamo dunque invitati a pensare al thymoe-
ides come se fosse una corda o una serie di corde, la cui intonazione è
più alta di quella del philosophon; e ciò dà senso alla successiva frase di
Socrate. Entrambi gli elementi devono essere reciprocamente ‘accorda-
ti’, sicché il teso thymoeides e il rilassato philosophon, presi insieme,
formino una harmonia ben strutturata (410e).
Fin qui tutto sembra abbastanza lineare e, come potremmo aspet-
tarci, rimanda a un’immagine dell’anima strutturalmente analoga a quella
di un modello di accordatura, una harmonia. In seguito, in una serie di
vivide metafore, Socrate descrive più diffusamente che cosa accade a una
persona che indulge nell’una o nell’altra delle due attività, la musica e
l’esercizio fisico, con esclusione dell’altra. Non entrerò in tutti i detta-
gli. Socrate ci dice che se una persona fa affluire dentro di sé in conti-
nuazione, attraverso le orecchie, harmoniai dolci, molli e lamentose,
comincia ad ammorbidire, beneficamente, la parte ‘focosa’ dell’anima, il
thymoeides; ma, se non smette, la fa liquefare e dissolvere, sì da diven-
In che modo la musica influenza l’anima 51

tare, come dice Omero (Il. 17, 588), un «combattente smidollato»


(411a5-b4). Al contrario, chiunque si concentri unicamente sulla
gymnastikē, trascurando totalmente la musica, priva il philosophon del
suo nutrimento appropriato. La parte gentile e generosa della sua per-
sonalità appassisce, ed egli stesso diventa violento, insensibile alla ragio-
ne, incolto e brutale (411c4-e2). Dovremmo prestare attenzione a un
aspetto in particolare della descrizione di Socrate. La parte della perso-
nalità che risponde alla cultura e all’educazione, dice Socrate, diventa
insensibile e cieca, «perché non è destata né nutrita, e le sue capacità
percettive, aisthēseis, non sono purificate» (411d4-5). Questo riferimento
alle “capacità percettive” dovrebbe richiamarci alla mente la capacità di
discernimento etico ed estetico, così importante in un passo ricordato
prima (402b9-c8), e della quale si diceva che veniva sviluppata median-
te l’esposizione alla buona musica. Socrate intende dire qui che la fun-
zione della musica è quella di ‘purificare’, ‘depurare’ questa nostra ca-
pacità di discernimento, in modo da poter distinguere chiaramente ciò
che è bello e buono, mentre, trascurando la pratica musicale, rimarremo
«sordi e ciechi», e non sapremo operare distinzioni in tal senso.
Quest’affermazione è una chiara allusione al passo precedente,
appena ricordato; e non è l’unico punto nel quale questa parte del te-
sto riecheggia inequivocabilmente, e presumibilmente in modo delibe-
rato, parti precedenti della discussione. Pensiamo per esempio alla fon-
damentale importanza argomentativa assunta in precedenza dall’imma-
gine delle corde che vengono tese e allentate, e dall’opposizione tra le
personalità ‘tese’ e quelle ‘molli’; e in 411a7-8 Socrate richiama esplici-
tamente «le harmoniai molli e lamentose che abbiamo appena menzio-
nato», con un chiaro riferimento all’inizio della conversazione di argo-
mento musicale (398d-e). Queste ripetizioni ci incoraggiano a cercare
di interpretare questo passo in modo che risulti coerente con i prece-
denti, sicché le affermazioni in essi contenuti si possano riunire insie-
me come aspetti di un’unica teoria. Ma, a quanto pare, abbiamo biso-
gno di ogni incoraggiamento, perché non è affatto chiaro che ciò sia
realmente possibile.
E infatti vorrei ora elencare alcuni dei punti nei quali sembrano
sorgere difficoltà. Primo: proprio all’inizio della discussione, Socrate e
Glaucone hanno distinto vari tipi di harmoniai, alcune delle quali sono
troppo ‘tese’, e generano emozioni esagerate, mentre altre sono troppo
‘rilassate’, e ci rendono ‘molli’. Ora, invece, sembra che a favorire la
durezza e la tensione nell’anima sia la gymnastikē, mentre la musica,
nel suo complesso, genera ‘mollezza’. Secondo: in un primo momento,
le harmoniai ‘tese’e quelle ‘rilassate’ erano bandite del tutto. Sono
52 Musica e carattere nella Repubblica di Platone

mimēseis di un carattere brutto, e se ci abituiamo a esse le nostre per-


cezioni etiche vengono distorte: ecco perché non possono trovare po-
sto in un’educazione sana. Ma in un passo successivo (411a5-b1) si dice
che un’esposizione moderata a queste harmoniai «dolci, molli e lamen-
tose» può raggiungere l’importante scopo di ammorbidire e temperare
il thymoeides come il ferro, rendendolo utilmente flessibile da inutile e
duro che era. Terzo: proprio in quest’ultimo passo ci viene detto dap-
prima che la musica agisce sul philosophon e l’esercizio fisico sul thy-
moeides. Poco più avanti, invece, viene fuori che la musica ha un effet-
to anche sul thymoeides, come abbiamo appena visto, ‘temperandolo’
beneficamente se viene usata con moderazione, ma indebolendolo e
rendendolo inutile se si indulge troppo a musiche basate su harmoniai
molli o emozionalmente caricate. A questo punto, la base su cui si fonda
l’ipotesi di una divisione dell’anima in due parti distinte appare piutto-
sto incerta. Infine, non è chiaro in che modo il modello quasi mecca-
nico che prevede ‘tensione’ e ‘allentamento’ di questi elementi all’in-
terno dell’anima sia da porre in relazione con le immagini di ‘nutri-
mento’ e ‘familiarizzazione’ che troviamo a 401b-e. Non voglio dire
che siano incompatibili tra loro, ma sembra che le spiegazioni offerte
siano tra loro molto differenti, e Platone non dice come si possano
integrare in un quadro unico.
Non sono del tutto sicuro che queste difficoltà si possano risol-
vere, in modo da assegnare a Platone una teoria perfettamente coeren-
te sulla struttura musicale dell’anima, e dei modi in cui diversi tipi di
influssi musicali agiscono sulle ‘accordature’ dei suoi elementi e impul-
si. Certo, i passi che abbiamo studiato fanno pensare che Platone aspi-
rava a una teoria di questo tipo; e le metafore musicali mediante le quali
rappresenta diversi tipi di caratteri, così come i processi attraverso i quali
i diversi caratteri si formano, sembrano incoraggiare tentativi di for-
mulare analisi dettagliate in termini musicali. Ci aspetteremmo di po-
ter integrare queste analisi con il modello bipartito dell’anima; e invece
non appena Platone comincia a parlare del modello bipartito dell’ani-
ma con un linguaggio musicale, cominciano a sorgere problemi. Si è
spinti a congetturare che in questa fase della sua argomentazione Pla-
tone combinasse insieme idee alle quali era arrivato per diverse strade,
o addirittura che queste idee gli provenissero da fonti diverse e tra loro
indipendenti, databili a un periodo a lui precedente, e che nelle loro
formulazioni originarie non presentassero alcuna connessione tra loro.
Se così fosse, non sarebbe del tutto sorprendente che non si adattasse-
ro del tutto al suo tentativo di fonderle insieme. Su questa possibilità
mi soffermerò nei capitoli III e IV.
In che modo la musica influenza l’anima 53

Sembra chiaro, ad ogni modo, che Platone considerava le metafo-


re musicali particolarmente adatte a esprimere le sue idee sull’anima. È
sicuro che considerava la musica capace di forgiare l’anima per darle
una forma di cui la musica è essa stessa immagine; e la nozione stessa
di mimesi musicale, così come Platone la impiega, presuppone che le
strutture della musica e quelle dell’anima debbano essere fondamental-
mente simili. La musica ci plasma a sua immagine e somiglianza, nel
senso che adatta i rapporti tra le parti della nostra personalità in modo
che l’anima risuoni, per così dire, in accordo con le immagini che la
musica presenta. Più varie sono le nostre esperienze musicali, più am-
pie e flessibili diventeranno le nostre simpatie musicali ed etiche. La
nostra anima acquisisce esperienza, si potrebbe dire, ‘modulando’ tra
impressioni di molti diversi tipi, e godendo di tutti; ma questa genero-
sa apertura può risultare eccessiva: non dovremmo consentire alla no-
stra anima di modulare indiscriminatamente tra sensazioni e attitudini
pertinenti a ogni sorta di carattere, come invece è possibile fare adope-
rando gli strumenti musicali tecnicamente molto evoluti e quindi mu-
sicalmente troppo versatili, che Socrate rifiuta. Ecco perché alcune har-
moniai debbono essere bandite, insieme con gli strumenti che a esse si
addicono: se i nostri gusti musicali, e con essi i nostri valori etici, di-
ventano troppo liberi e disinvolti, perdiamo la capacità di resistere e di
rifiutare ciò che andrebbe rifiutato. Ed ecco perché l’esperienza musi-
cale ha un effetto tanto sul thymoeides quanto sul philosophon, sicché
non ha senso, in questa visione, considerarli due entità psichiche sepa-
rate. La funzione del thymoeides è quella di contrastare ciò che è erra-
to e reagire a esso con forza: e il suo impulso a contrastare viene inde-
bolito e distrutto, se le simpatie del philosophon sono troppo genero-
samente sviluppate. Non è affatto chiaro come questa interdipendenza
tra le due componenti dell’anima possa essere interpretata alla luce di
analogie con fatti musicali. Sotto questo aspetto, come negli altri casi
che ho ricordato, ci sono serie difficoltà a tenere insieme tutti i fili del
discorso di Platone. Possiamo ragionevolmente supporre che, al tempo
in cui componeva questa parte della Repubblica, Platone vagheggiasse
la possibilità di dare, sulla base del modello musicale rappresentato
dall’harmonia, un’analisi completa e coerente dell’anima; ma non pos-
siamo tuttavia essere sicuri che fosse convinto di aver raggiunto lo sco-
po. Potremmo considerare il progetto del libro III come una sorta di
ipotesi filosofica sperimentale, i cui risultati sembrano promettenti, ma
molto lontani dall’essere definitivi.
Come ho già accennato, nonostante che la connessione dei pen-
sieri in questa sezione della Repubblica sia certamente dovuta a Plato-
54 Musica e carattere nella Repubblica di Platone

ne, sono convinto che i concetti fondamentali non siano una sua crea-
zione ex nihilo: come ogni altro filosofo, per quanto eminente, Platone
costruisce su teorie e speculazioni di predecessori e di contemporanei.
Nei prossimi due capitoli torneremo indietro nel tempo, e cercheremo
di individuare, per quanto ce lo consentono le testimonianze supersti-
ti, i precedenti contributi a questo dibattito; e tenteremo anche di sco-
prire quale uso Platone ne ha fatto nella psicomusicologia della Repub-
blica.
In che modo la musica influenza l’anima 55

PARTE II
TEORIA MUSICALE PRIMA
DELLA REPUBBLICA DI PLATONE
56 Teoria musicale prima della Repubblica di Platone
Damone e i sofisti 57

III
DAMONE E I SOFISTI

Nei due capitoli precedenti abbiamo analizzato alcune pagine del-


la Repubblica di Platone. Questo studio ci ha condotto a doverci ora
occupare di alcune altre idee sui rapporti tra musica e anima, già cor-
renti in epoca pre-platonica (V sec. a. C.), per vedere se, e in quale
misura, queste idee contribuirono all’elaborazione di quelle pagine. Ma
il nostro compito preliminare, certamente non facile, sarà quello di
raccogliere, in proposito, informazioni e testimonianze attendibili. A
quanto pare, molto materiale si trova nei testi dello stesso Platone. Nella
Repubblica Socrate menziona l’opera di un suo eminente predecessore,
il teorico ateniese Damone, alla cui competenza specialistica, dice, ci si
deve rivolgere per ottenere aiuto nei dettagli tecnici; ed è evidente che
dovremo dire qualcosa su di lui quando sarà il momento. Ma nei dia-
loghi platonici cronologicamente anteriori alla Repubblica ci sono an-
che altri passi che meritano attenzione, e voglio cominciare proprio con
qualche osservazione su di essi.
Prima di tutto, però, devo spiegare perché penso che le idee con-
tenute in questi testi risalgano a un contesto pre-platonico, di V sec. a.
C., e che non siano invenzioni di Platone stesso. Le ragioni sono varie.
Innanzi tutto, abbiamo visto che il Socrate della Repubblica dà molto
credito all’idea che la musica possa influenzare il carattere umano, e
che esistano affinità tra le strutture musicali e le condizioni dell’anima.
L’orientamento di Socrate si riflette nel suo uso ricorrente del linguag-
gio musicale per descrivere gli stati psicologici; e metafore di ambito
musicale sono comuni negli scritti tardi di Platone. Ma nelle opere
precedenti la situazione è del tutto diversa: nei circa venti dialoghi
anteriori alla Repubblica, fatta eccezione per quattro passi brevi e iso-
lati, non c’è traccia di queste idee, né del linguaggio metaforico asso-
ciato con esse. Di per sé, questo fatto induce a pensare che nella prima
parte della sua attività Platone avesse poco interesse per speculazioni
58 Teoria musicale prima della Repubblica di Platone

psicomusicologiche. L’ipotesi che le idee contenute in questi quattro testi


non risalgano allo stesso Platone è rafforzata da un secondo fatto, e
cioè che nessuno di essi è introdotto nel dialogo da Socrate. Nel Pro-
tagora, a parlare è proprio il sofista Protagora; nel Lachete è appunto
Lachete, un militare un po’ grossolano; nel Fedone è Simmia, un pita-
gorico entusiasta ma piuttosto ingenuo; e nel Simposio è Erissimaco,
un medico ampolloso e dogmatico. Nessuno di loro è persona che un
lettore sia incoraggiato a giudicare autorevole; e certamente nessuno di
loro può essere considerato portavoce delle idee di Platone. In terzo
luogo, a uno solo di questi contributi, quello di Simmia, Socrate dedi-
ca una certa attenzione, senza peraltro mostrare alcuna simpatia per la
teoria proposta dal suo interlocutore, che descrive l’anima in termini
musicali: dice infatti che si tratta di un’idea inconsistente e incompren-
sibile. Socrate fa soltanto una breve e ironica allusione alle osservazio-
ni musicologiche di Lachete, e ignora del tutto quelle di Protagora e di
Erissimaco. Considerando globalmente tutti questi punti, possiamo
concludere con un certo grado di sicurezza che Platone, all’epoca di
questi dialoghi, non era interessato a trattare problemi o a sviluppare
teorie sui rapporti tra la musica e il carattere umano, ed è dunque ab-
bastanza inverosimile che le idee espresse in questi quattro passi siano
proprio le sue. Si tratta, semplicemente, di elementi che si inseriscono
nel quadro del dibattito culturale del V sec. a. C., che, a sua volta, fa
da sfondo variegato alle conversazioni di Socrate; o almeno, a me pare
di poterli interpretare così. In questo capitolo e nel prossimo esamine-
remo questi quattro testi uno per uno, cominciando da quello conte-
nuto nel Protagora.
Protagora sostiene che la virtù, aretē, è insegnabile, e che i giova-
ni possono conseguirla per mezzo dell’esercizio; fa poi notare che quan-
do genitori e maestri si occupano dei fanciulli, danno per scontato che
ciò sia vero (323c5-326a4). In particolare, i maestri di musica concen-
trano i propri sforzi sul miglioramento del carattere dei propri discepoli,
in parte garantendo che le parole dei canti che eseguono siano edificanti,
ma in parte anche attraverso gli elementi non verbali della mousikē:
«Fanno sì che i ritmi e le harmoniai divengano familiari (oikeiousthai)
alle anime dei fanciulli, perché questi siano più miti, e, conformandosi
a un ritmo migliore e a una migliore intonazione (eurythmoteroi kai
euarmostoteroi gignomenoi), possano parlare e agire in modo benefico.
Tutta la vita umana (bios), infatti, richiede buon ritmo e buona intona-
zione (eurythmias te kai euarmostias deitai: Prot. 326b1-6).
È del tutto evidente che gli scopi generali e i presupposti teorici
di questi maestri di musica sono molto simili al progetto educativo di
Damone e i sofisti 59

Socrate nella Repubblica. In entrambi i casi si parte dalla convinzione


che la musica può avere effetti etici salutari, e in questo senso si cerca
di sfruttarne al massimo tutte le potenzialità. Inoltre, in entrambi i casi
gli elementi strutturali della musica, ritmi e harmoniai, rivestono un’im-
portanza centrale nell’attuazione del progetto educativo. Come il So-
crate della Repubblica, anche Protagora non esita a usare terminologia
musicale nel descrivere gli esseri umani e i loro stili di vita, che debbo-
no essere ‘ben ritmati e ben intonati’; e anche il concetto di “familia-
rizzazione”, che avrà poi una funzione fondamentale nell’analisi di
Socrate nella Repubblica, è anticipato qui dal verbo oikeiousthai usato
da Protagora.
Ma ci sono anche notevoli differenze. Nel discorso di Protagora
nulla fa pensare che alcune harmoniai e alcuni ritmi abbiano effetti
etici più desiderabili di altri. Protagora non dice che i maestri rifiu-
tano alcune harmoniai in quanto inadatte a fini educativi, come fa il
Socrate della Repubblica; e neppure dice che questo è – o dovrebbe
essere – il compito dei buoni maestri. In secondo luogo, le conside-
razioni di Protagora non configurano né presuppongono alcuna te-
oria sulla natura dell’anima umana. È vero che Protagora usa – inci-
dentalmente – il termine psychē, “anima”; ma, da quanto dice, si evince
che i benefici derivanti dalla pratica musicale non riguardano tanto
l’intimo delle persone, la loro anima, quanto piuttosto le loro mani-
festazioni esteriori, la loro vita sociale – i loro bioi, stili di vita, e ciò
che dicono e fanno. Secondo Protagora, la musica ha valore in quan-
to aiuta a formare buoni cittadini, ma nel suo discorso non c’è traccia
dell’insistenza con la quale, nella Repubblica, si dice che questo ef-
fetto può essere raggiunto soltanto quando si riesca, p r e l i m i n a r-
m e n t e , ad accordare la coscienza interiore di una persona, la sua
anima. Infine, è altrettanto chiaro che il discorso di Protagora non si
fonda su una base che possa dirsi ‘teorica’ in senso stretto: Protagora
si limita a ricordare a Socrate i percorsi educativi comuni nell’Atene
contemporanea, e a segnalarne alcuni presupposti basilari del tutto
evidenti. Questo passo del Protagora, dunque, ci mostra soltanto che,
per un importante aspetto, le proposte della Repubblica hanno ori-
gine dalle riflessioni sulle consuete pratiche educative familiari, con
le quali hanno in comune scopi e metodi1. È lo stesso Socrate a mettere
in evidenza questo punto (resp. 376e): la Repubblica non offre un
progetto totalmente originale di educazione etica, ma una nuova analisi
dei modi nei quali le pratiche tradizionali operano, e alcuni suggeri-

1
Vd., per esempio, le osservazioni di ANDERSON 1966, p. 95.
60 Musica e carattere nella Repubblica di Platone

menti per migliorarne l’efficacia. Resta da vedere se qualcuna delle


idee di carattere più strettamente teorico, che vengono impiegate in
queste analisi, o qualcuno dei dettagli delle proposte di riforma, non
derivino anch’essi da fonti precedenti.
In un bel passo del dialogo omonimo, Lachete afferma di gioire
profondamente ascoltando un uomo virtuoso parlare della virtù: è uno
spettacolo vedere come l’uomo e le sue stesse affermazioni si adattino
e si ‘accordino’ reciprocamente, preponta allēlois kai harmottonta. L’in-
dividuo che può a giusto titolo essere chiamato “musicale”, continua
Lachete, non è chi è in grado di accordare la lira o qualche altro «stru-
mento di divertimento» del medesimo tipo, ma chi ha veramente ac-
cordato la propria vita, rendendola consonante, symphōnon, con le sue
azioni e parole; e lo schema di questa accordatura, sostiene, non deve
essere l’harmonia ionica o la frigia o la lidia, ma la dorica, «l’unica
harmonia originariamente greca» (Lach. 188c4-d8).
Le affermazioni di Lachete e di Protagora hanno una base comu-
ne. Entrambi concentrano la loro attenzione su aspetti strutturali della
musica: qui, in particolare, sulle harmoniai, ossia gli schemi o modelli
di accordatura. Nessuno dei due parla del rapporto di queste strutture
con un qualche aspetto interiore dell’individuo; ancora una volta ab-
biamo riferimenti soltanto al suo bios, lo stile di vita, che deve essere
ben accordato, e alle sue parole e alle sue azioni, che devono essere
rese reciprocamente consonanti. Il fatto che “vita”, “azioni” e “parole”
rivestano una funzione importante in entrambi i testi suggerisce che
questi elementi erano normali punti di riferimento nel dibattito cultu-
rale in corso nel V sec. a. C. su questi argomenti. Sembra che tanto
Lachete quanto Protagora considerino naturale parlare delle persone e
dei loro stili di vita in termini musicali; e se metafore di questo tipo
erano usuali nel dibattito intellettuale del V sec., la loro quasi totale
assenza in gran parte dei primi scritti di Platone risulta ancora più degna
di nota.
Ma le affermazioni di Lachete differiscono da quelle di Prota-
gora per almeno due aspetti importanti. Primo, Lachete non parla
dell’influenza della musica sul carattere, argomento principale delle
osservazioni di Protagora. Ossia, per quanto Lachete rappresenti le
qualità etiche in termini musicali, non dice che queste qualità posso-
no essere p r o d o t t e con mezzi musicali, e nulla nel resto del dialogo
suggerisce che condividesse questo modo di vedere. Secondo, mentre
Protagora non fa alcun accenno al fatto che un’harmonia è migliore
di un’altra, Lachete accentua molto questo aspetto. L’ ‘accordatura’
etica che ha in mente deve corrispondere all’harmonia dorica, e a
Damone e i sofisti 61

nessun’altra; l’harmonia ionica, la frigia e la lidia sono bandite con


disprezzo2.
Il rifiuto, da parte di Lachete, di ogni altra harmonia a eccezione
di quella dorica sembra precorrere la ‘purga’ delle strutture musicali
propugnata da Socrate nella Repubblica (398d-399a); e in effetti, anche
se Socrate, assieme alla dorica, accoglie anche l’harmonia frigia, nelle
sezioni della Repubblica dedicate allo studio dell’educazione musicale
ci sono echi molto chiari di questo brano del Lachete. Il più evidente
si trova a 412a4-7, dove Platone cita il suo dialogo precedente quasi
parola per parola. Secondo Lachete, «vero musico non è chi ha accor-
dato, secondo una bellissima harmonia, una lira o altri strumenti di
divertimento, ma chi ha accordato la sua stessa vita, realizzando con-
sonanza tra le sue parole e le sue azioni» (Lach. 188d3-6); analogamente,
nella Repubblica Socrate dice che «Chi meglio combina insieme ginna-
stica e musica, e le applica all’anima nella la misura più giusta, costui
potremmo in tutta correttezza definire il musico veramente perfetto e
il più armonioso, molto più di chi accorda tra loro le corde (di uno
strumento musicale)».
Ma qui dobbiamo prestare un po’ di attenzione. Che cosa inten-
de esattamente Lachete quando dice che le azioni di un individuo
dovrebbero essere accordate alle sue parole in base all’harmonia dorica
e a nessun’altra? Quale sarebbe la differenza tra un individuo nel
quale quest’accordatura è dorica e un altro nel quale è lidia o ionica,
dato che entrambi debbono essere distinti da altri individui le cui
parole e azioni non sono accordate affatto le une alle altre? Sono
domande difficili; e secondo me le strade per cercare una risposta
sono solo due.
Una possibilità è quella di considerare che in greco si parla tal-
volta di accordatura tra due elementi quando si tratta di due strumenti
musicali. C’è un bell’esempio nel Simposio di Senofonte (3, 1), dove
uno degli intrattenitori accorda la lira con l’aulos che viene suonato da

2
Non si può dedurre che le parole di Lachete non abbiano alcun peso come
testimonianza di idee realmente diffuse nell’Atene del V sec. a. C., sulla sola base della
convinzione che Platone avrebbe confezionato il discorso del suo personaggio all’uni-
co scopo di parodiarne l’atteggiamento sciovinistico e xenofobico da «bluff warrior»
(così ANDERSON 1966, p. 72), facendogli pronunziare soltanto battute che lo mettes-
sero in cattiva luce. Certo, è senz’altro possibile che Platone avesse qui anche un certo
intento critico: ma una battuta non viene percepita come tale se il linguaggio in cui è
formulata non è comprensibile. Come ho sottolineato, questa terminologia e questa
strategia metaforica non facevano parte del repertorio usuale di Platone all’epoca della
composizione del Lachete, e la loro presenza qui non si spigherebbe se non fossero
portatrici di significati ben noti nella cultura ateniese del V sec. a. C.
62 Teoria musicale prima della Repubblica di Platone

un altro personaggio, in modo da poter eseguire un duetto3. Forse,


dunque, l’immagine introdotta da Lachete non è complicata più di tanto:
parole e azioni sono rappresentate come due strumenti musicali, da
accordare l’uno all’altro in modo da poter suonare insieme senza sto-
nature.
Quest’interpretazione così semplice urta però contro alcune diffi-
coltà. Due strumenti sono accordati l’uno all’altro in questo modo
soltanto se le loro intonazioni sono identiche: e questo avviene soltan-
to se sono accordati all’unisono (o all’ottava). Ora, poniamo che una
lira e un aulos siano accordati ciascuno in base all’harmonia dorica, o
lidia, o a qualche altra harmonia: è certamente possibile interpretare le
metafore che attribuiscono queste forme di organizzazione tanto alle
parole quanto alle azioni, ma nulla di specificamente dorico o lidio può
riguardare i r a p p o r t i t r a i d u e s t r u m e n t i . Indipendentemente
dall’harmonia prescelta, i rapporti fra le note di ciascuno dei due ri-
mangono gli stessi: le note di uno strumento sono semplicemente ac-
cordate all’unisono con quelle dell’altro. Ma nel discorso di Lachete a
essere accordato è il bios, lo stile di vita di una persona. L’accordatura
deve riguardare due componenti, le sue parole e le sue azioni, in un
rapporto di consonanza reciproca, ed è questo rapporto tr a l or o a
costituire un’harmonia che può essere dorica, lidia o di altro tipo. Il
processo di accordatura delle une con le altre non può dunque essere
quello di fare in modo che suonino all’unisono, come una lira con un
aulos, dal momento che non esistono varietà doriche e lidie di uniso-
no; e le ‘accordature’ doriche o lidie del bios debbono essere formate
da parole e azioni p r es e in s iem e, non da ciascuna di esse presa in-
dividualmente.
Il concetto di accordatura tra due diversi gruppi di elementi sug-
gerisce una seconda linea interpretativa. Alla fine del capitolo I ho posto
in evidenza che, di norma, i teorici, nelle loro analisi, dividevano ogni
schema di accordatura (harmonia) in una coppia di sottostrutture. Ho
anche detto che leggendo Aristide Quintiliano, che ci dà l’unica testi-
monianza dettagliata sulle harmoniai di questo periodo, apprendiamo
che la relazione tra queste due sottostrutture è molto più chiaramente
‘consonante’ in alcune harmoniai che in altre. Nella dorica la relazione
è la più semplice di tutte: lo schema degli intervalli della parte più gra-
ve del sistema è identico a quello della parte più acuta, e le note di una
sottostruttura stanno con le corrispondenti dell’altra in rapporto di

3
Vd. anche BÉLIS 1992, con l’interpretazione di una scena musicale raffigurata
su un vaso dal Pittore di Esiodo.
Damone e i sofisti 63

quinta giusta. Nella frigia, che Socrate nella Repubblica considera ac-
cettabile, il rapporto è chiaro quasi quanto nella dorica, ma la corri-
spondenza tra le due parti non è perfetta, cosicché, in base a questo
criterio, Lachete può legittimamente rifiutarla. E nelle altre harmoniai
non sembra esserci coordinazione alcuna tra le due sottostrutture.
Mi soffermerò più avanti a valutare l’affidabilità di Aristide: per il
momento, diamola per acquisita. Se interpretiamo le osservazioni di
Lachete alla luce della sua dottrina sulle harmoniai, considerando le
parole di un individuo come una delle due sottostrutture che costitui-
scono il suo bios e le sue azioni come l’altra sottostruttura, superiamo
le difficoltà sollevate dalla nostra prima interpretazione, e il testo di
Platone risulta più comprensibile: per questa ragione penso che questa
seconda via sia preferibile, malgrado le mie incertezze sull’affidabilità
della testimonianza di Aristide Quintiliano. Se si accetta questa inter-
pretazione, il sostrato culturale di questo testo, basato com’è su detta-
gli reconditi di analisi musicologica e non soltanto su cognizioni diffu-
se circa l’uso della musica nell’educazione tradizionale, appare profon-
damente diverso da quello del brano tratto dal Protagora. Il che fa
pensare non solo che Platone avesse familiarità con tecnicismi di que-
sto tipo quando scrisse il Lachete – tecnicismi che il Socrate della Re-
pubblica asserisce di non comprendere – ma che le analisi teoriche qui
presupposte, come anche la loro trasposizione metaforica in un conte-
sto etico, erano già ben radicate nelle elaborazioni del pensiero musi-
cale dell’Atene del tardo V sec. a. C. Si tratta di una conclusione im-
portante, e ci ritorneremo sopra.
Prima di lasciare il Lachete, dobbiamo risolvere un altro proble-
ma. È chiaro che Lachete intende comunicare il concetto che le parole
di un individuo dovrebbero essere coerenti con le sue azioni; Lachete
non può tollerare chi fa bei discorsi sull’importanza della virtù ma agisce
e si comporta da imbroglione e vigliacco: e per noi è facile essere d’ac-
cordo con lui. Ma se questo fosse tutto ciò che aveva da dire, allora
avebbe potuto esprimersi fuor di metafora, in maniera più chiara e sem-
plice, e molto meno oscura: in questo senso la sua articolata metafora
musicale appare ingiustificata, inefficace, e forse addirittura fuorviante.
Se avesse pensato soltanto a un’opposizione tra coerenza e incoerenza,
avrebbe potuto certamente farla corrispondere, in termini musicali, a
una semplice opposizione tra intonazione e mancanza di intonazione.
Ma se così fosse, il richiamo, da parte di Lachete, a strutture musicali
certamente dotate di intonazione, ma non del tutto accettabili, come le
harmoniai lidia, frigia e ionica, sarebbe del tutto fuori posto. Questi
particolari fanno pensare allora, in questo contesto metaforico, a un
64 Teoria musicale prima della Repubblica di Platone

contenuto comunicativo più complesso della semplice eventuale incoe-


renza tra le azioni di un individuo e le sue parole. Nella migliore delle
ipotesi, tra ciò che una persona fa e ciò che dice c’è perfetta corrispon-
denza. Nella peggiore, questa corrispondenza non c’è; in termini mu-
sicali, le cose che la persona dice e quelle che fa, prese insieme, non
vengono a formare alcuna harmonia. Ma tra l’ipotesi migliore, quella
analoga all’harmonia dorica, e la peggiore, quella totalmente stonata,
del tutto priva di harmonia, c’è posto per altre possibilità, rappresenta-
te musicalmente dalle harmoniai che hanno una struttura meno perfet-
ta della dorica, ma che sono pur sempre ‘musicali’. È possibile insom-
ma che, tra le azioni e le parole di alcuni si possa ammettere coerenza,
a condizione che, di ciò che dicono e fanno, si ammettano interpre-
tazioni più sottili e inusuali, come per esempio quelle che può escogi-
tare un abile oratore o un sofista; altri possono avere un carattere glo-
balmente sano, e possono essere scusati per errori occasionali: gli ele-
menti della loro vita, per così dire, danno luogo in realtà a un’accorda-
tura, nella quale però alcune note sembrano un po’ fuori posto, e dun-
que deludono le nostre normali aspettative di ordine estetico. L’esistenza
di harmoniai che rientrano nei canoni della musica, ma la cui struttura
è meno lineare dell’ harmonia dorica, dà l’opportunità di usare un lin-
guaggio mediante il quale si può parlare di questi vari gradi di coeren-
za tra le parole e le azioni in modo più preciso e immediato di quanto
sia possibile fare in termini letterali. Lachete le disapprova tutte, tran-
ne la migliore in assoluto, ma le sue metafore rivelano la possibilità di
un approccio più sfumato e meno intransigente del suo, e mostrano
quanto il vocabolario musicale possa essere utile quando si tenti di
articolare un discorso su questi temi.
Anche se alla base delle metafore usate da Lachete ci sono tutte
queste sfumature musicali, certamente la loro origine non risale al La-
chete storico: il ritratto che ce ne dà lo stesso Platone è ben lungi da
quello di un appassionato di arti e scienze. Ed ecco che dobbiamo
cominciare a pensare a Damone, il personaggio la cui competenza So-
crate invoca nella Repubblica. È chiaro che Platone aveva presente
Damone anche all’epoca in cui scrisse il Lachete, visto che lo menzio-
na tre volte nel corso del dialogo (180c8-d4, 197d1-5, 200a1-b7), addi-
rittura più spesso di quanto non faccia nella stessa Repubblica. Nel
Lachete Damone è presentato come un amico dell’altro generale, Ni-
cia, al quale Socrate lo aveva raccomandato come tutore del figlio; e
quando, nella parte finale del dialogo, Lachete e Nicia cominciano a
litigare, il riferimento di Lachete a Damone è tinto di disprezzo (200a1-
3). Ma ciò non ci impedisce di cercare tracce delle idee di Damone anche
Damone e i sofisti 65

nelle affermazioni dello stesso Lachete (188c4-d8): il fatto che Lachete


disdegnasse Damone e non lo avesse mai conosciuto di persona (come
si apprende dalle parole di Nicia a 200b5-6) non implica necessaria-
mente che non ne conoscesse la dottrina, e sembra invece coerente con
la caratterizzazione ironica che Platone dà di questa coppia di militari
attaccabrighe.
La fama di Damone come autorità in materia di musica durò per
secoli, ma delle sue opere gli autori più tardi sapevano piuttosto poco.
Anzi, ne sapevano addirittura meno di quanto credessero di sapere: studi
recenti hanno mostrato infatti che diverse parti significative del quadro
da loro delineato non sono basate su informazioni attendibili su Da-
mone e sulla sua dottrina, ma su un’opera letteraria nella quale Damo-
ne appare come personaggio, un dialogo composto nel tardo IV sec. a.
C., forse da Eraclìde Pontico4. Non restano che poche altre testimo-
nianze su di lui, alle quali probabilmente si può dare un certo credito,
in opere di autori del periodo romano, ma la nostra migliore fonte di
informazione resta ancora una volta Platone.
Nel Lachete Nicia afferma che Damone gli era stato indicato da
Socrate come buon maestro di musica per suo figlio, e osserva che, oltre
a una raffinatissima competenza musicale, Damone possiede anche molte
altre doti, sa stare in compagnia dei giovani ed è persona adattissima a
fare da tutore (180c8-d4). Socrate dice che Nicia ha imparato da Da-
mone a fare sottili distinzioni verbali, e che Damone è intimo amico
del sofista Prodico, grande esperto di queste tecniche (197d1-5); e Ni-
cia stesso afferma di affidarsi all’aiuto di Damone per correggere spe-
cifiche affermazioni in materia di teoria etica (200b3-7). Questi dettagli
rientrano in un quadro ben noto: il ritratto di Damone è quello di un
sofista, assai simile a Protagora o Prodico o Gorgia, ed è difficile dubi-
tare che Damone, nella realtà, non fosse proprio un sofista. Di norma,
i sofisti cercavano il sostegno di cittadini ricchi e potenti: da Aristotele
e Plutarco sappiamo che Damone era strettamente legato alla cerchia
di Pericle, e occupava una posizione di spicco tra i suoi consiglieri
politici. Plutarco, in realtà, è abbastanza esplicito nel chiamarlo sofista,
dichiarando che usava la sua attività musicale per mascherare i suoi scopi
sociali e politici5.
Sarebbe un errore, tuttavia, prendere la testimonianza di Plutarco
a valore facciale, specialmente per il fatto che sembra modellata su

4
Vd. WALLACE 1991, specialmente pp. 37-42.
5
Vd. Arist. Ath. pol. 27, 4; Plut. Per. 4; e cf. Plat. Alc. I 118c; Isocr. 15, 235;
per una discussione, vd. WALLACE 1991, pp. 49-50.
66 Musica e carattere nella Repubblica di Platone

un’affermazione di Protagora nell’omonimo dialogo di Platone: molti


uomini del passato – dice – usavano una qualche lodevole abilità – po-
esia, profezia, ginnastica, musica – come paravento, proschēma, per la
loro reale attività, che era la sofistica (sophistikē technē: Plat. Prot. 316d-
e). Protagora non menziona qui Damone; ma è interessante notare che,
tra questi proschēmata, annovera appunto la musica, lasciando intende-
re che non sarebbe del tutto infondato pensare che un esperto di mu-
sica avrebbe potuto offrire anche insegnamenti di altro tipo. Può esse-
re significativo che uno dei due ‘sofisti musicali’ di cui fa il nome è
Agatocle, del quale nel Lachete si dice che fu il maestro di Damone
(Lach. 180d)6. Damone, come gli altri sofisti, era certamente interessa-
to alla politica, ma non c’è bisogno di giungere fino a Plutarco per
considerare le sue attività musicali come una sorta di pretesto per ma-
scherarne altre. Un ben noto passo della Repubblica ci consente di
osservare la relazione tra la musicologia di Damone e il mondo della
politica sotto una luce piuttosto differente. Dice Socrate: «Gli stili del-
la musica non si cambiano mai senza cambiamenti nelle leggi più im-
portanti dello Stato. Così dice Damone, e io sono d’accordo con lui»
(424c5-6). Se i cambiamenti nella pratica musicale hanno conseguenze
di così vasta portata, un uomo di Stato che è in grado di comprendere
e controllare i processi di questi cambiamenti ha nelle mani uno stru-
mento molto potente di manipolazione politica. Damone, con uno spi-
rito per molti aspetti simile a quello con cui Gorgia presentava il pro-
prio insegnamento retorico7, presenta l’insegnamento musicale che è in
grado di offrire come un mezzo formidabile che si può mettere a di-
sposizione di politici ambiziosi. Ora, nonostante ciò che Plutarco sot-
tintende, Damone può n o n a v e r a v u t o s c o p i p o l i t i c i p r o p r i ;
come la tecnica retorica di Gorgia, così anche la dottrina di Damone
riguardo ai modi nei quali le pratiche musicali di una società influen-
zano i suoi assetti politici e le sue istituzioni, può essere usata per as-
sicurare a un politico il raggiungimento di qualunque risultato si augu-
ri di conseguire. In se stessa, la musica è un mezzo i de ol og i c a me n-
t e n eu trale.

6
Poco si sa di Pitoclìde, l’altro personaggio nominato da Protagora, e non c’è
modo di individuare i «molti altri» ai quali fa cenno. Lo stesso Damone non viene
nominato, perché Protagora è interessato soltanto a figure del passato (vd. 316d3-5,
anche se a 316d10-e1 si concede un riferimento a Erodico, che è ancora in vita),
mentre Damone era più o meno un suo contemporaneo, probabilmente di poco più
giovane.
7
Vd. in particolare le affermzioni attribuite a Gorgia da Platone in Gorg. 455c-
457c. Per una discussione vd. WARDY 1996, cap. 3.
Damone e i sofisti 67

Tenendo presenti questi punti, passiamo ora a osservare brevemente


le nostre testimonianze sui dettagli delle teorie musicologiche di Da-
mone; la Repubblica, inevitabilmente, è la nostra fonte principale. So-
crate attribuisce esplicitamente a Damone un’analisi dei tipi di ritmo
(400b1-c5). A quanto pare, tutti i ritmi principali furono ripartiti da
Damone in tre tipi fondamentali, distinti in base agli aspetti della loro
struttura, e associando ognuno di essi a una disposizione del carattere
umano. Anche se, a 398e-399a, Damone non è nominato come l’auto-
rità dalla quale Glaucone ha appreso quello che sa sulle harmoniai,
possiamo essere abbastanza sicuri che Platone attingeva anche in quel
caso alla sua dottrina, e i commentatori antichi, come Proclo (V sec. d.
C.), non hanno esitazione ad ammetterlo. La ripartizione delle harmo-
niai prevede quattro tipi principali: le harmoniai ‘tese’, quelle descritte
come ‘allentate’ o ‘rilassate’, e due altri tipi, che evidentemente occu-
pano un posto intermedio tra gli altri due, il dorico e il frigio. A ognu-
no di questi tipi di accordatura è assegnata, sulla base concettuale che
abbiamo visto nel capitolo I, una caratteristica etica.
Se l’opera di Damone è la fonte della trattazione platonica delle
harmoniai nella Repubblica, cosa che ritengo assolutamente probabile,
ci possono essere pochi dubbi che stia anche alla base delle considera-
zioni di Lachete (188c4-d8). Anche qui troviamo una quadripartizione
delle harmoniai, che vengono distinte sulla base della loro struttura, e
a queste differenze anche Lachete annette un significato etico. Sappia-
mo molto poco sui termini nei quali le strutture di queste accordature
erano descritte nella teoria damoniana. Ma dobbiamo ragionevolmente
presumere che Damone, avendo affrontato una trattazione dei ritmi,
desse anche delle harmoniai un’analisi di qualche tipo. Più di una volta
ho fatto riferimento a un testo di Aristide Quintiliano (III sec. d. C.),
nel quale viene descritta una serie di harmoniai, attribuite dapprima ai
«musicisti di epoca antichissima» (18, 5-6 W.-I.), e poi identificate con
«quelle menzionate dal divino Platone nella Repubblica» (19, 2-3 W.-
I.). Spesso si ritiene che queste harmoniai siano le stesse «harmoniai
citate da Damone» alle quali Aristide fa cenno a 80, 29-30 W.-I. E di-
fatti, se la pagina della Repubblica dipende dalla dottrina di Damone, e
se la testimonianza di Aristide è attendibile, è quanto meno plausibile
congetturare che la fonte di Aristide fosse in qualche modo connessa
con Damone. Non credo che si trattasse di un’opera dello stesso Da-
mone, giacché non c’è ragione di credere che egli abbia lasciato qual-
cosa di scritto8. Ma è possibile che il nome di Damone comparisse nel

8
Vd. WALLACE 1991, in particolare pp. 42-43.
68 Teoria musicale prima della Repubblica di Platone

testo da cui Aristide attingeva informazioni: l’autore poteva averlo ci-


tato forse in relazione al fatto che le harmoniai di cui trattava erano le
stesse di cui Damone si era occupato prima di lui9. Giacché l’argomen-
to è molto importante, fermiamoci a considerare l’attendibilità di que-
sta testimonianza.
Possiamo sgombrare immediatamente il campo dall’ipotesi che
queste “antiche accordature” siano una falsificazione deliberata. Spesso
gli autori greci e latini commettevano errori nel riportare teorie più
antiche, ma quando si tratta, come qui, di materia tecnica, il falso è un
fatto raro. In questo caso, non c’è motivo per una deliberata contraffa-
zione, ed è molto improbabile che un autore del periodo ellenistico o
romano abbia inventato di sana pianta sistemi tecnicamente tanto ela-
borati. D’altra parte, è ugualmente improbabile che Aristide, nel pre-
sentarlo, adotti le stesse modalità di un teorico della musica del V sec.
a. C. Il linguaggio col quale le harmoniai sono descritte da Aristide è
inconfondibilmente aristossenico, ed è difficile che una simile descri-
zione sia anteriore al tardo IV sec. a. C. È dunque possibile che la fonte
alla quale Aristide, direttamente o indirettamente, attinge, sia un’opera
di Aristosseno stesso. Sappiamo che Aristosseno nutrì un serio interes-
se per la musica dei tempi antichi, e la ammirava profondamente10; e le
sue opere comprendevano certamente analisi di alcune harmoniai che
egli riteneva essere molto antiche11.
Molti indizi, dunque, confortano l’opinione che l’esposizione di
Aristide tragga origine da un’opera perduta di Aristosseno, an-
che se non è possibile fornire una prova definitiva12. Non conosciamo
nessun altro autore antico che abbia prodotto, in questo campo, altret-
tante analisi storiche e tecniche; e l’ipotesi è resa ancora più verosimile
dal fatto che l’esposizione di Aristide, nel capitolo 9 del libro I del suo
De musica, è inserita in una sezione (capitoli 6-11) il cui contenuto pro-
viene quasi interamente da fonti aristosseniche. Il brano che ci interes-

9
Quest’ipotesi potrebbe spiegare la circospezione di Aristide nel riferirsi a
Damone in un passo successivo (80, 25-81, 3 W.-I.), nel quale dice che le informa-
zioni di cui dispone a proposito delle «harmoniai analizzate da Damone» non gli
vengono direttamente da lui, ma dai suoi seguaci (hoi peri Damōna): vd. WALLACE
1991, pp. 43-44.
10
Vd. per esempio Aristox. El. harm. 23, 3-23 (29, 14-30, 8 Da Rios).
11
Due esempi sono parafrasati nel De musica pseudoplutarcheo: 1134F-1135B
(Aristox. fr. 83 Wehrli); 1137B-E.
12
La fonte può essere stata l’opera o le opere citate da Ps. Plut. De mus. 1136C
e 1136E, oppure il trattato Sulla composizione melodica citato da Porph. in Ptol.
Harm. 125, 24 Düring, o ancora lo studio delle opinioni dei più antichi teorici della
musica ai quali lo stesso Aristosseno si riferisce in El. harm. 2, 29-30 (7, 2-3 Da Rios).
Damone e i sofisti 69

sa (15, 21-18, 4 W.-I.) deriva direttamente da una presentazione dei tre


gereri armonici, chiaramente basata sull’opera di Aristosseno.
Se le cose stanno così, sorgono due domande cruciali: per quali
vie la dottrina sulle harmoniai sia giunta da Damone (V sec. a. C.) ad
Aristosseno (seconda metà del IV); e quale sia stata la sua formulazio-
ne originaria. Purtroppo, a nessuna delle due si può dare una risposta
compiuta. È molto inverosimile che Damone, o qualcuno dei suoi se-
guaci (hoi peri Damōna)13, abbia esposto le sue analisi in termini mate-
matici di matrice pitagorica (e del resto lo stesso Aristosseno era certa-
mente in grado di ‘tradurre’, approssimativamente, spiegazioni di que-
sto tipo nel proprio orizzonte terminologico), sia perché non ci sono
prove sufficienti per collegare Damone con i Pitagorici, sia perché, nel
V sec. a. C., i loro metodi di analisi non erano stati ancora adeguata-
mente sviluppati per poter rappresentare sistemi così complessi e irre-
golari come questi. È più plausibile congetturare che quelle analisi sia-
no giunte ad Aristosseno sotto forma di d ia g r a mmi , nei quali i pun-
ti di confine tra gli intervalli venivano rappresentati su di una linea, e
il cui uso Aristosseno stesso, negli Elementa harmonica, attribuisce più
di una volta ad alcuni dei suoi predecessori14. Non sappiamo se Damo-
ne avesse elaborato egli stesso diagrammi di questo tipo15, ma la loro
esistenza fa pensare a essi come a uno strumento possibile, e poten-
zialmente affidabile, grazie al quale le analisi di Damone potevano es-
sere state conservate e trasmesse.
Come alcuni studiosi hanno ormai dimostrato, nell’esposizione di
Aristide esistono certamente delle imprecisioni, anche senza considera-
re le distorsioni che la ‘traduzione’ della dottrina originaria in linguag-
gio aristossenico può avervi determinato16. Tenuto debitamente conto
di ciò, penso tuttavia che siamo autorizzati a considerarla come una
descrizione abbastanza accettabile delle harmoniai studiate da Damone
e introdotte da Platone nel Lachete e nella Repubblica. Questa convin-
zione è ulteriormente sostenuta da una mia precedente osservazione.
Le nostre ricerche su questi dialoghi sono giunte alla conclusione che
Platone seguiva una teoria che divideva ogni accordatura in due parti,

13
Sui rapporti tra Damone e hoi peri Damona vd. WALLACE 1991 e 1995.
14
Aristox. El. harm. 2, 12-15; 7, 32; 28, 1 (6, 9-12; 12, 15; 36, 2 Da Rios); cf.
BARKER 1978.
15
Stando a una testimonianza di Fainia di Ereso (fr. 32 Wehrli), il primo a usare
questi diagrammi nella pratica didattica fu Stratonico, all’inizio del IV sec. a. C.
16
Per una discussione più ampia dell’argomento, vd. WINNIGTON-INGRAM 1936,
pp. 22-30; WEST 1981, pp. 117-119; BARKER 1984, pp. 165-168. Il passo è tradotto in
inglese, con brevi note, in BARKER 1989, pp. 419-420.
70 Teoria musicale prima della Repubblica di Platone

ma che attribuiva anche un particolare rilievo agli effetti emozionali e


al significato etico dei r ap p o r t i intercorrenti tra queste due parti. Il
fatto che questi rapporti differiscano sensibilmente a seconda delle di-
verse harmoniai descritte da Aristide è una delle loro caratteristiche più
importanti e singolari, e potrebbe aiutare a spiegare perché Platone fosse
particolarmente attento a quest’aspetto, comune alla struttura delle
harmoniai e a quella dell’anima. Qualcosa di simile si può dire dell’ana-
lisi dei ritmi attribuita a Damone nella Repubblica: anche qui, le strut-
ture ritmiche sono distinte in due parti, un “sopra” e un “sotto”, anō
e katō, e sembra che anche qui una certa importanza venga assegnata
ai rapporti tra le due parti (400b6-7).
Sarebbe però molto imprudente ritenere che anche le valutazio-
ni delle harmoniai date da Lachete e da Socrate siano prese in prestito
da Damone stesso, e in particolare ritenere che Damone le abbia for-
mulate per primo, rifiutando tutte le forme di accordatura da lui ana-
lizzate, tranne una o due. Ho già detto che ai suoi danarosi clienti
Damone offriva istruzione musicologica come una risorsa da poter
impiegare per qualunque proposito politico avessero intenzione di per-
seguire, proprio come le abilità retoriche insegnate dagli altri sofisti.
L’uso che Socrate fa delle dottrine di Damone è soltanto uno dei molti
possibili modi di dare a esse pratica applicazione in un contesto socia-
le. Con questa interpretazione sembrano accordarsi bene due testi di
autori tardi; e per quanto le loro testimonianze debbano essere trattate
con cautela, di nessuno di essi si può sospettare che sia basato sul dia-
logo letterario del tardo IV sec. a. C. che ho ricordato più sopra17. Nel
De musica pseudoplutarcheo (1136E) si dice che l’harmonia lidia “ri-
lassata”, epaneimenē, era invenzione di Damone; deve trattarsi della stes-
sa harmonia che, nella Repubblica, viene chiamata “allentata”, chalara,
e viene rifiutata da Socrate. Proclo, nel suo commento alla Repubblica,
descrive l’intero insieme di harmoniai lì menzionato come «quelle in-
segnate da Damone» (1, 61, 19 Kroll). Nessuna delle due testimonian-
ze avvalora l’idea che Damone fosse interessato, come Platone, alla ‘pu-
rificazione’ etica del repertorio musicale e all’eliminazione da esso di
elementi non edificanti. Entrambe indicano però che Damone forniva
i stru zio n i su l l’ an alis i d i s t r u t t u r e mus i c a l i (ha r mo ni a i) di
ogni tipo. Stando al De musica pseudoplutarcheo, egli stesso ne avreb-
be ideata una. Forse non dovremmo tanto interpretare quest’informa-
zione nel senso che si tratti di un’invenzione sua a stretto rigore di ter-
mini, quanto piuttosto nel senso che Damone introdusse una nuova

17
Vd. p. 65, con nota 4.
Damone e i sofisti 71

necessaria distinzione tra schemi di accordatura strettamente corrispon-


denti, che erano già in uso nella pratica musicale contemporanea. L’opera
di Damone, o, in qualche caso, dei suoi seguaci, fu importante e origi-
nale perché fornì, per la prima volta, a quanto sappiamo, precise de-
scrizioni tecn ic h e delle strutture sulle quali la musica del tempo era
basata, e perché, nel mettere ogni struttura in rapporto con specifiche
caratteristiche et ich e ed es t et ich e, ridusse a un ordine sistematico
e comprensibile le descrizioni vaghe e le associazioni casuali che si tro-
vano nella tradizione poetica precedente. Se Platone se ne servì per una
crociata morale, non c’è ragione per supporre che anche Damone fa-
cesse lo stesso.
Nella psicomusicologia della Repubblica convergono anche alcuni
altri importanti elementi, che non è possibile legittimamente attribuire
a Damone. Non ci sono buone ragioni per ascrivere a lui né una teoria
della mimesi musicale, né l’analisi dell’anima sulla quale è in parte ba-
sata la discussione di Socrate18. È vero che Ateneo attribuisce ai «se-
guaci di Damone di Atene» la tesi che canti e danze hanno origine da
un movimento dell’anima e che il carattere dell’anima è riflesso in quello
della musica che la ispira (Deipn. XIV 628c). Ma anche se questo testo
fosse una testimonianza attendibile sulle teorie di Damone, la connes-
sione che vi si fa tra la musica e i movimenti psichici non ricompare
poi nella Repubblica. Infatti le idee che Ateneo presenta come damo-
niane sembrano risalire più verosimilmente al IV sec. a. C. che non al
V, e possono certo derivare dal dialogo al quale ho fatto prima riferi-
mento; e i movimenti che hanno luogo all’interno dell’anima hanno una
funzione significativa in altre speculazioni musicologiche postplatoni-
che, che studieremo nei capitoli V e VII. Stando alle nostre fonti mi-
gliori, incluso tutto il materiale sull’argomento contenuto nella Repub-
blica e nel Lachete, l’interesse di Damone riguardava l’influen-
za d ella mu si ca s u l m o d o d i v it a d eg l i i ndi v i dui i n c onte -
s ti so ciali e po lit ici, e le s u e t eo r ie non c ompor ta v a no r i -
f erimen ti all’ in t im o d ell’ an im a, o al l ’‘i o’. Abbiamo visto che
ciò vale anche per il Protagora, il che suggerisce l’ipotesi che anche le
affermazioni che sono contenute lì, per quanto semplici esse siano,
possono essere connesse con l’opera di Damone. La tesi che l’educa-
zione musicale può aiutare a produrre buoni cittadini ha chiare affinità
con le idee di Damone; e nonostante quanto ho detto prima, Protago-
ra non fa un puro e semplice elenco di pratiche educative tradizionali.
Da quanto dice emergono invece alcuni presupposti che stanno alla base

18
Vd. in particolare ELSE 1958.
72 Teoria musicale prima della Repubblica di Platone

di queste pratiche, e che implicano un certo grado di riflessione teori-


ca. Il rilievo dato da Protagora agli aspetti strutturali della musica è
anch’esso tipicamente damoniano; e le sue considerazioni, come abbia-
mo visto, sono strettamente connesse, per il loro uso di metafore e per
alcuni aspetti del loro vocabolario, al Lachete e alla Repubblica. Il filo
che lega insieme tutti questi passi è lo stesso che li lega a Damone, e
non c’è ragione per sospettare che nei discorsi di Protagora e di La-
chete Platone abbia incorporato idee provenienti da qualche altra fon-
te. Possiamo essere certi, tuttavia, che a innestare nel ceppo della mu-
sicologia damoniana l ’ a n a l i s i d e l l ’ a n i m a e l a d o t t r i n a d e l l a
mimesi mu sic ale contenute nella Repubblica fu Platone stesso. Se
gli fossero state suggerite da idee che già circolavano nel V sec., dob-
biamo cercarne la fonte altrove.
Prima di accingerci a quest’indagine, che prenderà le mosse, nel
prossimo capitolo, dall’esame del discorso di Erissimaco nel Simposio,
dobbiamo considerare i problemi sollevati dalla teoria dell’anima che
Simmia propone nel Fedone (85e-86d), e dalla risposta di Socrate. Sim-
mia trova difficoltà nell’accettare gli argomenti portati da Socrate a so-
stegno della tesi che l’anima è immortale, e nota che molti dei tratti
che Socrate attribuisce all’anima, distinguendola dal corpo e incorag-
giando a credere nella sua immortalità, possono essere attribuiti altret-
tanto bene all’accordatura di uno strumento musicale, come la lira.
Un’harmonia musicale, come l’anima, è «qualcosa di invisibile, incor-
poreo, bellissimo e divino», mentre la lira, e le corde alle quali l’accor-
datura viene data – dice Simmia – sono «corpi e di forma corporea,
compositi, terreni e affini a ciò che è mortale» (85e3-86a3). Simmia
sostiene anche che sarebbe certamente ridicolo, sulla base del fatto che
gli attributi dell’ harmonia non sono quelli delle cose mortali e corpo-
ree, affermare, come Socrate fa in relazione al corpo e all’anima, che
quando una lira si spezza e le corde si rompono l’harmonia debba
continuare a esistere (86a3-b5). E allora, perché non supporre che l’ani-
ma, ciò che ci dà vita, sia un’accordatura degli elementi di cui è com-
posto il corpo? Ma in questo caso l’anima può continuare a esistere
solo fino a quando la ‘tensione’ tra questi elementi non è allentata o
accresciuta oltre misura. Quando ciò accade, non c’è harmonia, e dun-
que non c’è anima; l’anima cessa di esistere nello stesso momento in
cui il corpo muore, proprio come l’accordatura non sopravvive alla
distruzione di uno strumento musicale o delle sue corde (86b5-d1).
Qui, per la prima volta in Platone, abbiamo una teoria sulla natu-
ra dell’anima espressa in termini musicali. Mettendola in bocca a Sim-
mia, Platone fa chiaramente intendere che era stata elaborata dai Pita-
Damone e i sofisti 73

gorici, o che almeno era ben accolta tra i membri di quella scuola. È
certamente difficile rendere la proposta di Simmia coerente con la fa-
mosa dottrina pitagorica della trasmigrazione delle anime. Essa si adat-
ta bene, tuttavia, con le idee cosmologiche del pitagorico Filolao19, e
con la teoria attribuita ai Pitagorici da Aristotele, secondo la quale «tutto
l’universo è harmonia e numero» (Met. 986a). Se l’insieme ordinato
dell’intero universo è un’harmonia, o è integrato e unificato grazie all’
‘accordatura’ delle sue parti l’una con l’altra, non dovrebbe sorprende-
re che il ‘microcosmo’ di un essere vivente fosse talvolta concepito in
modo simile. Poche righe prima, Aristotele afferma infatti che i Pita-
gorici consideravano l’anima come «una particolare modificazione (pa-
thos) di numeri», espressione che probabilmente significa che l’anima,
come un’harmonia, è costituita dal rapporto, o da un complesso di
rapporti, tra aspetti quantificabili dell’essere vivente. Al tempo in cui
Platone scriveva il Fedone, il Pitagorismo esisteva già da più di un se-
colo, ed era una tradizione ramificata in pieno sviluppo, non un corpo
dottrinale unico e uniforme. Il fatto che la teoria di Simmia non sem-
bra compatibile con la dottrina della trasmigrazione non deve impedir-
ci di collocarle entrambe all’interno del complesso di idee note come
‘pitagoriche’ al tempo di Platone, anche se nessuna di esse deve essere
ritenuta proprietà esclusiva di quella tradizione, e nessuna, con tutta
probabilità, era stata originariamente concepita da Pitagora o dai suoi
seguaci.
Della lunga replica di Socrate a Simmia (91c-95a) soltanto una parte
ci riguarda qui (93a-94b). L’argomentazione di Socrate comincia dal
momento in cui i due si accordano sul fatto che nessuna anima è ani-
ma a maggior titolo di un’altra; questo sembra abbastanza ovvio. Ana-
logamente, nessuna accordatura è più o meno accordatura di un’altra:
un insieme di relazioni musicali o è un’accordatura o non lo è, e non
c’è altra possibilità. Socrate fa un’affermazione analoga nel libro I della
Repubblica (349e10-13): se uno strumento è stato correttamente accor-
dato, è assurdo per chiunque cercare di accordarlo ancora di più. Dun-
que, se l’anima è un’accordatura, nessun’anima possiede accordatura,
harmonia, o mancanza di accordatura, anarmostia, in grado maggiore
delle altre. Ora, l’eccellenza di un’anima è la virtù, e l’eccellenza di un
insieme di relazioni musicali è la loro reciproca accordatura. Donde,
nella teoria di Simmia, la virtù in un’anima consisterà in harmonia, e il
vizio in anarmostia. Ma in questo caso è impossibile comprendere come
un’anima possa possedere più virtù o più vizio di un’altra, dal momen-

19
Vd. 44 B 6 D.-K., e, per una discussione, HUFFMAN 1993.
74 Teoria musicale prima della Repubblica di Platone

to che non può possedere più harmonia o più anarmostia. In realtà, se


è harmonia, ossia anima, non può essere affatto anarmostos. Ne discende
che nessun’anima può possedere qualche malvagità o vizio; tutte le
anime sono buone alla stessa maniera. Simmia e Socrate concordano
che questa conclusione è assurda, e che perciò la teoria dell’anima come
harmonia deve essere abbandonata.
Se Platone era convinto di quest’argomento quando scriveva il
Fedone, era ovviamente obbligato a rifiutare la teoria di Simmia. Ma
l’argomento ha anche un’altra conseguenza, visto che il suo procedere
conduce, oltre che a conclusioni che riguardano l’anima, anche a con-
clusioni che riguardano l’accordatura di uno strumento. La bontà di
un’accordatura consiste interamente nella sua harmonia; la non bontà,
in questo contesto, può essere soltanto anarmostia. Ma nessuna har-
monia può contenere anarmostia, e secondo la stessa logica che Socra-
te applica all’anima, nessuna harmonia può essere migliore o peggiore
di nessun’altra. Nessuna può contenere tracce di malvagità, se appunto
è un’accordatura, e dunque o g n i acco r d at ur a mus i c a l e è ug ua l -
men te b u o n a.
Questa conclusione non darebbe fastidio a un teorico come Da-
mone, se la mia interpretazione della sua dottrina è corretta. Ma sem-
bra avere conseguenze devastanti per gli usi delle sue teorie da parte di
Lachete e del Socrate della Repubblica, dal momento che entrambi as-
segnano valori diversi a diverse harmoniai, e Socrate ne considera al-
cune inequivocabilmente c a t t i v e . A questo punto, però, possiamo
mettere da parte il Lachete, perché in questo dialogo giovanile Platone
non aveva ragioni particolari per garantire che la posizione adottata dal
suo personaggio fosse logicamente ineccepibile, e in ogni caso il La-
chete era stato scritto molti anni prima del Fedone. Con la Repubblica
le cose stanno diversamente. È ragionevole supporre che Platone non
avrebbe attribuito al Socrate della Repubblica una tesi che sapeva filo-
soficamente debole. Possiamo anche essere certi che il problema solle-
vato nel Fedone non era di quelli che avevano attirato la sua attenzione
soltanto per un momento ed erano stati poi dimenticati, visto che ha
chiare ripercussioni anche nel Simposio, come vedremo nel prossimo
capitolo. Ci deve dunque essere, nella trattazione dell’argomento così
come la troviamo nella Repubblica, qualche elemento che supera – in
modo per Platone soddisfacente – la difficoltà posta in evidenza dal
Fedone. Tenteremo di individuare questo elemento e le sue origini dopo
aver esaminato, nel prossimo capitolo, il discorso di Erissimaco conte-
nuto nel Simposio.
Damone e i sofisti 75

IV
LA TRADIZIONE MEDICA

Nel Simposio di Platone gli invitati alla festa di Agatone pronun-


ziano una serie di lunghi discorsi sull’amore. Erissimaco, uno degli
ospiti, è medico, e dice di aver imparato dai suoi studi scientifici che
l’amore è la forza che guida la condotta di tutte le cose nell’universo,
e non soltanto il comportamento degli esseri umani innamorati. Ripren-
dendo la tesi di Pausania, che aveva parlato prima di lui, anche Erissi-
maco distingue due tipi di amore, quello buono e quello cattivo. Le
malattie, per esempio, si determinano quando le parti del corpo sono
infettate dall’amore cattivo, ossia dalla brama di ciò che reca danno alla
salute. La medicina consiste nel trovare modi per soddisfare gli impul-
si delle parti sane del corpo, e per contrastare gli impulsi delle parti
malate. Un buon medico, da scienziato quale è, deve conoscere molto
bene quelli che Erissimaco chiama «gli impulsi amorosi (ta erōtika) del
corpo a riempirsi e a svuotarsi» (186c6-7), e deve essere in grado di
distinguere l’amore buono da quello cattivo. Praticamente, il buon
medico, come un buon artigiano (dēmiourgos), deve essere capace di
trasformare l’amore cattivo in amore buono, e di infondere amore vi-
cendevole in elementi naturalmente ostili l’uno all’altro – freddo e cal-
do, amaro e dolce, secco e umido e così via (186b4-e3).
La musica, continua Erissimaco, è del tutto analoga alla medicina
(187a1-c5). Citando Eraclìto, che critica perché si esprime in modo
fuorviante, Erissimaco sviluppa l’idea che scopo del musicista, come
anche del medico, è di portare all’amore e all’accordo vicendevoli ele-
menti inizialmente opposti fra loro. Suoni acuti e suoni gravi si trova-
no dapprima in reciproco disaccordo, come gli elementi lenti e quelli
veloci del ritmo. L’arte della musica crea harmonia tra acuto e grave,
riconciliando fattori precedentemente ostili (187a1-b4)1. Harmonia, dice

1
L’insistenza di Erissimaco sul fatto che harmonia è il risultato di un processo
che avviene nel tempo, a partire da una situazione nella quale gli elementi sono re-
76 Teoria musicale prima della Repubblica di Platone

Erissimaco, è concordia, symphōnia, e symphōnia è homologia tis «una


sorta di intesa» (187b4-5). E prosegue: «Come in quel caso era la me-
dicina a produrre intesa tra gli elementi, così in questo caso è la musi-
ca, che instilla amore e consenso reciproco; e anche la musica è, a sua
volta, scienza di impulsi amorosi, erōtika, riguardo all’harmonia e al
ritmo» (187c2-5). Quest’ultima frase corrisponde esattamente alla pre-
cedente definizione della medicina come «scienza degli impulsi amoro-
si al riempimento e allo svuotamento» (186c6-7).
Prima di passare alla parte successiva del discorso di Erissimaco,
fermiamoci a considerare quanto ha detto fin qui. Vorrei evidenziare
tre punti. Primo: la musica, come la medicina, non è solo un sapere
pratico , una technē, esercitata da artigiani, dēmiourgoi (187b2, e, poi,
d4), ma è anche un sapere s cien t if ico , epistēmē (187c5); e il successo
di un artigiano-musicista dipende dalla padronanza scientifica dei prin-
cipi fondamentali del suo specifico campo di conoscenze. Secondo: l’og-
getto di conoscenza del musicista è ta erōtika, “l’erotica”, o “gli im-
pulsi amorosi”, in rapporto all’accordatura (harmonia) e al ritmo (187c4-
5). Qui il dato fondamentale è che, tra l’amore che lega insieme gli
elementi del ritmo o dell’harmonia, determinandone il vicendevole ac-
cordo, e l’amore che integra i diversi elementi di un corpo sano, non
c’è semplice analogia, ma identità: in entrambi i casi, infatti, è attivo lo
stesso identico principio unificante. E dovunque, nel cosmo, si trovino
insiemi ben organizzati e armonizzati di elementi diversi, è questa stessa
forza che, in realtà, dà vita alla loro integrazione (186a3-7, 187e6-188d3).
La “concordia” o “intesa” fra le note, che caratterizza uno schema
musicale organicamente strutturato (harmonia), e che lo distingue da
una serie casuale di suoni disparati, è appunto una manifestazione par-
ticolare di un potere o principio la cui portata è uni v e r s a l e : la spe-
cifica conoscenza che sta alla base dell’abilità del musicista è concepita
insomma come un aspetto della physiologia, “scienza naturale” o “co-
smologia”, e viene così assimilata a un ambiente intellettuale molto

ciprocamente ‘ostili’ (187a8-c4), può, a prima vista, lasciare perplessi, ma in realtà si


spiega benissimo. Nella concezione di Erissimaco, l’immagine del musicista scienzia-
to si accompagna a quella del musicista artigiano, ed è quest’ultima che qui si riflet-
te. Erissimaco pensa qui a un musicista che si mette ad accordare uno strumento:
all’inizio, le corde producono suoni di altezza differente, alcuni più alti e altri più
bassi, ma l’accordatura complessiva dello strumento non è strutturalmente integrata
in uno schema coerente. In questa fase, i suoni cozzano l’uno contro l’altro; ed è
solo il lavoro artigianale del musicista che li porta al reciproco accordo. Le conside-
razioni di Erissimaco, se intese come un tentativo di interpretare l’affermazione di
Eraclìto dalla quale il suo discorso prende le mosse, risultano fuorvianti; ma sono
senz’altro efficaci a spiegare la genesi di harmonia in uno schema musicale che or-
mai conosciamo bene.
La tradizione medica 77

diverso da quello al quale appartiene l’opera di Damone. Il terzo ele-


mento della teoria di Erissimaco che voglio mettere in risalto è quello
che potremmo chiamare il suo “ d u alis m o oppos i z i ona l e ” . Tutti
gli elementi che vengono integrati dall’amore rientrano in coppie di
opposti, caldo e freddo, umido e secco, acuto e grave, veloce e lento e
così via. Prima che l’amore abbia iniziato ad agire su di essi, gli ele-
menti di ogni coppia non sono soltanto opposti per qualità, ma sono
anche del tutto ostili gli uni agli altri, echthista: e mentre sono ancora
in contrasto, diapheromena, nessun accordo tra loro è possibile (186d5-
e3; 187a4-b6). Finanche l’amore è concepito dualisticamente, come una
coppia di forze piuttosto che come una sola: una induce gli elementi a
combinarsi tra loro in modo stabile e buono, mentre l’altra li attrae
verso oggetti che possono mettere in pericolo l’armonia stessa del tut-
to (186b-c).
E veniamo ora alla parte del discorso di Erissimaco che più diret-
tamente si collega con il nostro argomento:

Nella costituzione stessa (en autēi tēi systasei) dell’harmonia e del rit-
mo non è per nulla difficile distinguere ta erōtika, né d’altra parte vi
si trova un duplice erōs. Ma quando ritmo e harmonia si debbano usare
per gli uomini, o componendo – attività che chiamano “composizione
melodica” – o usando correttamente melodie e strutture metriche già
composte – attività che è stata chiamata “educazione” –, allora sì che
il compito è difficile, e richiede un artefice valente. E qui ritorna il
medesimo discorso (i. e. quello già fatto in relazione alla medicina):
bisogna compiacere gli individui temperanti (kosmioi) anche per far
diventare più temperanti quelli che ancora non lo sono, e custodire il
loro erōs, che è quello nobile e celeste della musa Urania. Quello della
musa Polinnia è invece volgare, e va offerto con cautela a coloro ai
quali si decide di offrirlo, sicché possa produrre il suo piacevole frut-
to senza ingenerare incontinenza (akolasia); e così anche nella nostra
arte è molto importante disciplinare attentamente i desideri stimolati
dall’arte culinaria, in modo tale che se ne possano godere i piaceri senza
ammalarsi. Come in musica, così anche in medicina e in tutte le altre
arti, umane e divine, si deve cercare, per quanto è possibile, di coglie-
re entrambe le forme di amore, visto che entrambe sono presenti in
tutte le cose (187c5-188a1).

La prima affermazione di Erissimaco è sorprendente: il compito


di distinguere, discernere, diagignōskein, gli impulsi dell’amore (ta
erōtika) «nella costituzione stessa dell’harmonia e del ritmo» è assai fa-
cile, e in questa fase non è coinvolto nessun «duplice erōs». Si parla
qui, evidentemente, dell’aspetto ‘scientifico’ della competenza musica-
le, distinto dall’abilità ‘pratica’ di cui si parla nel seguito; e ciò è posto
78 Teoria musicale prima della Repubblica di Platone

in evidenza dall’uso del verbo diagignōskein, che ricorre anche nel pas-
so in cui si delinea un’analoga distinzione nel campo della medicina
(186c7). Con l’espressione «costituzione stessa dell’harmonia e del rit-
mo» Erissimaco intende riferirsi, con tutta probabilità, alle strutture dei
ritmi e delle harmoniai considerate semplicemente in se stesse, astraen-
do da ogni esempio concreto del loro impiego nella pratica musicale.
Gli «impulsi amorosi», ta erōtika, che il musicista scienziato distingue
in queste strutture, debbono essere le forze o gli impulsi che uniscono
in mutua amicizia gli elementi di una struttura musicale; parlando in
termini più astratti, si tratta dei principi grazie ai quali gli elementi si
integrano a formare un tutto ben connesso. Se pensiamo che la ricerca
di questi principi ha impegnato i teorici della musica per secoli, appare
straordinario che Erissimaco dica qui che sono fa c i l i da individuare.
E appare egualmente straordinario che Erissimaco aggiunga, a mo’ di
spiegazione, che in queste strutture stesse non sia attivo un «duplice
erōs». Se ne deduce che l’amore che le tiene insieme è sempre di tipo
‘ bu o n o ’ o ‘celes t e’ , e che non è mai coinvolto l’altro tipo di amo-
re. Perché Erissimaco dovrebbe abbandonare qui la sua strada per far
risaltare una sorprendente eccezione alla sua tesi di fondo, che cioè
entrambi i tipi di amore sono attivi in ogni caso e in ogni campo?
È abbastanza agevole riesporre il suo pensiero in termini più espli-
citi: in sostanza, quando una serie di note forma un’harmonia, nei rap-
porti che la configurano e nei princìpi che presiedono alla sua forma-
zione non possono assolutamente esserci scorrettezze o difetti. Se è
correttamente integrata e musicalmente strutturata, la serie di note è
un’harmonia, altrimenti non lo è. Ne discende che non può e s i s te -
re una struttura autenticamente musicale che allo stesso
t emp o sia fo r m at a in m o d o s co r r et t o o e r r one o. A questa
stessa conclusione conduceva il discorso di Socrate nel passo del Fedo-
ne che ho illustrato nel capitolo III. Ma l’affermazione di Erissimaco,
che Platone fa pronunziare al suo personaggio proprio in un punto in
cui appare pressoché inconciliabile con la teoria di fondo che gli aveva
appena fatto esporre, assume proprio per questo un’evidenza tutta par-
ticolare: segno che il filosofo era ancora seriamente impegnato con i
problemi che essa pone. Potremmo chiederci perché abbia scelto di
riproporla in questa particolare sezione del dialogo, nel contesto di un
discorso pronunziato da uno specialista di medicina. Penso che a que-
sta domanda si può trovare una risposta, e ci ritorneremo più avanti.
Secondo Erissimaco, la distinzione tra i due tipi di amore entra
nuovamente in gioco quando ritmo e harmonia vengono usati dal
musicista ‘artigiano’, sia nella creazione delle proprie composizioni, sia
La tradizione medica 79

nell’esecuzione che ne dà in pubblico. (Quando dice che una tale ese-


cuzione viene chiamata paideia, “educazione”, non è chiaro se intenda
che tu tte le esecuzioni musicali sono ‘educative’ nel senso che tutte
influenzano in qualche modo le disposizioni degli ascoltatori, o se in-
tenda riferirsi so lt an t o alle esecuzioni deliberatamente impiegate con
finalità educative. Per fortuna, si tratta di un problema che non dob-
biamo risolvere qui). La musica che ispira il tipo ‘celeste’ di amore può
essere usata per assecondare e compiacere i gusti di individui kosmioi,
“temperanti, interiormente ordinati”, per preservare il loro impulso
amoroso, e per rendere più temperante il carattere di quegli individui
che non lo sono ancora. Questo ricorda l’ ‘educazione’ descritta da
Protagora e, come per Protagora, implica che l’esposizione a musica
buona non soltanto migliori i gusti musicali degli individui, ma che,
più in generale, ne i n f l u e n z i il carattere. È questo che li rende
kosmiōteroi, «più ordinati interiormente». La teoria di Erissimaco sug-
gerisce inoltre una spiegazione per questi effetti etici: e infatti l’amore
che spinge gli individui verso la musica buona è appunto una manife-
stazione dello st es s o id en t ico im p u ls o che li spinge verso le cose
buone di altro tipo.
Gli stessi elementi, ritmo e harmonia, irreprensibili in se stessi,
possono tuttavia essere impiegati per comporre brani musicali che ri-
svegliano l’altro t ip o d i am o r e; e anche se questo tipo di musica
non è palesemente scorretto, è certamente pericoloso, perciò la sua frui-
zione deve essere sorvegliata accuratamente, eulaboumenon (187e1-2).
È musica che dà piacere, ed Erissimaco, sotto questo aspetto, non tro-
va niente da ridire; ma, se eseguita e ascoltata indiscriminatamente,
genera akolasia, uno smodato desiderio di piacere, che è tanto dannoso
per il nostro benessere etico quanto – per così dire – uno smodato
desiderio di dolci al cioccolato è dannoso per la nostra salute fisica.
Erissimaco non spiega in che modo diverse combinazioni di ele-
menti assolutamente mirabili come l’harmonia e il ritmo, possano dare
origine a composti così pericolosi. Forse pensa a come gli ingredienti
delle pietanze o i costituenti dei medicinali, non nocivi in se stessi,
possono essere rischiosi quando vengono mescolati secondo determi-
nati procedimenti (cf. 187e3-6). Erissimaco non dice nulla neppure sulle
caratteristiche dei due tipi di musica, probabilmente perché la distin-
zione sarebbe sembrata ovvia a chiunque. Le contrapposizioni tra gli
stili musicali solenni, semplici e nobili, solitamente associati a un’anti-
ca tradizione, e la musica in voga dei compositori contemporanei, com-
plicata e artefatta ma nel contempo tesa ad allettare i gusti del pubbli-
co, sono comuni in questo periodo: basti pensare al confronto tra Eschi-
80 Teoria musicale prima della Repubblica di Platone

lo ed Euripide nelle Rane di Aristofane. Il punto importante, per quanto


ci riguarda, è che Erissimaco tiene d is t in te le diverse caratteristiche
etiche dei brani musicali dai diversi modelli tecnico-strutturali – har-
moniai e ritmi – sui quali quei brani sono basati. Le affinità delle mu-
siche con gli impulsi edificanti dell’amore celeste o con quelli degra-
danti dell’amore volgare non derivano da caratteristiche proprie delle
loro strutture basilari, ma si manifestano soltanto al livello del pro-
c esso co mp o s it iv o e, p o i, d ell’ es ecu z i one . In questa prospet-
tiva, si può continuare tranquillamente a professare la tesi che la musi-
ca è in grado di influenzare gli individui in bene o in male, senza che
l’argomentazione svolta da Socrate nel Fedone ne pregiudichi l’attendi-
bilità. Va notato tuttavia che Platone non adotta questa soluzione nella
Repubblica, dove sono p r ecis am en t e i fa ttor i s tr uttur a l i della
musica, ossia le forme ritmiche e i modelli di accordatura a essere i n
s e stessi buoni o cattivi, e a influenzare l’anima in modo benefico o
nocivo.
Un altro punto della teoria di Erissimaco merita attenzione. Il
complesso problema della distinzione tra i due tipi di musica riguarda
in primo luogo la composizione; ma va evidentemente considerato anche
in rapporto con l’esecuzione in pubblico (187c8-d4). Questo può sem-
brare strano. Si sarebbe potuto supporre che le composizioni edificanti
rimanessero tali nell’esecuzione, e che quelle piacevoli ma pericolose
avrebbero mantenuto le loro caratteristiche anche quando fossero state
eseguite. Ciò che Erissimaco intende dire, a mio parere, è che anche se
sappiamo quali siano le composizioni di tipo ‘celeste’ e quelle di tipo
‘volgare’, questa nostra conoscenza non basta a dirci se esse debbano e
possano essere eseguite, e quando, e per chi. Con la musica di tipo ‘ce-
leste’ sembra non esserci alcuna difficoltà, perché i suoi effetti non sono
mai dannosi. Ma quando cerchiamo di decidere se consentire agli indi-
vidui il piacere della musica ‘volgare’, dobbiamo considerare non sol-
tanto il carattere della musica in se stesso, ma anche il carattere e le
condizioni d e l l ’ a s c o l t a t o r e (187d4-e3). Le conoscenze in materia
alimentare e farmacologica sono inutili al medico che non sia ancora in
grado di diagnosticare le condizioni di ogni singolo paziente, e di pre-
vedere gli effetti che la terapia da lui prescritta avrà sul soggetto che si
trova a curare. Allo stesso modo, una composizione che suscita emo-
zioni ‘volgari’ può non essere dannosa per un individuo dotato di un
carattere forte e stabile, e può dargli soltanto un innocente divertimen-
to; personalità più fragili, invece, possono essere condotte da quella
stessa musica alla depravazione, e altri ancora possono fruirne senza
rischi solo se non ne abbiano in precedenza abusato. Da questo punto
La tradizione medica 81

di vista, sarebbe assurdo fissare, p er t u t t e l e c omuni tà , regole ri-


gide che definiscano quali siano le musiche accettabili e quali no. Nel-
l’educazione musicale, come nella medicina, le prescrizioni devono es-
sere commisurate ai bisogni di ciascun individuo. Anche per questo
aspetto, l’approccio di Erissimaco è molto diverso da quello della Re-
pubblica, e anche da quello di Damone, che mirava tra l’altro alla ma-
nipolazione della polis nel suo complesso.
In diversi aspetti importanti, dunque, la teoria di Erissimaco di-
verge fortemente da tutte quelle che abbiamo finora portato alla luce
nel Lachete, nel Protagora o nella Repubblica, e lo stesso vale per il
linguaggio in cui è espressa e per il contesto culturale al quale appar-
tiene: appare molto più strettamente legata alla scienza naturale e alla
cosmologia dei Presocratici che non al mondo della politica e alle dot-
trine dei sofisti. I debiti con la tradizione presocratica sono chiari, non
solo per l’esplicito riferimento a Eraclìto (187a3-6), ma anche per il
tentativo di collegare i fenomeni umani a quelli naturali in una visione
generale del cosmo, per l’insistita distinzione di questi fenomeni in
coppie di elementi opposti (caldo e freddo, secco e umido, acuto e grave
e così via), e per la riduzione delle forze che agiscono su questi ele-
menti a un’unica coppia di impulsi contrastanti. I due tipi di amore
descritti da Erissimaco sono strettamente collegati con le due principa-
li energie attive nella cosmologia di Empedocle: l’amore, che riunisce
le cose in un’unità armoniosa, e la contesa, la lotta, eris o neikos, che
distrugge la loro unità e le disperde in frammenti separati. Come nella
teoria di Erissimaco, le forze che regolano l’universo empedocleo sono
precisamente le stesse che sperimentiamo in noi stessi come emozioni
e impulsi all’azione2.
Vorrei mostrare, tuttavia, che, nella costruzione del discorso di
Erissimaco, Platone non si basava direttamente su filosofi quali Era-
clìto ed Empedocle: Erissimaco è un medico, e tutto l’armamentario di
conoscenze che fa sfilare davanti a noi si inserisce nel campo della sua
competenza professionale. Gli studiosi hanno spesso concentrato la loro
attenzione sulle ampie e profonde conoscenze di Platone nel campo della
medicina a lui contemporanea, e la concezione del mondo nella quale
gli scrittori di medicina cercavano normalmente di integrare le loro spe-
culazioni teoriche dipende in larghissima misura dalla cosmologia pre-
socratica3. Anche se non disponessimo di chiare testimonianze in tal
senso, potremmo molto plausibilmente congetturare che Platone tro-

2
Questi aspetti della teoria di Empedocle emergono molto chiaramente nel fr.
17 (31 B 17 D.-K.).
3
Vd. in particolare CRAIK 2001, con tutti i riferimenti.
82 Teoria musicale prima della Repubblica di Platone

vasse il materiale per il discorso di Erissimaco nella tradizione medica,


e che nelle sue teorie si trovi riflessa la dipendenza degli scrittori di
medicina dalle concezioni presocratiche sull’ordine del cosmo.
Ma non c’è bisogno di fare congetture. I commentatori hanno
notato molte somiglianze, sia teoretiche sia linguistiche, tra il discorso
di Erissimaco e un piccolo gruppo di trattati del Corpus Hippocrati-
cum. Mi concentrerò soltanto su uno di questi scritti medici, il primo
libro del De victu (Peri diaitēs), composto probabilmente intorno alla
fine del V sec. a. C. Si tratta di un testo molto interessante, per tre
motivi. Primo, diversi aspetti lessicali e contenutistici inducono a con-
siderarlo, con ragionevole probabilità, la fonte più importante del no-
stro passo del Simposio. Secondo, ci sono segni evidenti che dal De victu
dipendano anche aspetti decisivi della psicomusicologia della Repub-
blica. Terzo, questo trattato contiene due passi che riguardano diretta-
mente la musica, e che ci danno la rara opportunità di esaminare di
prima mano frammenti originali di musicologia del V sec. a. C., non
contaminati dalle più tarde influenze platoniche.
Farò soltanto qualche cenno ai rapporti tra il De victu e il Sim-
posio. Erissimaco, come abbiamo visto, definisce la medicina «scienza
degli erōtika in rapporto al riempimento e allo svuotamento» (186c5-
6). E appunto, per l’autore del De victu, la salute dipende da un
appropriato equilibrio tra alimentazione ed esercizio fisico; lo scopo
dell’esercizio fisico è di esaurire (analōsai) ciò che è presente nel corpo
(ta hyparchonta), e quello dell’alimentazione è di riempirlo, rimpiaz-
zando ciò di cui è stato svuotato (I 2, 2). Alimentazione ed esercizio
fisico sono descritti come dotati di poteri opposti, hypenantias dyna-
mias, ma cooperanti l’uno con l’altro, sympheresthai, in modo da pro-
durre la salute; e possiamo notare che quest’autore, proprio come
Erissimaco nel Simposio, predilige i due verbi sympheresthai e diaphe-
resthai (cf. 187a4-c2). Nel De victu, come nel discorso di Erissimaco,
quasi ogni idea è espressa in termini di rapporto tra opposti, e diversi
capitoli, in realtà, consistono in elenchi di questi opposti: nel suo stile
spesso stringato ed enigmatico, l’autore del De victu si rifà evidente-
mente, come Erissimaco, a Eraclìto. Il De victu, ancora una volta
come Erissimaco, insiste sull’importanza per la scienza medica di una
vasta conoscenza di fenomeni naturali in generale – le stagioni del-
l’anno, i venti, il sorgere e il tramontare delle stelle, e così via. Questa
conoscenza, dice l’autore, consente al medico di «saper controllare i
cambiamenti e gli eccessi dei cibi, delle bevande, dei venti e dell’in-
tero universo, dai quali appunto hanno origine le malattie degli uo-
mini» (I 2, 2).
La tradizione medica 83

Si possono trovare molte somiglianze di questo tipo, ma con-


centriamoci soltanto su un’altra, che appare particolarmente attinente
ai nostri argomenti. Parlando di musica e medicina, Erissimaco di-
stingue tra epistēmē, conoscenza scientifica, e technē, abilità pratica,
della quale il dēmiourgos, musicista o medico, si avvale per operare
nel suo campo di attività. Nel suo discorso c’è anche un’altra distin-
zione, altrettanto netta e particolarmente significativa in un contesto
musicale: da una parte la facoltà di comprendere quali combinazioni
di elementi sono teoricamente buone in generale, dall’altra la capacità
di stabilire quali trattamenti medici o musicali vadano praticamente
applicati in casi particolari, quando è essenziale registrare e tenere nel
debito conto le condizioni di ogni singolo individuo. Una distinzione
sorprendentemente simile si trova nel De victu: il capitolo 2 si apre
con l’affermazione che bisogna prima «conoscere e discernere», gnōnai
kai diagnōnai, la natura dell’essere umano: conoscere, gnōnai, gli
elementi dei quali è costituito, e discernere, diagnōnai, i fattori che
lo dominano. Se non si conosce la sua costituzione originaria, è
impossibile conoscere o comprendere gli effetti che ne derivano; e se
non si conosce il fattore dominante del corpo, non si riuscirà a for-
nire al paziente un trattamento benefico. L’argomentazione di Eris-
simaco nel Simposio (186c5-d6) segue precisamente lo stesso schema,
indicando in primo luogo quale conoscenza, epistēmē, un medico deve
avere, quindi ciò che deve discernere – il verbo è diagignōskein, come
nel De victu – e infine le operazioni pratiche rese possibili grazie a
conoscenza e discernimento. L’oggetto del ‘discernimento’ è precisa-
mente lo stesso del De victu, trasposto nel linguaggio dell’ ‘erotica’
di Erissimaco. Come nel De victu si tratta di riconoscere quale ele-
mento esercita il proprio dominio sul corpo di un individuo, così
anche nel Simposio la terapia appropriata dipende dal discernimento
di quale tra le due forme di amore, quella nobile e quella volgare, sia
la forza che domina gli impulsi corporei.
In buona parte, questo capitolo del De victu delinea, gradual-
mente, un quadro sempre più dettagliato della conoscenza e del di-
scernimento di cui un medico ha bisogno. Ma, al termine dell’espo-
sizione, l’autore sostiene che tutta questa conoscenza è, in sé e per
sé, assolutamente insufficiente: «E infatti, se fosse possibile trovare,
oltre a tutto ciò, la giusta dose di ciascun alimento in considerazione
della sua natura, e un numero adeguato di esercizi fisici, né troppi né
troppo pochi, allora sì che si troverebbe la salute perfetta per gli
esseri umani. Ora però, mentre la natura di tutto ciò che ho detto è
stata scoperta, non è possibile trovare un regime salutare» (I 2, 3). Il
84 Teoria musicale prima della Repubblica di Platone

ragionamento è esattamente parallelo a quello di Erissimaco: per


preservare la salute non esistono prescrizioni che possano essere
applicate meccanicamente in ogni caso, proprio come non esistono
regole universali per identificare la musica alla quale un individuo
dovrebbe o non dovrebbe essere esposto. Di seguito, l’autore del De
victu ci dice anche che il medico deve effettivamente andare nelle
palestre e osservare il suo paziente mentre, nudo, fa i suoi esercizi
ginnici: solo allora saprà come preservarne la salute, proibendogli
alcune cose, prescrivendogliene delle altre, e indicandogli la corretta
successione degli esercizi e la corretta dieta.
A questo punto, tornando a considerare la Repubblica e i suoi
rapporti con la tradizione medica, sarà innanzitutto il caso di notare
qui un curioso ma inequivocabile riecheggiamento del Simposio. Nella
Repubblica, proprio alla fine della discussione principale sulla musica,
Platone aggiunge un brano sull’amore, breve ma piuttosto complesso
(402d1-403c7), precisando ciò che un vero mousikos amerà e ciò che
non amerà, e come si comporterà o non si comporterà, da amante, nei
confronti di un amato. Il suo amore è rivolto, per sua natura, verso chi
ha doti di ordine e bellezza interiori, e il suo comportamento nei ri-
guardi dell’oggetto del suo amore segue le norme della temperanza e
della musica (sōphronōs te kai mousikōs). Ma c’è un altro tipo di amo-
re, associato con la pazzia, la hybris e l’akolasia, il cui scopo non è altro
che il sesso, ta aphrodisia; quelli che lo praticano sono ‘non-musicali’ e
non hanno alcun senso del bello. Qualunque sia la sua funzione nel-
l’economia generale della Repubblica, questo brano è un’evidente re-
miniscenza del ‘dualismo erotico’ del Simposio, e ci induce a credere
che gli argomenti affrontati nel discorso di Erissimaco, e forse anche
quelli contenuti nelle sue fonti mediche, erano ancora presenti a Plato-
ne quando scrisse la Repubblica.
Lasciando da parte altri echi di minore portata, le tracce del De
victu nella Repubblica si possono seguire considerando due aspetti piut-
tosto generali del discorso sulla musica che vi è contenuto, e i dettagli
di un brano importante. Tutto il programma educativo della Repubbli-
ca mira a produrre un appropriato equilibrio, nelle disposizioni d’ani-
mo dei difensori, tra mitezza e aggressività. Nel libro III ciascuno di
questi due impulsi è collegato a un aspetto dell’anima, il philosophon e
il thymoeides: e l’uno viene sviluppato mediante la pratica musicale,
l’altro mediante gli esercizi atletici. Ricapitoliamo brevemente i punti
essenziali: se un individuo si dedica all’attività atletica e trascura la
musica, diventa insensibile e rozzo, e il suo philosophon deperisce per
mancanza di nutrimento; se invece fa il contrario, è il suo thymos a
La tradizione medica 85

esaurirsi e lui diventa un «combattente smidollato»4. Quello che conta


è l’accordatura propriamente ‘musicale’ di ciascuna parte dell’anima con
l’altra (410c-412a).
La distinzione tra philosophon e thymoeides, già sommariamente
introdotta nel libro II, è divenuta ora fondamentale per l’argomenta-
zione. Qui Platone comincia a servirsi di un modello secondo il quale
l’anima è concepita come un complesso di diversi fattori che stimolano
impulsi di diverso tipo, sicché il carattere e le condizioni dell’anima
dipendono da come i rapporti tra quei fattori sono configurati e ‘si
accordano’ tra loro. Nel capitolo II ho mostrato che il tentativo di
Platone di combinare questo modello dinamico con idee e metafore
musicali sviluppate in una fase precedente della sua argomentazione non
appare del tutto riuscito: alcuni tratti di incertezza e di incoerenza fan-
no pensare che i concetti da lui esposti affondino le radici in diversi
contesti di pensiero. Come ho detto, una parte degli ingredienti della
miscela proviene dall’ambiente intellettuale dei sofisti, e in particolare
da Damone. Vorrei ora mostrare che l’altra parte, quella sulla quale è
basata questa nuova analisi dell’anima, può essere stata ispirata a Pla-
tone dai suoi studi di testi di medicina; e sembra verosimile che, anco-
ra una volta, il De victu sia stata una delle sue fonti principali.
Secondo l’autore del De victu (I 3, 1; 4, 1), tutti gli esseri viventi
sono composti da due elementi, i cui poteri e le cui caratteristiche sono
del tutto differenti tra loro, ma che, nella pratica, cooperano: il fuoco e
l’acqua. L’acqua è fredda e fluida, e la sua funzione è quella di allevare
e nutrire. Il fuoco è caldo, solido e secco, ed è la fonte dell’attività e
del movimento. Nella Repubblica troviamo i due elementi dell’anima
contrapposti in maniera molto simile; da una parte il thymoeides, ener-
gico, solido e focoso, dall’altra il philosophon, gentile, morbido e sen-
sibile. Elementi che per natura sono radicalmente opposti l’uno all’al-
tro, ma che, in un’anima ben equilibrata, sono portati a cooperare ar-
monicamente tra loro, così come il fuoco e l’acqua in un corpo perfet-
tamente efficiente. Nella Repubblica si legge anche l’insolita asserzione
che la musica e l’esercizio atletico non sono concepiti per il beneficio,
rispettivamente, dell’anima e del corpo, ma che entrambi sono indispen-
sabili per la cura dell’anima. Operano in direzioni opposte, l’una acuen-
do le sensibilità del philosophon, l’altro accrescendo la tensione e il vi-
gore del thymoeides; ma di entrambi c’è bisogno per la salute dell’ani-
ma, e vanno appropriatamente dosati e proporzionatamente equilibra-

4
Vd. 411b4: Platone cita Il. 17, 588, dove l’espressione è usata da Apollo a
proposito di Menelao.
86 Teoria musicale prima della Repubblica di Platone

ti. Analogamente, nel De victu la salute del corpo è garantita dagli


apporti di due diversi influssi che provengono dall’esterno e che ope-
rano in direzioni opposte, il nutrimento e l’esercizio fisico, e anche
questi influssi debbono essere bilanciati in modo appropriato.
Queste somiglianze tra la Repubblica e il De victu sono significa-
tive, ma non del tutto decisive. Guardiamone un’altra. Per farlo, dob-
biamo richiamare il problema sollevato da Socrate nel Fedone: ogni
harmonia, in quanto appropriatamente formata secondo le norme della
musica, deve essere buona; eppure, nella Repubblica molte di esse sono
rifiutate in quanto dannose. Abbiamo già notato che per questo pro-
blema la Repubblica non adotta la soluzione prospettata nel discorso
di Erissimaco; ma ho anche detto che potrebbe essere significativo il
fatto che, nel Simposio, la questione riappaia in un contesto di teoria
medica. Ora, nella Repubblica la soluzione data al problema sollevato
nel Fedone si fonda sulla teoria della mimēsis musicale. Le strutture
musicali non sono totalmente autonome, ossia, non vanno valutate
esclusivamente sulla base di criteri tecnici, essenzialmente musicali. Non
sono soltanto strutture organizzate secondo principi musicali: sono
anche mimēseis dei caratteri delle anime umane. Ne discende che esi-
stono d u e d ive r s i p ar am et r i secondo i quali le loro qualità posso-
no e debbono essere giudicate. È necessario in primo luogo che soddi-
sfino i criteri adottati da un musicista quando giudica se sono costruite
in modo appropriato o no: e da questo punto di vista è certamente pos-
sibile che tutte siano egualmente buone. Ma ritmi e harmoniai le cui
strutture, pur tecnicamente impeccabili, siano immagini o imitazioni di
un carattere umano difettoso, sono comunque inaccettabili da un pun-
to di vista etico. Questo sembra abbastanza chiaro. Ma il concetto di
mimesi musicale non compare nei precedenti dialoghi di Platone, né in
quanto ci è noto delle teorie di Damone; e gli accenni a essa, che si
registrano nella letteratura dei secoli precedenti, hanno – con una sola
eccezione – scarso rilievo e scarse conseguenze. L’eccezione è appunto
il De victu, che dedica quattordici interi capitoli (I 11-24) alla tesi se-
condo cui tutte le arti e le tecniche sono mimēseis delle fun-
zio n i d el co r p o u m an o , anche se in genere non lo si riconosce.
La trattazione del tema è per più aspetti oscura, e la musica è solo uno
dei molti esempi presi in esame. Ma in questo caso a me sembra oltre-
modo probabile che, ancora una volta, Platone trasferisca nel nuovo
assetto concettuale da lui dedicato nella Repubblica allo studio dell’ani-
ma, idee che nel trattato medico si riferiscono al corpo. Nella sua ana-
lisi degli elementi d ell’ an im a e degli influssi attivi su di essi, Platone
utilizza i principi che stanno alla base della trattazione dedicata dal De
La tradizione medica 87

victu agli elementi d el co r p o ; allo stesso modo, riconosce un poten-


ziale teoretico alla dottrina della mimesi artistica contenuta nel De vic-
tu, considerando, come oggetto di imitazione, il carattere umano, inve-
ce del funzionamento del corpo.
Due brani del De victu riguardano direttamente la musica, e uno
di essi ha un parallelo piuttosto evidente nella Repubblica. Per quanto
riguarda l’altro, le connessioni con la Repubblica non saltano all’oc-
chio con altrettanta immediatezza, ma credo tuttavia che si tratti di
un’importante corrispondenza; il testo contiene anche affinità più va-
ghe e meno significative con il discorso di Erissimaco. Considereremo
prima questo secondo passo, dal momento che si trova nel contesto
che abbiamo appena richiamato. Si divide in tre parti, e comincia così:

Organizzazioni dell’harmonia sono prodotte dalle stesse cose, ma non


sono le stesse. Sono prodotte dall’acuto e dal grave, che sono simili
nel nome ma non nel suono. Le cose che sono molto differenti si le-
gano nel modo migliore, e le cose che differiscono di meno si legano
peggio. E se si rendesse ogni cosa uguale non ci sarebbe più piacere;
piacciono di più le modulazioni più grandi e più varie (I 18, 1).

L’insistenza sugli opposti e le loro combinazioni ricorda il Sim-


posio; al richiamo esplicito di Erissimaco a Eraclìto (187a) corrispon-
dono evidentemente, qui, tentativi piuttosto rudimentali di imitare modi
eraclitei di pensiero e di espressione. Una volta presa confidenza con
questo stile piuttosto stringato e sentenzioso, il testo è abbastanza fa-
cile da capire, e non richiede alcuna conoscenza tecnica della musica.
(È molto interessante, tuttavia, l’annotazione aggiunta a suo tempo da
un ignoto lettore greco, e che i manoscritti riportano all’inizio del pa-
ragrafo: al maestro che adotti questo testo nel suo insegnamento si
consiglia di dotarsi preliminarmente di uno strumento musicale, per
dare dimostrazione pratica dell’assunto. Evidentemente, in epoca suc-
cessiva alla redazione del trattato, gli studenti greci di medicina aveva-
no cominciato ad avvertire difficoltà nel seguire discorsi musicali, e ad
aver bisogno di sussidi audiovisivi.) Ma, nonostante l’assenza di tecni-
cismi, ci sono segni che l’autore si intende assai bene di cose musicali.
Quando dice, per esempio, che le cose che differiscono molto tra loro
si legano meglio e che le cose che differiscono meno si legano peggio,
il significato non è affatto vago. Nelle harmoniai, le note che si com-
binano meglio sono le più lontane tra loro per intonazione, a distanza
di un’ottava l’una dall’altra: la fusione tra le due è così perfetta che il
suono che ne risulta sembra quasi quello di un’unica nota. Quelle che
si combinano peggio sono le più vicine per intonazione, e quando
88 Teoria musicale prima della Repubblica di Platone

vengono suonate simultaneamente producono una dissonanza sgrade-


vole. Si tratta dunque di un’osservazione percettiva tecnicamente assai
precisa su una particolarità delle relazioni musicali tra i suoni. Consi-
deriamo ora la fine del paragrafo. Qui si parla delle «modulazioni
(metabolai) più grandi e più varie» e si dice che sono proprio queste
a dare maggior piacere. Anche quest’affermazione si riferisce a qual-
cosa di ben preciso. Il sostantivo metabolē è quasi un termine tecnico,
normalmente usato dai teorici della musica per intendere “modulazio-
ne”; e modulazioni stupefacenti erano il marchio di fabbrica dei nuovi
stili musicali associati ai nomi di Melanippide, Timoteo e altri musici-
sti, che godevano di enorme popolarità nel tardo V sec. a. C., quando
questo trattato fu composto5. Il nostro autore nota accuratamente l’ele-
mento che conferiva a quegli stili compositivi la loro caratteristica
particolare e che tanto incontrava i gusti del pubblico. I pensatori tra-
dizionalisti e conservatori, come Platone, li disapprovavano: e può essere
significativo che quando l’autore del De victu ne parla con favore, l’uni-
co criterio di eccellenza musicale che adotta sia la capacità di dare
piacere. Probabilmente, Platone avrebbe ammesso che le nuove com-
posizioni erano effettivamente piacevoli, ma avrebbe probabilmente
aggiunto che si trattava di una piacevolezza dannosa e degradante, e
che quelle composizioni si sarebbero rivelate inadeguate anche sotto
altri importanti aspetti. L’autore del De victu ignora questi altri crite-
ri. Forse, però, anche senza dichiararlo esplicitamente, avrà voluto
evitare di assumere posizioni critiche in questo campo, visto che la
parola da lui usata per indicare “piacere” è terpsis, che ha sempre con-
notazioni positive, e non hēdonē, che è invece un termine più ambiva-
lente; hēdonē, e non terpsis, è frequentemente considerato sospetto dal
punto di vista etico. Ad ogni modo, quest’autore mostra un’adeguata
conoscenza dei rapporti musicali semplici, e ha una buona padronan-
za delle particolarità della prassi musicale contemporanea. L’intelaia-
tura eraclitea all’interno della quale esprime le sue idee, tuttavia, non
deriva dalla sua conoscenza della teoria o della pratica musicale. La si
dovrebbe considerare come uno strumento linguistico e concettuale
mediante il quale si rende possibile integrare la musica, assieme a molte
altre technai, nel contesto intellettuale della scienza medica, le cui as-
serzioni vengono anch’esse riformulate dall’autore precisamente secondo
le stesse modalità. Questa è forse la più importante conclusione da trarre
dalla lettura di questo paragrafo: la musica viene ‘teorizzata’, o sezio-

5
Vd. specialmente Pherecr. fr. 155 K.-A., un testo sul quale si è molto discus-
so: vd. per es. RESTANI 1983, WEST 1992, pp. 356-372, ANDERSON 1994, pp. 127-134.
La tradizione medica 89

nata analiticamente, a l l ’ i n t e r n o d i u n m o d e l l o d i r i f e r i m e n t o
c h e n o n è i l s u o . Osservazioni sulla musica vengono rifuse in una
forma che le assorbe negli schemi di pensiero della cosmologia e della
medicina del V sec. a. C.
Alla seconda parte del passo basterà accennare brevemente. Vi si
descrive l’arte culinaria in termini esattamente analoghi alla musica;
anche qui si tratta di combinare insieme cose differenti, producendo
dagli stessi elementi cose che non sono le stesse, e così via. Fare musi-
ca, dunque, è come ‘cucinare con i suoni’ e cucinare è come fare mu-
sica con gli ingredienti che si comprano al supermercato. A quanto ne
so, è la prima volta che un’analogia di questo tipo compare nella lette-
ratura greca, anche se ce ne sono forse lontani ascendenti in Pindaro.
Riappare nel discorso di Erissimaco; e cent’anni dopo, sulla scena co-
mica, è la base di molte battute sagaci6.
Nel terzo paragrafo arriviamo finalmente alla concezione della
musica come mimesi; l’analogia con l’arte culinaria, in effetti, prepara
la strada per l’individuazione, da parte dell’autore, di quella parte del
corpo la cui attività viene ‘imitata’ dalla musica. In questo punto ci sono
difficoltà di natura testuale, ma io le ignorerò: con una sola trascurabi-
le eccezione, seguirò il testo dell’edizione Budé. Ci sono anche diffi-
coltà su alcuni aspetti dell’esegesi, e non sono affatto sicuro di poterle
risolvere. Invece di semplificarle, provo a tradurre questo brano piut-
tosto difficile il più letteralmente possibile:

Alcuni suoni di strumenti musicali (kroumata) vengono battuti (kroue-


tai) sopra (anō), altri sotto (katō). La musica imita la lingua, che di-
stingue il dolce e l’aspro nelle cose che la toccano, e anche le cose
dissonanti e quelle consonanti (diaphōna kai sumphōna). Esse vengo-
no battute sopra e sotto [con Bywater e Diels ometto tous phthon-
gous], e se quelle sopra vengono battute sotto o quelle sotto vengono
battute sopra, sono scorrette. Quando la lingua è ben accordata (kalōs
hermosmenēs), la consonanza porta piacere, ma quando è scordata
(anarmostou) porta sofferenza (I 18, 3).

È un passo insidioso, anche per l’oscurità delle espressioni anō e


katō, che ho tradotto con «sopra» e «sotto». In genere, i commentatori
le ritengono riferite all’intonazione acuta e grave, ma quest’uso è mol-
to raro in greco, e non sono affatto sicuro che l’interpretazione cor-
rente sia esatta. Neppure è chiaro perché l’autore si riferisca specifica-
mente alla musica strumentale, senza dire nulla di quella vocale. Ma

6
Per es. Damox. fr. 2 K.-A., Euphr. fr. 10 K.-A., Hegesip. fr. 1 K.-A.
90 Teoria musicale prima della Repubblica di Platone

lasciamo da parte questi problemi. Il tema centrale è che l a mus i c a


imita la lingua, ma non perché i suoni musicali rassomigliano a quelli
del parlato, come ci si sarebbe invece aspettato. La lingua viene consi-
derata esclusivamente co m e o r g an o d el g us to, e ciò che la musica
imita deve dunque essere la capacità della lingua di distinguere i sapo-
ri. Le supposte somglianze tra musica e lingua sono fortemente sotto-
lineate dall’autore, che adopera terminologia musicale per descrivere la
lingua e le sue capacità percettive: la lingua distingue consonanze e dis-
sonanze, e può essere bene o male accordata.
Può sembrare strano che l’autore tratti la mousikē come arte di
distinguere correttamente, piuttosto che come abilità mediante la quale
vengono composti ed eseguiti schemi sonori. Forse pensa ancora ai
musicisti in analogia con i cuochi, che assaggiano le loro pietanze mentre
le preparano, e si preoccupano – se sono buoni cuochi – di stabilire
accuratamente l’equilibrio tra gli ingredienti in esse contenuti. Alla stessa
maniera, un compositore prova le sue composizioni mentre le crea, ese-
guendole con grande attenzione, come fa Agatone nelle Tesmoforianti
di Aristofane (101-129), e un esecutore ascolta con attenzione le note
che produce, e se necessario ne corregge l’intonazione e il timbro7. Alla
luce di ciò, possiamo capire il senso della tesi che una delle competen-
ze del musicista consiste nella sua elevata sensibilità all’intonazione e
alla qualità dei suoni che ode, e ai rapporti tra loro. Si tratta tuttavia di
una prospettiva inusuale; e può servire come punto di partenza per un
catalogo breve ma impressionante di paralleli tra questa parte del De
victu e la sezione musicale della Repubblica. Come abbiamo visto nel
capitolo II, una delle affermazioni più sorprendenti di Socrate nella
Repubblica è che la pratica musicale ha la funzione di migliorare la
nostra abilità di percepire ciò che è bello e ciò che è brutto quando lo
incontriamo, non solo in musica, ma anche nei prodotti delle altre arti
e nel carattere umano (401b1-402a4). Ancora: per l’autore del De victu
la musica imita (mimeitai) un organo del corpo, la lingua; secondo
Socrate la musica imita il carattere dell’anima (400d1-401a8). Nel De
victu una lingua che funziona bene distingue i sapori con precisione;
secondo Socrate un individuo che abbia un carattere sano distingue con
precisione le cose buone e quelle cattive (401b-402a). Se la lingua è ben
accordata, nel De victu, riceve piacere da una ‘consonanza’ di sapori,
se non lo è, ne riceve sofferenza; allo stesso modo, nella Repubblica,
un individuo la cui anima è ben accordata gode e ama ciò che è vera-

7
Un’interessante descrizione dei tentativi, in tal senso, di un principiante, è
quella di Porph. In Ptol. Harm. 83, 25-84, 5 Düring.
La tradizione medica 91

mente armonioso e bello, al contrario di un individuo stonato (402d).


Infine, proprio come il De victu assegna epiteti musicali all’organo del
corpo che la musica imita, così Socrate nella Repubblica, per la prima
volta in Platone, li assegna all’anima. È difficile pensare che tutte que-
ste corrispondenze, prese insieme, siano casuali.
Per affrontare l’altro passo musicale del trattato di medicina non
c’è bisogno di considerare il contesto nel dettaglio; meglio così, dato
che è estremamente oscuro. Si parla di embriologia, e l’autore descrive
che cosa accade quando la particella che noi chiameremmo spermato-
zoo – anche se qui viene concepita in maniera molto differente – si
sposta in un altro luogo, ossia nel corpo della donna. Ancora una volta
seguo il testo dell’edizione Budé, che accoglie un emendamento decisi-
vo – e assolutamente sicuro – proposto per la prima volta da Bernays
nel 1848, e poi, indipendentemente, da Delatte nel 1930.

Quando si sposta in un altro luogo, se incontra un’harmonia corretta,


che sia dotata di tre consonanze, la quarta giusta (syllabē), la quinta giu-
sta (di’oxeōn) e l’ottava (dia paseōn), vive e cresce, grazie allo stesso
nutrimento di prima. Ma se non incontra un’harmonia, e se le cose che
sono basse (ta barea) non raggiungono l’accordo con quelle che sono
alte (toisin oxesi) nella prima o nella seconda consonanza, o in quella
che abbraccia tutta l’ottava (tēi dia pantos), anche se manca soltanto una
cosa, l’accordatura (tonos), nel suo insieme, è improduttiva (I 8, 2).

Non so se sia possibile interpretare questo passo in modo che abbia


un significato embriologico preciso in ogni dettaglio, ma la cosa mi
sembra inverosimile. L’autore tenta di esprimere l’idea che se l’embrio-
ne deve vivere e crescere, tutti i fattori richiesti per il suo sviluppo
debbono essere presenti, e debbono essere correlati gli uni agli altri nel
modo giusto. Qualcosa di molto simile è vero dell’accordatura musica-
le, e non sorprende che l’autore scelga il linguaggio musicale per co-
municare ciò che intende8. Ma il senso sarebbe stato altrettanto chiaro

8
Passi paralleli in altri trattati del Corpus Hippocraticum sono, p. es., De se-
tim. 9; De carn. 19; vd. anche la fonte pitagorica citata da Diog. Laert. VIII 25-35
(in part. VIII 29); cf. anche Plut. De an. procr. 1017e-1018b, Aristid. Quint. 117,18-
118,18 W.-I. Diversamente da tutte queste fonti, tuttavia, il De victu non fa alcun
riferimento ai rapporti matematici che regolano gli intervalli musicali che menziona,
e può non avere alcuna relazione con la tradizione musicologica di matrice pitagori-
ca. L’assimilazione a quel contesto (avanzata da BURKERT 1972, p. 262) è fuorviante.
Il fatto che alcune caratteristiche inusuali della sua terminologia (harmonia per l’ot-
tava, di’ oxeōn per la quinta giusta, syllabē per la quarta giusta) riappaiano nel fr. 6
di Filolao non garantisce una connessione col pitagorismo; come lo stesso Burkert
riconosce (BURKERT 1972, pp. 390-91), si tratta di «early technical terms of profes-
sional musicians», e non vanno intesi come specifici di un’unica scuola di pensiero.
92 Teoria musicale prima della Repubblica di Platone

anche se avesse semplicemente affermato che l’embrione deve incon-


trare un’harmonia corretta, sicché i dettagli che seguono sembrano
superflui. Sembra anzi che l’autore voglia fare qui sfoggio di compe-
tenza musicale, mostrando che un buon medico deve avere padronan-
za anche di questa branca del sapere, così come di molte altre.
In realtà, da un punto di vista musicologico, questi dettagli si spie-
gano perfettamente. L’autore menziona le tre consonanze, la quarta
giusta, la quinta giusta e l’ottava. Nel tipo più comune di harmonia, la
nota più alta e quella più bassa, chiamate rispettivamente nētē e hypatē
abbracciano un’ottava. La nota che fa da perno, vicino al centro del
sistema, chiamata mesē, è una quarta sopra la più bassa e una quinta
sotto la più alta. Una quarta giusta e una quinta giusta, prese in se-
quenza, formano un’ottava. Rapporti consonanti si trovano anche tra
altre note di un’accordatura del genere; nel caso più semplice, ognuna
delle quattro note della parte inferiore del sistema sta in rapporto di
una quinta giusta con la nota corrispondente della parte superiore. Tutta
l’harmonia, in realtà, è basata su queste consonanze, e se, come dice il
De victu, anche uno solo dei rapporti è scorretto, tutta la struttura
crolla.
Anche se i fatti descritti non sono complessi, questo passo, più
che riportare osservazioni generiche, riflette un’analisi musicale tecni-
camente alquanto evoluta, e anche la terminologia è quella di uno spe-
cialista in materia. Vale la pena di notare che come le discussioni che
abbiamo trovato in Platone, questo testo presuppone la s uddi v i s i o-
ne d i u n ’h arm o n ia in d u e p ar t i, quella più bassa che abbraccia
una quarta e quella più alta che abbraccia una quinta; l’espressione
di’oxeōn, «attraverso le note alte», garantisce che la quinta sta sopra la
quarta, e non sotto. Dovremmo notare anche un piccolo cambiamento
nelle espressioni usate per riferirsi all’ottava. Inizialmente le viene dato
il titolo musicale, dia paseōn, «attraverso tutte», dove “tutte” è plurale
e si riferisce a tutte le note o a tutte le corde. La seconda volta, invece,
viene chiamata «la consonanza dia pantos», dove pantos è singolare e
significa “il tutto”; deve riferirsi a tutto il sistema considerato come
un’unità. Questa terminologia non è comune nelle fonti musicali. L’au-
tore del De victu la usa, io credo, per evidenziare la funzione centrale
dell’harmonia sia in musica, sia in embriologia; una funzione cruciale
anche nella descrizione che Platone fa dell’anima: quella di fondere
insieme in un tutto unico elementi diversi tra loro.
Se avessimo trovato questo passo in un testo musicologico del
periodo romano – in Teone di Smirne, per esempio, o in Aristide Quin-
tiliano – non sarebbe stato il caso di discuterne; per quanto riguarda il
La tradizione medica 93

suo contenuto musicale, ce ne sono molti altri simili. La ragione per la


quale l’ho esaminato invece con una certa attenzione è che, considera-
to nel contesto del V sec. a. C., esso è, per almeno un aspetto impor-
tante, un unicum. Insieme con il fr. 6 D.-K. di Filolao e con la descri-
zione delle harmoniai damoniane data da Aristide Quintiliano (se si
tratta di una testimonianza attendibile), conferma che un metodo di
analisi basato sulla divisione dell’harmonia in due parti principali era
già diffuso p rim a d el 4 0 0 a. C. La sua unicità risiede nel fatto che
il suo autore non è un cosmologo pitagorico, né un teorico della mu-
sica; e che, senza alcun riferimento a un sistema di rapporti numerici,
egli sfrutta le acquisizioni di questo tipo di osservazioni specificamen-
te musicali – distinte dalle osservazioni correnti, di carattere non tecni-
co-musicale – per formulare una teoria in un ambito disciplinare diver-
so. A quanto pare, tra gli autori di opere scientifiche o filosofiche, fu-
rono dunque i medici i primi ad attingere alla terminologia tecnica di
una tradizione musicologica non matematica per chiarire argomenti non
musicali.
L’importanza di queste conclusioni si chiarisce ulteriormente se
ritorniamo alla Repubblica. In un passo del libro IV che abbiamo esa-
minato brevemente nel capitolo II, Platone si serve di tecnicismi musi-
cali quasi allo stesso modo dell’autore del De victu. La giustizia, dice
Socrate, non è essenzialmente una caratteristica del c ompor ta me nto
degli individui, ma della loro dimensione interiore, la loro a ni ma . In
un uomo giusto, le tre parti dell’anima cooperano in reciproca amici-
zia, e sono ‘accordate insieme’ esattamente come le tre note fondamen-
tali di un’harmonia, neatē, hypatē e mesē, insieme con le «altre che si
possono eventualmente inserire in mezzo a loro» (443d7). Il quadro è
quello di un’anima i cui elementi funzionano alla perfezione, sia indi-
vidualmente, sia nel loro rapporto reciproco, in maniera tale che l’ani-
ma, nel suo complesso, risulti ben integrata, sana e in continuo svilup-
po; questo quadro corrisponde a quello delineato nel De victu a pro-
posito di un embrione sano che cresce e si sviluppa. Né qui, né nel De
victu o nel Simposio c’è traccia dell’impostazione matematica caratteri-
stica della teoria musicale pitagorica9. I termini dell’analogia proposta
da Socrate sono leggermente differenti da quelli del testo di medicina,
giacché si riferiscono alle tre note più importanti di un’harmonia piut-
tosto che agli intervalli che si trovano tra esse, ma lo schema concet-

9
Il fatto che l’approccio pitagorico è discusso nel libro VII della Repubblica
(530d-531c) non deve indurci a leggere i contesti dei primi libri alla luce di quelle
teorie.
94 Teoria musicale prima della Repubblica di Platone

tuale dell’analisi resta il medesimo. Neatē, hypatē e mesē sono le note


che, nel De victu, delimitano l’ottava, la quinta e la quarta. Le corri-
spondenze tra questi due passi danno ancora un’altra indicazione del
debito di Platone nei confronti del De victu, e del fatto che la sua psi-
comusicologia t r a s f e r i s c e all’analisi dell’anima moduli linguistici e
sistemi concettuali che il De victu applica al trattamento del corpo.
Ho tentato di argomentare, dunque, che la psicomusicologia della
Repubblica deve molto alle f o n t i m ed iche che stanno alla base del
discorso di Erissimaco nel Simposio, e deve altrettanto alla ‘ps i c omu-
s ico lo gia p o lit ica’ d i D am o n e, le cui tracce troviamo nel Lache-
te, e forse nel Protagora, così come nella stessa Repubblica. Sia la con-
cezione bipartita dell’anima nel libro III, sia quella tripartita del libro
IV sono nuove, e Platone doveva trovare una strategia per articolare la
sua costruzione concettuale non solo in se stessa, ma anche in rappor-
to con le sue teorie sull’educazione musicale. Il De victu, privato delle
sue infiorettature retoriche eraclitee, forniva il preciso modello lingui-
stico e concettuale di cui Platone aveva bisogno; un modello che por-
tava con sé i propri usi di metafore e analogie musicali e anche, cosa
molto importante, la sua dottrina della mimesi artistica. Ho notato che
tra le due parti principali del discorso di Socrate sembra esserci qual-
che leggera incongruenza; e sebbene la teoria della mi me s i sia il trat-
to che le accomuna, sotto altri aspetti, tra il versante damoniano e quello
presumibilmente ippocratico, si evidenziano passaggi argomentativamen-
te non del tutto lineari. In questa luce, la psicomusicologia della Re-
pubblica si può vedere, in parte, come una propaggine della scienza
naturale del V sec. a. C. e della cosmologia presocratica: e per inter-
pretarla correttamente bisogna considerarla in rapporto sia con il so-
strato culturale di questi ambiti scientifici, sia con le istanze speculati-
ve di Socrate e dei Sofisti, come anche delle prime opere dello stesso
Platone. Si potrebbe obiettare che se gli influssi ippocratici sono qui
tanto significativi, sembra strano che Platone non abbia introdotto la
nozione esplicitamente medica di “terapia musicale”, come fanno alcu-
ni autori successivi, e come fa d’altra parte egli stesso, nel Timeo e nelle
Leggi (vd. qui, capitolo VI). Ma quest’obiezione non indebolisce affat-
to il mio argomento. Una ragione per cui Platone evita un approccio
di questo tipo è chiarita proprio nella Repubblica, immediatamente dopo
le pagine sull’educazione musicale: Socrate è fortemente critico nei ri-
guardi della ‘terapeutica’ medica, alla quale riserva soltanto una fun-
zione molto secondaria nella sua città ideale. Le malattie – sostiene
Socrate – insorgono di solito a causa di uno stile di vita intemperante,
e devono essere ev it at e p iu t t o s t o ch e c ur a te o fatte oggetto di
La tradizione medica 95

un’attenzione esagerata (vd. specialmente 405a-408e). Allo stesso modo,


la musica non è usata nella Repubblica per curare malvagità morali o
malattie psicologiche, e nulla di ciò che Socrate dice lascia intendere
che la musica possa essere efficace in tal senso. Scopo della musica è di
costruire anime virtuose e sane, non di riaggiustarle quando si sono
guastate. Allo stesso modo, per quanto il De victu sia un testo medico,
e si riferisca di tanto in tanto a pratiche curative, non è questo il suo
centro di interesse; il suo scopo primario è la formazione e il manteni-
mento di corpi sani e vigorosi: la p r ev en z i one contro infermità e
malattie, p iu ttos t o ch e la t er ap ia. Il medico e il musicista, ancora
una volta, cantano la stessa melodia.
96 Tra etica, psicologia e cosmologia: Aristotele e Platone
Musica, etica e anima nella Politica di Aristotele 97

PARTE III
TRA ETICA, PSICOLOGIA E COSMOLOGIA:
ARISTOTELE E PLATONE
98 Tra etica, psicologia e cosmologia: Aristotele e Platone
Musica, etica e anima nella Politica di Aristotele 99

V
MUSICA, ETICA E ANIMA
NELLA POLITICA DI ARISTOTELE

Altri due testi del IV sec. a. C. contengono importanti considera-


zioni sugli argomenti trattati finora, e ne affrontano principalmente le
implicazioni sociali, politiche ed etiche. Sono le Leggi di Platone – so-
prattutto i libri II e VII – e il libro VIII della Politica di Aristotele.
Sulle Leggi, che pure contengono molte interessanti riflessioni sulla
mimesi musicale, sui criteri in base ai quali la musica andrebbe valuta-
ta, su come andrebbe impiegata per rafforzare le tradizioni e i valori di
una comunità, e su molto altro ancora, non dirò nulla qui1. In questo
capitolo, tralasciando alcuni dettagli, mi soffermerò soprattutto su al-
cuni dei punti più significativi della Politica di Aristotele. Passerò poi a
considerare in che modo una questione da Aristotele posta ma non
risolta viene affrontata da un altro autore della tradizione aristotelica.
Platone e Aristotele sono gli unici autori del IV sec. a. C. delle
cui riflessioni su questi temi si sono conservate tracce consistenti; ma
nei loro testi leggiamo soltanto i resti frammentari di un dibattito che
dovette essere molto più ampio. Aristotele chiarisce infatti a più ripre-
se che le distinzioni filosofiche da lui tracciate non sono il risultato della
sua personale elaborazione, e che trattazioni più esaurienti degli aspetti
più squisitamente tecnico-musicali si possono trovare in altri autori.
Non si riferisce soltanto a Platone, che pure non cita esplicitamente: e
anzi, gli unici punti in cui allude certamente a Platone sono quelli nei
quali è in forte disaccordo con lui2. Neppure si riferisce a documenta-

1
Se ometto di parlare delle Leggi di Platone è perché, in questo libro, non
intendo affrontare tutti gli aspetti della speculazione dei Greci sulle funzioni etiche,
sociali ed educative della musica. Intendo invece studiare le idee sui rapporti tra la
musica e l’anima umana, e questi argomenti ‘psicomusicologici’ esulano dagli inte-
ressi principali delle Leggi.
2
Vd. specialmente 1342a32-b6; 1342b23-27. Un passo (1340a14-28) nel quale
Aristotele sembra in effetti mutuare dalla Repubblica sarà discusso più avanti.
100 Tra etica, psicologia e cosmologia: Aristotele e Platone

zione preplatonica, dal momento che definisce esplicitamente le sue fonti


come “contemporanee” (1341b27-29). Le divide in due gruppi: «i filo-
sofi che hanno studiato l’educazione musicale», da un lato, e «gli esperti
di musica» dall’altro3. È un peccato che non ne faccia i nomi. Molto
probabilmente fra questi c’erano tre dei suoi allievi e più giovani col-
leghi, il teorico della musica Aristosseno e i filosofi Teofrasto ed Era-
clìde Pontico, tutti noti per essersi occupati della materia. Non sarebbe
difficile rintracciare alcuni possibili collegamenti tra ciò che ci resta delle
loro opere e il pensiero del loro maestro. Ma ogni tentativo di identi-
ficare con sicurezza le fonti di Aristotele è comunque rischioso e dal-
l’esito incerto: bisogna infatti considerare che in questo periodo i pro-
blemi relativi al significato della musica, ai suoi effetti sugli esseri uma-
ni e alle sue potenzialità applicative nel campo dell’educazione furono
ampiamente discussi, e il dibattito coinvolse intellettuali di diversi orien-
tamenti: non si trattò soltanto di spunti originali e isolati di due pen-
satori fuori dal comune come Aristotele e Platone.
Nel suo Stato ideale, Platone ammette soltanto un numero molto
ristretto di harmoniai, ritmi e tipi di strumenti musicali. Al contrario,
Aristotele ritiene utile impiegare t u t t i i tipi di musica conosciuti nel-
la società del suo tempo, con tutte le risorse melodiche, ritmiche e or-
ganologiche. E questo non perché fosse in disaccordo con Platone a
proposito degli effetti della musica sul carattere umano nel contesto edu-
cativo – se non per un aspetto del tutto particolare. La ragione è inve-
ce che i suoi studi delle opere di altri filosofi e musicologi lo avevano
convinto che la musica ha significati e finalità importanti anche a l d i
f uo ri d ella sfer a d ell’ ed u caz io n e. In questo contesto dottrinale,
il tipo di musica, che potrebbe essere inutile o addirittura dannoso a
fini educativi, ha invece una parte importante nella vita dello Stato nel
suo complesso. E in effetti, per Aristotele la musica ha funzioni im-
portanti a quattro diversi livelli: riesce a procurare divertimento (pai-
dia); è un elemento che si adatta allo stile di vita (diagōgē) dei cittadini
liberi; in contesti educativi contribuisce in modo significativo a svilup-
pare un buon carattere (ēthos); e può produrre quel tipo di ‘purifica-
zione’ che libera l’anima dalle emozioni pericolose ed eccessive, e che
Aristotele, come è noto, chiama katharsis. Consideriamo brevemente
queste quattro funzioni una per una.
1. Aristotele sostiene che la paidia, il “divertimento”, l’“intratte-
nimento” o il “gioco”, non può costituire lo scopo primario della vita,

3
Per i riferimenti di Aristotele alle proprie fonti vd. Pol. 1339a26; 1340b6; b18;
b34; 1341b27-29; b33; 1342a31-32; 1342b8-9; b23-24.
Musica, etica e anima nella Politica di Aristotele 101

il suo telos (1337b). Secondo Aristotele, infatti, lo scopo della vita


deve consistere invece nella gestione delle attività adatte a occupare
il tempo libero (scholē), attività cioè che non si intraprendono per
necessità – per procurarsi da vivere, per esempio – ma che vale la
pena di coltivare per se stesse, e che solo in se stesse hanno il loro
fine, senza altri scopi immediati (1337b-1338a). Il divertimento non
rientra in questa categoria di attività, giacché ha luogo in stretta con-
nessione col lavoro (1337b38; 1339b15-17). Può suonare strano, ma
la terminologia qui adoperata da Aristotele sembra riecheggiare le
metafore della Repubblica: il lavoro comporta fatica e syntonia, “ten-
sione” o “intensità”; il piacere del divertimento ha valore solo in quanto
pone rimedio a questa tensione, recando anesis, “allentamento”, un
piacevole rilassamento fisico e psichico che conduce alla condizione
di riposo (anapausis). È questa una funzione che la musica può svol-
gere non soltanto per i «cittadini liberi ed educati», ma anche per quelli
che Aristotele considera rozzi e volgari (banausoi), anche quando le
loro anime sono troppo degradate per ricevere benefici dalla musica
ad altri e più sofisticati livelli. Questa concezione ha un’importanza
determinante sulla scelta dei tipi di pratica musicale da consentire
all’interno dello Stato. E infatti, giacché «ognuno ricava piacere da
ciò che è conforme alla sua natura», la musica che incontra i gusti di
questi individui dall’anima stravolta rispetto alla condizione natura-
le, è parimenti distorta: le harmoniai contengono «deviazioni» (pa-
rekbaseis) dai modelli canonici di organizzazione sonora, e le melo-
die sono «tese» (syntona) e «innaturalmente colorate» (parake-
chrōsmena). Questa musica alterata è dunque necessaria p e r s o d d i -
s f a r e l e a s p e t t a t i v e d e l l a f o r z a - l a v o r o , e non va bandita dal-
lo Stato, come invece aveva proposto Platone: deve però essere ri-
volta esclusivamente a queste folle volgari (1342a).
2. La seconda funzione della musica è pros tēn en tēi scholēi
diagōgēn, «indirizzare alla ricreazione intellettuale che si realizza nel-
l’ozio» (1338a21-22). Può risultare difficile comprendere con chiarezza
la distinzione tra questa seconda funzione e la prima, giacché anche in
questo caso l’esperienza musicale viene percepita come gradevole, e Ari-
stotele stesso non manca di metterlo in luce. Ma qui l’esperienza mu-
sicale è concepita come v alid a in s e s t es s a , in quanto elemento co-
stitutivo di un buon regime di vita, e non soltanto al pari di un mezzo
per ottenere risultati, come per esempio il rilassamento. A un certo
punto (1339a25-26), Aristotele arriva a connettere la musica con la
phronēsis, una forma di saggezza o intelligenza che ha una funzione
centrale nel quadro della sua concezione di un regime di vita eccellente
102 Tra etica, psicologia e cosmologia: Aristotele e Platone

dal punto di vista etico, e pienamente soddisfacente sul piano delle


aspettative personali del singolo. Aristotele sostiene che una ragione per
cui bisognerebbe insegnare ai fanciulli a suonare gli strumenti musicali
e a cantare è che questo addestramento fa acquisire loro l’abilità di cui
avranno bisogno, da adulti, per condurre una vita che possa essere la
migliore possibile, quella nella quale la natura umana raggiunge il suo
telos, la sua “perfezione”, il suo “compimento” (1339a31-33). Questo
esercizio non viene prescritto per abituarli fin da bambini a questo
tipo di vita (diagōgē): a quest’età sono infatti ancora imperfetti e in-
completi, e il telos non si addice a chi è imperfetto e incompleto
(1339a29-31). Né la loro pratica strumentale e canora in età infantile
deve essere intesa a renderli, una volta cresciuti, buoni esecutori pro-
fessionisti (1339a33-b9; 1341a-b): nessun cittadino dell’élite di cui Ari-
stotele parla, da adulto, canterà o suonerà uno strumento musicale – a
meno che, aggiunge, non sia ubriaco o non lo faccia per scherzo
(1339b10). L’esecuzione musicale implica destrezza e impegno fisico,
che a loro volta esigono un allenamento faticoso e rendono inadatti a
una vita sociale e raffinata. Si tratta di un’abilità manuale, come quelle
del fabbro, del muratore o del cuoco, ed è compito dei banausoi. Gli
uomini liberi trarranno certamente benefici dai prodotti dei banausoi,
ma non cercheranno di emulare le loro attività (1340b-1341b). La mu-
sica, prodotto artistico adatto a una fruizione raffinata, entra a far par-
te della diagōgē nella quale la natura umana dà il meglio di sé, e gli
individui di rango elevato saranno fruitori, non produttori di musica.
L’attività che più si addice loro è invece la contemplazione estetica e
intellettuale, strettamente legata alla contemplazione della verità, che
Aristotele, alla fine dell’Etica, rappresenta come il più alto grado di
perfezione raggiunto dalla natura umana. Ai fanciulli si deve tuttavia
insegnare a suonare strumenti musicali e a cantare, perché è «difficile o
impossibile», dice Aristotele, diventare un buon giudice di cose di cui
non si ha esperienza pratica, e l’esercizio svolto durante l’infanzia a c -
c r e s c e l e f a c o l t à c r i t i c h e che essi eserciteranno in seguito, da
membri di un pubblico raffinato e intelligente (1340b-1341a). Ma è
importante che il loro studio non superi il livello elementare; non deve
includere forme musicali che possano rendere rozza la loro anima, né
deve indurli a laboriosi esercizi che possano rendere il loro corpo ina-
datto alla normale attività di cittadino, in guerra come in politica. Non
devono dunque esercitarsi nei difficili virtuosismi dei musicisti profes-
sionisti – virtuosismi che, dice Aristotele, dai teatri si sono ora insi-
nuati nel sistema educativo – ma soltanto in quei fondamenti tecnici
che li possano mettere in grado di «apprezzare con competenza melo-
Musica, etica e anima nella Politica di Aristotele 103

die e ritmi nobili, e non solo la musica di consumo, della quale posso-
no godere anche alcuni animali e la massa degli schiavi e dei bambini»
(1341a14-17). Strumenti tecnicamente difficili come l’aulos e la kithara
andrebbero esclusi dalle scuole, e ai fanciulli si dovrebbero insegnare
soltanto quegli strumenti che possano aiutarli o nel campo stesso della
loro educazione musicale o in qualche altra materia (1341a): non c’è
dubbio che Aristotele pensasse in primo luogo alla lyra con la cassa
armonica ricavata dal guscio di tartaruga, normalmente in uso nelle
scuole ateniesi.
3. La terza funzione della musica è quella di concorrere allo s v i -
l up p o d i u n b u o n car at t er e. Aristotele ammette che la tesi se-
condo la quale essa è in grado di farlo non è universalmente condivisa,
e l’argomento che offre per corroborarla è uno dei pochi elementi del
suo discorso a mostrare una chiara dipendenza da Platone. La virtù,
dice Aristotele, è una disposizione ad amare e odiare le cose giuste. È
dunque fondamentale imparare a valutare correttamente il carattere e il
comportamento, e abituarsi ad apprezzare i caratteri buoni e le azioni
nobili. Ora, la musica è piacevole; e ritmi e melodie contengono «so-
miglianze», homoiōmata, con caratteri buoni e cattivi. Se dunque ac-
quisiamo la capacità di provare attrazione per alcune di queste somi-
glianze e repulsione per altre, saremo molto vicini a provare attrazione
e repulsione per gli elementi reali con i quali la musica mostra somi-
glianze, ossia i caratteri stessi, buoni o cattivi (1340a14-28). Questo ra-
gionamento richiama fortemente alla memoria Platone (specialmente
resp. III 401b-402a), sia per l’importanza data alla formazione di cor-
retti giudizi di valore, sia per l’uso della tesi secondo la quale melodie
e ritmi sono mimēseis o homoiōmata del carattere umano. La successi-
va affermazione di Aristotele, però, non è per nulla platonica: i pro-
dotti delle altre arti, che si apprezzano con gli altri sensi, compresa la
vista, non offrono, se non molto raramente, «imitazione di qualità
morali (homoiōma tois ēthesi)», come invece ne offre la musica; e in
ogni caso, dice Aristotele, si tratta di imitazioni vaghe e pressoché inin-
fluenti sullo sviluppo del carattere (1340a28-39). Rispetto alle altre arti,
la musica gode dunque per Aristotele di uno ‘statuto speciale’: s ol -
t an to la mu si ca p r o d u ce in f at t i im it a z i oni di qua l i tà mo-
r ali ch e so n o in g r ad o d i ag ir e s u l c a r a tte r e ; e ciò implica
che le altre arti non possono avere nell’educazione del carattere una
funzione comparabile con quella della musica, ed evidenzia, per con-
verso, l’importanza fondamentale che la musica deve avere nel conte-
sto educativo. A questo punto, è chiaro che dobbiamo cercare di sco-
prire quale fattore, secondo Aristotele, distingue la musica dalle altre
104 Tra etica, psicologia e cosmologia: Aristotele e Platone

arti, e consente a essa soltanto di configurare imitazioni (homoiōmata)


del tipo particolare che alle altre è precluso. Ma su questo argomento
tornerò più avanti.
Comunque sia, Aristotele afferma che le melodie contengono que-
ste «imitazioni», che chiama homoiōmata o anche, come Platone,
mimēmata (p. es. 1340a39). A suo dire, ciò è provato dal fatto che gli in-
dividui reagiscono in modi diversi alle diverse harmoniai. Dà poi una
breve lista di harmoniai e dei loro effetti emozionali: una lista in linea di
massima simile a quella di Platone, tranne per alcuni dettagli significati-
vi. Chi ascolta harmoniai come la mixolidia avverte pena e oppressione
(odyrtikōterōs kai synestēkotōs), mentre la reazione mentale ad harmo-
niai «rilassate» (aneimenas) è più «morbida» (malakōterōs tēn dianoian).
La dorica stimola un atteggiamento moderato e composto, che nessun’al-
tra harmonia è in grado di produrre, mentre la frigia rende gli individui
enthousiastikous, e ispira loro una sorta di frenesia religiosa (1340a-b).
Qui Aristotele diverge da Platone, per il quale la frigia è l’harmonia del-
la pacifica temperanza: e più avanti, diffondendosi sull’argomento (1342a-
b), lega la frigia col ditirambo, con le danze dedicate a Dionìso e con la
turbolenza emozionale della musica dell’aulos. In questa sezione Aristo-
tele attinge quasi certamente all’opera di Aristosseno, ma la sua conce-
zione collima con quasi tutte le altre fonti greche sulla musica frigia. In
relazione alla frigia, a essere inusuale e difficile da spiegare, è l’atteggia-
mento di Platone, non quello di Aristotele4.
Visto che le varie harmoniai, come anche i diversi ritmi (1340b),
producono sul carattere effetti così diversi, e non tutti questi effetti sono
desiderabili, è chiaro che delle diverse musiche si dovrà fare un uso
selettivo. Ma, contrariamente a Platone, Aristotele ritiene che tutte le
harmoniai, per un motivo o per l’altro, abbiano funzioni utili, e che
nessuna vada rifiutata del tutto. Ecco allora un problema che Platone
aveva potuto ignorare: Aristotele lo risolve permettendo che nel conte-
sto educativo vengano impiegate soltanto le harmoniai che formano un
buon carattere, e ritagliando per le altre delle nicchie in contesti diffe-
renti. In sostanza, i futuri cittadini si dedicheranno intensamente e pro-
lungatamente alla musica, eseguendola e imparandola a memoria, sol-
tanto nel corso del loro curriculum educativo. Ed è soltanto attraverso
questa prolungata immersione nella musica, e soltanto quando gli indi-
vidui sono giovani ed emozionalmente immaturi, che il loro carattere
subisce l’influsso di melodie e ritmi. In età adulta, i cittadini saranno

4
Sull’argomento la bibliografia è molto ampia: vd. in particolare GOSTOLI 1995,
PAGLIARA 2000 e TARTAGLINI 2001.
Musica, etica e anima nella Politica di Aristotele 105

soltanto ascoltatori, e ascolteranno musica soltanto occasionalmente e


per periodi relativamente brevi: questo basterà perché la musica assol-
va alle sue altre funzioni, evitando nel contempo che possa defor-
mare il carattere in modo irreversibile. Da queste considerazioni si
deduce l’assoluta necessità che i sensazionali virtuosismi dei musicisti
professionisti e gli strumenti che producono effetti sovvertitori sul piano
emozionale, come l’aulos, vengano esclusi dall’educazione, nella quale
possono determinare gravi danni sul piano etico, anche se sono in sé
perfettamente accettabili, e perfino utili se usati in contesti differenti
(1340b-1341b).
Sempre in tema di educazione etica, voglio richiamare l’attenzio-
ne su un altro aspetto della posizione di Aristotele, che tratterò più
ampiamente in seguito. Ho detto che in questo periodo la convinzione
che la musica è in grado di influenzare il carattere non era universal-
mente condivisa. Diversamente da Platone, Aristotele riconosce espli-
citamente l a p o s s ib ilit à d i co n t es t ar la (1339a41-42; 1340a5-6), e
in un brano di un ignoto autore del IV sec. a. C., conservato in un
frammento papiraceo, la fondatezza della tesi viene vigorosamente ne-
gata. Su questo testo si è scritto molto in tempi recenti, forse più di
quanto in realtà meritasse, e io non intendo aggiungere altre parole alle
molte gia dette da altri5. Mi interessa invece evidenziare un passaggio
dell’argomentazione di Aristotele relativo ad altri filosofi che al riguar-
do avevano già espresso i loro dubbi, e riservarlo come argomento di
analisi per il capitolo VII. La musica può influenzare il carattere, e
contiene in effetti dei mimēmata tōn ēthōn, dice Aristotele; e aggiunge
che ciò è reso chiaro (phaneron) dai diversi e ffe tti delle varie harmo-
niai (1340a38-40), che abbiamo appena delineato. Ma gli effetti che
procede a descrivere non sembrano provare nessuna di queste asser-
zioni. Si riferisce infatti alle r eaz io n i em oz i ona l i i mme di a te de-
gli ascoltatori alle melodie basate sull’harmonia di volta in volta nomi-
nata, un senso di dolorosa afflizione come reazione all’ascolto della
mixolidia, per esempio. Ma è difficile accettare senza ulteriori spiega-
zioni che un fattore che d et er m in a u n ’ em oz i one di un certo tipo
è anche capace di alterare il carattere di un individuo – di alterar-
lo, presumibilmente, rendendolo particolarmente vulnerabile a emozioni
di quel tipo – ed è ancora meno accettabile che quel fattore sia i mi ta -
zio n e d i u n tale car at t ere 6 . Teofrasto, discepolo e successore di

5
Si tratta del PHibeh I 13. Due esaurienti contributi, con ampia bibliografia,
sono quelli di AVEZZÙ 1994 e LAPINI 1994.
6
Per una diversa interpretazione di questa distinzione, vd. HALLIWELL 1999,
specialmente pp. 20-21.
106 Tra etica, psicologia e cosmologia: Aristotele e Platone

Aristotele, per esempio, accoglieva senz’altro l’idea che la musica è stret-


tamente connessa con l’emozione, ma a quanto pare rifiutava le con-
clusioni di Aristotele sugli effetti della musica sul carattere. È certa-
mente possibile ritenere che a queste conclusioni abbia aperto la strada
la dottrina di Platone da me esposta nei capitoli precedenti, ma è del
tutto evidente che di questa dottrina Teofrasto non aveva subito l’in-
flusso. Come vedremo nel capitolo VII, sul valore psicologico della
musica l’impostazione di Teofrasto portava a concezioni completamente
diverse da quelle di Platone, e almeno in certa misura diverse anche da
quelle di Aristotele.
4. Passiamo ora a considerare la quarta delle funzioni che Aristo-
tele assegna alla musica. Alcuni filosofi, dice Aristotele, hanno distinto
tre tipi di melo d ie, che egli chiama ēthika, praktika e enthousiastika,
e hanno individuato le harmoniai appropriate a ciascuno di essi. Spiega
poi come va usato ogni tipo di melodia. Le melodie e le harmoniai
“etiche”, quelle cioè che sono capaci di migliorare il carattere degli
individui, trovano posto nell’educazione. Chiamando praktika le me-
lodie del secondo tipo, probabilmente intende dire, come in un passo
della Poetica (1460a1), che esse sono adatte alla rappresentazione mi-
metica dell’azione; stranamente, queste melodie sono assegnate sia alla
prima funzione della musica, quella di produrre divertimento e rilassa-
mento, sia alla seconda, come componenti dello stile di vita del cittadi-
no libero. Alle melodie chiamate “estatiche” o “ispiratrici”, enthousia-
stika, Aristotele assegna una funzione di cui non abbiamo ancora par-
lato: esse producono la purificazione emotiva, katharsis (1341b32-
1342a4).
In questa pagina della Politica Aristotele dice piuttosto poco della
katharsis, promettendo di spiegare più ampiamente il concetto nella
Poetica. In realtà, poi, il passo che, sull’argomento, si legge nella ver-
sione della Poetica giunta fino a noi è anch’esso molto breve ed enig-
matico (poet. 1449b27-28), molti aspetti della sua interpretazione sono
controversi, e non ho intenzione di avventurarmi in questo vespaio fi-
lologico. Per quanto ci interessa qui, l’indicazione data nella Politica,
anche se sintetica, è abbastanza chiara. Innanzi tutto, Aristotele sostie-
ne che queste melodie estatiche, analogamente a quelle descritte come
praktika, non debbono essere eseguite direttamente dai cittadini liberi.
Vanno invece impiegate pros akroasin heterōn cheirourgountōn; posso-
no avere cioè utili effetti se le ascoltiamo es e g ui te da a l tr i , non da
noi stessi (1342a3-4). E il loro uso può essere efficace come te r a pi a
per le emozioni troppo intense: l’esecuzione di melodie che suscitano
l’estasi dell’anima (hotan chrēsōntai tois exorgiazousi tēn psychēn mele-
Musica, etica e anima nella Politica di Aristotele 107

si), sostiene Aristotele, libera le emozioni degli individui ‘posseduti’ da


questi turbamenti, sicché essi vengono purificati e alleggeriti del loro
peso (1342a7-15). A quanto pare, l’idea è che questa musica induce nel-
l’anima un’attività che libera queste emozioni trattenute e le fa esaurire
in modo inoffensivo. Delle passioni suscitate da questa musica si ha
esperienza soltanto nel momento in cui questa musica agisce su quelli
che la ascoltano in teatro; le passioni si esauriscono lì senza tradursi in
azioni potenzialmente dannose, e gli ascoltatori lasciano la platea emo-
zionalmente purificati e pacificati. Nessuna musica di questo tipo deve
essere usata nell’educazione: se i fanciulli la eseguissero, o se vi fossero
esposti per lunghi periodi di tempo, il loro carattere potrebbe esserne
danneggiato. Così, quando Aristotele, in un passo famoso, osserva che
l’aulos non è uno «strumento etico», un ēthikon organon, non intende
dire che non ha effetti sul carattere, o che è immorale, ma che ha una
funzione differente. Come spiega subito dopo, è uno strumento orgia-
stikon, «che induce l’estasi», e deve essere usato nelle occasioni in cui
l’esperienza del pubblico conduce alla katharsis piuttosto che al-
l’«apprendimento», mathēsis (1341a18-24). Più o meno lo stesso vale
per la musica frigia, con la quale l’aulos è strettamente connesso, e sulla
quale Aristotele è in forte disaccordo con Platone (1342a-b).
Il testo di Aristotele è straordinariamente ricco, e in quest’esposi-
zione ne ho tralasciato molti aspetti che varrebbe la pena di considera-
re attentamente: certamente i lettori interessati all’argomento lo studie-
ranno per conto proprio con molta cura. Per completare questo capi-
tolo vorrei riprendere soltanto uno dei punti che ho menzionato prima
e riservato per un ulteriore approfondimento.
Aristotele afferma che la musica contiene «somiglianze» o «imita-
zioni» dei caratteri, e che nessun altro oggetto di percezione ne contie-
ne, o meglio, non in misura significativa. Per gli oggetti del gusto e del
tatto, dice Aristotele, la cosa è del tutto evidente, ma sarebbe certa-
mente possibile pensare che le cose che vediamo, gli oggetti della vista,
sono in grado di imitare il carattere esattamente come lo imita la mu-
sica. Aristotele ammette che le posizioni dei danzatori (schēmata) pos-
sano agire in questo senso, ma solo in piccola misura: e non tutti, so-
stiene, sono dotati della capacità percettiva necessaria per rendersene
conto. In ogni caso, continua, nelle figure di danza o nelle sculture noi
in realtà non vediamo affatto somiglianze col carattere. Si tratta soltan-
to di puri e semplici «segni», sēmeia, del carattere (1340a33). A quanto
pare, vuol dire che le posizioni e le figure e i colori che queste imma-
gini ci mostrano non sono simili ai vari tipi di ēthos; è soltanto l a n o -
s tra esp erien za s en s o r iale che ci induce ad associare tra loro ma-
108 Tra etica, psicologia e cosmologia: Aristotele e Platone

nifestazioni sensibili di questo tipo a tipi specifici di caratteri, ma in


realtà si tratta di elementi sostanzialmente diversi. Potremmo, per esem-
pio, interpretare una faccia rossa come “segno” di un temperamento
caldo, ma è evidente che questa non è una “somiglianza” o una “imi-
tazione” di esso (1340a28-39)7.
Tutto ciò è in forte contrasto con le opinioni espresse da Platone,
che trova mimēmata ēthous, «imitazioni del carattere» nei prodotti di
molte arti, incluse perfino l’arte del ricamo e la tappezzeria (resp. 401a).
Se la posizione di Aristotele è plausibile, bisogna ammettere che le
composizioni musicali godono di uno statuto del tutto differente da
quello dei dipinti, delle sculture, dei ricami o di altri prodotti artistici
che si offrono alla vista, sicché dànno vita a un tipo di imitazione del
carattere che segue vie e modalità del tutto inaccessibili alle altre arti.
Aristotele non si diffonde a spiegare in che cosa la musica si di-
stingua dalla pittura e dalla scultura, e in virtù di quale sua prerogativa
possa, a differenza di esse, imitare l’ēthos. Un interessante supplemen-
to alle annotazioni di Aristotele ci viene dal testo di un autore ignoto,
che parte da posizioni teoriche simili. Lo leggiamo in uno dei Proble-
mi pseudoaristotelici, una raccolta di scritti messa insieme in un perio-
do tardo della storia del Liceo, probabilmente nel corso di molti anni
e da un gran numero di autori differenti8. All’interno del libro XIX
dei Problemi, interamente dedicato ad argomenti musicali, il Problema
27 solleva la questione del perché gli udibili siano gli unici oggetti di
percezione sensoriale a contenere ēthos. Nel corso della trattazione
emerge che l’autore pensa proprio alla musica, non ai suoni in genera-
le, sicché la questione è precisamente quella per la quale stiamo cer-
cando una risposta: perché il carattere etico si può trovare soltanto in
musica e in nessun’altra manifestazione che si offre ai nostri sensi?
L’autore continua dicendo che nessun colore, odore o sapore ha
ēthos, ma ha ēthos soltanto l a m elo d ia, anche senza parole. La ra-
gione sarebbe che solo la musica contiene movimento, kinēsis. L’autore
intende dare a quest’affermazione un significato ben preciso. Ogni
percezione sensoriale, infatti, comporta kinēsis di qualche tipo; il colo-

7
Sul passo, vd. l’utile discussione di HALLIWELL 1999, pp. 14-21. Ci sono affi-
nità tra le distinzioni di Aristotele e una ricavabile da Tolemeo (Harm. 93, 11-94, 1
Düring), secondo la quale soltanto due sensi, la vista e l’udito possono percepire la
bellezza (to kalon). Ma la distinzione non è precisamente la stessa, e si fonda su una
base del tutto differente.
8
A me, tuttavia, pare molto probabile che il nucleo del libro XIX, che contie-
ne il brano che ci interessa qui, sia stato composto alla fine del IV sec. a. C., quando
Aristotele era ancora in vita, o pochissimo tempo dopo.
Musica, etica e anima nella Politica di Aristotele 109

re, per esempio, stimola e ‘muove’ l’organo della vista così come il suono
produce un movimento nell’organo dell’udito. Ma il nostro autore dice
che non è questo il movimento a cui pensa. Intende invece riferirsi al
«movimento che segue un tale suono». In sé e per sé, la frase è enig-
matica, ma il senso diventa subito chiaro; qui il movimento consiste
nel susseguirsi di elementi, l’uno dopo l’altro, me ntr e un br a no di
musica si dispiega nell’esecuzione: è la sequenza delle sue com-
ponenti ritmiche, e l’ordine, taxis, secondo il quale note basse e note
alte vengono organizzate in una successione temporale. In generale,
ascoltando un brano di musica noi non lo percepiamo come una serie
sconnessa di eventi isolati, ma come qualcosa di dinamico e in movi-
mento, che fluisce nel tempo. Lo percepiamo come musica solo quan-
do ci concentriamo su di esso come su un organismo che esiste nel suo
progressivo movimento da un suono all’altro, e che impiega un perio-
do di tempo per giungere a compimento9; se, al contrario, ci concen-
triamo su ognuna delle note come oggetto isolato e statico, che esiste
compiutamente in un singolo istante, come una statua o un dipinto,
noi non lo stiamo percependo come musica, ma solo come suono. L’au-
tore dice che le melodie diventano somiglianze, homoiōmata, del carat-
tere, in quanto consistono in movimenti di questo tipo; e nega una
possibilità alternativa, che cioè il carattere della musica si origini dalla
mixis, «mescolanza», ossia dalla combinazione di suoni prodotti simul-
taneamente. Combinazioni di questo tipo, sostiene, non hanno affatto
“carattere” in questo senso, presumibilmente perché non sono “movi-
menti” del tipo in questione.
E allora, quale elemento dello specifico tipo di movimento di una
melodia le conferisce il suo carattere etico, o le consente di contenere
“somiglianze” di ēthos? La spiegazione dell’autore è molto breve. «Que-
sti movimenti (kinēseis)», dice, «sono praktikai, e le azioni (praxeis) sono
sēmasia (segno o espressione) di ēthos». Quest’affermazione si può spie-
gare in due modi, a seconda di come intendiamo l’aggettivo praktikai.
Dicendo che i movimenti di una melodia sono praktikai, l’autore po-
trebbe voler dire che essi ci spingono all’azione, visto che gli aggettivi
con suffisso ‘-ikos’ hanno normalmente un significato causativo;
kinētikos, per esempio, significa normalmente “che genera movimen-
to”, “che induce movimento”, e così via. Ma in questo contesto, que-
sta possibilità non ha molto senso. Dire che la melodia spinge i suoi
ascoltatori all’azione, e che le azioni sono espressione di ēthos, impli-

9
Su questo cf. Aristox. El. harm. 38, 27-39, 3 (48, 11-18 Da Rios); Ps. Plut.
De mus. 1143F-1144C.
110 Tra etica, psicologia e cosmologia: Aristotele e Platone

cherebbe la presenza di ēthos solo negli ascoltatori spronati all’azione,


e non potrebbe dimostrerare né spiegare la sua presenza nella melodia
stessa. Più probabilmente, io credo, l’autore usa il termine praktikos
nell’usuale accezione aristotelica, per riferirsi cioè a qualcosa che sia
espressione o imitazione di un’azione. Il Problema 29 di questo stesso
libro, che considera la medesima questione, dice qualcosa di molto si-
mile: le melodie sono movimenti, proprio come le azioni. I movimenti
delle melodie, dunque, sono concepiti come partecipanti alle qualità
dinamiche e alla struttura temporale delle azioni, e così vengono a es-
sere “somiglianze” o “imitazioni” di esse. In questo caso si capisce
perché le melodie, allo stesso modo delle azioni stesse, vengano tratta-
te come “indicazioni” o “espressioni” di ēthos.
Volendo, sarebbe facile trovare dei difetti in questo ragionamen-
to, ma non vedo motivi per farlo. Ciò che importa è la nozione di
mo vimen to m elo d ico in quanto essenziale alla funzione imitativa
ed etica della musica e in quanto fattore che la distingue dagli altri pro-
dotti artistici, come dipinti e sculture. L’immagine della melodia come
qualcosa che segue un percorso è molto antica: nella tradizione poetica
la si può rintracciare a partire da Omero, e appare più di una volta in
Pindaro. Filosofi e scienziati, tuttavia, ne fecero poco uso fino al tardo
IV sec. a. C., quando venne a occupare una posizione centrale nella
musicologia di Aristosseno10; e la musica è identificata col movimento
da Teofrasto, anche se in un modo piuttosto differente, come vedremo
nel capitolo VII. In contesti filosofici, dunque, questo modo di pensa-
re la musica sembra caratteristico della generazione successiva ad Ari-
stotele; e l’autore del Problema 27 impiega questo sviluppo concettuale
postaristotelico per gettare luce su un fenomeno che Aristotele stesso
non aveva adeguatamente spiegato.
Il passo è interessante anche per un altro verso. Come ho messo
in evidenza, nella Repubblica di Platone sono le harmoniai che stanno
alla base delle melodie, e non le melodie stesse, a essere mimēseis ēthōn:
gli elementi comuni alla musica e al carattere umano sono s tr uttur e
o mo d elli d i o r g an iz z az io n e, senza riferimento alla particolare
sequenza temporale dei suoni. Nella Politica di Aristotele la posizione
è del tutto diversa: sono le melodie a essere esplicitamente descritte come
contenenti imitazioni del carattere (1340a18-19; 38-39), e nonostante che
differenti caratteri siano associati anche a varie harmoniai, Aristotele
non chiama “imitazioni” o “somiglianze” le harmoniai stesse. Dice
infatti che i filosofi che distinguono i tre tipi principali di melodia –

10
Per es. El. harm. 8, 13-10, 10 (13, 7-15, 5 Da Rios).
Musica, etica e anima nella Politica di Aristotele 111

l’”etica”, la “pratica” e l’”estatica” – hanno anche individuato le har-


moniai più adatte a ognuno di questi tipi melodici (1341b32-36). Spe-
cifiche harmoniai, dunque, forniscono una base migliore di altre per
ogni determinata classe di melodie, ma è ne l l e me l odi e s te s s e , e
non n elle stru t t u r e ch e n e s o n o alla ba s e , che esistono “so-
miglianze” col carattere umano. Il Problema 27 sembra muovere un
altro passo avanti rispetto al modello platonico. Non menziona nep-
pure le harmoniai o altri tipi di strutture statiche; e il ruolo predomi-
nante assegnato, nella sua spiegazione dell’ēthos musicale, al movimen-
to melodico, assicura che le harmoniai, in quanto sistemazioni di ele-
menti considerati senza riferimento all’organizzazione di essi in una se-
quenza temporale, non possono in alcun modo contenere somiglianze
col carattere. Emerge dunque che questo sforzo di dare alla musica una
posizione speciale tra le arti, come l’unica i cui prodotti contengono
somiglianze col carattere umano, procede di pari passo col di s ta c c o
d a l l ’ a n a l i s i p l a t o n i c a d e l l ’ ēt h o s m u s i c a l e i n t e r m i n i d i
s tru ttu ra fo rmale. Se a indurre questi teorici ad assegnare alla mu-
sica il suo status eticamente privilegiato fu il loro rifiuto del formali-
smo platonico, o se fu la loro concezione della musica a indurli a rifiu-
tare il formalismo platonico, semplicemente non lo so: è un bel pro-
blema, che sono felice di lasciar risolvere ad altri.
112 Tra etica, psicologia e cosmologia: Aristotele e Platone
Musica e cosmo: il Timeo di Platone e la matematica dell’anima 113

VI
MUSICA E COSMO: IL TIMEO DI PLATONE
E LA MATEMATICA DELL’ANIMA

Su alcuni aspetti della trattazione di Aristotele torneremo nel


capitolo VII; ma prima di allontanarci troppo da Platone voglio sof-
fermarmi ora su un altro versante del suo pensiero, lungo il quale
l’esame delle relazioni tra la musica e l’anima viene condotto a un
livello molto più astratto, sulla base di concetti matematici e meta-
fisici che sembrano assai distanti dagli argomenti del libro III della
Repubblica. In effetti, però, considerando la prospettiva globale della
Repubblica, e il più ampio contesto degli scritti della maturità di Platone,
tra le due vie di ricerca – quella metafisica e quella pragmatica – c’è
un rapporto di reciproca contiguità. Le proposte per l’educazione
intellettuale dei filosofi contenute nel libro VII della Repubblica, e le
riflessioni metafisiche svolte nei libri VI e VII e nel Timeo (sulle quali
ultime soprattutto ci soffermeremo in questo capitolo), consentono
di comprendere più a fondo il quadro delineato nei libri iniziali della
Repubblica, e di spiegare molti punti che erano rimasti oscuri.
Dobbiamo cominciare però dai primi Pitagorici, e la loro pre-
senza incomberà come un fantasma su questo capitolo dall’inizio alla
fine, anche se pochissimo aiuto si può ricavare dalle testimonianze
attendibili sulle attività e sulle teorie di Pitagora (sec. VI a. C.) e dei
suoi successori (secc. V e IV a. C.). Il ‘pitagorismo’ che noi cono-
sciamo dalle testimonianze di autori di età romana, i quali lo presen-
tano come registrazione fedele di idee elaborate nelle fasi più antiche
della tradizione, è in effetti un’entità concettuale molto più tarda,
largamente basata su reinterpretazioni del pensiero di Platone: il ri-
sultato essenziale delle più recenti ricerche sull’argomento è che sul
pitagorismo antico non va dato credito alle fonti successive ad Ari-
stotele, tranne nei casi in cui ragioni cogenti non spingano a consi-
derarle attendibili. In generale, dovremmo partire dall’assunto che
114 Tra etica, psicologia e cosmologia: Aristotele e Platone

attendibili non siano1. Anche quando il contenuto di un testo tardo


può essere fatto risalire a una fonte di IV sec. a. C., possono esserci
legittimi dubbi sul suo valore in quanto testimonianza. Già gli im-
mediati successori di Platone, Senocrate e Speusippo, cominciarono a
produrre elaborazioni concettuali nelle quali concezioni platoniche e
concezioni pitagoriche erano inestricabilmente intrecciate tra loro, e
che – da un punto di vista storico – condussero a gravi fraintendi-
menti sull’attività dei primi Pitagorici, e, in definitiva, anche sul ‘pi-
tagorismo’ di età romana. Gli scritti (ora perduti) di Aristosseno sui
Pitagorici, dai quali derivano molte testimonianze più tarde, sembra-
no il prodotto di un’interpretazione del tutto personale: nella sua
ricostruzione della storia della filosofia, Aristosseno presenta Pitago-
ra come un saggio venerando, e nega ogni originalità a Platone e a
Socrate, assegnando loro il ruolo di plagiari e ciarlatani.
Fortunatamente, per i nostri scopi non occorre tentare un’esposi-
zione completa del pensiero pitagorico più antico, o dello stile di vita
adottato dai suoi adepti. I temi pitagorici che ci interessano qui, e che
siamo in grado di definire con un ragionevole grado di affidabilità, si
possono riassumere in quattro punti.
1. Noi sappiamo che nel V sec. a. C. le concezioni pitagoriche
dell’ordine dell’universo erano connesse con la musica e col numero.
Nella formulazione di Aristotele, la connessione assume i connotati di
un’id en tità: «l’universo nel suo complesso è harmonia e numero»
(Metaph. 986a2-3). Nella dottrina di Filolao, un pitagorico del tardo V
sec. a. C. della cui opera non rimangono che pochi frammenti2, har-
monia è il p rin cip io o r d in at o r e che presiede alla conciliazione e
alla composizione delle due principali categorie di elementi costitutivi
dell’universo, quelli che “limitano” e “determinano”, e quelli che ven-
gono da essi “limitati” o “determinati”. Non sappiamo esattamente quali
siano i “limitanti” e quali i “limitati”, ma è ragionevole congetturare
che tra questi ultimi si possano annoverare temperatura, dimensione e
intonazione musicale, in quanto in se stessi indeterminati, e che invece
i “limitanti” siano fattori che, per così dire, ne arrestano il continuum
in punti definiti, per dar luogo a gradi termici, misure e suoni ben de-
terminati. Il principio di harmonia assicura che “limitanti” e “limitati”
siano coerentemente e ordinatamente connessi, a formare entità stabili
in un cosmo ben equilibrato.

1
Su questo, vd. specialmente BURKERT 1972 (1962); KAHN 2001.
2
Il più importante di tutti è il fr. 6. Per una discussione, vd. in particolare
KIRK-RAVEN-SCHOFIELD 1983 e HUFFMAN 1993.
Musica e cosmo: il Timeo di Platone e la matematica dell’anima 115

2. Il secondo punto è collegato più strettamente alla teoria musi-


cale, e mette in evidenza uno dei modi in cui, nella teoria dei Pitagori-
ci, harmonia e numero sono inestricabilmente connessi l’uno all’altra.
Il tratto distintivo del tipo di analisi musicale adottato dai Pitagorici è
la rappresentazione dei rapporti tra le intonazioni come r a ppor ti tr a
nu meri, e precisamente tra numeri interi. Nelle fonti del IV sec. a.
C., a partire dal pitagorico Archita, i suoni sono concepiti come mo-
vimenti impressi all’aria, e le loro intonazioni come valori misurabili
di una proprietà, quantitativamente variabile, del movimento. Questa
proprietà variabile può essere intesa come velocità o forza, o come fre-
quenza con la quale gli impulsi si susseguono gli uni agli altri attraver-
so il mezzo di propagazione: frequenza determinata dalla maggiore o
minore rapidità degli impulsi impressi all’aria da un corpo oscillante
come la corda di uno strumento musicale3. Nonostante queste velocità
o frequenze non potessero essere misurate singolarmente con precisio-
ne assoluta (misurazione che noi moderni siamo invece in grado di fare,
e sulla cui base abbiamo stabilito di assegnare alla nota La3 la frequen-
za di 440 oscillazioni al secondo), i Pitagorici furono in grado di indi-
care con sicurezza i rapporti tra esse, almeno nei casi musicalmente più
significativi. Il rapporto matematico corrispondente all’ottava è 2:1 (vale
a dire che la velocità o la frequenza oscillatoria degli impulsi che deter-
minano l’intonazione del più acuto dei due suoni che delimitano un
intervallo di ottava sono doppie rispetto a quelle che determinano il
suono più grave). Il rapporto matematico di una quinta giusta è 3:2,
quello di una quarta giusta è 4:3.
Che nel V sec. a. C. simili teorie sulla natura e sull’origine del
suono e dell’intonazione abbiano avuto una certa diffusione è possibi-
le, ma è certo che i rapporti matematici fondamentali erano già noti:
anche senza considerare le testimonianza più tarde, li ritroviamo nel fr.
6 di Filolao. Non possiamo però sapere con certezza come si giunse
alla loro formulazione. Si ritiene comunemente che alla base di essa ci
fosse la semplice osservazione del comportamento di un’unica corda in
tensione. Se una corda viene pizzicata, produce un suono: e se, me-
diante un attrezzo simile al ponticello di uno strumento musicale, se
ne accorcia della metà la lunghezza vibrante, il suono prodotto sarà
un’ottava esatta più acuto di quello prodotto dalla corda intera. Proce-
dimenti simili conducono alla definizione dei rapporti matematici rela-
tivi alla quinta giusta e alla quarta giusta. Bisogna tuttavia ammettere

3
Vd. per es. Archyt. fr. 1 (47 B 1 D.-K.); Plat. Tim. 80a-b; Arist. De anima
419b-420b; Ps. Eucl. Sect. can. 148, 3-149, 24 Jan.
116 Tra etica, psicologia e cosmologia: Aristotele e Platone

che, di questa tecnica, le nostre fonti più antiche sull’argomento non


parlano: si concentrano invece esclusivamente sulle proprietà di stru-
menti a fiato o di dischi metallici di diverse dimensioni4, e la più antica
testimonianza superstite relativa allo strumento più adatto a dimostra-
re questi rapporti, il kanōn a una sola corda o monocordo, risale alla
fine del IV sec. a. C.5
3. Comunque sia, quest’approccio assicurò ai Pitagorici una t e r-
min o lo gia precisa, chiara e oggettiva per poter esprimere i rapporti
fra le intonazioni dei suoni. Ma consentì anche molti altri progressi.
L’ottava, la quinta e la quarta sono gli intervalli fondamentali della strut-
tura musicale greca, e definiscono i contorni basilari di tutti i più co-
muni modelli di accordatura (harmoniai). Di tutti gli intervalli all’in-
terno dell’estensione di un’ottava, sono gli unici a possedere la pro-
prietà che i Greci chiamavano symphōnia, “consonanza”, in virtù della
quale l’esecuzione simultanea di coppie di suoni che stiano tra loro in
questi rapporti, e non in altri, produce nell’ascoltatore una piacevole
sensazione di mescolanza e di fusione in un’unità sonora omogenea6.
La capacità di integrare elementi differenti in una struttura musicale
coerente, come anche la notevole prerogativa di riunire note acute e
gravi in un tutto organico e unitario, conferiscono a que s ti r a ppor ti
uno statuto molto speciale all’interno del pensiero teorico-musicale
greco, e impressionarono fortemente i teorici pitagorici, ai cui occhi ap-
parvero straordinarie e profondamente significative. A quanto pare,
dunque, i rapporti numerici che rappresentano matematicamente le
consonanze musicali hanno una caratteristica che conferisce loro lo
straordinario potere di riunire elementi disparati in un tutto armonio-
so: un potere che i rapporti numerici corrispondenti ad altre relazioni
musicali meno significative posseggono senz’altro in misura minore.
Le più importanti relazioni tra i suoni, quelle che stanno alla base
delle strutture musicali, non sono dunque di natura specificamente
musicale, ma m at em at ica. È ragionevole, quindi, pensare che la loro
proprietà ordinativa e armonizzante abbia la medesima efficacia anche
i n amb iti d iv er s i d a q u ello m u s icale . Lo statuto speciale della

4
Questo è vero per Archyt. fr. 1, per esempio; vd. anche Theon Smyrn. 59, 4-
21 e Schol. Plat. Phaed. 108d4. Ci sono molti altri paralleli in autori più tardi.
5
Duris FgrHist 76 F 23. La più completa e chiara descrizione del monocordo
e dei suoi usi è negli Harmonica di Tolemeo, vd. specialmente I 8; II 12-13.
6
Sulla consonanza come “mescolanza”, “fusione”, vd., per es., Plat. Tim. 80b,
Arist. De sensu 448a (cf. 447a-b), Ps. Eucl. Sect. can. 149, 17-20 Jan. Sulle ampiezze
degli intervalli consonanti, vd. per es. Aristox. El. harm. 19, 30-21, 19 (25, 5-27, 13
Da Rios).
Musica e cosmo: il Timeo di Platone e la matematica dell’anima 117

musica nel contesto del pensiero pitagorico deriva, almeno in parte, dal
semplice fatto che le relazioni matematiche all’origine della coerenza e
della bellezza della musica possono essere individuate piuttosto facil-
mente, mentre è molto meno diretto, per esempio, l’accesso ai modelli
di ordinamento che regolano il movimento delle stelle, le relazioni
tra le parti di un corpo sano o tra gli elementi costitutivi – quali che
siano – di un’anima virtuosa e felice. Tuttavia, una volta definite le strut-
ture matematiche che presiedono alle intonazioni musicali, il salto spe-
culativo che le t r as f er is ce in ambiti differenti, e conduce quasi im-
mediatamente a concezioni dell’“armonia” cosmica o psichica basate
sugli stessi rapporti matematici – o sistemi di rapporti matematici – è
irresistibile. Il prodotto più noto di questa linea di pensiero è il con-
cetto di “armonia delle sfere”, che è rimasto l’elemento chiave nell’astro-
nomia scientifica per più di duemila anni, raggiungendo il culmine del-
la sofisticazione nella magnifica Harmonice Mundi di Johannes Kepler,
all’inizio del Seicento7.
4. Le testimonianze in nostro possesso fanno ritenere che la co-
noscenza dei tre rapporti fondamentali e l’interesse per il loro signifi-
cato possono anche risalire a Pitagora in persona. È molto probabile
che i Pitagorici più antichi fossero anche in grado di fare il semplice
calcolo aritmetico che mostra come l’intervallo che costituisce la diffe-
renza tra una quinta giusta e una quarta giusta è rappresentato dal rap-
porto 9:8; e anche questo intervallo, che è noto come “tono” (tonos o
toniaion diastēma), ha una funzione importante nell’analisi musicale dei
Greci. Non abbiamo notizia, invece, di tentativi di definire matemati-
camente la struttura di u n ’ a c c o r d a t u r a c o m p l e t a ( h a r m o n i a ) ,
prima d egli ult im i an n i d el V s ec. a . C . , quando Filolao de-
scrisse un sistema musicale molto lineare dell’estensione di un’ottava
(fr. 6). Anche in questo caso, però, gli unici rapporti matematici indi-
viduati sono quelli delle tre consonanze primarie e del tono; e sebbene
Filolao riconosca che il sistema da lui descritto comprende anche un
altro intervallo, più piccolo del tono (da lui chiamato diesis), non ne
indica il rapporto matematico. (Questo rapporto, noto a Platone8, è
256:243, ed è molto meno semplice di quelli relativi agli altri interval-
li.) Tra le descrizioni matematiche veramente complete di schemi di
accordatura (harmoniai), le più antiche a essersi conservate sono quelle
di Archita, contemporaneo e amico di Platone9.

7
Per una traduzione inglese, vd. KEPLER tr. AITON e altri 1997, e cf. FIELD 1988.
8
Vd. Plat. Tim. 36b.
9
Le divisioni armoniche di Archita sono registrate da Tolemeo (Harm. I 13,
con ulteriori commenti in I 14).
118 Tra etica, psicologia e cosmologia: Aristotele e Platone

Negli strati più antichi della teoria musicale pitagorica c’è un al-
tro vuoto significativo. Sembra che i primi Pitagorici fossero molto
impressionati dalla semplicità dei tre rapporti matematici fondamenta-
li: in essi compaiono, in sequenza, soltanto i primi quattro numeri, che,
dovunque si trovino, presiedono a forme armoniose di ordine, e la cui
somma è il numero perfetto 10 (1+2+3+4=10)10. Ma, a quanto pare,
queste proprietà dei rapporti musicali – proprietà che noi diremmo
‘strettamente matematiche’ – n o n d iv en ne r o uno s pe c i fi c o og -
getto d i stu dio in am b it o m u s icale fi no a l I V s e c . a . C . ,
ancora una volta nell’opera di Archita; e i più antichi tentativi di indi-
viduare i principi di tipo ‘strettamente matematico’ che governano le
strutture musicali in quanto tali, e le distinguono dalle sequenze casua-
li di suoni, si basarono appunto sulla dottrina delle tre medie matema-
tiche – corrispondenti a tre forme di proporzione matematica – elabo-
rata da Archita11.
A questo punto, possiamo dedicarci all’argomento principale di
questo capitolo. Nel libro VII della Repubblica Socrate descrive le cin-
que discipline matematiche che i futuri filosofi, staccati dal mondo
confuso dei sensi, devono padroneggiare per abituarsi al pensiero astrat-
to e per muovere i primi passi verso la comprensione della verità e del
bene. Per il raggiungimento di questo scopo finale, il possesso delle
scienze matematiche non basterà: sarà necessario anche un superiore
livello di esercizio nella pratica dell’argomentazione filosofica, che Pla-
tone chiama “dialettica”. Le discipline matematiche, tuttavia, sono un
preliminare essenziale alla dialettica, e non solo per il loro carattere
astratto e per la loro proprietà di indurre norme di ragionamento rigo-
roso. L’altra loro caratteristica, che più pressantemente le raccomanda,
è che se vengono coltivate nel modo giusto, le conclusioni alle quali
conducono, oltre a essere vere, sono anche utili alla comprensione del
bene, che rappresenta appunto l’obiettivo finale. Questo punto è tal-
volta trascurato, eppure merita di essere messo in evidenza. Le acqui-
sizioni raggiunte grazie alla matematica sono vere; ma forse è ancora
più significativo il fatto che le verità che la matematica consente di
formulare esprimono anche aspetti della natura del bene e della perfe-
zione. Ma di per sé, la sola matematica non può darci la piena com-
prensione dell’essenza di questa “natura”, e non può condurci a capire
come la verità delle acquisizioni raggiunte grazie a essa ha il suo fon-

10
Vd. per es. Sext. Emp. Adv. Math. 7, 94-95.
11
Le tre medie sono esposte in Archyt. fr. 2 (47 B 2 D.-K.) Per le loro appli-
cazioni alle divisioni di Archita, vd. BARKER 1989, pp. 46-52; 1989a.
Musica e cosmo: il Timeo di Platone e la matematica dell’anima 119

damento nel bene. Il ragionamento matematico, da solo, non può mo-


strarci la base ultima delle sue stesse conclusioni, ossia che esse sono
vere perché è bene che lo siano12.
La quinta delle discipline matematiche è la t e o r i a m u s i c a l e
(530d-531c). Discutendone, Socrate e Glaucone individuano due modi
totalmente differenti di affrontare l’argomento: quello dei Pitagorici, e
quello radicalmente empirico di alcuni altri teorici, i quali non rappre-
sentano i rapporti musicali in termini matematici13. Lo stesso Platone,
per quanto riusciamo a ricostruire, aveva una concezione della teoria
musicale per molti aspetti vicina a quella dei Pitagorici; e Socrate, in
questa pagina, liquida l’opera degli empiristi con sarcastico disprezzo.
Ma critica anche gli stessi Pitagorici per aver frainteso lo scopo reale
della disciplina e per averla affrontata, quindi, nel modo sbagliato: «Mi-
surando le consonanze udibili, e misurando i suoni l’uno in relazione
con l’altro, fanno una fatica inutile, proprio come gli astronomi» (531a1-
3). Tutti i loro sforzi, dice più avanti, hanno lo scopo di «trovare i
numeri nelle consonanze che si odono» ed essi stessi non «si elevano
ad affrontare i problemi di investigare quali numeri sono consonanti e
quali non lo sono, e in ciascuno dei due casi, perché» (531c1-4)14.
In sostanza, Socrate intende dire che i Pitagorici si erano impe-
gnati in un progetto inutile. Descrivere in termini matematici i modelli
di accordatura (harmoniai) effettivamente usati nella prassi musicale
contemporanea, «misurando le consonanze e le note udibili in relazio-
ne l’una con l’altra» (531a1-2), esprimendo queste relazioni come rap-
porti matematici, e considerando come musicalmente accettabili i «nu-
meri» – cioè i rapporti matematici – che corrispondono agli intervalli
musicali effettivamente percepiti (531c1-2) è in realtà un’impresa di
scarso rilievo, nel senso che può illustrare fatti relativi soltanto alla
musica composta da esseri umani per orecchie umane, ma non spiega
le verità oggettive e immutabili che possono essere rivelate mediante il
ragionamento matematico. La teoria musicale, così come Socrate la
concepisce, non dovrebbe occuparsi di suoni, ma di numeri, oggetti
accessibili soltanto alla mente razionale, e non ai sensi. Dovrebbe cer-
care di scoprire quali rapporti matematici, e quali sistemi di rapporti
matematici, sono integrati in un’ ‘armonia’ di natura puramente mate-
matica; e dovrebbe indagare i principi che spieghino perché questi rap-

12
Vd. Plat. resp. VI 507a-511d (in particolare 510c-511c), VII 528e-534e; cf.
BARKER 1994.
13
Per i Pitagorici, vd. VII 530e1-531a3, 531b7-c4; per gli ‘empirici’, 531a4-b6.
14
Per una discussione, vd. BARKER 1978, MERIANI 2003, pp. 83-119.
120 Tra etica, psicologia e cosmologia: Aristotele e Platone

porti e sistemi di rapporti, e non altri, sono espressioni di un’ ‘armoni-


cità’ perfettamente matematica. I procedimenti di questa disciplina
dovrebbero essere esclusivamente razionali, impegnando soltanto la
mente, e chi se ne occupa non dovrebbe avvalersi affatto dell’orecchio.
Certo, questa concezione di una t eo r i a mus i c a l e s e nz a s uo-
ni, così come quella dell’‘astronomia senza oggetti visibili’, che, nella
lista di scienze offerta nella Repubblica occupa il posto precedente (528e-
530d)15, può apparire strana, ma in effetti rappresenta una conseguenza
immediata delle idee degli stessi Pitagorici. Se è la natura matematica
dei rapporti corrispondenti agli intervalli musicali a renderli musicali, e
se è il sistema di proporzioni che governa un insieme di suoni a qua-
lificarlo come sistema musicalmente ben strutturato – cioè come
un’harmonia – allora ha senso indagare sulle proprietà specificamente
matematiche di queste relazioni e proporzioni, senza alcun riferimento
al suono musicale. Sono le proprietà matematiche, e non le caratteristi-
che sonore, a spiegare perché solo alcuni particolari intervalli, e alcuni
particolari schemi di accordatura sono percepiti come musicali. Pro-
prio in questo contesto, è un errore concentrarsi esclusivamente sui
rapporti matematici degli intervalli e delle harmoniai che un musicista
umano potrebbe costruire, giacché questi non sono che prodotti ap-
prossimati e riflessi imperfetti di sistemi matematicamente perfetti: ed
è la natura di questi ultimi che bisogna invece arrivare a comprendere.
Ma per Platone questo implica argomenti di più ampia portata: in de-
finitva, lo scopo precipuo di questa difficile scienza non è quello di
spiegare perché alcuni prodotti dell’ingegno umano danno piacere al
nostro udito; se così fosse, la cosa non avrebbe grande importanza. Si
tratta invece di portare alla luce forme strutturali la cui perfetta e ar-
monica integrazione è un dato altrettanto oggettivo, eterno e razional-
mente intelligibile quanto il fatto che la radice quadrata di 9 è 3; e
nell’appropriarci dei principi che governano questa armoniosa perfe-
zione avremo compiuto un grande passo verso l’obiettivo finale, la
comprensione della natura del bene.
Nella Repubblica quest’importante ricerca è soltanto un’aspirazio-
ne; ma un celebre passo del Timeo (35a-36d) può essere plausibilmente
interpretato come un esempio applicativo di una tale attività scientifi-
ca16. Il personaggio che parla, il pitagorico Timeo di Locri, descrive in
che modo il demiurgo ha costruito quella che egli chiama “l’anima

15
Vd. in particolare MOURELATOS 1980, 1981.
16
È chiaro dalle prime pagine del Timeo (17a-19b) che il dialogo è concepito
come una continuazione della Repubblica.
Musica e cosmo: il Timeo di Platone e la matematica dell’anima 121

dell’universo”, o “anima del mondo”, ossia l’entità vivente che anima


il corpo del cosmo. Sebbene il suo resoconto contenga tracce di termi-
nologia musicale, e la struttura che ne emerge sia senza dubbio una scala
musicale (harmonia), i principi costitutivi di quest’anima sono total-
mente matematici, in quanto dipendono essenzialmente dall’utilizzazio-
ne delle tre medie matematiche che erano state codificate da Archita
(fr. 2). Anche parlando della fase finale della costruzione, Timeo non
dà alcun indizio per pensare che, definendo alcuni elementi della strut-
tura indipendentemente dalle tre medie (36b1-5), il demiurgo si fondi
sulle prove fornitegli dal proprio orecchio, o che moduli questa ‘into-
nazione cosmica’ sulla base di una tipologia di relazioni reperibile nel-
la musica udibile. In questo senso, Timeo è del tutto fedele alle pre-
scrizioni date nel VII libro della Repubblica. Tuttavia, come ho detto,
la struttura che descrive è evidentemente di tipo musicale, ed è esplici-
tamente presentata come tale nel seguito del dialogo (per es. 80b6-7):
si tratta, in realtà, di un’enorme scala diatonica.
In questa sede non ci interessano i dettagli della costruzione17: in
sintesi, diciamo che il demiurgo, divisa in parti la sostanza dell’anima
del mondo secondo la formula che dà origine a questa scala diatonica,
la taglia nel senso della lunghezza in due strisce; dispone quindi le due
strisce l’una sull’altra a forma di X, e poi le curva, a formare circoli
che si incontrano di nuovo nel punto diametralmente opposto alla loro
prima giuntura. Dei due circoli, quello esterno (chiamato circolo
del’“identico”) gira a velocità costante in una direzione, «verso destra».
La striscia interna (quella del “diverso”) viene a formare sei circoli di
diversa grandezza. Le loro misure sono determinate da due progres-
sioni geometriche, le stesse impiegate nella prima fase della costruzio-
ne della scala musicale, sicché la sequenza delle lunghezze relative è 1,
2, 3, 4, 8, 9, 27. Questi circoli sono sistemati concentricamente e gira-
no a velocità differenti, in proporzione tra loro, ma in direzione oppo-
sta a quella della circonferenza esterna, «diagonalmente verso sinistra»,
anche se, simultaneamente, vengono spinti verso destra dal movimento
rotatorio primario e dominante della circonferenza esterna (36b-d)18.
Quando ognuno dei circoli è collegato a una parte del corpo dell’uni-
verso, i suoi movimenti diventano visibili nella rivoluzione delle stelle
e dei pianeti (per i dettagli, vd. 38c-39e). In questo modo – anche se

17
È un argomento frequentemente discusso da commentatori antichi e moder-
ni. Per alcune brevi note esplicative, vd. BARKER 1989, pp. 58-61. Un valido contri-
buto recente, da una prospettiva insolita, è quello di ZEDDA 2000.
18
ZEDDA 2000, p. 31, illustra chiaramente questa fase della costruzione.
122 Tra etica, psicologia e cosmologia: Aristotele e Platone

Platone lascia molti punti oscuri – i principi matematici della ‘teoria


musicale razionale’ si fondono con quelli dell’‘astronomia razionale’,
dando origine alla struttura, dinamica e perfettamente integrata, dell’ani-
ma che dà vita al corpo del cosmo.
A prima vista, può sembrare che la matematica celeste non abbia
alcuna attinenza con le questioni relative ai caratteri dell’anima umana,
e alle loro connessioni con la musica prodotta, ascoltata e apprezzata
dagli esseri umani. Ma, stando al Timeo, la struttura dell’anima
umana è strettamente correlata a quella dell’universo; e
anche se, inevitabilmente, la musica umana non raggiunge la perfezio-
ne dell’harmonia cosmica, tra le due esistono collegamenti. Inoltre, i
tentativi umani di produrre musica, quando sono intesi nel modo giu-
sto, possono svolgere una funzione importante nel miglioramento del-
l’anima umana. In questo senso, consideriamo alcuni aspetti del testo.
A 42e-44b Timeo spiega che cosa accade quando un’anima viene
attaccata a un corpo umano, unita a esso con molti piccoli, invisibili
chiodi (43a). L’anima viene immessa poi nel flusso del cambiamento
corporeo, e viene colpita dalla violenta irruzione delle impressioni sen-
soriali, eccitata in modo particolare dal torrente del nutrimento, che
entra nel corpo e lo fa crescere. Le sensazioni che ne risultano «agita-
no con violenza i moti circolari dell’anima» (43d1-2): il loro flusso, scor-
rendo in direzione opposta, ostacola il moto ciclico del circolo più
esterno dell’anima, quello dell’“identico”, impedendogli di esercitare il
ruolo dominante che gli compete; e così anche gli altri circoli, che tutti
insieme formano il circolo del “diverso”, dalle sensazioni vengono tur-
bati a tal punto che «i tre intervalli in rapporto doppio (2:1) e i tre in
rapporto triplo (3:1), e le medie e i legami in rapporto emiolico, epitri-
to ed epogdoo (cioè i rapporti 3:2, 4:3, 9:8), non potendo essere com-
pletamente sciolti se non dall’agente che li ha legati insieme, da esse
sensazioni vengono contorti in tutte le direzioni, e i circoli sono dalle
stesse assoggettati a ogni sorta di possibile frattura e rovina, sicché, te-
nuti insieme a stento, si muovono, sì, ma senza regolarità, ora in avan-
ti, ora in senso obliquo, ora all’indietro» (43d4-e4).
Le stranezze terminologiche e concettuali di questo passo – cir-
coli del’identico e del diverso, intervalli, collegamenti, medie e rapporti
matematici – sono echi precisi della costruzione dell’anima del mondo
descritta a 35a-36d; erano proprio queste medie e questi rapporti ma-
tematici (2:1, 3:1, 3:2, 4:3, 9:8, corrispondenti, rispettivamente, agli in-
tervalli musicali di ottava, di ottava più quinta, di quinta, di quarta e di
tono) a definire il modello secondo il quale l’harmonia dell’anima del
mondo era organizzata. L’implicazione è chiara: la struttura or i g i na -
Musica e cosmo: il Timeo di Platone e la matematica dell’anima 123

r ia di ogni anima umana, prima di essere spezzata e distorta dall’inon-


dazione degli stimoli sensoriali che le si rovesciano addosso, è i de nti -
c a a quella dell’anima del mondo. È questa struttura di circoli, con i
suoi sistemi armoniosi e proporzionati di divisioni e connessioni, che
conferisce all’anima del mondo la capacità di comprendere appieno
‘identità e differenza’ inerenti alla realtà stessa, e di interpretare, con
sicurezza e correttezza, i dati con i quali viene a contatto, nei domini
della percezione sensibile (37a-c). Se ne deduce che il danno reso al-
l’anima umana riguarda soprattutto l e s u e fa c ol tà di g i udi z i o. I
suoi moti distorti «chiamano simile ciò che è diverso, in contrasto con
la verità, e diventano falsi e insensati, e nessuno dei circoli governa o
fa da guida agli altri» (44a1-5). Appena dopo, tuttavia, il flusso del
nutrimanto corporale rallenta, e le orbite dell’anima possono così ri-
prendere il proprio corso. Ma soltanto con l’aiuto del «nutrimento di
un’educazione corretta» possono rinsaldarsi stabilmente, rendendo «in-
tegro e perfettamente sano» l’individuo che le possiede. Senza un tale
nutrimento, l’individuo vivrà una vita «zoppa» e rimarrà «imperfetto e
insensato» fino alla morte (44b-c). In contrasto col nuovo fondamento
del suo modello matematico, e quasi meccanico, dell’anima, Platone è
tornato ancora una volta ai temi dell’educazione, così importanti nella
Repubblica.
Timeo riprende questi concetti a 46e-47e, parlando del «beneficio
più grande» che ci viene dal fatto di poter disporre dei sensi della vista
e dell’udito. Non si tratta, come si potrebbe supporre, del fatto che
questi sensi ci consentono di vedere dove stiamo andando e di comu-
nicare tra noi: questi sono fatti superficiali (cf. 47b3-5). Il valore reale
dei nostri occhi è che essi ci mostrano i movimenti dei cieli, che a loro
volta ci danno accesso ai concetti di numero e tempo, e ci danno la
possibilità di considerare la natura dell’universo; e tutto questo ci con-
duce alla filosofia, «della quale nessun bene più grande è venuto, né
mai verrà al genere umano come dono degli dèi» (47a-b). La ragione è
che, «dopo aver esaminato i moti circolari della mente nel cielo, noi
possiamo servirci di essa per comprendere i moti circolari del pensiero
in noi stessi, che sono affini a quelli, anche se i nostri, a differenza di
quelli, hanno patito turbamenti; e, raggiunta una conoscenza approfon-
dita di essi, divenuti partecipi della correttezza dei ragionamenti natu-
rali, e imitando i moti circolari della divinità, che sono assolutamente
regolari, possiamo correggere quelli devianti che hanno corso dentro
di noi» (47b6-c4).
La finalità dell’udito, continua Timeo, è esattamente la stessa. Ne
abbiamo bisogno per parlare tra noi, ed è il discorso (logos), che «dà il
124 Tra etica, psicologia e cosmologia: Aristotele e Platone

più importante contributo all’impresa» (47c). Ma Timeo non dice nien-


t’altro qui a proposito del discorso, e si rivolge immediatamente alla
funzione della musica: «Quella parte della musica che può essere usata
dalla voce e diretta all’udito, è anch’essa concessa ai fini dell’harmonia.
E harmonia, i cui movimenti sono simili ai circoli dell’anima dentro di
noi, non è stata data dalle Muse a chi, con intelligenza, ha rapporto
con loro, per poter godere di un piacere irrazionale (ora, invece, si crede
che in questo consista la sua utilità); ma come un alleato per portare
all’ordine e alla concordia con se stesso il moto circolare della nostra
anima, che è divenuto discorde. E anche il ritmo ci è stato concesso
dalle Muse come ausilio per le stesse finalità, a causa della condizione
di mancanza di misura e di grazia nella quale si trovano molti di noi»
(47c7-e2).
Qui, come nella Repubblica, ciò che conta della musica sono le
harmoniai e i ritmi, strutture formali che stanno alla base delle compo-
sizioni e delle esecuzioni, e che possono essere analizzate matematica-
mente. Ma il passo chiarisce anche che la ‘musica’ che ci aiuta a ripor-
tare la nostra anima alla sua condizione corretta non si raggiunge sol-
tanto attraverso l’impresa intellettuale astratta della teoria musicale
impostata su base matematica. Benché la musica che ci giunge attraver-
so le orecchie, e può farci provare un «piacere irrazionale» (hedonē alo-
gos), sia solo una parte della musica nel suo complesso, tuttavia anch’essa
svolge una funzione importante. Come Timeo mostra in un altro pas-
so, la stessa musica che dà piacere (hēdonē) agli stolti, dà letizia
(euphrosynē) ai saggi, «in virtù dell’imitazione (mimēsis) che dell’har-
monia divina si produce in movimenti mortali» (80b). Ma Timeo non
dà alcuna spiegazione del processo che si attiva nell’anima dei «saggi»,
e attraverso il quale i saggi giungono a interpretare la musica che ascol-
tano come un’«imitazione della divina harmonia», e quindi a ripristi-
nare, grazie a questo discernimento, la struttura ordinata dell’anima e a
correggere le sue facoltà di giudizio. Tuttavia, il testo offre indizi suf-
ficienti per formulare un’ipotesi interpretativa plausibile. Ho esamina-
to le fonti in un’altra pubblicazione19, e non è il caso di riproporre qui
nel dettaglio le tappe del mio percorso: presenterò soltanto le conclu-
sioni alle quali sono giunto.
Quando si suona uno strumento, o quando si canta, nell’aria si
generano movimenti, alcuni più rapidi, altri più lenti, i quali, attraver-
so le orecchie, entrano nella testa e vengono trasmessi, attraverso il
corpo, alla parte dell’anima che presiede alla percezione sensoriale, la

19
BARKER 2000.
Musica e cosmo: il Timeo di Platone e la matematica dell’anima 125

cui sede, nella fisiologia del Timeo, è nell’addome, nei pressi del fega-
to. Nel corso di questo processo di trasmissione, i movimenti diventa-
no suoni o, più specificamente, note: i movimenti più veloci diventano
note acute, i movimenti più lenti diventano note gravi. Questo vuol
dire che, prima di attraversare il corpo, sono semplicemente movimen-
ti, più o meno veloci: il loro status di “suoni” e “note” con determina-
te intonazioni riguarda la nostra percezione di essi, non tanto una qual-
che loro caratteristica oggettiva intrinseca. Tutto ciò si ricava abbastan-
za facilmente dalla lettura di 67a-c (vd. anche 79e-80b). Il passaggio
successivo della mia ricostruzione, invece, è più rischioso.
La parte dell’anima che ha sede nell’addome è totalmente irrazio-
nale, e non può essere influenzata da considerazioni intellettuali – di
tipo matematico, per esempio. Ecco perché non comprende né apprez-
za le strutture ben proporzionate insite nei modelli di movimento e di
intonazione. Gli stimoli che possono agire su di essa sono “immagini”
(eidōla) e “apparizioni” (phantasmata). Impulsi e messaggi che proven-
gono dalla sede dell’anima razionale, nella testa, devono dunque essere
trasformati in immagini di questo tipo prima di essere ricevute dalla
parte dell’anima che registra le sensazioni e avverte piacere e dolore.
L’organo responsabile di queste trasformazioni è il fegato, dalla cui
superficie i segnali che provengono dalla testa vengono riflessi, quasi
come da uno specchio, sotto forma di eidōla e phantasmata, a volte
piacevoli, a volte terrificanti20. Gli “stolti” non possono elaborare que-
sti messaggi a un livello superiore a quello che le immagini comunica-
no direttamente. Ma gli impulsi che generano le immagini non si fer-
mano qui; compiono invece un percorso circolare, che ritorna alla te-
sta, la sede occupata dalla parte razionale dell’anima, da dove erano
partiti. Se quest’apparato razionale è in buone condizioni operative, ed
è stato appropriatamente esercitato nella teoria musicale matematica, è
in grado di interpretare i segnali che riceve come modelli di movimen-
to intelligibili. Li riconoscerà come «imitazioni dell’harmonia divina»,
ossia, della struttura musicale e matematica dell’anima del mondo21.

20
Oggi potremmo pensare a questo processo in termini di “input” e “output”,
in analogia col funzionamento del computer. I segnali entrano nella macchina come
serie complesse di impulsi elettronici, che sarebbero privi di significato per noi se li
ricevessimo esattamente in quella forma. Possiamo ricavarne un senso soltanto se sono
“riflessi” a noi, attraverso lo schermo del monitor, come “immagini”, eidōla e phan-
tasmata (ossia, come icone o simboli scritti), o attraverso i diffusori acustici sotto
forma di parole o musica.
21
La base di questo ragionamento è in Tim. 70d-72d, dove non si fa riferimen-
to alla musica, e in 79e-80b.
126 Tra etica, psicologia e cosmologia: Aristotele e Platone

Ne possiamo arguire che gli eidōla che si imprimono nella parte


inferiore dell’anima si presentano a essa come immagini – di amore, di
cavalieri all’attacco in battaglia, o dell’indolenza di certi pomeriggi
domenicali, per esempio. In effetti, stando alla Repubblica, le strutture
basilari dei fenomeni musicali sono immagini o imitazioni di qualità
morali proprie delle anime umane; almeno a un certo livello, la cosa è
confermata anche nel Timeo, giacché le strutture dell’anima umana, nel
caso ideale, sono identiche alle strutture dell’anima dell’universo, a sua
volta fondata su basi musicali. Ma è chiaro che non tutta la musica
umana condivide la medesima struttura ideale. Ci sono varie differenti
harmoniai, e solo una di esse si conforma esattamente (per quanto è
possibile nelle cose di questo mondo) ai principi che governano l’har-
monia dell’anima del mondo. Anche le altre harmoniai, tuttavia, se sono
riconoscibili come musicali, debbono essere connesse con l’originaria
musica divina: e questa connessione deve risultare comprensibile. Quan-
do la parte razionale dell’anima umana, restaurando appropriatamente
la sua intima organizzazione, recupera la capacità di distinguere cor-
rettamente “uguaglianza” e “differenza”, è in grado anche di rintrac-
ciare le differenze tra queste harmoniai devianti e quella dell’anima
divina, e di riconoscere, godendone, l’harmonia divina con la quale le
confronta, e con la quale esse conservano ancora una lontana rassomi-
glianza.
La musica, dunque, ha una funzione importante nel riportare or-
dine nella situazione di disordine nella quale le anime umane erano state
gettate. In questo senso, la sua funzione è te r a pe uti c a . Ma questa
concezione di psicoterapia musicale è del tutto diversa da quella insita
nel concetto aristotelico di katharsis, o da quelle degli autori che con-
sidereremo nel capitolo VII. Ne differisce per almeno due aspetti. Pri-
mo, non è rappresentata come una cura per disturbi della sfera emo-
zionale, che possono sorgere in noi accidentalmente, a causa di espe-
rienze di vario tipo, nel corso della nostra vita. Il suo scopo è invece
quello di porre rimedio a una condizione nella quale ci troviamo, per
natura, fin dalla nascita. Secondo, la musica che ascoltiamo non migliora
la condizione dell’anima operando su di essa in modo diretto, come
fanno le medicine sul corpo. La musica produce i suoi benefici in modo
molto più indiretto, presentando fenomeni e problemi analizzabili e ri-
solvibili soltanto da una mente razionale addestrata nella teoria musi-
cale matematica. La guarigione dell’anima ha luogo attraverso un per-
corso che porta alla rivelazione della verità, guidato dalla pratica del
ragionamento, alla quale la musica induce le menti dei “saggi”. I due
stadi di questo processo corrispondono in maniera significativa a quel-
Musica e cosmo: il Timeo di Platone e la matematica dell’anima 127

li immaginati nei libri III e VII della Repubblica. Anche in quei testi,
nella prima fase dell’educazione, la musica influenza l’anima a un livel-
lo non razionale, sotto forma di “immagini”, mentre nella seconda fase
le strutture di base, che ‘codificano’ queste immagini, vengono decodi-
ficate da una mente allenata nell’analisi musicale matematica. Almeno
da questo punto di vista, le idee musicali della Repubblica e del Timeo
sono intimamente connesse, anche se i dettagli delle loro corrispondenze
sono troppo complessi per essere esaminati qui.
Nella generazione successiva a Platone, agli elementi matematici,
di matrice ‘pitagorica’, fu data nuova enfasi nell’opera di Senocrate e
Speusippo. Questa dottrina riaffiorò nel I sec. a. C., e la sua influenza
si estese, più o meno a partire dal I sec. d. C.; e per secoli a venire la
forma prevalente del platonismo si sviluppò attorno a concetti mate-
matici. Alcuni autori di questo periodo venivano chiamati, o si profes-
savano, “platonici”, mentre altri erano “pitagorici”: ma la distinzione è
poco più che nominalistica. Tutti condividevano un fondo comune di
idee e di metodi di analisi, al centro del quale c’era la teoria musicale
matematica22. All’interno di questa tradizione, il testo platonico chiave,
che generò un dibattito incessante, fu proprio il Timeo, inteso talora
come espressione di dottrine originali di Platone stesso, talora come
testimonianza di insegnamenti del pitagorico Timeo di Locri: e le pagi-
ne che furono studiate con maggiore attenzione furono proprio quelle
sulla costruzione dell’anima del mondo. Armati di tecniche aritmetiche
più o meno sofisticate, e di vari modelli matematici di analisi musicale,
i commentatori non si sono mai stancati di esplorare le complessità di
questo testo. Agli studiosi moderni di Platone il dispendio di energie
intellettuali su queste quattro pagine di greco appare certamente spro-
porzionato, ma la spiegazione si trova nel Timeo stesso. La terapia, dice
Timeo, è sempre un processo che a ciascuno dà «nutrimenti e movi-
menti» che più gli si adattano. «Ora, i movimenti affini a ciò che di
divino c’è in noi sono i pensieri e i moti circolari dell’universo. Sono
questi, dunque, i movimenti che ciascuno di noi deve seguire, correg-
gendo quelle orbite che quando siamo nati hanno subito deviazioni nella
nostra testa, studiando a fondo le harmoniai e i movimenti circolari
dell’universo, e rendendo simile, così, in accordo con la sua natura
originaria, il contemplante al contemplato; chi abbia raggiunto quest’as-
similazione avrà raggiunto lo scopo dell’ottima vita che fu proposta dagli
dèi agli esseri umani, sia per il presente sia per il tempo a venire» (90c7-

22
Utili discussioni su questi argomenti in DILLON 1977 e KAHN 2001. Per ul-
teriori approfondimenti, vd. la bibliografia di Kahn.
128 Tra etica, psicologia e cosmologia: Aristotele e Platone

d7). Era questa dunque la sfida alla quale i successori di Platone ri-
spondevano. Non fa meraviglia, perciò, che la sezione sulla struttura
dell’anima del mondo esercitasse su di loro un’attrazione così potente:
se fossero riusciti a scandagliare le profondità di questo mistero, le loro
anime avrebbero potuto riecheggiare ancora una volta la divina armo-
nia, ed essi avrebbero raggiunto la perfezione.
Musica e cosmo: il Timeo di Platone e la matematica dell’anima 129

PARTE IV
MUSICA, TERAPIA E COSMO: TEOFRASTO,
ARISTIDE QUINTILIANO, CLAUDIO TOLEMEO
130 Musica, terapia e cosmo: Teofrasto, Aristide Quintiliano, Claudio Tolemeo
Terapia musicale in Teofrasto e in Aristide Quintiliano 131

VII
TERAPIA MUSICALE IN TEOFRASTO
E IN ARISTIDE QUINTILIANO

Teofrasto, il filosofo che ho citato nel cap. V, fu allievo e succes-


sore di Aristotele come scolarca del Liceo. Fra le molte opere a lui
attribuite nell’antichità, diverse erano quelle dedicate alla musica1: pur-
troppo sono andate tutte perdute, e se ne sono conservati soltanto pochi
frammenti. Il più ampio di tutti (n. 716 F.), tramandato da Porfirio nel
suo commento agli Harmonica di Tolemeo (61, 16-65, 15 Düring), te-
stimonia che Teofrasto era ben informato sui particolari tecnici della
teoria musicale; in un passo della sua Historia Plantarum (4, 11, 1-7)
parla con competenza della costruzione delle imboccature degli auloi,
e degli sviluppi storici nei modi dell’esecuzione musicale. Evidentemen-
te, doveva avere una profonda conoscenza in materia, e per questo,
secondo me, i resti della sua opera che hanno attinenza con gli argo-
menti che qui ci interessano, andrebbero considerati con molta atten-
zione, anche se, come ho detto, il materiale a nostra disposizione è
piuttosto scarso.
Cominciamo con due testi che pongono problemi di interpreta-
zione particolarmente spinosi. Il primo non è scritto né in greco né in
latino, ma ci è stato trasmesso da un trattato arabo del X o XI sec. d.
C.: citando Teofrasto, l’autore gli attribuisce l’affermazione che se la
virtù si potesse conseguire ascoltando la musica, anche animali come i
cervi, in quanto particolarmente attratti dal suono degli strumenti
musicali, sarebbero virtuosi (n. 724 F.). Si tratta chiaramente di una

1
Nella lista di Diogene Laerzio V 42-50 è elencata un’opera in tre libri sulla
musica, una in un libro sulla teoria musicale e una, pure in un libro, sui musicisti,
ma anche scritti su feste, poesia, metrica, recitazione, educazione, astronomia e nu-
meri: e ognuno di questi testi avrebbe potuto contenere osservazioni di argomento
musicale. In generale, sulle testimonianze supersiti, vd. LIPPMANN 1964, pp. 156-165
(lavoro un po’ datato, ma ancora utile).
132 Musica, terapia e cosmo: Teofrasto, Aristide Quintiliano, Claudio Tolemeo

reductio ad absurdum, e dovremmo concluderne che la musica non ha


il potere di migliorare il carattere di chi la ascolta. Se la testimonianza
è attendibile, allora è evidente che Teofrasto, contro Platone e Aristo-
tele, deve aver argomentato che la musica non ha alcun potere di ren-
derci migliori, in senso etico: la tesi dei due filosofi porterebbe a con-
seguenze assurde e andrebbe perciò rifiutata. Non c’è dunque una re-
ale difficoltà nello stabilire il significato del brano. Il problema è piut-
tosto un altro: considerando le complesse trasformazioni linguistiche e
culturali che il testo originale greco deve aver subito nel corso della
sua trasmissione, non possiamo essere del tutto sicuri che questo fram-
mento riporti con precisione le parole scritte dalla penna di Teofrasto.
Senza tralasciarlo del tutto, andrà perciò considerato con grande pru-
denza. Nella medesima direzione, però, sembra muoversi una seconda
testimonianza (n. 720 F.). Sfortunatamente anche questo è un testo che
presenta problemi, anche se per un’altra ragione: si tratta di un passo
del De musica di Filodemo, e il papiro che ce lo conserva è piuttosto
malridotto, con lacune in punti particolarmente significativi del testo,
il che ne rende difficile e incerta l’interpretazione. Secondo la ricostru-
zione più recente e persuasiva2, tuttavia, il testo attribuirebbe a Teofra-
sto alcuni dubbi sul supposto potere della musica di contribuire al rag-
giungimento della virtù. A quanto pare, Teofrasto non lo negava del
tutto, forse perché non aveva argomenti decisivi per confutare le affer-
mazioni degli altri filosofi sul valore etico della musica; e probabilmente
esprimeva la convinzione che se la musica possiede qualche influsso in
tal senso, questo influsso è piuttosto lieve.
Stando alle nostre fonti, è dunque possibile pensare che la posi-
zione di Teofrasto su questo problema fosse molto diversa da quelle di
Platone e di Aristotele. Certo, non possiamo esserne del tutto sicuri,
ma l’ipotesi sembra almeno plausibile. Diverse altre citazioni e testi-
monianze si riferiscono alle idee di Teofrasto sul rapporto tra musica e
anima, e sui modi in cui la musica può agire sull’anima e perfino sul
corpo. Se Teofrasto avesse attribuito alla musica poteri etici, proprio in
questi contesti ci aspetteremmo di trovare riferimenti in tal senso; ma
in realtà non ne troviamo, e la loro assenza è sorprendente. In se stes-
so, questo argumentum ex silentio sarebbe privo di valore, e sulle te-
stimonianze in positivo che ho citato, prese da sole, non si può certo
fare troppo affidamento. Ma se mettiamo insieme tutti questi indizi
sembra ragionevole concludere che Teofrasto fosse almeno piuttosto
scettico sulle idee dei suoi illustri predecessori, i quali rivendicavano

2
Quella di D. N. Sedley, pubblicata nell’edizione di Fortenbaugh.
Terapia musicale in Teofrasto e in Aristide Quintiliano 133

alla musica poteri etici, e che anche se non le rifiutava del tutto, scelse
di non aderire in pieno a quella linea di pensiero. Non è che per Teo-
frasto la musica non avesse alcun potere psicologico, o che avesse po-
teri psicologici del tutto trascurabili, come più tardi ritenne Filodemo;
vedremo però che le teorie di Teofrasto hanno poco o niente a che fare
con l’educazione e con il miglioramento del carattere umano.
A quanto pare, Teofrasto era interessato a comprendere le ragioni
per le quali gli individui producono musica, e in particolare che cosa li
spinga a cantare. Stando a un passo di Plutarco (Quaest. conviv. I 5),
Teofrasto sosteneva che la musica può avere origine da tre principi o
fonti (archai) che hanno sede nel nostro intimo. Si tratta di tre diversi
tipi di emozione: dolore, piacere e ispirazione estatica (enthousiasmos);
e ognuna di esse, ci viene detto, «altera la voce modificandone l’accen-
to normale» (n. 719a F.). Alla base dell’affermazione di Teofrasto c’è
forse un’osservazione del tutto ovvia: anche Aristosseno nota, per in-
ciso, che, quando ci si trova in condizioni di tensione emozionale si
tende a passare a una forma ‘melodica’ di espressione3. Ma Teofrasto
sviluppa l’idea in termini di molto più ampia portata: per lui l’emozio-
ne è la fo n te o r ig in ar ia ed es s en z iale del nostro impulso a can-
tare, e non soltanto una condizione accidentale che occasionalmente
conferisce alle nostre emissioni vocali una caratteristica quasi melodi-
ca. Siamo in grado di precisare un po’ meglio quest’idea. Alla fine del
lungo frammento teofrasteo citato da Porfirio, e da me richiamato al-
l’inizio, c’è una frase che merita la nostra attenzione. La natura della
musica, dice Teofrasto, è una: è «il movimento dell’anima che si origi-
na in corrispondenza con il suo liberarsi dai danni causati dalle emo-
zioni; se questo movimento non esistesse, non esisterebbe neppure la
natura della musica» (n. 716, 130-132 F.).
Ora, questa non è un’osservazione come un’altra su una delle
tante proprietà della musica, ma un’affermazione precisa, che riguarda
la sua stessa n at u r a es s en z iale. Qui la musica non è soltanto
un’espressione di emozioni, come nel brano teofrasteo citato da Plu-
tarco (n. 719a F.): si tratta invece di un movimento dell’anima che l i -
bera dagli eccessi emozionali. Far musica, dunque, è una sorta di
psico terap ia: è il modo dell’anima di curare se stessa dai “danni”
emozionali ai quali è esposta. Teofrasto chiarisce che la musica a cui
pensa è costituita da costruzioni melodiche in senso stretto, e non da
urli e lamenti indeterminati e perciò musicalmente irrilevanti. All’ini-
zio dello stesso brano, osserva quanto straordinariamente accurato sia

3
El. harm. 9, 29-33 (14, 17-19 Da Rios).
134 Musica, terapia e cosmo: Teofrasto, Aristide Quintiliano, Claudio Tolemeo

il «movimento» psichico prodotto dalla melodia. Quando l’anima in-


tende esprimere questo movimento nel suono, «indirizza» la voce
dove desidera, verso punti di intonazione scelti con precisione (n. 716,
7-9 F.). Questo movimento «che produce melodia» è evidentemente lo
stesso che ci libera dai disturbi di natura emozionale; e possiamo con-
cludere, anche se Teofrasto non lo dice esplicitamente, che le emozioni
non vengono comunicate, a caso, da qualsiasi tipo di musica, ma che
c iascu n tip o d i em o z io n e cer ca d i e s pr i me r s i e l i be r a r s i
a ttraverso for m e d i m elo d ia s u e p e c ul i a r i , costituite esatta-
mente da quei suoni che l’anima si sforza di emettere, e che individua
con grandissima precisione.
Viene a delinearsi così, a partire da questi testi, una teoria sulle
origini e le funzioni psichiche della musica: gli individui sono spinti a
cantare dagli impulsi subconsci insiti nella stessa natura umana. Una
spiegazione che, per certi tipi di musica, potrebbe anche essere soddi-
sfacente, ma che sembra molto meno persuasiva considerando le fun-
zioni di quella musica che, elaborata e composta intenzionalmente a
fini artistici, viene eseguita in p u b b lico , per esempio in teatro. In
questo contesto, la musica non può essere intesa come l’espressione im-
mediata dello stato emozionale momentaneo dei musicisti stessi, i qua-
li non necessariamente provano di fatto le emozioni relative a ogni sin-
golo brano da loro eseguito; e gli individui sui quali si intende influire
attraverso la musica non sono gli stessi dai quali la musica ha origine,
ma ne sono soltanto ascoltatori. Eppure un’altra testimonianza fa pen-
sare che Teofrasto estendesse la sua teoria fino a includervi anche casi
come questo. Come Plutarco, anche Elio Festo Aftonio, che però scri-
ve nel III sec. d. C., attribuisce a Teofrasto l’idea che la musica nasce
dall’emozione; ma, diversamente da Plutarco, gli assegna anche la tesi,
diversa e complementare, che queste stesse emozioni – denominate nel
suo latino con i termini ira, voluptas e enthusiasmos – vengono indotte
dalla musica anch e in ch i la as co lt a (n. 719b F.). Vale a dire che,
quando la musica è eseguita in pubblico, suscita negli ascoltatori quelle
stesse emozioni che inducono al canto, e li libera, in quella situazione,
dalla loro tensione emozionale eccessiva. Che insomma Teofrasto asse-
gnasse uno scopo simile anche alla musica delle esecuzioni pubbliche,
nella convinzione che essa, inducendo emozioni negli ascoltatori, con-
sentisse loro di liberarsi dalle tensioni e sollecitazioni psichiche e di farle
esaurire senza danni, sembra in definitiva un’ipotesi molto plausibile,
anche se non è possibile dimostrarla. Qui dunque, ancora una volta, i
benefici che la musica arreca sono di natura terapeutica. Nei frammen-
ti superstiti delle opere di Teofrasto non si trovano altre informazioni
Terapia musicale in Teofrasto e in Aristide Quintiliano 135

sui dettagli di questi processi curativi. Nei suoi contorni generali, la


teoria di Teofrasto sembra strettamente legata alla concezione aristote-
lica della katharsis, e probabilmente era fortemente debitrice nei con-
fronti di essa, ma sarebbe rischioso forzare ulteriormente congetture di
questo tipo.
Nel capitolo IV ho osservato che né il Platone della Repubblica,
né gli autori di medicina dai quali alcune delle sue idee erano mutuate
pensavano alla musica come a una forma di terapia4. È la concezione
aristotelica della katharsis psicologica che comincia a muoversi in que-
sta direzione; ma Teofrasto, per quanto possiamo dire, è il primo teo-
rico ad aver trattato la terapia come f u n z io ne pr i ma r i a della musi-
ca, e ad aver individuato la sua natura essenziale, la sua physis, in quei
movimenti dell’anima che «ci liberano dai danni prodotti dalle emo-
zioni». Vale la pena ripetere qui un’affermazione che ho citato prima:
«Se non esistessero di questi movimenti,» dice Teofrasto, «non esiste-
rebbe la musica» (cf. n. 716 F.). Il che certamente non vuol dire che
non potrebbero esistere successioni di suoni del tipo che chiamiamo
melodie musicali; ma che se non fossero legate ai relativi processi tera-
peutici, sarebbero prive di significato e non ci sarebbe ragione di di-
stinguerle da altre serie di suoni, e di chiamarle “musica”. Non svolge-
rebbero, nell’esperienza umana, le funzioni che dànno loro significato
e valore, e ci portano a contraddistinguerle come fenomeni particolari
della sfera uditiva.
Da diverse fonti sappiamo che Teofrasto attribuiva alla musica
anche il potere di curare malattie del corpo, e di alleviare il dolore fi-
sico così come lo stress psicologico. Apollonio, Ateneo e Aulo Gellio
riportano, pur con qualche discordanza, la sua affermazione che la
musica dell’aulos ha il potere di curare la sciatica (frr. 726a-c F.). Se-
condo Aulo Gellio, il dolore diminuisce se l’esecutore suona «melodie
gentili» (modulis lenibus); secondo Ateneo il dolore può essere defini-
tivamente eliminato se sulla parte dolorante si suona l’ aulos nell’ har-
monia Frigia. Nella versione di Apollonio, poi, la sciatica non è l’unica
malattia che la musica è in grado di curare: stando ad Apollonio, Teo-
frasto dice che «la musica cura molte delle malattie che colpiscono l’ani-
ma e il corpo, come gli svenimenti, la paura e i disturbi mentali pro-
lungati»; e la procedura terapeutica chiamata kataulēsis, che consiste nel

4
Come ho notato nel capitolo precedente, nel Timeo il tipo di “terapia” che la
musica è in grado di fornire è alquanto inusuale. Soltanto nella sua ultima opera, le
Leggi (790d-791b), Platone sembra in effetti introdurre un concetto di terapia musi-
cale comparabile con le idee che si trovano nelle opere dei suoi successori. Sul brano
citato, vd. PAGLIARA 2000, pp. 202-203, che dà in nota ulteriori riferimenti.
136 Musica, terapia e cosmo: Teofrasto, Aristide Quintiliano, Claudio Tolemeo

suonare l’aulos in direzione del paziente, «guarisce sia la sciatica sia l’epi-
lessia». Il testo continua poi raccontando la storia di un tale che, al
suono della salpinx, si abbandonava sconvolto a grida indecorose, e
veniva addirittura colpito da attacchi di pazzia quando lo strumento
veniva impiegato per eseguire musica militare: l’uomo fu guarito da Ari-
stosseno, il quale «lo introdusse a poco a poco al suono dell’aulos, e
con questa graduale iniziazione lo mise in grado, si può dire, di sop-
portare anche il suono della salpinx» (n. 726A F.). Purtroppo, il testo
dell’ultima parte del passo di Apollonio è corrotto, e non possiamo
sapere con sicurezza se il racconto di quest’episodio della vita di Ari-
stosseno, ammesso che risponda a verità, vada attribuito a Teofrasto, o
allo stesso Apollonio. Per di più, generalmente quest’autore non è il
più attendibile dei testimoni; ma in questo caso, la prima parte del suo
testo sembra contenere una citazione diretta dal trattato Peri enthou-
siasmōn di Teofrasto (l’opera citata anche da Ateneo), e non c’è ragio-
ne di dubitare che Teofrasto considerasse la musica come rimedio effi-
cace per molte e diverse malattie.
L’attenzione dedicata da Teofrasto al potere della musica di alle-
viare la sofferenza, sia fisica sia mentale, è documentata anche da altre
testimonianze. La fame, per esempio, può essere «scacciata», come egli
dice, dal piacere di ascoltare un canto; e cantare può alleggerire la fati-
ca del lavoro (nn. 555, 552a-b F.). Ma questi sono temi ben noti, ripe-
tuti da vari autori. La tesi che la musica può curare le malattie del corpo
è molto più sorprendente, e so che alcuni studiosi sostengono che è
così primitiva e ingenua, che nessun personaggio della cultura di un
Teofrasto avrebbe potuto in alcun modo credere nella sua validità. Come
il termine kataulēsis, che ricorre nel testo di Apollonio, quest’idea ap-
parterrebbe, secondo le supposizioni di questi studiosi, al dominio del
folclore e della magia popolare, e sarebbe del tutto estranea all’equili-
brata razionalità della medicina, della scienza, della filosofia. Ma si tratta
di una visione assurdamente riduttiva, e non solo perché non è corret-
to proiettare all’indietro nel IV sec. a. C. le nostre nozioni ‘accademi-
che’ su ciò a cui è probabile che una persona intelligente e colta dei
nostri tempi possa o non possa prestar fede. Ciò che qui è interessante
osservare è che, stando ad Apollonio, Teofrasto, dopo aver menziona-
to “anima” e “corpo” separatamente, non fa precise distinzioni tra
malattie psicologiche e malattie fisiche, e almeno due delle patologie
che nomina – svenimento ed epilessia – potrebbero a ragione essere
considerate appartenenti all’una così come all’altra delle due categorie.
In realtà, nella trattazione di Teofrasto non dovremmo aspettarci di
trovare un confine che le delimiti chiaramente. Simplicio, citando di-
Terapia musicale in Teofrasto e in Aristide Quintiliano 137

rettamente dall’opera di Teofrasto Sul movimento, ci informa che Teo-


frasto sosteneva che «desideri e appetiti e sentimenti di ira sono movi-
menti del corpo, e hanno la loro origine nel corpo» (n. 271 F.). Questi
fenomeni, dunque, appartengono alla sfera fisica almeno quanto a quella
psicologica. Ora, se la musica è in grado di «scacciare» impulsi come la
fame, ed è in grado di liberarci da tensioni emozionali come l’ira, allo-
ra deve avere influenza sui processi o movimenti che avvengono nel
nostro corpo così come sulle corrispondenti condizioni dell’anima; e
se ha il potere di riportare questi aspetti della nostra dimensione cor-
porea in una condizione di migliore equilibrio, non sembrano esservi
ragioni per escludere che abbia anche il potere di porre rimedio a quei
cattivi funzionamenti fisici che noi chiamiamo “malattie”.
Nel libro II del De musica di Aristide Quintiliano, scritto circa
sei secoli dopo Teofrasto, troviamo un’elaborata trattazione della tera-
pia musicale, che contiene inconfondibili echi di idee che possiamo ri-
conoscere come risalenti a Teofrasto. È possibile, o addirittura proba-
bile, che vi sia stato incluso anche altro materiale teofrasteo che non
conosciamo per altra via. Ma Aristide nomina raramente gli autori del-
le opere di cui si serve, di solito non distingue i loro contributi dai
propri, ed è impossibile far risalire tutti gli elementi della sua esposi-
zione alle loro fonti originarie. Non ho intenzione di fare un tentativo
del genere: Aristide ha fuso tutti i suoi materiali in un amalgama che
va esaminato così com’è, ed è così che ci accosteremo alla sua opera,
anche se indicherò alcuni punti nei quali c’è motivo di sospettare un
influsso di Teofrasto. Nel seguito di questo capitolo rimarremo sull’ar-
gomento della terapia musicale, considerando come è concepita nel trat-
tato di Aristide. Ma le sue idee in materia sono presentate sullo sfondo
di teorie di portata molto più ampia sui modi in cui la musica può essere
usata a beneficio dell’anima umana. Queste teorie saranno l’argomento
del prossimo capitolo, e il quadro della terapia musicale di Aristide che
presento qui andrà poi ricollocato all’interno di questa intelaiatura più
ampia.
Alla fine del capitolo 4 del libro II, Aristide assegna alla pratica
musicale le stesse tre origini emozionali assegnatele da Teofrasto, il
piacere, il dolore e l’enthousiasmos, aggiungendo, perfettamente in li-
nea col suo modo di argomentare, che questi punti di partenza sono
talvolta combinati e confusi l’uno con l’altro. Non tutti gli individui
vengono agitati da queste emozioni, continua all’inizio del capitolo 5,
e non tutte le emozioni inducono gli individui a cantare; tuttavia, si è
ritenuto utile applicare la therapeia musicale alle emozioni che stimo-
lano l’espressione musicale, per il bene di quelli che ne sono influenza-
138 Musica, terapia e cosmo: Teofrasto, Aristide Quintiliano, Claudio Tolemeo

ti. Qui Aristide sembra superare d’un balzo un vuoto non colmato dalle
nostre testimonianze sulle teorie di Teofrasto: come collegare l’affer-
mazione di Teofrasto che alcune emozioni inducono gli individui a
cantare, con la sua tesi che queste stesse emozioni possono essere cu-
rate, in quegli individui, grazie alla musica eseguita da altri con finalità
terapeutiche? Aristide lascia intendere che la connessione è stretta,
poiché sostiene che s o lo le em o z io n i che s pi ng ono a c a nta r e
rispondono al trattamento della therapeia musicale. Vediamo come pro-
segue nella sua argomentazione.
Il punto successivo è che alcune emozioni sono troppo forti per
essere curate dalle sole parole; non riusciamo a distogliere gli individui
dall’ebbrezza suscitata da un piacere intenso soltanto parlando loro, né
possiamo usare le sole parole per curare un intenso dolore, o per libe-
rare dai turbamenti e dai timori irrazionali nei quali possono essere
indotti dall’enthousiasmos. Ma questi eccessi emotivi possono essere
portati a guarigione per mezzo della terapia musicale. All’inizio, ek
prosagōgēs – un altro termine teofrasteo (n. 726a, 11 F.) – i pazienti
non sono consapevoli della sua efficacia, ma la musica li conduce gra-
dualmente a uno stato mentale più equilibrato. È a questo punto che
Aristide ritorna al rapporto tra le fonti emozionali e l’efficacia curativa
della musica: «Un individuo che sia sotto l’influenza modesta di qual-
cuna di queste emozioni, fa musica spontaneamente, mentre uno che è
in preda a un’emozione non temperata (akraton) [ossia estremamente
intensa], potrà essere ammaestrato mediante l’ascolto, perché un’anima
soggetta a disturbi eccessivi non può ricavare benefici se non attraver-
so quegli impulsi grazie ai quali essa stessa agisce quando ne è condi-
zionata solo moderatamente» (58, 23-28 W.-I.).
A questo punto possiamo capire perché Aristide dice che la mu-
sica può essere efficace soltanto contro quelle emozioni che ci spingo-
no esse stesse a cantare. Emozioni moderate di questo tipo generano
da sé le proprie guarigioni, esprimendosi e liberandosi nel canto. Ma
quando queste emozioni diventano eccessivamente intense, la loro ca-
pacità di stimolare il canto e di guarire se stesse è evidentemente bloc-
cata – Aristide non spiega perché – e hanno bisogno di un aiuto ester-
no, indirizzato attraverso l’organo dell’udito. La musica introdotta per
questa via deve essere d ello s t es s o t ip o di quella che l’anima stessa
avrebbe usato per curare le proprie afflizioni più modeste; e può essere
benefica soltanto perché replica il processo che in quegli altri casi por-
ta al loro naturale rimedio.
Una conseguenza di questa posizione è che le emozioni diverse
da quelle dalle quali ha naturalmente origine la pratica musicale – pia-
Terapia musicale in Teofrasto e in Aristide Quintiliano 139

cere, dolore, enthousiasmos – non possono essere guarite dalla terapia


musicale. E sembra discenderne anche che il trattamento musicale al
quale un’emozione risponderà deve essere del tipo giusto; deve usare
cioè gli stessi tipi di musica per mezzo dei quali l’anima, in casi meno
acuti, avrebbe guarito quell’emozione da sé. Come ogni altro tipo di
medico, un esperto di terapia musicale deve dunque sapere non soltan-
to come trattare le condizioni emozionali patologiche, ma anche come
diagnosticarne la natura, e come scegliere la giusta forma di trattamen-
to per ciascuna di esse; ossia, deve essere capace di individuare con
precisione lo specifico disturbo emozionale che gli si presenta, e di saper
scegliere le melodie alle quali esso reagirà positivamente. Aristide si
riferisce al compito della d iag n o s i in diversi luoghi, ma più compiu-
tamente in un passo del capitolo 14: dopo l’analisi delle caratteristiche
delle varie harmoniai, e delle melodie basate su di esse (ce ne occupe-
remo nel prossimo capitolo), dice qui che se trattiamo l’anima del pa-
ziente con harmoniai le cui caratteristiche sono a essa simili od oppo-
ste, «sveleremo» la cattiva disposizione che la abita (to phaulon
hypoikouroun ēthos), e saremo quindi capaci di guarirla (80, 10-14 W.-
I.). La cosa non è ancora molto chiara, ma, due righe dopo, Aristide
prosegue: «Se essa [la cattiva disposizione] è evidente, occorrerà opera-
re appropriatamente con un solo stile di melodia. Ma se è poco chiara
e difficile da diagnosticare (dysgnōston), bisognerà cominciare applicando
la prima melodia che capita a portata di mano. Se questa si mostra ef-
ficace nell’influenzare l’anima, bisognerà continuare, ma se le condizioni
del paziente restano invariate, bisognerà introdurre una modulazione;
è probabile infatti che chi rigetta un tipo di melodia sarà attratto dal
suo opposto» (80, 16-22 W.-I.).
Nei casi difficili la diagnosi segue quindi un processo per prove
ed errori. Proviamo melodie di tipi differenti, alcune delle quali hanno
caratteristiche simili a quelle delle emozioni del paziente, mentre altre
sono di tipo opposto. All’inizio, non sappiamo che cosa potremo otte-
nere; semplicemente, osserviamo i risultati. Quando il paziente mostra
segni di miglioramento, sappiamo che siamo sulla buona strada. La
diagnosi non è dunque un processo del tutto separato dal trattamento
terapeutico: veniamo a sapere quale diagnosi è corretta solo quando
scopriamo quale tipo di trattamento è efficace. Ciò può suonare un po’
approssimativo, ma non lo è più di molte tecniche diagnostiche mo-
derne, e la teoria del trattamento terapeutico che sta alla base del pro-
cedimento è coerente e sistematica. Esamineremo alcuni dettagli di
questa teoria nel prossimo capitolo, ma un aspetto importante possia-
mo considerarlo immediatamente. Il terapeuta deve individuare con
140 Musica, terapia e cosmo: Teofrasto, Aristide Quintiliano, Claudio Tolemeo

precisione il tipo di musica le cui caratteristiche stanno in un rapporto


corretto con la condizione del paziente, ossia l’unica musica efficace
per la sua guarigione. La domanda che dobbiamo porci è in che cosa
consista questo rapporto; e la risposta può essere ricavata da alcuni brani
nei quali Aristide delinea le differenze tra due diversi tipi di tecniche
terapeutiche. Nel primo brano (68, 22 ss. W.-I.) comincia distinguendo
il trattamento terapeutico in generale da un processo che chiama
ōphelētikon, che non mira, come la terapia, a porre rimedio ai mali, ma
piuttosto a rafforzare e a conservare la buona salute del paziente: di
questo non dobbiamo occuparci ora. Ma la terapia propriamente detta,
continua Aristide, può operare in due modi. Talora, può eliminare del
tutto un’emozione molesta in un’unica soluzione; altre volte, quando
questo non è possibile, deve operare gradualmente, facendo diminuire
l’emozione poco a poco, fino a quando il paziente non ne ha più per-
cezione. Il secondo brano (80, 14-15 W.-I.) dà una spiegazione più
completa del procedimento da seguire in questo secondo caso. «Se l’ani-
ma è gretta e rigida» dice Aristide «si riuscirà a convincerla e a con-
durla nella direzione opposta adoperando qualcosa di intermedio». Que-
st’idea riappare poche pagine più avanti (85, 21 ss. W.-I.). Qui Aristide
dopo aver elencato tutti i diversi fattori che il terapeuta ha a sua dispo-
sizione – parole, harmoniai, ritmi e così via – prosegue così: «Quando
le misure estreme non recano danno, tutte le risorse dell’arte musicale
debbono essere applicate nella loro completezza» – e si riferisce, io cre-
do, alle situazioni nelle quali un’emozione può essere eliminata tutta
in una sola volta (85, 24-25 W.-I.). «Talora, invece,» continua Aristide
«dobbiamo impiegare una mescolanza che includa qualche elemento di
qualità differente, evitando accuratamente di indurre nel paziente, con
un trattamento troppo energico, e magari addirittura senza accorgerce-
ne, uno stato emozionale opposto. Un buon medico non somministra
sempre la medicina più forte, ma tiene in considerazione la debolezza
costituzionale del paziente. La mescolanza non dovrebbe, tuttavia, es-
sere composta di puri opposti (una mescolanza del genere non è adatta
e i suoi elementi sono ostili l’uno all’altro), ma di elementi intermedi
mescolati armoniosamente con gli estremi» (85, 25-86, 1 W.-I.).
Da tutto ciò risulta evidente che lo scopo del trattamento tera-
peutico non è di convertire lo stato emozionale del paziente nel suo
opposto, che presenterebbe egualmente degli eccessi e sarebbe egual-
mente indesiderabile, ma di indurre il paziente in una condizione di
calma emozionale, intermedia tra i due opposti. Ciò si ottiene usando
musica che abbia caratteristiche diverse o addirittura opposte a quelle
al momento presenti nell’anima, anche se una musica dalle caratteristi-
Terapia musicale in Teofrasto e in Aristide Quintiliano 141

che totalmente opposte alle condizioni emozionali del paziente può


essere usata efficacemente e senza pericoli soltanto in determinati casi.
Per usare una terminologia familiare in ambito terapeutico moderno, e
usata anche da Lasserre a proposito delle teorie di Damone5, il tratta-
mento su pazienti di questo tipo deve essere esclusivamente a l l opa ti -
c o . Negli altri casi questa medicina sarebbe troppo forte, e condur-
rebbe il paziente all’estremo emozionale opposto: c’è dunque bisogno
di una musica con una mescolanza di diverse qualità, alcune delle quali
simili a quelle già presenti nell’anima del paziente, altre di tipo oppo-
sto, e alcune intermedie tra le due. La terapia mantiene un’impostazio-
ne allopatica, accompagnata però da tratti o me opa ti c i , con la fun-
zione di celare o diluire gli elementi del composto musicoterapico che
sono opposti alla condizione emotiva del paziente, e di vincere la sua
resistenza alle loro qualità estranee. La teoria sembra fondata sulla con-
vinzione che, esponendo il paziente dapprima a musica dotata di alcu-
ne caratteristiche simili a quelle dell’emozione di cui è preda, unite ad
altre, che sono differenti e più salutari, l’anima sarà attratta dalle pri-
me, mentre la presenza, nella mescolanza, di elementi più desiderabili,
la indurranno, ma solo un po’ alla volta, verso uno stato migliore di
salute psichica. Ripetendo più volte il procedimento, alla fine l’anima
guarirà, perché la musica che le sarà stata applicata le avrà conferito
qualità sempre meno simili a quelle della condizione emozionale pato-
logica di partenza.
In linea generale, il metodo sembra sensato, ma resta da dare ri-
sposta ad alcune domande importanti. Prima e più di ogni cosa ci chie-
diamo in che termini Aristide concepisce le qualità che le melodie pos-
sono possedere, in che senso queste qualità sono intimamente connes-
se alla musica stessa, e in base a quale criterio Aristide le considera simili
o identiche alle qualità che possono essere presenti nell’anima. A tutte
queste domande si può rispondere, ma per farlo dovremo esaminare
non solo l’insolita concezione che Aristide ha delle qualità delle melo-
die, ma anche la sua altrettanto insolita teoria della natura e delle di-
sposizioni dell’anima. Solo allora saremo in grado di capire come i
procedimenti terapeutici appena descritti si inseriscono nel più ampio
quadro delle idee e delle teorie di Aristide sui rapporti tra la musica e
l’anima, e sui vari modi nei quali la musica può portare effetti benefici
sul piano psicologico. Questi, dunque, saranno gli argomenti principali
del prossimo capitolo.

5
Vd. LASSERRE 1954, p. 63,
142 Musica, terapia e cosmo: Teofrasto, Aristide Quintiliano, Claudio Tolemeo
Musica e anima in Aristide Quintiliano 143

VIII
MUSICA E ANIMA IN ARISTIDE QUINTILIANO

In alcuni testi filosofici e scientifici antichi si incontrano elabora-


zioni concettuali che a noi moderni sembrano molto strane; ma poche
sono più strane delle teorie esposte nel libro II del De musica di Ari-
stide Quintiliano. È un testo straordinariamente ricco e sfaccettato, e
dovrò lasciare inesplorate molte delle sue barocche complessità. Mi con-
centrerò soltanto su due dei diversi temi sviluppati da Aristide: la sua
teoria dell’anima, sulla quale si fonda tutto il suo discorso, e la sua ana-
lisi di quelle caratteristiche di melodie e harmoniai, grazie alle quali esse
sono in grado di influenzare carattere, disposizioni ed emozioni del-
l’anima.
Lungo tutto il libro, la presentazione della dottrina di Aristide sulla
natura dell’anima è suddivisa in tre parti: ognuna di queste è seguita da
un argomento musicologico, e contiene informazioni necessarie allo
svolgimento di esso. Sono idee di ispirazione genericamente platonica,
anche se, globalmente considerate, si configurano in modo molto di-
verso da quanto in materia si trova nei dialoghi di Platone, e presenta-
no alcune affinità col neoplatonismo di Plotino. Ma in definitiva si tratta
di una dottrina che non trova effettivi riscontri in nessun altro testo a
noi noto, e mi sembra di poter dire che le sue squisite particolarità siano
un prodotto originale della mente sensibile e fantasiosa di Aristide,
anche se Aristide, modestamente, ne attribuisce ampie sezioni agli «uo-
mini ispirati dei tempi antichi» (53, 16 W.-I.).
Le cose di questo mondo, comincia Aristide (53, 19 W.-I.), deb-
bono essere governate in modo ordinato, e ciò significa che debbono
essere governate da menti consapevoli, o ‘anime’. Ogni anima alla qua-
le questo compito è affidato deve quindi essere portata a contatto con
elementi corporei, ed essere «stretta nelle catene del corpo», che «la spin-
ge verso il basso e le impedisce di volare via». Ma allo stesso tempo
l’anima, se deve organizzare tutte le cose «in accordo» col divino ordi-
144 Musica, terapia e cosmo: Teofrasto, Aristide Quintiliano, Claudio Tolemeo

ne dell’universo, deve comprendere la bellezza dell’altro mondo, quel-


lo celeste, e ciò significa che deve avere una «doppia natura», come dice
Aristide (54, 7 W.-I.): deve essere cioè «dotata di saggezza, ma anche,
per la sua affinità col corpo, disposta a non rifiutare del tutto le cose
di questo mondo». Ecco perché il regolatore dell’universo ha dato al-
l’anima d u e fac o lt à fondamentali: la prima è l a r a g i one , che porta
con sé la memoria residua della perfezione del mondo superiore dal
quale proviene, ed è collegata anche alle scienze, che, «nella loro inde-
scrivibile bellezza», sono concesse all’anima «per esserle compagne nel
suo viaggio verso il basso»; la seconda è la facoltà irrazionale del d e -
s id erio , che spinge l’anima verso le cose del mondo della materia e
del mutamento (54, 9-26 W.-I.).
Insieme con alcuni ulteriori ricami e abbellimenti, questo è quan-
to ricaviamo dal capitolo 2; e fin qui molto deriva direttamente da Pla-
tone. Le idee introdotte nel capitolo 8 sono invece molto meno fami-
liari. «A me sembra» dice Aristide «che quando l’anima è lontana da
questi luoghi e partecipa di una realtà superiore, vive a contatto con la
ragione ed è immune dal desiderio; ma quando si dirige verso le cose
della terra, e cerca di imparare con l’esperienza il nostro modo di vive-
re, allora ha bisogno del corpo, e ne cerca uno che sia adatto a lei» (66,
6-10 W.-I.). È proprio questa nozione di “adeguatezza”, “appropria-
tezza”, a evidenziare la peculiarità più importante del discorso di Ari-
stide. Viene infatti chiarito che non tutte le anime trovano adatto lo
stesso tipo di corpo: alcune sono attirate da corpi dotati di caratteristi-
che di un certo tipo, mentre altre, non sentendosi attratte da quelle ca-
ratteristiche, preferiscono corpi di altro tipo. Ora, corpi e caratteristi-
che corporee rientrano in due gruppi nettamente distinti e separati, che
Aristide etichetta come “maschio” e “femmina”: se pensiamo agli or-
ganismi animati, ossia ai corpi nei quali le anime entrano, e che da
esse ricevono il soffio vitale, la cosa suona abbastanza normale. Ma in
effetti questa dualità maschio/femmina non riguarda soltanto gli esseri
animati, ossia uomini e animali; si ritrova invece in tutti gli oggetti,
sicché, per esempio, hanno caratteristiche maschili o femminili, o una
mescolanza di entrambe, anche le piante, i minerali e le spezie (66, 11-
17 W.-I.). In realtà, un’opposizione di questo tipo non è molto sor-
prendente, e rientra in stereotipi ben noti: delicatezza, levigatezza, co-
lorito gradevole, profumo soave e così via, che si trovino in organismi
di sesso femminile o in qualsiasi altro oggetto, vengono considerati come
attributi del genere femminile, mentre i loro opposti come attributi del
genere maschile. Queste distinzioni costituiscono il punto di partenza
per tutta la trattazione successiva: nella teoria di Aristide, infatti, l’aspet-
Musica e anima in Aristide Quintiliano 145

to fondamentale di ogni elemento funzionalmente significativo è l a


differen za d i g en er e.
Alcune anime preferiscono caratteristiche femminili, altre ne pre-
feriscono di maschili; e, dal momento che saranno legate e conformate
a un corpo di un certo tipo, cercano il corpo dotato di quelle caratte-
ristiche dalle quali si sentono attratte. L’anima «è attratta o dal maschi-
le o dal femminile: talora dall’uno o dall’altro genere in modo esclusi-
vo, talaltra da un corpo dotato di una mescolanza curiosa e davvero
peculiare dei due generi» (66, 21-25 W.-I.). Qualche volta si dà il caso
che il corpo nel quale un’anima si trova non sia di suo gradimento, e
l’anima fa del suo meglio per riassettarlo in modo da adattarlo alle
proprie tendenze (66, 25-27 W.-I.): «Avviene così» dice Aristide «che a
corpi maschili si sovrapponga una forma femminile, sicché anche il loro
modo di vita appare femminile; e una forma maschile può sovrapporsi
a corpi di donna, a indicare che anche il loro carattere è maschile.
Possono esistere uomini privi di barba, e donne alle quali la barba cre-
sce; alcuni uomini hanno uno sguardo languido, e alcune donne un
aspetto fiero; e si scoprirà che in ogni caso il loro carattere è in accor-
do con l’apparenza» (66, 27-67,3 W.-I.). A quanto pare, questo dipen-
de dal fatto che è l’anima che ha imposto a questi corpi il loro aspetto
inusuale, ed è nell’anima che ha sede il carattere umano.
La preferenza dell’anima per le caratteristiche maschili o femmi-
nili non determina soltanto la scelta di un corpo, ma condiziona tutto
il suo carattere, tutte le sue disposizioni, emozioni, aspirazioni. I carat-
teri femminili sono indisciplinati ed emozionalmente volubili, soggetti
a repentini cambiamenti di umore e a eccessi di piacere e di dolore,
mentre i caratteri maschili sono tenaci, violenti ed energici, inclini al-
l’ira e all’audacia (67, 3-9 W.-I.). Ma Aristide non è così ingenuo da
contentarsi della semplice dicotomia maschio/femmina. Riconosce in-
fatti (67, 9-10 W.-I.) che i caratteri umani possono essere molto più
complessi, e in molti individui queste passioni si trovano riunite insie-
me, dando luogo a mescolanze «di dolori con piaceri, di ira con auda-
cia, di audacia con piacere e di dolore e ira con entrambi, e, certamen-
te, ogni passione con ognuna – o più – delle altre. Si possono trovare
mille diverse configurazioni emozionali se le si studia nella loro com-
plessità» (67, 10-14 W.-I.).
Nell’ultimo paragrafo del capitolo 8 Aristide descrive in quali modi
la mascolinità e la femminilità si manifestano in oggetti e attività di ogni
tipo, in virtù e vizi, e in varie branche della scienza (67, 23-68, 13 W.-
I.). Più importante, per quello che qui ci interessa, è l’affermazione
all’inizio del paragrafo, secondo la quale, come sono differenti le natu-
146 Musica, terapia e cosmo: Teofrasto, Aristide Quintiliano, Claudio Tolemeo

re degli individui, così lo sono anche quelle che Aristide chiama le loro
ennoiai, le loro «concezioni» (67, 15-16 W.-I.). La nozione di ennoia è
fondamentale nel seguito del discorso. Qui non la posso esaminare
approfonditamente1, ma, semplificando al massimo, si può dire che in
Aristide il termine ennoia equivale all’incirca a “atteggiamento valuta-
tivo”. Quando due individui guardano la stessa cosa, o sentono lo stesso
suono, non ci sono differenze oggettive tra le cose che si offrono alla
percezione di ciascuno di loro. Ma è possibile che ognuno di loro per-
cepisca quelle stesse cose in modo differente dall’altro. Un colore che
uno dei due vede luminoso e allegro può colpire l’altro come sgrade-
vole e volgare, e un suono o una melodia che a uno sembra dolce e
piacevole può indurre l’altro a tapparsi le orecchie per il disgusto (cf.
67, 16-23 W.-I.). Ciascuno di loro ha in mente una diversa “concezio-
ne” dei diversi fenomeni, e la porta con sé, già formata, prima di fare
esperienza di essi. Queste concezioni non sono neutrali, ma comporta-
no atteggiamenti valutativi che si riferiscono ai fenomeni in questione,
sicché, quando questi passano attraverso il filtro percettivo della con-
cezione che l’anima ha di essi, vengono subito percepiti come buoni o
cattivi, desiderabili o ripugnanti. Nei capitoli 9 e 10, parlando delle
tecniche poetiche, Aristide considera procedimenti stilistici quali la
metafora e la similitudine come s t r u m en t i pe r modi fi c a r e le con-
cezioni attraverso le quali oggetti o azioni vengono percepiti, e indur-
ci, così, a valutarli in modo differente. Omero, per esempio, in tre passi
diversi, usa espressioni molto diverse tra loro per riferirsi all’atto di fare
l’amore, sicché in uno di essi siamo indotti a considerarlo come vergo-
gnoso, in un altro come legittimo e buono, e nel terzo come né degno
di lode né di biasimo (70, 20-71, 5 W.-I.).
È questo il punto realmente importante. Le nostre anime, grazie
alle loro stesse peculiarità, ci predispongono a particolari modi di per-
cepire le cose, e a cedere a particolari emozioni. Ma i loro modi di
percepire possono essere modificati per mezzo dell’arte. Un’arte che
riflette o rappresenta tratti indesiderabili del carattere, o che genera
emozioni dannose, può alterare in peggio le nostre concezioni e i no-
stri atteggiamenti; ma, sempre per mezzo di tecniche artistiche – e in
special modo musicali – è invece possibile alimentare, rafforzare e mi-
gliorare i tratti utili e positivi delle nostre disposizioni interiori.
La terza parte del discorso di Aristide sull’anima viene quasi alla
fine del libro, al capitolo 17. Non lo considererò in questa fase del mio
discorso perché, come ho detto, ogni passaggio dell’argomentazione è

1
Alcuni aspetti della questione sono discussi in BARKER 1999.
Musica e anima in Aristide Quintiliano 147

concepito per prepararci alle idee musicali sviluppate in quello succes-


sivo: e la parte sulla m elo d ia dei capitoli 13 e 14, che voglio prendere
in esame adesso, non richiede di avere familiarità con il contenuto del
capitolo 17. Ci torneremo più avanti.
Il capitolo 13 comincia con una considerazione che lascia perples-
si: noi comprendiamo il carattere di una melodia attraverso le somi-
glianze che i suoni di cui è composta hanno con «quelli prodotti dai
nostri organi fonatori», che secondo Aristide, come scopriamo subito,
sono quelli che usiamo quando parliamo, e che rappresentiamo con l e
lettere dell’alfabeto (77, 30-78, 2 W.-I.). Aristide non vuol dire, tut-
tavia, che ogni nota di una melodia ha esattamente lo stesso suono rap-
presentato da una di queste lettere: chiaramente non è così. Ciò che
intende in realtà è però quasi altrettanto strano: ogni lettera, e ogni nota,
ha una qualità che può essere descritta nei termini della già menziona-
ta dicotomia maschio/femmina. Le lettere sulle quali Aristide si con-
centra sono le sette vocali dell’alfabeto greco, e a ciascuna di esse asse-
gna un carattere: maschile, femminile o intermedio. Nel capitolo 14
descriverà in termini analoghi le note della scala musicale.
Osserveremo alcuni dettagli fra breve. Dobbiamo prima rispon-
dere a una domanda più generale. Anche se accettassimo l’inusuale
concezione che Aristide ha delle qualità delle vocali e delle note musi-
cali, per quale ragione dice che le qualità delle note si comprendono
attraverso le loro somiglianze con quelle delle v oc a l i ? Secondo la sua
teoria, le qualità maschili e femminili si trovano dappertutto: nelle pie-
tre, nelle piante, nelle anime e nelle virtù così come nelle note e nelle
lettere dell’alfabeto; e allora perché, in questo contesto, la relazione tra
i generi (maschile e femminile) delle vocali e i generi delle note musi-
cali è la più significativa di tutte? La risposta è sorprendentemente sem-
plice. La trattazione di Aristide presuppone l’esistenza di un metodo
particolare di individuazione delle note di una scala, che consiste nel-
l’applicare a ciascuna di esse il suono di una vocale, sicché, se noi can-
tiamo ogni nota con la vocale appropriata, possiamo contemporanea-
mente, per così dire, chiamarla per nome: il metodo corrisponde, più o
meno, a ciò che noi oggi conosciamo come “solfeggio”, “solmisazio-
ne”, o “sistema sol-fa”, con la differenza che per i nomi delle note noi
usiamo le sillabe do re mi fa sol la si do, e un greco, cominciando dalla
nota il cui nome completo è hypatē mesōn, avrebbe usato le sillabe ta
tē tō te ta tē tō ta. Il sistema greco è noto anche da altre fonti2, e deve
essere molto antico; forse se ne può riconoscere un esempio nelle let-

2
Molto chiara la formulazione di Anon. Bell. 77.
148 Musica, terapia e cosmo: Teofrasto, Aristide Quintiliano, Claudio Tolemeo

tere dipinte su un vaso degli inizi del V sec. a. C.3 Aristide lo descrive
schematicamente (79, 26-80, 6 W.-I.), non spiega diffusamente che cosa
sia e a che cosa serva, e sembra dare per scontato che i suoi lettori sap-
piano già di che cosa si tratta. Sembra verosimile, anche se non possia-
mo darlo per certo, che ai suoi tempi questo sistema venisse usato re-
golarmente nelle scuole. Aristide sembra dare per scontato anche che
la vocale associata con ciascuna nota non sia stata scelta arbitrariamen-
te, ma che sia, per così dire, quella ‘giusta’, l’unica con la quale quella
nota ha la maggiore affinità naturale. Così, una volta appresa la serie
delle note come ta-tē-tō e così via, si possono individuare le qualità
maschili e femminili di ognuna di esse, conoscendo i l g e ne r e de l l a
vo cale con la quale è cantata. Se sappiamo quale vocale è maschio e
quale è femmina, abbiamo la chiave per conoscere i caratteri delle note.
E allora, quale vocale è maschio e quale è femmina? «In genera-
le» dice Aristide «quelle che fanno distendere la bocca in verticale
hanno un suono maestoso, appropriato al maschio, mentre quelle che
la stirano in orizzontale producono suoni più deboli, e più femmini-
li» (78, 4-7 W.-I.). In particolare, ōmega e omicron sono maschi ed
ēta ed epsilon sono femmine (78, 7-14 W.-I.), anche se epsilon, dice
più avanti, può conservare una piccola traccia di mascolinità (79, 17-
19 W.-I.). Delle vocali ancipiti, che possono essere lunghe o brevi (alpha,
iōta, hypsilon), solo alpha è adatta al canto, dal momento che il suo-
no “a” può essere facilmente sostenuto, mentre i suoni più ‘smilzi’
di iōta e hypslon no, e Aristide non ne specifica il genere. Lo stesso
alpha è in parte maschio e in parte femmina, o intermedio tra i due
generi (78, 14-20 W.-I.).
Aristide dice anche diverse altre cose interessanti sulle vocali, e
aggiunge, nel libro III, un’intrigante spiegazione del perché la scelta della
lettera tau come iniziale delle sillabe del solfeggio – ta tē tō te – è stata
particolarmente felice (130, 9-15 W.-I.). Ma è il caso ora di passare al-
l’analisi delle scale musicali. Aristide non è molto chiaro nella sua spie-
gazione, ma con l’aiuto di un altro trattato di teoria musicale possiamo
delinearne lo schema. Nel sistema di due ottave che copre lo spazio
musicale greco, ogni ottava ha la medesima struttura. L’intervallo tra la
nota più bassa e la successiva è un tono. La seconda, la terza, la quarta
e la quinta nota coprono l’estensione di un quarta giusta, e formano
un tetracordo; la quinta nota viene a essere anche la nota più bassa del
secondo tetracordo, che è simile al primo, e che completa l’ottava. Nel
sistema della solmisazione appena descritto, alla nota più bassa di ogni

3
Vd. BÉLIS 1984.
Musica e anima in Aristide Quintiliano 149

ottava è assegnata la vocale epsilon e la sillaba te, e le prime tre note di


ogni tetracordo prendono rispettivamente, dal basso in alto, le lettere
alpha, ēta e ōmega, a formare le sillabe ta tē tō. Quando la quarta nota
di un tetracordo, la più alta, è allo stesso tempo la prima – e la più
bassa – del tetracordo superiore, prende la sillaba assegnata a quella
posizione, ta; e questa è la sillaba assegnata anche alla nota più alta di
tutto il sistema. Nel secondo tetracordo, dove la nota non si lega diret-
tamente alla successiva, ma è nota iniziale della seconda ottava, ha la
sillaba appropriata a quella posizione, la sillaba te4.
La cosa importante è che la sillaba assegnata a ogni nota riflette
la sua p o s i z i o n e : o all’interno del tetracordo, ovvero, in due casi,
all’inizio di un’ottava. È dunque la posizione che conferisce a ogni
nota il suo carattere maschile o femminile. La nota più bassa di ogni
tetracordo ha un alpha, e ha dunque caratteristiche intermedie, forse
un po’ più maschili che femminili; e lo stesso vale, in molti casi, per
la quarta nota, la più alta. La seconda nota ha un ēta ed è totalmente
femminile, mentre la terza ha un ōmega ed è totalmente maschile. Le
note all’inizio di ogni ottava, che prendono epsilon, sono prevalente-
mente femminili, con un tocco appena di mascolinità, derivante dalla
loro posizione.
Il carattere di scale, intervalli, harmoniai e melodie dipende dalle
note che vi sono impiegate (80, 6-10, cf. 79, 19-25 W.-I.). A questo
punto il testo di Aristide presenta aspetti complessi che non possiamo
considerare. Semplificando, si può dire che il carattere di un’harmonia
dipende principalmente dal numero di note maschili e femminili che
contiene, e dalla prevalenza di note dell’uno o dell’altro genere o, even-
tualmente, dalla parità tra i due generi. A sua volta, il carattere di una
melodia può essere determinato dalla quantità di note maschili e fem-
minili dell’harmonia sulla quale è basata; ma, ovviamente, non tutte le
melodie usano tutte le note della loro harmonia, o ne usano alcune
molto meno frequentemente di altre, e in questi casi il loro carattere
viene determinato dalle note che si presentano più frequentemente. È
interessante notare che le note che sono più inequivocabilmente fem-
mina e maschio, quelle con le vocali ēta e ōmega, sono le due note
i ntern e del tetracordo, quelle cosiddette “mobili”: sono proprio que-
ste le note che più facilmente di altre possono cambiare intonazione
nel corso di modulazioni da un’harmonia a un’altra; e quando i com-
positori greci intendevano dare un sapore particolare a una melodia,
omettendo sistematicamente una delle note della scala (harmonia) in

4
Vd. Aristid. Quint. De mus. 79, 26-80, 6 W.-I., con Anon. Bell. 77.
150 Musica, terapia e cosmo: Teofrasto, Aristide Quintiliano, Claudio Tolemeo

base alla quale era costruita, la nota tralasciata era di solito una di que-
ste due5. Il ‘sapore particolare’ della melodia sarà dunque prodotto,
secondo la teoria di Aristide, dalla massiccia rimozione di tutte le note
che sono esempi genuini di uno dei due generi, lasciando il totale pos-
sesso del campo alle note dell’altro genere.
A questo punto possiamo vedere come effettivamente opererà il
terapeuta musicale del quale abbiamo parlato nel capitolo precedente.
Le anime affidate alle sue cure sono attratte o da qualità maschili o
da qualità femminili, e patiscono gli eccessi di desideri e istinti del-
l’una o dell’altra sfera. Quando il terapeuta comincia gradualmente ad
applicare i suoi rimedi musicali, ci viene detto che usa motivi musica-
li di qualità i n t e r m e d i a : il che, come ora sappiamo, vuol dire mo-
tivi musicali che contengono sia note maschio sia note femmina, e forse,
all’inizio del trattamento, contengono più elementi di quel tipo dal
quale il paziente è naturalmente attratto, piuttosto che elementi di tipo
opposto. L’anima del paziente, dunque, trova gradevoli questi motivi
musicali; ma, dal momento che essi contengono a n c h e elementi del-
l’altro genere, è indotta, senza esserne consapevole, verso una “con-
cezione valutativa”, una ennoia, mediante la quale può considerare come
altrettanto desiderabili e gradevoli anche le altre loro qualità, quelle
connesse con l’altro genere. Per gradi successivi, gli stati emotivi ec-
cessivamente maschili o femminili del paziente vengono trasformati
in una condizione mentale più equilibrata e salutare. Le stesse tecni-
che che sono in grado di guarire dagli impulsi emozionali eccessivi
possono essere usate anche, in contesti educativi e per prolungati pe-
riodi di tempo, per rimodellare le disposizioni dell’anima e per mi-
gliorarne il carattere, o per rafforzare le buone disposizioni che già
possiede (80, 10-22, cf. 68, 22-69, 5 W.-I.).
Questa teoria, che fa dipendere il carattere etico e i poteri tera-
peutici ed etici di una melodia dalle qualità maschili e femminili dei
suoi elementi costitutivi, non ha riscontri né in Platone o Aristotele,
né, in effetti, in alcun’altra fonte greca; e risulta priva di senso se viene
isolata dall’altrettanto inusuale visione che Aristide ha dell’anima. Non
credo che il riferimento alle harmoniai tramandate dai «seguaci di Da-
mone», alcune delle quali, dice Aristide, contengono alcune note mo-
bili più femminili e altre più maschili, debba essere considerato come
testimonianza che la teoria risalisse allo stesso Damone (80, 25-81, 3

5
Vd. per esempio la sistematica omissione della lichanos nel Peana di Athena-
ios (n. 20 in PÖHLMANN-WEST 2001, pp. 62-73), e in particolare la prima parte (PÖHL-
MANN-WEST 2001, pp. 62-63): osservazioni in merito in BARKER 2002, pp. 127-129.
Musica e anima in Aristide Quintiliano 151

W.-I.). La cosa è assolutamente inverosimile. Non c’è alcuna ragione


per credere che Damone avesse elaborato una qualche teoria dell’ani-
ma, tanto meno una teoria affine a quella di Aristide: e senza una teo-
ria dell’anima così concepita, una simile analisi di melodie e schemi di
accordatura (harmoniai) sarebbe del tutto incomprensibile. Globalmente
considerata, in realtà, la psicomusicologia di Aristide sarebbe stata im-
pensabile in epoche storiche molto precedenti alla sua6.
Le melodie e i loro elementi costitutivi non sono l’unico fattore
musicale che può essere usato per influenzare l’anima; Aristide parla
anche dei ritmi, delle p ar o le usate nei canti, e delle concezioni, en-
noiai, che questi elementi trasmettono, ma io non dirò nulla in propo-
sito. L’ultimo tema affrontato da Aristide è il potere esercitato sull’ani-
ma dagli stru men t i m u s icali, e le ragioni per le quali i diversi stru-
menti influenzano l’anima in diversi modi. Aristide presenta l’argomento
nella terza e ultima parte della sua disquisizione sull’anima, la più stror-
dinaria (capitolo 17).
Nella sua condizione originaria, l’anima, incorporea e inconta-
minata, vive nelle regioni superiori dell’universo. In che modo, dun-
que, quando cala verso queste regioni più basse, riesce a connettersi
con il corpo che abiterà? Aristide, in uno dei suoi passi più eloquenti,
dà una risposta stupefacente e bellissima. Per quanto strana possa
essere, va comunque interpretata alla lettera, perché solo così rag-
giunge il suo scopo; non deve dunque essere considerata come un’al-
legoria o un ‘mito filosofico’. La prima sede dell’anima è nel cielo
incontaminato sopra le stelle, dove sta in compagnia col signore
dell’universo. La sua discesa nel mondo di quaggiù non si compie in
un solo istante, come per magia. Comporta invece un lungo viaggio
attraverso tutte le regioni del cielo, e durante questo viaggio l’anima
raccoglie attorno a sé pezzi e frammenti delle sostanze di cui le cose
di quelle regioni sono composte. «Mentre attraversa i cerchi dell’ete-
re» dice Aristide «raccoglie tutto ciò che è luminoso e adatto a ri-
scaldare il corpo e a dargli la sua naturale coesione; e da questi cerchi,
e dalle linee formate dall’interazione dei loro movimenti, mentre procede
nel suo corso disordinato, intreccia per sé dei legacci, come a formare
una rete» (87, 11-16 W.-I.)7. In questa fase, la copertura che l’anima

6
Per ulteriori precisazioni, vd. l’appendice a questo capitolo.
7
Una curiosa anticipazione di quest’immagine si trova in uno dei poemi che
circolavano nei secoli V e IV a. C. sotto il nome di Orfeo, alcuni dei quali si erano
certamente conservati fino ai tempi di Aristide. Secondo Aristotele (De gen. an. 734a),
vi si affermava che «una cosa vivente viene al mondo come l’intrecciatura di una
rete» (La rete era il titolo di uno degli scritti attribuiti a Orfeo; vd. Sud. ο 654; ι 578
152 Musica, terapia e cosmo: Teofrasto, Aristide Quintiliano, Claudio Tolemeo

si è costruita è di forma s f e r i c a , la forma propria di quei domìni


superiori; ma la forma cambia quando l’anima entra nella regione
attorno alla luna, dove l’aria è compatta, umida e resistente. Mentre
vola giù attraverso quest’aria più densa, produce un ronzio forte e
rumoroso, e la capsula che la avvolge si distende v e r t i c a l m e n t e a
formare un essere umano: potremmo dire quasi come quando, apren-
dosi, un paracadute, prima di gonfiarsi, si allunga per azione della
resistenza dell’aria attraverso la quale cade. Le coltri di sostanza eterea
che coprono l’anima diventano membrane, i robusti filamenti intrec-
ciati che la circondano diventano tendini e nervi, e l’aria umida pro-
veniente dalla regione bassa, con la quale tutte le parti della struttura
sono legate fra loro, diventa respiro (87, 16-88, 4 W.-I.).
Questa struttura non è il corpo, ma ciò che Aristide chiama il
“primo corpo” dell’anima, o la “radice” del corpo (88, 1-4 W.-I.): il
suo compito è di tenere insieme e unificare la carne e il sangue che le
cresce attorno. Aristide amplia il suo quadro con idee prese, come egli
stesso ci dice, da scrittori di medicina. Gli elementi fondamentali del
corpo, il cui benessere è decisivo per la nostra salute, sono «membrane
e arterie: nient’altro che tessuti nervosi in forma di tubi contenenti il
respiro, e intrecciati tra loro come tele di ragno» (89, 13-16 W.-I.). Sono
questi tubi e vasi a contenere anche l’anima, i cui movimenti si mani-
festano nelle loro espansioni e contrazioni, specialmente in quelle del
polso (89, 10-22 W.-I.).
L’anima, mentre abita un corpo, è dunque intrappolata in tutta
questa tubatura, al cui interno i ritmi delle sue pulsazioni animano l’or-
ganismo e presiedono al suo corretto funzionamento. Esaminando
queste pulsazioni, i medici possono diagnosticarne lo stato di salute: se
i ritmi sono ben ordinati, l’organismo è sano; se non lo sono, c’è peri-
colo di malattia. È importante rilevare come, all’interno della scienza
medica greca, le teorie sulla p u ls az io n e e i suoi ritmi occupassero
un posto molto importante8; e come molti medici eminenti sostenesse-

Adler). In De anima 410b Aristotele dice poi che nei «cosiddetti poemi Orfici» si
trova l’affermazione che l’anima, dall’universo (“il tutto, to holon”), entra negli esse-
ri viventi, introdottavi dai venti, mediante insufflazione. Qui si potrebbe vedere un
tratto comune, se non con le idee di Aristide, almeno con il suo lessico, dato che,
per riferirsi all’“universo”, anche Aristide adopera il termine to holon: ma il dato
non ha molto peso, perché il termine è ampiamente attestato in questo senso nel
vocabolario filosofico greco.
8
Il più insigne esponente di questa teoria fu Erofilo (III sec. a. C.), le cui
concezioni sono più volte riprese da Galeno e altri; vd. in particolare i passi 161-
188b in VON STADEN 1989. Sulle teorie di Galeno vd. in particolare i suoi trattati De
differentiis pulsuum e Synopsis de pulsibus; cf. DEICHGRÄBER 1957.
Musica e anima in Aristide Quintiliano 153

ro che il contenuto delle arterie e degli altri vasi fosse l’anima e il re-
spiro, come appunto dice anche Aristide9. Ci sono in Aristide chiare
connessioni con la tradizione medica. Questa parte della teoria sugge-
risce anche uno dei modi nei quali la terapia musicale può migliorare
la salute d el cor p o , anche se i suoi effetti sono avvertiti principal-
mente dall’anima, e non dal corpo: le pulsazioni nelle nostre arterie e
negli altri vasi sono movimenti d ell’ an ima , e possono essere scon-
volte o riordinate attraverso l’influsso dei ritmi musicali, come Aristi-
de spiega nel capitolo 15.
Ma lo scopo principale che Aristide si prefigge descrivendo i viaggi
dell’anima e la natura di vasi e membrane al cui interno è ingabbiata, è
di spiegare le sue affinità con gli s t r u m en t i mus i c a l i , e di rendere
ragione dei loro effetti psicologici. In gran parte del capitolo 18 Aristi-
de tratta questi argomenti da una prospettiva che possiamo chiamare
“scientifica”; nelle frasi finali, e in tutto il capitolo 19, mette invece in
relazione le sue conclusioni con immagini e leggende tramandate dai
poeti, che raccontano di Sirene, Muse, Apollo, Hemes, Athena, Marsia
e di altri personaggi a tutti ben noti: su questo non dirò nulla. Mi sof-
fermerò invece proprio sulla spiegazione più sobriamente scientifica del
capitolo 18, che si divide in due parti, brevi e semplici.
Il fatto che la musica strumentale influenza l’anima in modo così
potente e diretto, dice Aristide, è facilmente spiegabile: lo speciale con-
tenitore dell’anima è costruito co n g li s t e s s i ma te r i a l i – nervi e
fiato – che, negli strumenti musicali, vibrando, dànno origine al suono.
I movimenti del fiato all’interno dell’aulos si trasmettono al fiato in-
trappolato, con l’anima, all’interno delle arterie, e allo stesso modo le
vibrazioni delle corde di budello di una lira si riproducono sui fila-
menti di fibra nervosa che circondano l’anima. Aristide spiega molto
chiaramente il suo pensiero ricordandoci il fenomeno che chiamiamo
“vibrazione per simpatia”. Supponete di accordare due corde di una
kithara all’unisono, dice Aristide, e poggiate un pezzettino di paglia su
una di esse. Ora, quando colpite l’altra corda per farla risuonare, ve-
drete che contemporaneamente la pagliuzza si metterà in movimento
(89, 23-90, 5 W.-I.). «L’arte del dio» continua Aristide «è tanto straor-
dinaria da far muovere e agire anche gli oggetti inanimati. Quanto più
grande deve essere il potere della somiglianza che agisce sulle cose messe
in movimento dall’anima!» (90, 5-8 W.-I.).

9
Le idee di un sostenitore di questa teoria, Erasistrato, sono discusse e confu-
tate da Galeno, soprattutto nel suo An in arteriis natura sanguis contineatur. Vd.
FURLEY-WILKIE 1984.
154 Musica, terapia e cosmo: Teofrasto, Aristide Quintiliano, Claudio Tolemeo

Aristide, in relazione alle loro caratteristiche, divide gli strumenti


musicali in due gruppi: a fiato e a corda10. Gli strumenti a corda, il cui
suono è prodotto dalle vibrazioni di filamenti nervosi, rassomigliano a
quelle parti dell’involucro dell’anima costituito di etere, e a quella re-
gione dalla quale quelle parti provengono. Questi strumenti sono ‘sem-
plici’, nel senso che non possono indulgere a complicate modulazioni
nel corso di un’esecuzione, e sono secchi. Compattezza e secchezza sono
attributi maschili; e l’umidità, qualità femminile, è nemica di stru-
menti di questo tipo, dal momento che, come osserva giustamente
Aristide, «l’aria umida li mette fuori uso» (90, 9-13 W.-I.). Gli stru-
menti a fiato hanno carattere opposto: sono umidi e mutevoli, le loro
qualità sono fem m in ili e si adattano a improvvise modulazioni, ossia
ai rapidi e inaspettati cambiamenti del carattere musicale ed emoziona-
le della loro musica. Hanno affinità col respiro contenuto nelle cavità
dell’anima, e con le umide regioni sublunari (90, 13-17 W.-I.). Gli stru-
menti a corda, dunque, sono chiaramente migliori, un fatto reso vivi-
damente dalla leggenda della contesa tra Marsia con i suoi auloi e Apollo
con la sua kithara (90, 17-20 W.-I.). «Al Frigio Marsia, appeso come
un sacco al di sopra di un fiume a Celene tocca la parte inferiore, om-
brosa e piena di umidità, sospeso com’è al di sotto dell’aria e al di sopra
dell’acqua; Apollo, invece, con i suoi strumenti, è il padrone dell’es-
senza incontaminata e aerea (90, 20-25 W.-I.). Scienza e mito, a quanto
pare, sono in perfetta armonia.
Vorrei concludere il capitolo con una sorta di “Address to the
Reader”, formula così cara agli scrittori del secolo XIX. Ognuno di voi
è un’anima. Tanto tempo fa non avevate un corpo, vivevate nel regno
al di sopra del cielo nella contemplazione senza fine della verità e della
bellezza, delle quali ancora avete lontani e flebili ricordi. Ma il signore
dell’universo vi assegnò il compito di farvi carico di un corpo in que-
sto mondo, e di farlo vivere tranquillo e felice, praticando l’onestà.
Cominciò così il vostro viaggio attraverso gli ardenti cerchi della parte
superiore del cielo, della cui sostanza vi siete intessuto un involucro
caldo e secco. Poi attraversaste l’umida regione della luna, dove il vo-
stro rivestimento fu riempito di umido respiro, e allungato a formare
una figura umana. Infine, siete scesi fin quaggiù sulla terra, dove avete
trovato un corpo per ricevervi: e vi fu data facoltà di scegliervelo. For-

10
Questa semplice classificazione risale ad Aristosseno (vd. Athen. 174e =
Aristox. fr. 112 Da Rios); gli strumenti a percussione vengono considerati talvolta
come un gruppo a sé (Athen. 636c). Per una classificazione più complessa, e diffe-
rentemente fondata, vd. Nicom. Ench. 4.
Musica e anima in Aristide Quintiliano 155

se siete un’anima che ama forme lisce, superfici arrotondate, colori


delicati, e avrete scelto un corpo femminile; o forse sarete attratti da
ciò che è rude e vigoroso, e ne avrete scelto uno maschile. Forse, in
qualche modo, la vostra scelta non è riuscita del tutto felice e vi siete
trovati nel corpo sbagliato. In questo caso dovrete fare del vostro me-
glio per riadattarlo ai vostri gusti.
In ogni caso, vi trovate qui, sempre pulsanti all’interno dei vostri
vasi tubolari, eccitati da alcuni stimoli che vi raggiungono attraverso i
vostri organi corporei, spaventati da altri, intristiti da altri ancora; e
reagite a essi in modo risoluto o isterico, secondo i casi. Mantenere le
vostre emozioni sotto controllo, e il vostro carattere in condizione di
assolvere il suo compito di governo non è sempre facile. Qualche volta
avete bisogno di aiuto. E quest’aiuto viene dalla musica, i cui movi-
menti ritmici e melodici dispongono che i rivestimenti nervosi della
vostra dimora palpitino per simpatia, ed emettano onde che si propa-
gano attraverso il respiro che riempie vasi e cavità del vostro organi-
smo. I movimenti che esprimono le vostre emozioni vengono gradual-
mente disciplinati secondo il ritmo di questi impulsi di danza; poco a
poco le qualità maschili delle melodie e dei ritmi stabilizzeranno e cal-
meranno le vostre passioni femminili eccessive e disordinate, o le qua-
lità femminili doneranno morbidezza e flessibilità alla vostra fierezza
maschile dominatrice e intransigente. In questo modo il vostro equili-
brio psichico sarà ristabilito. Tutto questo sembra splendido. Eppure
l’ideale armonia intima di cui Aristide parla non è forse esattamente
conforme all’apparenza. Alla base delle sue immagini di armonioso
bilanciamento tra elementi e impulsi maschili e femminili c’è il pregiu-
dizio sciovinistico proprio di ogni altro scrittore greco maschio. Melo-
die, strumenti, caratteri ed emozioni maschili sono migliori, e quelli
femminili sono peggiori; Aristide ricorda anche con approvazione il
consiglio che si crede Pitagora abbia dato ai suoi discepoli: «se avesse-
ro mai udito il suono di un aulos», lo strumento più femminile in as-
soluto, «avrebbero dovuto lavarsi le orecchie perché quel fiato li avrebbe
contaminati, e per purificare la loro anima dagli impulsi irrazionali
avrebbero dovuto usare canti di buon auspicio accompagnati dalla lira»
(91, 27-31 W.-I.). Perciò, guardatevi dall’oboe, e tappatevi le orecchie
al suono del clarinetto o del sassofono, altrimenti le increspature che
questi strumenti faranno pulsare lungo i tubi nei quali siete confinati
vi faranno impazzire di passione e desiderio.
156 Musica, terapia e cosmo: Teofrasto, Aristide Quintiliano, Claudio Tolemeo

Appendice

Nel corso di questo capitolo ho sostenuto che le analisi delle strut-


ture melodiche sulle quali si fonda la psicoterapia musicale di Aristide
– analisi basate su criteri di differenza di genere – sono un contributo
originale dello stesso Aristide. Vorrei ora aggiungere qualche precisa-
zione sulla natura di questa originalità, giacché alcuni degli elementi
essenziali di quest’elaborazione erano certamente già ben attestati nella
tradizione precedente. Possiamo cominciare considerandone alcuni tra
i più significativi.
Innanzi tutto, la definizione di determinati caratteri come “ma-
schili” e di altri come “femminili”, anche quando non si tratta di per-
sone o animali, non è affatto nuova. La classificazione delle caratteri-
stiche di colori, suoni e altri oggetti sensibili, che Aristide fa riferendo-
si al loro ‘genere’, (67, 19-68, 4 W.-I.) non sarà sembrata inusuale a un
greco di qualsiasi periodo; e la pratica di distinguere tipi maschili e
femminili di musica, in particolare, è antica almeno quanto Aristofa-
ne11. La dicotomia “maschio/femmina” aveva una parte importante nel
pensiero pitagorico più antico, del quale ci sono molte tracce in Aristi-
de. “Maschio” e “femmina” formano una delle dieci coppie oppositive
che, stando ad Aristotele, venivano considerate fondamentali dai Pita-
gorici12. Nella tabella che contiene queste dieci coppie, la colonna nella
quale compare il termine “maschio” sembra governata dall’idea di “de-
finitezza”, e comprende, per esempio, termini come “limite”, “quieto”,
“dritto”, “luce”, “buono”, mentre la colonna nella quale compare il
termine “femmina” comprende termini come “indeterminato”, “mos-
so”, “curvo”, “oscurità” e “cattivo”. È del tutto evidente che la conce-
zione aristidea della ‘mascolinità’ e della ‘femminilità’, con le relative
associazioni, riflette un nesso di polarità molto simile.
In secondo luogo, il sistema di solmisazione che assegna sillabe
alle note della scala, era già comune nella cultura greca. Come ho det-
to, non se ne conoscono le origini, ma esso ha chiari legami con un
criterio di classificazione che ricorre in Aristosseno, e che ricompare
frequentemente nella tradizione aristossenica più tarda. Le sillabe della
solmisazione sono soltanto quattro: ta, tē, tō e te, e ogni nota della scala
viene cantata pronunziando l’una o l’altra di esse. Le note dunque si
dividono in quattro gruppi, il che riproduce esattamente una classifica-
zione usata dai teorici aristossenici, che identificano le note dalla loro

11
Vd. per es. Aristoph. Thesm. 20-70 e cf. Plat. leg. 669c, 802d-e.
12
Aristot. Met. 986a, cf. Eth. Nic. 1096b.
Musica e anima in Aristide Quintiliano 157

posizione in rapporto al pyknon, la piccola sotto-struttura formata da


tre note e due intervalli nella parte bassa del tetracordo. Una nota può
essere o barypyknos (la più bassa del pyknon), o mesopyknos (quella
che si trova in mezzo al pyknon), o oxypyknos (la più alta del pyknon);
se poi la nota non fa parte del pyknon, allora viene chiamata apyknos.
Le note appartengono all’una o all’altra di queste categorie (o, nei si-
stemi di genere diatonico in cui il pyknon non ricorre, a categorie in-
tese a definire un analogo sistema di distinzioni). La classificazione non
è puramente ‘scolastica’, ma, all’interno di questa impostazione di teo-
ria musicale, riveste funzioni molto significative, che non potrò esami-
nare in questa sede13. Ogni sillaba della solmisazione è assegnata a un
gruppo di note individuate dai teorici aristossenici: la sillaba per le
barypyknoi è ta, per le mesopyknoi è tē, per le oxypyknoi è tō, e per le
apyknoi è te. La distinzione fra tipi di note, sulla quale l’impostazione
di Aristide è basata, non è dunque puramente arbitraria.
In terzo luogo, è vero che non esiste alcun chiaro precedente del-
l’attribuzione, da parte di Aristide, di mascolinità e femminilità alle
vocali. Ma la pratica di assegnare proprietà emotive o estetiche ai suoni
rappresentati dalle lettere dell’alfabeto risale almeno a Platone, e le re-
lative speculazioni esposte nel Cratilo (426c-427c) riflettono probabil-
mente idee propugnate prima di lui dai sofisti del V sec. a. C. (Esisto-
no alcune affinità, ma non un’esatta corrispondenza, tra le osservazio-
ni di Socrate sulle vocali, a Crat. 427c, e quelle di Aristide). L’argo-
mento fu affrontato anche da letterati e grammatici più tardi, e in par-
ticolare da Dionisio Trace (Ars grammatica 10 Uhlig) e da Dionisio di
Alicarnasso (De comp. verb. 14). Sembra che Aristide conoscesse l’opera
di Dionisio di Alicarnasso, che costituisce probabilmente la fonte prin-
cipale della dottrina metrica esposta nel libro I del De musica; e il ca-
pitolo di Aristide sulle lettere e le sillabe (75, 14-76, 30 W.-I.) non è
altro che un compendio, con minime modificazioni, dei capitoli 14 e
15 del De compositione verborum di Dionisio. Le osservazioni sulle vo-
cali che Aristide premette alla sua esposizione del sistema della solmi-
sazione (78, 2-79, 2 W.-I.) sono, per certi aspetti, simili a quelle conte-
nute in De comp. verb. 14, anche se i due autori danno delle vocali due
differenti valutazioni: mentre Aristide considera il “maschile” ō supe-

13
A parte le lievi variazioni nella terminologia usata dai diversi teorici, il senso
delle classificazioni non cambia. Vd, per es., Aristox. El. harm. 70, 15-72, 28 (87, 15-
90, 11 Da Rios); Cleonid. Harm. 186, 1-187, 2; 197, 4-198, 13, cf. 205, 19-206, 2 Jan;
Porph. In Ptol. Harm. 26, 30-27, 16 Düring (sul teorico Archestrato, per la cui im-
postazione, a quanto pare, queste distinzioni avevano un’importanza straordinaria);
Arist. Quint. De mus. 9, 13-24 W.-I.
158 Musica, terapia e cosmo: Teofrasto, Aristide Quintiliano, Claudio Tolemeo

riore al “femminile” ē, Dionisio adotta come parametro di valutazione


la chiarezza con la quale la voce articola i suoni, e considera l’ē supe-
riore all’ō – dando il primato su entrambe all’alpha lungo, ā. Anche
sotto questo aspetto, dunque, è del tutto evidente che il sistema di
Aristide basato sulle differenze di genere, sebbene in apparenza nuovo
e non fondato su conclusioni di teorici precedenti, si inserisce all’inter-
no di un contesto tradizionalmente consolidato14.
Nel formulare la sua teoria, Aristide attingeva, dunque, in modo
consistente a idee precedenti e ad argomenti ben noti del dibattito eru-
dito e filosofico. La novità del suo sistema sta principalmente nel fatto
che egli in tegra in u n a t eo r ia u n it ar ia temi e concetti già in pre-
cedenza trattati da tutta una serie di autori, esponenti di diverse scuole
di pensiero, e in tanti diversi contesti speculativi. Il sistema contiene
elementi di metafisica pitagorica, aspetti del platonismo, contributi
grammaticali, caratteri significativi della teoria musicale aristossenica, il
sistema di solmisazione usato (probabilmente da maestri di scuola) nella
pratica musicale, e varie altre asserzioni di carattere generale, ampia-
mente condivise nella cultura greca.
Accanto a questi ingredienti, però, io credo che dobbiamo inseri-
re anche un importante contributo originale dello stesso Aristide, ossia
la sua in n o vat iv a t r at t az io n e d ell’ an i ma uma na , e in partico-
lare il suo modo di caratterizzare le disposizioni psichiche in termini
di differenza di genere. Queste nozioni sono essenziali se la sua
analisi degli elementi maschili e femminili delle strutture e delle com-
posizioni musicali deve servire come base di un progetto di educazio-
ne del carattere e di psicoterapia. L’ispirazione generale per la sua teo-
ria dell’anima viene ad Aristide in gran parte da Platone (in particola-
re, forse, dal Fedro), e anche la sua classificazione delle disposizioni
dell’anima come maschili e femminili può avere un lontano progenito-
re nei due elementi dell’anima identificati nei libri II e III della Repub-
blica: l’attivo e ardente thymoeides e il gentile philosophon. Ma per i
suoi dettagli piacevoli e coloriti, e per il ruolo fondamentale che asse-
gna alla distinzione tra qualità maschili e femminili, questa teoria non
conosce paralleli nella letteratura precedente, e possiamo essere certi che
la sua elaborazione è dovuta all’immaginazione ingegnosa e stravagan-
te dello stesso Aristide.

14
Nonostante la novità del sistema, la base sulla quale Aristide fonda la sua
individuazione del genere delle vocali non è affatto inaccessibile o sconosciuta: la
fonte emerge dalle sue stesse semplici osservazioni sui dialetti e sulla grammatica
elementare che si leggono in De mus. 78, 20-79, 2 W.-I.
Musica e anima in Aristide Quintiliano 159

Anche se è inverosimile che i lettori moderni possano condivide-


re le premesse sulle quali il sistema di Aristide si fonda, essi possono
certamente ammirare la complessità e la coerenza globale della sua
costruzione. Eppure, anche considerando il sistema all’interno del suo
proprio orizzonte, in un punto cruciale la sua struttura appare debole.
La teoria assegna a ogni nota della scala un genere, o un complesso di
generi, come qualità in er en t e alla natura di quella nota. Ma Aristide
giustifica questa connessione tra note e generi unicamente collegando
le une e gli altri con le vocali adoperate nel sistema della solmisazione,
e con i generi a loro volta attribuiti a queste vocali. Anche ammetten-
do che l’assegnazione di generi alle vocali abbia fondamenti reali nella
tradizione grammaticale, il problema è che la solmisazione stessa sem-
bra essere un mezzo convenzionale, per cui la sillaba da usare per can-
tare uno qualsiasi dei gruppi di note è evidentemente scelta in maniera
del tutto arbitraria. Non c’è alcun motivo per credere che, per esem-
pio, tra la nota più bassa di un tetracordo e la sillaba ta esista un’affi-
nità essen ziale, e che il sistema di Aristide avrebbe avuto una diver-
sa configurazione se per indicare la medesima nota fosse stata usata in-
vece una qualche altra sillaba. La teoria di Aristide presuppone una con-
nessione autentica, n at u r ale, tra ognuna delle note e una delle vocali
maschili o femminili: una connessione che però n o n e s i s t e n e l l a
r ealtà.
A una debolezza teorica così evidentere non credo che sia possi-
bile ovviare in maniera del tutto soddisfacente: il testo non contiene
elementi utili a risolvere il problema, e ogni tentativo di farlo è desti-
nato a essere congetturale. Tuttavia, vorrei provare a indicare una dire-
zione dalla quale un aiuto potrebbe arrivare. Abbiamo visto che le sil-
labe della solmisazione, ta, tē, tō e te, sono applicate, rispettivamente,
alle note barypyknoi, mesopyknoi, oxypyknoi e apyknoi della teoria
musicale aristossenica. Ora, appare appropriato, e fin ‘naturale’ asse-
gnare le vocali il cui genere non è totalmente maschile o femminile alle
note che hanno una funzione preminente in ogni tipo di scala, le co-
siddette note “fisse”, giacché altrimenti ogni scala sarebbe dominata da
note del medesimo genere. Le note fisse sono le barypyknoi e le apyk-
noi, e proprio a queste note appartengono le sillabe di genere ‘misto’,
ta e te. Passando adesso alle note mobili, le mesopyknoi e le oxypyk-
noi, possiamo vedere che quando le loro funzioni musicali, secondo la
concezione aristossenica, vengono reinterpretate attraverso la lente della
metafisica pitagorica, sono le oxypyknoi a dover essere considerate
maschili e le mesopyknoi a dover essere considerate femminili. Questo
perché i Pitagorici associano la mascolinità con il “limite” e il definito,
160 Musica, terapia e cosmo: Teofrasto, Aristide Quintiliano, Claudio Tolemeo

la femminilità con l’indefinito e l’illimitato; nella teoria musicale ari-


stossenica, invece, è la posizione della nota oxypyknos che ‘determina’
il carattere di una scala, ossia, il genos e la chroa, il “genere” e la “sfu-
matura” a cui essa appartiene. Una volta che la nota oxypyknos è al
suo posto, la precisa collocazione della mesopyknos è irrilevante, rela-
tivamente ‘indeterminata’: il carattere della scala è stato già fissato e
definito. Perciò l’oxypyknos funziona da elemento tipicamente ‘maschi-
le’, dominando e determinando il carattere della struttura, mentre il
ruolo della mesopyknos è subordinato e ‘femminile’. Questo fornisce
una sorta di giustificazione, all’interno dell’orizzonte di riferimento di
Aristide, per assegnare la sillaba maschile tō alle oxypyknoi e quella
femminile tē alle mesopyknoi. Aristide stesso non dice nulla in propo-
sito, e non so se avrebbe accettato i miei titubanti suggerimenti, che
però, forse, avrebbero potuto offrirgli un aiuto, anche se piccolo, a
rafforzare la sua teoria in un punto critico, in cui sembrava sul punto
di crollare.
Speculazione e scienza in Aristide Quintiliano e Claudio Tolemeo 161

IX
SPECULAZIONE E SCIENZA
IN ARISTIDE QUINTILIANO E CLAUDIO TOLEMEO

La dottrina elaborata da Platone nel Timeo, e qui esposta a grandi


linee nel capitolo VI, dà un fondamento matematico alla tesi secondo
la quale la struttura dell’Anima del mondo e del sistema visibile di stelle
e pianeti è formalmente identica alla struttura dell’anima umana e alla
struttura di un sistema di accordatura musicale (harmonia). Come ho
detto, nella tarda antichità la teoria di Platone viene più volte ripresa
dai Pitagorici e dai Platonici; ma alcuni altri autori, che postulano an-
ch’essi precise correlazioni tra forme di organizzazione del cosmo e
strutture dell’anima e della musica, nell’esporre il loro pensiero, non
fanno alcun riferimento alle concezioni del Timeo, o assegnano alla ma-
tematica della pagina platonica soltanto un ruolo subordinato. In que-
st’ultimo capitolo considererò due di questi autori, Aristide Quintilia-
no e Claudio Tolemeo. Dal punto di vista intellettuale, Aristide è di
gran lunga meno complesso e attraente di Tolemeo, e nonostante sia
successivo di almeno un secolo, me ne occuperò per primo.
«Le cose di questo mondo», dice Aristide nel De musica (III 7),
«sono fatte a imitazione delle cose più importanti (ta timiōtera), e pren-
dono vita ed esistenza in accordo con i moti e le rivoluzioni di quelle»
(104, 4-7 W.-I.). Le «cose più importanti» sono i corpi celesti, e i loro
movimenti riflettono, con assoluta precisione, l’attività dell’agente di-
vino, che Aristide chiama «il Tutto», e che è la causa prima di tutte le
cose. Nel «torbido e tenebroso» mondo sublunare abitato dall’uomo,
l’influsso di questo agente viene ostacolato, e si realizza quindi solo in
parte. «Nel marmo, lo scultore [...] può agevolmente imprimere le for-
me che desidera, ma non riesce a farlo, se non con difficoltà, nella pie-
tra pomice; e ciò non è dovuto a imperizia o debolezza, ma all’inade-
guatezza del materiale. Esattamente allo stesso modo, l’azione divina
del Tutto, con le cose dell’altro mondo, adatte a esso in quanto prov-
162 Musica, terapia e cosmo: Teofrasto, Aristide Quintiliano, Claudio Tolemeo

viste dell’elemento divino in misura maggiore, ottiene risultati migliori


che con quelle di quaggiù, le quali, intorbidandosi, si sono oscurate a
causa della loro grande distanza, del velo e del sedimento del loro cor-
po» (104, 12-20 W.-I.). Per Aristide le cose di questo mondo corrispon-
dono a quelle dell’altro n o n s o lt an t o p er i mi ta z i one , ma a nc he
per «simp atia» (105, 4-5); lo provano i rapporti tra i cambiamenti
delle condizioni atmosferiche e i cambiamenti nei cieli, gli influssi del-
la luna sulle maree e sulla crescita e il deperimento di piante e animali,
e i rapporti tra le piene periodiche del Nilo e i movimenti del sole (105,
4-18 W.-I.).
Alla luce di ciò, continua Aristide, «si può credere che la musica,
come tutte le cose, abbia il suo fondamento nella natura dell’universo
ma che, mescolandosi con la materia corporea, perde la sua sublime
esattezza numerica, mentre, nella regione al di sopra di noi, resta pre-
cisa e incorruttibile» (105, 18-22 W.-I.). Questo riferimento ai numeri
riprende un tema presente in tutti i precedenti capitoli del libro III.
Nei primi cinque si tratta dei rapporti numerici degli intervalli musi-
cali più importanti, mentre il sesto espone le proprietà assegnate a cia-
scuno dei numeri da 1 a 12, secondo le dottrine numerologiche dei
Pitagorici. Nel capitolo 8, immediatamente dopo i brani che ho appe-
na richiamato, Aristide, addentrandosi in dettagli relativi alla medici-
na e alla pittura, argomenta che i numeri e i rapporti tra i numeri sono
fondamentali non soltanto in tutte le arti, ma anche in altri aspetti del-
l’esperienza umana. Così, per esempio, quando due persone si trova-
no in contrasto fra loro «la loro disarmonicità viene spesso ricondotta
all’armonia da una media proporzionale, così come una consonanza
intermedia armonizza intervalli dissonanti» (106, 27-29 W.-I.)1. Ana-
logamente, nell’anima, la parte ‘irascibile’ (thymikon) fa da mediatore
tra la ragione (logismos) e il desiderio (epithymia), e in un sistema
politico i militari sono mediatori fra il governo e il popolo (106, 30-
107, 2 W.-I.). «E allora, è segno di assoluta ignoranza e incultura pen-
sare che questi elementi sono chiaramente fondati su base numerica e
proporzionale, mentre la musica no» (107, 9-11).

1
Aristide pensa a due note dissonanti tra loro, ciascuna delle quali può essere
resa consonante con una terza nota inserita fra l’una e l’altra. Così, l’intervallo di
cinque toni, il cui rapporto è 16:9, è una dissonanza; ma se tra i due suoni che lo
compongono ne viene inserito un terzo, che corrisponde alla media proporzionale
tra 16 e 9, e cioè 12, l’intervallo iniziale viene trasformato in due intervalli, perfetta-
mente consonanti, di quarta giusta (16:12 = 12:9 = 4:3). Allo stesso modo, due per-
sone reciprocamente ostili possono essere riconciliate grazie alla mediazione di una
terza persona che sia ‘consonante’ con entrambi.
Speculazione e scienza in Aristide Quintiliano e Claudio Tolemeo 163

La natura della musica, dunque, riflette, anche se in modo imper-


fetto, la natura dell’intero universo. «Come ogni altra manifestazione
di bellezza, così anche la musica non può esistere se non in consonan-
za con l’universo; e se anche esistesse, la sua azione non sarebbe così
potente se non avesse acquisito, grazie alla sua stretta somiglianza con
le cose di lassù, una forza costante e divina» (107, 15-20 W.-I.). Questa
r asso miglian z a si evidenzia nei modelli di relazioni numeriche che
la musica, e in misura minore anche le altre arti (cf. 107, 20-22 W.-I.),
condivide con i moti delle stelle e dei pianeti e con tutti gli altri ele-
menti del cosmo che sono organizzati dall’ ‘azione del Tutto’. Questi
modelli stanno a fondamento, per esempio, dell’organizzazione delle
regioni dell’universo e degli elementi della materia, dei periodi di ge-
stazione degli embrioni umani, e – cosa molto importante ai nostri
fini – delle strutture e delle virtù d ell’ an ima uma na , e dei percorsi
che la sua vita può seguire.
A questo punto, ci aspetteremmo che, una volta individuati, nel-
l’anima, elementi analoghi a strutture musicali, Aristide ne imposti l’ana-
lisi in termini matematici e numerologici, individuando numeri, rap-
porti e proporzioni che siano alla base della musica come dell’anima.
In realtà, le cose stanno in modo totalmente diverso. Certo, i numeri
musicalmente significativi hanno un ruolo importante nella trattazione
di altri argomenti, specialmente a proposito dei periodi di gestazione
(III 18; 23), e in alcune riflessioni – non in tutte – sulla struttura dei
cieli e sui movimenti delle stelle e dei pianeti (in particolare, III 12-13;
23-24). Ma nei capitoli che riguardano più direttamente l’anima e il
comportamento umano (III 14-17; parte di 25; 26-27) il ruolo dei nu-
meri è minimo; e i rapporti numerici tra i suoni, che ci aspetteremmo
costituiscano il cuore dell’argomentazione, non sono ne ppur e me n-
zio n ati. L’unica anima che Aristide analizza in termini matematici è
l’Anima del mondo del Timeo di Platone2, senza peraltro tentare di
porre alcuna relazione tra questa e l’anima umana. Data la grande im-
portanza che Aristide attribuisce a numeri e rapporti in III 1-8, la cosa
è sorprendente. Nel De musica Aristide fa confluire idee attinte dalle
fonti più diverse: e possiamo essere certi che se gli autori delle opere a
lui note avessero offerto analisi matematiche della struttura dell’anima
umana, Aristide se ne sarebbe certamente servito qui. Dal momento che
di ciò non c’è traccia, siamo spinti a concludere che Aristide non era a
conoscenza di opere con questa impostazione.

2
Principalmente in III 24; altri echi del Timeo si riscontrano anche altrove, in
particolare a III 19 e 23.
164 Musica, terapia e cosmo: Teofrasto, Aristide Quintiliano, Claudio Tolemeo

hyperbolaiōn nētē hyperbolaiōn


tetracordo

paranētē hyperbolaiōn

tritē hyperbolaiōn

nete diezeugmenōn
diezeugmenōn
tetracordo

paranētē diezeugmenōn nētē synēmmenōn

synēmmenōn
tetracordo
tritē diezeugmenōn paranētē synēmmenōn

paramesē
tritē synēmmenōn
tono

mesē
tetracordo

lichanos mesōn
mesōn

parhypatē mesōn

hypatē mesōn
tetracordo
h y p a t ō n

lichanos hypatōn

parhypatē hypatōn

hypatē hypatōn
tono

proslambanomenos
Figura 1

Torneremo su questo punto più avanti. Intanto, voglio provare a


far sentire il tono delle argomentazioni di Aristide esaminando soltan-
to due piccoli brani della sua opera. In entrambi è implicito il riferi-
mento al sistema di due ottave sulla base del quale molti teorici musi-
cali greci conducevano le loro analisi, e ai tetracordi di cui si compone.
La figura 1 ne dà una rappresentazione schematica. Come si vede, a un
certo punto il sistema si ramifica in d u e d ir e z i oni : caratteristica che
Aristide sfrutta in maniera significativa. Immaginiamo di cantare, una
dopo l’altra, le note della scala dal grave all’acuto. Completata la prima
ottava (formata dall’intervallo di un tono seguito da due tetracordi
congiunti), arriviamo alla nota chiamata mesē. A questo punto, possia-
mo continuare all’acuto seguendo l’uno o l’altro dei due percorsi possi-
bili: completare la seconda ottava con un intervallo di un tono seguito
dai due tetracordi diezeugmenōn e hyperbolaiōn, o proseguire conside-
rando la mesē stessa come nota più grave di un tetracordo congiunto
con quello inferiore. In questo secondo caso, il sistema si arresta sulla
nota più acuta del tetracordo synēmmenōn e teoricamente non sarebbe
possibile continuare. Ma nella pratica la linea melodica di un canto può
Speculazione e scienza in Aristide Quintiliano e Claudio Tolemeo 165

certamente estendersi all’acuto oltre il tetracordo synēmmenōn: questo


caso però andrebbe interpretato come una modulazione, che implica
uno spostamento di tutta la parte acuta della melodia da una direzione
all’altra del sistema.
Il sistema comprende c i n q u e t a t r a c o r d i , e Aristide sostiene
che ciascuno di essi corrisponde a uno dei c i n q u e s e n s i (III 14).
Il tetracordo hypatōn, il più grave, somiglia al senso del tatto, «per-
ché il tatto è il primo dei sensi, e ne dispongono anche i bimbi appena
nati, che piangono perché avvertono il freddo dell’ambiente che li
circonda. Per natura, il tatto è anche il più forte3, giacché si estende
per tutto il corpo». Il tetracordo mesōn somiglia al gusto «perché,
per vivere, abbiamo bisogno del gusto più di ogni altro senso: e il
gusto è simile al tatto, in quanto è il tatto della lingua». Col tetra-
cordo synēmmenōn è associato il senso dell’olfatto «perché l’olfatto
segue il gusto, e tra questi due sensi c’è comunanza reciproca. Molti,
come i medici, usano gli odori, più che gli alimenti, per rianimare
chi è svenuto». Il tetracordo diezeugmenōn è paragonabile all’udito,
«perché l’udito è collocato a una certa distanza dagli altri sensi, e non
si trova in un’unica parte del corpo, come le narici, ma i suoi organi
sono separati (diezygēsan) l’uno dall’altro, uno sulla destra, l’altro sul
lato opposto». Infine, il tetracordo hyperbolaiōn assomiglia alla vi-
sta: «come infatti questo tetracordo è il più acuto di tutti gli altri
systēmata4, così la vista è il più acuto di tutti gli altri sensi5: non ha
bisogno, come gli altri, della vicinanza degli oggetti, ma riesce da sé
a proiettarsi verso di essi» (113, 15-114, 7 W.-I.). Nel resto del ca-
pitolo, con argomentazioni simili, Aristide pone in relazione ognuno
dei cinque tetracordi con uno dei cinque elementi primari del cosmo
– nell’ordine, terra, acqua, aria, fuoco ed etere6 – e completa il qua-
dro trovando analogie tra ognuno degli elementi e i corrispondenti
organi di senso (114, 8-28 W.-I.).

3
Ho tradotto barytatē con «il più forte»; in musica barytatos significa “il più
grave, il più basso”.
4
Il termine systēma è usato dai teorici in riferimento a una sequenza di note e
intevalli, talvolta a una “scala” completa, talvolta invece a una serie più limitata. Qui,
come spesso in Aristide, i systēmata sono i tetracordi.
5
L’aggettivo oxys, “acuto”, è il termine più comunemente usato in contesti
musicali per connotare un suono dall’intonazione elevata; ma spesso gli autori greci
restano evidentemente consapevoli del valore di oxys come “affilato” o “penetran-
te”, “acuminato”. La parola è comunemente usata anche, come in questo passo di
Aristide, a significare una vista o un’intelligenza “acuta”.
6
L’aria (aēr) è la sostanza umida e nebulosa che si trova nella regione subluna-
re, mentre l’etere (aithēr) è la sostanza chiara e limpida della regione superiore.
166 Musica, terapia e cosmo: Teofrasto, Aristide Quintiliano, Claudio Tolemeo

È del tutto evidente, come ho detto, che in questa pagina Aristide


non si serve dei rapporti matematico-musicali. Il sistema di tetracordi
al quale fa riferimento è usato sia dai teorici non matematici, come per
esempio Aristosseno, sia da quelli che concepiscono gli intervalli mu-
sicali come rapporti fra numeri. Qui invece il numero assume un ruolo
soltanto marginale: cinque sono i tetracordi come cinque sono i sensi e
cinque gli elementi. Le ‘somiglianze’ che Aristide individua dipendo-
no, dal punto di vista musicale, soltanto dalla pos i z i one dei tetracor-
di all’interno del sistema, dalla loro in t o n a z i one r e l a ti v a (espressa
per mezzo di aggettivi utilmente ambigui – “grave” e “acuto”, barys e
oxys), e dal tipo d i r ap p o r t o (di congiunzione o di disgiunzione)
che intrattengono con gli altri tetracordi vicini. Sarebbe un errore, tut-
tavia, trascurare le correlazioni che Aristide istituisce tra i cinque te-
tracordi e i cinque sensi, considerandole del tutto arbitrarie e fantasio-
se. Certo, dal punto di vista della scienza moderna non c’è alcun dub-
bio che lo siano. Ma se riusciamo a liberarci dai presupposti della ra-
zionalità europea contemporanea, e ad adeguarci al modo di pensare di
Aristide, qualitativo e analogico, queste ‘somiglianze’ risultano sorpren-
dentemente persuasive. E diventano ancora più stringenti se conside-
riamo anche le relazioni che Aristide istituisce tra i cinque sensi e i
cinque elementi, anch’essi a loro volta già legati ai tetracordi. «La ter-
ra, che è rigida, è analoga al tatto, che avverte gli oggetti duri e quelli
molli; l’acqua è analoga al gusto, giacché i sapori vengono percepiti
grazie all’umidità; l’aria è analoga all’olfatto, perché tutti i profumi si
apprezzano attraverso la respirazione; il fuoco è analogo all’udito, in
quanto la capacità di percezione uditiva si rafforza al caldo, mentre si
indebolisce e si annulla al freddo: ecco perché, contro il freddo, si usa-
no dei paraorecchie; l’etere è analogo alla vista, giacché la facoltà di
vedere si esplica grazie a un corpo luminoso» (114, 20-28 W.-I.). Forse
la spiegazione data da Aristide della somiglianza tra fuoco e udito ri-
sulta un po’ forzata, ma per il resto le caratteristiche di sensi, elementi
e tetracordi appaiono molto ben accostate.
Prima di approfondire questi argomenti, voglio esaminare breve-
mente come Aristide affronta un diverso aspetto della vita dell’anima.
La relativa trattazione, nei capitoli 14-17 del libro III, si divide in due
parti. La prima (III 14-15) riguarda le cap ac i tà pe r c e tti v e dell’ani-
ma, e la seconda (III 16-17) considera l’anima da un punto di vista
etico, in stretta relazione con la prospettiva dei libri III e IV della
Repubblica di Platone. All’inizio del capitolo 16 Aristide associa i cin-
que tetracordi – gli stessi che nel capitolo 14 erano stati collegati ai
cinque sensi – alle cin q u e v ir t ù car d in al i (due forme di temperan-
Speculazione e scienza in Aristide Quintiliano e Claudio Tolemeo 167

za, giustizia, coraggio e sapienza)7. Sarebbe utile confrontare questo ca-


pitolo con la pagina che abbiamo appena esaminato, ma poiché le stra-
tegie argomentative adottate da Aristide nei due testi sono sostanzial-
mente simili, per il momento tralascerò di farlo, e mi sposterò invece
sul diverso versante del capitolo 17.
Qui Aristide concentra la propria attenzione non sulla virtù e il
vizio in se stessi, ma sui diversi m o d elli di v i ta che conducono gli
individui all’una o all’altro. Egli compara il percorso della nostra vita a
una progressione lungo la scala rappresentata in Figura 1, di cui abbia-
mo parlato prima. Da un punto di vista etico ognuno di noi, nella pri-
ma parte della propria vita, segue il medesimo percorso. «Il primo dei
systēmata completi [ossia l’ottava bassa della scala] assomiglia [...] a tutta
la nostra giovinezza, durante la quale noi tutti viviamo nel medesimo
modo, e tutti siamo ugualmente dominati dalle nostre emozioni» (116,
16-18 W.-I.). Ma a questo punto le strade si dividono: «il systēma che
inizia dalla mesē indica invece i due tipi di vita successivi alla fanciul-
lezza. La via che procede per il tetracordo synēmmenōn è più breve, e
rivela così la facilit à d el v iz io , mentre il fatto che la congiunzione
semitonata8 lo rende più compatto e più dolce all’ascolto rivela come il
vizio, per sua natura, è facile e dolce, e, nel passaggio all’età adulta,
non comporta alcun cambiamento, se non un incremento di malvagità.
Invece, il percorso attraverso i tetracordi diezeugmenōn e hyperbolaiōn
è più lungo, e rivela la d if f ico lt à d ella v i r tù; il passaggio di un
tono, e l’estensione fino ai limiti delle capacità vocali mostra sia l’in-
tensità dello sforzo richiesto nel passaggio a uno stile di vita migliore,
sia il potere della virtù. E infatti, la virtù, essenzialmente, è un estremo

7
Nella Repubblica non vengono distinti due tipi di temperanza (sōphrosynē), e
le virtù cardinali sono soltanto quattro. Ma, anche se l’intento principale della di-
stinzione di Aristide è quello di rendere il numero delle virtù uguale a quello dei
tetracordi, essa si spiega bene anche da un punto di vista etico, e di fatto riflette
analoghe distinzioni che, motivate su base etica, ricorrono in altri dialoghi di Plato-
ne. I due tipi di sōphrosynē di cui Aristide parla qui sono le virtù che presiedono agli
atteggiamenti eticamente appropriati da tenere in relazione a due tipi di piacere. Uno
è sempre un piacere cattivo (sicché la virtù corrispondente consiste nell’evitarlo e nel
rimanere insensibile a esso), l’altro risulta cattivo soltanto quando se ne gode in
maniera eccessiva (sicché la virtù corrispondente non consiste nell’evitarlo del tutto,
ma nel goderne in maniera oculata, evitando gli eccessi).
8
Procedendo verso l’acuto a partire dalla congiunzione dei tetracordi che si
realizza nella nota mesē, il primo passo (ossia l’intervallo più grave del tetracordo
synēmmenōn) è un semitono se il sistema è diatonico o cromatico. Nell’enarmonico
sarà un quarto di tono, ma dal momento che il senso del discorso di Aristide si fon-
da sul fatto che si tratti di un intervallo piccolo, questa complicazione influisce poco
sull’efficacia dell’argomento (anzi, direi che lo rafforza).
168 Musica, terapia e cosmo: Teofrasto, Aristide Quintiliano, Claudio Tolemeo

(akrotēs)9, laddove il vizio, di qualsiasi tipo, è prova di una natura


imperfetta, e non è altro che debolezza» (116, 18-117, 3 W.-I.).
Nelle sue linee essenziali, il quadro che abbiamo davanti è sem-
plice e chiaro: rappresenta sulla mappa del sistema musicale l’intero
percorso della vita umana. Ma il fatto che le corrispondenze ci appaio-
no tanto evidenti non va inteso esclusivamente come un segno dell’ec-
cessiva semplicità di Aristide; si tratta invece di un aspetto della sua
strategia argomentativa. Se è vero che le strutture musicali riflettono
modelli insiti nell’ordine universale, allora si può pensare che il dise-
gno globale del sistema di due ottave – che rappresenta l’insieme com-
plessivo dei suoni all’interno del quale sono insite tutte le possibili serie
melodiche – corrisponda esattamente ai contorni generali di a l tr i s i -
s temi co mp le s s i presenti all’interno del cosmo. Allo stesso tempo,
Aristide collega molto sottilmente alcuni dettagli delle strutture musi-
cali con alcune caratteristiche dei percorsi che ci conducono alla virtù
o al vizio, e con la natura stessa dell’una e dell’altro. Tra la mesē e il
tetracordo synemmenōn il passo è breve, e il seguito non comporta cam-
biamenti, ma soltanto una semplice ripetizione del percorso che, senza
intervalli disgiuntivi tra il primo e il secondo tetracordo, ci ha condot-
to lungo l’ottava bassa della scala fino al punto dal quale siamo ripar-
titi (la mesē, appunto). È una via molto comoda, e non arriva al punto
più alto, al quale le nostre capacità umane possono condurci soltanto
con grande sforzo. Questo percorso musicale è del tutto simile al per-
corso che conduce al vizio. Al contrario, sempre partendo dalla mesē,
il tetracordo diezeugmenōn è raggiungibile solamente con un salto di
un tono. Per indicare questo passaggio, Aristide adopera un termine,
metabolē (116, 26 W.-I.), che in ambito musicale indica quasi sempre la
“modulazione” tra una forma di scala, o una ‘tonalità’, e un’altra. Cer-
to, il passaggio tra la mesē e la paramesē non implica questa nozione di
“mutazione” o “cambiamento”, in quanto non coinvolge due scale o
tonalità diverse, e ricorre invece normalmente all’interno di una singo-
la scala. In questo capitolo, tuttavia, vengono considerate ‘naturali’ e
‘facili’ le forme di scala nelle quali ogni tetracordo si collega diretta-
mente al successivo senza intervalli fra l’uno e l’altro: in questo conte-
sto, l’inserimento di un tono dopo la mesē implica certamente una
modulazione. La prima nota del tetracordo successivo viene trasposta

9
Nel linguaggio filosofico akrotēs significa una “condizione estrema”, in op-
posizione a una condizione “media” o “intermedia”. Ma il termine sinifica propria-
mente “sommità” o “punto più alto”, e viene usato anche per indicare un ‘culmine
di perfezione’, in contrasto con l’incompletezza e l’imperfezione del vizio.
Speculazione e scienza in Aristide Quintiliano e Claudio Tolemeo 169

a un diverso livello di intonazione, spostando, per così dire, il tetracor-


do diezeugmenōn in una ‘tonalità’ più alta rispetto a quella del tetra-
cordo mesōn, e alla sua ‘naturale’ continuazione, il tetracordo
synemmenōn10.
Operata questa transizione (metabolē), proseguendo per la scala
lungo i tetracordi diezeugmenōn e hyperbolaiōn, raggiungeremo i limi-
ti più alti dell’estensione vocale umana, il che non è possibile seguendo
l’altro percorso. Aristide conclude il capitolo con una citazione che
mostra con quanta precisione il modello musicale si attagli alle imma-
gini tradizionali del vizio e della virtù: «Ne parla anche Esiodo in un
passo della sua opera, descrivendo ognuna di queste disposizioni con
parole che riflettono chiaramente il modo in cui un musicista potrebbe
parlare dei systēmata: “Il vizio si può ottenere anche in abbondanza e
facilmente; la strada è comoda e molto vicina. Ma prima della virtù gli
dèi immortali hanno posto il sudore. Il sentiero per raggiungerla è lun-
go e ripido, e, all’inizio, aspro. Ma, raggiunta la cima, diventa facile
allora, per quanto era difficile prima”» (117, 8-17 W.-I.)11.
Per cercare di comprendere l’impostazione data da Aristide a questi
argomenti bisogna partire riconoscendo che il suo intento non è quello
di elaborare, sulla base del modello della struttura musicale, una te o-
r i a u n i v o c a e c o e r e n t e sull’anima o sull’universo e ciò che vi è
contenuto. Nel suo testo non c’è traccia di un discorso organico, nel
quale ciascun elemento di un sistema musicale corrisponde a un unico
elemento o aspetto dell’anima, sicché tra i due modelli di organizza-
zione risulti un parallelismo perfetto. Al contrario, il medesimo elemen-
to musicale può corrispondere a facoltà e condizioni psichiche diffe-
renti, e addirittura incompatibili. Così in III 14 il tetracordo
synemmenōn è detto analogo al senso dell’olfatto, mentre in III 16 è
associato alla virtù della giustizia, e in III 17 rappresenta il sentiero che
conduce al vizio. Ed è vero anche il contrario; le medesime facoltà
umane possono essere correlate con elementi diversi del sistema musi-
cale. In III 14 i cinque sensi sono collegati ai tetracordi; ma in III 15 in

10
Tolemeo (Harm. II 16) tratta l’argomento in modo piuttosto simile, ma in-
vertendo i ruoli dei due sistemi. La scala ‘naturale’ è quella che completa la doppia
ottava per disgiunzione lungo i tetracordi diezeugmenōn e hyperbolaiōn, mentre è
considerata ‘modulante’ la sequenza che procede per congiunzione nel tetracordo
synēmmenōn. Altri autori (p. es. Cleonid. Harm. 13, 205, 5-6 Jan) considerano ‘mo-
dulante’ ogni melodia che passa dalla serie disgiunta a quella congiunta, ma non dànno
indizi che inducano a ritenere che l’una o l’altra serie, presa in se stessa, potesse
comportare modulazione.
11
Hes. Op. 287-292.
170 Musica, terapia e cosmo: Teofrasto, Aristide Quintiliano, Claudio Tolemeo

un primo momento corrispondono alle strutture che coprono l’esten-


sione di un intervallo di quinta giusta, e immediatamente dopo a quel-
le che abbracciano un’ottava. Rappresentare l’anima e il suo funziona-
mento all’interno di un unico e coerente modello di organizzazione
musicale che contenesse tutte queste correlazioni non sarebbe possibi-
le: sarebbe come riuscire a disegnare una carta dell’Europa nella quale
Berlino, Parigi e Roma fossero tutte nello stesso punto, e Vienna, Mosca
e Bucarest continuassero a riapparire in punti sempre diversi.
L’intento di Aristide, dunque, non poteva essere stato quello di
disegnare una precisa ‘mappa musicale’ dell’anima; le caratteristiche che
ho menzionato sono troppo evidenti e troppo fortemente sottolineate
da Aristide stesso perché un’interpretazione del genere sia plausibile. Il
compito che si era proposto era diverso: si trattava di mostrare che le
strutture musicali e i loro elementi costitutivi r a s s omi g l i a no al co-
smo e so n o co n s o n an t i con l’universo (107, 13-15; 108, 6-7 W.-I.).
Come abbiamo visto, l’azione del Tutto si rivela molto chiaramente nelle
disposizioni e nei moti delle stelle e dei pianeti, nella regione pura ed
eterea al di sopra di noi (104, 16-18 W.-I.). Ma nel libro II Aristide
sostiene a più riprese che le anime che danno vita ai corpi in questo
mondo, e presiedono al loro modo di vivere, hanno origine anch’esse
nella regione superiore (p. es. 66, 6-8; 86, 27-30 W.-I.). Anche se le
facoltà, le qualità e le attività dell’anima vengono alterate dalla loro
associazione con i corpi, esse rientrano tuttavia in modelli determinati
dall’azione del Tutto. Il principio della s impa ti a c os mi c a garanti-
sce, di fatto, che modelli simili si trovino in ogni ambito, portati al-
l’esistenza dall’influsso dei moti e dei mutamenti celesti. Ciò che Ari-
stide intende mostrare è che la musica – come le altre arti, ma a un
grado ancora maggiore (107, 20-22 W.-I.) – è organizzata, nel suo com-
plesso e nelle sue parti, sulla base di q u es t i s te s s i mode l l i , quelli
che si manifestano a più riprese nella regione celeste, nel mondo mate-
riale al di sotto della luna, e nei fenomeni associati con la vita umana.
L’anima, dunque, non è altro che uno dei molti ambiti nei quali è pos-
sibile riscontrare la presenza di questi modelli ordinanti. Non è che
l’anima sia organizzata sulla base di una struttura musicale. Piuttosto,
il fatto è che i vari modelli strutturali imposti dall’entità che presiede
all’organizzazione generale dell’universo vengono riprodotti e riuniti in
diverse combinazioni, sia in musica, sia nella vita dell’anima. In questa
concezione, non sorprende che un sistema strutturale che si trova una
sola volta in contesto musicale (la sequenza dei tetracordi) stia alla base
di almeno due diversi aspetti dell’attività psichica (i complessi formati
dai cinque sensi e dalle cinque virtù), né sorprende che il tipo di rela-
Speculazione e scienza in Aristide Quintiliano e Claudio Tolemeo 171

zione che in musica si realizza nel rapporto tra il tetracordo synēm-


menōn e i tetracordi vicini, possa realizzarsi in più di una maniera, e
con diversi significati, in connessione con le virtù dell’anima e con il
corso della vita umana.
Tuttavia, malgrado i miei tentativi di capire i procedimenti argo-
mentativi di Aristide, neanche il più fervido e persuasivo sostenitore
delle sue tesi aspirerebbe a convincerci che le analogie tra modelli strut-
turali di ambito musicale, psicologico e cosmologico poggino su basi
solide: anche se molto ingegnose, queste analogie risultano non siste-
matiche, superficiali e imprecise. Non si può fare a meno di sospettare
che, se i dati fossero stati diversi – se per esempio i sensi fossero stati
sei invece che cinque, o se il sistema musicale fondamentale avesse pre-
sentato una ramificazione in tre direzioni invece che in due – Aristide
non avrebbe ugualmente cercato e trovato modi plausibili per costrui-
re il suo schema di corrispondenze. L’ipotesi che esistano affinità tra la
musica, il cosmo e l’anima è così vaga da poter essere adattata a qua-
lunque ‘fatto’ (a prescindere da che cosa si intenda per ‘fatto’), e non
riesce a spiegare perché l’universo e ciò che contiene hanno la forma
che hanno e non un’altra; ed è inutile cercare, come fa Aristide, di di-
mostrarla riferendosi ai dati dell’esperienza, giacché è comunque pos-
sibile adeguare all’ipotesi anche dati che con essa non hanno alcuna
attinenza.
È chiaro, come ho detto, che il pensiero di Aristide non procede
secondo direttrici che potremmo considerare ‘scientifiche’. Non si può
certo dire altrettanto di Claudio Tolemeo: la sua opera intitolata Har-
monica, scritta più di un secolo prima dei tempi di Aristide, è un mo-
dello di rigore scientifico e di consapevole raffinatezza metodologi-
ca12. Tolemeo formula le sue ipotesi sui principi che governano le
strutture musicali con grande accuratezza, e ne fa discendere conclu-
sioni attraverso meticolosi procedimenti argomentativi di carattere
matematico. Egli afferma, inoltre, che queste conclusioni non posso-
no essere considerate sicure fin quando non siano state sottoposte ad
accurate v e r i f i c h e s p e r i m e n t a l i , i cui procedimenti esamina nei
minimi dettagli, descrivendo anche la costruzione dei relativi stru-
menti, e i modi in cui se ne può accertare – ed eventualmente incre-
mentare – la precisione e l’affidabilità. Quando, nel libro III del trat-
tato, leggiamo che anche Tolemeo ritiene che esistano affinità tra
strutture musicali e costituzione dell’anima, siamo perciò autorizzati
ad aspettarci che le sue ipotesi, e le conseguenze che ne derivano, siano

12
Un’analisi è in BARKER 2000a.
172 Musica, terapia e cosmo: Teofrasto, Aristide Quintiliano, Claudio Tolemeo

formulate in modo più preciso, e verificate in modo più rigoroso di


quelle che troviamo nell’opera di Aristide.
Nel libro III degli Harmonica, all’inizio del capitolo 3, Tolemeo
dichiara conclusa la sua indagine sugli intervalli e le intonazioni. Il re-
sto del trattato (III 3-16) – di cui alcune sezioni finali non ci sono giunte
nella loro stesura originaria13 – è dunque una sorta di appendice al pia-
no generale dell’opera, e si divide in tre parti principali. Nella prima
(III 3-4), i risultati delle ricerche teorico-musicali di Tolemeo vengono
collocati in un contesto più ampio: Tolemeo infatti introduce e sostie-
ne la tesi secondo la quale gli stessi tipi di relazioni che governano le
strutture musicali, già analizzati in precedenza nel corso del trattato, si
ritrovano anche in sistemi di altro genere, altrettanto belli e ben ordi-
nati. Nella seconda e nella terza parte Tolemeo si diffonde sulle forme
che questi modelli ‘musicali’ di organizzazione assumono all’interno di
due ambiti estremamente significativi, l’anima umana (III 5-7) e il com-
plesso dei movimenti dei corpi celesti, con le loro reciproche relazioni
spaziali (III 8-16). Qui ci occuperemo soprattutto della seconda di
queste tre parti, e mi riferirò alla terza soltanto per fare alcuni con-
fronti. Ma per comprendere il modo di argomentare di Tolemeo do-
vremo cominciare esponendo per sommi capi la prima.
L’impostazione matematica che Tolemeo aveva dato alle sue in-
dagini di teoria musicale può essere senz’altro accostata a quella dei
Pitagorici, anche se egli critica alcuni aspetti dei loro modi di proce-
dere (in particolare a I 2 e I 6). Gli intervalli musicali vengono conce-
piti come rapporti fra numeri, e le forme corrette di questi rapporti,
come anche delle accordature costruite sulla base di essi, vengono
definite sulla base di principi di alta matematica, e attraverso argomen-
tazioni squisitamente matematiche. Quando Tolemeo comincia a con-
siderare le caratteristiche generali dei suoi studi (III 3), afferma che le
strutture da lui scoperte sono prodotti di un tipo particolare di ragio-
ne o razionalità (logos), che egli chiama «musicale (harmonikos)», e il
cui compito è «produrre ordine e simmetria nella sfera dei fenomeni
acustici». Essa persegue tre obiettivi interconnessi: la «scoperta teore-
tica delle proporzioni, per mezzo dell’intelletto», la «dimostrazione
pratica di esse attraverso le abilità manuali», e lo sviluppo, attraverso
l’abitudine, di un tipo di capacità empirica che sia «conseguente» a questi
modelli di ordinamento musicale, e che sia in grado di risconoscerli,

13
Per i dettagli della questione, vd. l’introduzione di Düring alla sua edizione:
DÜRING 1930, pp. LXXVIII-LXXXVIII; cf. BARKER 1989, pp. 388-390, note 86-87;
SOLOMON 2000, pp. 162-165, note 230 e 239.
Speculazione e scienza in Aristide Quintiliano e Claudio Tolemeo 173

apprezzandone l’eccellenza, nei contesti nei quali si presentano (92, 30-


93, 4 Düring). «Ora» continua Tolemeo «la ragione in generale scopre
ciò che è bene mediante la contemplazione, consolida l’acquisizione
di ciò che ha compreso mediante la pratica, e a ciò che ha compreso
assimila l’oggetto dell’osservazione mediante l’abitudine, sicché è faci-
le capire che la scienza che si occupa dei diversi ambiti nei quali la
ragione si esplica – ossia quella propriamente denominata “matemati-
ca” – non mira soltanto alla contemplazione delle cose belle, come si
potrebbe supporre, ma anche alla dimostrazione e alla pratica realiz-
zazione della bellezza, procedimenti che dalla contemplazione logica-
mente conseguono» (93, 4-10 Düring).
La matematica, dunque, è una scienza il cui compito è l’analisi,
la dimostrazione e il conseguente riconoscimento empirico della b e l -
l e z z a , qualità la cui reale natura risiede in una struttura ordinata ra-
zionalmente; la teoria musicale è la branca della matematica che si
occupa dello studio della bellezza nell’ambito del suono. Quest’attra-
ente teoria sembra lasciare aperta la possibilità di pensare che i tipi di
ordine che presiedono alla bellezza in ambiti non musicali siano di-
versi da quelli che operano in musica: ma le riflessioni esposte da
Tolemeo nel resto del capitolo puntano nella direzione opposta. Tra i
cinque sensi, soltanto la vista e l’udito «non valutano gli oggetti in base
al puro piacere (hedonē), ma soprattutto in base alla bellezza (to ka-
lon)» (p. 93, 13-14 Düring). Soltanto l’occhio e l’orecchio, e nessun
altro organo sensoriale, dunque, sono in grado di cooperare l’un l’al-
tro, e di offrire i loro servigi come ‘alleati’ della ragione nel raggiun-
gimento di un unico obiettivo comune, quello di «comprendere sem-
pre più ciò che è bello e utile» (p. 94, 12 Düring). L’astronomo, stu-
diando la bellezza che si manifesta visibilmente nei movimenti celesti,
e lo scienziato che si occupa di teoria musicale, studiando la bellezza
che si offre all’udito attraverso la musica, compiono imprese che si
sostengono a vicenda, e il cui ambito d’azione, in ultima analisi, è uno
e uno solo: l’insieme delle strutture matematicamente organizzate che,
nel loro complesso o in qualcuna delle loro forme costitutive, stanno
alla base della bellezza accessibile ai nostri due sensi privilegiati, in
qualsiasi ambito essa si manifesti.
Nel capitolo successivo (III 4) Tolemeo spiega con maggiore pre-
cisione quali entità, al di fuori del dominio della musica udibile, devo-
no essere organizzate dalla ‘capacità di intonazione’ o ‘ragione musica-
le’, e devono anzi possederla in se stesse. Alla luce di quanto detto nel
capitolo precedente (III 3), ciò deve significare che tali entità hanno la
capacità di comprendere e costruire modelli ordinativi ‘armoniosi’ e
174 Musica, terapia e cosmo: Teofrasto, Aristide Quintiliano, Claudio Tolemeo

belli, e di conformarsi a essi. Tale capacità, dice Tolemeo, deve esistere,


in qualche misura, «in tutte le cose che hanno in se stesse una fonte di
movimento [...] ma in modo speciale e al massimo grado in quelle che
partecipano di una natura più perfetta e razionale [...], nelle quali sol-
tanto essa riesce a manifestare il suo potere di preservare il più inte-
gralmente e fedelmente possibile l’uguaglianza dei rapporti che produ-
cono l’accordatura appropriata nelle diverse specie» (95, 4-10 Düring).
Poche righe più avanti i detentori di queste prerogative vengono iden-
tificati con maggiore precisione. Si tratta di quei soggetti i cui movi-
menti e mutamenti (kinēseis) possono essere individuati come manife-
stazioni di una struttura formale intellegibile. «Sono questi, come ab-
biamo detto, i movimenti delle cose che per loro natura sono più per-
fette e razionali, come, tra le cose divine, i movimenti dei corpi celesti,
e, tra quelle mortali, i movimenti delle anime degli uomini: ciascuna di
queste due sole categorie possiede infatti, insieme con la prima e più
perfetta forma di movimento – quella relativa allo spazio – anche la
prerogativa della razionalità. Ciò è evidente, e mostra, nei limiti del-
l’umana comprensione, l’ordinamento dei rapporti armonici tra i suo-
ni, come sarà possibile vedere a chi analizzi dettagliatamente ciascuna
di queste due categorie» (95, 20-27 Düring).
Per Tolemeo quindi gli ordinamenti dinamici di s t e l l e e p i a -
n e t i , e degli elementi della p s i c h e u m a n a sono entrambi dotati di
una bellezza che deriva loro dall’azione di una facoltà razionale che
entrambi posseggono. Grazie all’azione di questa medesima facoltà,
entrambi organizzano i propri elementi costitutivi e i propri movi-
menti secondo modalità corrispondenti ai sistemi di rapporti che de-
finiscono le strutture di un’a c c o r d a t u r a m u s i c a l e . Questa conce-
zione dei rapporti strutturali tra musica, cosmo e psiche mostra affi-
nità, a un livello molto generale, con quella di Aristide. Per spiegare
la ragione per cui in questi tre ambiti si manifestano le medesime strut-
ture, entrambi gli autori si basano sull’ipotesi che esse abbiano tutte
origine dalla medesima fonte, e che tutte risultino dall’azione di un
unico principio. Ma tra i due autori ci sono differenze significative.
Aristide, come abbiamo visto, ha una concezione piuttosto vaga di
quest’unica fonte o principio, e non fa nessuno sforzo per esaminare
approfonditamente la natura dell’ ‘azione del Tutto’, dalla quale ogni
altra cosa dipende. Al contrario, nei suoi discorsi sullo specifico me-
todologico della scienza armonica (specialmente in I 1-2; 5-7; 15),
Tolemeo definisce con molta precisione i criteri che governano l’ope-
rato di quella che egli chiama “ r a g i o n e m u s i c a l e ” : come spiega in
III 3, la facoltà razionale di cui lo scienziato si serve nel suo lavoro
Speculazione e scienza in Aristide Quintiliano e Claudio Tolemeo 175

analitico è precisamente la stessa “ragione musicale” per azione della


quale esistono le strutture che costituiscono l’oggetto del suo studio
(92, 27-93, 4 Düring). In secondo luogo, giacché la ragione musicale
è u n a s p e c i e d i m a t e m a t i c a (93, 7 Düring), possiamo dedurne
che le strutture corrispondenti nell’anima umana e nei cieli sono con-
cepite matematicamente, esattamente alla stessa maniera delle struttu-
re musicali descritte in tutta la parte precedente degli Harmonica. E
infatti Tolemeo, in un passo che ho già citato, ci dice che, nelle anime
e nei movimenti celesti, il ragionamento musicale scoprirà precisamente
lo stesso sistema di rapporti numerici che si ritrova nella musica, il
«modello di organizzazione che corrisponde ai rapporti musicali tra i
suoni» (95, 24-27 Düring). Il proposito di Tolemeo sembra essere quello
di trattare dei movimenti celesti, come anche delle caratteristiche fon-
damentali dell’anima umana, presentandone le proprietà salienti in ter-
mini q u a n t i t a t i v i , esprimendo le relazioni fra queste proprietà sot-
to forma di rapporti fra numeri, e mostrando che questi rapporti sono
organicamente connessi tra loro all’interno di sistemi che, in prospet-
tiva matematica, corrispondono esattamente a quelli già individuati in
ambito musicale: una trattazione del tutto diversa dall’eterogenea rac-
colta di analogie nebulose e semi-poetiche che troviamo in Aristide.
Se il progetto di Tolemeo si fosse realizzato, avrebbe fornito una base
concettuale per assimilare la psicologia, nel suo complesso, alla sfera
delle scienze esatte di tipo matematico.
In realtà, invece, queste promesse di rigore matematico, per quan-
to riguarda lo studio dell’anima, riescono quasi altrettanto ingannevoli
delle affermazioni di Aristide a proposito dell’importanza delle propor-
zioni e dei numeri (vd. De mus. III 1-8). Certo, Tolemeo tratta l’argo-
mento molto più sistematicamente di quanto non faccia Aristide, fa
qualche breve riferimento ad alcune proprietà matematiche delle pro-
porzioni di cui aveva ampiamente parlato nel libro I. Ma, dopo queste
brevi allusioni contenute nel paragrafo iniziale di III 5 (95, 28-96, 14
Düring), Tolemeo non usa le proporzioni musicali, e le loro complesse
sistemazioni da lui elaborate nei primi due libri, più di quanto non faccia
Aristide; e i concetti di numero e quantità non hanno che una parte
minima nell’articolazione del suo discorso. Per questi e per altri moti-
vi, ai quali accennerò, è molto difficile comprendere in che modo que-
sta trattazione possa essere messa in rapporto con il modello di ricerca
scientifica, così penetrante e metodologicamente rigoroso, da Tolemeo
adottato in precedenza. Dico subito, tuttavia, che questo giudizio pes-
simistico non mi sembra del tutto giustificato. Nelle pagine che seguo-
no, mi concentrerò sul capitolo 5 del libro III, che tocca argomenti simili
176 Musica, terapia e cosmo: Teofrasto, Aristide Quintiliano, Claudio Tolemeo

a quelli affrontati da Aristide nella sua opera. Cercherò di spiegare


perché la precisione matematica che Tolemeo sembra promettere è in
realtà irraggiungibile; ma devo anche dire che, nonostante tutto, i suoi
tentativi di applicare concetti musicali allo studio dell’anima possono
essere intesi come contributi a un progetto che, valutato in base ai suoi
propri criteri, è realmente s cien t if ico .
Per rendere comprensibile la parte iniziale di III 5, devo prima fare
qualche accenno ai presupposti del metodo con cui Tolemeo, nel libro I,
fa derivare i rapporti musicali da principi matematici. In primo luogo, i
termini di ciascun rapporto devono essere, in un certo senso, c omme n-
s urab ili tra loro: e questo per due ragioni, tra loro interconnesse. Una
è che la relazione tra due suoni può essere musicale solo se, nel loro aspet-
to quantitativo, i due suoni si integrano matematicamente tra loro in
quanto possono essere misurati entrambi con la medesima unità di mi-
sura. In secondo luogo, l’orecchio, organo deputato a percepire questa
relazione come musicale, deve essere in grado di mettere ognuno dei due
suoni in rapporto con una ‘misura’ comune che si dà nell’esperienza stessa
della relazione, e che non è possibile definire in rapporto ad alcun altro
riferimento esterno. Di questa ‘commensurabilità’ possono darsi d u e
f o r m e . Una prevede che il termine minore sia un fattore del termine
maggiore, in modo che il primo possa essere usato per ‘misurare’ il secon-
do. È questo il caso dei rapporti “multipli”, come 2:1, 3:1 e così via.
Nell’altra forma di commensurabilità l’unità di misura è costituita dalla
differenza tra i due termini del rapporto, sicché ognuno dei due termini
è un multiplo esatto di questa differenza. Rapporti di questo tipo vengo-
no chiamati “epimorici” (o “superparticolari”, nella più familiare forma
latinizzata). Si tratta di rapporti nei quali il termine maggiore risulta dal-
la somma del minore più una sua parte intera (una metà, un terzo e così
via): ridotti ai minimi termini, questi rapporti si presentano sempre nella
forma (n+1):n. Ne sono esempi 3:2, 4:3, 16:15.
I rapporti musicali sono caratterizzati da un tipo particolare di
coerenza. Le note che stanno tra loro in tali rapporti, come le note di
una scala ben strutturata, si integrano tra loro come invece non avvie-
ne per altre serie di suoni. Il legame più stretto è quello tra note che
hanno la medesima intonazione: matematicamente parlando, tra loro c’è
un rapporto di uguaglianza (1:1). Tolemeo classifica quindi l’ ‘eccellen-
za’ dei rapporti musicali, in base alla prossimità dei loro rapporti al-
l ’u gu aglian za, caso in cui questa ‘prossimità’ ha un senso tutto par-
ticolare. Per fare un esempio, egli non intende dire che 18:17 è un rap-
porto più musicale di 4:3 in quanto i suoi termini sono più prossimi al-
l’uguaglianza. I rapporti ‘migliori’ sono invece quelli nei quali la diffe-
Speculazione e scienza in Aristide Quintiliano e Claudio Tolemeo 177

renza tra i due termini è uguale o alla parte intera più grande possibile
del termine minore, o a un suo fattore primo. Così, il rapporto più
prossimo all’uguaglianza è 2:1, nel quale la differenza tra i termini è
uguale al termine minore. Poi viene 3:2, dove la differenza è la metà del
termine minore; e poi 4:3, dove la differenza è un terzo del termine
minore (in 18:17, invece, la differenza tra i termini è pari a un diciasset-
tesimo del termine minore). Questi tre rapporti, come abbiamo visto,
corrispondono all’ottava, alla quinta giusta e alla quarta giusta, intervalli
fondamentali alla costruzione di qualsiasi tipo di accordatura. E come
questi tre rapporti sono i tre più prossimi all’uguaglianza, così, nell’or-
dine, l’ottava, la quinta e la quarta, colpiscono l’orecchio come gli inter-
valli più simili all’ u n is o n o . Il rapporto successivo, 5:4, corrisponde,
in termini moderni, a una terza maggiore, intervallo anch’esso ‘dolce’ e
‘piacevole’. Intervalli rappresentati matematicamente da numeri più
grandi – come per esempio 18:17, che corrisponde all’incirca a un semi-
tono – sono più aspri e stridenti, ed esteticamente meno integrati.
A questo punto, va messo in luce un altro aspetto di una certa
importanza. Tolemeo afferma che nell’analisi di un sistema musicale –
un tetracordo, per esempio – i rapporti matematici degli intervalli più
piccoli vanno definiti per successive divisioni o fattorizzazioni del più
grande, e non viceversa, ossia legando insieme una serie di piccoli gra-
dini quantificati separatamente, per arrivare alla costruzione dell’inte-
ro. La base di partenza deve essere sempre l ’i nte r o, e dall’intero de-
vono essere fatti d er iv ar e i rapporti più piccoli, che dell’intero sono
elementi costitutivi: non è possibile definirli per altra via. Così, ai rap-
porti di quinta e di quarta si giunge per mezzo di una semplice fatto-
rizzazione del rapporto di ottava (3:2 x 4:3 = 2:1); e nel caso del tetra-
cordo, le diverse sequenze di intervalli che possono trovarsi al suo in-
terno sono quantificati mediante una particolare procedura di fattoriz-
zazione del rapporto della quarta giusta, che non è indispensabile esa-
minare qui (per esempio: 4:3 = 9:8 x 8:7 x 28:27; ovvero 4:3 = 7:6 x
12:11 x 22:21; di questo e altro Tolemeo parla in I 15).
Tenendo presenti queste premesse, non sarà difficile comprendere
la base musicologica dell’inizio di III 5. «Le parti principali dell’anima
sono tre: l’intellettiva (noeron), la percettiva (aisthētikon) e la vegetati-
va (hektikon); e tre sono anche le specie principali di omofonia e con-
sonanza14, l’omofonia dell’ottava e le consonanze della quinta e della

14
Tolemeo usa il termine “omofonia” per indicare l’ottava e i suoi multipli in
contesti nei quali intende distinguere queste da altre consonanze, come la quinta e la
quarta.
178 Musica, terapia e cosmo: Teofrasto, Aristide Quintiliano, Claudio Tolemeo

quarta, sicché l’ottava si accorda con la parte intellettiva dell’anima,


perché in entrambe la semplicità, l’eguaglianza e l’uniformità sono pre-
senti al massimo grado; la quinta si accorda con la parte percettiva, e la
quarta con la parte vegetativa. La quinta, infatti, rispetto alla quarta, è
più prossima all’ottava, perché è più consonante, grazie al fatto che la
differenza tra le sue note è più vicina all’uguaglianza; e la parte percet-
tiva dell’anima, rispetto alla vegetativa, è più prossima all’intellettiva,
perché partecipa anch’essa di una certa forma di comprensione» (95,
28-96, 7 Düring).
Tolemeo considera ‘semplice’ l’ottava sia perché – come spiega
in I 6 (13, 3-23 Düring) – le due note che la compongono suonano
quasi come un’unica nota e condividono la medesima ‘funzione’
melodica, sia perché il rapporto matematico che esprime l’ottava è il
più semplice possibile: un termine è il doppio dell’altro. Un passo del
primo capitolo degli Harmonica presuppone che l’orecchio valuti le
relazioni musicali in base a una sorta di capacità subliminale di ac-
certare i rapporti tra i termini che le compongono, e Tolemeo sostie-
ne che questi rapporti si possono accertare tanto più facilmente e con
tanto maggiore affidabilità quanto maggiori sono le differenze tra i
loro termini (4, 10-14 Düring). La semplicità che si percepisce in una
relazione musicale è dunque un riflesso della semplicità della sua forma
matematica. L’ottava è anche “la più vicina all’uguaglianza” nel senso
che ho precisato: la sua ‘uniformità’ dipende dalla semplicità della
comparazione che noi operiamo nel momento in cui la riconosciamo.
E infatti è possibile riconoscerla con grande facilità, la sua identità
non è affatto vaga o indeterminata, e non c’è quasi nessun margine
di dubbio se un dato intervallo sia o non sia un’ottava. Il motivo per
cui la quinta è ‘più consonante’ della quarta è definito nel testo stesso
del brano: il fattore determinante è ancora una volta la prossimità
all’uguaglianza. Da un punto di vista percettivo, sono ‘più consonan-
ti’ quelle coppie di suoni che si fondono più intimamente l’un l’altro:
all’ascolto, questa fusione produce una ‘sensazione di omogeneità’ (10,
25-28 Düring).
Nonostante la precisione matematica di alcuni concetti utilizzati
in questo testo, le somiglianze finora delineate tra elementi musicali e
«parti dell’anima» sembrano altrettanto superficiali di quelle elencate
da Aristide. Anche ammesso che queste tre parti esistano, e che l’intel-
lettiva sia «più semplice e uniforme» della sensitiva, così come la sen-
sitiva rispetto alla vegetativa, Tolemeo non spiega che funzione possa-
no avere certi rapporti numerici nell’analisi delle facoltà dell’anima, e
neppure fornisce ragioni per credere che la base di questa semplicità e
Speculazione e scienza in Aristide Quintiliano e Claudio Tolemeo 179

uniformità sia la stessa anche in musica. Questo è solo un aspetto di


un problema più generale, sul quale ritorneremo dopo aver esaminato
il resto del brano, che continua così:
Ora, non sempre negli esseri dotati di vita vegetativa vi è anche perce-
zione, e non sempre in quelli dotati di capacità sensitiva vi è anche
intelletto, mentre, al contrario, gli esseri dotati di capacità sensitiva
hanno sempre una vita vegetativa, e quelli dotati di intelletto hanno
sempre vita vegetativa e capacità sensitiva. Allo stesso modo, dove c’è
una quarta, non sempre c’è una quinta, e dove c’è una quinta non sem-
pre c’è un’ottava, mentre, al contrario, dove c’è una quinta c’è sempre
anche una quarta, e dove c’è un’ottava ci sono sempre anche una quinta
e una quarta. Questo perché gli intervalli più piccoli sono meno per-
fetti e si prestano a essere combinati tra loro, mentre quelli più grandi
sono più perfetti (97, 7-14 Düring).

Il senso generale del discorso è chiaro, e non richiede commenti.


Il succo dell’ultima frase, che appare più complicata, è che l’ottava può
essere scomposta in due intervalli del tipo ‘migliore’, la quinta e la
quarta, mentre, per esempio, la quarta no. Essa si può suddividere sol-
tanto in altri intervalli ‘melodici’, quelli cioè che formano i singoli gradi
di una scala; e dal momento che i rapporti numerici che li esprimono
richiedono termini più grandi (come per esempio 9:8, che esprime l’in-
tervallo di tono), questi intervalli sono lontani dalla ‘perfezione’ o
‘uguaglianza’. Sarà tuttavia il caso di notare una conseguenza implici-
ta nel discorso di Tolemeo: giacché l’ottava costituisce il tutto di cui
la quinta e la quarta sono parti, l’analisi dei rapporti numerici, in vir-
tù di uno dei principi prima accennati, potrà far derivare la quinta e la
quarta dall’ottava, e non viceversa. La natura e la struttura matematica
dell’ottava spiegano la natura e la struttura matematica delle conso-
nanze più piccole, e la ‘ragione musicale’ sarà in grado di comprende-
re e di costruire queste ultime sulla base della comprensione dell’otta-
va. Se il modello musicale può essere appropriatamente applicato al-
l’anima, e se anche la struttura dell’anima è un prodotto della ragione
musicale, anche nel caso dell’anima si potrà fare un’ulteriore afferma-
zione parallela: la conoscenza scientifica della parte sensitiva e di quella
vegetativa dipende e può essere fatta derivare dalla comprensione del-
la parte intellettiva.
La parte successiva del discorso di Tolemeo riguarda la nozione
di “forme” o “specie” dell’ottava, della quinta e della quarta. La se-
zione della teoria musicale in cui queste specie giocano un ruolo molto
importante è molto intricata (vd. II 3-9), ma non dobbiamo occupar-
cene qui. In definitiva, il concetto è molto chiaro, e si può afferrare
180 Musica, terapia e cosmo: Teofrasto, Aristide Quintiliano, Claudio Tolemeo

piuttosto bene con un esempio. In ogni scala completa, l’intervallo di


quarta giusta, il cui rapporto è 4:3, si divide in tre intervalli più piccoli,
ognuno dei quali ha solitamente una dimensione diversa dagli altri,
e dunque è espresso da un rapporto diverso dagli altri. Prendiamo il
caso del tipo di accordatura che Tolomeo chiama “diatonico toniaion”,
nel quale i tre intervalli in questione sono espressi dai rapporti 9:8,
8:7 e 28:27. Immaginiamo ora di accostare l’una all’altra due quarte
di questo tipo, a formare così la serie 9:8, 8:7, 28:27, 9:8, 8:7, 28:27,
come accade in alcune serie scalari complete. È facile vedere che in
questa serie gli intervalli che formano la quarta appaiono in tre se-
quenze differenti: 9:8, 8:7, 28:27; poi 8:7, 28:27, 9:8; e infine 28:27,
9:8, 8:7. Poiché non può darsi la sequenza 9:8, 28:27, 8:7, le diverse
possibili ‘specie’ di quarta sono soltanto queste tre. I rapporti in cui
la quarta viene divisa sono diversi, a seconda dei diversi modelli di
accordatura, ma per ogni modello, a seconda della successione degli
intervalli, ci sono tre specie di quarta; allo stesso modo, esistono quattro
specie di quinta e sette specie di ottava. Tolemeo definisce “perfetto”
un sistema (o “scala”) musicale se e solo se esso contiene al suo interno
tutte le specie di ottava, quinta e quarta; e risulta evidente che un tale
sistema deve coprire esattamente l’estensione di due ottave. Se fosse
meno ampio non conterrebbe tutte le specie; e d’altra parte, per
contemplare tutti gli elementi essenziali della struttura armonica in
tutte le forme e le combinazioni musicalmente accettabili, non sareb-
be necessario che fosse più ampio.
Nel secondo paragrafo di III 5, Tolemeo introduce queste specie
all’interno della sua concezione dell’anima. Come in musica sono tre
le specie o forme (eidē) di quarta, così – sostiene Tolemeo – sono tre
le forme della parte vegetativa dell’anima, le sue ‘facoltà primarie’:
crescita, maturità e decadenza. E ancora, come la quinta ha quattro
forme, così la parte sensitiva dell’anima ha quattro facoltà: vista, udito,
olfatto e gusto (il tatto è considerato elemento comune a tutte e quattro).
E infine, come l’ottava ha sette forme, anche la parte intellettiva del-
l’anima – per Tolemeo – ha sette facoltà: immaginazione (phantasia),
intelletto (nous), riflessione (ennoia), pensiero (dianoia), opinione (doxa),
ragione (logos) e conoscenza (epistēmē) (96, 15-27 Düring).
Prima di soffermarci su questo passo, riassumiamo brevemente il
resto del capitolo. Tolemeo afferma che, secondo un altro modello, l’ani-
ma si divide in una parte razionale (logistikos), una irascibile (thymikos)
e un’altra concupiscibile (epithymētikos): un modello dall’evidente ascen-
denza platonica (vd. soprattutto Repubblica IV), che Tolemeo prende
in considerazione adottando criteri assolutamente analoghi al modello
Speculazione e scienza in Aristide Quintiliano e Claudio Tolemeo 181

precedente. Collega infatti la parte razionale dell’anima all’ottava, quella


irascibile alla quinta e quella concupiscibile alla quarta, e prosegue af-
fermando che ogni parte presiede a tante virtù quante sono le specie
sotto le quali la consonanza corrispondente si presenta. Quindi, elenca
una per una tutte queste virtù: alla parte concupiscibile afferiscono la
temperanza (sōphrosynē), la padronanza di sé (enkateia) e il pudore
(aidōs)15. Le virtù della parte irascibile sono la mitezza (praotēs), l’im-
pavidità (aphobia), il coraggio (andreia) e la resistenza (karteria). Infi-
ne, le virtù dell’anima razionale sono l’acume (oxytēs), l’ingegno
(euphyia), la perspicacia (anchinoia), la sagacia (euboulia), la saggezza
(sophia), la prudenza (phronēsis) e l’esperienza (empeiria), concepita
come presupposto basilare di stati d’animo e comportamenti positivi
(97, 9-20 Düring).
Del discorso di Tolemeo ho omesso due brevi passaggi esplica-
tivi, sui quali dovrò tornare. Il capitolo si conclude con un paragrafo
che riguarda la giustizia, virtù sovrana, e la condizione del ‘filosofo’
o ‘saggio’, figura ideale comune al Platonismo e allo Stoicismo. Il
passo merita di essere riportato per esteso, anche se non potrò
fermarmi qui a districarne tutte le complessità: «La condizione del-
l’anima in assoluto migliore, ossia la giustizia, è per così dire una
consonanza reciproca tra le parti stesse secondo il rapporto che go-
verna le parti principali; quelle che riguardano il retto uso dell’in-
telletto e della ragione somigliano alle omofonie, quelle che riguar-
dano la percezione corretta e il benessere o l’audacia e la temperanza
somigliano alle consonanze, mentre quelle che riguardano i fattori
produttivi e gli elementi che partecipano alle harmoniai somigliano
alle specie degli intervalli melodici. In generale, la condizione del
filosofo somiglia all’harmonia complessiva del sistema perfetto, giac-
ché le comparazioni tra le varie parti sono ordinate secondo le
consonanze e le virtù, mentre la comparazione più completa è ordi-
nata secondo la consonanza che risulta da tutte le consonanze, e
secondo la virtù che risulta da tutte le virtù, ossia, per così dire,
consonanza e virtù di virtù e consonanze, musicali e psichiche» (97,
27-98, 4 Düring).
Per comprendere in che modo Tolemeo si è servito qui dei suoi
modelli musicali, sarà utile esaminare un aspetto della sua visione delle
stelle e dei pianeti. In III 9 egli traccia quattro linee immaginarie all’in-

15
Aidōs è la capacità o facoltà di provare vergogna quando si riconosce di aver
compiuto un’azione indegna; è qualcosa di simile (ma non identico) al concetto
moderno di “coscienza”.
182 Musica, terapia e cosmo: Teofrasto, Aristide Quintiliano, Claudio Tolemeo

B
Figura 2

terno del circolo dello Zodiaco (Figura 2). La prima è un diametro, e


divide il cerchio in due parti uguali; la seconda, la terza e la quarta
delimitano, rispettivamente, un terzo, un quarto e un sesto della sua
circonferenza e costituiscono quindi i lati, rispettivamente, di un trian-
golo equilatero, di un quadrato e di un esagono regolare inscritti nella
circonferenza. Tolemeo mostra che i rapporti tra gli archi delimitati dai
punti estremi di queste linee sono quelli dell’ottava (2:1), della doppia
ottava (4:1), delle consonanze contenute all’interno della doppia ottava
(3:2, 4:3, 8:3, 3:1), e del tono (9:8). Sono dunque questi rapporti musi-
cali a definire i rapporti tra i corpi celesti che, lungo il circolo zodiaca-
le, si trovano agli opposti del diametro e in coincidenza dei vertici del
triangolo, del quadrato e dell’esagono16. Ora, queste figure geometri-
che non hanno alcun significato astronomico, sia che le consideriamo
in rapporto ai canoni della moderna astronomia, sia anche secondo
quelli fissati dallo stesso Tolemeo nella sua opera maggiore, l’Almage-

16
Costruzioni simili si trovano anche nel De musica di Aristide Quintiliano
(III 23: vd. in part. 125, 3-15 W.-I.).
Speculazione e scienza in Aristide Quintiliano e Claudio Tolemeo 183

sto. Come ogni altra osservazione che, negli Harmonica, riguardi le


strutture celesti, anche queste figure non rientrano nell’astronomia ma
nell’astro lo gia , un campo di indagine le cui credenziali scientifiche,
anche se occasionalmente discusse, erano in questo periodo (II sec. d.
C.) ampiamente accettate, e al quale lo stesso Tolemeo, col suo Tetra-
biblos, diede un notevole contributo17. Secondo concezioni ben attesta-
te nella tradizione astrologica, le posizioni relative dei pianeti sullo zo-
diaco sono uno dei fattori che più sensibilmente determinano il corso
degli eventi terrestri; significati speciali vengono attribuiti ai periodi nei
quali i loro moti orbitali li portano ad assumere le posizioni corrispon-
denti ai vertici delle figure qui individuate da Tolemeo18.
Dell’ ‘astrologia musicale’ di Tolemeo vanno qui evindenziati due
semplici aspetti. Innanzi tutto, il fatto che gli astrologi concordino
nell’assegnare un’importanza particolare ad alcune configurazioni, dà a
Tolemeo la possibilità di parlare del loro significato come di un fatto
assodato, così come i teorici della musica accettano come un fatto as-
sodato che l’intervallo di quinta giusta è una consonanza. Il compito
dello scienziato non è dunque quello di d im os tr a r e che tali configu-
razioni sono particolarmente significative, ma di s pi e g a r e pe r c hé lo
sono; ed ecco che la dimostrazione di Tolemeo che esse corrispondono
ai rapporti musicali fondamentali fa parte del suo tentativo di spiegare
tutte le posizioni planetarie astrologicamente significative come prodotti
di operazioni compiute dalla ragione musicale. In secondo luogo, giac-
ché le diverse posizioni planetarie descritte da Tolemeo dipendono da
distanze relative (che i rapporti siano tra archi dello Zodiaco, o tra punti
in cui un astro sorge o tramonta, o tra le elevazioni dei corsi che essi
seguono), non c’è nessuna difficoltà nel concepirne le rappresentazioni
in termini comparabili a quelli che definiscono gli intervalli musicali.
Ora, poiché una distanza è maggiore o minore di un’altra, è possibile
esprimere la loro differenza direttamente in termini quantitativi, anco-
ra più concretamente di quanto non avvenga per le intonazioni musi-
cali; ed è possibile definire con precisione lo specifico rapporto nume-
rico esistente tra loro. Sulla base delle elaborate tabelle nelle quali To-
lemeo inserisce le sequenze di rapporti che corrispondono alle scale
musicali, sarebbe addirittura possibile prevedere quali altre configura-
zioni nei cieli, oltre a quelle menzionate, eserciteranno influssi signifi-
cativi; e un astrologo ben preparato dovrebbe essere capace, in linea di

17
Sull’astrologia antica in generale è utile il lavoro di BARTON 1994.
18
I significati di alcune di queste posizioni di particolari pianeti sono menzio-
nati in Harm. III 16.
184 Musica, terapia e cosmo: Teofrasto, Aristide Quintiliano, Claudio Tolemeo

principio, di controllare scientificamente la precisione di queste previ-


sioni. Certo, oggi pochi credono che l’astrologia sia una scienza; ma
non c’è dubbio che se i suoi presupposti basilari fossero accettabili,
l’intelaiatura datale da Tolemeo l’avrebbe resa tale.
Torniamo adesso all’uso che Tolemeo fa dei modelli musicali nel
contesto della p s ico lo g ia. Qui la situazione è molto diversa, per al-
meno un aspetto fondamentale. Se nell’ambito della geometria dei cieli
è facile rilevare immediatamente i rapporti musicali, sembra non essere
altrettanto facile ricavarli in connessione con l’anima. Presa alla lettera,
l’analogia musicale implica che, per esempio, la parte vegetativa dell’ani-
ma (o, a seconda del modello di divisione adottato, quella concupisci-
bile) dovrebbe essere costituita dalla relazione fra due fattori, posti tra
loro nel rapporto 4:3. Tra l’uno e l’altro di questi due fattori dovreb-
bero essercene altri due, e i rapporti tra i quattro fattori dovrebbero
corrispondere a quelli degli intervalli melodici in cui si divide una quarta
giusta. Le tre facoltà della parte vegetativa e le tre virtù della concupi-
scibile consisterebbero in tre diversi ordinamenti di questi rapporti
melodici. Ma è del tutto evidente che tutto ciò è privo di fondamento.
Non ci viene offerta infatti un’immagine dell’anima nella quale sia
possibile individuare fattori psicologici corrispondenti ai termini di
questi rapporti, e nella tradizione filosofica non si trova nulla che pos-
sa colmare questo vuoto. Non sappiamo assolutamente quale possa
essere il corrispettivo psicologico delle note musicali, o in che modo si
possano misurare le loro differenze in termini quantitativi, o che cosa
comporterebbe il loro riassetto per produrre le diverse specie. Possia-
mo fondatamente sospettare che proprio queste siano le ragioni per cui,
in III 5-7, Tolemeo evita ogni precisazione quantitativa.
Finora, dunque, il bilancio sembra negativo. Ma in realtà è pos-
sibile considerare questo materiale sotto una luce più costruttiva. Più
sopra ho definito “superficiale” la prima parte del discorso di Tole-
meo. Tuttavia, nonostante i problemi che ho notato, l’aggettivo non
rende giustizia allo svolgimento complessivo del suo ragionamento. È
vero che Tolemeo lascia oscuri alcuni aspetti importanti di questo si-
stema psicomusicologico, ma di altri dà un’illustrazione molto detta-
gliata, come nel caso dei corrispettivi psichici (28 in tutto) di ognuna
delle specie di consonanza, sia nel sistema delle facoltà dell’anima, sia
nel sistema delle virtù, di ognuna delle quali Tolemeo dà una breve
caratterizzazione. In altri trattati scientifici greci (esclusi quelli di astro-
nomia, che costituiscono un caso particolare), modelli o analogie
musicali vengono spesso impiegati con un intento piuttosto vago, per
indicare soltanto che determinati sistemi sono organizzati ‘armonio-
Speculazione e scienza in Aristide Quintiliano e Claudio Tolemeo 185

samente’, o che determinati fattori cooperano ‘in consonanza’ reciproca.


In genere, questi riferimenti sono brevi e non entrano nei dettagli relativi
alle supposte corrispondenze tra fatti specificamente musicali e aspet-
ti della disciplina trattata. In nessun caso si raggiunge il grado di ela-
borazione sistematica che riscontriamo nelle analisi di Tolemeo, qui e
nei due capitoli seguenti. E allora dovremmo almeno considerare la
possibilità che, per Tolemeo, il modello musicale assolva a funzioni
più sostanziali.
Innanzi tutto, va notato che gli elenchi delle facoltà dell’anima e
delle virtù non sono per nulla arbitrari. Certo, Tolemeo impiega le fonti
antiche in modo eclettico, e nel suo testo sono riconoscibili elementi
platonici, aristotelici, stoici e forse anche epicurei: ma tutte le sue clas-
sificazioni hanno, nella tradizione filosofica, precedenti di tutto rispet-
to. Le sette facoltà intellettive, per esempio, hanno notevole importan-
za nella letteratura stoica (sei di esse ricorrono anche in Platone e Ari-
stotele), e Tolemeo stesso le ripropone nella sua opera Sul criterio. Le
quattordici virtù proprie – secondo Tolemeo – delle parti razionale, ira-
scibile e concupiscibile sono elencate, con minime variazioni, in un
gruppo di definizioni attribuite a Speusippo, l’immediato successore di
Platone a capo dell’Accademia19. Tolemeo adotta dunque queste classi-
ficazioni delle facoltà dell’anima e delle virtù su basi analoghe a quelle
sulle quali fonda le sue analisi delle configurazioni zodiacali astrologi-
camente significative: le quattordici facoltà e le quattordici virtù, così
come le configurazioni zodiacali costituiscono i dati, che Tolemeo tro-
vava riconosciuti e definiti dai filosofi precedenti.
Giacché, in origine, gli elenchi delle facoltà dell’anima e delle vir-
tù furono certamente elaborati del tutto indipendentemente da principi
musicologici, il fatto che il loro numero corrispondesse con tanta pre-
cisione a quello delle diverse specie delle consonanze, costituisce un
sostegno sorprendente alla tesi che dovesse esserci una qualche c on-
nessio n e real e tra musica e psiche, e non è il frutto di un’elabora-
zione della tesi stessa. E se fosse stata una pura coincidenza che pro-
prio tre fossero le facoltà della parte vegetativa dell’anima, tre le virtù
della parte concupiscibile, e tre anche le specie della quarta; che pro-
prio quattro fossero le forme della percezione, quattro le virtù della
parte irascibile e quattro anche le specie della quinta; e che proprio sette
fossero le facoltà dell’intellezione, sette le virtù razionali e sette anche
le specie dell’ottava, allora si sarebbe potuto certamente pensare che si
trattava di una coincidenza molto strana e improbabile. In uno dei brani

19
Vd. DÜRING 1934, pp. 271-272.
186 Musica, terapia e cosmo: Teofrasto, Aristide Quintiliano, Claudio Tolemeo

brevi ma densi che avevo prima tralasciato, Tolemeo spiega così la cor-
rispondenza tra le specie delle consonanze e le virtù dell’anima: «Le
differenze più evidenti tra le virtù proprie di ciascuna parte dell’anima
sono anche in questo caso in numero uguale alle differenze tra le spe-
cie delle consonanze principali, perché la melodicità (to emmeles), in
un certo senso, è virtù dei suoni, mentre la non melodicità (to ekmeles)
è vizio; in altro ambito, la virtù, in un certo senso, è melodicità delle
anime, mentre il vizio è non melodicità. Caratteristica comune a en-
trambe le classi è che le parti sono accordate tra loro quando si trova-
no in una condizione di conformità alla natura, mentre non sono ac-
cordate quando si trovano in una condizione opposta» (97, 1-8 Düring).
Il punto che Tolemeo mette in evidenza è che la proprietà di ogni vir-
tù dell’anima è identica a quella di ogni specie di una consonanza ben
intonata. Nel caso della musica noi sappiamo quante possono essere le
forme di melodicità di ogni consonanza, e dunque ci possiamo certa-
mente aspettare che il numero di virtù della corrispondente parte del-
l’anima sia lo stesso.
L’affermazione che ogni virtù è una forma di melodicità può esse-
re considerata sotto più di una prospettiva. Da un lato, in quanto ele-
mento della tradizione filosofica, può essere trattata come un ‘dato’,
consolidato dall’autorità di Platone. D’altra parte, in quanto elemento
della teoria di Tolemeo, essa costituisce una premessa dell’applicabilità
del suo modello musicale. Se accettata in base al primo assunto, può
essere portata come testimonianza della fondatezza della teoria. Consi-
derata invece dall’altro punto di vista, non può rispondere a questo
scopo, in quanto darebbe luogo a un ragionamento circolare. Essa in-
vece indica una via per la quale la teoria non descrive soltanto i feno-
meni all’interno del proprio ambito, ma li spiega: tra le specie di con-
sonanze e le virtù c’è corrispondenza p er c hé si tratta di manifesta-
zioni alternative della medesima proprietà formale.
L’altro dei due brevi passi di Tolemeo che avevo tralasciato dice
così: «Come nell’accordatura è necessario che prima di ogni cosa si
proceda alla corretta definizione delle omofonie, e che solo dopo si passi
a definire le consonanze e gli intervalli melodici – giacché un piccolo
errore nei rapporti minori non danneggia la melodia tanto quanto un
errore nei rapporti maggiori e più importanti; così anche nelle anime è
naturale che le parti intellettiva e razionale governino le altre, che sono
subordinate; e c’è bisogno di maggiore accuratezza nel definire pro-
porzioni corrette all’interno di esse (ossia nelle parti intellettiva e ra-
zionale) – giacché dall’errore in esse dipende in tutto o in gran parte
l’errore nelle altre parti dell’anima» (97, 20-27 Düring). L’intento espli-
Speculazione e scienza in Aristide Quintiliano e Claudio Tolemeo 187

cito di queste annotazioni è di indirizzare l’attenzione su un’altra via


lungo la quale i rapporti tra le strutture musicali vanno in parallelo con
i rapporti fra le strutture psichiche, e di fornire, così, prove ulteriori
dell’esistenza di una connessione tra i due ambiti. Anche qui vediamo
i segni della tendenza esplicativa della teoria di Tolemeo. L’ultima par-
te della sua esposizione ripropone una visione dell’ordinamento gerar-
chico degli elementi dell’anima ormai saldamente attestata nel pensiero
filosofico a partire da Platone. La prima parte ci rimanda a un princi-
pio che ho menzionato prima, e che Tolemeo aveva posto alla base delle
sue analisi teorico-tecniche lungo tutto il trattato: i rapporti numerici e
le altre caratteristiche delle strutture musicali più piccole si devono far
derivare dalla comprensione di quelle più grandi e più semplici, in
quanto lo status musicale delle prime dipende dalla loro funzione, come
elementi costitutivi, all’interno delle seconde. In sostanza, le strutture
musicali più piccole non sono dotate di una loro ‘musicalità’ indipen-
dente. Ogni procedimento che prenda le mosse da esse, considerando-
le come già date in partenza e semplicemente aggiungendole l’una al-
l’altra a produrre strutture più ampie rappresenta dunque un’inversio-
ne dell’ordine corretto, e non spiega l’eccellenza musicale del comples-
so globale. In questo caso, se il parallelo è valido, è la parte dell’anima
che corrisponde all’ottava a dover avere la precedenza sulle altre. La
natura e le funzioni delle altre facoltà devono essere comprese attra-
verso la loro relazione con le facoltà dell’intelletto, e le virtù delle par-
ti inferiori dell’anima sono determinate e derivate da quelle pertinenti
alla ragione. Ed ecco che i difetti di ‘precisione’ nella sfera della ragio-
ne sono più gravi di quelli che si manifestano a un livello inferiore, in
quanto, a differenza di questi ultimi, producono distorsioni in tutto il
sistema20. L’ipotesi di fondo di Tolemeo, che all’origine dell’ordine in-
terno all’anima c’è la stessa ragione musicale che genera strutture mu-
sicali corrette, si impone dunque come una s p i e g a z i o n e della ge-
rarchia psicologica sulla quale i filosofi precedenti avevano insistito.
Tutto questo mi porta alla prima delle due acquisizioni con le quali
concluderò questo lungo capitolo finale. Nella letteratura greca (e non
solo greca) si fa uso molto frequentemente di termini e concetti musi-
cali per esprimere pensieri su argomenti non musicali di ogni tipo, te-
ologici, politici, medici, etici, giuridici, logici e molti altri. Spesso, o forse

20
Così, se in un’accordatura musicale (harmonia) non è perfettamente intona-
ta l’ottava, di necessità anche gli intervalli in cui è divisa – tutti o parte di essi –
risultano imprecisi; se invece sono imprecisi soltanto alcuni degli intervalli melodici
al suo interno, il danno è limitato a essi.
188 Musica, terapia e cosmo: Teofrasto, Aristide Quintiliano, Claudio Tolemeo

quasi sempre, è inutile cercare di interpretare questi riferimenti come


indizi di una teoria che collega la musica con altri ambiti su base siste-
matica: sono soltanto esempi di un linguaggio immaginoso, analogie con
funzione persuasiva e niente di più (ma anche niente di meno: la con-
sistenza di questi mezzi, anche nella letteratura scientifica o filosofica,
non andrebbe mai sottovalutata). Ora, nel testo di Tolemeo l’uso di
modelli musicali risponde a una funzione ben più sostanziale di quella
persuasiva: Tolemeo se ne serve per dare una base alla sua ipotesi in-
terpretativa, che considera strutture musicali e non musicali come pro-
dotti del medesimo principio, della stessa modalità di azio-
ne razionale. L’ipotesi è delineata, in termini generali, nelle riflessio-
ni sulla natura della matematica, sulla bellezza che costituisce l’oggetto
proprio delle sue indagini e il risultato delle sue costruzioni, e sull’am-
piezza dei domini nei quali questa bellezza può o deve esistere (III 3-
4). Ma, a differenza dell’analoga concezione di Aristide sull’influsso
pervasivo dell’ ‘attività del Tutto’, l’ipotesi di Tolemeo è sviluppata con
chiarezza e precisione, in quanto i principi in base ai quali la ragione
musicale opera, e le forme di costruzione imposte da quei principi,
vengono dettagliatamente descritti nei primi due libri del suo trattato.
Pertanto, è possibile confrontare immediatamente le conseguenze
dell’ipotesi di Tolemeo con quelli che cogliamo come fatti reali, o rile-
vati mediante l’osservazione diretta, o consolidati dalla tradizione filo-
sofica: non si tratta, come nel caso di Aristide, di un’ipotesi tanto vaga
e priva di contenuto da non superare la prova dei fatti, di qualsiasi
natura essi siano. Come nella teoria musicale di Tolemeo l’adeguatezza
delle ‘ipotesi razionali’ e la correttezza delle conseguenze che ne deri-
vano devono essere controllate mediante l’esperienza empirica, così
anche in psicologia e in astrologia la teoria di fondo deve essere con-
trollata sulla base di dati stabiliti indipendentemente da essa. Diversa-
mente da altri teorici della musica, Tolemeo, resistendo alla tentazione
di ricorrere alla veneranda tesi secondo la quale la percezione sensibile
e l’esperienza empirica sono troppo aleatorie per essere considerate
testimoni attendibili contro l’augusta autorità della ragione, afferma che
se le conseguenze di una teoria sono in conflitto con i dati dell’espe-
rienza, è la teoria a dover essere modificata o rifiutata. D’altra parte, se
i dati sono conformi ai risultati derivati dalla teoria, potremmo essere
tentati di affermare che ne confermano definitivamente la validità; ma i
fatti mostrano soltanto che l’esperienza non dà adito a dubbi sull’inec-
cepibilità della base razionale dell’ipotesi, o sulla sua applicabilità in quel
particolare ambito. Perché la teoria sia accettabile, i da ti devono es-
sere compatibili con essa, se non altro perché si tratta di fatti che la
Speculazione e scienza in Aristide Quintiliano e Claudio Tolemeo 189

teoria intende spiegare. Ma la teoria in sé non è valida perché i fa tti


sono quelli che sono: è valida perché è r az iona l e . Tuttavia, una volta
che si siano mostrati conformi a quanto previsto dalla teoria, i dati
possono essere ricondotti all’interno del suo stesso ambito esplicativo;
e giacché per questa via – come argomenta Tolemeo – i fenomeni mu-
sicali, astrologici e psicologici possono essere tutti spiegati come pro-
dotti della medesima facoltà razionale, i paralleli strutturali che tra loro
si evidenziano sono molto di più che semplici analogie: esistono per-
ché in ognuno dei campi esaminati sono attivi i medesimi principi di
organizzazione matematica.
Il modello di Tolemeo opera dunque all’interno di un’impalcatura
concettuale intesa a fornire spiegazioni. In astrologia e in psicologia le
sue funzioni sono anche di tipo euristico, sicché – credo – fa da guida
verso nuove scoperte e nuove interpretazioni dei fenomeni. Ma in psi-
cologia il modello non può essere predittivo nella stessa identica misu-
ra in cui lo è in astrologia. Ossia, non è possibile prevedere scientifica-
mente che i rapporti e i modelli di rapporti essenziali alle strutture
musicali riappariranno sotto forma di relazioni significative tra elementi
dell’anima, visto che non è possibile identificare gli elementi psicologi-
ci quantificabili tra i quali questi rapporti dovrebbero sussistere. Come
Tolemeo stesso riconosce alla fine di III 4, in contesti simili, esistono
limiti alla possibilità, da parte di uno scienziato che si serva analitica-
mente del ragionamento musicale, di rivelare dettagli di ordine mate-
matico: si può giungere alla definizione dell’organizzazione musicale
dell’anima soltanto «per quanto è possibile comprendere a un essere
umano» (95, 25 Düring). Nonostante ciò, l’ipotesi è comunque ‘pre-
dittiva’ ed euristicamente utile, in un senso più lato ma altrettanto va-
lido: ci suggerisce che faremmo bene a considerare se i modelli da essa
individuati possono essere estesi anche ad altri aspetti dell’anima e del
suo funzionamento. In III 6 e III 7, Tolemeo identifica i corrispettivi
psicologici dei tre ‘generi’ di accordatura (diatonico, cromatico, enar-
monico) e delle forme di modulazione discusse a fondo nel libro II.
Non c’è ragione per non estendere ulteriormente la ricerca. Il risultato
di queste progressive assimilazioni della sfera psicologica a quella mu-
sicale è, soprattutto, la sistematica integrazione tra informazioni altri-
menti prive di collegamenti. Se, in ambito musicale, conosciamo i prin-
cipi che determinano i rapporti numerici e le combinazioni degli inter-
valli melodici, i modi in cui i generi sono correlati l’uno all’altro e alle
consonanze, le relazioni tra i procedimenti di modulazione e le specie
dell’ottava, e così via, avremo una salda base per comprendere in che
modo un complesso insieme di facoltà, virtù, emozioni, disposizioni,
190 Musica, terapia e cosmo: Teofrasto, Aristide Quintiliano, Claudio Tolemeo

motivazioni e altri elementi del genere sono tessuti insieme, per opera
della ragione musicale, in un’unica struttura profondamente integrata
che chiamiamo anima.
Tutto questo resta vero anche se i fattori dell’anima corrispondenti
alle note musicali, con la funzione di termini di determinati rapporti
numerici, continuano a sfuggirci. Più dettagli psicologici riusciamo a
conformare al modello senza il loro aiuto, più possiamo essere fidu-
ciosi che l’ipotesi esplicativa globale di Tolemeo sia corretta, e che quindi
tali fattori devono esistere, per quanto sfuggenti possano essere. Senza
l’esatta cognizione di essi, l’applicazione del modello all’anima rimane
sempre in qualche misura incerta, perdendo il saldo ancoraggio di cui
può disporre l’astrologia. Chiunque, continuando la ricerca psicomusi-
cologica sulle tracce di Tolemeo, avrebbe dovuto procedere c ome s e
sapesse che questi fattori fossero presenti, e come se fornissero al mo-
dello dei saldi ormeggi. Nella misura in cui queste ricerche avessero
dato i loro frutti integrando e spiegando un ampio raggio di fatti e
fenomeni psicomusicologici, esse avrebbero aumentato la probabilità che
le ipotesi sulle quali erano basate sono valide. È chiaro che i pochi
capitoli che Tolemeo ha dedicato all’argomento non bastano a trasfor-
mare le sue speculazioni psicomusiclogiche in una scienza pienamente
sviluppata. Ciò che ho tentato di mostrare è che a chiunque accetti la
visione del mondo lato sensu ‘razionalistica’ che sta alla base di tutta la
teoria matematica di Tolemeo, quei capitoli forniscono un’impalcatura
all’interno della quale la psicomusicologia poteva diventare una scien-
za. Ciò non è avvenuto: ma si tratta soltanto di uno dei tanti casi della
storia della cultura.
Speculazione e scienza in Aristide Quintiliano e Claudio Tolemeo 191

BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE

Questa bibliografia è divisa in due sezioni: nella prima vengono indicate


le edizioni dei musicografi e di altri autori greci citati nel libro (Teofrasto,
Pseudo Ippocrate), con le relative abbreviazioni: per opere e autori non com-
presi nella lista, valgono le edizioni e le abbreviazioni di uso comune; nella
seconda sezione, che non aspira in alcun modo a presentarsi come una rasse-
gna completa sull’argomento, sono elencati tutti gli studi citati in forma ab-
breviata nelle note, e diversi altri lavori che possono risultare utili al lettore.
Per una bibliografia molto più estesa su musica e musicologia antiche, con più
di 1600 titoli, rimando a MATHIESEN 1999, pp. 669-783.

I. Edizioni

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Aristoxeni Elementa harmonica R. DA RIOS recensuit, Romae 1954 (Da
Rios)
Aristoxenus. Elementa rhythmica: The Fragment of Book II and the Ad-
ditional Evidence for Aristoxenian Rhythmic Theory edited with
Introduction, Translation and Commentary by L. PEARSON, Oxford
1990

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Aristidis Quintiliani De musica libri tres edidit R. P. WINNINGTON-IN-
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Die Harmonielehre des Klaudios Ptolemaios herausgegeben von I.
DÜRING, Göteborg 1930 (Düring)

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Introductio harmonica, in Musici scriptores Graeci [...] recognovit prooe-
miis et indice instruxit C. JAN, Lipsiae 1895, pp. 167-207 (Jan)

Nicomaco (Nicom. Ench.):


Enchiridion, in Musici scriptores Graeci [...] recognovit prooemiis et in-
dice instruxit C. JAN, Lipsiae 1895, pp. 209-282 (Jan)
192 Bibliografia essenziale

Porfirio (Porph. In Ptol. Harm.):


Porphyrios Kommentar zur Harmonielehre des Ptolemaios herausgegeben
von I. DÜRING, Göteborg 1932 (Düring)

Pseudo-Euclide (Ps. Eucl. Sect. can.)


Sectio canonis, in Musici scriptores Graeci [...] recognovit prooemiis et
indice instruxit C. JAN, Lipsiae 1895, pp. 113-166 (Jan)

Pseudo-Ippocrate (Ps. Hipp. De victu):


Hippocrate. Du régime. Texte établi et traduit par R. JOLY, Paris 1967

Teofrasto (Thphr.):
Theophrastus of Eresus. Sources for his Life, Writings, Thought and In-
fluence, edited and translated by W. W. FORTENBAUGH (et alii), I-II,
Leiden – New York – Köln, 1993 (F.)

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