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LA MUSICA NELLA CIVILTA’ GRECA

I greci parlano di mousiké (aggettivo che si riferisce alla tecnica musicale). Viene dall’etimologia Mousa (figlie
di apollo che si occupavano delle arti) e da questa etimologia vengono una serie di parole (mousikeuma,
cantare e suonare, mousurdia, arte del comporre e mousun, educare attraverso la musica). La cosa più
fondante della mousiké è che comprende 3 discipline (poesia, coro e musica) e proprio per questo motivo
diventa il centro dell’educazione dei giovani.

ARISTIDE QUINTILIANO (III secolo d.C.) punta l’attenzione sul fatto che la musica, la poesia e la danza sono
legate dal ritmo. I ritmi di tutta la musica derivano dall’organizzazione metrica della poesia greca. Lui dice
che la mousikè è fondamentale per l’educazione dei giovani (paideglia) perché realizza in modo dinamico il
più alto grado di mimesi della natura perché agisce attraverso la vista e l’udito e ciò è facilitato dalla struttura
metrica della lingua greca.

La cultura greca è olistica (il tutto è legato), infatti la musica greca è a contatto anche con altre discipline
come l’astronomia: i greci praticavano la “musica delle sfere” quindi erano convinti che gli astri producessero
ognuno un suono diverso ruotando attorno alla Terra. Questo tipo di musica è considerato il più importante
anche della musica fenomenica (i suoni ruotavano attorno alla corda centrale della lira: mese) questo perché
il greco diffida di ciò che c’è in natura e preferisce l’ideale e ciò che è immune al tempo.

La musica greca era collegata anche con la medicina in quanto essa ha capacità terapeutiche.

Anche con la giurisprudenza: la Grecia era divisa in regioni e ogni regione aveva il proprio nomos, ossia scale
modali in cui si possono usare solo quelle note. I nomoi erano considerate vere e proprie leggi.
Successivamente con la diminuzione delle etnie e l’unificazione della Grecia i nomoi diminuiscono. Nel
momento in cui uno nomos viene utilizzato in una stessa circostanza ma con significato diverso diventa
patrimonio greco.

Anche nell’Iliade di Omero ci sono episodi in cui Achille suona il flauto. L’evoluzione della musica però si è
vista nell’Odissea in cui è nata la figura del musicista: alla corte dei Feaci con l’arrivo del musicista Deconomo
e al banchetto di Telemaco con la presenta di musicisti professionisti ai quali si poteva chiedere anche il bis.

Intorno all’VIII secolo a.C. si cambia l’interpretazione del musicista: fino ad allora si credeva che il musicista
suonasse perché era sotto il controllo degli déi ma adesso le divinità fungono solo da ispirazione per il
musicista (un esempio è Terpandro che attraverso le melodie da lui interpretate esercitava una mediazione
nelle rivolte spartane).

Un esempio di interpretazione della musica può essere anche il mito di Orfeo (la lira di Orfeo ci fa arrivare
anche oltre l’immaginazione).

Gli strumenti più utilizzati erano la LIRA DI APOLLO e l’AULOS DI DIONISIO

Il primo strumento trasmette il significato della musica tramite le parole ed è legata ad apollo, dio solare e
della bellezza e l’aulos è legato a Dioniso, dio dello sconvolgimento.

La lira consente di creare l’illusione del principio di individuazione (ciò che accade agli altri non accade a me)
invece l’aulos legato a dionisio mostra l’orrore che c’è sotto la verità (i greci hanno paura di Dionisio quindi
preferiscono la lira).

Nel V secolo con Pericle si cominciano a vedere nuovi tragediografi seguaci di Euripide (la tragedia greca è in
equilibrio tra arte e musica).

TIMOTEO era uno degli innovatori: usava la lira a due corde, cantava dei nomoi destinati a coro e nella
melodia passava da un nomos all’altro (modulazione).
PLATONE disapprova l’innovazione e divide la musica in mimesi volgare (imitazione di fenomeni) e mimesi
elevata (imitazione di idee).

DAMONE DI LOA fu allievo di Platone. Convince Pericle a costruire l’odeon (primo teatro chiuso) ma viene
accusato di aver speso tutto il denaro e viene mandato all’aeropago in cui pronuncia delle orazioni importanti
in cui afferma che la musica fa effetto sull’animo dei giovani. Per damone, musica e anima sono puro
movimento e pertanto bisogna preservare la tradizione.

SOCRATE comunica agli amici di essere stato esortato a comporre musica in un sogno durante la sua
prigionia.

PITAGORA come Socrate egli non lasciò testimonianza del suo pensiero musicale. Il centro della dottrina
pitagorica è l’elaborazione di un ideale di vita in modo che l’individuo non fosse eccessivamente contento o
eccessivamente turbato. In questa dottrina un ruolo importante ha la musica e infatti avevano una serie di
riti su cui entrava la musica fra cui il rito primaverile in cui un suonatore di aulos si aggirava intorno ai
partecipanti in modo che le sue armonie rendessero gli individui “intonati e euritmici”. Pitagora crede nella
capacità risanatrice della musica (ha una concezione etica della musica). Il risanamento attraverso la musica
avviene con la simpatia imitativa (le armonie generano nell’animo armonia ed equilibrio psichico). Lo stesso
Pitagora era capace di infondere equilibrio e armonia agli altri (si racconta che avesse guarito un individuo a
Taormina afflitto da una delusione d’amore attraverso l’ascolto un ritmo di spondei, un ritmo calmo). Già si
vede come nella sua dottrina ci sia questa nozione di catarsi (una cura che avviene attraverso la musica e nel
caso di Pitagora è di tipo allopatico cioè agisce per contrasto).

La nozione principale di Pitagora è che tutto l’universo e tutto il mondo siano ordinati matematicamente
attraverso il numero e l’armonia perché questi due concetti hanno un rapporto molto stretto perché
entrambi sono unificazione dei contrari. In questo concetto, per il quale tutta la realtà ha una tessitura
numerica, la musica ha un ruolo essenziale perché è un esempio del fatto che le cose sono ordinate dai
numeri. Pitagora dimostrò questa sua teoria prendendo un monocordo e fissandolo a due cavalletti (uno
fisso e l’altro mobile) e fece risuonare la corda intera e ne uscì un suono, accorciandola di 1/2 ottiene l’ottava
alta, di 2/3 la quinta, e di 3/4 la quarta. Gli intervalli musicali sono esprimibili con le frazioni. In Pitagora
convivono la concezione etica della musica (musica che fa effetto sull’animo) e la corrente matematica (la
musica è composta tenendo conto dei numeri). All’interno della dottrina pitagorica i pitagorici facevano un
esempio negativo di un tale Ippaso che gli dei gli avevano fatto perire in un naufragio perché era un empio:
aveva rivelato l’esistenza scandalosa di grandezze numeriche che non possono essere espresse né dai numeri
pari né dai numeri dispari (i numeri razionali). Per un pitagorico quest’idea era una cosa insopportabile.

ARISTOTELE (epoca ellenistica) possiamo dire che la musica sia strumento di governo ma rispetto a Platone
si rivela più flessibile ed empirico. Aristotele dice che la musica ha come fine il piacere e rappresenta un ozio.
All’epoca di Aristotele la parola “ozio” rappresenta le ore della giornata di tempo libero le quali però, devono
essere riempite in maniera conveniente e la musica era considerata una disciplina nobile e liberale per
occupare queste ore. La musica può occupare queste ore solo come ascolto e non come pratica in quanto
l’esecuzione musicale comprende un esercizio manuale che non è degno di un uomo libero ma per godere
bene della musica bisogna capirla e per capirla bisogna averla praticata: così secondo Aristotele la musica si
deve praticare da giovani e quando si arriva ad una padronanza soddisfacente dello strumento l’uomo adulto
si deve astenere dalla pratica e dedicarsi un ascolto. La sua pronuncia contro la pratica strumentale durerà
fino al Rinascimento. Per quanto riguarda la dottrina dell’ethos (visione etica della musica) anche Aristotele
ritiene che la musica abbia effetto sull’animo ma rispetto a Damone e Platone (conservatori della tradizione)
egli dice che “non esistono armonie buone o cattive ma dipende da come vengono usate”. Egli dice anche
che la musica è educativa e influisce sull’animo umano ma dà all’artista la facoltà di scegliere l’armonia
appropriata per il suo animo. All’interno di questo discorso rientra il concetto della catarsi che per Aristotele
è omeopatica, cioè procede per affinità perché il musicista ha la possibilità di imitare tutte le passioni e, di
conseguenza, egli vede attraverso la musica il sentimento che lo turba in quel momento in modo da essere
consapevole di ciò che lo affligge e potersene, quindi, liberare. Questo aspetto empirico della filosofia di
Aristotele verrà accentuato dal suo discepolo Aristosseno.

ARISTOSSENO DI TARANTO viene considerato il primo musicologo della storia perché è il primo ad occuparsi
di fatti concreti e problemi concreti dei musicisti (problemi di percezione, problemi di memorizzazione, si
occupa anche della formazione di giudizi e si occupa dare una sistemazione teorica e generale al campo
armonico).

La tragedia greca è il prodotto culturale e di maggior prestigio perché aveva un equilibrio fragile e prezioso
fra aspetto rituale e aspetto artistico che dev’essere ben rispettato poiché durante questo momento per il
greco c’era un’immersione negli strati culturali e spirituali più profondi. I tre grandi tragici greci sono Eschilo,
Sofocle ed Euripide. Quando Euripide introduce le sue innovazioni (dà più spazio alla musica) mentre i suoi
collaboratori danno più spazio allo spettacolo alcuni intellettuali, Aristofane e Platone, si oppongono in
quanto ciò romperà l’equilibrio fra spettacolo e musica. La musica era presente nella tragedia e commedia
greca ma, malgrado ciò, a fronte di 31 testi arrivati fino a noi, la musica di questi testi tragici è andata
completamente persa: a questo punto ci sono alcune ipotesi:

L’ipotesi più ragionevole è che per i greci la musica faceva parte dell’aspetto esecutivo e quindi aggiornata e
cambiata volta per volta come un dato spontaneo e relativo solo alla messa in scena. La musica interviene
nella tragedia greca in momenti definiti (nel parodo e negli stasimi). Nella tragedia c’era un’alternanza di
parti parlate e parti dedicate al coro (che commentavano ciò che era successo prima). La struttura è questa:
prologo (attori) a volte è un primo atto altre volte solo un’introduzione, parodo (ingresso del coro), primo
episodio cantato (2,3 attori) e dopo c’è il primo stasimo (riservato al coro), secondo episodio parlato e
secondo stasimo cantato, terzo episodio parlato e terzo parodo cantato e infine l’esodo in cui spesso si
cantava e rappresentava l’uscita del coro. Parodo era cantata in ritmo anapestico o in versi lirici. Negli stasimi
ci sono delle serie di strofe poetiche in cui a due a due hanno la stessa melodia mentre gli ultimi versi che
sono conclusivi (epodo) hanno una melodia diversa. Un tipo di esodo diffuso era il commo perché era un
canto molto drammatico.

L’Oreste è una tragedia di Euripide che riprende il mito più tragico cioè la saga degli Atridi perché Oreste è
figlio di Agamennone che, quando doveva partire per la guerra di Troia, per assicurarsi il buon esito della
guerra sacrifica la figlia agli dei e la moglie Clitemnestra si infuria e gli usurpa il trono unendosi ad Egisto
mettendo in minoranza i figli Elettra ed Oreste che si allontana dalla reggia degli Atridi ma quando torna fa
fuori Clitemnestra ed Egisto. Euripide dà molto spazio agli eventi spettacolari durante gli stasimi e inserisce
anche degli “assoli” che fa parte delle sue innovazioni.

In confronto all’influenza che ha avuto la teoria greca il sistema musicale greco dura poco: alla base c’è il
tetracordo discendente composto da due suoni fissi alle estremità più due suoni “mobili” all’interno. Ci sono
3 generi di tetracordo: tetracordo diatonico (due toni e un semitono), tetracordo cromatico (terza minore
discendente e due semitoni) e tetracordo enarmonico (terza maggiore discendente più due quarti di tono.
Questo genere rispetto agli altri è durato più a lungo). Il tetracordo diatonico (il più diffuso) ha 3 modi:
dorico (semitono nella parte grave del tetracordo), frigio (semitono nella parte centrale) e modo lidio
(semitono nella parte più acuta). I tetracordi li troviamo spesso uniti a due a due in delle armonie create per
diazeusi (disgiunzione) cioè senza note in comune o per sinafé (congiunzione) quando i due tetracordi hanno
una nota in comune. La combinazione di queste due armonie forma il sistema teleion (o perfetto) usato da
Aristosseno. E’ costituito da 4 tetracordi (due tetracordi congiunti, separazione, altri due tetracordi congiunti
e una nota finale chiamata “proslambanomenos”). Il sistema teleion non serviva a comporre ma veniva usato
come classificazione dei suoni: ogni nota ha un nome e una sua altezza assoluta all’interno del tetracordo.
Ciò che durerà a lungo fino ai giorni nostri non sarà il sistema dei tetracordi ma sarà il sistema metrico greco
in quanto la musica aveva gli stessi ritmi della poesia. Il sistema metrico italiano è accentuativo mentre il
sistema metrico greco è quantitativi. Accentuativo significa che la metrica è fondata sugli accenti mentre
quantitativo significa che la metrica è fondata sulla quantità delle sillabe (lunghe accentate e brevi non
accentate). Le sillabe lunghe contengono una vocale lunga mentre le sillabe brevi sono formate da una vocale
breve. Dalla combinazione di sillabe brevi e lunghe si formano i piedi (unità greca del verso greco e quindi
della musica greca). Due lunghe = spondeo; una sillaba lunga e una sillaba breve = il trocheo; una lunga e due
brevi; dattilo; una sillaba breve e una lunga = giambo (o ritmo zoppo); due sillabe brevi e una lunga =
anapesto. 1 peonio (lunga, 3 brevi); 2 peonio (breve, lunga, breve, breve); 3 peonio (breve, breve, lunga,
breve); 4 peonio (breve, breve, breve, lunga).

Arma virumque cano troiae qui primus ab oris (proemio dell’Eneide di Virgilio in esametri).

Le tre concezioni della musica che i greci lasciano sono: la concezione di Pitagora secondo cui la musica e i
numeri sono strettamente collegati, la concezione etica della musica di Platone e di Damone secondo cui la
musica fa effetto sull’anima e quella elaborata da Aristotele secondo cui tutta la cultura greca svaluta
l’aspetto pratico ed esalta invece l’aspetto teorico. Nei greci non esiste il concetto di “partitura” ma viene
tramandata oralmente. Il sistema teleion serve solo per classificare i suoni. Usano l’alfabeto fenicio per
annotare la musica strumentale mentre usano l’alfabeto greco per annotare la musica vocale. (Sono 67
perché ci sono anche i quarti di tono).

LA MUSICA A ROMA
Nel corso del III secolo a.C. la cultura greca comincia a influenzare anche Roma (con la conquista dei territori
come Taranto). Già fin dagli strati più arcaici di Roma l’influenza greca era arrivata attraverso gli etruschi.
All’epoca dei re esisteva un tipo di canto rituale monotico e corale: rituale perché era legato alla religione,
monotico perché tutti cantavano la stessa melodia e corale perché la cantavano in gruppi. Si trattava di carmi
sacrali (il canto dei fratelli arvali). Nei banchetti c’erano dei carmina convivialia o quando tornavano i soldati
dalle battaglie venivano accolti con dei carmina triumfalia o nenie che sono canti funebri. La musica a Roma
la troviamo in due tipi di esibizioni teatrali: i fescennini e le atellane (rappresentazioni teatrali con la massima
improvvisazione). Entrambe erano legati al ritmo dei lavori agricoli. Nel 364 Roma stava soffrendo di una
pestilenza e per blandire gli dei vengono indetti i ludi scenici, rappresentazioni teatrali in cui gli etruschi
danzavano accompagnati dalla tibia (equivalente romano dell’aulos). Dopo un pò dei giovani romani si
uniscono a questi etruschi e intonano un canto che variava l’aria intonata dai suonatori di tibia. Questi
verranno chiamati istriones. Questi generi di spettacolo improvvisato sono stati accolti fino alla metà del III
secolo a.C. quando, in seguito alla Prima Guerra Punica e alla conquista della Magna Grecia, i romani vennero
a contatto con la musica greca con le tragedie. Così gli autori latini cominciano a imitare le tragedie greche.

LIVIO ANDRONICO era un greco di Taranto che è portato a Roma da prigioniero ma liberato per buona
condotta ed è il primo dei poeti latini a scrivere tragedie latine su modello greco. Questo repertorio teatrale
greco era conosciuto in Italia attraverso delle compagnie di attori che si chiamavano artisti dionisiaci che
portavano in giro queste tragedie ma senza rispettare la loro forma. Essi mettevano insieme parti di tragedie
diverse (contaminatio). Sia nelle tragedie che nelle commedie latine era presenta la musica (c’erano monodie
e duetti che venivano alternati al dialogo parlato) quello che non è ben chiaro è se ci fosse il coro perché
nell’orchestra (luogo dove in Grecia stava il coro) ci stavano gli spettatori più prestigiosi. In ogni caso
l’accompagnamento dei canti era affidato alle tibie (il suonatore della tibia era al tempo stesso l’autore delle
musiche ascoltate). Ovviamente anche in questo caso non abbiamo niente di scritto ma solo le testimonianze
degli storici. Sappiamo, per esempio, che Livio Andronico da giovane si esibiva sia come attore che come
musicista ma che in tarda età lasciava la parte musicale a dei collaboratori. A proposito delle musiche di
Andronico, Cicerone ci dice che sono delle iucundas veritas.

Nel 146 a.C. i romani conquistano Corinto e danno inizio alla conquista della Grecia che dà luogo a un
fenomeno Grecia capta ferum victorem cepit (la Grecia ha conquistato Roma dal punto di vista culturale
infatti perfino le bambine dell’aristocrazia iniziano a studiare musica). Nel frattempo comincia a scemare
l’interesse verso la tragedia greca e latina e cominciano a diffondersi due nuovi tipi di spettacolo fondati sul
virtuosismo: il mimo e il pantomimo. Il mimo era un’esibizione burlesca gestita da un solo attore che parlava,
danzava, cantava e conversava con il pubblico mentre il pantomimo comprendeva il fatto di portare in scena
un mito, o una battaglia o una scena storica ricreata con solisti, coro e orchestra. La musica che
accompagnava il pantomimo doveva essere mimetica (come le colonne sonore di oggi). Ma ai romani
piacevano tutti i concerti per orchestra, anche quelli con gli strumenti militari (cimbali, tuba, litus, buccina,
corno). In questi concerti veniva coinvolto anche l’idraulos (inventato da Ctesibio di Alessandria in epoca
ellenistica), un organo che funziona ad aria ma con il principio dei vasi comunicanti dell’acqua.

La Roma imperiale si impegnò per espandersi ma ebbero l’intelligenza di lasciare alle popolazioni locali i loro
riti e le loro culture. Espandendosi così tanto, Roma divenne ben presta meta di molti intellettuali e artisti
ma soprattutto fu colpita dall’immigrazione da parte di tutti i territori dell’impero. Ciò comporta che Roma
diventa molto popolata e diventa il primo esempio di multiculturalismo della storia. Questo cosmopolitismo
altera la composizione della società imperiale. Ogni gruppo sociale portava i propri culti religiosi con i
rispettivi strumenti. I romani hanno una grande tolleranza verso le altre religioni invece quando nasce la
religione cristiana provano una forte ostilità innanzitutto perché i cristiani mettono Dio al di sopra
dell’imperatore e perché i cristiani non tolleravano gli schiavi che per i romani erano necessari per l’economia
del paese nonostante li costringano a lavorare allo stremo delle forze in condizioni pessime.

LA MUSICA DEI PRIMI CRISTIANI: IL CANTO GREGORIANO NEI SUOI CARATTERI


MODALI E RITMICI
Nel 476 d.C. cadde l’impero romano d’Occidente e comincia il Medioevo che finisce con la scoperta
dell’America nel 1492. Durante il Medioevo i cristiani stavano cercando di elaborare una loro cultura e dal
punto di vista musicale i cristiani vogliono pronunciarsi come continuatori della cultura greca e quindi
ereditano la grande teoria greca sulla musica ma d’altra parte rifiutano la pratica musicale greca e latina
perché non accettavano il fatto che certi strumenti ricordassero le religioni pagane: quindi rifiutavano l’aulos,
il sistro che ricordava Iside, o l’eulos che ricordava Cibele. Intorno al III-IV secolo d.C. gli strumenti non
potranno più entrare in chiesa fino al 1500. Nel 1300 avremmo l’ammissione dell’organo legato al culto
cristiano. Altro problema con la cultura greca è che i canti cristiani del III-IV secolo sono fondati su scale molto
diverse rispetto al tetracordo discendente greco: infatti sono formate da scale eptafoniche ascendenti, i
cosiddetti modi gregoriani. Questa è un’ulteriore prova che la pratica greca è esclusa dalla pratica cristiana.
Tuttavia dovevano rivolgersi a qualche esempio e quindi scelgono la musica ebraica dalla quale prendono la
salmodia (pregare salmodiando cioè recitando e intonando) e l’interfunzione melismatica (abitudine di
eseguire dei melismi in alcune sillabe cioè mettere 20 o 30 note per sillaba). I cristiani sono vittime delle
persecuzioni romane e ciò comportò che per i primi 3 secoli essi celebrarono i loro riti nelle catacombe. Da
punto di vista musicale ciò comportò che i canti non dovevano essere così potenti da farsi sentire in quanto
i luoghi erano molto piccoli. Nel 313 d.C. l’imperatore romano Costantino con l’editto di Milano concede ai
cristiani libertà di culto e da questo momento iniziano a costruire le più belle basiliche e i canti devono essere
ad alta voce perché diventa un’arma per attirare i fedeli in Chiesa. Nel 380 c’è l’editto di Teodosio o editto di
Tessalonica con il quale il cristianesimo diventa religione di stato e i culti pagani sono aboliti. Questo è un
guaio perché con le leggi non si può imporre il sentimento religioso e succede che avviene una conversione
di massa ma sotto il paganesimo continua ad essere vivo e venerare i loro dei e per questo il cristianesimo
inventa il sistema dei Santi. Un altro guaio terribile è stato quello successo ad Alessandria in cui convivevano
tanti culti diversi e Teodosio sconvolge tutto e così un gruppo di fanatici cristiani attacca una scuola dove
insegnava Ipazia, una donna straordinaria che era filosofa, astronoma e poeta e probabilmente aveva
scoperto anche che la Terra gira intorno al sole e viene uccisa.
L’ermeneutica è l’arte dell’interpretazione dei testi (il Vecchio testamento era interpretato in modo
allegorico in modo da poter conciliare il Dio degli ebrei e il Dio dei cristiani). Un altro problema risolto è quella
della raffigurazione di Cristo (all’inizio dell’era cristiana non sapevano che aspetto aveva Gesù e hanno
raffigurato Gesù come Apollo dio della bellezza nel III-IV secolo mentre nel V-VI secolo iniziarono le
raffigurazioni della Vergine). Per quanto riguarda la musica, la posizione dei padri della Chiesa è etico-
utilitaristica quindi la musica viene vista come un sostegno per la fede e come piacere per l’animo (Platone
ammetteva che la musica producesse piacere ma solo nell’ethos cioè nell’animo). Gli strumenti musicali più
diffusi in questi secoli sono compromessi con i culti pagani (la Tibia, l’Aulos con il culto di dioniso, il Sistro con
il culto di Iside, la lira con il culto di Apollo) e risolvono questo problema tagliandoli fuori dalla chiesa ma ciò
significò una svalutazione e una marginazione del ruolo di musicista.

SANT’AGOSTINO, uno dei padri della chiesa, parla di musica nel Demusica e nelle confessioni. Egli sostiene
che la musica dev’essere scienza (il vero musicista è chi conosce le regole teoriche della musica, come
Aristotele). Quindi l’Intellettuale è più musicista dell’esecutore servile che ha la carnalità pagana. Egli parla
della musica in maniera contraddittoria:

SEVERINO BOEZIO (V-VI secolo d.C. periodo della caduta dell’impero romano d’Occidente) scrive il de
Istitutione Musica un libro molto influente in cui fa una tripartizione (musica mundana, musica humana e
musica instrumentalis). Tutto ciò che è collegato alla natura (compreso il cosmo) fa parte del concetto di
musica mundana mentre tutto ciò che è legato all’uomo nella natura produce armonia e fa parte del concetto
della musica humana. La musica instrumentalis è la musica prodotta dagli strumenti che si possono udire.
Boezio basa le sue idee teoriche sul concetto di musica in Grecia.

Nel IX secolo si cominciano a classificare i canti della chiesa e inventano gli 8 modi gregoriani (eptafoniche
ascendente). Sono riuniti a coppie (autentico-plagale) che hanno in comune la nota finalis (dalla quale deriva
la nostra “tonica”). La seconda nota più importante oltre la finalis è la repercussio intorno alla quale ruota la
melodia che costituisce il polo opposto della finalis (corrisponde alla nostra “dominante”). Ciascun modo ha
la sua griglia di toni e semitoni.

Alla morte di Teodosio (395 d.C.) l’impero Romano si divide in Occidente e Oriente e il repertorio di canti si
divide sempre di più (anche per le tensioni fra le due chiese che aumentano fino al 1054 il Papa e il patriarca
di Costantinopoli si scomunicano a vicenda e nasce la chiesa ortodossa in Oriente).

In Occidente ci sono scontri e invasioni dei barbari mentre in Oriente innanzitutto la cultura non è omogenea
in quanto ci sono lingue diverse e hanno il problema delle eresie (eresia della gnosi molto pericolosa perché
il bene e il male si equivalgono a differenza del cristianesimo dove il bene trionfa sul male) che minacciavano
il cristianesimo e si prendono provvedimenti tramite i concili (concilio di Nicea 325 d.C. condanna la gnosi).
Papa Gregorio Magno (590-604) arriva in un momento particolarmente difficile ma nonostante ciò
razionalizza il culto e riorganizza la chiesa. In ogni città c’è un canto e un culto. I canti cristiani si modificano
in continuazione in quanto sono tramandati oralmente.

Nel 520 nasce l’ordine benedettino nasce la vita comune del clero e nascono le ore canoniche (appuntamenti
per cantare e pregare) mattutina (2:00 di notte), l’audi (5:00), prima (6-7:00) terza (9:00) sesta (12:00) nona
(15:00) vespri (17:00) e compieta (prima delle 20:00). Salmodia antifonale (salmo a cori alterni poi si stabilisce
l’uso di alternare i salmi con un ritornello poi ancora ci saranno solo all’inizio e alla fine) poi c’è la Salmodia
Responsoriale in cui il canto riceve una risposta (responsorio). Intorno al IV secolo arriva un’altra forma di
canto: gli inni che a differenza dei salmi sono in strofe alle quali è attribuita la stessa melodia (ritmo giambico:
breve-lunga). In funzione precauzionale la chiesa riserva gli inni solo al clero.

La Messa è la forma più complessa del canto cristiano e ha una struttura complessa. Originariamente c’erano
due cerimonie (messa dei catecumeni e messa sacrificale perché nei primi secoli ci volevano due cerimonie
per chi stava imparando e per chi si poteva comunicare) poi si sono fuse nella liturgia della parola e la liturgia
sacrificale alle quali si sono introdotti i riti introduttivi. I canti cambiano il testo a seconda dei periodi liturgici
e sono i canti del proprium missae. Il calendario liturgico si svolge nel proprium de tempore (Natale, Pasqua
e Pentecoste) e proprim de sanctis (Immacolata). I canti del proprium missae (Introito, Graduale, Alleluia o
Tractus in quaresima riservato al solista, Offertorio e Communio). In un secondo momento si forma un gruppo
di canti dell’ordinarium missae che non cambiano mai durante l’anno liturgico (Chirie, Gloria, Credo, Sanctus
Benedictus e Agnus Dei).

Riti introduttivi: Introito che detta il tema della festa e ha carattere antifonale, Chirie è in greco e il Gloria che
originariamente veniva cantato in occasioni solenni poi successivamente verrà cantato sempre.

Liturgia della parola (devono aiutare il fedele a meditare): Graduale con struttura responsoriale, l’Alleluia,
Credo che è entrato a far parte della chiesa solo dopo il 1014 e contiene i principi della fede.

Liturgia sacrificale: Offertorio che ha una struttura antifonale e accompagna le offerte, il Sanctus Benedictus,
Agnus Dei e Communio che accompagna i fedeli per la comunione.

La fine della messa è data dal congedo (benedicamus domino o ite missae est)

Dal momento in cui san Benedetto fonda il monastero di monte cassino e l’ordine benedettini (nel 520) si
istituisce questa nuova realtà: il monastero che diventa un’entità fondamentale per la vita politica ma anche
per la vita culturale che fino al IX secolo (regno di Carlo Magno e istituzione del feudalesimo) hanno il
monopolio per la trasmissione e la produzione di cultura. Soltanto grazie ai monaci amanuensi (cioè che
copiavano i codici antichi) noi abbiamo accesso alle opere degli antichi latini e degli antichi greci. Per quanto
riguarda Aristotele è arrivato fino a noi attraverso la mediazione degli studiosi arabi che stavano in Spagna.

Dalla caduta dell’impero romano d’occidente il canto romano si divide in diversi repertori ma ciò non poteva
essere accettato dai cristiani. Nel VIII secolo al centro dell’Italia ci sono i possedimenti del Papa ma a nord
c’era il regno Longobardo che minacciavano di invadere il regno della Chiesa (con i Papi Zaccaria e Stefano II)
e così il Vaticano chiede aiuto al Basileus (imperatore d’Oriente) che rifiuta la loro richiesta e quindi il Papa si
rivolse ai Franchi che stavano in Gallia governati da Pipino il Breve nel 753. I due sovrani arrivano ad un
accordo: se Pipino avesse difeso il Papa contro i Longobardi egli avrebbe consacrato il suo regno e così
accetta. Ma il Papa si accorse che i canti gallicani della chiesa erano molto diversi da quelli del Vaticano e
quindi da questo momento si cerca di trovare un modo per riunificarli. Ma il canto gregoriano era trasmesso
a memoria quindi, quando in Gallia dove i cantoni ci mettevano 10 anni per imparare il loro repertorio arrivò
la scuola cantorum con il canto romano, ci fu molta tensione tra quelli che volevano imparare e quelli che
non volevano dimenticare il repertorio gallicano. Ci fu un altro scontro tra gli ottoni (nel X secolo) che arrivati
a Roma, ebbero un altro scontro e ci fu un’altra fusione dei repertori.

Primo aspetto della musica nel medioevo è che l’autorialità (qualcuno che esprime sé stesso) non c’è ma è
molto più apprezzato l’aspetto tradizionale di un canto quindi rifiuta l’originalità. Secondo aspetto sono i
canti gregoriani inventati con un principio di montaggio di cellule introduttive, cellule mediane e cellule
conclusive (clausole). Ciascuna di queste cellule non dev’essere inventata e originale ma deve attenersi alla
tradizione di cellule già ascoltate.

Il medioevo è fondamentale perché è “l’infanzia della nostra cultura” (Umberto Eco). La cosa più generale a
proposito della mentalità medievale è che, in particolare l’Alto Medioevo (476-1000), c’è una visione
teocentrica del mondo in cui tutto deriva da Dio il che si differenzia molto dal paganesimo in quanto non si
credeva che tutto dipendesse dagli dei. I padri della chiesa rappresentano per la popolazione le autorità
assolute (in seguito Gregorio Magno diventerà un punto di riferimento anche per la musica). Questa visione
portava una forte ostilità verso l’originale. Dal punto di vista economico-politico il centro di questi 5 secoli è
la corte cioè la fattoria dove si coltiva e si produce tutto quello che si consuma (economia chiusa) con
pochissimi scambi in quanto all’esterno ci sono scontri con i barbari. La traduzione sul piano politico del
teocentrismo è la cosiddetta teocrazia con la quale il Papa diventa superiore all’imperatore. Questa idea
innescò di lunghe ed estenuanti lotte tra papato e impero per la supremazia politica.

Una conseguenza del teocentrismo è il simbolismo in cui ogni aspetto del mondo rimanda alla sfera
soprannaturale (come Platone). Sant’Agostino sostiene che tutto ciò che noi vediamo è segno della presenza
di Dio. Il primo simbolo è la natura vista come un alfabeto che dev’essere interpretato come segno del volere
di Dio. Per il popolo medievale non c’era differenza fra le cose reali e le cose fantastiche e immaginarie.
Ovviamente anche i numeri vengono letti con un valore simbolico: il 3 che era la Trinità, il 4, il 9. Pure in
musica il 3 era fondamentale (non accettavano i ritmi binari). Anche i colori erano interpretati come simboli:
il bianco simbolo di purezza, il grigio di penitenza, il rosso era il colore regale, il giallo il tradimento. E anche
un evento cosmologico come il passaggio di una cometa o un’eclissi.

Poi c’era l’allegorismo è l’applicazione dell’interpretazione simbolica ai libri: come gli uomini del medioevo
interpretavano qualunque fenomeno questo stesso tipo di interpretazione allegorica viene applicata ai testi
con la teoria dei 4 sensi di Dante: letterale, allegorico, morale, anagogico. Letterale si ferma al significato di
ciò che è scritto, allegorico rivela i significati nascosti dalla lettera, morale ha lo scopo di ricavare
insegnamenti e anagogico è un sovrasenso che considera i fatti reali come segno di realtà eterna e spirituale
(la possibilità della salvezza dell’anima). I cristiani interpretano e si appropriano dei testi dei molti intellettuali
greci e latini. Secondo loro infatti gli intellettuali greci e latini avevano già intuito le verità cristiane. Secondo
Sant’Agostino bisogna leggere le opere classiche e apprezzarle perché, nonostante gli autori classici non
conoscano Dio, la divina sapienza e le verità della Chiesa sono contenute in esse e spetta al cristiano riuscire
a trovarle.

Un’altra caratteristica della cultura medievale è l’enciclopedismo cioè la predilezione per una conoscenza
onnicomprensiva del reale. Poiché la cultura medievale è olistica (tutto è collegato a tutto) i settori che noi
abbiamo oggi sono un’unica cosa pertanto tutti si occupano di tutto. Il bestiario diventa enciclopedia perché
gli animali vengono visti anche come simboli delle loro qualità.

Per il cristiano Dio non si identifica con il mondo, anzi il cristianesimo eredita l’idea greca di sdoppiamento
tra il mondo fenomenico e il mondo ideale. Il cristianesimo ortodosso rifiuta il panteismo (Dio in tutto). C’è
un’ostilità verso il mondo che si traduce in ascetismo e misticismo: l’asceta si occupa di negare tutto ciò che
è fisico e disprezza il mondo ritenendolo un ostacolo per la vita mentre i mistici dedicano la loro vita a pregare
e contemplare Dio.

1° fenomeno: unificazione del canto cristiano

2° fenomeno: nascita della polifonia

3° fenomeno: nascita della scrittura

4° fenomeno: fioritura di tropi e sequenze

Questi importantissimi fenomeni avvengono simultaneamente durante il IX secolo in cui regna Carlo Magno
(che si fa incoronare la notte di Natale dell’800 e muore nell’814 ed era figlio di Pipino il Breve che si era
alleato con Papa Stefano II per sconfiggere i Longobardi) nel Sacro Romano Impero (800-843). In questi 43
anni ci fu la pace e tutte le arti riuscirono a fiorire ma da questo momento in poi i rapporti tra il Papa e
l’imperatore si fanno più contrastanti. In questo periodo la civiltà monastica è all’apice del potere attraverso
il quale la chiesa ha il monopolio. Quando la chiesa riesce a unificare il repertorio del canto gregoriano mette
in atto delle iniziative per evitare una sua frantumazione: tende ad irrigidire il repertorio e sacralizza questo
repertorio perché vuole che questi canti cambino o vengano modificati. Per sacralizzarlo inventa un mito (il
repertorio dei canti gregoriani era stato composto da Papa Gregorio sorpreso dietro un telo con una colomba
poggiata sulla spalla che gli dettava all’orecchio i canti cristiani). A partire dal IX secolo si fronteggiano due
forze: la conservazione della Chiesa e la pressione dei fedeli che vogliono l’originalità. Troveranno
successivamente il modo di modificare i canti attraverso delle innovazioni: la sequenza e il tropo.

TROPI E SEQUENZE

La sequenza nasce come espediente mnemonico: c’è sempre il problema della memorizzazione così un
monaco (Notker) del monastero di San Gallo in Svizzera si confronta con un monaco della Francia il quale per
ricordarsi meglio i melismi dell’alleluia mette delle parole all’interno della melodia per ricordarla meglio.
Allora compone dei testi in prosa organizzati in copule (coppie di linee di testo) in cui si ripete due volte la
stessa melodia ogni coppia (il monaco della Svizzera si è inventato il “da capo” che è il primo principio
formale). Da quando inizia la sequenza fino al centro aumentano l’ampiezza intervallare e il numero di sillabe
e dal centro in giù diminuiscono. Il principio della ripetizione aiuta a prevedere il percorso musicale. Il periodo
di maggior splendore della sequenza è il XII secolo con Adamo di San Vittore (sequenza vittorina perché è più
completa dal punto di vista formale e diventa in poesia).

Tropo è un termine greco che significa “farcitura aggiunta”: di solito si comincia aggiungendo un testo alle
sezioni melismatiche dei canti (la sequenza è un tropo). Il tropo in quanto “farcitura aggiunta” è la modalità
tipica della creatività medievale a partire dal IX secolo in quanto la Chiesa aveva proibito di creare canti di
sana pianta. Anche i tropi hanno successo e si formano i primi tropari (libri che raccolgono i tropi) che si
aggiungono ai graduali e agli antifonari. Tutti i canti del proprium e dell’ordinarium sono stati tropati tranne
il credo perché contiene la professione di fede.

Primo tipo di tropo: tropi di adattamento in cui un testo viene adattato alla melodia liturgica preesistente
senza modificare questa melodia. Tuttavia, già il fatto di sovrapporre un testo con le sillabe ad una melodia
che non aveva testo modifica già la melodia.

Secondo tipo di tropo: tropi di sviluppo in cui gli autori non si limitano ad adattare le parole ma si prendono
il diritto di ampliare il nucleo melodico esistente quindi la melodia iniziale diventa solo un punto di
riferimento. A questo tipo di tropo appartengono le sequenze

Terzo tipo di tropo: tropi di interpolazione (Ave Verum di Mozart) si hanno quando il testo liturgico originario
viene prolungato con delle sezioni intercalate per le quali si crea una melodia del tutto nuova. Il problema di
questo tipo di tropo è la congiunzione fra il frammento che c’era prima e quello interpolato.

Quarto tipo di tropo: tropi di inquadramento si hanno quando c’è il passaggio dalla forma di interpolazione
a un’aggiunta all’inizio o alla fine (preludio o postludio) e ciò comporta che il tropo abbia una migliore
definizione e autonomia dal punto di vista testuale e musicale. Troviamo spesso degli avverbi latini e ciò è
dovuto alla necessità dei fedeli di appropriarsi di questi canti. Uno di questi tropi di inquadramento quem
queritis (chi cercate) veniva fatto all’introito della messa di Pasqua. Si tratta di un dialogo tra le celicole (gli
angeli) e le cristicole (le Marie). Da questo dialogo nascerà il teatro quando si stacca e viene rappresentato
autonomamente (animati da persone esterne fuori dalla chiesa). Da questo tropo nascerà anche il dramma
liturgico (Visitatio Sepulchri è il primo dramma liturgico).

Quinto tipo di tropo: tropi di complemento sono i tropi di inquadramento che si staccano dalla melodia
iniziale e sono autonomi. A questo tipo di tropo appartiene una forma polifonica della Scuola di Notre Dame:
il conductus.

Sesto tipo di tropo: i tropi di sostituzione che costituisce l’ultima fase di evoluzione e avviene quando i
tropatori non si limitano più a commentare, aggiungere e intercalare ma si spingono fino a sostituire del tutto
il testo liturgico ufficiale. I versus sono un esempio (fusione alla fine della messa “Benedicamus Domino” con
la risposta “Deos Gratias”.
Poiché sia i tropi sia le sequenze minacciavano i testi sacri, il Concilio di Trento li ha aboliti tutti tranne 5
sequenze.

La depositio crucis è un altro dramma liturgico in cui prendevano un pezzo di croce o di ostia e veniva
sotterrata e c’era l’elevatio crucis nel momento in cui estraevano i pezzi sotterranei. I cristiani infatti
desiderano vedere concretamente. Ci sono due drammi liturgici che sono particolarmente importanti oltre
al visitatio sepultum: il getronis filius perché l’anonimo che l’ha scritto ha dato a ciascun personaggio un suo
motivo musicale, cioè 800 anni prima di Wagner si era inventato il principio del motivo che caratterizza un
certo personaggio. Un altro è il ludus Danielis che racconta la storia del profeta Daniele: ci sono scene e
melodie corali e sono presenti gli strumenti (perciò non era eseguito in chiesa ma in teatro). Il lamento di
Rachele all’interno del dramma liturgico che raccolta la storia di un massacro di innocenti. Il Medioevo sta
cominciando a produrre le strutture musicali che conosceremo in età moderna.

TRA LATINO E VOLGARE

Dal latino derivano una serie di lingue che si definiscono romanze: italiano, francese, spagnolo, portoghese,
romeno e ladino. Accanto al latino classico c’era il latino volgare, meno raffinato e una sintassi più semplice
ed era soggetto ad una serie di variazioni:

variazione diatopica (differenza di lingue tra paesi e regioni divere)

variazione diastratica che avviene in base all’appartenenza socio-culturale di chi parla

variazione diafasica che riguarda i registri espressivi

variazione diacronica che si realizza nel tempo.

La durata e la vastità dell’impero romano sono dovute a dei fattori principali che sono la diffusione della
lingua e del diritto. I romani non obbligavano i popoli sottomessi ad imparare il latino ma erano i popoli stessi
a capire che era più conveniente e così creavano una forza di coesione nell’impero romano. L’insieme dei
territori in cui si parlava latino è detto Romania mentre con Romania perduta indichiamo i territori che hanno
fatto parte dell’impero ma nei quali oggi non si parlano lingue romanze.

Con la caduta dell’impero romano d’Occidente, i territori furono conquistati da altri popoli che parlavano
lingue diverse dal latino, chiamate lingue di superstrato perché molte di queste parole si sovrapposero alla
lingua latina, e ciò spiega il motivo per cui oggi ci troviamo parole di origine germanica o araba. Quando arriva
Carlo Magno, c’è una grande riforma culturale in cui si crea una frattura tra il latino colto e il latino umile.
Carlo e il suo braccio destro si erano accorti che la predicazione dei preti non poteva essere più fatta in latino
perché nell’800 ormai non lo capiva più nessuno e quindi nel concilio di Tours (813) viene deliberata una
norma per la quale le prediche dovevano essere fatte nella lingua volgare romana. Dopo che Carlo muore, il
regno rimane unito fino all’842, dopodiché viene spartito fra i suoi tre figli: a Carlo il Calvo va la Francia, a
Ludovico il Germanico va la parte della Germania e a Lotario va una lunga e stretta lingua di terra dal mare
del Nord al Mediterraneo. I primi due fratelli si incontrano a Strasburgo (con i rispettivi eserciti) per stipulare
un accordo che prevedeva di non collaborare con Lotario a svantaggio dell’altro e pronunciano un giuramento
ma nelle lingue volgari rispettive (francese e tedesco). La forma di organizzazione sociale, politica ed
economica che ci fu dopo il Sacro Romano Impero è il feudalesimo. I feudi, con a capo un feudatario, hanno
al centro un castello e rappresentano un’entità politica autonoma (si tende a produrre e consumare
all’interno), è un centro di difesa e di potere ma anche dei centri dove si consuma e si produce cultura: per
la prima volta le attività culturali che si svolgono all’interno dei castelli segnano l’inizio di un’alternativa
culturale laica per togliere il monopolio alla Chiesa.

Nell’842 nascono ufficialmente queste due lingue. Quando nasce l’italiano non si riesce a stabilire perché
questa è una lingua molto simile al latino. Siamo sicuri sui Placidi Campani, documento che si riferisce a una
causa civile durante la quale vengono interrogate diverse persone tra cui un contadino che ha pronunciato
una frase che, secondo gli studiosi, segna il vero inizio della nascita dell’italiano: “Sao ko kelle terre, per kelle
fini que ki contene, trenta anni le possette parte Sancti Benedicti” che significa “So che quelle terre, entro i
confini di cui si parla, le possedette per trent’anni il monastero di San Benedetto”.

Un’altra prova di documenti scritti in lingue romanze è l’indovinello veronese ritrovato nel 1924 da Lina Calza
(il professore Luigi Schiaparelli si è preso il merito poiché era il professore). Questo documento conteneva
questa frase: “Se pareba boves, alba pratalia araba et albo versorio teneba et negro semen seminaba” cioè
“Spingeva i buoi, arava un bianco prato e teneva un bianco aratro e seminava un nero seme”

Nell’XI secolo a San Clemente troviamo l’italiano usato con finalità artistiche. C’è una basilica con un affresco
sui muri che rappresenta San Clemente che parla con un proprietario di schiavi e aveva ordinato di arrestare
San Clemente ma con un miracolo fa credere agli schiavi di trascinare il suo corpo quando invece trascinavano
una colonna. San Clemente che rappresenta il bene parla il latino mentre l’altro parla in italiano e dice “Traite
traite fili delle pute” che è un insulto rivolto agli schiavi.

In tutta la linea di pensiero dei padri della chiesa emergeva l’esaltazione della teoria piuttosto che della
pratica (come Aristotele) e ciò ha comportato che il gregoriano si è evoluto in maniera spontanea senza
essere guidato da teorie (i problemi della musica non si ponevano, i musicologi si occupavano di altro). Con
l’evoluzione del canto gregoriano ci si doveva occupare dell’aspetto concreto della musica: musica enchiriadis
è un trattato scritto da un anonimo nel IX secolo che esprime con esattezza il rapporto tra la musica e il
linguaggio verbale. Egli dice che la musica funziona come il linguaggio verbale (le lettere dell’alfabeto e le
note sono gli elementi del linguaggio e della musica).

IL PUBBLICO E LE SCUOLE IN ETA’ MEDIEVALE

Finché c’era l’impero romano c’era un sistema d’istruzione di cui si occupavano le autorità politiche ma, dopo
che l’impero cadde, collassò anche il sistema scolastico. Dal 476 d.C. fino al Sacro Romano Impero chi detiene
l’insegnamento e l’istruzione sono i monasteri, in particolare il monachesimo di San Benedetto (all’inizio del
VI secolo). La regola del monachesimo benedettino è “Ora et labora” cioè “prega e lavora. Oltre al lavoro
manuale dell’agricoltura c’era anche la cultura. In particolare i monaci si occupavano di copiare gli antichi
codici (trasmissione del sapere greco e latino). La cultura era affidata al libro manoscritto quindi questi
monaci passavano ore in delle scriptoria. Questi monaci vengono chiamati amanuensi. I libri dell’epoca erano
scritti su pergamena (più economica rispetto alla carta). La caratteristica di questi scriptoria è che spesso
nella copiatura scappavano gli errori che si trasmettevano nel tempo. Del problema degli errori si occupa la
filologia che esiste anche in musica: il filologo risale a ritroso la catena della trasmissione di un testo per
cercare di arrivare alle vere intenzioni dell’autore e corregge gli errori.

Il IX secolo è un secolo di svolta della cultura. Carlo Magno aveva capito che la cultura è la cosa più importante
di un regno. Era aiutato dal suo consigliere, Alcuino di York che organizza questa rinascita durante il regno di
Carlo Magno. Egli promuove una riforma del sistema scolastico: fino al primo decennio dell’800 il monopolio
dell’istruzione era stato della chiesa mentre successivamente nasce la scuola paladina con l’autorità politica
come responsabile che promuove, quindi, una cultura laica. La cultura del clericus (chierio) era divisa in
chierici secolari (che stavano nel seculum quindi il mondo) e i chierici regolari (i monaci che stavano all’interno
della comunità: il monastero). Poi c’erano altri chierici che prendevano gli ordini minori: come gli altri chierici
ricevono la tosatura della testa ma non erano né preti né monaci ma “impiegati della chiesa” che ricevevano
un mantenimento e si potevano dedicare allo studio e alla creatività. Infatti i principali compositori fino al
Rinascimento erano uomini di chiesa. I libri di riferimento erano la Bibbia Vulgata (traduzione della Bibbia di
San Girolamo), le auctoritates dei padri della Chiesa (Ambrogio, Agostino, Girolamo ecc.) ma lo studio
principale era rivolto ai classici latini. Dopo il XII secolo nascono gli intellettuali laici.
Il cardine dell’istruzione era la predicazione che dal IX secolo in poi è fatta in volgare ma in realtà non c’era
solo la predicazione verbale ma l’acculturazione era anche la capacità di riconoscere ciò che si
rappresentavano negli affreschi della chiesa. A partire dal XII secolo gli intellettuali laici cominceranno a
prediligere i testi in volgare, infatti avremo la nascita della prima Letteratura in volgare (lingua d’Oc).

Fino alla caduta dell’Impero d’Occidente tutti conoscevano il greco ma dopo quell’evento cade nell’oblio e
non viene studiato più da nessuno. Ma grazie agli arabi noi oggi abbiamo testimonianza della filosofia antica.
Dall’inizio dell’VIII secolo gli arabi si insidiano in Spagna dove gli intellettuali traducono le opere portate dalla
Grecia e le mettono a disposizione traducendole anche in latino. Un elemento fondamentale della rinascita
del XII secolo è lo sviluppo delle città e all’interno delle città la nascita dell’Università che nacque a Bologna.
All’inizio di questo secolo le arti liberali sono divise in trivio (grammatica, retorica e dialetto) e quadrivio
(aritmetica, geometria, astronomia-astrologia e musica). La figura del maestro universitario è importante
perché queste persone si spostano da un’università all’altra insieme agli studenti e questi spostamenti
contribuiscono alla circolazione e alla diffusione della cultura. Tutto questo produce una maggiore richiesta
di libri e una conseguenza di questo momento è la qualità dei libri che si abbassa molto dato che ne servivano
tantissimi e si copiava più velocemente. Nel XIII secolo viene introdotta la carta al posto della pergamena. La
filosofia scolastica nasce nel 1200 per mano di Tommaso d’Aquino che scrive la Summa theologiae dove
identifica la teologia con la filosofia con l’obbiettivo di dare una spiegazione filosofica alla fede.

GLI INIZI DELLA POLIFONIA- IL CONTRAPPUNTO MEDIOEVALE- COMPOSITORI E


TEORICI
Anche la polifonia nasce dal principio del tropo perché la prima forma polifonica, l’organum, è un tipo di
tropo. L’organum è una sovrapposizione o una sottoposizione alla voce originale chiamata vox principalis di
una seconda voce chiamata vox organalis che segue la melodia nota contro nota e per moto parallelo a
intervalli consonanti cioè, secondo il concetto greco di consonanze, 4°, 5° o 8°.

IX secolo: gli inizi della polifonia

Seconda metà del XII-XIII, Ars Antiqua

XIV secolo, Ars Nova

XV secolo, età fiamminga

1500, polifonia rinascimentale.

ARS ANTIQUA

La prima forma di organum è al diapente perché le due voci procedono a intervalli di 5°. Poi ci può essere
l’organum alla diatessaron perché le due voci procedono a intervalli di 4°. Un’altra opzione poteva essere che
le due voci partivano e finivano all’unisono e al centro procedevano a intervalli consonanti. Alla fine dell’XI
secolo si afferma il discanto in cui, per la prima volta, la vox principalis passa al grave e da questo momento
la chiameremo cantus firmus. Nel discanto le voci si muovono per moto contrario e ciò indica un bel progresso
perché indica un’esigenza di bellezza e interesse per la musica. Passo successivo fu la comparsa dell’organum
melismatico in cui il cantus firmus procede per valori larghi e la vox organalis procede in modo molto
elaborato. Si arriva al 1160 in cui nasce la Scuola di Notre-Dame, fondamentale perché è la prima scuola
polifonica e ci sono i primi due compositori di tutta la storia: Magister Leonino che scrive un Magnus Liber
Organi in cui riunisce le sue composizioni (che sono organa a due voci) e Magister Perotino che prende
aggiunge una terza e una quarta voce agli organa di leonino. Si diffonde così l’organum a quattro voci (tenor
perché tiene il canto gregoriano, duplum, triplum e quadruplum). Compongono anche Conducti a tre voci
che differisce dal fatto che il tenor è inventato e ha un andamento omoritmico. Importante anche la clausola
(cellula finale del canto gregoriano) a due voci che utilizza come vox principalis un segmento di melodia e il
mottetto a tre voci che se è cantato in latino è sacro ma se è cantato in lingua d’oil è profano.

Il mottetto nasce intorno alla metà nel 1200 nella scuola di Notre-Dame che deriva dalla clausola (costruita
su un frammento melismatico): il tenor deriva da repertorio gregoriano (caratteristica invariata fino al 1500)
è a tre voci (triplum, duplum e tenor ognuno con valori più veloci dell’altro), ogni voce canta testi diversi (è
politestuale) ma hanno un rapporto di complementarità (rappresentano le due alternative possibili di fronte
ad una certa situazione). Il mottetto è una delle forme che avrà più modificazioni nelle varie scuole. Gli
esponenti della seconda generazione della scuola di Notre-Dame Petrus De Cruce, Adam Du La Halle e
Francone Da Colonia essi rafforzano le conquiste dei pionieri della prima generazione dell’Ars Antiqua. Nel
1300 le voci diventano 4 (tenor, contratenor, duplum e triplum) continua ad essere politestuale. Mentre il
mottetto nel 1200 ha carattere o sacro o profano il mottetto del 1300 è prevalentemente politico non deve
necessariamente far parte del repertorio liturgico. (ricostruite la storia del mottetto, domanda d’esame)

LA SCRITTURA MUSICALE MEDIOEVALE


L’intero repertorio del canto gregoriano veniva trasmesso oralmente e come conseguenza veniva
continuamente alterato e la figura del compositore e dell’esecutore coincidono. Quando nasce la polifonia,
questi canti diventano sempre più complicati e quindi nasce una forma di scrittura: la notazione. La scrittura
è di due tipi: esecutiva e strutturale. All’inizio è esecutiva perché i monaci mettevano per iscritto una prassi
musicale. Quando la scrittura diventerà più precisa, il rapporto tra prassi e scrittura si rovescia: è la prassi che
fa riferimento alla scrittura e non più il contrario.

Ci sono 4 fasi della notazione neumatica (i neumi sono i segni che indicano le note): chironomica,
adiastematica, diastematica, quadrata.

La notazione chironomica (dal greco “mano”) consiste in due segni che sono posti sopra le sillabe perché
riproducevano i movimenti del direttore. Questo tipo di scrittura era riservata ai cantori che già conoscevano
la melodia.

La notazione adiastematica è una notazione in cui non è possibile fissare l’altezza delle note. In questo tipo
di scrittura le note sono dette “in campo aperto”. Qua si usano i quarti di tono che poi spariranno con la
diastemazia (alle lettere dell’alfabeto corrispondono i semitoni)

I neumi principali di questa notazione sono: 2 di una nota (virga e punctum che deriva da breve-lunga), 2
neumi da 2 note (pes “do-re” e clivis “do-si”), 4 melismi da 3 note (scandicus “do-re-mi”, climacus “mi-re-
do”, torculus “do-re-do” e porrectus “do-si-do”). Ogni monastero sviluppa i suoi neumi che differiscono dai
neumi di altri monasteri.

Ad un certo punto si sentiva la necessità di annotare le note, in particolare i due semitoni (“mi-fa” e “si-do”
nella linea rossa ci sta il fa mentre nella linea gialla sta il do) e si annotano questi semitoni tracciando una
linea. In seguito con Guido d’Arezzo nasce il tetragramma e la diastemazia perfetta con la quale si possono
rappresentare le altezze. Successivamente i neumi assumono un’altra forma e nasce la notazione quadratica.
Quando nasce la diastemazia nascono anche le chiavi che sono 3: do, sol e fa.

Dopo la notazione quadrata (fine XI secolo), i compositori utilizzano un altro tipo di notazione: la notazione
modale che si basava sul metro della poesia greca (i piedi greci) e ce n’è di 6 tipi; trocaico, giambico, dattilico,
anapestico, spondaico, tribrachico (3 brevi). La Scuola di Notre-Dame utilizza la notazione modale. Nel 1260
con il trattato “Ars cantus mensurabilis” di Francone La Colonia nasce la notazione mensurale che comprende
4 tipi di durate. Maxima o Duplex longa, longa (perfecta misurata in 3 brevis, imperfecta misurata in 2 brevis),
brevis (perfecta o imperfecta a seconda della divisione in 3 semibrevis o in 2 semibrevis) e semibrevis. Il
concetto di suddivisione ternaria era considerato perfetto perché il 3 richiamava la Trinità ed era considerato
puro.
Asemanticità (mancanza di capacità referenziale) serve per indicare ciò che sta al di fuori dei suoni, come i
quarti di tono.

Un altro teorico importante è Anonimo IV che è un inglese, teorizza le notizie sulla Scuola di Notre-Dame fa
quest’affermazione: esaminando la produzione dei due maestri (Perotino e Leonino), la musica è suono e
segno (esecuzione e partitura). La partitura è ciò che garantisce la durata di una composizione nel tempo.

La composizione tende a sostituire l’improvvisazione. Nel caso della trasmissione orale era soggetta ad
alterazioni. La polifonia sostituisce la monodia (che non viene abbandonata del tutto infatti le sequenze
vengono ancora realizzate) e la musica è scritta seguendo alcune regole strutturali.

NOTAZIONE ITALIANA DEL 1300

Dalla brevis si può avere una “divisio prima” con una binaria (2 semibreves) e una ternaria (3 semibreves)

“Divisio secunda” dà la quaternaria (4 minime), senaria imperfecta (6 minime divise in 2 gruppi), senaria
perfecta (6 minime divise in 3 gruppi), novenaria (9 minime divise in 3 gruppi).

“Divisio tertia” dà la octonaria (4 minime dà 8 semiminime) e la duodenaria (3 gruppi da 4 semiminime).

GUIDO D’AREZZO E IL SISTEMA MUSICALE MEDIOEVALE- LA SOLMISAZIONE


Guido d’Arezzo è il più illustre teorico musicale del Medioevo in quanto ha dato il nome alle note, infatti di
solito si indicavano con le lettere o con i neumi. Ancora prevale l’impostazione dei Padri della chiesa secondo
cui c’è una speculazione privilegiata che riguarda le regole della musica, l’idea e l’astrazione ma quasi nessuno
si occupa dell’aspetto pratico della musica (almeno fino al primo millennio). Contemporaneamente a
quest’dea però, la musica diventa più complessa e nessuno si pone il problema nell’aspetto pratico. Guido
d’Arezzo è il primo teorico che va contro la mentalità medievale e unisce l’aspetto teorico e pratico della
musica. Opera nell’XI secolo e la notazione non è ancora matura per essere messa su carta. Scrive tre opere:
Il Micrologus de Musica, il Prologus in Antifonarium (con la raccolta dei canti sacri nella nuova notazione
quadrata su tetragramma), le Regule ritmice e l’Epistola ad Michelem monacum de ignoto cantu dove fa delle
affermazioni importanti sulla nuova denominazione delle note.

Egli affronta il problema della memoria (utilizzavano il monocordo per imparare) per via della trasmissione
orale. Prende un canto conosciuto da tutti: l’inno a San Giovanni (patrono dei cantori) che conta 6 emistichi.
La prima sillaba e le prime note di ciascun emistichio formano un esacordo con caratteristica di un semitono
al centro (mi-fa). Questo esacordo è valido per ogni altezza. Per utilizzare l’esacordo bisognava riconoscere
tra quali note c’era il semitono e chiamarlo “mi-fa” e a quel punto associavano i nomi al resto delle note. Ma
se il canto eccede nell’altezza dell’esacordo si applica nuovamente il principio di individuare i semitoni e si
ottiene un nuovo esacordo che si può spostare da un segmento all’altro ma sempre con l’obiettivo di
chiamare i semitoni “mi-fa”. Ciò comporta un sistema completo che prevede l’esistenza di 3 tipi di esacordo:
naturale (mi-fa), molle (la-sib) e duro (si-do) che esaudiscono tutte le possibili successioni melodiche presenti
nel repertorio gregoriano. Così una singola nota può avere tanti nomi. Poiché questo sistema è complicato, i
discepoli di Guido si sono inventati il sistema della mano guidoniana: mettevano tanti punti nella mano dove
indicavano se c’erano uno, 2 o 3 esacordi.

A partire dal XII secolo i compositori iniziano a scrivere applicando altri semitoni (cromatismo) e così i teorici
vogliono applicare a questi nuovi suoni altri esacordi per cercare di classificare i nuovi semitoni. Questa
musica è chiamata musica ficta o falsa poiché tale sistema non era stato realizzato da Guido. Ma è importante
l’utilizzo dei semitoni per la nascita della tonalità.

TROVATORI E TROVIERI
La Francia è divisa in due: a nord si parla la lingua d’Oil (che si è evoluta nel francese) e a sud si parlava la
lingua d’Oc oggi estinta. I trovatori improvvisavano delle melodie che accompagnavano le poesie (oggi
abbiamo molte più poesie che le melodie). Abbiamo alcune informazioni sulle biografie dei musicisti: il primo
trovatore è Guglielmo IX d’Aquitania che scriveva poesie che parlano dell’”amor cortese” su cui sono state
fatte delle ipotesi sul significato: potrebbe derivare da una ripresa del culto della Vergine voluto dalla chiesa,
potrebbe derivare anche dalla poesia araba che in questo periodo stanno in Spagna (al confine con la Francia
e quindi con molta influenza) oppure dentro il suo significato potrebbe nascondersi l’eresia catara che
esplode nella Francia del sud. Il tipo di poesia dei trovatori è come scritta in codice perché in tutte le poesie
prendono le stesse idee e immagini convenzionali per alludere a qualcosa di nascosto poiché la loro religione
era proibita.

Proprio perché diventa un cuore pulsante di novità la lingua provenzale si diffonde in tutta Europa. L’amore
di cui parlano queste poesie è sempre un amore infelice (la dama rifiuta l’amore dell’uomo), tale amore è il
topos, cioè un’immagine convenzionale condiviso da tanti poeti. Un altro tema è l’amore adulterino che
comporta che nella poesia trovatorica ci sia una sorta di contrapposizione tra amor (eros libero, intenso) e
agape (nella tradizione cristiana è l’amore cristiano del matrimonio). L’amor è codificato da leggi d’amore
secondo cui i due amanti sono legati da un patto. Si tratta anche di un amore casto (non prevede e non
ambisce l’unione dei corpi anzi è un amore trascendente): il cavaliere e la sua dama possono stipulare il
cosiddetto Domnei (vassallaggio amoroso) quindi se la dama accettava l’omaggio del poeta gli regalava un
anello d’oro e un bacio sopra la fronte e saranno legati dalle leggi della cortesia (segreto, pazienza e misura)
Questo gusto di mettere la donna su un piedistallo (al di sopra dell’uomo) è un mistero poiché come
sappiamo la donna non aveva gli stessi diritti dell’uomo e di conseguenza crediamo che ci sia lo scambio di
una retorica erotica con una retorica religiosa (dietro la donna c’è la fede catara).

La fede catara è un’eresia di stampo dualistico in cui si crede che il bene e il male si combattono
accanitamente nel mondo con la stessa forza. Nel cristianesimo ortodosso il mondo è il bene perché è stato
creato da Dio mentre per i catari il mondo era creato dal Diavolo poiché c’era tanto male. Questo è dovuto
alla teodicea in cui una persona giustifica l’idea di Dio davanti al male. I catari credono che l’anima stava in
unione con Dio per poi essere strappati dal diavolo e gettati dal mondo di conseguenza la nascita è un’agonia
e una sofferenza. Essi negano anche che Gesù fosse un Dio e rifiutano il sacramento della messa e
l’eucarestia. Al posto della messa c’era una cena con il consolamentum preceduto e seguito da 40 giorni di
digiuno (a volte morivano e la chiamavano “endura catara”). Rifiutavano l’usura e non accettavano di andare
in guerra, rifiutavano la proprietà privata (quando diventavano perfetti vivevano di elemosina). Non
mangiavano carne e rifiutavano la congiunzione carnale perché si producono altri individui. Niente matrimoni
e menzogne. Il catarismo quindi metteva la donna alla pari dell’uomo (perché sono entrambi prigionieri).

I catari preoccupano molto i governanti di queste regioni perché alcuni cristiani ammiravano il
comportamento dei catari che dovrebbe essere quello degli ecclesiastici. Così la chiesa decide di combattere
quest’eresia. Viene istituito l’ordine dei Domenicani con il tribunale dell’inquisizione che li prende e li tortura
ma mai hanno parlato perché la religione catara era legata al silenzio. Negli anni successivi, papa Gregorio IX
conduce contro di loro una crociata in cui c’è stato uno sterminio sia nei cristiani che nei catari. Presi dalla
disperazione decidono di uccidere tutti (catari e cristiani) con la consapevolezza che Dio avrebbe premiato
chi era cristiano.

C’è un secondo scambio fra le forme della musica sacra e le forme inventate dai trovatori. La più diffusa era
la canzo che deriva dall’inno (strofica significa che a ogni strofa è attribuita la stessa melodia). Poi c’è il sir
ventoi in cui si toccano argomenti politici, il plan che è un compianto funebre. Ductia ed estampida sono due
forme di danza. La pastoré (incontro fra un cavaliere e una pastorella) e l’aube (l’alba quando gli amanti si
separano) e diventa un topos. Questi amanti muoiono sempre perché la morte è vista come un bene.
Abbiamo strofe di diverso tipo: coblas unissonas (tutte strofe che hanno la stessa linea), coblas doblas (AA-
BB ecc), coblas alternadas (ABAB-CDCD), coblas capcaudadas (testa e coda di due strofe rimano). Gli
esponenti maggiori Jaoffre Rudel, Marcabrue e Bernard de Ventadorn. I trovatori non dovevano per forza
essere nobili e ci troviamo anche 7 donne). Nella seconda metà del XII secolo si creano due correnti poetiche:
trobar riche (Reinbu d’Orange e Arnou Daniel) che sperimenta forme poetiche sofisticate e nasce la forma
più complessa (sestina lirica), trobar cluss caratterizzato da uno stile poetico più ermetico cioè meno chiaro
(Pierre De Vernie, Bernard Martin, Guiraut de Borneille). Le melodie delle poesie sono molto libere (non
appartenenti ai modi gregoriani), sono improvvisate e la notazione usata non è mensurale (sono neumi
quadrati) per cui abbiamo il problema per la decifrazione dell’aspetto ritmico.

Dai trovatori ai trovieri ci si arriva per via matrimoniale: Eleonora (nipote di Guglielmo IX d’Aquitania) venne
data in sposa al re di Francia e parte per il nord della Francia portandosi la sua corte e tra questi c’era Bernard
de Ventadorn che portò temi, melodie e forme poetiche. Eleonora ebbe due figlie (Marie e Alice) che vengono
date in sposa a due grandi feudatari e impiantano due corti splendide ed entrambe erano influenzate dalla
cultura provenzale (Marie era poetessa). Eleonora divorzia dal re di Francia e sposa il re d’Inghilterra con il
quale ha un figlio, Riccardo cuor di Leone che sarà il primo troviere. Nel nord della Francia, i temi cortesi si
intrecciano con la filitura di una specifica scuola che chiamiamo “La Materia della Britannia” che
comprendono diversi cicli (Artù, Tristano e Isotta, parsifal e altri miti britannici). Il più illustre di questi trovieri
è Cretienne de Troi (autore di perseval le galloi che ispirerà il parsifal di Wagner). Nel nord della Francia c’è
la traduzione della lingua d’oil (la canzo diventa chanson).

Nel 1156 Beatrice di Borgogna va in sposa a Federico Barbarossa re di Germania e anche lei si porta dietro la
sua corte che comprende il troviere Guillaume de Provence con tutta la sua cultura che verrà integrata in
Germania e fiorisce la cultura dei Minnesanger (la minne è l’amor cortese e sanger significa cantori). I
minnesanger si riconoscono nella cultura poetico-musicale dei trovatori e dei trovieri. Fino al 1200 la
dipendenza dai modelli francesi è totale ma poi c’è una seconda generazione di compositori che scrivono in
modo più personale. Le forme dei minnesanger: dalla canzo e dalla chansò avremo il lied, dall’Aube abbiamo
il tagedied (canto del giorno), da una forma con la stessa struttura della sequenza deriva il leich, dal sir-ventoi
abbiamo lo spruch. I minnesanger usano la forma bar cioè una struttura fatta dalla ripetizione di due stollen
(piedi a coppie diverse) più un abgesanger (un commiato). La forma bar può essere ABAB CDE ma spesso la
parte finale fa rimane l’ultimo verso con il primo. Gli argomenti sono gli stessi dei francesi ma con il passare
del tempo vennero trattati due nuovi argomenti: l’esaltazione della natura che diventerà uno dei temi favoriti
dai tedeschi e l’altro comprende i temi religiosi. Tra i minnesanger della 2 generazione Friederich Won
Husern, Hartman Von Aue, nella zona di Bolsano Walter Vor Vogelbeide e poi c’è Wolfram Von Eschenbach.
Goffredo di Strasburgo fa una sua versione in antico tedesco del mito di Tristano.

Alcuni territori dov’era fiorita la cultura cortese si erano diffuse negli stati sotto la corona di Aragona. Le corti
di Catalogna, Castiglia e Aragona hanno accolto molti trovatori che scappavano dalle persecuzioni e anche in
Spagna e Portogallo fiorisce la cultura provenzale. In particolare nella corte di Castiglia con Alfonso X è stata
promossa una raccolta, Le Cantigas de Santa Maria e sono circa 400 composizioni sacre e profane.

In Italia non abbiamo nel XII secolo niente riguardo l’ars antiqua francese ma abbiamo la lauda che è una
forma poetico musicale autoctona monodica che nasce nel XIII secolo. Sono delle canzoni di tipo devoto extra
liturgiche cantate da pellegrini che si raccoglievano in confraternite chiamate “disciplinati” e percorrevano a
piedi nell’Italia centrale. La lauda rappresenta una delle primissime forme autoctone d’Italia e avrà un lungo
sviluppo (nel XII secolo è monodica), sono state raccolte nei laudari in particolare il laudario di Cortona che
raggruppa 46 canti in notazione quadrata su tetragramma. Un componimento famoso che segna l’inizio della
letteratura italiana è il Cantico delle Creature (concepito come lauda). Abbastanza evidente è l’influenza della
forma della Salmodia responsoriale (solista-coro). Le melodie sono semplici, si muovono per gradi congiunti
con qualche breve melisma. Decifrare il ritmo è molto complicato per via della notazione quadrata.
Nel XIII secolo in Francia sono più avanzati dal punto di vista musicale perché cominciavano a vedersi 3 forme
musicali che hanno una provenienza popolare: la ballade, il rondeau e il virelai (sono chansò a refren con il
ritornello). Queste saranno le forme del repertorio profano fino alla fine del 1300.

Il rondeau è una strofa di 6-8 versi con l’intonazione di due frasi musicali.

Il virelai è una canzone da ballo forse di origine araba e ha una struttura analoga alla ballada italiana: sono 3
o 4 strofe e ha il ritornello GUARDARE DISPENSA A-b-b-a-A (refren, primo couple, secondo couple, volta
uguale al numero di versi del ritornello e infine il refren).

La ballada è formata da 3 o 5 strofe di 7-8 versi di cui gli ultimi 2 o l’ultimo sono costituiti dal ritornello uguale
per tutte le strofe (schema analogo alla cansò trovadorica e della forma bar dei minnesanger).

SEDERUNT PRINCIPES, organum quadruplum di Perotino (1 generazione dell’ars antiqua). Si tratta di un


organum a quattro voci basato sulla melodia liturgica del Graduale della messa di Santo Stefano. Le prime 7
note dell’Incipit (a valori lunghi) sono utilizzate come tenor (che tiene il cantus firmus) nella prima sezione
dell’Organum. La composizione è articolata in 5 sezioni dove si alternano il canto monodico della melodia
liturgica e 2 sezioni in organum a 4 voci di cui la seconda sfocia in una clausola.

1° sezione in organum la melodia liturgica viene trattata a valori molto lunghi non misurati, sezione monodica
in cui si canta solo la melodia liturgica a velocità normale, nella 2° sezione in organum c’è una melodia
liturgica come tenor a valori lunghi (ma qua si entra nella clausola cioè una sezione melismatica di un canto
gregoriano collocata alla fine dove la melodia liturgica come tenor è trattata a valori rapidi e in stile di
discanto) e infine un canto monodico con la melodia liturgica in velocità normale. Ancora all’epoca si alterna
la monodia con l’organum.

Nella 1° sezione di organum il duplum, il triplum e il quadruplum sono scritti in notazione modale
(combinazione di brevi e lunghe secondo i piedi). Nella 2° sezione il tenor procede a valori larghi ma nella
clausola procede in stile di discanto (dove le voci si muovono per moto contrario).

ARS NOVA FRANCESE (1320 circa)

Gli anni a cavallo del 1000 segnano una svolta: compositori e teorici sono molto impegnati a definire le regole
della musica che fino a quel momento era stato un ornamento per la chiesa. Inizia la musica enchiriadis nel
IX secolo ripreso da Guido d’Arezzo che è il teorico più importante del Medioevo (dà il nome alle note con la
solmisazione) che aveva reso possibile eseguire un brano senza il maestro che ti guidasse. Guido d’Arezzo nel
suo “Micrologo de Musica” riprende il discorso di musica enchiriadis (la musica funziona come linguaggio
verbale) e dice di dover approfondire l’analogia musical-linguaggio: “mi sono accorto che come nella poesia
ci sono i pedes che formano i versus così in musica i neumae devono formare delle distinctiones (frasi
musicali)” e con questa frase, per la prima volta viene teorizzata la necessità di avere una forma musicale
autonoma dal testo (trova questa forma nelle poesie cioè nel linguaggio scritto). Il gregoriano si era evoluto
spontaneamente quindi non c’era l’idea della necessità di regole. Questo è il momento in cui si cerca di dotare
la musica di una sua retorica dal punto di vista sintattico (di strutturazione) ma anche dal punto di vista
dell’ornato (bellezza) che al tempo di Demostene si faceva con le colores (figure) retoriche (l’anafora come
ripetizione sarà usatissima in musica).

Fino a tutto il 1200 rimaniamo nell’ambito della cultura teocentrica (tutto gira intorno a Dio) e la cultura è in
mano alla chiesa: addirittura ci sono alcuni Papi che contendono il potere politico con gli imperatori
(numerose furono le lotte tra il Papato e l’Impero). Durante il 1200 abbiamo alcune opere di altissimo livello
che culminano la cultura teocentrica (summa teologiae di Tommaso d’Aquino con la quale identifica fede e
filosofia, non esiste una sfera autonoma del sapere autonoma dalla fede e un’altra opera è la Divina
Commedia all’inizio del 1300). Nel 1300 cambia l’atmosfera perché avviene una laicizzazione: separazione
dal potere spirituale del Papa e il potere dell’imperatore. Ci sono una serie di accadimenti fondamentali in
questo secolo: si formano gli stati nazionali (Francia e Inghilterra), la guerra dei cent’anni (1339-1453) durata
tre generazioni tra Francia e Inghilterra (alla fine della quale la Francia sarà uno stato autonomo) e poi la
cattività avignonese (1309-1377) cioè il trasferimento del Papa da Roma ad Avignone (famosa per la sua
corruzione) per via della pericolosità di Roma per le rivolte. Successivamente vari fattori come la predicazione
di santa Chiara fanno sì che il Papa torni a Roma. Un altro grande avvenimento fu la formazione della
borghesia cittadina fondata sul commercio (non più economie chiuse come quelle del feudalesimo): potere
che si è spostato dalla campagna alla città tra la cattedrale e le università. Bernardo di Chartre teorizza il
progresso con la frase “noi moderni del 1300 siamo come nani seduti sulle spalle dei giganti” ed è una
formulazione geniale perché nessuno metteva in discussione gli autori come Virgilio, Platone, Aristotele
(considerati i giganti). Guglielmo di Occam fa un ragionamento filosofico (il rasoio di Occam): “a parità di
informazioni conosciute per spiegare un certo fenomeno si deve scegliere la spiegazione più semplice” cioè
dice che non è necessario dare una spiegazione divina e tale ragionamento taglia l’enorme costruzione di
dogmi su cui si era retta la cultura medievale (ecco perché è chiamato “rasoio”). Nella letteratura prevale
l’ispirazione profana (il decameron di Boccaccio…) e anche nella pittura c’è una svolta per la quale si passa
dalla pittura astratta di Cimabue alle figure umane di Giotto. Tutto questo panorama di laicizzazione rende
possibili le grandi innovazioni che avvengono in musica.

La novità dell’Ars Nova sarà l’istituzionalizzazione del tempo binario rispetto a quello ternario. Il primo
grande esponente dell’ars Nova Philippe de Vitry che pubblica due trattati “ars nova” in cui compara Ars
Antiqua e l’Ars Nova perché vuole dare il risalto alle scoperte sue e di altri contemporanei (allo stesso
modo per conciliare i due testamenti) e ha ideato un nuovo ideale per misurare il tempo. Il tempus è il
rapporto tra brevis e semibrevis e la prolatio è il rapporto tra semibrevis e minima (che nella notazione di
Francone la Colonia non c’era): dispensa pag 141 La reazione della chiesa a questa nuova riforma non è buona
e nel 1325 arriva una bolla violentissima del Papa Giovanni XXII che si chiama docta sanctorum con la quale
attacca i maestri francesi dicendo che cercano di realizzare nuovi canti e nuove suddivisioni (le minime) e
disprezzano i principi fondamentali dell’antifonario e del graduale: con questa musica sempre più complicata
non si capiscono più le parole. La gente del 1300 non capiva più il latino ma capiva la musica considerata
bella. La musica è seduttiva ma non cura l’animo (come dice sant’Agostino) e imitano con gesti ciò che
suonano così che venga mostrata la rilassatezza che doveva essere evitata. Vitry era un uomo politico che ha
a che fare anche con i grandi re e nelle sue mani (e contemporanei) la musica comincia a diventare il veicolo
per l’espressione di idee personali (figura moderna dell’autore che esprime sé stesso in musica). Sia il
conductus che il mottetto diventano un veicolo per prendere una posizione politica (si utilizzava per
diffondere le proprie idee politiche). Il 1300 è un periodo movimentato in cui la chiesa d’Avignone viene
criticata anche da molti esponenti della chiesa stessa: il romon de Fauvel è un romanzo satirico scritto in versi
in cui un asino va a predicare con un vestito di un vescovo: Fauvel è l’acronimo dei sei vizi della chiesa
(adulazione, avarizia, villania, incostanza, invidia, vigliaccheria). La narrazione si interrompe in mezzo e sono
notati dei brani musicali scritti da Virtry con la tecnica della musica di Guido D’Arezzo. Vitry si scriveva i testi
da solo e lo conosceva anche Petrarca chiamandolo il più grande poeta francese. Addirittura (per la prima
volta) firma il suo mottetto e non era mai successo prima: in questo momento nasce l’Autore. Vitry non è
estraneo alla costruzione delle regole della musica e infatti anche lui applica la novità di questo periodo:
l’isoritmia che è una tecnica compositiva che consiste nello strutturare un brano musicale su un doppio
ordine di ripetizioni sia ritmiche sia melodiche: la ripetizione di frasi melodiche si chiama color mentre la
ripetizione di cellule ritmiche si chiama talea (viene da taille che in antico francese significa “strofa”). La
ripetizione è l’architrave della forma musicale.

Nel garrit gallus ci sono 36 note che fanno il color ed è divisa in 3 ognuno con lo stesso schema ritmico (talea)

Il più importante musicista del 1300 è Guillaume De Machaut famoso come poeta e come compositore. Con
lui non avremo il problema di avere materiali e codici in cattive condizioni perché curava personalmente le
raccolte delle sue composizioni per i grandi aristocratici (tale problema con altri musicisti lo avremo). Egli era
segretario di Giovanni di Lussemburgo di Boemia che partecipa alla battaglia di Cresi nel 1346 e muore (sono
state impiegate per la prima volta le armi da fuoco). Allora Guillaume entra nelle protezioni del re di Navarra
che litiga con la Francia e pertanto inizia a frequentare la corte di Carlo duca di Normandia: tutta la sua vita
è agiata a contatto con re e duchi anche se alla fine della vita prenderà i voti. Nei manoscritti ci sono tutti i
generi delle sue poesie in ordine (mottetto, messa, le 3 forme di musica profana dei trovieri). La messa di
Machaut si chiama Messa di Notre-Dame nel 1360 è la prima messa interamente polifonica dovuta a un solo
compositore. La messa di Tournai è anch’essa interamente polifonica ma ci hanno lavorato diversi
compositori. La raccolta di Louanges des Dames (lodi delle dame) con 274 brani poetici, 19 di questi hanno
un’intonazione musicale; poi ci sono 2 opere poetiche che sono la Remede de Fortune di carattere didattico
in versi sull’amore e sulla fortuna (incontro del poeta con una dama che accetta il suo omaggio musicale e la
invita prima nella sua residenza e poi ad una compagnia ma rifiuta il suo amore perché non vuole pettegolezzi
sul loro legame e dopo che si ritira dalla dame compone con poema) e il Boirdit nasce da un amore per una
ragazza molto più giovane Peronel D’Armantie (nel prologo dice che bisogna ricordarsi dei versi cancerini o
retogradi) in queste raccolte c’è un rondo Ma fin est mon comensemont. Machaut per primo cita nella sua
composizione cita un estratto delle composizioni di autori diversi (per la prima volta nella storia il musicista
si rende conto che c’è stato qualcuno prima di lui a cui fare riferimento).

La ballada è una composizione strofica

ARS NOVA IN ITALIA


In Italia (soprattutto a nord) rileviamo una grande influenza della cultura francese, in particolare erano
ammirati i romanzi epici (romanzi cortesi dei trovatori e trovieri) e quindi si frequenta la letteratura francese
tanto da trovarci in un bilinguismo: le persone di cultura parlano l’italiano e il francese (cultura franco-
lombarda e franco-veneta). Di questo bilinguismo si lamenta Dante che non accetta questa invadenza della
cultura francese. Padova è una città (prima metà del 1300) dove ci sono molti scambi con l’Università di
Parigi. Qua nasce una musica mensurabilis. A Padova ci sono i primi frutti dell’ars nova italiana: nel 1305
viene dato l’incarico a Marchetto da Padova di scrivere un mottetto (Ave regina cielorum mater innocentie)
politestuale e le iniziali verticali dei versi del triplum (acrostico) è il saluto alla Madonna e l’acrostico del
Duplum è la firma dell’autore. Marchetto percorre soprattutto l’Italia del nord negli stessi anni e negli stessi
luoghi di Dante. Ci ha lasciato due trattati: Lucidarium in cui espone una sua teoria della divisione del tono in
5 parti uguali e il Pomerium in artis musice e rappresenta una sorta di parola definitiva sulla teoria della
musica mensurabilis; qui teorizza la possibilità di passare liberamente da un sistema di mensuralità francese
a un sistema di mensuralità italiano. Egli sostiene che lo si può fare anche in uno stesso brano (sta teorizzando
l’idea di un bilinguismo musicale). Pros Docimo di Bell de mantis scrive il Trattato pratico di canto mensurabile
al modo degli italiani (1412 e si riferisce alla notazione italiana del 1300).

Una delle città più importanti dal punto di vista culturale è BOLOGNA dove nasce l’Università ed è sviluppata
la poesia di corte (anche a Treviso con i Da Romano c’era un importante centro di poesia provenzale dei
trovatori e trovieri). A Bologna c’è Jacopo da Bologna che va a Milano dove c’era la signoria Visconti (seconda
metà del 1300) e ha un rapporto con Luchino Visconti che è così formalizzato da farlo sembrare un rapporto
di mecenatismo (rapporto tra potere e arte per veicolare i propri messaggi). Nelle sue composizioni ci sono
2 mottetti politestuali in cui in uno l’acrostico del Triplum dà il nome Luchinus e un altro ha un testo bilingue
in italiano e latino e compare l’acrostico Luchinus ma nel penultimo verso c’è un elemento in evidenza e
compare il nome della moglie Isabella. Un’altra composizione è in occasione della nascita dei 2 gemelli.
L’amore dei signori però non è duraturo e a un certo punto Jacopo da Bologna ha perduta la sua protezione
e lascia Milano.

A Firenze il panorama sociologico è diverso perché nelle altre citta esisteva la figura del musicista dipendente
dal committente mentre qua rileviamo che i committenti e i musicisti appartengono allo stesso ceto sociale:
la borghesia fiorentina. La famiglia più forte che dominerà Firenze sono i Medici che non sono nobili come le
altre famiglie delle altre città. Essi erano banchieri e ciò dà origine a una situazione politica turbolenta. Nella
prima metà del 1300 ci sono Lorenzo da Firenze e Ghirardello e nella metà del secolo ci sono i 2 più importanti
che sono Giovanni da Firenze e Francesco Landino (Landini, degli organi o cieco). Quest’ultimo era figlio di
un pittore famosissimo, Jacopo del Casentino, e rimane cieco per un incidente ma diventa comunque un
organista famoso (per la prima volta c’è un musicista famoso non solo nel suo territorio ma anche al di fuori).
Non si occupa solo di musica ma ha composto un poemetto per Guglielmo di Occam. Come molti altri
musicisti di quest’epoca anch’egli prende gli ordini religiosi minori che permettevano ai musicisti di compiere
le loro opere avendo un sostentamento. La musica sacra nel 1300 viene poco coltivata e anche in Italia
domina la musica profana e pertanto abbiamo preti che parlano di tematiche erotiche. In questo ambiente
c’è Franco Sacchetti, un poeta molto apprezzato e le sue poesie venivano messe in musica.

Le forme italiane sono il madrigale, la caccia e la ballata:

• Il Madrigale probabilmente viene da Matricalis (canto della lingua madre) ed è la forma polifonica
profana su testo volgare più utilizzato nell’Ars nova italiana. Le tamatiche sono pastorali e d’amore.
Si tratta si una forma strofica (stessa melodia per tutte le strofe) ed è composto da 2 o 3 terzine di
endecasillabi più un distico finale a rima baciata (2 versi). Alle terzine viene affidata la stessa linea
melodica ma una diversa linea melodica per il distico che funge da ritornello. Il codificatore è
Giovanni da Firenze. Ogni verso è iniziato e concluso da melismi mentre al centro procede
sillabicamente. Le voci di solito sono 2, più raramente 3 (la voce superiore domina).
• La caccia è un tipo particolare di madrigale anch’esso a 2 o 3 voci e si parla di tematiche venatorie e
le voci superiori cantano la stessa melodia una dopo l’altro come un canone (le voci si rincorrono).
• La ballata è la forma più complessa (simile al virelai francese) nasce probabilmente come musica da
danza. Nei primi del 1300 esistevano ballate monodiche firmate da Lorenzo da Firenze e Ghirardello
mentre con Francesco Landino diventa polifonica nella metà del 1300. Ci sono 3 parti: ripresa, piedi
e volta. La ripresa può essere di 2 (piccola), 3 (media) o 4 (grande) versi, i piedi o mutazioni sono 2
coppie da due versi di lunghezza identica con lo stesso schema di rime e infine c’è la volta che deve
avere lo stesso numero di versi della ripresa e il primo verso deve rimare con l’ultimo verso del piede
e l’ultimo verso della volta deve rimare con il primo verso della ripresa che viene ricantata dopo la
volta.

Cominciano a esserci tanti strumenti musicali: il liuto e la viella (antenato della viola) e l’organo ma anche i
fiati che possono essere di metallo e di ferro. Le trombe sono utilizzate per due funzioni: alludere alla maestà
divina o la guerra. Anche l’arpa e il salterio (triangolare o trapezoidale) è uno strumento a corde e strumenti
membranofoni (tamburi e tamburelli) e anche idiofoni che nascono da oggetti di uso quotidiano (nacchere,
campanelli e triangoli). Ci sono alcune musiche da danza che sono arrivate fino a noi: si chiamano Istampitta
(da Estampida in provenzale) e hanno la caratteristica che dopo le varie strofe a velocità regolare c’è una
rotta (stessa melodia al doppio della velocità).

IL 1400

In questo periodo si sviluppa il Mecenatismo. Il Mecenate è una persona che con il suo denaro finanzia l’arte
e la cultura ma in realtà i mecenati non sono solo i detentori del potere finanziario ma anche del potere
politico: erano dunque imperatori, principi, alte gerarchie nobili, il clero o chiunque abbia il dominio su un
territorio. Può diventare mecenate anche colui che ambisce al potere. Un secondo aspetto da tenere in conto
sui mecenati di questo periodo è che l’aristocrazia e la borghesia hanno un concetto del denaro diverso. La
borghesia si arricchisce e si rinforza grazie ai commerci e quando ha eccessivo denaro lo investe subito in
altre attività produttive, l’aristocrazia invece con il denaro fa la guerra pagando i comandanti di ventura
(mercenari) che però tendono a risparmiare la loro forza lavoro e infatti queste battaglie spesso si risolvevano
senza alcun morto e poi col denaro si assicurano la collaborazione di artisti per aumentare il loro prestigio.
Un terzo aspetto del denaro aristocratico è il desiderio di assicurarsi il potere culturale cioè la capacità di
imporre i propri gusti, i propri valori, la propria famiglia come modello e la loro concezione del mondo. Infatti,
la gran parte delle famiglie italiane entra nel circuito del mecenatismo. Nel 1400 l’Italia non è frazionata in
tante città in cui regnano una serie di famiglie: i Visconti a Milano o i Medici a Firenze. Attraverso la
concessione di un beneficio cioè una rendita derivante dallo sfruttamento di un pezzo di terra i nobili si
legavano all’artista a vita del mecenate e del concessionario. I benefici spesso si accumulano e così gli artisti
si possono arricchire. Il beneficio si può revocare. La terra dalla quale proviene il beneficio non è di proprietà
del mecenate ma della chiesa, quindi si genera una sorta di triangolo (mecenate gira all’artista i soldi che
provengono da una terra su cui ha il controllo ma che non gli appartiene). In questi due secoli la chiesa è il
più importante ente economico e per la chiesa attribuire a un aristocratico un pezzo di terra non era un
problema anche se lo faceva principalmente per controllare l’aristocrazia. Tutti gli artisti partecipano alla
costruzione di queste grandi famiglie e anche la musica partecipa attivamente. Essa viene vista come centro
di educazione (come nei greci). Viene vista anche come un ingrediente indispensabile per l’uomo di corte:
esso deve saper suonare. Tutti gli ideali del rinascimento vengono descritti di Baldassar Castiglione quando
descrive il perfetto cortigiano. Egli dice anche che la musica è importante anche nelle corti per mettersi in
contatto con la presenza femminile. Molti sovrani in questi 4 secoli sono musicisti: come il Re Sole, Maria
Antonietta d’Austria e Federico di Prussia. Legato a un mecenate il musicista veniva riconosciuto come
professionista e ciò costituiva una svolta. Si cominciano a ricordare i nomi di musicisti di generazioni passate.
Per quanto riguarda il mecenatismo, dal punto di vista economico hanno tutti dei vantaggi: la chiesa controlla
l’aristocrazia, l’aristocrazia controlla la cultura e gli artisti hanno delle rendite ma l’unico svantaggio ricade su
questi ultimi perché non hanno libertà di espressione ma tutta l’arte riflette gli interessi dell’aristocrazia o
del clero. Per questo motivo gli artisti soffrivano molto perché erano obbligati a realizzare ciò che era
richiesto: il primo a essere libero è Mozart.

Altro fenomeno legato allo splendore di queste corti italiani è che finisce la supremazia culturale della chiesa
(fino all’anno 1000 la chiesa detiene il monopolio della cultura con i monasteri). In questo secolo si sviluppa
anche l’Umanesimo cioè la riscoperta della cultura greca e latina compresa la scultura e l’architettura a
soprattutto un’ideale estetico che non ha influenze religione. Il Rinascimento ha un atteggiamento e una
concezione diversa nei confronti della cultura greca e latina in confronto al Medioevo dove si riteneva che la
scoperta della religione cristiana fosse la ragione per cui la cultura medievale è superiore rispetto alla cultura
classica. Quindi il Medioevo è considerato barbarico nei confronti della cultura greca e latina. Mentre pittori,
scultori e poeti trovano i loro modelli nel passato i musicisti non hanno alcuna testimonianza della musica
greca e questo costituiva un problema. Tutti gli artisti avevano come riferimento un repertorio di classici che
mantiene la sua importanza nel tempo. Questo problema crea una nuova frattura tra la musica e le altre arti
perché è priva di Rinascimento. Il vero Rinascimento della musica avverrà nel 1600 a seguito dell’invenzione
del Melodramma e del ritorno della monodia. La novità in campo musicale è l’arrivo della scuola Fiamminga
le cui 6 generazioni coprono 2 secoli. Arriva dal ducato di Borgogna che ha una superficie molto più ampia
dell’attuale città (copre il Belgio, l’Olanda e una parte della Francia nord-est). Questo luogo era splendido
perché i duchi erano ottimi amministratori e approfittarono della guerra dei cent’anni per arricchirsi. Il centro
di radiazione della musica sono le cattedrali gotiche dove venivano arruolati dei bambini cantori ai quali
veniva impartito un’istruzione del canto e nel contrappunto (composizione) ma erano istruiti anche sulle altre
discipline. Queste cattedrali funzionavano come le scuole. I musicisti fiamminghi calano in Italia perché qui
ci sono le corti che danno dei benefici e si rivelano particolarmente efficaci nella trasformazione dell’uomo
nuovo descritto dalle composizioni. Domina la continuità con le forme e la concezione della musica medievale
ma i fiamminghi introducono 3 importanti novità in musica: l’equiparazione delle voci cioè trattano il tenor
delle loro composizioni come tutte le altre voci (tenor, contratenor, altus e cantus), l’introduzione di una
gestione convenzionale delle dissonanze secondo cui le dissonanze vanno preparate e risolte ed è
importante perché aumenta la logicità della musica e si creano dei rapporti più stretti all’interno del discorso
musicale, la sincronizzazione dell’ictus verbale con l’ictus musicale cioè che la musica deve avere l’accento
dove lo porta il testo a cui è collegata.

IL CONSUMO DELLA MUSICA EXTRA LITURGICA

Ci sono tante canzoni cantate dai pellegrini e dalle compagnie e si mischiano i repertori di canti. Queste
canzoni vengono tramandate oralmente. Infatti abbiamo poca conoscenza di questo repertorio tranne nel
caso in cui queste canzoni vengano inglobate nelle composizioni liturgiche. Sono diffuse le canzoni a carattere
religioso ed era diffuso il contrafactum (una canzone che passa da profano a religioso). Per quanto riguarda
l’Italia abbiamo un paradosso perché qui i compositori non compongono più per iscritto perché c’è molta
emulazione della cultura greca e quindi i musicisti preferiscono accompagnare in modo improvviso. Cambia
anche la considerazione del compositore che prima non era riconosciuto. Nel 1300 si elabora la definizione
di musico praticus e cioè la musica pensata e la musica praticata si stavano avvicinando. Nel 1400 un teorico
e compositore fiammingo Johannes Tinctoris chiamerà i più celebri artisti musicali musici e compositores
quindi fa un grosso passo in avanti quel concetto di autorità musicale.

La repubblica Venezia è concretamente un’oligarchia governata da 10 famiglie patrizie che si identificano con
l’amministrazione statale che esprimono ognuno di loro il doge. La caratteristica della produzione artistica è
il fasto e la celebrazione dello stato (qualunque opera artistica deve celebrare lo stato) con la conseguente
nascita di una scuola di canto nella basilica di San Marco che in questo momento è la cappella personale del
doge amministrata dai procuratori di San Marco che all’inizio del 1400 emettono un decreto, il decreto del
minor consiglio, che stabilisce che a partire dal 1403 vengano radunati 8 fanciulli veneti per essere istruiti
nell’arte del canto e della musica per opera dei cantori della basilica. Si vede la musica come strumento
politico. Uno dei primi maestri è Antonio Romano il quale scrive un mottetto del 1413 in occasione
dell’elezione a doge di Tommaso Mogenico ed è tipico di un rapporto mecenatistico. Ha 2 titoli perché è
ancora un mottetto politestuale ed è un omaggio al proprio mecenate quindi il triplum è indirizzato alla città
con l’ultima parte al senato, le 4 quartine del duplum sono indirizzate alla famiglia del doge (la 1), a Cristo (2
e 3) e a San Marco protettore di Venezia (la 4). La politica di consolidamento delle istituzioni musicali viene
aumentata quando Gabriele Condulmer sale al soglio pontificio come Eugenio IV nel 1431 che prende dei
provvedimenti per rafforzare e finanziare le istituzioni musicali di Venezia (infatti nel secolo successivo ci sarà
la scuola veneziana).

Nei secoli precedenti la trasmissione per iscritto della musica era molto precaria, spesso essa veniva messa
per iscritto secoli dopo di quando veniva ideata (come nel caso della musica trovatorica e trovierica), durante
il 1300 i brani musicali venivano notati su fogli separati di pergamena fragili quindi ha compromesso in
maniera grave il repertorio del 1300 di cui conosciamo solo i componimenti di Guillaume de Machaut che se
li curava lui stesso. A partire dall’inizio del 1400 si inizia a scrivere la musica quando viene eseguita e cantata
e può essere considerata come la conseguenza della professionalità del musicista.

COMPOSITORI FIAMMINGHI
La scuola fiamminga comprende 6 generazioni che ricoprono due secoli: 1400-1600. Guillaume Dufay è il
primo grande compositore fiammingo che vive fino al 1474 (chiede che nel suo letto di morte venga cantato
il mottetto “ave regina celorum”). Nasce in Francia e diventa fanciullo cantore nella cattedrale di Cambrè che
costituiva un modello per tutti. Viveva in una strada chiamata “l’homme armè” ovvero il titolo di una canzone
utilizzata in molti tenor delle messe cicliche. La prima città italiana dove approda è Pesaro con i Malatesta
con cui stringe un rapporto mecenatistico, dopo si traferisce a Bologna dove probabilmente studia
giurisprudenza. Nel 1428 si trasferisce a Roma dove resta al servizio di Papa Martino V e Papa Eugenio IV
periodo in cui scrive il mottetto “ecclesiae militantis” per celebrare il Papa. Poi si trasferisce a Firenze e nel
1436 in occasione della costruzione della cupola di Santa Maria del fiore scrive un altro mottetto, “Nuper
rosarum flores”. Si trasferisce anche a Ferrara con la famiglia Veste. Alla fine del 1430 lascia l’Italia ed entra
al servizio dei Savoia: alla festa di matrimonio di Ludovico di Savoia viene invitato il duca di Borgogna con
dietro la sua cappella e qui Dufay incontra i vari membri tra cui Gilles Benchois, un altro grande compositore.
Dufay viene definito come l’inventore della messa ciclica ma in realtà l’ha solo portata ad un livello di
splendore. Il vero inventore è Lionel Power, un compositore inglese.

La messa ciclica utilizza lo stesso tenor (preso sia dal repertorio liturgico sia dal repertorio profano) per tutti
e 5 i canti con delle variazioni. Si vogliono ottenere due effetti retorici; la repetitio e la varietas. La forma
tipica della polifonia profana è la chansò a 2 o 3 voci.

Nuper rosarum flores è stato composto da Dufay per il Papa in occasione della cupola di Santa Maria del
fiore. E’ a 4 voci (di solito le voci sono bassus, tenor, altus e superius ma qua non c’è il bassus ma ci sono 2
tenores, motetus e triplum). La struttura formale è costituita da un cantus firmus che tenor 1 e 2 eseguono
a note lunghe ma ritmicamente sfasato e a distanza di una 5 uno dall’altro. La melodia originale è l’incipit di
una messa dedicata all’inaugurazione della chiesa: terribilis est locu siste. Il tenor 2 comincia per primo e poi
parte il tenor 1 con la stessa melodia ma in una 5 sotto. E’ diviso in 4 sezioni dove c’è un’esposizione del
cantus firmus che non compare ogni volta uguale perché l’indicazione del metro cambia per tutte le sezioni:
6/4, 2/2, 2/4 e 6/8. Dufay espone per 4 volte la stessa melodia con valori diversi (melodia riconoscibile ma
variata). L’esposizione del cantus firmus da parte dei tenores non coincide con l’inizio di ciascuna sezione:
triplum e motetus intonano una lirica latina forse opera dello stesso Dufay, iniziando ciascuna sezione da soli
per la durata di 28 brevi. Dopo si aggiungono i tenores e cantano ancora per la durata di 28 brevi. Tutte e 4
le voci finiscono con la parola “amen”. Dal punto di vista della notazione, le 4 sezioni hanno dimensioni
equivalenti consistente di 56 brevi, tuttavia il cambio del metro cambia anche la durata effettiva delle note,
per cui contando il numero di tactus (unità di misura) otteniamo i seguenti rapporti: 6:4:2:3 minuti. L’autore
ha dato un ordine matematico alla composizione. La particolarità è che compare spesso il 7 e il 4: il 7 è il
simbolo numerico della Vergine. Le proporzioni della durata sono le proporzioni su cui era edificato il Tempio
di Salomone a Gerusalemme che ha un collegamento con la Santa Maria del fiore costruita proprio per
alludere a questo tempio e inoltre, nella mitologia cristiana il tempio di Gerusalemme è legato al grembo
della Madonna perché contiene lo Spirito Santo e quindi l’immagine della chiesa.

Nella messa di Dufay “Ecce Ancilla Domini” c’è l’utilizzo della sezione aurea (medio proporzionale) cioè il
segmento maggiore di un intero tale che il rapporto fra l’intero e il suo segmento maggiore sia lo stesso che
c’è fra il segmento maggiore e il segmento minore (A:B=B:C e C è la sezione aurea di B). Essa è la legge di
accrescimento degli organismi naturali. Un matematico italiano (Fibonacci) ha inventato la serie di Fibonacci
concepita proprio sulla base di questo principio ed è molto usata in musica. Ciascun numero è il medio
proporzionale tra quello che lo segue e fra quello che lo precede e ciascun numero è data dalla somma di
quelli che lo precedono. Si usa non solo nella musica ma anche nella pittura come “La Madonna e Santi con
Federico da Montefeltro” di Piero della Francesca con 7 sezioni auree una dentro l’altra.

Ecce ancilla domini anche qui si utilizzano i numeri come simbologia e c’è l’applicazione sistematica del
principio della sezione aurea: i rapporti dimensionali tra le sezioni di questa messa riproducono quelli
presenti nel Kirie (triplice invocazione) che dura 126 battute ripartite in 48 battute per il kirie 1, 33 battute
per il Christe, 45 battute per il Kirie 2. Il tenor è costituito da due diverse melodie: ecce ancilla domini e beata
est maria che insieme costituiscono il cantus firmus di tutte le sezioni della messa e rimangono riconoscibili
nonostante le variazioni ritmiche. Il segmento del Christe non è costruito sul cantus firmus e questo insieme
al kirie secondo corrisponde alla sezione aurea dell’intero kirie (78 battute). Sommando la durata dei due
kirie si ottiene la durata dell’Agnus dei e la durata complessiva del kirie 1 e del criste sta a quello tra il kirie 2
e del gloria nel rapporto aritmetico 2:1. Tutte le parti della messa hanno fra loro rapporti di tipo matematico
che servono anche ad unificare le sezioni della messa. Un’altra caratteristica che unisce le varie sezioni è che
ciascuna sezione comincia con poche note sempre uguali e ciò aumenta la ciclicità della messa.

I principali compositori delle generazioni fiamminghe

1 generazione (1400-1470): Dufay e Benchoit; 2 generazione: Johannes Ockeghem, Johannes Tinctoris; 3


generazione 1470-1530: Josquin Desprez, Jacob Obrecht, Heinrich Isaac, Lojset Compere, Alexander Agricola;
4 generazione 1530-1560: Adrian Willaert, Gombert, Clemens non Papa; 5 generazione: Orlando di Lasso,
Filippo del Monte; 6 generazione: Sweelinck

Johannes Ockeghem è un compositore illustre che ha maturato il modo di trattare le composizioni di Dufay.
Passa la vita al servizio dei re di Francia e ha imparato a trasmettere la drammaticità attraverso le sue
composizioni. Scrive 10 messe e un requiem che è arrivato a noi. Scrive 3 composizioni famose che portano
l’arte del contrappunto al vertice: la missa cuius vis toni, missa prolationum che consiste in una successione
di doppi canoni mensurali (stessa linea melodica ma valori diversi) e infine il deo gratiam a 36 voci reali (le 36
voci cantano 36 melodie diverse).

La tecnica del contrappunto Affinata da Dufay diventa un punto di riferimento per la 3 generazioni. Accanto
alle messe su cantus firmus si afferma la composizione con la tecnica dell’imitazione (si ha imitazione quando
un motivo esposto da una prima voce chiamata dux o antecedente o domanda viene ripreso da una seconda
voce chiamata comes o conseguente o risposta) cioè una cellula di poche note passa di imitazione da una
voce all’altra. Visto che la totalità dei compositori fiamminghi usa l’imitazione spesso e proprio questo ha
come conseguenza l’equiparazione delle voci. Quando si è esaurito l’interesse della circolazione di un motivo
si chiude un episodio che diventa la nuova unità concettuale della musica. Si afferma anche la composizione
a cappella cioè esclusivamente per voce. Questi motivi sono imitati o come sono nell’originale ma possono
subire delle permutazioni cioè sotto 4 forme. L’abilità del permutare i motivi sarà un vero caposaldo. Un
motivo si può trovare nella FORMA BASE, INVERSO (rovesciamento della direzione degli intervalli),
RETROGRADO (si leggono al contrario) o RETROGRADO DELL’INVERSO (intervalli dell’inverso letti al
contrario). Il motivo può essere variato anche dal punto di vista ritmico per AGGRAVAMENTO o
AUMENTAZIONE (raddoppio dei valori) o DIMINUZIONE (dimezzare i valori).

La struttura compositiva dove troviamo un’imitazione continuata delle voci con identità dei tracciati melodici
è il canone. Il canone è una struttura musicale spesso usata nell’ambito di un brano musicale, soprattutto in
quelli di tipo polifonico che può essere realizzato da due o più parti vocali o strumentali, consiste nel fare
iniziare una melodia da una sola parte (detta antecedente) e di farla seguire dopo un dato intervallo
temporale, da una diversa parte che imita rigorosamente (anche partendo da una nota diversa) il disegno
melodico proposto dalla parte che ha iniziato; se ha più di due voci, le entrate delle altre parti (conseguenti),
seguono distanze che possono essere irregolari. Oltre al canone diretto ci sono anche il canone inverso, per
moto contrario, a specchio, per aggravamento e diminuzione. I canoni possono essere finiti (quando le voci
si ritrovano su un accordo finale) e infinito (le voci possono continuare all’infinito). Si chiama canone
cancrizzante un canone in cui il conseguente riproduce esattamente l’antecedente ma a ritroso. Ci sono
anche canoni enigmatici che fanno parte di una concezione elitaria della musica.

Josquin Deprez nasce nel 1440 ma lo troviamo in Italia già dalla giovane età a Milano dove era subentrata la
signoria Sforza con Galeazzo Maria con il quale ha un rapporto mecenatistico; poi si sposta a Roma al servizio
del Papa e alla fine del secolo al servizio di Ercole d’Este duca di Ferrara. Nel 1500 va in Francia al servizio di
Luigi XII e di Margherita d’Austria reggente dei Paesi Bassi. Lui è il primo compositore non solo con una tecnica
ineccepibile ma che pretende di esprimere argomenti originali e personali. Compone circa 20 messe, delle
chansò ma anche frottole come “el grillo è buon cantore”. Nel catalogo di Deprez ci sono i primissimi pezzi
strumentali. Nel 1502 Ottaviano Petrucci ha pubblicato un primo volume con i pezzi musicali di Deprez.
Egli stabilisce una serie di convenzioni per la messa che da questo momento in poi verranno rispettate da
tutti. – La parte centrale del Kyrie (Christe eleison) dev’essere trattata in modo diverso dai due Kyrie esterni;
primo verso del gloria e del credo sono cantati in canto piano cioè non polifonicamente perché sono il punto
più delicato della messa e si devono capire le parole; il gloria è diviso in 2 sezioni e la seconda sezione inizia
da “qui tollis peccata mundi”; il credo è diviso in 3 sezioni, la 2 comincia con “et incarnatus est et homo fattus
est” che rappresenta il dogma più importante del Cristianesimo e il punto cruciale della messa. Pertanto
decide di eseguire questa parte con accordi fermi; sempre nel credo c’è il crucifixus che rappresenta il
momento più doloroso e la musica è altrettanto dolorosa; nel Sanctus le sezioni del pleni e del benedictus
sono cantate con un numero inferiore di voci perché preparano l’esplosione di gioia dell’Agnus dei il quale,
al contrario, prevede l’aggiunta di almeno una voce.

Le tecniche per la messa sono di 2 tipi: una serie di canoni e le messe su cantus firmus che a loro volta sono
divise in vari tipi (messa ciclica, messa parafrasi, messa parodia e messa su soggetto cavato).

La messa su soggetto cavato significa che il cantus firmus è ricavato dal nome del dedicatario (nella messa
Hercules dux Ferrariae divide in sillabe il nome del mecenate e a partire dalle vocali abbina a ogni sillaba delle
note e quelle note saranno il cantus firmus dell’intera messa cioè “re-ut-re-ut-re-fa-mi-re”).

Messa parodia l’intero materiale melodico e armonico è tratto da una composizione precedente polifonica
(missa Fortuna Desperata e missa Malern me Batte).

Nella messa parafrasi il cantus firmus circola fra le varie voci e non più solo al tenor e subisce un’elaborazione
(messa “Pange lingua” e anche “l’omme armé super voces musicales”).

La Messa “l’omme armè super voces musicales” è costruita con tecnica canonica, imitativa e gematria (che
riguarda il valore simbolico dei numeri).

Il cantus firmus (che poteva essere preso sia da repertori gregoriani che repertori profani) è costituito
complessivamente da 64 note e questo appare nel Kyrie. In ciascuno degli altri canti la melodia sale di un
tono. Le prime note nelle 5 parti dell’Ordinarium sono le note dell’esacordo. Per l’ultima esposizione nella
sesta nota dell’esacordo, Deprez divide l’Agnus in 3 parti e la inserisce nell’Agnus 3. Da questa trasposizione
prende il nome la messa; rappresenta una novità poiché di solito il cantus firmus non era trasposto. La
melodia dell’omme arme è articolata in 3 membri (il terzo ripete il primo con poche varianti). Deprez fa
coincidere quest’articolazione con quella interna della messa (come nel Kyrie).

Nel Kyrie 1 della messa si osserva un canone fra Superius è Tenor; il tenor ha il solo compito di esporre la
melodia dell’omme armè e si presenta come la riproposizione (all’intervallo di 9 inferiore) della melodia
proposta dal Superius 4 misure prima. Nel Christe c’è un canone tra il tenor (comes alla 3 inferiore) è l’Altus
(dux). Stessa cosa nel Kyrie 2 tra bassus (dux) e tenor (comes alla 3 superiore). In più si tratta di un canone
per aumentazione (il tenor aumenta i valori del dux). Nel Kyrie 1 e nel Christe il comes inizia quando finisce il
dux mentre nel Kyrie 2 il comes entra a metà del dux. Questo tipo di entrata si chiama “entrata in stretto”
che avviene quando il comes non dà tempo al dux di completare l’esposizione del motivo. Queste entrate in
stretto saranno tipiche della parte finale delle fughe.

Il procedimento di trasporre il cantus firmus ad ogni sezione della messa e l’uso estensivo di canoni per
aumentazione si possono considerare riminescenze rispettivamente della missa “Cuius vis Toni” e la
“Prolationum” di Ockeghem. In effetti si pensa che la missa dell’”omme armè super voces musicale” sia un
omaggio ad Ockeghem che aveva contribuito a rendere l’Ordinarium la forma principe della polifonia sacra
(messa divisa in 5 canti). Una logica matematica sembra presiedere nella messa; associando un numero a
ciascuna lettera dell’alfabeto è possibile esprimere in modo cifrato qualsiasi nome o termine linguistico. La
somma dei numeri relativi alle singole lettere sarà lo psefos del termine. Lo psefos di Ockeghem è 64 e forse
non a caso 64 è anche il numero delle note del cantus firmus della messa “l’omme arme super voces
musicale”. Il cantus firmus si può dividere simmetricamente in 2 parti come il nome di Ocke-ghem. Inoltre,
sul versante numerologico la simbologia personale e cristologica si fondono; allo stesso modo dal punto di
vista musicale alcuni tratti stilistici più innovativi si affiancano a quelli tradizionali. In particolare si allude
all’imitazione. Osservando le prime misure del Kyrie 2 si nota come le parti superiori inizino proponendo un
canone in cui il Superius è il dux e l’Altus funge da comes ma questo canone si interrompe subito. Questo è
ciò che i chiama imitazione. Si chiama canone solo se l’imitazione è continuata.

Alexander Agricola, successore alla corte di Borgogna di Antoine Destoi, è stato un grande contrappuntista
che verrà in Italia a Firenze. Jacob Obrecht svolge la sua carriera nelle città del nord e poi va a Ferrara in Italia
e nel secondo viaggio contrae la peste e muore. Ha un senso armonico molto avanzato. Lojset Compere è
stato a Milano e a Parigi presso il re Carlo VIII. Produce tante chansò in cui tende ad accentuare un ritmo
narrativo dando un ritmo dattilico. A un certo punto va a Mantova dove c’è la consuetudine di sostituire
alcune parti dell’Ordinarium Missae con dei “mottetti missales” e compone la “messa galeazzesca” che ha
un ordine diverso dalla messa tradizionale: mancano il Kyrie e l’alleluia ed è a 5 voci.

Heinrich Isaac passa tantissimo tempo a Firenze con Lorenzo il Magnifico con il quale stringe amicizia. E’ un
artista cosmopolita perché ha rapporti con la diocesi di Costanza in Svizzera che è all’origine dell’opera più
importante, il “coralis costantinus” che è costituito da oltre 300 elaborazioni polifoniche che corrispondono
a tutti i canti del proprium per tutte le domeniche e le feste maggiori per 100 date del calendario liturgico.
Qui troviamo tutte le tecniche e molta attenzione al modo di esprimere il contenuto semantico del testo. Con
i fiamminghi la musica vuole esprimere i dettagli di quello che dice il testo. Ha la capacità di scrivere qualcosa
per commuovere le persone: scrive un mottetto. Oltre alle messe e ai mottetti scrive lieder in tedesco, chansò
in francese e i canti carnascialeschi italiani. Nel suo catalogo troviamo delle composizioni strumentali come
“Valle Palle” dedicato ai Medici.

Le forme che circolano all’inizio del 1500 sono:

• La frottola è la forma presente in Italia dal 1480 al 1520; è a 3 voci di carattere profano e andamento
omoritmico con prevalenza della voce superiore ed è strofica. Inoltre, presenta poesie non curate ed
è simile alla ballata;
• Lo strambotto è un’unica ottava di endecasillabi e ha una diffusione nell’Italia centro-settentrionale;
• La lauda è diventata polifonica e omoritmica. Sono spesso dei travestimenti spirituali di canzoni in
voga in quel momento (chiamati contrafactum);
• I canti carnascialeschi nascono a Firenze perché dal 1° maggio al 24 giugno c’era l’usanza di fare tante
sfilate in maschere. I testi di questi canti sono dialettali e non raffinate. Tutto il repertorio è stato
raccolto in “carri e canti carnascialeschi del Magnifico Lorenzo”.

IL 500: LA STAMPA MUSICALE


All’inizio del 500 iniziano a diffondersi stampe musicali grazie a Ottaviano Petrucci. Il primo libro a stampa
esce nel 1508. A Roma c’è Andrea Antico che consideriamo il rivale che usa una tecnica leggermente diversa.
Quella di Petrucci permetteva di realizzare stampe belle ma dispendiosi per il tempo perché faceva 3
impressioni: pentagrammi, note e indicazioni varie. Hanno successo i loro libri ma l’editore con cui la stampa
musicale fa il salto di qualità è Pierre Attaignant stampatore di fiducia del re Francesco I e che applica la
tecnica a “caratteri mobili” con la quale si stampava direttamente la parte musicale con pentagrammi, note
e indicazioni. Finché questi caratteri erano nuovi combaciavano benissimo e non si percepiva l’interruzione
fra un carattere all’altro ma a furia di usarli si consumavano e spesso ne uscivano stampe con una qualità più
bassa. Grazie al fatto stesso di essere stampati le opere assumono più valore.
LA CHANSON PARIGINA E LA MUSICA STRUMENTALE

Negli anni 30 e 40 del 500. Attaignant pubblica una serie di libri che contengono le “chanson parigina”
chiamate così per distinguerle da quelle fiamminghe che è la più importante forma polifonica profana e si
distingue dal mottetto solo per questo (infatti hanno la stessa struttura). La chanson parigina era più leggera
dal punto di vista del contrappunto: le voci procedevano in senso omoritmico, era legata al ritmo delle parole
(c’era un ritmo dattilico che crea un andamento narrativo), stile sillabico e c’erano effetti realistici e descrittivi
(mimesi di qualcosa al di fuori della musica) con effetti onomatopeici. Il maggiore autore è Clement Janequin
che insiste molto sul carattere descrittivo. Gli aspetti descrittivi sono spesso anticipati dai titoli delle chanson
(“la guerre” di Janequin imita tutto ciò che si trova nelle battaglie).

La musica considerata un’arte è solo vocale perché c’era il testo che dava dignità alla composizione, invece
la musica strumentale senza quella vocale è considerata lavoro manuale e quindi indegno di un uomo libero
(Aristotele). Nonostante ciò la musica strumentale era molto presente e impiegata per la danza che non era
messa per iscritto (anche nei trovatori con la “ductia e l’estampida”). Nel 400 si cominciano a costruire
famiglie strumentali di diversi registri (acuto, meno acuto, tenorile e basso) ma il timbro rimaneva omogeneo
e somigliavano a dei piccoli cori infatti spesso, quando mancava una voce, si trascriveva per gli strumenti.
Durante il Rinascimento c’erano molti più strumenti di quelli che conosciamo noi oggi. Più si diffondevano gli
strumenti più aumentava l’interesse di imparare a suonarli (soprattutto tra gli aristocratici).

Nel 1560 a Brescia e a Venezia c’è un apparire continuo di stampe con “chanson parigine” che sono trascritti
e dalle quali deriveranno tutte le forme musicali che conosciamo oggi: gli autori di riferimento sono
Marcantonio Cavazzoni e Spinacino. Alla fine del secolo queste trascrizioni strumentali diventano originali
per strumenti e diventano “canzona da sonar” scritte per clavicembalo, organo o clavicordo ed è un unico
movimento diviso in sezioni. I principali autori della “canzona da sonar” si trovano a Venezia e sono Andrea
e Giovanni Gabrieli, Claudio Merulo e Girolamo Cavazzoni. Nei primi del 600 si afferma la sonata scritta non
solo per strumenti a tastiera ma per violino o più violini e basso continuo, cifrato o numerato (che scandisce
il ritmo armonico) scritto con le cifre degli accordi. Il violino diventa protagonista grazie alle scuole di liuteria
del nord Italia. La sonata è divisa in 4 o 5 movimenti. La Chanson parigina e la sonata hanno degli elementi in
comune: erano entrambe scritte in sezioni di un metro contrastante (binario e ternario), il succedersi
alternato di sezioni omoritmiche e imitative (cambiava il tipo di tessitura della musica) e la presenza del ritmo
dattilico. Riguardo il primo punto i compositori devono affrontare il problema dell’assenza del testo nella
musica strumentale; fino a questo momento il testo è stato fondamentale anche per dettare la forma della
musica la quale vuole illustrare ciò che le parole dicono ma la musica strumentale, che non prevedeva parole
doveva avere una diversa strategia. Questa strategia consisteva nell’agire sui contrasti quindi cambiare
tessitura, carattere e dinamica in modo che venga tenuta viva l’attenzione di chi ascolta.

Verso la fine del 500 ci sono anche le prime indicazione di dinamica che vediamo per prima nelle composizioni
sulla canzona alla francese di Adriano Banchieri e poi le introdurrà Giovanni Gabrieli nella scuola veneziana
che si era reso conto di quanto il volume partecipasse alla musica e per la sua fierezza chiamò la sua prima
sonata “pian e forte”. (Qui si finisce sulla triade di sol maggiore e quindi affermata la tonalità ma la modalità
non sparirà del tutto subito e non ci sono le forcelle). Gli strumenti delle “canzona da sonar” venivano divisi
in 2 gruppi chiamati cori che prendono piede a Venezia dove c’era una tradizione vecchia del canto dei salmi
nella versione antifonale. Tale pratica è chiamata “pratica dei cori spezzati o battenti”. Il luogo dove c’è un
trionfo di questa pratica è la basilica di San Marco che godeva di libertà perché all’epoca non era la chiesa
principale di Venezia ma la cappella personale del doge e per questo motivo ci troviamo gli strumenti musicali
in chiesa. I compositori che scrivono per San Marco valorizzano molto la struttura della cappella.

LA SCUOLA VENEZIANA

Inizia nel 1550 quando Adrian Villaert, cappellano di San Marco fino al 1527 e fiammingo di 4 generazione,
pubblica i suoi salmi. A questa scuola appartengono i Gabrieli che scrivono “le sacre sinfonie della fine del
1500” e le “sinfonie sacre del 1615” che comprendono voci più strumenti e sono sacre. Nel 1563 succede al
cappellano il suo allievo Cirpiano Derore. Un altro allievo del cappellano era Joseffo Zarlino, compositore
rilevante ma teorico più importante del Rinascimento perché nel 1558 con la sua opera “l’istituzioni
armoniche” teorizza per la prima volta la nascita della tonalità: non si utilizzano più i 12 modi gregoriani ma
solo il modo maggiore e il minore. Un altro teorico importante è Enrico Glareano che nel 1547 scrive il
“Dodecacordum” con il quale teorizza i 12 modi gregoriani: i 4 modi aggiunti erano il minore naturale e il
maggiore naturale che stavano assorbendo le funzioni degli altri modi gregoriani.

LA RIFORMA LUTERANA

Nel 1517 il vescovo di Wittemberg, Martin Lutero, dopo essere tornato da Roma disgustato dalla corruzione
affisse le 95 tesi sulla porta della cattedrale con cui chiamava i suoi concittadini a discutere e ciò causò lo
scisma d’Occidente. A Roma, infatti, era rimasto sconvolto perché aveva trovato papa Leone X, alle prese con
la costruzione della Basilica di San Pietro e carente di denaro per completarla, che “vendeva le indulgenze”:
i cittadini pagavano affinché siano salvate le anime dei loro defunti.

Per Lutero, ogni credente deve poter leggere la Bibbia e così viene tradotta in tedesco. Ci fu un obbligo di
leggere le Sacre Scritture che è all’origine della diversa percezione del rapporto con Dio: mentre in ambito
cattolico c’era la gerarchia dei preti, la riforma luterana non prevedeva preti così il credente si sentiva
direttamente sotto l’occhio di Dio direttamente leggendo la Bibbia e per questo è tenuto a rispettare la
propria fede. Dal punto di vista liturgico, Lutero voleva che i fedeli partecipassero alla cerimonia capendo ciò
che dice il celebrante e infatti non faceva celebrare la messa in latino ma in volgare. Ultimo aspetto è l’aspetto
musicale: Lutero accantona la messa e il mottetto e le sostituisce con i Corali cioè canzoni brevi, semplici e
popolari che i fedeli possono recitare durante la liturgia. Alcuni li compone lui stesso e altri li fa comporre da
alcuni suoi fiduciari con la tecnica del contrafactum (dal canto profano al canto sacro). I corali sono accessibili
a tutti e diventa l’anima della musica tedesca. Prima erano monodici e poi diventano polifonici a 4 voci. Lutero
introduce un’idea importante per la cultura tedesca e cioè che attraverso la musica si possa salvare l’anima
e non attraverso il testo ma attraverso i suoni. Attraverso il canto dei Corali in chiesa ci fu una progressiva
unione dei fedeli nella liturgia. Vedremo poi il contrasto con la chiesa cattolica romana dove il canto è affidato
ai professionisti della schola cantorum.

LA CONTRORIFORMA

Allo scoppio della riforma protestante seguono delle lotte violente a sfondo religioso fino al 1555 nella pace
augustea quando viene stabilito il principio “Cuius regio eius religio” con il quale il cittadino deve professare
la fede del proprio governante. Nel frattempo la chiesa di Roma aveva preso atto che sempre più territori
dell’Europa del Nord stavano seguendo le orme di Lutero e quindi crea un grandioso processo di
ripensamento globale dell’aspetto teologico e liturgico chiamato Controriforma e i suoi principi verranno
pronunciati nel Concilio di Trento 1545-1563. La reazione della chiesa è molto severa: nel 1520 il Papa emette
la bolla “exurge domine” con cui scomunica Lutero. Negli ultimi anni della controriforma vengono presi 3
provvedimenti anche nella musica:

• Vengono aboliti tutti i tropi e le sequenze tranne cinque (decisione grave perché era una vicenda di
creatività collettiva che aveva prodotto anche il conductus e il dramma liturgico). Le sequenze
ammesse sono “Veni Sancte Spiritus” (Pentecoste), “Lauda Sion Salvatorem” (Corpus Domini),
“Victime Pascali Laudes” (Pasqua), “Dies Ire” (giorno dei morti) scritto da Tommaso da Celano e un
po' dopo lo “Stabat Mater” (Venerdì Santo).
• I padri tretentini proibiscono qualunque presenza di materiali musicali profani all’interno delle
musiche riservate al culto. I compositori soprattutto fiamminghi non obbediscono a questa regola e
da questo momento prendono i canti firmi ma non intitolano le loro messe che sono anonime (sine
nomine).
• Il concilio tiene molto alla comprensione delle parole il ché è pericoloso per la musica (il mottetto
infatti era realizzato con un intreccio di voci ed era difficile distinguere le parole). Questo punto
minaccia la sopravvivenza della polifonia sacra. C’è un salvatore della musica polifonica che è
Giovanni Pierluigi da Palestrina. Infatti quando il Papa Marcello sta per emanare un editto che
proibiva la polifonia sacra, Palestrina scrive la messa “Papae Marcelli” con cui fa vedere come una
condotta accurata delle 4 voci può salvare la comprensione delle parole. Che la chiesa insistesse sulla
comprensibilità delle parole non era nuovo, infatti Papa Giovanni XXII nel 1325 con la bolla “docta
sanctorum” se la prende con i magistri di Parigi che creano messe troppo elaborate che non fanno
comprendere le parole (questo succede anche perché il latino non era una lingua parlata e capita da
tutti).

PIERLUIGI DA PALESTRINA

Roma è governata dal Papa in una sorta di monarchia elettiva. Questa forma di potere politico che coincide
con la massima autorità religiosa rende ogni manifestazione pubblica con caratteristiche sacre. D’altra parte
anziché esserci un’unica famiglia regnante, a Roma c’erano tante corti cardinalizie che avevano ognuno un
giro mecenatistico per cui c’è una fioritura di arte che con la Controrifoma diventerà ancora più forte. Ciascun
cardinale spesso ha anche una propria cappella cioè un gruppo di individui indipendenti dal cardinale che
avevano diversi incarichi oltre a cantare. Le 4 cappelle importanti sono la cappella sistina, la cappella Giulia,
la cappella liberiana di santa Maria maggiore e cappella di san Giovanni il laterano.

La cappella Giulia apparteneva alla Basilica di San Pietro chiamata così da Giulio II che nel 1513 dà dei fondi
stabili per il suo mantenimento e anche per il passaggio di una formazione musicale da maestro ad allievo.
La Cappella sistina era la personale del Papa e lo seguiva nei suoi spostamenti e si chiama così da Papa Sisto
IV che la separa dalla cappella di San Pietro e le attribuisce una sala che fa costruire a ridosso dei palazzi
vaticani. Sarà affrescata da Michelangelo e diventa un edificio a muratura. Mentre i cantori della cappella
Giulia venivano reclutati a Roma e nel Lazio (estrazione locale) i cantori della cappella Sistina erano il meglio
di tutti i musicisti d’Europa. La Cappella Sistina ha un altro primato: per eseguire le parti di soprano si serviva
di fanciulli di famiglie povere che venivano castrati (le voci bianche).

Giovanni Pierluigi da Palestrina (1525-1594 canta in tutte le principali cappelle romane e nel frattempo si
consolida la sua fama come compositore di musiche sacre. Ad appena 30 anni riceve un posto di maestro di
cappella a Vienna dall’imperatore Massimiliano d’Austria ma le richieste economiche del musicista erano
troppo alte e perciò resterà tutta la vita a Roma. Compone 104 messe, 375 mottetti, 100 altre composizioni
sacri e 100 madrigali profani. Scrive tutti i tipi di messa (su cantus firmus, libere, parafrasi e parodia). Tutte
le componenti della messa vengono armonizzate da lui stesso e questa armonizzazione permette la fissazione
di uno stile alla Palestrina chiamato Stilus Antiquus o ecclesiastico. Questo lo rende il compositore sacro più
importante nel XVI secolo. Anche nel 1700 i musicisti per scrivere una composizione perfetta adoperano lo
stile di Palestrina che resiste al tempo. L’intreccio delle voci e la comprensibilità del testo sono perfetti e ci
riesce in 2 modi:

Le voci che sono in genere 4 si muovono sempre o quasi per grado congiunto ed è facile integrarle e ascoltarle
come un’unica linea. Applica in maniera rigorosa la regola dei fiamminghi che le dissonanze devono essere
preparate (il suono dissonante dev’esserci nell’accordo consonante precedente) e risolte (questo suono deve
scendere di grado nell’accordo successivo).

Nel gloria della messa “Papae Marcelli” le parole “gloria in excelsis deo” lo cantava un solo cantore secondo
la convenzione stabilita da Josquin Deprez.

Mottetto “Super Flumina Babilonis”. Scritto nel 1581 in piena transizione modalità-tonalità, mette in musica
i versetti del salmo 136 che parla della deportazione degli ebrei a Babilonia e scritto in 5 versetti: Super
Flumina Babilonis, illic sedimus et flevimus, dum recordaremur tui Sion, in salicibus in medio ejus,
suspendimus organa nostra.

In queste 5 sezioni alterna sezioni a carattere imitativo e omoritmico. Palestrina pensa in termini modali ma
ci sono alcune parti tonali.

Il primo episodio “Super flumina Babilonis” è imitativo e dura 4 battute e mezzo: prima inizia il basso che
inizia con la finalis a cui risponde il contralto sulla nota MI segue il soprano e il tenore sulla finalis. Palestrina
concepisce l’inizio del mottetto nel IX modo di Glareanus che corrisponde al minore naturale ed essendo un
modo gregoriano il la è la finalis e il mi è la repercussio. La cosa che manca nei modi gregoriani è la sensibile
invece qua è presente (la subfinalis). Alla seconda battuta, la seconda minore discendente costituisce la figura
retorica del planctus (pianto) e nella parola Babilonis c’è la catabasi (discesa musicale). Dopo questa discesa
c’è il cosiddetto “inciso di Babilonia” una cellula di una nota puntata per caratterizzare la città di Babilonia.

Il secondo episodio “Illic sedimus et flevimus” è in un protus in re (I modo gregoriano) ed è omoritmico


perché indica tutti gli ebrei insieme che si siedono e piangono e costituisce la figura retorica della “noema”
(riflessione). Una particolarità è la falsa relazione nella seconda battuta (con do al basso e do# nel contralto)
questo perché Palestrina pensa ancora per melodie autonome sovrapposte. Nella penultima battuta c’è la
figura retorica della “suspiratio” con 2 pause in battute e nell’ultima battuta c’è una triade perfetta.

Nel terzo episodio “Dum recordaremur tui Sion” c’è una sospensione del secondo episodio che rientra nel
IX modo gregoriano ed esprime il turbamento degli ebrei. Il motivo ha una forma ad arco ed è presentato per
imitazione 7 volte perché il 7 è il numero simbolico d’Israele.

Nel quarto episodio “In salicibus in medio ejus” abbiamo le voci che procedono per 3 e c’è un gioco di
imitazioni ravvicinate (quando la risposta non dà il tempo al Dux di completare l’esposizione che entra subito
in gioco) che comincia dal contralto, ripresa dal tenore e basso 2 volte, poi di nuovo contralto e soprano.
Questo gioco era tipico dello stile di Orlando di Lasso un grande fiammingo. Ci sono le imitazioni ravvicinate
perché stiamo entrando nello stretto (ultima parte della composizione). Dopo c’è una partenza a terrazze di
imitazioni che vanno sempre in alto. Nell’ultima parte c’è un’indecisione modale, infatti nell’ultima battuta
della sezione sembra ci sia una cadenza il sol e subito dopo ricomincia l’imitazione ravvicinata con la nota
puntata che imita Babilonia.

Il quinto episodio “Suspendimus organa nostra” è il più lungo e il termine organa è ripetuto 10 volte per
effetto della “peroratio” con entrate sempre più in stretto. Nella terzultima battuta per mettere in risalto
l’ultima entrata Palestrina mette una pausa in battere nel soprano. Nell’ultima battuta c’è un accordo di mi
maggiore che non essendo la tonalità del brano non risolve e sembra una cadenza sospesa. Il LA-SOL# del
soprano si ritrova all’inizio del brano.

IL MADRIGALE
Prima dei fiamminghi nessuno si era posto il problema di adeguare la musica al testo invece da questo
momento in poi si entra in una nuova stagione in cui si chiede alla musica di doppiare il senso del testo. Già
nei mottetti di Josquin Deprez vediamo delle parole e delle figure retoriche nel testo espresse dalla musica.
Contemporaneamente nel mondo delle lettere c’era una novità portata dal letterato Pietro Bembo che
pubblica nel 1525 le “prose della volgar lingua” in cui inizia a cambiare il sistema di valore della poesia italiana
fino ad allora basata sulla terzina di Dante con una rima incatenata e celebra invece Petrarca i cui versi sono
più liberi e in questo secolo l’intero sistema delle lettere italiane viene permeato dal petrarchismo, ideale di
compostezza e armonia che colpisce anche il modo di comportarsi come nel libro di Baldassar Castiglione
“Cortigiano”. Lo stesso Bembo comincia a imitare Petrarca come anche i suoi contemporanei. Quando si
tratterà di mettere in musica forme poetiche libere non andranno più bene le forme strofiche come lo
strambotto e la frottola perché si voleva una veste musicale che seguisse il testo senza ritornelli e ripetizioni
e sarà il Madrigale che interpreterà il desiderio di libertà e musicalità proprio dei poeti petrarchisti. Nel
frattempo fra il 1480-1520 gli italiani erano ritornati alla composizione scritta con le forme dello strambotto
e della frottola che erano forme strofiche: nei primi 3 quarti del 400 non volevano scrivere la musica per
imitare i Greci che si esibivano in maniera improvvisata. Era ricominciata una tradizione di musica scritta ma
queste forme strofiche non vanno bene per il tipo di poesia che si sta sviluppando in questo periodo che vuol
essere libera e senza costrizioni e che necessiterà di una musica che esalti e amplifichi il senso delle parole. I
poeti petrarchisti sono Jacopo Sannazzaro, Giovan Battista Guarini, Ludovico Ariosto e più tardi Torquato
Tasso e Giovan Battista Marino. Bembo aveva puntato l’attenzione al fatto che nella strofa il suono delle
parole collabora al senso complessivo: nel Decameron il suono stesso delle parole comunica la gravittà e la
tristezza che Boccaccio vuole comunicare invece, cambiando le parole piane con parole sdrucciole cambia la
trasmissione dei sentimenti. Inoltre, in poesia se uno adopera molte a e molte e trasmette letizia e gioia
mentre se si vuol trasmettere dolore e sofferenze si utilizzano molte o e molte u. I poeti petrarchisti
compongono facendo attenzione a ciò che trasmettono le singole parole. La veste musicale non doveva
essere strofica e con ritornelli, doveva essere “DURCH KOMPONIERT” (in tedesco “attraverso il
componimento). Questa forma musicale si chiamerà Madrigale anche se all’inizio si chiameranno solo
chansons. Il Madrigale dell’Ars Nova era molto diverso dal Madrigale del 500: quello del 300 è strofico e in
più essendo a 2 o 3 voci prevalgono le voci superiori e quelle inferiori sono suonate da uno strumento invece
nel Madrigale del 500 che non è strofico le 4,5,6 voci sono tutte uguali e non c’è la prevalenza delle voci
superiori.

Firenze in questo periodo ha una vita politica turbolenta a caso dei Medici che ogni tanto vengono scacciati
a causa dei tumulti. Negli anni 20 del 500 ci sono gli oppositori dei Medici, la famiglia degli Strozzi che si
riuniscono in degli orti a ridosso del palazzo Strozzi e tra loro c’è anche Machiavelli emarginato dai Medici e
quindi offeso. Essi cospirano contro i Medici ma compongono anche versi e li affidano al musicista francese
Philippe Verdelot che in quel momento era maestro di Cappella nel Battistero e ricava un tipo di chanson con
un contrappunto più leggero diversa dalla fiamminga con un contrappunto denso e hanno molto successo.
Da queste composizioni che Verdelot ricava dalle poesie affidategli nascerà il Madrigale dove si alternano
sezioni in contrappunto omoritmico e imitato ma la caratteristica più importante è la parificazione di tutte le
voci da precetti dei fiamminghi. Da Firenze, il Madrigale si diffonde a Roma dove c’era papa Leone X figlio di
Lorenzo il Magnifico e per questo motivo i rapporti tra le due città sono strettissimi. Il madrigale comincia a
diffondersi in questo ambiente ricco di stimoli culturali quando a Roma succede un disastro cioè il Sacco di
Roma nel 1527 dove a seguito di un rovesciamento di tipo militare erano calati i Lanzichenecchi che
compivano violenze e razzie. Allora gli artisti di Roma si diffondono in tutta Italia in particolare a Venezia,
città molto importante per i commerci e anche per le 150 stamperie. Nel 1539 vengono pubblicati 4 libri di
Madrigali di Jaque Arcadelt che era un fiammingo e anche i libri di Verdelot. Una volta approdato a Venezia
il Madrigale incrocia i fiamminghi di 4 generazione: Adrian Villaert nella scuola veneziana si appropria del
madrigale e gli inserisce il contrappunto maturando questa forma. Dell’allievo di Villaert, Cirpriano de Rore
ricordiamo il primo libro dei madrigali cromatici chiamato così perché contenevano molti valori veloci ma,
poiché faceva uso di molte note alterate coloravano le pagine e quindi questo termine indicherà non più le
note veloci ma le alterazioni. Il cromatismo passa a indicare tutto ciò che è oscuro e doloroso come in un
ciclo di mottetti di Orlando di Lasso “Profezie sibillarum cromatico more singulari confecte”.

Negli anni 60 il Madrigale diventa importantissimo e può competere con il mottetto. Contemporaneamente
tornano alla composizione di madrigali gli italiani: Giovanni Pierluigi da Palestrina sommo compositore
sacro, Luzzasco Luzzaschi che è l’anima della fioritura del Madrigale a Ferrara con gli Este, Luca Marenzio e
mezza generazione in avanti Carlo Gesualdo da Venosa e Claudio Monteverdi.

Il Madrigale è una composizione musicale fatta sul tempo breve come un sonetto a 4,5,6 o 8 voci messo in
musica senza riprese, ritornelli e ripetizioni come una recitazione intonata del testo poetico e con un
desiderio di amplificare il più possibile il senso delle parole. Non è concepito come una forma da esibizione
ma per la gioia di chi recitava (cominciavano ad esserci vere e proprie accademie) e si parla quindi di “musica
reservata” cioè riservata per il proprio piacere e chi lo recita fa parte di un’elite che coincide con l’idea di
perfezione nel “Cortigiano” di Baldassar Castiglione. La musica, soprattutto con i madrigalisti italiani, si spinge
così avanti nel desiderio di amplificare il significato delle parole che nascono i madrigalismi cioè le imitazioni
musicali di un certo significato verbale. Questo inseguimento del significato verbale delle parole diventerà
determinato negli ultimi decenni del 500 perché entriamo nell’influenza della “Teoria degli affetti”.

La metrica greca e latina dalla quale derivano i ritmi musicali è quantitativa, cioè basata sulla quantità di
sillabe brevi e lunghi. Nella metrica greca ci sono vocali brevi, lunghe e accipe. I piedi sono combinazioni di
brevi e lunghe che formano i moduli metrici: trocheo, spondeo, giambo, dattilo, anapesto, peonio 1,2,3 e 4.

L’esametro è il metro greco più comune formato da 6 piedi e rappresentava durante il Basso Medioevo, il
modello della formulazione delle frasi. Dalla sillaba su cui sta l’accento dipende il verso che abbiamo davanti
(versi italiani che si calcolano a partire dall’ultima sillaba accentata più 1).

Garrit gallus, nuper rosarum flores, due messe di Josquin Deprez

Luca Marenzio vive a Roma e ha un grande successo perché era considerato uno dei massimi compositori
dell’epoca. Nei suoi madrigali (solo e pensoso di Petrarca) non si tira indietro di fronte a nessun’audacia
compositiva, nessun cromatismo e nessun assalto pur di amplificare le parole perché l’idea di madrigale era
inteso come composizione polifonica per esprimere le parole.

Jaches De Wert è un fiammingo e gira nelle varie città dell’Italia del nord e si stabilisce a Mantova dove
c’erano i Gonzaga (in particolare il duca Guglielmo che era un mecenate completo, un capo politico ma
anche compositore e commissionava i compositori di scrivere un repertorio di canto piano per la chiesa di
Santa Barbara e altri per comporre canti monodici. Tra questi compositori ci sono Palestrina che scrive le
“messe mantovane” e Marenzio). Dopo un intrigo nella corte di Mantova, Wert se ne va a Ferrara dove
conosce Tarquinia Morsa che faceva parte di un concerto delle dame composto da 6 dame con capacità
virtuosistiche fuori dal normale e si mette a comporre per loro. I suoi madrigali si riconoscono per il tasso di
virtuosismo vocale scritto per l’esibizione pubblica (e di solito erano scritte per il piacere). I poeti messi in
musica sono Torquato Tasso e anche Guarini.

Carlo Gesualdo da Venosa è di Napoli ed è molto diverso da Marenzio come temperamento (infatti Marenzio
era una perfetta incarnazione degli ideali del Rinascimento) è una precoce incarnazione del barocco
(contrasti, drammaticità e tormento). Ospitava dei musicisti eccellenti con cui faceva esperimenti musicali.
Si sposa con Maria d’Avalos e succede un episodio: tornato dalla caccia trova la moglie con l’amante Fabrizio
Carafa e manda qualcuno per ucciderli. Così deve scappare e va a Ferrara dove incontra Tasso che era cupo
e pessimista come lui e scriverà madrigali sui suoi testi. A Ferrara si sposa con Eleonora d’Este e dopo qualche
anno rientra a Napoli dove rimette su la sua corte di “musicisti eccellentissimi” dove compone canti sacri tra
cui i “responsoria”. In confronto alla produzione di Marenzio quella di Gesualdo è meno copiosa e cambia
proprio l’atteggiamento nei confronti della composizione perché aumenta i contrasti al massimo: questo
spiega la particolare natura dei testi che mette in musica: non gli importava che fossero belli dal punto di
vista poetica anzi, più tendono all’aforisma e più ci sono antitesi più riesce a esasperare le emozioni contrarie.

Claudio Monteverdi nasce nel 1567 e muore nel 1643 e vive tra il Rinascimento e il Barocco, infatti questa
transizione graduale tra l’estetica rinascimentale all’estetica del Barocco (verso il gusto di monodia
accompagnata) si vedrà nelle sue opere. Nasce a Cremona ma si sposta in varie città e si sposta a Mantova,
uno dei centri più importanti. Dal 1590 al 1592 è stato al servizio dei Gonzaga a suonare la viola e qui escono
i primi 5 libri dei madrigali. Questi saranno anni cruciali perché il 6 ottobre 1600 nasce il melodramma e
subito diventerà compositore di melodrammi. Dal 1613 al 1643 si sposta a Venezia dove diventa maestro di
Cappella di San Marco che era un posto statale e il più prestigioso d’Europa. Le raccolte di madrigali sono 9
ma l’ultimo è una ripubblicazione quindi non lo consideriamo. Fin da subito si ispira all’estetica di De Wert e
Marenzio per i primi 5 libri. Dal 6° libro cambia stile: cade la legge assoluta che avevano stabilito i fiamminghi
della parificazione delle voci e quindi Monteverdi concentra la melodia nella voce superiore mentre quelle
inferiori servono per l’accompagnamento (polifonia-monodia accompagnata). Questo perché dal 1600 i
compositori sono più interessati a trasmettere l’affetto e l’espressività. Nel madrigale che per i precedenti
compositori è una forma esclusivamente vocale, qua entrano i strumenti a partire dal 7° e 8° libro. I poeti a
cui si ispira sono Tasso e Guarini fino al 5° libro e poi Giovan Battista Marino che è il più in vista del Barocco
perché sua la poesia perde l’interesse affettivo e sentimentale per diventare un virtuosismo freddo e
abbagliante. A proposito di Marino, parliamo di MANIERISMO (scrivere poesie “alla maniera di” cioè non
coincide più con il modo di esprimersi). Nei primi 5 libri c’è una grande passione per la dissonanza che esprime
drammaticità e dolore e per i cromatismi. Dal 3° libro comincia a non preparare e risolvere le dissonanze
andando contro la regola dei fiamminghi questo per trasmettere tensione.

Dal 5° libro inizia un nuovo interesse per l’articolazione della forma stessa del madrigale: non è più “Durch
Komponiert”. Inoltre inizia a comparire il basso continuo con il quale riesce a dare una strutturazione interna
del madrigale.

TEMPRO LA CETRA è un madrigale in cui la voce del tenore fa 4 interventi accompagnato dal basso continuo
con una melodia uguale ma strofe diverse con ritornelli strumentali. E’ preceduto da un’introduzione e poi
seguito da una conclusione strumentale

Le altre novità sono nel 7° libro che esce nel 1619 intitolato “Concerto” in cui ci sono gli strumenti e la parola
madrigale inizia ad indicare un qualunque tipo di breve composizione accompagnata da strumenti.

L’8 libro si chiama “Madrigali guerrieri e amorosi” e i versi sono di genere rappresentativo: si possono
rappresentare con un melodramma. All’interno di questo libro Monteverdi sostiene ci siano 3 passioni
dell’animo: ira, temperanza e umiltà che corrispondono a 3 stili musicali diversi (temperato e ordinario, molle
con un’effusione di sentimenti e stile concitato quando c’è un combattimento). Il brano più celebre di questo
libro è il “combattimento di Tancredi e Corinta” dove sono presenti tutti e tre gli stili.

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