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La musica nell’antica Grecia

La storia della musica del mondo occidentale ha il suo inizio nella Grecia antica: furono
infatti i Greci che per primi tentarono di dare una risposta ai molteplici aspetti della musica,
quali il suo rapporto con le altre arti, la natura matematica degli intervalli, il rapporto con la
filosofia, il suo ruolo nella educazione dei giovani, etc.
Data 1'enorme distanza di tempo che ci separa dai Greci, non sempre è possibile interpretare
le testimonianze scritte che essi ci hanno trasmesso. Intanto dobbiamo dire che le musiche
greche che sono sopravvissute alla scomparsa del mondo antico sono pochissime e di epoca
avanzata: gli inni di Mesomede del II sec. a. C., pubblicati da Vincenzo Galilei nel 1581, due
inni delfici, una iscrizione sepolcrale e quindici altri frammenti vari fra cui un prezioso coro
da una tragedia di Euripide. In ogni caso, troppo poco ci è rimasto a livello di documenti
musicali diretti per poter ricostruire fedelmente la natura della musica greca. Quanto poi alle
fonti teoriche ci sono pervenuti molti documenti di filosofi e teorici, ma filtrati attraverso
epoche successive e quindi di difficile interpretazione.
L'elemento di continuità tra il mondo della civiltà musicale ellenica e quella dell'Occidente
europeo è costituito principalmente dal sistema teorico greco, che sarà assorbito dai romani e
da essi trasmesso al medioevo cristiano. Il sistema diatonico, con le scale di sette suoni e gli
intervalli di tono e di semitono, che sono tutt’ora base del nostro linguaggio musicale e della
nostra teoria, è l'erede e il continuatore del sistema musicale greco.
Ad un esame generale la musica greca ci appare nella teoria e nella pratica estremamente
semplice. Le melodie greche si muovono in un ambito ristretto e procedono generalmente per
intervalli piccoli.
I Greci praticavano tre generi musicali; fermo restando che1’elemento generatore delle loro
scale eptafoniche era il TETRACORDO, cioè una successione di quattro suoni discendenti
compresi in una quarta (quasi sempre) giusta.
Tornando ai generi, questi si differenziavano tra loro per la natura degli intervalli compresi :
il GENERE DIATONICO presentava due intervalli di tono e uno di semitono (es. mi-re-do-si);
il GENERE CROMATICO presentava un intervallo di terza minore e due semitoni (es. mi-do
diesis-do-si);
il GENERE ENARMONICO presentava infine un intervallo di terza maggiore e due intervalli di
quarto di tono (es. mi-do-si+quarto di tono-si).
A sua volta ogni genere poteva essere differenziato a seconda della disposizione degli
intervalli all’interno del tetracordo.
Prendendo ad esempio il genere diatonico, possiamo avere un genere diatonico di modo
DORICO (che è quello più antico), caratterizzato dal fatto che il semitono è collocato tra 3° e
4° grado (mi-re-do-si); di modo FRIGIO , col semitono tra 2° e 3° grado (re-do-si-la); di modo
LIDIO, col semitono tra 1° e 2° grado (do-si-la-sol).
I Greci conoscevano scale eptafoniche e dunque l’ottava. Le scale greche, tuttavia si
formavano sempre mediante la successione di due Tetracordi, nel senso che gli otto suoni che
formavano la scala non vanno considerati come 7+1 (come nel moderno sistema tonale), ma
sempre come 4+4, cioè sono ottenuti sempre mediante la successione di due nuclei modali
quali sono i tetracordi.
I Greci definivano le loro scale “Armonie”, e anche in questo caso possiamo notare come il
termine “Armonia” avesse per loro significato del tutto diverso dal nostro. Per i Greci
“Armonia” è soprattutto un concetto filosofico e cosmologico: Armonia è l'ordine
dell'universo, l'unione di anima e corpo, Armonia sono le verità espresse dai numeri, Armonia
è la bellezza ecc. Ma l'armonia è anche espressa dalla musica attraverso le giuste melodie che
restituiscono all'anima il suo ordine turbato dalle passioni.
Tornando alle scale, queste, come abbiamo detto, si ottenevano mediante la successione di
due tetracordi, e nelle armonie fondamentali questi tetracordi erano simili per modo. Abbiamo
di conseguenza tre armonie principali: .
I) ARMONIA DORICA = mi-re-do-si / la-so1-fa-mi
2) ARMONIA FRIGIA = re-do-si-la / sol-fa-mi-re
3) ARMIONIA LIDIA = do-si-la-sol / fa-mi-re-do.
In queste armonie principali possiamo notare la simmetria sussistente tra un tetracordo e
l'altro, uguali per successioni intervallari e separati da una pausa, una sorta di respiro che i
greci chiamavano DIAZEUSI.
Ma altre scale potevano essere ricavate invertendo l'ordine dei tetracordi (il superiore diventa
inferiore); i due tetracordi si incontravano in questo caso su due suoni uguali (rispettivamente
l'ultimo del primo tetracordo e il primo del secondo) che venivano congiunti in uno solo,
chiamato SINAFE’. L'Ottava veniva poi completata del suono mancante con l'aggiunta di una
nota al tetracordo grave, nota che prendeva il nome di PROSLAMBANÓMENOS.
Si ottenevano così le seguenti IPOARMONIE:
I) ARMONIA IPODORICA = la-sol-fa-mi / re-do-si-la
2) ARMONIA IPOFRIGIA = sol-fa-mi-re / do-si-la-sol
3) ARMONIA IPOLIDIA = fa-mi-re-do / si-la-sol-fa.
Ancora importante sarà notare come la congiunzione di due note e l'aggiunta di una nota
supplementare vanno a rompere la simmetria tra i tetracordi (ad esempio in una armonia
ipodorica il primo tetracordo è dorico e il secondo è frigio).
Rilevante è poi il fatto che tutta la teoria greca delle scale diatoniche si compendia poi su un
unico modello di scala, chiamato per questo SISTEMA TÉLEION (cioè perfetto), e che
partiva da un La per terminare su un altro La due ottave sotto, per un totale di 15 suoni. Su
queste scala si potevano eseguire melodie diatoniche di ogni tipo, sia appartenenti ad armonie
principali che derivate. Andrà chiarito poi che l'aver chiamato le note con la nostra
terminologia è un fatto evidentemente dettato comodità, in quanto i Greci per indicare i vari
suoni usavano le lettere dell' alfabeto fenicio per la musica strumentale e greco per quella
vocale.
L'altezza delle note non era stata ancora fissata, quello che invece era stato fissato dai teorici
era il rapporto intervallare tra i suoni, a seconda dei vari generi e modi. Fu il teorico Alìpio a
compilare, nella sua Isagoghe musikè (Introduzione alla musica), le tavole che avrebbero
fornito la chiave per trascrivere le musiche greche a noi pervenute. Il lavoro di Alipio è,
dunque, la più importante fonte della attuale conoscenza della notazione musicale dei greci,
tra cui un completo resoconto del sistema greco di scale, trasposizioni e notazioni musicali.
L'epoca in cui visse è incerta, ma si ritiene che appartenga alla fine del IV secolo.
La musica greca fu esclusivamente monodica (solistica o corale all’unisono), e non conobbe
alcuna pratica polifonica o armonica. E’ possibile invece la pratica della eterofonia, come
suggerisce l’uso del doppio aulòs, con la possibilità di sovrapporre due linee melodiche,
seppure una di sostegno a quella principale.
Quanto al ritmo, i Greci basavano le loro esecuzioni musicali sul ritmo verbale (d'altra parte
la musica greca nasce dalla poesia e dall'epica), cioè seguiva le leggi della metrica. Questa era
di natura quantitativa, dividendo le sillabe in lunghe e brevi. Ma la metrica greca seguiva
anche dei principi melodici: la sillaba lunga infatti non solo poteva durare quanto 2-3 4-5
sillabe brevi, ma veniva anche intonata da una terza a una quinta più in alto delle altre.
L'unione di sillabe lunghe e brevi formava i piedi, l'unione di più piedi formava il verso o
metro. I piedi potevano essere molto vari, anche se quelli fondamentali erano quelli dispari e
quelli pari, formati rispettivamente da: lunga-breve (TROCHEO), breve-lunga (GIAMBO) i
dispari, e: lunga-breve-breve (DATTILO), breve-breve-lunga (ANAPESTO), lunga-lunga
(SPONDEO).
Con il termine “Musica” i Greci intendevano una unione di arti, quali poesia e danza e persino
la medicina e le pratiche magiche.
Quanto alla storia della musica greca sappiamo da fonti letterarie che nell'età arcaica (X -VII
sec. a.C.) la musica occupava un ruolo di grande rilievo nella vita
sociale e religiosa.
Nel periodo arcaico domina, in Grecia, una concezione della
musica che è di tipo magico-incantatorio. e fu in questo periodo
che nacquero racconti mitologici che fanno riferimento al potere
psichico della musica1. Lo strumento associato a questa
dimensione magico-incantatoria fu l'aulos2.
Un altro strumento utilizzato in
Grecia fu la cetra3, strumento
utilizzato, generalmente, per
accompagnare i racconti delle
leggende degli dei e degli eroi. C’è un
mito che dimostra la superiorità che
acquistò, per i greci, la poesia accompagnata dalla cetra. Si tratta
del mito di Atena, dea della sapienza, la quale gettò via l'aulos
perché le deturpava il viso, scegliendo la cetra. C’è, quindi,
quest’idea della superiorità della musica razionale rispetto a quella
irrazionale. Ciò nonostante, vengono riconosciute entrambe le
dimensioni e associate una ad Apollo, l'altra a Dioniso.

Altri strumenti erano la syrinx, simile al flauto dolce; il flauto di Pan, formato da 7 canne
disposte una vicina all'altra e di altezza degradante; la salpinx o tromba. Tra gli strumenti a
percussione si ricordano i tamburi, i cimbali (gli attuali piatti), i sistri e i crotali.
Dopo l' VIII sec., in alcune città dove forte era il senso civile e si dava importanza alla
dimensione collettiva della vita, si sviluppò una produzione di musica corale, affidata ad
eventi celebrativi pubblici sia religiosi che laici.
I principali canti corali furono:
il PEANA (canto in onore del dio Apollo);
il DITIRAMBO (canto in onore del dio Diòniso);
l’INNO (canto in onore degli dei e degli eroi);

1
La forte presenza della componente sonora nella Grecia arcaica viene testimoniata dal fatto che quasi tutti i miti
greci hanno una dimensione sonora (ad esempio, i miti relativi alla nascita degli strumenti, ad esempio il mito
della ninfa Siringa, innamorata di Pan, la quale, per sfuggire a quest’ultimo, venne trasformata in canna. Pan, per
conservare questo legame con la ninfa, tagliò queste canne facendone il suddetto strumento musicale).
2
Era uno strumento a fiato ad ancia doppia, simile al nostro oboe, sacro al culto di Dioniso, dio del vino,
dell'ebbrezza e dell'incantamento. Una striscia di cuoio girava intorno al capo dell'esecutore, aiutandolo a
fermare, tra le labbra, le imboccature dell'aulos doppio, il diaulos, strumento più diffuso dell'aulos semplice.
3
La lira o cetra era ritenuta e sacra al culto di Apollo, il dio della bellezza e simboleggiava una diversa idea della
musica, molto più. razionale di quella associata al dio Dioniso. Era formata da una cassa di risonanza dalle cui
estremità salivano due bracci collegati in alto da un giogo. Tra la cassa e il giogo erano tese le corde: dapprima 4,
poi 7 (merito attribuito erroneamente al poeta- musico Terpandro), poi un numero maggiore. Si suonava
pizzicando le corde con un plettro solitamente d'avorio. Varietà della lira erano la forminx degli aedi, la pectis
lidia, la grande magadis.
l'IMENEO (canto per le nozze);
il TRENOS (canto per i morti);
il PROSODO (canto per le processioni);
il PARTENIO (canto di fanciulle).
Spesso i canti erano accompagnati dalla cetra e questa pratica di canto e cetra chiamava
CITARODIA; oppure il canto era accompagnato dall’aulòs ed in questo caso parliamo di
AULODIA. Non mancavano anche musiche tipicamente strumentali: per sola cetra (musica
citaretica) o per solo aulos (musica auletica).
Verso la fine del periodo arcaico cominciò a svilupparsi anche una lirica monodica, affidata
ad una voce sola ed eseguita in contesti conviviali. Monodiche furono, ad esempio, le
intonazioni con cui si declamavano i poemi omerici e la lirica delle epoche alessandrina e
romana.
Proprio nel campo della lirica monodica, nel VII sec. a.C. a Sparta, città aristocratica, spicca
la figura del poeta-musico TERPANDRO4 al quale si deve il grande sviluppo del NOMOS.
Il NOMOS era una forma vocale-strumentale nella quale il compositore-esecutore era
obbligato a seguire determinati schemi melodici, ritmici, timbrici, fissati dalla tradizione del
luogo. Infatti la parola greca Nomos significa letteralmente “legge”: proprio questa forma
testimonia come il musicista greco dell’età arcaica non avesse ancora sviluppato una pratica
razionale e professionale nella musica, ma più che altro si attenesse ad una pratica istintuale,
guidato solo dai modelli della tradizione.
In ogni caso nella unione con la poesia la musica raggiunse già alti livelli in questo secolo,
come con la poetessa Saffo, direttrice nell' isola di Lesbo di un collegio per fanciulle dove la
musica ha un grande spazio, e con Alceo, autore di canti politici e conviviali.
Un momento importante si registra anche nella musica durante l'età classica (VI -V sec a.C.)
quando la cultura ateniese sotto il grande re Pericle conobbe la massima fioritura. Nel VI sec.
nascono nuove credenze religiose, quali il culto per Orfeo, antichissimo semidio che,
cantando con l'accompagnamento della Lira, placa gli dei dell'oltretomba e ferma la natura.
Continua a praticarsi poi il culto per Dioniso e per Apollo, il primo dio dell’ebbrezza e
dell’entusiasmo artistico, il secondo dio della bellezza e della ragione.
Proprio durante la festa per gli dei, in alcune regioni della Grecia venivano istituiti dei
concorsi drammatici ai quali si concorreva con tragedie, commedie e drammi satireschi, e a
cui i cittadini erano tenuti ad assistere, in quanto si riteneva che il teatro avesse la capacità di
liberare l’animo umano dalle passioni violente (teoria della CATARSI).
Sebbene anche fra i popoli primitivi esistano forme di recitazione teatrale, la tragedia è
un'invenzione originale e senza precedenti dello spirito greco. Nelle prime arcaiche
rappresentazioni, che si svolgevano durante le feste di Dioniso, l'azione era svolta da mimi
mentre le necessarie spiegazioni erano affidate al coro. La nascita della tragedia si ebbe, nel V
sec. a.C., quando i mimi furono sostituiti da attori parlanti e la storia (che fino ad allora si
limitava a ripetere le gesta del dio) cominciò ad essere scritta dai grandi classici ESCHILO,
SOFOCLE ed EURIPIDE. Ciò non determinò tuttavia la scomparsa del coro che rimase un
elemento peculiare della tragedia greca (sconosciuto in quella moderna). Al coro, infatti.
come voce parlante dall'esterno, è affidato l'essenziale compito del commento,
dell'interpretazione (politica, filosofica) degli avvenimenti rappresentati.

4
A Terpandro fu riconosciuto il merito di aver raccolto, classificato e denominato le melodie in base alla loro
origine geografica (una melodia che veniva dalla regione dorica venne chiamata dorica, dalla regione frigia,
frigia…)
Alla tragedia, come detto, era affidato un forte valore etico e formativo: nelle vicende narrate
sulla scena si esprimono in modo esemplare le nozioni sulle quali è necessario che il buon
cittadino rifletta5.
Il legame con gli antichi riti in onore di Dioniso (il Dio ingiustamente ucciso, ancora
fanciullo, dai Titani) è riscontrabile anche nei contenuti della tragedia. Secondo la definizione
di Aristotele, tragico è ciò che mette in evidenza l'assurdità dell'esistenza, le vicende che
"suscitano pietà e terrore", in cui persone incolpevoli sono punite per colpe che non hanno
commesso o sono invischiate in situazioni irresolubili.
Questa cruda rappresentazione della realtà della vita, in cui manca la mistificazione del "lieto
fine" conduce ad una purificazione delle emozioni che Aristotele chiama catarsi: la tragedia
insegna a padroneggiare il dolore e l'insensatezza della vita sviluppando una forma di
abitudine all'idea della morte e della soluzione inevitabilmente "tragica" di ogni vicenda di
vita.

La diversità della tragedia greca rispetto alle


rappresentazioni moderne è visibile anche nell'architettura
del teatro antico. Tra la scena su cui recitavano gli attori e la
platea, vi era una zona centrale denominata orchestra,
attorno a cui si disponevano gli spettatori, occupata dal
coro. II coro, dunque, è uno spettatore ideale; non interviene
nell'azione ma interagisce con gli attori commentando lo
sviluppo dell'azione.

La tragedia era così strutturata: Prologo recitato; Stasimo (Canto corale); Episodio recitato;
Stasimo; Episodio recitato; Stasimo e così via fino all'Esodo, momento conclusivo recitato e a
volte anche cantato.
Nella tragedia la musica ebbe via via sempre più spazio, cosi che con Euripide essa è fatta
ormai non solo di canti corali e di assoli strumentali (in particolare per aulos) ma anche di
vere e proprie “arie” cantate dagli attori.
Con l'età l'ellenistica (IV -II sec. a..C.) la musica perde tutta la sua natura religiosa e diventa
una manifestazione naturale puramente sonora o al massimo psicologica. Si afferma il
virtuoso professionista, non si rispettano gli antichi Nomoi e sorgono schemi melodici nuovi,
nascono scuole di musica e si istituisce il repertorio. L'antico mistero della musica greca
lascia ora il posto ad una pratica moderna e professionale che, tuttavia, che non sopravviverà
alla scomparsa di quella antica e grandissima civiltà.

5
Ad Atene era l'unica occasione sociale cui potevano assistere anche le donne e persino gli schiavi; lo stato
favoriva l'universale partecipazione con "gettoni di 'presenza": contrariamente all'uso moderno il cittadino veniva
pagato per assistere alle rappresentazioni.

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