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Massimo Mazza

Fotografia digitale
Io parto da Zero
Seconda Edizione

La guida per chi inizia


il suo viaggio nella fotografia digitale
Copyright 2017-2020 Massimo Mazza
Tutti i diritti riservati

Scritto e pubblicato da: Massimo Mazza


Prima edizione: febbraio 2017 (v0D0B17)
Elenco revisioni: 0D0B17, BG0A18, AE0I18, 0B0D19, 0E0E19
Seconda edizione: aprile 2020 (vAD0D20)
Elenco revisioni: AD0D20

Tutti i diritti sono riservati. Nessuna parte di questo libro può essere
riprodotta, memorizzata o trasmessa in alcuna forma o con alcun mezzo
senza autorizzazione scritta da parte dell’autore.
Le informazioni incluse in questo libro sono state verificate e documentate
con la massima cura possibile. Nessuna responsabilità derivante dal loro
utilizzo potrà essere imputata all’autore.
Le immagini hanno lo scopo di semplificare la comprensione delle nozioni
e dei concetti presentati al lettore. Dove possibile, per ogni immagine è
stata espressamente indicata la fonte. Le immagini dei prodotti (ad
esempio, le immagini delle fotocamere digitali, degli obiettivi o degli
accessori) non rappresentano dei suggerimenti per l’acquisto. Tutte le
immagini appartengono ai rispettivi proprietari.
Una fotografia non è né catturata né presa con la forza.
Essa si offre. È la foto che ti cattura.
Henri Cartier-Bresson
Sommario

Introduzione alla seconda edizione


Prefazione
Parte I – Fotocamere, acquisizione dell’immagine, obiettivi
Tipi di fotocamere digitali
Come si impugna una macchina fotografica
Funzionamento di una fotocamera digitale
Megapixel, dimensione dei sensori, rumore digitale e aspect ratio
L’obiettivo: caratteristiche e difetti
Parte II – Nozioni relative allo scatto fotografico
Il triangolo dell’esposizione
Modalità di calcolo dell’esposizione
Istogramma e compensazione dell’esposizione
Scatto in priorità dei tempi, priorità di diaframma, manuale
Modalità di messa a fuoco
Scatto in JPEG, scatto in RAW
Carta di identità di una fotografia: i dati Exif
Lo spazio colore
10 suggerimenti di base per la composizione fotografica
Parte III – Nozioni accessorie
Brevi cenni di teoria del colore
I principali accessori fotografici
Backup delle fotografie
Conclusione
Autore e contatti
Introduzione alla seconda edizione
Quando per la prima volta mi sono dedicato alla stesura di Fotografia
Digitale, Io parto da Zero i dubbi erano davvero molti.
Volevo realizzare un libro per i tanti appassionati che vivono la fotografia
come un hobby e che hanno poca o nessuna esperienza ma mi domandavo
se mai sarei riuscito a raccogliere con questo lavoro qualche
apprezzamento.
Oggi, a distanza di alcuni anni dalla prima edizione, posso affermare che il
riscontro che il libro ha ricevuto è andato ben oltre qualsiasi aspettativa e
di questo sono riconoscente a tutti i lettori.
In particolare, mi ha fatto molto piacere ricevere messaggi via email e via
social e leggere le numerose e positive recensioni.
È da questo entusiasmo che prende vita la seconda edizione di Fotografia
Digitale, Io parto da Zero che apporta al testo originario nuove idee ed i
suggerimenti raccolti nel tempo.
Il risultato che mi auguro di aver raggiunto è quello di un libro ancora più
chiaro e pratico, migliorato nei punti più critici della prima pubblicazione.
Questa seconda edizione 1) semplifica ulteriormente i passaggi più
complessi che sono stati totalmente riscritti o riformulati, 2) arricchisce
alcune parti e rende più leggere altre, 3) aggiorna quei contenuti che si è
reso necessario tenere al passo con i tempi e 4) aggiunge il supporto di un
numero più consistente di immagini di esempio.
Ultimo ma non meno importante, troverai nel corso della lettura anche
degli esercizi affinché tu possa sperimentare nella pratica e con la tua
fotocamera quanto hai appena appreso nella teoria.
Buona lettura!
Prefazione
Mi sono avvicinato alla fotografia digitale con il classico approccio punta
e scatta , era il 2002 e avevo appena acquistato una fotocamera compatta
Kodak da 2 megapixel. A quel tempo, fotografare significava per me
portare a casa delle immagini ricordo. Solo 10 anni più tardi, tra picchi di
passione e cali di interesse, è arrivata la svolta grazie all’acquisto, nel
2012, di una fotocamera reflex.
È da quel momento che ho iniziato ad interessarmi di fotografia più
seriamente. Ho compreso che dovevo prendere una decisione: continuare a
scattare come sempre, senza regole e con risultati alquanto discutibili
oppure evolvere e apprendere le necessarie conoscenze.
Ho scelto la seconda strada. Ho iniziato a leggere libri e a documentarmi
su Internet ma è stata una ricerca lunga e disordinata, mi muovevo tra
numerosi siti web prendendo da ciascuno gli spunti che ritenevo essere i
migliori ed i più utili.
La guida che ora stai leggendo, rivolta nello specifico all’appassionato di
fotografia che parte da zero , nasce dalla volontà di mettere assieme, in un
testo organico di semplice comprensione, i principi appresi e l’esperienza
che ho maturato negli ultimi anni. Scoprirai un approccio alla fotografia
completamente nuovo!
Fotografare è infatti molto più di inquadrare e scattare, se conosci le
regole puoi realizzare immagini nettamente migliori rispetto a quelle che
hai prodotto fino ad oggi.
Il testo è suddiviso in tre parti: la prima, introduttiva, spiega come viene
acquisita un’immagine digitale e presenta importanti caratteristiche delle
fotocamere e degli obiettivi; la seconda è dedicata a tecniche e concetti
senza i quali sarebbe impossibile padroneggiare lo scatto fotografico; la
terza, conclusiva, è stata pensata a completamento delle prime due e offre
dei cenni sulla teoria del colore, una descrizione dei principali accessori
utilizzati in fotografia e un importantissimo paragrafo sul backup delle
immagini.
Sebbene il testo non ti obblighi a possedere una fotocamera, l’averne una
ti permetterà di svolgere gli esercizi proposti e di testare sul campo quanto
appreso. Inoltre, benché molti argomenti siano applicabili alla fotografia
in generale, alcuni sono più specificatamente rivolti a chi utilizza una
fotocamera di tipo reflex o mirrorless.
L’ordine dei contenuti è stato sviluppato seguendo un filo logico che
posiziona ogni elemento laddove è realmente necessario, in rari casi
troverai qualche concetto anticipato rispetto alla sua spiegazione completa
che comunque otterrai nel proseguo della lettura. Sono anche ricorso a
molti esempi, rinunciando al rigido rigore tecnico che spesso si rivela,
almeno per chi inizia, più un ostacolo che un aiuto.
Poiché tutti gli argomenti presentati hanno un impatto devastante nella
pratica fotografica, il mio suggerimento è di non tralasciare nulla durante
la lettura. Ti invito, inoltre, a svolgere gli esercizi presenti nel libro perché
ti saranno estremamente utili non solo per fare tuoi i concetti oggetto
dell’esercizio stesso ma anche per familiarizzare con i comandi e le
caratteristiche della tua fotocamera… a proposito, hai letto il suo manuale
d’uso, vero? Temo di sapere la risposta!
Preparati a dire addio agli automatismi e all’approccio punta e scatta , il
tuo viaggio nella fotografia digitale sta per iniziare!

P.S. Nel paragrafo Autore e contatti troverai un link per scaricare un quiz
sulle nozioni apprese.
Nota. Questo ebook contiene numerose fotografie di esempio a colori. Non
tutti i lettori di ebook potrebbero essere in grado di visualizzarle.
Parte I – Fotocamere, acquisizione dell’immagine, obiettivi

Tipi di fotocamere digitali


In commercio non esiste un’unica tipologia di fotocamera digitali. Nel
tempo, i produttori hanno sviluppato dispositivi con caratteristiche
differenti, pensati per rispondere alle esigenze e ai gusti di consumatori
differenti. Ad oggi, le macchine fotografiche in commercio appartengono
a quattro categorie principali:

1. compatte
2. bridge
3. reflex
4. mirrorless

Compatte
Le fotocamere che si possono definire realmente compatte hanno un
ingombro ridotto e un peso minimo (circa 150 gr) tanto da poter essere
comodamente riposte in una tasca. Questi apparecchi sono normalmente
privi di un mirino (se presente, il mirino è di tipo elettronico ossia
l’immagine viene riprodotta da un piccolo monitor che si trova, appunto,
nel mirino) e presentano un obiettivo che non può essere cambiato. Nella
stragrande maggioranza dei casi, le compatte dispongono di uno zoom che
permette di passare da una inquadratura a grandangolo (ampia) ad una
teleobiettivo (ristretta).
In altre parole, agendo sui comandi dello zoom il fotografo può avvicinare
o allontanare il soggetto a seconda delle esigenze di composizione
dell’immagine. Esistono, tuttavia, anche compatte a focale fissa ovvero
prive di zoom.
La potenza dello zoom viene espressa con un fattore di moltiplicazione.
Ad esempio, una compatta con obiettivo da 8.8mm in grado di arrivare a
176mm mostrerà la scritta 20x optical zoom (8.8 x 20 = 176). Le
compatte che montano obiettivi con uno zoom molto potente vengono
anche definite fotocamere compatte superzoom , in questi apparecchi il
fattore di moltiplicazione può arrivare e superare 30x.
Se prive di mirino, le compatte costringono il fotografo a comporre
l’immagine nello schermo LCD posto sul retro. Questo sistema può
rappresentare un problema in presenza di forte luminosità ambientale, in
quanto la lettura dello schermo potrebbe risultare complessa a causa del
bagliore e dei riflessi.
Le compatte di base non offrono ghiere per modalità di scatto avanzate
(esempio priorità dei tempi o priorità di diaframma o manuale ) in quanto
sono pensate per un utilizzo da parte di consumatori più inclini a sfruttare
gli automatismi e le eventuali scene preimpostate dal produttore (esempio:
fuochi d’artificio, ritratto, panorama, sport, ecc.).
Attenzione però a non generalizzare e a considerare le fotocamere
compatte come macchine fotografiche di livello basso e dal prezzo
trascurabile. Se questo è vero in molti casi, è altrettanto vero che esistono
fotocamere compatte, dette anche compatte premium , che presentano
caratteristiche di scatto avanzate, simili a mirrorless e reflex. Si tratta di
apparecchi il cui costo può superare abbondantemente i 500-600 euro.

Fotocamera compatta Nikon Coolpix S620


(Fonte immagine: Nikon, www.nikonusa.com )
Bridge
In inglese bridge significa ponte , queste fotocamere digitali sono così
chiamate perché idealmente si pongono come una sorta di collegamento
tra compatte e reflex . Le bridge sono apparecchi con dimensioni e peso
(circa 450 gr) superiori alle compatte pur senza arrivare alla “prestanza”
di una reflex.
Le bridge possono essere dotate di mirino elettronico oppure esserne
prive, permettono modalità di scatto avanzate (esempio priorità dei tempi
o priorità di diaframma o manuale ) e dispongono generalmente di uno
zoom molto potente, con un fattore di moltiplicazione che può arrivare
anche a 60x o più.
Le fotocamere bridge, come le compatte, non permettono il cambio
dell’obiettivo che è integrato nel corpo macchina.

Fotocamera bridge Canon PowerShot SX540 HS


(Fonte immagine: Canon, www.canon-europe.com )

Reflex
Le fotocamere appartenenti alla categoria reflex (dette anche DSLR =
Digital Single-Lens Reflex ) rappresentano il tipo di apparecchio più
utilizzato dai professionisti e dagli appassionati evoluti di fotografia
digitale, oggi sempre più incalzate dall’avanzare delle fotocamere
mirrorless . Il nome reflex ossia riflesso deriva dalla presenza all’interno
della macchina fotografica di un piccolo specchio; l’immagine che entra
dall’obiettivo viene riflessa dallo specchio e tramite un gioco di riflessi
arriva al mirino ottico (quindi non elettronico).
Lo specchio è chiaramente visibile togliendo l’obiettivo, esso si presenta
come una superficie riflettente inclinata normalmente di 45° per riflettere
la luce verso il pentaprisma posizionato più in alto; ti presenterò una
spiegazione più accurata nel capitolo Funzionamento di una fotocamera
digitale .
Le reflex appaiono con un corpo macchina e un peso (900-1000 gr, solo
corpo) più “imponente” rispetto a tutte le altre tipologie di fotocamere,
dispongono di serie complete di obiettivi intercambiabili, offrono funzioni
di scatto avanzate, usufruiscono di un mirino ottico e possono
avvantaggiarsi di numerosi accessori come flash, filtri, dispositivi per lo
scatto remoto, ecc.
Le reflex si suddividono in fotocamere APS-C e FULL-FRAME in base
alle dimensioni fisiche del sensore che montano. Esistono anche reflex di
tipo APS-H , un formato di sensore intermedio tra APS-C e FULL
FRAME ma meno diffuso. Le fotocamere APS-C utilizzano un sensore più
piccolo e offrono una qualità di immagine di solito inferiore alle FULL-
FRAME che rappresentano il meglio a cui può aspirare un fotografo.
La dimensione dei sensori e l’importanza ai fini della qualità di una
fotografia sarà spiegata in un successivo capitolo.
Le reflex fanno uso di obiettivi intercambiabili e si possono trovare in
vendita come solo corpo macchina oppure in kit, corpo macchina +
obiettivo.
Fotocamera reflex Canon EOS 5D Mark IV
(Fonte immagine: Canon, www.canon-europe.com )

Mirrorless
É la più recente categoria di fotocamere digitali, sul mercato solo da
alcuni anni ma attorno alle quali vi è un gran fermento. La parola
mirrorless significa privo di specchio ed è proprio grazie all’assenza dello
specchio (e di conseguenza anche del pentaprisma) che i costruttori sono
riusciti ad ottenere fotocamere di dimensioni e peso (circa 300-450 gr,
solo corpo) più contenuti rispetto ad una reflex.
Viene da commentare che anche le compatte e le bridge sono prive di
specchio, in realtà però le differenze più rilevanti sono altre: 1) le
mirrorless offrono al fotografo la flessibilità di poter cambiare l’obiettivo;
2) le mirrorless, come le reflex, possono montare un sensore di tipo APS-
C oppure FULL-FRAME e quindi realizzare fotografie di qualità
superiore a confronto con compatte e bridge che utilizzano sensori di
dimensione più piccola; 3) le mirrorless, come le reflex, si avvantaggiano
della possibilità di utilizzare svariati accessori.
In definitiva, le mirrorless hanno un corpo macchina che per dimensioni e
peso può assomigliare ad una compatta oppure ad una bridge ma offrono
tutte le funzionalità di una reflex.
Non è un segreto, infatti, che i produttori stiano cercando di portare i
sistemi mirrorless a soppiantare i sistemi reflex, avendo ormai le prime
raggiunto per qualità e caratteristiche le seconde. Anche tra gli stessi
fotografi sono all’ordine del giorno le discussioni tra i due sistemi e tra
chi preferisce l’uno all’altro o vede la superiorità di uno sull’altro.
A seconda della fascia di prezzo, le mirrorless possono disporre di un
mirino elettronico (in assenza di specchio e pentaprisma non possono
montare un mirino ottico come le reflex) oppure esserne prive.
Poiché gli obiettivi sono intercambiabili, anche le mirrorless possono
essere vendute come solo corpo macchina oppure in kit, corpo macchina +
obiettivo.

Fotocamera mirrorless Nikon Z 7


(Fonte immagine: Nikon, www.nikonusa.com )
Come si impugna una macchina fotografica
Benché possa sembrare ininfluente, in realtà la corretta impugnatura della
macchina fotografica incide sullo scatto della fotografia; l’argomento
dunque non è mera pignoleria.
Uno dei fattori che spesso grava sulla nitidezza di una immagine è infatti
il micromosso ossia il tremolio che il fotografo trasmette alla macchina
fotografica nell’utilizzo a mano libera.
Impugnare correttamente la fotocamera serve ad assumere una postura in
grado di ridurre il micromosso anche se vedremo, parlando di obiettivi,
come la tecnologia venga in aiuto al fotografo su questo punto.

Impugnatura orizzontale
Nell’impugnatura orizzontale i gomiti vanno tenuti il più possibile
vicino al corpo in modo da ridurre le vibrazioni, il palmo della mano
sinistra sorregge la fotocamera mentre le dita agiscono sulle ghiere
dell’obiettivo. La mano destra impugna la fotocamera e l’indice è
posizionato sul pulsante di scatto.
Impugnatura per scatti orizzontali

Impugnatura verticale
Nell’impugnatura verticale , il braccio sinistro è vicino al corpo e il
palmo della mano sorregge la fotocamera. Il braccio destro, il cui gomito
sarà necessariamente sporgente, porta la mano ad impugnare la
fotocamera con l’indice sul pulsante di scatto.

Impugnatura per scatti verticali

I suggerimenti appena visti si applicano a reflex , mirrorless e bridge ossia


a macchine fotografiche con una certa dimensione e peso. Per
l’impugnatura delle compatte, piccole e leggere, è comunque bene
utilizzare entrambe le mani e le posture indicate ma normalmente per
sostenere l’apparecchio si impiegano solo pollice e indice e non il palmo
della mano.

{Esercizio}
Osserva le immagini di esempio relative all’impugnatura orizzontale e
verticale, quindi prendi la tua fotocamera e posizionati davanti ad uno
specchio verificando la tua postura e apportando dei correttivi se
necessario.
{Fine }
Funzionamento di una fotocamera digitale
Il termine fotografia è formato da due parole di origine greca: phos (luce)
e graphis (grafia). Fotografia significa scrivere con la luce . Da questa
semplice definizione ne deriva che non è possibile registrare
un’immagine in assenza di luce . Il funzionamento di una fotocamera
digitale si basa quindi sulla possibilità di concentrare la luce che entra
dall’obiettivo su un piano focale, rappresentato da un chip di silicio, detto
sensore .
Il sensore è capace di trasformare il segnale luminoso in numeri ossia
nell’immagine digitale.

Il sensore di una fotocamera digitale


(Fonte immagine: Nikon, www.nikon.com )

I sensori comunemente utilizzati nelle macchine fotografiche digitali sono


di due tipi:

CCD (Charge Coupled Device o dispositivo ad accoppiamento di


carica)
CMOS (Complementary Metal-Oxide Semiconductor o
semiconduttori metallo-ossidi complementari) detto anche APS
(Active Pixel Sensor )
La superficie del sensore è realizzata con elementi fotosensibili , una
matrice (griglia) di fotodiodi in grado di trasformare l’intensità della luce
in segnali elettrici di tipo analogico . Il segnale analogico viene
successivamente amplificato e trasformato in digitale attraverso un
apposito convertitore A/D (Analogico/Digitale).
Al termine del processo di conversione si ottiene una rappresentazione del
segnale luminoso come sequenza di bit ossia di valori numerici che
rappresentano l’immagine digitale.
Mentre nei CCD il convertitore A/D è esterno al sensore (il segnale esce
dal CCD in formato analogico per poi essere trasformato in digitale), nei
CMOS i fotodiodi hanno ciascuno un proprio amplificatore e un proprio
convertitore (il segnale esce dal CMOS in formato digitale). In linea di
massima, i CCD assicurano una migliore qualità rispetto ai CMOS, nei
primi infatti i fotodiodi sono impegnati esclusivamente nella lettura della
luce mentre nei secondi ogni fotodiodo si accompagna ad altri circuiti che
ne riducono la capacità di catturare il segnale luminoso.
Nel tempo, però, i progressi ottenuti nella progettazione dei CMOS hanno
portato a realizzare sensori di ottima qualità con costi di implementazione
inferiori ai CCD. Oggi, guardando le specifiche tecniche delle fotocamere
digitali sul mercato, dalle entry-level (di base) alle top di gamma , il
sensore utilizzato nella stragrande maggioranza dei casi è di tipo CMOS.

La gestione del colore


Parlando della trasformazione dell’intensità luminosa in segnale elettrico
ti sarai probabilmente accorto che non ho mai fatto riferimento al colore e
questo perché semplicemente il colore non c’è !
Gli elementi fotosensibili, i fotodiodi, sono sensibili all’intensità della
luce ma non al colore: il sensore lavora in bianco e nero . Come è
possibile, allora, ottenere un’immagine a colori?
I progettisti hanno aggirato il problema posizionando davanti al sensore un
filtro capace di scomporre la luce nei colori primari Rosso (Red=R ),
Verde (Green=G ) e Blu (Blue=B ). Tale filtro, indicato genericamente
come CFA o Color Filter Array , è chiamato filtro RGB .
Il sensore in fase costruttiva viene ricoperto da un filtro RGB ossia da una
scacchiera (mosaico) costituita da elementi sensibili ai colori Rosso,
Verde e Blu che portano ad ogni singolo fotodiodo solo la corrispondente
frequenza di luce.
Esistono differenti matrici con differenti disposizioni degli elementi
sensibili ai colori, tuttavia, il CFA più impiegato è la matrice Bayer , dal
nome del ricercatore Bryce Bayer di Kodak che per primo la propose.
Nello schema di Bayer, gli elementi sensibili al Verde sono presenti in
misura doppia rispetto a quelli sensibili al Rosso e al Blu, questo perché il
nostro occhio è più sensibile alla lunghezza d’onda del verde.
Se immaginiamo una porzione della matrice Bayer di 4 celle (2x2): 2 sono
Verdi (50%), 1 Rossa (25%) e una Blu (25%).

Matrice di Bayer a ricoprire i fotodiodi del sensore

Poiché davanti ad ogni fotodiodo è presente una sola cella della matrice di
Bayer (cella di colore Rosso o Verde o Blu) ne consegue che il fotodiodo
stesso può interpretare solo 1 dei 3 dei colori primari disponibili.
Se un fotodiodo può memorizzare un solo colore (R o G o B) come può il
sensore restituirne svariati milioni?
Un’immagine digitale è formata da pixel (punti), ognuno dei quali per
essere rappresentato graficamente ha bisogno di informazioni complete
sulla tripletta RGB (cioè un valore per R, G e B).

Esempio

bianco = RGB (255, 255, 255)


acquamarina= RGB (127, 255, 212)
arancione = RGB (255, 165, 0)

É a questo punto che entra in gioco il cosiddetto algoritmo di


demosaicizzazione .
Si tratta di un complesso calcolo matematico dove le 2 componenti
mancanti vengono ricostruite sulla base della lettura dei valori dei
fotodiodi adiacenti. In altre parole, 2 componenti colore su 3 non sono
realmente acquisite dalla fotocamera ma sono ottenute con calcoli
matematici di interpolazione .
Diversamente, sarebbe necessario predisporre in ogni fotocamera 3 sensori
ognuno dedicato ad una componente colore (R, G, B) con costi superiori e
problematiche tecniche aggiuntive.
In realtà, il sensore Foveon (prodotto da Foveon Inc.) è in grado,
sfruttando la capacità del silicio di assorbire i fotoni in modo progressivo,
di registrare contemporaneamente per ogni pixel le componenti
cromatiche della luce. Tale sensore impiega tre strati sovrapposti di
fotodiodi, il primo sensibile al Blu (B), il secondo al Verde (G) e il terzo al
Rosso (R). Nelle fotocamere che impiegano il sensore Foveon non viene
quindi utilizzata alcuna matrice di Bayer e nessun algoritmo di
demosaicizzazione.
Spiegato come il sensore acquisisce l’immagine, sei ora pronto per vedere
cosa accade appena prima, durante e dopo la pressione del tasto di scatto.
In una fotocamera reflex avviene esattamente questo:

prima – La scena è visibile nel mirino ottico. La luce, entrando


dall’obiettivo e attraversando più lenti, viene deviata dallo
specchio (abbassato a copertura del sensore che quindi non è
colpito dalla luce) su un pentaprisma con lo scopo di raddrizzare
l’immagine e di farla apparire correttamente orientata nel mirino.
Dopo aver composto l’inquadratura, la pressione fino a metà corsa
del pulsante di scatto attiva il sistema di autofocus. Quando la
scena è a fuoco sei pronto per scattare la fotografia con la
pressione del pulsante fino a fine corsa.

Lo specchio abbassato a coprire il sensore in una fotocamera reflex

durante – Lo specchio si solleva, il mirino ottico diventa buio


(poiché la luce non viene più riflessa dallo specchio sul
pentaprisma), l’otturatore si apre (si tratta di un dispositivo in
grado di far arrivare la luce al sensore solo per un tempo
predefinito), il sensore viene esposto alla luce e si innesca il
processo di acquisizione dell’immagine descritto in precedenza.
L’otturatore permette di far arrivare la luce al sensore per un tempo X
(Fonte immagine: Canon, www.canon-europe.com )

dopo – Trascorso il tempo predefinito l’otturatore si chiude


impedendo che ulteriore luce arrivi al sensore, lo specchio torna
nella posizione di partenza deviando nuovamente la luce sul
pentaprisma e l’immagine inquadrata torna visibile nel mirino. Sei
pronto a comporre e a scattare una nuova fotografia.
Schema di funzionamento di una fotocamera reflex
La scena “entra” dall’obiettivo (A), rimbalza sullo specchio abbassato
(B), viene raddrizzata del pentaprisma (C) ed “esce” correttamente
orientata dal mirino (D). Nel momento dello scatto lo specchio si solleva
(B, linea tratteggiata) e la scena può arrivare al sensore (E) dove viene
acquisita.

Nelle fotocamere prive di specchio (compatte, bridge e mirrorless)


l’immagine si forma direttamente sul sensore che la rimanda al monitor
posto sul retro della macchina fotografica oppure al mirino elettronico.
Quando, dopo aver ottenuto la conferma di messa a fuoco, si preme il tasto
di scatto fino a fine corsa l’immagine viene acquisita.
Il salvataggio finale del file della fotografia è fatto su una scheda di
memoria flash (flash memory ), tipicamente una Secure Digital (SD)
oppure una CompactFlash (CF).
Il file può essere nel comune formato JPEG (.jpg) oppure, se disponibile,
in un formato proprietario detto RAW, con estensione differente a seconda
del produttore e del modello di fotocamera (esempio .cr2 di Canon, .nef di
Nikon, .raf di Fuji, .arw di Sony, ecc.).
Infine, collegando la macchina fotografica ad un computer tramite
l’apposito cavetto USB, in genere fornito a corredo, è possibile trasferire
le fotografie dalla scheda di memoria al computer per una successiva fase
di elaborazione detta post-produzione .

***

Il click in fase di scatto . Il classico rumore di scatto è, nelle reflex, un


rumore meccanico dovuto al ribaltamento dello specchio. Un rumore
simile, nelle fotocamere prive di specchio (compatte, bridge e mirrorless)
è ottenuto riproducendo un file audio. A volte in questo genere di
fotocamere è anche possibile modificare il suono associato allo scatto o
addirittura togliere qualsiasi effetto, nelle reflex non è possibile uno scatto
totalmente silenzioso.
Megapixel, dimensione dei sensori, rumore digitale e aspect ratio
I produttori da sempre puntano sul numero di megapixel (milioni di pixel
o anche MP) come messaggio marketing per promuovere le proprie
fotocamere digitali. Tale numero esprime la quantità di pixel che compone
l’immagine e quindi, indirettamente, quali sono le dimensioni massime
(larghezza x altezza) della fotografia.
Esempio di megapixel e corrispondenti dimensioni massime
dell’immagine

18MP – 5184 x 3456 (17.915.904 pixel)


24.2MP – 6000 x 4000 (24.000.000 pixel)
30.4MP – 6720 x 4480 (30.105.600 pixel)
Un’immagine formata da più pixel offre una maggiore possibilità di
ingrandimento in fase di stampa e in linea di principio una maggiore
qualità.
Nella pratica, la qualità di un’immagine non dipende in modo assoluto dal
numero di megapixel. Affermare che una fotocamera da 24MP scatta foto
di qualità superiore rispetto ad una fotocamera da 18MP non è
necessariamente vero.
Anzi, una vecchia reflex da 12MP sicuramente scatterà foto migliori di
una recente compatta da 20MP.

Perché?
Qui entra in gioco la dimensione fisica del sensore e una constatazione
molto semplice ma alquanto importante: più il sensore è di dimensioni
generose e migliore sarà la qualità dell’immagine .
Come abbiamo visto nel capitolo Funzionamento di una fotocamera
digitale , la superficie del sensore è costituita da fotodiodi sensibili alla
luce. Nei sensori di grandi dimensioni i fotodiodi hanno a loro volta
dimensioni più grandi, di conseguenza sono più sensibili alla luce e sono
in grado di catturarne di più.
Inoltre, una superficie del sensore più grande permette ai fotodiodi di
avere più “spazio” tra loro con il vantaggio che tra i componenti
elettronici si vengono a creare minori interferenze all’origine del
cosiddetto rumore digitale .
Il rumore digitale si manifesta nelle fotografie con un fastidioso e
inestetico disturbo (grana ) causato dalla presenza di pixel che hanno
luminosità e cromia anomale. Il primo, detto disturbo di luminanza , è
causato dall’impiego di alti valori ISO mentre il secondo, detto disturbo
di crominanza , è influenzato dalla temperatura del sensore .
Nell’ingrandimento dell’immagine poco più sotto è ben visibile il rumore
di luminanza , infatti sul volto della statuina la grana è evidente. Questa
fotografia è stata scattata a ISO 6400 mentre, come vedremo tra
pochissimo, la stessa immagine scattata a ISO 100 ha una qualità
decisamente migliore a dimostrazione di come un elevato valore ISO
influenzi la quantità di rumore digitale.
È bene ricordare però che ogni modello di fotocamera ha un proprio
livello di tolleranza al rumore . Due differenti macchine fotografiche,
seppur equipaggiate con un sensore di pari dimensione, produrranno allo
stesso valore ISO un rumore digitale di diversa intensità. In post-
produzione la luminosità anomala dei pixel può essere discretamente
corretta.
Esempio di rumore digitale con disturbo di luminanza causato
dall’impiego di un valore ISO medio-alto (ISO 6400)

Nell’ingrandimento della successiva immagine (una montagna che si


specchia nelle acque di un lago) è invece ben visibile il rumore di
crominanza , infatti, si notano pixel di diversi colori. Questa fotografia è
stata scattata a ISO 100 con un tempo di esposizione di 130” (2 minuti e 10
secondi), durante questo periodo la temperatura del sensore, a causa
dell’esposizione prolungata alla luce, si è innalzata dando origine al
disturbo. In post-produzione la cromia anomala dei pixel può essere quasi
totalmente corretta.

Esempio di rumore digitale con disturbo di crominanza causato da un


innalzamento della temperatura del sensore a seguito di una lunga
esposizione da 130”

Le dimensioni dei sensori che equipaggiano le moderne fotocamere


digitali varia da produttore a produttore e da modello a modello, le più
comuni includono (LxA):

sensore FULL-FRAME : 36,0 x 24,0 mm


sensore APS-H : 28,1 x 18,7 mm
sensore APS-C : 22,5 x 15,0 mm
sensore 4/3 : 18,0 x 13,5 mm
sensore micro 4/3 : 17,3 x 13,0 mm
sensore 1” : 12,8 x 9,6 mm
sensore 1/2.3” : 6,16 x 4,6 mm
sensore 1/3.2” : 4,5 x 3,4 mm
I sensori FULL-FRAME , detti anche a pieno formato in quanto hanno la
stessa dimensione delle vecchie pellicole da 35mm, sono montati sulle
fotocamere digitali reflex o mirrorless di categoria FULL-FRAME.
Essendo la superficie di questi sensori la più grande disponibile sui
modelli reflex e mirrorless, con le fotocamere digitali che li impiegano si
ottiene la migliore qualità di immagine. Anche i sensori APS-H
(Advanced Photo System Type-H ) e APS-C (Advanced Photo System Type-
C ) vengono utilizzati nella produzione di reflex e mirrorless, tuttavia, il
livello qualitativo dell’immagine è inferiore rispetto a quella ottenibile
con sensore FULL-FRAME.
Per completezza di informazione, aggiungo che in realtà esiste un formato
di sensore più ampio del FULL-FRAME che prende il nome di MEDIUM-
FORMAT (medio-formato ). Un sensore di medio-formato misura più di
36,0 x 24,0 mm. Sensori di questo tipo sono impiegati nelle fotocamere di
Hasselblad e di qualche altro produttore.
Rappresentazione grafica della dimensione dei sensori di uso più comune

Dovrebbe essere chiaro che nella scelta di una fotocamera digitale il primo
parametro da considerare, se si cerca la qualità dell’immagine, sarà la
dimensione del sensore e non il numero di megapixel.
Una compatta da 20MP con sensore 1/2.3” avrà fotodiodi di piccole
dimensioni e molto ravvicinati tra loro, generando file con un rumore
digitale di gran lunga superiore, ad esempio, a una reflex da 18MP FULL-
FRAME o APS-C dove i fotodiodi hanno dimensioni maggiori e
beneficiano di più “spazio” tra loro.
A titolo di semplice curiosità, il sensore fotografico di formato 1/3.2” di
uno smartphone presenta una superficie di oltre 50 volte inferiore rispetto
al sensore FULL-FRAME di una fotocamera, avendo il primo una
dimensione di 15,5mm quadrati contro gli 864mm quadrati del secondo.
Il rumore digitale sarà inoltre tanto più visibile quanto più scatteremo in
condizioni di scarsa illuminazione .

Perché?
Per riuscire ad acquisire un’immagine con poca luce, il fotografo è
costretto ad aumentare la sensibilità del sensore alla luce stessa
incrementando il valore degli ISO.
La maggiore sensibilità è ottenuta amplificando il segnale elettrico
ricavato dalla trasformazione del segnale luminoso ad opera dei fotodiodi
sulla superficie del sensore. Purtroppo, però, questa amplificazione si paga
in termini di rumore digitale dovuto a leggi fisiche che governano il
funzionamento degli apparati elettronici.
Qualsiasi sensore genera un proprio rumore di base, inoltre
l’amplificazione che si ottiene con l’innalzamento degli ISO crea ulteriore
rumore perché ad essere amplificata non è solo la parte “buona” del
segnale elettrico ma anche quella “cattiva” .
Nell’esempio che segue, puoi comparare la fotografia che hai visto in
precedenza scattata a ISO 6400 con la sua gemella scattata a ISO 100. É
evidente come il rumore digitale di luminanza generato a ISO 6400 sia
molto più accentuato rispetto a quello generato a ISO 100 (negli esempi la
funzionalità di riduzione del rumore presente in camera è stata
disattivata).

A ISO 100 il rumore digitale è praticamente assente o totalmente


trascurabile
A ISO 6400 il rumore digitale è evidente

Come già spiegato, a causa di fotodiodi più piccoli e più vicini tra loro,
l’innalzamento del valore degli ISO genera maggiore rumore digitale
nei sensori dalla superficie ridotta rispetto a quelli dalla superficie
grande .
Al contrario, in presenza di buona illuminazione e a valori ISO bassi come
ISO 50 o 100 la differenza di qualità tra immagini scattate con apparecchi
fotografici che impiegano sensori di dimensioni differenti tende a
scomparire.
Se in pieno giorno scatti una fotografia ad una piazza con una compatta,
una reflex/mirrorless o addirittura con un buono smartphone quasi
sicuramente otterrai risultati molto simili tra loro ma se ripeti lo scatto di
notte, a mano libera e con valori ISO decisamente più alti, la qualità della
fotografia scattata con la fotocamera reflex/mirrorless sarà decisamente
superiore.
In generale, la reale differenza di performance tra macchine fotografiche
di alcune centinaia di euro e macchine fotografiche del valore di migliaia
di euro non si apprezza in normali condizioni di scatto bensì in situazioni
critiche (esempio luce scarsa, soggetto che si muove rapidamente, scene
che presentano difficoltà di messa a fuoco, ecc.) dove le seconde staccano
nettamente le prime.
{Esercizio}
Con la tua fotocamera scatta alcune fotografie in casa, meglio in ambienti
con poca luce, a diversi valori ISO (da 100 a 6400 e anche oltre) poi
scarica i file sul computer. Guarda ciascuna fotografia nel suo complesso e
poi ingrandiscila al 100% per osservare l’impatto del rumore digitale sulla
qualità dell’immagine. I produttori nelle schede tecniche delle proprie
fotocamere evidenziano spesso la possibilità di utilizzare valori ISO che
hanno quasi dell’incredibile, l’esercizio ti aiuterà a capire come la tua
fotocamera gestisce realmente gli alti ISO e quale valore considerare
come il massimo realmente accettabile.
{Fine}

Un ultimo concetto relativo ai sensori riguarda il loro aspect ratio ovvero


il rapporto tra le dimensioni dei lati. Le fotocamere reflex e mirrorless
utilizzano un sensore con rapporto 3:2 come indicato di seguito:

sensore FULL-FRAME: 36,0 x 24,0 mm ; 36 / 24 = 1,5


sensore APS-H: 28,1 x 18,7 mm ; 28,1 / 18,7 = 1,5
sensore APS-C: 22,5 x 15,0 mm ; 22,5 / 15,0 = 1,5
Anche il file immagine finale, nella sua massima dimensione , avrà
quindi un rapporto 3:2 come indicato di seguito:

18MP – 5184 x 3456 ; 5184 / 3456 = 1,5


24.2MP – 6000 x 4000 ; 6000 / 4000 = 1,5
30.4MP – 6720 x 4480 ; 6720 / 4480 = 1,5
Aspect ratio del sensore e aspect ratio del file immagine non sempre
coincidono . Se ti rivolgi ad un servizio di stampa, scegli un aspect ratio
di stampa uguale all’aspect ratio del tuo file immagine.
Esempio
Se hai scattato le tue fotografie con aspect ratio 3:2 potrai stampare in
formato 30x20cm in quanto il rapporto tra i lati della stampa è 3:2; se
decidi di stampare in formato 17x13cm trattandosi di un aspect ratio 4:3 e
non 3:2 il risultato vedrà dei tagli o delle bande.
Una fotocamera può generare file delle immagini con aspect ratio
diverso dall’aspect ratio del sensore . Le macchine fotografiche digitali
dispongono generalmente di una impostazione per variare non solo la
dimensione delle immagini ma anche il loro aspect ratio .
Non sto parlando dell’aspect ratio del sensore (questo è fisso) ma di quello
del file dell’immagine finale.
Esempio
Con una fotocamera da 24MP e sensore 3:2 puoi scattare immagini 3:2 di
6000 x 4000 pixel oppure puoi impostare la macchina perché scatti sempre
in 3:2 foto da 3984 x 2656 pixel.
Potresti però anche decidere di variare l’aspect ratio dell’immagine,
impostando il rapporto a 4:3 per foto da 5328 x 4000 pixel oppure a 16:9
per foto da 6000 x 3368 pixel.
Verifica sul manuale della tua fotocamera quali possibilità hai a
disposizione e, come già ricordato, tieni a mente l’aspect ratio
dell’immagine quando devi scegliere un formato di stampa.
L’obiettivo: caratteristiche e difetti
L’obiettivo o lens , in inglese, è un dispositivo ottico attraverso il quale
passa la luce per arrivare al piano focale rappresentato dalla superficie del
sensore. Di conseguenza, è sempre suggeribile investire qualche euro in
più nell’obiettivo piuttosto che nella macchina fotografica perché ha
molto più senso e porta a risultati nettamente migliori utilizzare una
fotocamera entry-level con davanti un buon obiettivo piuttosto che
utilizzare una buona fotocamera con davanti un fondo di bottiglia.
Nelle macchine fotografiche compatte e bridge, l’obiettivo non è
intercambiabile in quanto è un tutt’uno con il corpo macchina. Nelle
mirrorless e nelle reflex, invece, è un componente separato, simile ad un
barilotto, con dimensioni e peso variabili che, attraverso un innesto a
baionetta, può essere agganciato e sganciato dalla fotocamera.

Nikon AF-S DX NIKKOR 16-80mm f/2,8-4E ED VR


(Fonte immagine: Nikon, www.nikonusa.com )

A parte la lente esterna chiaramente visibile, gli obiettivi impiegano al


loro interno numerose altre lenti. Le lenti sono realizzate in vetro ottico e
organizzate in gruppi, inoltre, al fine di ridurre fastidiosi effetti
indesiderati, sono trattate con rivestimenti multipli antiriflesso (multi-
coated ).
Gli obiettivi possono avere lunghezza focale fissa oppure variabile , in
questo ultimo caso di parla di obiettivi zoom .
Nei primi sarà il fotografo a doversi avvicinare o allontanare fisicamente
dal soggetto per creare l’inquadratura desiderata mentre, nei secondi, il
fotografo potrà variare, ruotando un’apposita ghiera o muovendo
un’apposita levetta, la lunghezza focale tra un minimo X e un massimo Y,
potendo allontanare o avvicinare il soggetto senza necessità di muoversi.
La zoomata è resa possibile dal movimento delle lenti interne, le quali
permettono di modificare l’ingrandimento della scena. La zoomata
comporta quasi sempre un’escursione fisica dell’obiettivo: variando la
lunghezza focale l’obiettivo si estende o si ritrae.
Dedico un breve inciso alle fotocamere compatte e bridge. Come già
scritto, la portata dell’ingrandimento è indicato su queste macchine
fotografiche con un fattore di moltiplicazione (esempio 60x). Tale fattore
può essere raggiunto in due modalità differenti chiamate optical zoom e
digital zoom .
Il primo sistema, zoom ottico , è quello che garantisce la maggiore qualità
dell’immagine finale in quanto l’ingrandimento è ottenuto a livello ottico
tramite il movimento delle lenti; il secondo, zoom digitale , è invece un
ingrandimento ottenuto via software attraverso calcoli di interpolazione e
perciò con una qualità di gran lunga inferiore.
Cosa è la lunghezza focale di un obiettivo ? É la lunghezza in millimetri
(mm) che separa il centro ottico dell’obiettivo dal piano focale ossia dal
sensore. Il centro ottico non necessariamente coincide con il centro
dell’obiettivo anzi, generalmente, il centro ottico si trova in prossimità del
diaframma , di cui parleremo tra poco in relazione al concetto di
luminosità di un obiettivo.
Dalla lunghezza focale dell’obiettivo e dalle dimensioni del sensore
dipende l’angolo visivo o angolo di campo che è possibile inquadrare
ovvero l’ampiezza della scena che possiamo catturare.
L’occhio umano ha un angolo di campo di circa 45° che può essere
indicativamente coperto utilizzando un obiettivo con lunghezza focale di
50mm. Una prima classificazione distingue pertanto gli obiettivi in base
alla loro lunghezza focale tra:

normali
grandangolari
teleobiettivi

Obiettivi normali
La lunghezza focale è pari a 50mm ; essi sono in grado di coprire un
angolo di campo all’incirca di 45° e di fornire una prospettiva simile a
quella restituita dall’occhio umano.

Canon EF 50mm f/1.8 STM


(Fonte immagine: Canon, www.canon-europe.com )

Obiettivi grandangolari
La lunghezza focale è inferiore a 50mm ; essi sono in grado di coprire
ampi angoli di campo e trovano soprattutto applicazione nella fotografia
paesaggistica. Un obiettivo da 18mm restituisce un angolo di campo di
circa 100° e un 10mm di circa 130°, permettendo di inquadrare una zona
molto ampia della nostra scena.

Canon EF 24mm f/2.8 IS USM


(Fonte immagine: Canon, www.canon-europe.com )

Teleobiettivi
La lunghezza focale è superiore a 50mm ; essi coprono angoli di campo
chiusi o molto chiusi, permettendo di stringere l’inquadratura su soggetti
distanti facendoli apparire nell’immagine molto più vicini di quanto non
siano nella realtà.
Sono indicati, ad esempio, nella fotografia naturalistica (fauna e avifauna)
dove avvicinarsi troppo ad un soggetto selvatico ne determinerebbe la
fuga. Teleobiettivi da 300mm coprono un angolo di campo di circa 8° per
arrivare a 4° con un 600mm.
Canon EF 200-400mm f4L IS USM
(Fonte immagine: Canon, www.canon-europe.com )

Obiettivi macro, fisheye e “tilt and shift”


Gli obiettivi macro si utilizzano in macro-fotografia . Un esempio
classico sono le fotografie ravvicinate di fiori e insetti in grado di
mostrare dettagli non visibili ad occhio nudo.
Un obiettivo che si definisce macro permette di proiettare sul sensore
un’immagine con un rapporto di ingrandimento 1:1. Un insetto lungo 8
mm manterrà sul sensore la lunghezza di 8 mm. Spesso, tuttavia, vengono
indicati come macro anche obiettivi con un rapporto di 1:2 quindi, nel
nostro esempio, la dimensione della proiezione dell’insetto sul sensore
sarà di 4 mm.
Un’altra caratteristica degli obiettivi macro è quella di riuscire a mettere a
fuoco a una distanza inferiore rispetto a quella standard: se un 50mm
“tradizionale” ha una distanza di messa a fuoco minima di 45 cm, nella
versione macro riuscirà a mettere a fuoco un soggetto a 20 cm o anche
meno.
Nikon AF-S DX Micro NIKKOR 40mm f/2.8G
(Fonte immagine: Nikon, www.nikonusa.com )

Un obiettivo fisheye può essere definito come un grandangolare estremo.


Un fisheye (in italiano occhio di pesce per la lente frontale tondeggiante)
riesce a visualizzare un incredibile angolo di campo, non inferiore a 180°,
seppur introducendo sempre una forte distorsione prospettica.
Si utilizza per foto creative e di grande impatto. Ad esempio, nelle foto di
matrimonio scattate all’interno di una chiesa un obiettivo fisheye permette
di includere nella scena tutto ciò che circonda gli sposi, dal pavimento a
mosaico fino al soffitto affrescato.
Nikon AF DX Fisheye-Nikkor 10.5mm f/2.8G ED
(Fonte immagine: Nikon, www.nikonusa.com )

Un obiettivo “tilt and shift” anche detto decentrabile e basculante trova


impiego nelle fotografie di edifici e di architettura per risolvere due tipi di
problemi: 1) le linee cadenti (linee verticali convergenti) che si generano
inclinando la fotocamera verso l’alto, ad esempio quando dobbiamo
includere nel fotogramma l’intera altezza di un palazzo; 2) l’impossibilità
di avere nitidi, nonostante un valore di diaframma molto chiuso, sia un
soggetto in primissimo piano che uno sullo sfondo. Il meccanismo di
decentramento opera uno spostamento del centro del gruppo ottico mentre
quello basculante opera un’inclinazione dell’asse ottico.
Nikon PC-E Nikkor 24mm f/3.5D ED
(Fonte immagine: Nikon, www.nikonusa.com )

Poco fa, introducendo il concetto di angolo visivo o di campo, ho precisato


che esso non dipende esclusivamente dalla lunghezza focale dell’obiettivo
ma anche dalla dimensione del sensore .
Tutti i riferimenti numerici indicati in precedenza si riferiscono infatti ad
un utilizzo dell’obiettivo su una fotocamera digitale FULL-FRAME che,
come sai, monta un sensore 36,0 x 24,0 mm pari alla dimensione della
vecchia pellicola fotografica.

Cosa cambia su sensori più piccoli?


Pensa ad un’immagine che occupa tutta la superficie del sensore FULL-
FRAME, ora pensa alla stessa immagine (con le dimensioni FULL-
FRAME) su un sensore più piccolo, ad esempio di tipo APS-C. É evidente
che un’immagine proiettata su una superficie 36,0 x 24,0 mm non possa
stare su una superficie 22,5 x 15,0 mm a meno di ritagliarla sui lati, il
ritaglio in inglese è detto crop dell’immagine.
In altre parole, un sensore più piccolo di un FULL-FRAME introduce,
rispetto a quest’ultimo, un fattore di crop che in termini pratici
rappresenta a tutti gli effetti un fattore di ingrandimento . Il fattore di
ingrandimento è fisso, ad esempio i sensori APS-C introducono rispetto al
FULL-FRAME un fattore di crop pari a 1,5 (1,6 nel caso di Canon).

Dimensioni dei sensori a confronto e fattore di crop:


Arancio =FULL-FRAME – Giallo =APS-H – Verde =APS-C

Lunghezza focale equivalente e impatto pratico


Il fattore di crop è molto importante. Quando acquisti un obiettivo la
sua lunghezza focale è sempre riferita all’uso su sensore FULL-FRAME
ma se utilizzerai quell’obiettivo su una fotocamera APS-C dovrai
calcolare quella che viene definita la lunghezza focale equivalente come
segue:
lunghezza focale equivalente = lunghezza focale x fattore di crop
Esempio
teleobiettivo 300mm su FULL FRAME = lunghezza focale
equivalente su APS-C 480mm (300 x 1,6) oppure 450mm (300 x
1,5)
grandangolare 18mm su FULL FRAME = lunghezza focale
equivalente su APS-C 28,8mm (18 x 1,6) oppure 27mm (18 x 1,5)
Il fattore di crop è un vantaggio nelle fotocamere APS-C quando si ha
bisogno di un teleobiettivo spinto: un 300mm diventerà un 450mm e un
600mm si trasformerà in un incredibile 900mm! Rappresenta invece uno
svantaggio nella fotografia paesaggistica: un eccezionale 10mm diventerà
un 16mm su APS-C, riducendo di alcuni gradi l’angolo di campo.
Gli obiettivi specificatamente progettati per l’uso con fotocamere APS-C
generalmente non possono essere montati su fotocamere FULL-FRAME
tuttavia per alcune marche questo potrebbe essere possibile. Gli obiettivi
per FULL-FRAME, invece, possono essere normalmente montati anche su
APS-C purché ovviamente l’innesto sia compatibile.
Oltre alla lunghezza focale, un’altra importantissima caratteristica degli
obiettivi riguarda l’apertura massima del diaframma o quella che viene
definita la loro luminosità .
La luminosità di un obiettivo dipende della lente frontale e dalla
lunghezza focale, più precisamente è il rapporto tra il diametro della lente
frontale e la lunghezza focale. Gli obiettivi luminosi presentano infatti la
lente frontale di dimensioni generose proprio per massimizzare il
passaggio della luce attraverso la lunghezza focale dell’obiettivo.
La quantità di luce che passa attraverso l’obiettivo è regolata dalla
presenza di un diaframma .
Si tratta di un meccanismo circolare che si presenta come un foro dotato di
lamelle mobili, capaci di variarne l’apertura e di conseguenza di far
passare più o meno luce. Il fotografo può regolare l’apertura o la chiusura
del diaframma agendo su un’apposita ghiera che nelle fotocamere
compatte normalmente non è presente.
Il fotografo con appositi comandi può muovere le lamelle del diaframma
aprendo o chiudendo il foro centrale da cui passa la luce

La luminosità di un obiettivo è indicata con f/X o 1:X dove X indica il


massimo valore possibile di apertura del diaframma . Più il valore di X
è piccolo e più l’obiettivo è luminoso poiché, trattandosi di un rapporto,
più il denominatore X è piccolo e più il valore del rapporto è grande.
Esempio

obiettivo f/5,6 – il fotografo potrà aprire il diaframma al valore


massimo di 5,6
obiettivo f/1,8 - il fotografo potrà aprire il diaframma al valore
massimo di 1,8
Poiché 1,8 è un valore più piccolo di 5,6 ne deriva che nel rapporto f/X un
obiettivo con X=1,8 è più luminoso di uno con X=5,6.
Oltre ad una classificazione basata sulla lunghezza focale (normale,
grandangolo e teleobiettivo) è possibile classificare gli obiettivi anche in
base alla loro luminosità : vengono definiti luminosi gli obiettivi che
possono raggiungere un’apertura maggiore o uguale a f/2,8 (esempio: f/2,8
; f/1,8 ; f/1,4 ; f/1,2).
Gli obiettivi a focale fissa hanno tipicamente una luminosità superiore
rispetto agli zoom, in quanto la luce deve attraversare un numero inferiore
di lenti interne (lo schema ottico di un obiettivo a focale fissa è più
semplice di quello di uno zoom). Per questo motivo, gli obiettivi zoom per
poter essere luminosi necessitano di una lente frontale molto ampia e di
vetri ottici di altissima qualità.
Più un obiettivo è luminoso, più elevato sarà il suo prezzo.

Perché la luminosità di un obiettivo è così importante?


Il motivo è piuttosto semplice. In presenza di scarsa illuminazione la
possibilità di aprire il diaframma a f/2,8 o a f/1,8 o a f/1,2 permette di far
entrare più luce e di mantenere gli ISO bassi con conseguente
contenimento del rumore digitale e maggiore nitidezza dell’immagine, la
quale non risulterà disturbata da fastidiosa grana.
Nelle stesse condizioni di luce ma, ad esempio, con un obiettivo f/5,6 per
ottenere un pari tempo di scatto (di tempi parleremo nel prossimo
capitolo) saresti costretto ad aumentare gli ISO con conseguente maggiore
rumore digitale e perdita di nitidezza dell’immagine, in relazione a quanto
la tua macchina fotografica è in grado o meno di tollerare valori ISO
elevati.
Inoltre, un obiettivo luminoso è ideale nella fotografia di ritratto in
quanto, grazie all’ampia apertura del diaframma, permette di sfocare
piacevolmente lo sfondo , effetto che in gergo fotografico si definisce
bokeh (dal giapponese "sfocatura").
Più avanti riprenderemo il concetto parlando di priorità di diaframma e di
profondità di campo .

Stabilizzazione di un obiettivo
La stabilizzazione di un obiettivo è un sistema elettronico, presente
nell’obiettivo stesso o nel corpo macchina, che permette di compensare le
vibrazioni trasmesse dal fotografo alla fotocamera tenendola tra le mani, il
cosiddetto micromosso di cui abbiamo parlato in relazione
all’impugnatura della macchina fotografica. La stabilizzazione è molto
importante nei teleobiettivi (meno nei grandangolari) in quanto l’elevato
fattore di ingrandimento e il peso stesso dell’obiettivo determinano, se
utilizzato a mano libera, un seppur leggero tremolio in grado di affliggere
vistosamente la nitidezza dell’immagine.
Inoltre, grazie alla stabilizzazione possiamo catturare fotografie ferme e
dunque nitide anche con tempi di scatto lenti (come già ricordato,
parleremo di tempi nel prossimo capitolo) che altrimenti sarebbero
impossibili da ottenere a meno di montare la fotocamera su un treppiedi.
Il sistema di stabilizzazione che viene chiamato dai produttori in diverso
modo, ad esempio IS – Image Stabilizer o VC – Vibration Compensation o
VR - Vibration Reduction , può essere attivato o disattivato.
Il sistema, ad esempio, dovrebbe essere disattivato quando la fotocamera
viene montata su un treppiedi: in questo caso il meccanismo andrebbe a
compensare vibrazioni che non esistono introducendo esso stesso delle
vibrazioni. Alcuni sistemi avanzati di stabilizzazione riconoscono quando
la fotocamera è montata su treppiedi e non richiedono di essere
disabilitati.
Esiste tuttavia una regola empirica per ottenere un’immagine nitida in
mancanza di stabilizzazione . La regola suggerisce di utilizzare un tempo
di scatto - in questo caso detto tempo di sicurezza - inverso della
lunghezza focale. Per uno scatto a 200mm il tempo di sicurezza non dovrà
essere più lento di 1/200 di secondo (oppure 1/300 su APS-C).

Distanza minima di messa a fuoco


La distanza minima di messa a fuoco è la minima distanza espressa in
cm alla quale l’obiettivo può mettere a fuoco il soggetto. É una distanza
solitamente indicata dal produttore e può variare negli obiettivi zoom in
quanto non hanno lunghezza focale fissa. Se con un obiettivo per il quale il
produttore indica distanza minima di messa a fuoco pari a 45 cm ci
avviciniamo al soggetto fino a 30 cm non saremo in grado di mettere a
fuoco l’immagine.
Arrivati a questo punto, non dovresti avere difficoltà nel leggere e
interpretare correttamente il significato delle sigle presenti sugli obiettivi.
In realtà, manca solo un accenno al simbolo ØXmm, esso esprime il
diametro dell’obiettivo e serve per acquistare filtri a vite di dimensione
corretta.

Obiettivo CANON ZOOM LENS EF-S 18-135mm 1:3.5-5.6 IS USM Ø67mm


(Fonte immagine: Canon, www.canon-europe.com )

Esempio

Ø52mm 50mm 1:1,8 = obiettivo a focale fissa da 50mm –


apertura massima f/1,8 - non stabilizzato - utilizza filtri con
diametro di 52mm
Ø77mm 24-70mm 1:2,8 IS = obiettivo zoom da 24 a 70mm –
apertura massima f/2,8 costante su tutta l’escursione focale -
stabilizzato (IS) - utilizza filtri con diametro di 77mm
Ø62mm 70-300mm f/4-5,6 VC = obiettivo zoom da 70 a 300mm –
apertura massima f/4 a 70mm e f/5,6 a 300mm - stabilizzato (VC)
- utilizza filtri con diametro di 62mm

{Esercizio}
Per ciascun obiettivo che possiedi leggi ed interpreta le sigle che riporta al
fine di familiarizzare con la tua attrezzatura. Successivamente, se hai una
fotocamera reflex o mirrorless, monta un obiettivo, supponiamo un 18-
55mm f/3,5-5,6 e seleziona la priorità di diaframma (Av o A sulla ghiera
delle modalità di scatto). Ora verifica la correttezza di quanto stampato
sulla lente: portati a 18mm e apri al massimo il diaframma (non riuscirai a
scendere sotto f/3,5), quindi portati a 55mm e apri al massimo il
diaframma (non riuscirai a scendere sotto f/5,6).
{Fine}

Come spiegato, tutte le lunghezze focali si riferiscono a sensore FULL-


FRAME. In caso di utilizzo di questi obiettivi su sensore APS-C per
ottenere la lunghezza focale equivalente dovrai moltiplicare la lunghezza
focale stampata sull’obiettivo per il fattore di crop della tua fotocamera.
Tale valore è indicato dal produttore nella scheda tecnica della macchina
fotografica.

Difetti degli obiettivi


Probabilmente, sarebbe più corretto parlare di disturbi poiché non si tratta
di difetti veri e propri imputabili ad errori di progettazione/fabbricazione
ma di problemi insiti nella natura stessa degli obiettivi e dipendenti da
leggi fisiche dell’ottica.

Aberrazione cromatica. Si tratta di un bordo colorato che si


presenta intorno al perimetro degli oggetti fotografati, ben visibile
ingrandendo la fotografia al 100% con un software di post-
produzione. In particolare, questo effetto si manifesta quando
lungo i bordi vi è un forte contrasto di colore, ad esempio il bordo
scuro del tetto di un edificio avente per sfondo un cielo chiaro.
L’aberrazione cromatica è dovuta al fatto che luce bianca
nell’attraversare la lente tende a scomporsi per rifrazione nelle sue
componenti colorate e per quanto il vetro ottico sia di qualità sarà
comunque impossibile concentrare tutte le lunghezze d’onda (i
colori) nel medesimo punto. Il purple fringing è un tipo di
aberrazione cromatica dove un alone di colore viola compare a
contorno degli oggetti. Per ridurre l’aberrazione cromatica è
suggeribile scattare scene ad elevato contrasto utilizzando un
diaframma piuttosto chiuso.

Le frecce indicano l’aberrazione cromatica che appare intorno ai bordi di


un oggetto scuro quando viene fotografato su sfondo chiaro

Vignettatura . Questo difetto è dovuto ad una caduta di luminosità


ai bordi dell’obiettivo rispetto alla zona centrale. Anche in questo
caso si tratta di un effetto inevitabile poiché, a causa di leggi
fisiche, non è possibile garantire ai bordi dell’obiettivo la stessa
intensità luminosa presente al centro: la luce diretta ai bordi infatti
percorre un tragitto più lungo rispetto a quella diretta centralmente
e perde di intensità. Nelle fotografie, questo effetto si manifesta
con bordi che sono meno luminosi (più scuri) rispetto all’area
centrale della foto, l’intensità dell’effetto è meno evidente negli
obiettivi più costosi. A soffrire maggiormente di vignettatura sono
gli obiettivi grandangolari e i teleobiettivi zoom, anche in questo
caso è possibile attenuare il problema scattando con un diaframma
piuttosto chiuso.

In questo esempio di vignettattura estrema si nota come ai bordi


l’immagine si presenti più scura che al centro

Distorsione (o deformazione) prospettica. Si tratta di una


alterazione della prospettiva rispetto a quella normale percepita
dall’occhio umano. Come abbiamo visto in precedenza, un
obiettivo da 50mm viene definito normale in quanto garantisce un
angolo di visione e una prospettiva simile a quella restituita
dall’occhio umano. Ne consegue che grandangolari e teleobiettivi
introducono sempre delle distorsioni nell’immagine. Esempi di
distorsioni prospettiche piuttosto comuni: i grandangoli dilatano
le distanze tra gli oggetti e fanno percepire quelli vicini come più
grandi dei lontani, le linee verticali inquadrate dal basso sembrano
convergere verso uno stesso punto; i teleobiettivi invece
schiacciano i piani facendo apparire due oggetti lontani tra loro
come vicini. Infine, un accenno alla distorsione a cuscino
(pincushion distortion ) e alla distorsione a barilotto (barrel
distortion ) causate dalla curvatura delle lenti. La prima, a cuscino
, distorce le linee trasversali verso il centro, la seconda, a barilotto
, verso l’esterno.

Esempio di distorsione a cuscino (pincushion)


Esempio di distorsione a barilotto (barrel)

Riverbero . È un effetto, anche indicato con il termine flare , che


consiste in aloni, poligoni o cerchi colorati generati dalle stesse
lenti dell’obiettivo. Il flare è causato dalla riflessione e dispersione
della luce durante l’attraversamento delle lenti interne
all’obiettivo e si manifesta soprattutto in controluce o quando la
sorgente luminosa è vicino ai bordi dell’immagine. Un paraluce
montato sull’obiettivo può aiutare molto nel ridurre o evitare del
tutto indesiderati riverberi.
In questa immagine scattata in controluce estremo è evidente il flare sotto
forma di pallini colorati e aloni
Parte II – Nozioni relative allo scatto fotografico

Il triangolo dell’esposizione
La quantità di luce che in un certo periodo di tempo, attraversando
l’obiettivo, raggiunge il sensore è chiamata esposizione . L’esposizione
viene calcolata in funzione di:

tempo
diaframma
ISO
Questi tre fattori costituiscono il cosiddetto triangolo dell’esposizione
che è alla base della fotografia. L’esposizione si misura in EV , Exposure
Value o Valore di Esposizione , per mezzo di un apposito strumento
chiamato esposimetro che si trova integrato nella fotocamera digitale e
misura la luce riflessa dalla scena.
L’esposizione, in termini molto semplici, determina la luminosità finale
dell’immagine. Normalmente, una fotografia esposta correttamente si
presenta non troppo chiara e non troppo scura, in modo da permettere di
apprezzarne i dettagli sia nelle aree in ombra sia nelle aree in luce.
Avrai di sicuro sentito dire questa immagine è sovraesposta oppure questa
immagine è sottoesposta . Nel primo caso la fotografia è troppo luminosa
, se la sovraesposizione è significativa le zone chiare (luci) appariranno
completamente bianche o prossime al bianco. Nel secondo caso, invece, la
fotografia è poco luminosa e se la sottoesposizione è significativa le zone
scure (ombre) appariranno completamente nere o prossime al nero.
Tornando al triangolo dell’esposizione , fissato un valore ISO , la
relazione che intercorre tra tempo e diaframma è detta di reciprocità :
nelle stesse condizioni di luce, posso ottenere lo stesso valore di
esposizione aumentando il tempo e chiudendo il diaframma oppure
aprendo il diaframma e riducendo il tempo. Per questo motivo si parla
spesso anche di coppia tempo/diaframma .
Esempio
Pensa al sensore come ad un secchio da riempire completamente d’acqua.
Ipotizzando una capacità di 10L, potresti riempirlo in 2 minuti di tempo
se il rubinetto fosse aperto per lasciar passare 5L d’acqua al minuto.
Tuttavia, rispetto al metodo proposto sopra, potresti riempire il secchio
con 10L d’acqua anche in altri modi:

aprendo di più il rubinetto per far passare 10L d’acqua al minuto


(in fotografia raddoppi l’apertura del diaframma), impiegando 1
minuto (in fotografia dimezzi il tempo)

chiudendo il rubinetto per far passare 2,5L d’acqua al minuto (in


fotografia dimezzi l’apertura del diaframma), impiegando 4 minuti
(in fotografia raddoppi il tempo)

Tempo
Esso determina il periodo lungo il quale l’otturatore rimarrà aperto per
permettere alla luce che entra dall’obiettivo e passa attraverso il foro del
diaframma di arrivare al sensore.
A seguire, la scala dei tempi di scatto da 1/8000 di secondo (tempo più
veloce) a 30 secondi (tempo più lento):

Tempo più veloce > > > Tempo più lento


1/8000 – 1/4000 – 1/500 – 1/250 – 1/125 – 1/60 – 1/30 – 1/15 – 1/8 – 1/4 –
1/2 – 1 – 2 – 4 – 8 – 15 – 30

Le fotocamere entry-level normalmente non arrivano a 1/8000 ma si


fermano a 1/4000.

Diaframma
Esso determina la quantità di luce che, passando attraverso l’otturatore
aperto, arriva al sensore.
Più il diaframma è aperto (esempio f/2,8) maggiore sarà la quantità di luce
a passare, più il diaframma è chiuso (esempio f/22) minore sarà la quantità
di luce a passare.

Esempi di apertura del diaframma

A seguire, la scala di apertura del diaframma da f/1 con maggiore


passaggio di luce (foro più aperto) a f/32 con minore passaggio di luce
(foro più chiuso):

Diaframma più aperto > > > Diaframma più chiuso


f/1 – f/1,4 – f/2,0 – f/2,8 – f/4,0 – f/5,6 – f/8,0 – f/11 – f/16 – f/22 – f/32

Ricapitolando. Il diaframma , attraverso un foro la cui apertura può


essere variata, permette il passaggio di una certa quantità di luce (A)
mentre il tempo (T), tra apertura e chiusura dell’otturatore , definisce il
periodo durante il quale il sensore sarà esposto alla luce (A). Per la
relazione di reciprocità, al fine di garantire al sensore la giusta quantità di
luce, se una grandezza raddoppia, l’altra si dimezza e viceversa.

ISO
Infine, il valore degli ISO determina la sensibilità del sensore alla luce .
Incrementare gli ISO significa aumentare tale sensibilità e il rumore
digitale ma avere qualche chance in più di portare a casa una fotografia
anche in caso di scarsa illuminazione.
A seguire, la scala dei valori ISO da 100 (sensibilità minore) a 12.800
(sensibilità maggiore):

Minore sensibilità alla luce > > > > > > > > Maggiore sensibilità alla
luce
100 – 200 – 400 – 800 – 1600 – 3200 – 6400 – 12.800

In ciascuna scala (tempo, diaframma, ISO) il passaggio da un valore ad


un altro significa moltiplicare o dividere per 2 .
Esempio
Pensa alla scala dei tempi

passare da 1/60 a 1/30 significa raddoppiare il tempo di


esposizione (tempo più lento, il sensore rimane esposto alla luce
per un periodo più lungo)
passare da 1/60 a 1/125 significa dimezzare il tempo di
esposizione (tempo più veloce, il sensore rimane esposto alla luce
per un periodo più breve)

Pensa alla scala dei diaframmi

passare da f/5,6 a f/4,0 significa raddoppiare l’apertura del


diaframma (passaggio di più luce, il foro del diaframma si apre)
passare da f/5,6 a f/8,0 significa dimezzare l’apertura del
diaframma (passaggio di meno luce, il foro del diaframma si
chiude)

Pensa alla scala degli ISO

passare da ISO 200 a 400 significa raddoppiare la sensibilità del


sensore alla luce
passare da ISO 200 a 100 significa dimezzare la sensibilità del
sensore alla luce
Esempio
Per semplicità fissiamo gli ISO a 100 e concentriamoci esclusivamente
sulla coppia tempo/diaframma. Supponiamo inoltre che l’esposizione
corretta per la scena inquadrata sia:
Esposizione 1 = diaframma f/5,6 e tempo 1/250
Per la relazione di reciprocità, l’esposizione 1 può anche essere ottenuta
raddoppiando l’apertura del diaframma e dimezzando il tempo:
Esposizione 2 = diaframma f/4,0 e tempo 1/500
Oppure l’esposizione 1 può anche essere ottenuta dimezzando l’apertura
del diaframma e raddoppiando il tempo:
Esposizione 3 = diaframma f/8,0 e tempo 1/125
In altre parole, semplificando al massimo, la logica di fondo è la seguente:
diaframma

se il diaframma fa passare molta luce, il sensore per registrare


correttamente l’immagine ha bisogno di rimanere esposto per
meno tempo
se il diaframma fa passare poca luce, il sensore per registrare
correttamente l’immagine ha bisogno di rimanere esposto per più
tempo
tempo

se il tempo tra l’apertura e la chiusura dell’otturatore è lento, il


sensore per registrare correttamente l’immagine ha bisogno che il
diaframma lasci passare una quantità di luce inferiore
se il tempo tra l’apertura e la chiusura dell’otturatore è veloce, il
sensore per registrare correttamente l’immagine ha bisogno che il
diaframma lasci passare una quantità di luce superiore
Il valore delle tre esposizioni viste sopra è identico sebbene ottenuto con
coppie tempo/diaframma differenti.

{Esercizio}
Sulla tua fotocamera seleziona con l’apposita ghiera Av o A (priorità dei
diaframmi) quindi volgi la fotocamera verso un punto e imposta f/5,6
come apertura del diaframma. Premi il tasto di scatto a metà corsa e tieni
a mente il tempo calcolato dalla macchina fotografica. Ora, senza
modificare l’inquadratura (per non variare le condizioni di luce)
raddoppia l’apertura del diaframma portandolo a f/4,0 (f/4,0 è il doppio di
f/5.6) e osserva come la fotocamera dimezza il tempo; successivamente
dimezza l’apertura del diaframma portandolo a f/8,0 (f/8,0 è la metà di
f/5,6) e osserva come la fotocamera raddoppia il tempo.
Ora seleziona con l’apposita ghiera Tv o S (priorità dei tempi) quindi
volgi la fotocamera verso un punto e imposta il tempo a 2”. Premi il tasto
di scatto a metà corsa e tieni a mente l’apertura del diaframma calcolato
dalla macchina fotografia. Ora, senza modificare l’inquadratura (per
non variare le condizioni di luce) raddoppia il tempo portandolo a 4” e
osserva come la fotocamera dimezza l’apertura del diaframma;
successivamente dimezza il tempo portandolo a 1” e osserva come la
fotocamera raddoppia l’apertura del diaframma.
{Fine}

Svelato il segreto…
Si potrebbe essere portati a pensare che qualsiasi impostazione della
coppia tempo/diaframma che assicura lo stesso valore di esposizione
restituisca la medesima fotografia: niente di più sbagliato . Il fotografo
che conosce la tecnica fotografica sa bene che scegliendo coppie
tempo/diaframma differenti per la stessa esposizione otterrà
fotografie differenti .
A questo punto della guida però non è ancora arrivato il momento di
spiegare le conseguenze che le scelte su tempo e diaframma possono avere
sul risultato dello scatto, questo sarà oggetto del capitolo intitolato Scatto
in priorità dei tempi, in priorità di diaframmi e manuale .

Cosa cambierebbe modificando anche gli ISO?


Se decidessimo di portare il valore degli ISO da 100 a 200 succederebbe
esattamente questo:
ISO 100 - diaframma f/5,6 e tempo 1/250
ISO 200 – diaframma f/5,6 e tempo 1/500 (lavorando in priorità di
diaframma e lasciando alla fotocamera il calcolo del tempo)
ISO 200 – diaframma f/8,0 e tempo 1/250 (lavorando in priorità di tempo
e lasciando alla fotocamera il calcolo dell’apertura del diaframma)
Nel passaggio da ISO 100 a ISO 200, il sensore ha raddoppiato la sua
sensibilità alla luce, quindi è necessario per una corretta esposizione della
fotografia dimezzare la quantità di luce che lo colpisce.
Nell’ipotesi di lavorare in priorità di diaframma (il fotografo sceglie
l’apertura) la fotocamera ha una sola possibilità: velocizzare il tempo di
esposizione, dimezzandolo da 1/250 a 1/500.
Nell’ipotesi di lavorare in priorità di tempo (il fotografo sceglie il tempo)
la fotocamera ha una sola possibilità: chiudere il diaframma, dimezzando
la sua apertura da f/5,6 a f/8,0.
I calcoli per una corretta esposizione non devono spaventare perché sono
svolti dalla macchina fotografica. Tuttavia, è molto importante
comprendere la logica di funzionamento altrimenti corri il rischio di
non riuscire a risolvere delle situazioni perché non sei in grado di
attribuire un significato alle informazioni che la fotocamera ti mostra.

Il concetto di STOP
L’ultima considerazione di questo capitolo riguarda il concetto di STOP .
Con questo termine in fotografia si intende raddoppiare o dimezzare la
quantità di luce che colpisce il sensore (mentre per gli ISO raddoppiare o
dimezzare la sensibilità del sensore alla luce).
Tutto è molto più semplice ricorrendo ancora una volta a degli esempi.
Ricordi le scale di tempi, diaframmi e ISO viste poco fa? Bene, ogni – tra
un valore e l’altro è 1 STOP poiché il passaggio da un valore ad un altro
raddoppia o dimezza la quantità di luce.
Esempio

se passo da 1/125 a 1/250 sono più veloce di 1 STOP (dimezzo il


tempo) mentre da 1/125 a 1/60 sono più lento di 1 STOP
(raddoppio il tempo)
se passo da f/5,6 a f/2,8 apro di 2 STOP (raddoppio due volte
l’apertura) mentre da f/5,6 a f/11 chiudo di 2 STOP (dimezzo due
volte l’apertura)
se passo da ISO 200 a ISO 1600 salgo di 3 STOP (raddoppio tre
volte la sensibilità) mentre da ISO 3200 a ISO 400 scendo di 3
STOP (dimezzo tre volte la sensibilità)
Modalità di calcolo dell’esposizione
Il calcolo dell’esposizione viene svolto dalla fotocamera utilizzando,
come detto nel capitolo precedente, l’esposimetro interno. L’esposimetro
misura la luce riflessa dalla scena inquadrata e che entra nell’obiettivo.
Normalmente, le fotocamere offrono al fotografo la possibilità di scegliere
tra 3 differenti modalità di misurazione della luce:

valutativa (evaluative o matrix)


spot (spot)
pesata o ponderata al centro (center weighted )
Canon aggiunge una quarta modalità:

parziale al centro (partial)

Misurazione valutativa
In questo tipo di misurazione l’inquadratura viene suddivisa in zone
attraverso una griglia o matrice (matrix ) e la fotocamera si occupa, in
base al punto AF (auto-focus ) attivo e alla luminosità registrata in
ciascuna zona, di definire un livello di esposizione adatto alla scena. É il
sistema di misurazione predefinito che si trova in tutte le fotocamere e
restituisce un valore di esposizione che risulta essere corretto nella
stragrande maggioranza dei casi.
Misurazione valutativa – La luce è misurata sull’intera area in grigio

La massima efficacia di questo metodo la si ottiene nelle scene dove


l’illuminazione è uniforme e non vi sono zone di forte contrasto (aree
troppo chiare e aree troppo scure). La misurazione valutativa non è quindi
adatta in controluce poiché la luminosità dello sfondo è di gran lunga
superiore a quella del soggetto in primo piano.
Modalità valutativa o matrix applicata in controluce con risultati pessimi
sul soggetto che appare praticamente nero

Utilizzare la misurazione valutativa in controluce, obbliga la fotocamera


ad agire su tempo/diaframma con il fine di ridurre la forte luminosità alle
spalle del soggetto. Di conseguenza, lo sfondo sarà correttamente esposto
ma il soggetto - che è già in ombra poiché la sorgente luminosa è dietro –
verrà fortemente sottoesposto o addirittura nero.

Misurazione spot
Spot in inglese significa punto o pallino . La misurazione di tipo spot
considera la luminosità rilevata in una piccolissima area circolare della
scena inquadrata (circa l’1,8% del mirino, al centro), ignorando la
luminosità nelle restanti aree.
Misurazione spot - La luce è misurata solo sulla piccolissima area
centrale in grigio

Questo particolare tipo di misurazione viene utilizzato quando si vuole


ottenere un’esposizione mirata su un punto specifico del soggetto.
Supponiamo di voler fotografare la luna, la misurazione spot ci viene in
aiuto in quanto è possibile leggere la sola luminosità del nostro satellite
(inquadrandolo nel punto centrale) e ottenere una corretta esposizione
tralasciando l’oscurità del cielo.
Diversamente, utilizzando la misurazione valutativa, l’esposimetro
(essendo notte) valuterebbe la scena come particolarmente buia,
costringendo la fotocamera ad impostare parametri di scatto tali da
incrementarne la luminosità. Il risultato sarebbe un cielo grigio (non nero)
e una luna dal bagliore accecante (bruciata).
Modalità spot applicata in controluce sul viso del soggetto che appare
correttamente esposto

Per lo stesso principio la misurazione spot si presta ad essere impiegata


con successo anche in controluce. Lo sfondo sarà probabilmente molto
luminoso (sovraesposto) ma il soggetto dell’immagine risulterà
correttamente esposto, in quanto la misurazione spot non ha tenuto conto
del bagliore alle sue spalle.

Misurazione pesata o ponderata al centro


Tale misurazione prende in considerazione l’intera scena come la
valutativa attribuendo però maggiore importanza alla luminosità nella
zona centrale. Può essere impiegata con successo quando è necessaria
un’esposizione che si pone a metà tra una valutativa ed una spot / parziale,
in situazioni che sono un compromesso tra una scena con aree di
luminosità uniforme (poco contrasto) e una scena con aree di luminosità
differente (contrasto medio-alto).
Misurazione pesata - La luce è misurata sull’intera scena ma attribuendo
alla zona centrale in grigio maggiore importanza

Nell’esempio sotto, si vede il comportamento di questo tipo di lettura


applicato ancora una volta allo scatto in controluce. La fotografia è più
chiara rispetto a quella ottenuta impostando la lettura valutativa ma più
scura se confrontata con la lettura spot, confermando di essere una sorta di
via di mezzo tra le due.
Modalità pesata o ponderata al centro applicata in controluce con
risultati intermedi tra lettura valutativa e spot

Misurazione parziale al centro


É una misurazione offerta da Canon, simile alla spot ma più estesa. In
altre parole, l’area circolare dove viene misurata l’intensità luminosa della
scena e più grande di quella spot (circa il 6% del mirino). Anche questa
misurazione si utilizza quando vi sono contrasti accentuati, ad esempio,
può essere utilizzata con successo nelle fotografie in controluce al fine di
misurare la luminosità riflessa dal soggetto ed esporlo correttamente,
indipendentemente dalla forte luminosità dello sfondo.
Misurazione parziale - La luce è misurata solo sull’area centrale in
grigio, un poco più ampia dell’area spot

In questo ultimo esempio vediamo come si comporta in controluce la


lettura parziale al centro. La fotografia è più chiara rispetto a quella
ottenuta impostando la lettura valutativa oppure la lettura pesata o
ponderata al centro mentre risulta leggermente più scura se confrontata
con la lettura spot . Questo succede poiché essendo la misurazione un
poco più estesa della spot, l’area letta ha probabilmente intercettato anche
una piccola parte della luminosità dello sfondo che infatti risulta meglio
esposto rispetto alla fotografia scattata con misurazione spot.
Modalità parziale al centro applicata in controluce con risultati nel
complesso discreti sia sullo sfondo sia sul soggetto

{Esercizio}
Prendi un oggetto e appoggialo su un tavolo davanti a una finestra.
Imposta sulla fotocamera le diverse letture esposimetriche disponibili e
per ciascuna di essa fotografa l’oggetto in modo da averlo in controluce
all’interno dell’inquadratura. Scarica le foto sul computer e verifica
l’esposizione che hai ottenuto sullo sfondo e sull’oggetto in base al tipo di
misurazione impiegato per lo scatto.
{Fine}

Può accadere che il fotografo abbia necessità di scattare con una


inquadratura diversa dall’inquadratura utilizzata per la misurazione
dell’esposizione.
Supponiamo di avere un soggetto in controluce: seleziono la misurazione
spot, punto il soggetto e premo il tasto di scatto a metà corsa per metterlo
a fuoco e misurare l’esposizione.
Tuttavia, non voglio scattare la foto con il soggetto al centro ma su un lato
del fotogramma (inizialmente ho dovuto posizionarlo nel mezzo a causa
dell’area centrale di misurazione spot). Senza lasciare il pulsante di scatto
posso ricomporre l’inquadratura e finalmente fare clic ma c’è un
problema… l’esposizione verrà ricalcolata su quest’ultima inquadratura.
Per risolvere la situazione, molte fotocamere dispongono di una funzione
chiamata blocco dell’esposizione (blocco AE - Automatic Exposure o AE-
L Automatic Exposure Lock ) attivabile con un tasto con il simbolo * o
AE-L
Il blocco AE è una funzione utilissima, in quanto permette di misurare
l’esposizione su di una certa area dell’immagine, di bloccarla, e poi di
essere liberi di ricomporre l’inquadratura e di scattare con l’esposizione
memorizzata in precedenza.
Nell’esposizione valutativa il blocco AE è applicato al punto AF attivo,
nelle esposizioni spot, pesata e parziale al centro il blocco è applicato al
punto AF centrale.
Per informazioni specifiche sulle modalità di misurazione
dell’esposizione della tua fotocamera, su come impostarle e utilizzare il
blocco AE puoi fare riferimento al manuale d’uso.

{Esercizio}
Con la tua fotocamera, dopo aver impostato sulla ghiera delle modalità di
scatto Av o A oppure Tv o S, inquadra una scena (X) e scatta la fotografia.
Successivamente, inquadra una scena differente dalla prima (Y), premi a
metà corsa il pulsante di scatto per mettere a fuoco e leggere
l’esposizione, quindi blocca con la funzione blocco AE l’esposizione
appena letta. Ora inquadra la prima scena (X) e scatta normalmente la
fotografia sulla quale la macchina fotografica applicherà l’esposizione
della scena (Y). Confronta le due fotografie della scena X, una senza e una
con il blocco dell’esposizione attivo.
Nota. È possibile che il blocco dell’esposizione si disabiliti
automaticamente dopo alcuni secondi, non far trascorrere troppo tempo tra
il blocco AE e lo scatto.
{Fine}
La maggior parte delle fotografie che scatterai saranno correttamente
esposte impostando sulla tua fotocamera il tipo di misurazione valutativa .
Tuttavia, non dimenticare la possibilità di utilizzare anche le altre letture
esposimetriche se la valutativa non dovesse fornire i risultati attesi.
Nel prossimo capitolo vedremo perché l’esposizione è così importante per
la riuscita di una buona fotografia, come esaminarla ed eventualmente
correggerla.
Istogramma e compensazione dell’esposizione
Ottenere una fotografia correttamente esposta significa avere
un’immagine ben bilanciata nei toni, nei colori, nelle luci e nelle ombre
(zone chiare e zone scure). Se la luminosità della scena è corretta, nella
fotografia sarà possibile distinguere dettagli che altrimenti andrebbero
persi a causa di aree completamente nere (buie) o completamente bianche
(bruciate).
Come già sai una fotografia troppo luminosa si dice sovraesposta .
Viceversa, una fotografia poco luminosa, si dice sottoesposta .
Ovviamente, si tratta di due casi che dobbiamo riuscire ad evitare. Piccoli
errori di esposizione si possono correggere con i software di post-
produzione agendo sul cursore dell’esposizione, delle ombre e delle alte
luci ma sulle zone completamente buie o bruciate non sarà possibile alcun
intervento correttivo.
Una fotografia è troppo o poco luminosa rispetto a quale valore? La
luminosità di riferimento corrisponde ad un grigio 18% ossia un grigio
che riflette il 18% della luce poiché si è notato che una tipica scena
riflette, in media, il 18% della luce.
Se la luminosità della scena inquadrata è inferiore a tale valore,
l’esposimetro configurerà i parametri di scatto (tempo e/o diaframma e/o
ISO) per aumentare l’esposizione oppure per diminuirla in caso contrario.
Grigio che riflette il 18% della luce

Per capire se la foto scattata è esposta correttamente oppure se presenta


aree sovraesposte o sottoesposte viene in aiuto l’istogramma
dell’esposizione .
Il grafico dell’istogramma dell’esposizione, disponibile praticamente in
tutte le fotocamere, è uno strumento molto potente e utile nelle mani del
fotografo. La lettura dell’istogramma è semplice, esso è composto da linee
verticali affiancate a disegnare un grafico che rappresenta la distribuzione
dei pixel per luminosità .
La luminosità è misurata sulle ascisse (lato orizzontale) da sinistra verso
destra da 0 (nero) a 255 (bianco) mentre sulle ordinate (lato verticale)
l’altezza raggiunta da ogni linea rappresenta quanti pixel dell’immagine
presentano quel dato valore di luminosità.
Se la curva appare spostata verso sinistra significa che la fotografia è buia
e predominano i toni scuri, viceversa se la curva è spostata verso destra
significa che la fotografia è eccessivamente luminosa e sono predominanti
i toni chiari mentre una curva distribuita lungo tutto l’asse orizzontale
denota un’immagine bilanciata su toni scuri, mezzi-toni e toni chiari.
La fotografia è sottoesposta, il relativo istogramma è spostato a sinistra
L’immagine è buia e risulta di difficile lettura nelle aree scure, ad
esempio i sellini di colore nero delle biciclette
La fotografia è sovraesposta, il relativo istogramma spostato a destra
L’immagine è troppo luminosa e risulta di difficile lettura nelle aree
chiare, ad esempio i parafanghi color crema delle biciclette
Va però osservato che una curva spostata verso sinistra o verso destra non
necessariamente significa una foto sottoesposta o sovraesposta , il grafico
dell’istogramma dell’esposizione deve essere sì letto ma anche
interpretato . Se fotografi la luna in piena notte ovviamente l’istogramma
sarà spostato verso sinistra, così se fotografi un airone sullo sfondo di un
cielo azzurro l’istogramma sarà spostato verso destra, si tratta di curve del
tutto normali in tali situazioni. Inoltre, in alcuni casi, la sottoesposizione o
la sovraesposizione è cercata volutamente dal fotografo e quindi non è da
ritenersi un “errore” bensì una scelta precisa di chi ha scattato per
ottenere, ad esempio, un’atmosfera cupa/misteriosa/raccolta oppure
un’atmosfera brillante/pura/rilassata.
Quello che bisogna evitare sono le linee del grafico all’estrema sinistra
(pixel completamente neri) e all’estrema destra (pixel completamente
bianchi): il grafico non deve toccare il bordo di sinistra e nemmeno il
bordo di destra.
In generale, escludendo dunque i casi particolari, una fotografia si
presenta con una esposizione formalmente corretta quando il grafico si
concentra nell’area centrale e i suoi estremi degradano verso sinistra e
verso destra e ancora quando il grafico si distribuisce lungo tutto
l’asse orizzontale .
La fotografia è esposta correttamente, il relativo istogramma è distribuito
lungo tutto l’asse orizzontale
Il grafico non tocca l’estrema sinistra e l’estrema destra in quanto
degrada prima di raggiungere i limiti di nero profondo (sinistra) e luci
bruciate (destra).
L’immagine è bilanciata e risulta ben leggibile sia nelle aree scure che
nelle aree chiare

Se così non è, probabilmente (ma, attenzione, dovremo valutarlo di volta


in volta) dobbiamo intervenire sull’esposizione in modo da portare i pixel
a distribuirsi in modo più uniforme lungo tutto l’asse dell’intensità
luminosa. Introduciamo allora il concetto di compensazione
dell’esposizione .
La compensazione dell’esposizione altro non è che una funzione offerta
dalla fotocamera che permette di compensare , quindi di modificare o
correggere, l’esposizione calcolata dalla macchina fotografica.
La compensazione normalmente può essere fatta ad incrementi o
decrementi di frazioni di EV (1/2 o 1/3 di EV), un EV corrisponde ad uno
stop. Generalmente, utilizzando la compensazione dell’esposizione è
possibile arrivare a valori massimi di correzione fino a -2/+2 o anche
-3/+3 EV. La compensazione dell’esposizione altera la coppia
tempo/diaframma in questo modo: in priorità di diaframma agendo
sui tempi, in priorità dei tempi agendo sul diaframma.
Se guardando l’istogramma, ti accorgi che ci sono aree bruciate (bianche)
dovrai compensare l’esposizione con valori EV negativi; al contrario, se ti
accorgi che ci sono ombre troppo chiuse quindi aree nere dovrai
compensare con valori EV positivi.
In particolare, identificare le aree sovraesposte è ancora più semplice con
la funzione di avviso alte luci . Con questa funzione attiva, guardando
l’anteprima della fotografia nello schermo della fotocamera, le zone
bruciate lampeggiano.
In generale, se non vi sono ragioni contrarie, il fotografo dovrebbe sempre
esporre per le alte luci ovvero non bruciare le zone chiare
dell’immagine . Le zone bruciate sono difficilmente recuperabili in post-
produzione mentre dalle ombre chiuse è più probabile riuscire a
recuperare dei dettagli schiarendole leggermente.
Di quanto alzare/abbassare gli EV nella compensazione? La risposta
migliore è provare a scattare più foto con impostazioni diverse, guardando
rapidamente l’anteprima sullo schermo della fotocamera.

Una rapida verifica all’istogramma dell’esposizione per escludere la


presenza di aree nere e/o bruciate nell’immagine, come si vede (il
quadratino con i simboli +/-) la compensazione dell’esposizione è
impostata a -1/3 di EV

Le reflex e le mirrorless ma anche fotocamere di altra categoria offrono a


tal proposito un’apposita funzione detta di bracketing dell’esposizione .
Il fotografo può impostare la compensazione dell’esposizione su un certo
valore EV in più e in meno rispetto ad un valore EV centrale di
riferimento e ottenere in automatico 3 scatti con 3 diverse esposizioni (il
fotografo sceglierà la più soddisfacente).
Esempio
-1 --- 0 --- +1
il fotografo ha deciso di compensare di 1EV (-1 e +1) scegliendo come
valore centrale di riferimento 0EV
-3 --- -1 --- +1
il fotografo ha deciso di compensare di 2EV (-2 e +2) scegliendo come
valore centrale di riferimento -1EV

Il fine del bracketing dell’esposizione è ottenere una foto la cui luminosità


sia il più possibile corretta in condizioni complesse di illuminazione.
Esiste anche una tecnica di post-produzione chiamata HDR (High
Dynamic Range ) che combina foto con esposizione diversa per ottenere
una gamma dinamica più ampia, permettendo di ricavare un’immagine
finale ricca di dettagli sia nelle zone d’ombra che nelle zone più chiare, in
alcuni casi la funzione HDR si trova già presente in camera.
La compensazione dell’esposizione è utile anche nei casi nei quali
l’esposimetro viene ingannato. Nelle fotografie sulla neve, l’estrema
luminosità della scena porta normalmente la fotocamera a sottoesporre,
facendo apparire la neve grigia invece di bianca, tutto torna a posto
semplicemente scattando con la compensazione dell’esposizione a +1EV
(o valori prossimi).
In un ritratto su fondale nero, invece, lo sfondo scuro induce la fotocamera
a sovraesporre facendo apparire il nero come grigio e la pelle del soggetto
più chiara, tutto si sistema scattando con la compensazione
dell’esposizione a -1EV (o valori prossimi).
La compensazione negativa dell’esposizione, quindi la sottoesposizione, si
dimostra utile anche quando si vogliono “caricare” i colori.
Sottoesponendo, infatti, aumenta la saturazione: un azzurro pallido può
diventare un blu. A volte sono sufficienti anche frazioni di EV (esempio
-1/2EV) per non rischiare, di contro, di chiudere troppo le ombre verso il
nero.
Giunti a questo punto dovresti aver acquisito le conoscenze necessarie per
esporre correttamente le tue fotografie. Se stai inquadrando scene in
condizioni di luce particolari, prova ad abbandonare la misurazione
valutativa a favore di altri metodi di lettura. In caso di zone con ombre
troppo chiuse o bianchi bruciati scatta una nuova fotografia dopo aver
agito sulla compensazione dell’esposizione, prova anche ad inquadrare la
scena leggendo e bloccando l’esposizione su una diversa inquadratura.
Scatto in priorità dei tempi, priorità di diaframma, manuale
Ti sarai sicuramente accorto che la tua fotocamera non offre
esclusivamente lo scatto Auto anzi tale modalità è proprio quella che a
breve smetterai di utilizzare per sempre.
Un aspetto importante per uno scatto fotografico consapevole riguarda,
infatti, le modalità di ripresa che oltre alla automatica includono la semi-
automatica e la manuale . Sulla modalità automatica non c’è molto da
dire, chi fotografa inquadra la scena e scatta, a tutto il resto pensa la
fotocamera. Utilizzando la modalità Auto non assumi il controllo del
processo di scatto e il divertimento è assai limitato!
Tuttavia, se sei arrivato a leggere fin qua, acquisendo le nozioni e i
concetti man mano introdotti, dovresti ormai essere pronto ad
abbandonare tutti gli automatismi.
Nel capitolo Il triangolo dell’esposizione ho scritto che l’esposizione
dipende da tre fattori:

per quanto tempo la luce colpisce il sensore (tempo)


quanto è aperto il diaframma (diaframma)
quanto è sensibile il sensore alla luce (ISO)
Ancora una volta dimentichiamoci degli ISO o meglio ipotizziamoli fissi a
100, in modo da concentrarci esclusivamente sulle due rimanenti
grandezze: tempi e diaframmi.
In modalità semi-automatica , il fotografo può decidere di fissare il
tempo, scatto in priorità dei tempi , e lasciare alla fotocamera il calcolo
dell’apertura del diaframma oppure di fissare l’apertura del diaframma,
scatto in priorità di diaframma , e lasciare alla macchina il calcolo del
tempo.
In altre parole, la macchina fotografica, una volta che il fotografo ha
fissato un valore come prioritario, calcola in automatico l’altro per
ottenere la coppia tempo/diaframma in grado di fornire la corretta
esposizione in quelle condizioni di luce.
Una classica ghiera delle modalità di scatto su reflex professionale Canon

Scatto in priorità dei tempi


La priorità dei tempi è selezionabile sulla macchina fotografica attraverso
la ghiera delle modalità di scatto, ruotandola in posizione Tv (Time Value )
o S (Shutter ). Al fotografo non resta che impostare per quanto tempo
l’otturatore dovrà consentire alla luce di arrivare al sensore e la
fotocamera calcolerà in automatico l’apertura del diaframma ossia quanta
luce è necessario far passare, dato quel tempo.

Quali gli effetti sulla fotografia scattando in priorità dei tempi?


Lo scatto in priorità dei tempi si utilizza per congelare o per evidenziare il
movimento del soggetto, quale tempo utilizzare dipende dall’effetto che si
desidera ottenere.
Tempi veloci (nell’ordine di frazioni di secondo) “bloccano” l’azione,
tempi “lenti” (nell’ordine di secondi) la lasciano “fluire”. Il concetto di
veloce e lento è in funzione di quanto veloce o lento è il movimento del
soggetto.
Fotografare una persona che passeggia a 1/500 la farà sembrare
sicuramente ferma, utilizzare 1/500 in una corsa automobilistica non sarà
invece sufficiente a “bloccare” il movimento delle auto.
La priorità dei tempi si usa nelle scene dove c’è azione di qualsiasi tipo
. Ad esempio, l’acqua che scorre è un ottimo soggetto: puoi fermare una
cascata o un torrente e i relativi schizzi con un tempo di frazioni di
secondo oppure lasciarli fluire, utilizzando tempi nell’ordine di qualche
secondo o più, ottenendo quello che in gergo viene chiamato “effetto
seta”.

Effetto seta sull’acqua di una cascata con tempo di esposizione pari a 30”
ottenuto con filtro ND1000
(Canon EOS 7D Mark II, EF-S 10-18mm f/4.5-5.6 IS STM a 10mm, 30”,
f/6.3, ISO 200, treppiedi, filtro ND1000)

Le fotografie scattate con tempi nell’ordine di alcuni secondi o più


(esempio 15 secondi, 1 minuto, ecc.) vengono chiamate lunghe
esposizioni o long-exposure in inglese e richiedono l’uso di un cavalletto
per mantenere la fotocamera perfettamente ferma durante lo scatto e quasi
sempre di un filtro ND (neutral density ) montato sull’obiettivo; di filtri e
accessori parleremo più avanti.
Un altro utilizzo della priorità dei tempi lo si trova, soprattutto nella
fotografia sportiva, nella cosiddetta tecnica del panning .
Le immagini scattate con questa tecnica sono in grado di trasmettere, con
un grande impatto visivo, la sensazione di velocità . In una fotografia di
panning , il soggetto in movimento risulta sufficientemente nitido mentre
lo sfondo mosso.
Si ottiene questo effetto selezionando la priorità dei tempi, mettendo a
fuoco il soggetto in movimento e scattando seguendo il soggetto con la
fotocamera per mantenerlo all’interno dell’inquadratura e continuando a
seguirlo per qualche istante anche dopo la pressione del tasto di scatto.

Nel panning il soggetto è nitido mentre lo sfondo è mosso, tempo di scatto


1/50 di secondo
(Canon EOS 600D, Tamron SP AF 70-300 F/4-5.6 Di VC USD a 70mm,
1/50, f/10, ISO 100)
Sono essenzialmente due le principali difficoltà del panning : 1) la prima
risiede nel fatto che è necessario muovere la fotocamera in modo solidale
al soggetto, al fine di mantenerlo agganciato con il sistema di Auto-Focus
prima, durante e dopo lo scatto; 2) la seconda riguarda la scelta di un
tempo di scatto adeguato che dovrà essere non troppo veloce (altrimenti
congeleremmo l’intera scena, incluso lo sfondo) ma nemmeno troppo
lento (altrimenti seguire il soggetto per tutto il tempo di scatto in modo
solidale diventerebbe impresa quasi impossibile).
Ancora una volta, diverse prove ci permetteranno di capire quale tempo di
scatto prediligere a seconda che ci si trovi di fronte, ad esempio, ad una
gara di automobilismo, motociclismo o ciclismo.
Inoltre, adottando questa tecnica, sarà normalmente necessario scattare più
fotografie prima di ottenere un’immagine accettabile.

Scatto in priorità dei tempi, cosa fare se…


È possibile, scegliendo un determinato tempo di scatto, che la fotocamera
visualizzi un valore di apertura del diaframma lampeggiante. Cosa
significa?
Supponiamo di utilizzare un obiettivo che per caratteristiche costruttive
permetta un valore massimo di apertura pari 3,5 e minimo pari a 32. Con il
lampeggio del valore massimo (3,5) la fotocamera segnala che -
utilizzando il tempo impostato - non è possibile ottenere la corretta
esposizione in quanto non è possibile aprire ulteriormente il diaframma
(essendo già al massimo).
Puoi scattare ugualmente la fotografia ma otterrai un’immagine
sottoesposta .
Con il lampeggio del valore minimo (32) la fotocamera segnala che -
utilizzando il tempo impostato - non è possibile ottenere la corretta
esposizione in quanto non è possibile chiudere ulteriormente il diaframma
(essendo già al minimo).
Puoi scattare ugualmente la fotografia ma otterrai un’immagine
sovraesposta .
Cosa fare?
Nel primo caso (lampeggio massima apertura) è possibile aumentare gli
ISO per incrementare la sensibilità del sensore alla luce. Questo
comporterà un’amplificazione del rumore digitale ma sarà possibile
riportare l’apertura del diaframma all’interno dell’intervallo dei valori
supportati.
Oppure, se ti è possibile, puoi rinunciare al tempo di scatto selezionato e
sceglierne uno differente (dovrai allungare il tempo di scatto, tempo più
lento).
Nel secondo caso (lampeggio minima apertura) con gli ISO già impostati a
100 o a 50, l’unica soluzione possibile consiste nel montare sull’obiettivo
un filtro ND (ne parlerò più avanti) per ridurre la quantità di luce e
riportare così l’apertura del diaframma all’interno dell’intervallo dei
valori consentiti.
Oppure, se ti è possibile, puoi rinunciare al tempo di scatto selezionato e
sceglierne uno differente (dovrai accorciare il tempo di scatto, tempo più
veloce).

Scatto in priorità di diaframma


La priorità di diaframma è selezionabile sulla macchina fotografica
attraverso la ghiera delle modalità di scatto, ruotandola in posizione Av
(Aperture Value ) o A (Aperture ). Al fotografo non resta che impostare
l’apertura del diaframma e la fotocamera calcolerà in automatico il tempo
di scatto.

Quali gli effetti sulla fotografia scattando in priorità di diaframma?


Lo scatto in priorità di diaframma si utilizza per estendere o restringere la
zona nitida dell’immagine che sta davanti e dietro al soggetto messo a
fuoco. É arrivato dunque il momento di introdurre e spiegare il concetto di
profondità di campo o PDC (in inglese DOF, Depth Of Field ).
La messa a fuoco (di cui parleremo nel prossimo capitolo) può riguardare
un solo piano ad una specifica distanza. Non possono essere messi a fuoco
due oggetti che nella scena si trovano su piani differenti (cioè a distanze
differenti): se è a fuoco l’oggetto B supponiamo a 6 metri di distanza,
l’oggetto A posto a 2 e l’oggetto C posto a 10 non saranno a fuoco.
Tuttavia, il fotografo ha la possibilità di far apparire più o meno a fuoco
anche A e C ossia di estendere o restringere la zona di nitidezza apparente
o quella che in gergo viene appunto definita profondità di campo .
Poiché l’apertura del diaframma modifica la profondità di campo,
scattando in questa modalità puoi assumere il controllo su ciò che nella
tua immagine dovrà apparire nitido prima e dopo il soggetto principale
messo a fuoco.
In particolare, ad una maggiore apertura di diaframma corrisponde
una minore profondità di campo e viceversa .
Esempio

f/1,8 = ridotta profondità di campo


f/22 = estesa profondità di campo

La ridotta PDC con diaframma aperto a f/2,8 determina un’evidente


sfocatura del testo sia davanti alla carta da gioco sia dietro
Nella fotografia di ritratto si desidera che l’osservatore si concentri sul
soggetto senza essere disturbato dallo sfondo, per questo si utilizza la
modalità di scatto a priorità di diaframma scegliendo ampie aperture,
come f/2,8 o f/1,8. A causa della ridotta profondità di campo, lo sfondo
sarà completamente sfocato ottenendo il risultato di mettere in risalto solo
il soggetto senza introdurre inutili distrazioni.
Nella fotografia di paesaggio , invece, si desidera avere nitidezza su tutta
l’immagine poiché l’occhio deve poter cogliere i particolari di tutto il
panorama. Per questo si utilizza la modalità di scatto a priorità di
diaframma, scegliendo di chiuderlo fino a f/11, f/16 o anche f/22. Grazie
all’estesa profondità di campo, primo piano e sfondo saranno nitidi a
sufficienza da far sembrare tutta la scena completamente a fuoco.

{Esercizio}
Posiziona su un tavolo tre oggetti a distanze diverse tra loro, uno
successivamente all’altro. Ora prendi la tua fotocamera e impostala in
priorità di diaframma, quindi metti a fuoco sull’oggetto nel mezzo e scatta
più fotografie variando l’apertura dal valore più aperto (PDC minima) fino
al valore più chiuso (PDC massima). Scarica i file sul computer e osserva
come è variata la zona di nitidezza apparente per ogni valore del
diaframma.
Per l’esercizio ho utilizzato tre carte da gioco mettendo sempre a fuoco
sulla carta nel mezzo ossia il cinque di cuori, poi ho scattato tre fotografie
con diaframma sempre più chiuso: f/1,8 f/5,6 f/18. I risultati mostrano
chiaramente come puoi avere il controllo della profondità di campo delle
tue immagini semplicemente lavorando in priorità di diaframma e
variando l’apertura in base al risultato che vuoi ottenere.
A f/1,8 la PDC è di soli pochi centimetri tanto che il 3 e il 7 di cuori,
rispettivamente prima e dopo la distanza di messa a fuoco, sono
completamente sfocati
A f/5,6 la PDC inizia ad estendersi tanto che il 3 e il 7 di cuori,
rispettivamente prima e dopo la distanza di messa a fuoco, sono sì sfocati
ma molto meno rispetto a f/1,8

A f/18 la PDC è talmente estesa che il 3 e il 7 di cuori, rispettivamente


prima e dopo la distanza di messa a fuoco, sembrano essere a fuoco

Ti suggerisco di ampliare l’esercizio focheggiando sempre sull’oggetto


nel mezzo ma a distanze differenti (allontanati e avvicinati) in modo da
osservare come la PDC venga influenzata non solo dall’apertura del
diaframma ma anche dalla distanza di messa a fuoco, inoltre prova a
ripetere gli scatti variando la distanza che intercorre tra i tre oggetti.
{Fine}

Per completezza, la profondità di campo non è solo influenzata


dall’apertura del diaframma ma anche dalla lunghezza focale
dell’obiettivo e dalla distanza di messa a fuoco .
In sintesi: 1) le focali lunghe riducono la profondità di campo mentre le
focali corte l’aumentano; 2) più il soggetto messo a fuoco è vicino alla
fotocamera più la PDC è ridotta.
Prima di concludere, un’ultima riflessione sull’apertura del diaframma.
Immagina una modella fotografata in primo piano, con un’apertura di
diaframma molto ampia (esempio f/1,8) mettendo a fuoco gli occhi vi è il
rischio, a causa di una profondità di campo molto ridotta, di avere la punta
del naso sfocata, un risultato non proprio gradevole.
Lo stesso potrebbe accadere nel caso in cui la testa sia leggermente girata,
solo uno dei due occhi risulterebbe a fuoco. Per queste ragioni si tende a
non aprire quasi mai al massimo il diaframma.
Nei paesaggi, invece, una chiusura estrema del diaframma (esempio f/22 o
f/32) potrebbe generare un effetto di diffrazione (una deviazione nella
traiettoria della luce) tale da ridurre la qualità dell’immagine. Per questo è
suggeribile non chiudere mai il diaframma alla sua misura massima.

Scatto in priorità di diaframma, cosa fare se…


È possibile, scegliendo un determinato valore di apertura del diaframma,
che la fotocamera visualizzi un valore di tempo lampeggiante. Cosa
significa?
Supponiamo di utilizzare una fotocamera che per caratteristiche
costruttive permetta un valore massimo di tempo pari a 30 secondi e
minimo pari a 1/4000.
Con il lampeggio del valore massimo (30”) la fotocamera segnala che -
utilizzando il diaframma impostato - non è possibile ottenere la corretta
esposizione in quanto non è possibile aumentare ulteriormente il valore
del tempo (essendo già a fine scala).
Puoi scattare ugualmente la fotografia ma otterrai un’immagine
sottoesposta .
Con il lampeggio del valore minimo (1/4000) la fotocamera segnala che -
utilizzando il diaframma impostato - non è possibile ottenere la corretta
esposizione in quanto non è possibile ridurre ulteriormente il valore del
tempo (essendo già a fine scala).
Puoi scattare ugualmente la fotografia ma otterrai un’immagine
sovraesposta .
Cosa fare?
Nel primo caso (lampeggio del valore massimo) è possibile aumentare gli
ISO per incrementare la sensibilità del sensore alla luce, questo
comporterà un’amplificazione del rumore digitale ma sarà possibile
riportare il valore del tempo all’interno dell’intervallo dei valori
supportati.
Oppure, se ti è possibile, puoi rinunciare al valore di diaframma
selezionato e sceglierne uno differente (dovrai aprire il diaframma).
Nel secondo caso (lampeggio del valore minimo) con ISO già impostati a
100 o a 50, l’unica soluzione possibile consiste nel montare sull’obiettivo
un filtro ND (ne parlerò più avanti) per ridurre la quantità di luce e
riportare così il valore del tempo all’interno dell’intervallo dei valori
consentiti.
Oppure, se ti è possibile, puoi rinunciare al valore di diaframma
selezionato e sceglierne uno differente (dovrai chiudere il diaframma).

Scatto manuale
Mentre le modalità priorità dei tempi e priorità di diaframma sono
definite semi-automatiche poiché un valore è deciso dal fotografo e l’altro
viene calcolato come conseguenza dalla fotocamera, lo scatto manuale
prevede che sia tempo sia diaframma siano impostati dal fotografo.
Alcuni ritengono che la modalità manuale, indicata con M (Manual ) sulla
ghiera delle modalità di scatto, sia quella utilizzata dai veri fotografi;
personalmente ritengo che il vero fotografo scelga la modalità di scatto
più adatta in base alla scena e che la modalità M sia realmente necessaria
solo in un numero ridotto di situazioni.
Poiché in modalità manuale non sappiamo se la fotografia risultante dalla
coppia tempo/diaframma da noi impostata sarà esposta correttamente
oppure risulterà essere sovraesposta o sottoesposta, la fotocamera ci viene
in soccorso mostrandoci un indicatore del livello di esposizione .
Il cursore mostra lo scostamento dell’esposizione (in negativo o in
positivo) rispetto ad un valore (0) considerato corretto. Una volta
raggiunta l’esposizione desiderata, siamo pronti a scattare con la coppia
tempo/diaframma scelta.
La modalità M è dunque quella che offre la libertà più ampia nel controllo
dell’esposizione, esposizione che rimane fissa sulla copia
tempo/diaframma scelta dal fotografo indipendentemente dal variare delle
condizioni di luce.
In manuale, il fotografo può impostare tempi e diaframmi per scattare
volutamente una immagine con una certa sovraesposizione o
sottoesposizione; nelle modalità semi-automatiche invece la fotocamera
calcolerà il tempo o il diaframma per ottenere un’esposizione che non si
discosta mai dal valore (0).

Simulatore online di fotocamera digitale


Sebbene il mio consiglio sia quello di “giocare” con le diverse modalità di
scatto direttamente con la tua macchina fotografica, sul web sono
disponibili degli utili simulatori. Puoi utilizzare il simulatore se hai una
fotocamera che non ti offre le funzioni a priorità di tempo, di diaframma e
la modalità manuale oppure se al momento ne sei privo o non ne possiedi
una.
Il simulatore che ti suggerisco lo trovi al seguente link (funzionante al
momento in cui scrivo) http://www.canonoutsideofauto.ca/play/ ed è in
lingua inglese; si tratta di un ottimo strumento per testare, in modo
semplice e rapido, quanto hai appreso finora.
Per prima cosa seleziona, in alto, il programma di scatto tra Manual (M)
(manuale), Shutter Priority (Tv) (priorità dei tempi) oppure Aperture
Priority (Av) (priorità di diaframma). Successivamente regola i cursori di
tempo, diaframma e ISO (ovviamente le possibilità di regolazione
dipendono da che programma di scatto hai scelto) e scatta la fotografia per
vedere l’effetto delle tue scelte sull’immagine finale.
Modalità di messa a fuoco
La messa a fuoco o MAF si ottiene attraverso lo spostamento delle lenti
interne all’obiettivo fino a quando il soggetto inquadrato, posto ad una
certa distanza, non appare nitido.
La distanza di MAF è una sola, quindi non possono essere messi a fuoco
contemporaneamente due soggetti posti su piani a distanze differenti. La
MAF può essere manuale (MF – Manual Focus ), agendo sull’apposita
ghiera dell’obiettivo oppure automatica (AF – Auto-Focus ), premendo a
metà corsa il pulsante di scatto.
La messa a fuoco manuale si utilizza nei casi dove l’AF non funziona o
non fornisce i risultati attesi, ad esempio in scene con poca illuminazione
o quando il soggetto si trova dietro una griglia o alle maglie di una rete
(con molta probabilità l’AF metterebbe a fuoco la griglia o la rete).
Un apposito selettore, posto sull’obiettivo, permette normalmente di
passare da MF ad AF e viceversa.

Punti di messa a fuoco


I sistemi di autofocus attuali sono molto complessi e basati non su un
unico punto AF ma su decine o svariate centinaia di essi. Le fotocamere
entry-level (modelli base) offrono in generale 9 o 11 punti AF, i modelli
superiori arrivano a 45, 65 o anche 153 punti AF con un’eccezionale
copertura della scena inquadrata. Nelle fotocamere mirrorless i punti AF
sono ancora più numerosi!
Sistema AF a 19 punti di messa a fuoco

I punti di messa a fuoco possono essere scelti in automatico dalla


fotocamera oppure il fotografo può selezionare un punto singolo,
raggruppare più punti o definire un’area AF. Ovviamente, le funzioni AF
differiscono tra fotocamere entry-level e fotocamere di livello superiore.
In generale, per evitare che la fotocamera metta a fuoco un soggetto
diverso da quello che realmente si desidera mettere a fuoco è suggeribile
che sia tu ad impostare il punto AF evitando la selezione automatica.
I controlli sono così avanzati e le possibilità così ampie che per alcune
fotocamere esiste un manuale a parte solo per spiegare come si utilizza il
sistema di autofocus. Non tutti i punti AF sono uguali: esistono punti AF
lineari , a croce , a croce doppia .
Ai fini di questa guida è sufficiente sapere che i punti a croce doppia sono
i più sensibili.

Come può la fotocamera riconoscere se l’immagine è a fuoco in un


punto AF?
Esistono tre sistemi: a rilevamento di fase , a rilevamento di contrasto e
un sistema ibrido . Il primo sistema è il più accurato e viene impiegato
nelle reflex di fascia medio/alta, nelle reflex perché il sistema per
funzionare necessita dello specchio; esso utilizza una coppia di sensori per
ciascun punto di messa a fuoco.
I due sensori ricevono immagini leggermente diverse tra loro (ottenute
separando la luce che entra dall’obiettivo con delle microlenti) e il
motorino elettrico interno all’obiettivo muove il gruppo ottico fino a
trovare la posizione in cui le due immagini convergono perfettamente in
un’unica a fuoco.
Il sistema è molto veloce perché è in grado di calcolare se la mancata
messa a fuoco è per eccesso oppure per difetto (se il fuoco è dietro al
soggetto o davanti al soggetto) e di conseguenza attiva il motorino
elettrico per spostare le lenti subito nella giusta direzione.
In questo sistema, per ottenere una buona copertura dell’immagine (non
solo centralmente ma anche ai bordi), sono necessari numerosi punti AF. Il
sistema può manifestare problemi in caso di poca luce, per questo la
fotocamera è in grado di emettere un fascio luminoso di assistenza.
Il rilevamento di contrasto , invece, utilizzato nelle compatte, nelle
bridge e nelle reflex in modalità LiveView , consiste nel muovere le lenti
fino ad ottenere il massimo contrasto tra le zone chiare e le zone scure nel
punto di AF.
Il sistema mostra difficoltà con soggetti uniformi, privi di aree
contrastate. Il rilevamento di contrasto è molto preciso ma è più lento del
rilevamento di fase perché le lenti vengono spostate avanti e indietro,
attraverso approssimazioni successive, fino a trovare la posizione che
assicura il maggior contrasto.
Il terzo sistema, quello ibrido ossia fase/contrasto, è stato introdotto con
le mirrorless. In queste fotocamere l’assenza dello specchio non permette
l’uso della modalità a rilevamento di fase quindi tale rilevamento viene
effettuato direttamente utilizzando il sensore di immagine. Prima entra in
funzione l’AF a rilevamento di fase (veloce) per il posizionamento delle
lenti vicino alla messa a fuoco, dopo si utilizza l’AF a contrasto (preciso)
per la regolazione finale.
Vediamo ora quali modalità operative i sistemi di autofocus mettono a
disposizione al fine di ottenere la migliore messa a fuoco nelle diverse
situazioni (i nomi delle modalità possono differire a seconda del
produttore).

One-Shot o AF-S (Auto Focus Single)


Il nome sta a significare un singolo scatto; tale modalità si utilizza con
soggetti fermi, ad esempio nella fotografia di ritratto o di paesaggio.
Quando il pulsante di scatto viene premuto a metà corsa la fotocamera
esegue la messa a fuoco una sola volta sul punto AF selezionato dal
fotografo oppure seleziona automaticamente i punti AF a fuoco.
La messa a fuoco rimane bloccata finché il pulsante di scatto è premuto.

AI Servo o AF-C (Auto Focus Continuos)


Si utilizza con i soggetti in movimento; tale modalità è suggerita quando
la distanza di messa a fuoco cambia in continuazione, in questo scenario la
fotocamera continuerà a variare la messa a fuoco per mantenere il
soggetto inquadrato nitido.
Con AI Servo è suggeribile lasciare alla macchina fotografica la scelta del
punto AF; inizialmente la MAF viene ottenuta sul punto AF centrale e se il
soggetto si sposta continua fino a quando il soggetto entra in
corrispondenza di un altro punto AF.

AI Focus o AF-A (Auto Focus Automatic)


Questa modalità serve per passare da One-Shot (AF-S) ad AI Servo (AF-
C) automaticamente. Se la fotocamera in modalità One-Shot rileva che il
soggetto inizialmente immobile si sta spostando, passa in automatico alla
modalità AI Servo.
Nel manuale d’uso della tua fotocamera troverai informazioni dettagliate
sulle modalità di messa a fuoco disponibili con il tuo sistema AF e su
come attivarle.
Scatto in JPEG, scatto in RAW
Quasi tutte le attuali fotocamere permettono al fotografo di impostare il
formato di file con il quale salvare le immagini. I formati disponibili sono
generalmente di due tipi: JPEG oppure RAW .
A volte è possibile salvare le immagini contemporaneamente in entrambi i
formati.

Formato JPEG
É il formato immagine più noto. Si imposta la fotocamera sul formato
JPEG e poi non resta che scaricare sul computer file pronti all’uso. La
macchina fotografica si occupa di elaborare tutti i dati sulla scena raccolti
dal sensore e di regolare contrasto, saturazione, nitidezza, riduzione del
rumore e tutto ciò che è necessario per ottenere una fotografia
immediatamente utilizzabile.
Questa comodità la si paga in termini di totale assenza di controllo sulla
qualità dell’immagine:
1) la fotocamera applica un’elaborazione basata su algoritmi matematici
e non in base al gusto del fotografo
2) si perdono dettagli. Un file .JPG pesa generalmente alcuni MB a fronte
di un sensore capace di registrare 20, 30 o più MB di dati per
immagine. É evidente che a causa della compressione del formato JPEG
la fotografia perda di qualità
3) le possibilità di post-produzione sono ridotte. Qualora il risultato
fornito dalla macchina non sia soddisfacente potrai intervenire solo
limitatamente ad alcune correzioni, inoltre, salvando il file applicherai
una nuova, ulteriore, compressione.
Perché allora utilizzare il formato JPEG?
Per lo stesso motivo per il quale mangiamo cibi già pronti invece di
cucinarli. Un file .JPG è pronto all’uso, nel senso che l’elaborazione
applicata dalla macchina permette di ottenere una fotografia utilizzabile
da subito nella maggior parte delle situazioni.
Se non hai tempo, voglia o conoscenze di post-produzione, il formato
JPEG è perfetto… un po’ come tornare a casa dopo una lunga giornata,
prendere un piatto già pronto e in pochi minuti sedersi a mangiarlo. Molto
probabilmente non sarà così salutare ma è sicuramente comodo o no?

Formato RAW
Scegliere per le proprie fotografie il formato RAW è un po’ come decidere
di cucinare il nostro piatto preferito invece di acquistarlo già pronto.
Il file RAW è considerato in fotografia digitale come l’equivalente del
negativo nella fotografia analogica: devi svilupparlo in camera chiara
invece della camera oscura prima di ottenere la fotografia finale. Non
servono bacinelle ed acidi, serve solo un software di post-produzione per
l’elaborazione dei file RAW.
RAW significa grezzo , non elaborato . Un file RAW generalmente ha un
peso all’incirca uguale ai megapixel della fotocamera poiché esso
contiene, senza elaborarli, tutti i dati registrati dal sensore. In secondo
luogo, RAW non è l’estensione del file ma il nome generico di questo tipo
di formato.
L’estensione dei file RAW e la loro struttura interna cambia da produttore
a produttore, alcuni esempi di estensioni per file di tipo RAW sono: .cr2
(Canon), .nef (Nikon), .raf (Fuji), .arw (Sony).
Una volta conclusa la sessione fotografica e dopo aver scaricato i file
RAW su computer occorre un software di post-produzione per aprirli e
svilupparli, normalmente un software di questo tipo è già fornito in
dotazione con la fotocamera.
I file RAW contengono al loro interno un’anteprima JPEG (elaborata in
automatico dalla macchina) ed è questa anteprima ad essere visualizzata
dopo lo scatto nel monitor della fotocamera. Questo spiega perché la
fotografia RAW vista dalla fotocamera sembra pronta all’uso mentre poi
scaricata su computer non lo è.
Non resta allora che dedicare del tempo allo sviluppo, regolando
attraverso il software tutta una serie di parametri a nostra disposizione.
La potenza del RAW sta qui! La post-produzione viene fatta dal
fotografo applicando il suo gusto estetico e la propria creatività,
l’attenuazione o l’accentuazione delle diverse regolazioni sono
completamente sotto il tuo controllo.
Il formato RAW, inoltre, permette di intervenire su caratteristiche
altrimenti non accessibili con il formato JPEG, ad esempio la correzione
del bilanciamento del bianco .
Si tratta di una correzione molto importante poiché da essa dipende la
corretta rappresentazione dei colori (ne parlerò nel capito dedicato alla
teoria del colore), indipendentemente dal tipo di luce presente al momento
dello scatto (esempio luce solare, luce neon, luce incandescente, ecc.).
Scattando in RAW non dovrai preoccuparti del bilanciamento del bianco in
macchina. La scelta migliore, per iniziare, è quella di impostare sulla
fotocamera il bilanciamento del bianco automatico che si comporta bene
nella stragrande maggioranza dei casi e se necessario modificarlo in post-
produzione.
Oltre al bilanciamento del bianco, il formato RAW permette di intervenire
con maggiore precisione anche nella regolazione dell’esposizione, offre
maggiori possibilità di recupero dei dettagli nelle zone chiare (alte luci) e
nelle zone scure (ombre), consente di ridurre con maggiore efficacia il
rumore digitale sia nella componente di luminanza che di crominanza e
interventi di diverso tipo sono disponibili anche sui colori.
In definitiva, il fotografo può sviluppare il RAW con la massima libertà
senza le limitazioni del formato JPEG a patto ovviamente di saper
utilizzare il software di post-produzione e di aver tempo e voglia da
dedicare a questa operazione.
Dopo aver terminato lo sviluppo del RAW, sarà possibile salvare il file
finale nel classico formato .JPG (scegliendo il livello di compressione più
adatto) oppure in formato .TIF non compresso a seconda degli usi a cui è
destinata la fotografia.
Per i più tecnici aggiungo un’ultima informazione. I file RAW registrano
l’intensità luminosa delle singole componenti RGB utilizzando
normalmente 12, 14 o 16 bit mentre i file .JPG solo 8 bit.
Questo significa che i file RAW sono in grado di descrivere ogni pixel con
un numero superiore di sfumature di colore rispetto al formato JPEG (nel
JPEG i passaggi di colore saranno dunque meno graduali).
Carta di identità di una fotografia: i dati Exif
Il file di una fotografia oltre ad essere visualizzato come immagine
contiene dei metadata associati all’immagine stessa chiamati dati Exif .
La sigla Exif sta per Exchangeable image file format e questo insieme di
informazioni rappresenta una sorta di carta di identità della fotografia.
Il modo più semplice per visualizzare i dati Exif in un sistema Windows o
Mac consiste nel cliccare con il tasto destro sul file immagine (esempio un
file JPEG oppure un file RAW) e scegliere Proprietà nel primo oppure
Ottieni informazioni nel secondo.
Si aprirà una nuova finestra con i dati Exif. Essi mostrano: produttore e
modello della fotocamera, data e ora di scatto, dimensioni in pixel, ISO,
valore di apertura del diaframma, tempo di scatto, distanza focale,
programma di scatto (esempio priorità di tempo, di diaframma, manuale),
compensazione dell’esposizione, misurazione dell’esposizione (esempio
valutativa, spot, ponderata al centro), coordinate GPS (se il ricevitore GPS
era presente e attivo al momento dello scatto), nome dell’autore e
informazioni di copyright (se impostate nella fotocamera).
I dati Exif di un file RAW .CR2 di Canon visualizzati nel tab Dettagli delle
Proprietà in un sistema Windows

I dati Exif vengono scritti all’interno del file dalla fotocamera. Tuttavia,
quando il file JPEG o RAW viene elaborato con un software di post-
produzione, al momento del salvataggio è generalmente possibile
scegliere di rimuovere le informazioni Exif che saranno perciò assenti nel
nuovo file.
Esistono anche numerosi software free per la lettura dei dati Exif che
possono essere individuati con una semplice ricerca in Internet.
Lo spazio colore
Lo spazio colore è il Gamut che una periferica è in grado di riprodurre,
dove per Gamut si intende un insieme di colori o gamma cromatica.
Semplificando, lo spazio colore (a volte anche profilo colore ) è la
quantità di colori che viene assegnata ad un’immagine.
Esistono diversi spazi colore ciascuno caratterizzato da una estensione più
o meno ampia, tra i più noti sRGB e Adobe RGB (1998) .
Lo spazio colore sRGB è uno spazio piuttosto limitato. La quantità di
colori riproducibili impostando questo spazio è ridotta, tanto da essere
insufficiente a rappresentare adeguatamente un ampio numero di
sfumature.
sRGB è la scelta migliore quando si prevede di utilizzare le immagini a
monitor (esempio in presentazioni o online sul web) poiché non solo la
gamma cromatica riproducibile dagli schermi è molto simile ma,
nell’utilizzo online, sRGB è il profilo colore correttamente interpretato dai
browser.
Lo spazio colore Adobe RGB ha invece un’estensione più ampia di
sRGB. Con questo spazio è possibile assegnare all’immagine una gamma
cromatica capace di riprodurre un numero superiore di sfumature. Di
conseguenza, Adobe RGB è la scelta migliore quando le fotografie sono
destinate alla stampa poiché a monitor non è completamente riproducibile.
Uno spazio colore ancora più ampio di Adobe RGB è ProPhoto RGB ,
sviluppato da Kodak. Tale spazio contiene una gamma cromatica così
estesa da includere anche colori immaginari non visibili.

In estrema sintesi:

ProPhoto RGB > Adobe RGB > sRGB

Il grafico seguente mostra il Gamut dei tre spazi colore appena considerati
rispetto ai colori visibili. Si nota chiaramente come Adobe RGB sia
nettamente più esteso di sRGB e ProPhoto RGB sia nettamente più esteso
di Adobe RGB, così esteso da andare oltre la quantità di colori visibili (le
zone bianche nel triangolo di ProPhoto RGB).

Rappresentazione grafica del Gamut degli spazi colore

Cosa succede se un’immagine utilizza uno spazio colore più ampio del
profilo colore della periferica di output (esempio di un monitor o di
una stampante)? Semplicemente i colori fuori dal Gamut della periferica
saranno convertiti al colore più prossimo al fine di comprimerli nello
spazio colore attivo. Di conseguenza, benché presenti nella fotografia,
alcuni dei colori originari dell’immagine non saranno riproducibili.
Le fotocamere digitali offrono la possibilità di scegliere, attraverso un
apposito menu, quale spazio colore tra sRGB e Adobe RGB assegnare alle
immagini. La scelta in camera è però rilevante solo se si scatta in
formato JPEG mentre non ha alcuna importanza se si utilizza il formato
RAW.
Come già ricordato, il formato JPEG è stato pensato per fornire
un’immagine pronta all’uso. Il file .JPG verrà sviluppato automaticamente
dalla fotocamera a partire dai dati acquisiti dal sensore, utilizzando lo
spazio colore impostato dall’utente.
Il formato RAW è invece un formato grezzo; il RAW è privo di spazio
colore in quanto sarà il fotografo ad assegnarne uno in fase di sviluppo
con un software di post-produzione a seconda dell’uso a cui l’immagine è
destinata.
10 suggerimenti di base per la composizione fotografica
Per composizione fotografica si intende la disposizione degli elementi
all’interno dell’immagine. Inquadrare non basta, è necessario
comprendere qual è la posizione ottimale di tutti gli elementi presenti
nella scena.
Il fotografo può “comporre” la propria fotografia in diversi modi:
variando il punto di ripresa e quindi la prospettiva oppure allargando o
restringendo l’angolo di campo. Attraverso la composizione il fotografo
esprime il suo senso artistico, il suo gusto e la sua personalità.
Esistono libri interamente dedicati a spiegare la composizione e le sue
regole (a tal proposito non puoi fare a meno di leggere un testo di
riferimento come L’Occhio del Fotografo di Michael Freeman), ai fini di
questa guida mi limiterò a fornire 10 suggerimenti di base che ti
permetteranno da subito di migliorare le tue fotografie. Si tratta di linee
guida perché in fotografia sono davvero rare le regole che non ammettono
deroghe o sperimentazioni.
Non farò invece alcun accenno ai suggerimenti legati più al buonsenso e al
gusto estetico come ad esempio evitare di “tagliare” le persone e gli
oggetti, di inserire nell’inquadratura cestini dell’immondizia, segnaletica
stradale, cavi dell’alta tensione e così via.

1. Regola dei terzi – Il soggetto normalmente non va posizionato al


centro del fotogramma. La regola dei terzi, di sicuro una delle più
note e utilizzate, suddivide la scena in 9 quadranti (immagina di
applicare una griglia 3x3 sopra all’immagine) e suggerisce di porre
il soggetto principale in uno dei 4 punti di interesse ossia di
intersezione tra le righe verticali e orizzontali della griglia. In
questo modo la composizione risulta più dinamica e meno noiosa
in quanto l’occhio, nel tentativo di bilanciare il soggetto
decentrato, sarà spinto ad osservare anche le altre zone
dell’immagine.
In base alla regola dei terzi, il soggetto si trova in corrispondenza di un
punto di interesse e l’ipotetica linea dell’orizzonte lascia 2/3 al “cielo” e
1/3 al terreno
(Canon EOS 600D, EF-S 18-55mm f/3.5-5.6 IS II a 37mm, 1/200, f/11, ISO
100)

2. Ritratto – Nei ritratti di persone o di animali gli occhi devono


essere sempre a fuoco poiché sono il punto dove si concentra
l’attenzione dell’osservatore. Questa è una regola che non conosce
eccezioni. Se il soggetto ha il viso leggermente ruotato e quindi gli
occhi si trovano su piani differenti, dovrai mettere a fuoco l’occhio
più vicino (tuttavia poiché l’ideale è avere a fuoco lo sguardo, puoi
chiudere un poco il diaframma al fine di estendere la PDC anche
all’occhio più lontano). Come spiegato a suo tempo, il ritratto non
vuole distrazioni rispetto al soggetto principale, quindi si scatta
con diaframmi aperti (ridotta PDC) per ottenere un’accettabile
sfocatura dello sfondo. La lunghezza focale normalmente
impiegata nei ritratti varia tra 85mm, 105mm e 135mm ma, poiché
in fotografia è lecito sperimentare, con la pratica si potranno
provare lunghezze focali meno tradizionali.
3. Bambini e animali – Questi soggetti sono sicuramente tra i più
fotografati, tuttavia 9 volte su 10 la loro ripresa avviene dall’alto
se non altro perché il fotografo si trova ad un’altezza differente. La
prospettiva non solo risulta sempre uguale ma introduce anche un
effetto di schiacciamento. L’ideale è quindi abbassarsi o sdraiarsi e
fotografare questi soggetti all’altezza degli occhi; la composizione
se ne avvantaggerà in quanto per l’osservatore si tratterà di una
prospettiva inusuale, gli sembrerà di essere entrato in una nuova
dimensione.
4. Paesaggio – Nelle fotografie di paesaggio è importante dare
all’osservatore il senso di profondità, quel senso che il fotografo ha
provato nel mondo tridimensionale ma che è difficile da replicare
in una visione bidimensionale. Per simulare questo effetto è
meglio includere nella composizione dei panorami un oggetto in
primo o primissimo piano, capace di dare all’occhio e quindi al
cervello un senso di distanza dallo sfondo. Come spiegato a suo
tempo, la fotografia di paesaggio richiede un’elevata PDC e quindi
l’uso di diaframmi chiusi (f/11, f/16, f/22). In particolare, per
ottenere una nitidezza apparente tale da fa sembrare a fuoco sia gli
elementi in primo piano sia sullo sfondo si utilizza per la messa a
fuoco la cosiddetta tecnica della distanza iperfocale. Non è
necessario calcolare a mente tale distanza, esistono tabelle e app
che lo fanno, mettendo in relazione l’ apertura del diaframma e la
lunghezza focale . Con una distanza di messa a fuoco pari alla
distanza iperfocale si otterrà una fotografia dove la zona di
nitidezza apparente si estende dalla metà della distanza
iperfocale a infinito. Ad esempio, la distanza iperfocale a f/16 a
20mm è pari a 1,6 metri su sensore APS-C e a 1 metro su FULL
FRAME. Perciò, scattando con una fotocamera APS-C una
fotografia a f/16 a 20mm e mettendo a fuoco a 1,6 metri, la zona di
nitidezza apparente si estenderà da 80 cm (ossia metà della
distanza iperfocale) a infinito. Gli obiettivi più costosi presentano
sul barilotto una scala delle distanze di messa a fuoco, cosa che
agevola non poco il fotografo nella messa a fuoco alla distanza
iperfocale. Purtroppo, negli gli obiettivi senza scala la misurazione
va fatta ad occhio o utilizzando un metro. Un’alternativa di ripiego
alla tecnica della distanza iperfocale – e qui i puristi storceranno il
naso – consiste nel mettere a fuoco a infinito, ad esempio su un
elemento dello sfondo: poiché nella fotografia di paesaggio si
utilizzano obiettivi grandangolari con ampio angolo di campo e
diaframmi chiusi (fattori che amplificano la PDC) si dovrebbe
ottenere una nitidezza accettabile anche sul primo piano tuttavia
gli elementi in primissimo piano risulteranno sfocati.

Impostando un diaframma molto chiuso, f/22, si ottiene una estesa PDC


che permette di avere nitidi sia i sassi in primissimo piano che le
cascatelle sullo sfondo
(Canon EOS 7D Mark II, EF-S 10-18mm f/4.5-5.6 IS STM a 10mm, 2”,
f/22, ISO 100, treppiedi, filtro ND1000)
5. Linea dell’orizzonte – L’orizzonte deve sempre essere
perfettamente dritto e va evitata la posizione a metà del
fotogramma. Occorre dare maggior peso al cielo o al terreno. In
base alla regola dei terzi si potrà scegliere per 2/3 di cielo oppure
2/3 di terreno normalmente in funzione di quale dei due risulta più
interessante.
6. Riflessi – Le fotografie basate su giochi di riflesso sono sempre
molto suggestive e dovrebbero contenere per intero sia il soggetto
reale che quello riflesso. Se fotografi una montagna che si specchia
in un lago alpino, sia la montagna reale sia quella riflessa dovranno
essere contenute interamente nel fotogramma. Nella fotografia
paesaggistica con riflessi si tende a posizionare la linea
dell’orizzonte al centro del fotogramma per avere un’immagine
esattamente speculare.

La linea dell’orizzonte si trova a metà fotogramma, il riflesso della


montagna è ripreso interamente, la fotografia è esattamente speculare
(Canon EOS 7D Mark II, EF-S 18-135mm f/3.5-5.6 IS STM a 29mm, 1/13,
f/16, ISO 100, treppiedi, filtro GND8)

7. Linee – Le linee, se opportunamente utilizzate, hanno il compito di


guidare l’occhio nell’osservazione della fotografia e di trasmettere
particolari significati. Le linee orizzontali sono associate alla
calma, le verticali alla forza, le diagonali alla velocità e le curve al
senso di movimento. Ne risulta che sfruttare le linee nella
composizione è sempre utile, soprattutto quando queste conducono
verso il soggetto principale.

Esempio di fotografia che basa la sua forza sulle linee verticali e sulla
loro evidente deformazione prospettica ottenuta con l’uso di un
grandangolare spinto
(Canon EOS 600D, EF-S 10-18mm f/4.5-5.6 IS STM a 10mm, 1/800, f/8,
ISO 100)
8. Modelli ripetuti – Soprattutto nella fotografia architettonica (ma
non solo) a volte si riscontrano delle forme geometriche ripetute,
questa ripetizione può essere sfruttata in fotografia per creare
composizioni capaci di incuriosire e catturare l’attenzione.

Questa immagine della facciata di un grattacielo di Milano sfrutta la


ripetizione del modello geometrico delle cornici dei pannelli di vetro
(Canon EOS 600D, EF-S 18-135mm f/3.5-5.6 IS STM a 71mm, 1/800, f/5.6,
ISO 100)

9. Pulizia della composizione – Un’immagine, per quanto possibile,


deve essere pulita ossia senza inutili fronzoli. Sono da evitare
composizioni dove la presenza di così tanti elementi nel
fotogramma rende praticamente impossibile comprendere quale sia
il soggetto principale, costringendo l’occhio a muoversi per la
scena senza capire dove soffermarsi. Spesso le fotografie pulite o
essenziali sono quelle che funzionano meglio.
Esempio di fotografia dalla composizione pulita, ridotta all’essenziale e
priva anche di colore
(Canon EOS 7D Mark II, EF-S 18-135mm f/3.5-5.6 IS STM a 64mm, 1/640,
f/11, ISO 100)

10.
Ora d’oro ( golden hour ) e ora blu ( blue hour ) – Purtroppo non
sempre è possibile scattare nelle migliori condizioni di luce. Sappi
però che esistono particolari orari della giornata che permettono di
ottenere fotografie di grande fascino. In particolare, in fotografia si
parla di:

golden hour - la prima e l’ultima ora di luce della giornata. Il


sole è basso all’orizzonte e la luce radente è morbida e calda, di
colore quasi oro
blue hour - l’ora prima e dopo l’ora d’oro. Il sole non è
presente ma non c’è nemmeno buio e la luce ha un colore blu, a
volte tendente al viola
Esistono delle app per smartphone che permettono di conoscere l’orario
dell’ora d’oro e dell’ora blu nel luogo dove ci si trova, come ad
esempio PhotoTime gratuita e disponibile per sistemi Android.
Ricorda, la luce è un elemento molto importante nel determinare la
buona riuscita di una fotografia . Per quanto ti è possibile, evita di
scattare all’aperto nelle ore centrali della giornata in quanto i contrasti
sono molto accentuati e le ombre appaiono marcate e dai contorni netti,
scegli invece le ore del tramonto/alba. Inoltre, ai fini della resa
fotografica è decisamente meglio scattare in una giornata
nuvolosa/velata (le nuvole schermano i raggi del sole come un grosso
diffusore) piuttosto che in una classica giornata di bel tempo con cielo
azzurro e sole accecante.
Parte III – Nozioni accessorie

Brevi cenni di teoria del colore


Sebbene la fotografia in bianco e nero sia in grado restituire emozioni e
atmosfere di grandissimo impatto è indubbio che il mondo che ci circonda
sia a colori e che la fotografia abbia tratto grande vantaggio da essi.
Definire cos’è la teoria del colore non è semplice, dirò che si tratta di una
serie di linee guida alla base della combinazione dei colori. Facciamo un
passo indietro e domandiamoci, cos’è il colore?
Per rispondere, dobbiamo partire dal concetto di luce. La luce è un insieme
di onde elettromagnetiche visibili al nostro occhio, caratterizzate da una
determinata lunghezza d’onda e frequenza .
Le onde elettromagnetiche della luce visibile hanno lunghezze d’onda tra i
400 nm (luce violetta) e 700 nm (luce rossa) e frequenze tra 38 ⋅ 1013 Hz e
79 ⋅ 1013 Hz. Le frequenze immediatamente inferiori alla luce violetta si
dicono ultravioletto (UV) mentre quelle immediatamente superiori alla
luce rossa si dicono infrarosso (IR).
Per ogni lunghezza d’onda l’occhio umano percepisce un colore. La luce
bianca (quella del sole) non è monocromatica ma contiene tutti i colori
dello spettro elettromagnetico visibile.
Il fisico Isaac Newton lo scoprì nel 1676 facendo attraversare alla luce
bianca un prisma di cristallo, notando che essa si scomponeva in 7 colori:
rosso, arancio, giallo, verde, blu, indaco e violetto.
I colori degli oggetti sono invece la conseguenza dell’interazione delle
onde elettromagnetiche con l’ambiente. Queste infatti vengo riflesse o
assorbite dalle superfici: un oggetto apparirà nero se assorbe
completamente tutte le lunghezze d’onda della luce bianca mentre
apparirà bianco se le riflette tutte.
Un oggetto è quindi del colore corrispondente alla lunghezza d’onda
riflessa (o non assorbita): un oggetto è verde perché non assorbe (riflette)
la radiazione del verde.
A seguito dei suoi esperimenti con il prisma, Isaac Newton scoprì anche
che isolando due radiazioni estreme dello spettro per poi ricomporle,
sovrapponendole, si otteneva un altro colore. In altre parole, i colori dello
spettro luminoso non esaurivano l’intera gamma dei colori.

La ruota dei colori e applicazione alla fotografia


I colori si distinguono in:

primari : rosso, giallo, blu. Questi colori non si ottengono da altri

secondari : arancio, verde, viola. Questi colori si ottengono


mischiando in parti uguali i colori primari
terziari : alcuni esempi sono giallo-arancio, giallo-verde, rosso-
arancio, rosso-viola, blu-viola, blu-verde. Questi colori sono
ottenuti mischiando un colore primario con un secondario.
Johannes Itten (pittore, scrittore e designer svizzero dei primi del ‘900) ha
rappresentato i colori principali su una ruota, la cui disposizione non è
casuale ma assume un significato preciso: la posizione dei colori mostra
armonia quando sfumano uno nell’altro e contrasto quando sono opposti.
Si parla di:

colori analoghi - sono 3 colori posizionati uno accanto all’altro


sulla ruota cromatica perché simili, quindi facili da abbinare in
quanto armoniosi e non in contrasto
colori complementari - sono i colori posizionati uno di fronte
all’altro sulla ruota cromatica (l'arancio e il blu, il giallo e il
violetto, il rosso e il verde); se accostati tra loro, 2 colori
complementari creano contrasto e si rafforzano a vicenda
colori in triade - sono i colori che si trovano in posizione
equidistante sulla ruota cromatica; se accostati creano contrasto
ma meno accentuato rispetto ai complementari
La ruota dei colori di Itten

L’impatto della ruota dei colori sulla fotografia è evidente: il fotografo,


includendo nella scena il giusto abbinamento di colori, può catturare
l’attenzione dell’osservatore e stimolare in lui emozioni e stati d’animo
differenti.
Per il fotografo paesaggista la libertà nell’accostamento dei colori
potrebbe risultare limitata o complessa, in buona misura dipendente da
madre Natura ma per un ritrattista avere a mente la ruota dei colori può
essere molto utile.
Pensa ad una modella e al colore degli occhi, del rossetto,
dell’abbigliamento, del fondale: sceglierli con criteri basati sulla ruota
cromatica può realmente fare la differenza nella percezione di chi
osserverà la fotografia.

La temperatura dei colori


La temperatura colore - misurata in gradi Kelvin (K) - esprime la tonalità
della luce. La tonalità altro non è che il colore puro. Ad esempio: rosso,
blu e giallo sono nomi di tonalità.
La misurazione in gradi si riferisce al fatto che un ipotetico corpo solido
nero, scaldato fino a renderlo incandescente, emette una radiazione
luminosa visibile il cui colore varia al variare della temperatura.
Lo spettro di luce visibile si trova su una scala tra circa 1.500 e 16.000
gradi Kelvin. A 1.500 K corrisponde la luce rossa di una candela, a 5.500
K si trova il bianco puro, tra i 10.000 e i 16.000 K l’azzurro/blu di un cielo
sereno.
In fotografia, sentirai spesso parlare di luce calda e luce fredda .
Vengono definiti colori caldi (per l’idea che associamo ad essi) i colori
come rosso, arancione e giallo ossia i colori che hanno temperature Kelvin
più basse e colori freddi come bianco, azzurro, blu, i colori che hanno
temperature Kelvin più alte.

La temperatura colore dalle tinte calde alle fredde. Paradossalmente, le


temperature più basse sono associate a colori caldi mentre le più alte a
colori freddi

Il bilanciamento del bianco


Parlando di temperatura dei colori non è possibile non approfondire il
concetto di bilanciamento del bianco o white balance (WB ), in inglese.
Il bilanciamento del bianco è una funzione che permette alla tua
fotocamera di riprodurre correttamente nella fotografia i colori
presenti nella scena indipendentemente dal tipo di illuminazione .
Mentre l’occhio umano percepisce il bianco a prescindere dal tipo di luce
ambientale, la macchina fotografica deve essere istruita affinché possa
restituire colori naturali e non falsati.
In generale, ti suggerisco di lasciare il bilanciamento del bianco in
modalità automatica o AWB (automatic white balance ). Questa
impostazione garantisce, nella quasi totalità dei casi, una corretta
interpretazione dei colori. Detto ciò, la tua fotocamera ti mette a
disposizione anche delle impostazioni alternative pre-configurate come,
ad esempio, luce diurna , ombra , nuvoloso , tungsteno , fluorescente oltre
alla possibilità di configurare da te il tuo bilanciamento del bianco (allo
scopo si utilizza un cartoncino grigio 18% acquistabile in commercio).
Nelle fotocamere di fascia più alta viene anche data al fotografo la
possibilità di impostare una specifica temperatura colore K all’interno di
un dato intervallo.

L’immagine mostra alcune possibili impostazioni in camera per il


bilanciamento del bianco

Ad esempio, se scatti in un ambiente illuminato da un neon potresti


ottenere colori più fedeli impostando il bilanciamento del bianco su
fluorescente . Attenzione però a non “giocare” con le impostazioni di
bilanciamento del bianco se non sai esattamente quello che stai facendo,
pena il rischio di ottenere fotografie dai colori completamente sballati.
Errori di WB negli scatti in RAW possono essere corretti, in quanto il
software di post-produzione mette a disposizione una funzionalità apposita
ma negli scatti JPEG la libertà di intervento è molto più limitata.
Un corretto bilanciamento del bianco permette quindi di annullare (nella
migliore delle ipotesi) o comunque di ridurre sensibilmente le dominanti
colore che potrebbero essere presenti nella scena a causa di un particolare
tipo di illuminazione come ad esempio la dominante arancione/gialla
nella luce al tungsteno (la vecchia lampadina a incandescenza), la
dominante blu nella luce al neon , la dominante verde nella luce del
sole che filtra attraverso le fronde degli alberi .
Qualora nonostante una corretta impostazione del bilanciamento del
bianco la dominante non fosse del tutto eliminabile e l’immagine
continuasse a mostrare colori alterati, in post-produzione diverse
regolazioni ti permetteranno di risolvere il problema. Paradossalmente,
soprattutto nella fotografia di paesaggio, in fase di elaborazione le
dominanti vengono spesso accentuate; ad esempio, per ottenere un
tramonto più caldo si introduce o si incrementa la dominante
rosso/arancione/giallo.
A scanso di equivoci, il bilanciamento del bianco opera al contrario
perché per l’appunto esegue un bilanciamento , una compensazione.
Esempio
Impostare un bilanciamento del bianco su tungsteno (circa 3000K) non
significa scaldare l’immagine bensì raffreddarla. Non stai dicendo alla tua
fotocamera di scattare con una temperatura colore di 3000K ma di
bilanciare una luce che nella scena ha temperatura colore di 3000K. La
fotocamera impostata su tungsteno (lampada a incandescenza) compensa i
toni caldi (3000K) raffreddando l’immagine con toni blu.

{Esercizio}
Prendi la tua macchina fotografica è scatta più fotografie con la stessa
tipologia di luce, modificando di volta in volta le impostazioni di
bilanciamento del bianco. Verifica al computer come è variata la
riproduzione dei colori nella scena al variare del WB. Ricordati, alla fine,
di impostare nuovamente AWB.
{Fine}

I parametri a definizione del colore


Chiudo questo capitolo dedicato alla teoria del colore con un breve
accenno ai parametri che permettono di definire un colore.
Tali parametri sono:

tonalità (hue ) – il colore puro, ad esempio rosso, blu, giallo


luminosità/brillantezza (brightness ) – misura l’intensità
luminosa percepita, emessa o riflessa da una superficie e permette
di distinguere tra toni chiari e toni scuri. Il bianco puro ha la
massima brillantezza mentre il nero puro la minima. Luminosità e
brillantezza non sono proprio sinonimi. La luminosità mette a
confronto la luce che proviene da un oggetto con la luce che
proviene da una superficie bianca (nelle stesse condizioni di
illuminazione) mentre la brillantezza , come detto, è la quantità di
luce emessa o riflessa da una superficie.
saturazione (saturation ) – misura la purezza di un colore, più un
colore è saturo più appare brillante ossia “carico” mentre minore è
la saturazione e più il colore appare “slavato”. Se la saturazione ha
valore zero il colore è acromatico.
Insieme tonalità , luminosità/brillantezza e saturazione contribuiscono
alla nostra percezione del colore.
I principali accessori fotografici
Ritengo che un breve accenno ai principali accessori fotografici possa
essere di utilità per il fotografo che parte da zero. Di seguito riporto quelli
di uso più comune.
Treppiedi – Indispensabile per scattare con lunghi tempi di esposizione o
quando non è possibile ottenere tempi veloci tali da consentire di scattare
fotografie nitide senza mosso o micromosso. Fissando la macchina
fotografica ad un treppiedi saremo certi che non andremo ad introdurre
vibrazioni che potrebbero compromettere la buona riuscita dello scatto.
Un treppiedi, considerato lo scopo per cui viene acquistato, deve essere
stabile, consentire un aggancio/sgancio veloce della fotocamera, capace di
sostenere il peso dell’attrezzatura e permettere, grazie alla sua testa, di
orientare la macchina fotografica in tutte le direzioni.
La testa può essere di due tipi: testa a 3 assi oppure testa a sfera . Nella
prima i movimenti sui tre assi sono comandati da tre differenti leve, il
sistema è molto preciso ma macchinoso mentre nella seconda il
movimento utilizza un perno a sfera per l’inclinazione in ogni direzione, il
sistema è molto rapido ma meno accurato.
Per questioni di praticità suggerisco l’impiego di un treppiedi con testa a
sfera.
Manfrotto treppiedi con testa a sfera
(Fonte immagine: www.manfrotto.it )

Treppiedi mini – Portare con sé un treppiedi tradizionale, soprattutto in


caso di escursioni, comporta ingombro e peso. Un mini treppiedi permette
di risolvere il problema grazie alle sue dimensioni contenute.
All’occorrenza, il mini treppiedi potrà essere posizionato su un muretto o
una pietra, ovviamente è in grado di sostenere meno peso di quanto possa
fare un cavalletto tradizionale e di solito non offre le regolazioni in altezza
tipiche di quest’ultimo ma ciò non incide sulla sua estrema
maneggevolezza e utilità.
Manfrotto treppiedi da tavolo
(Fonte immagine: www.manfrotto.it )

Filtro polarizzatore – Si avvita sulla filettatura frontale dell’obiettivo e


serve a polarizzare la luce solare o, in modo semplicistico, a far passare
solo le radiazioni luminose che provengono da una determinata
angolazione.
Gli effetti pratici sulla fotografia sono: 1) una maggiore saturazione dei
colori; 2) un’accentuazione del contrasto; 3) l’eliminazione dei riflessi
generati da superfici non metalliche.
Il filtro polarizzatore si utilizza soprattutto nella fotografia di paesaggio
per ottenere cieli blu intenso in netto contrasto con le nuvole bianche, per
avere colori più “carichi”, per fotografare specchi d’acqua riuscendo a
intravedere il fondale e per ridurre l’effetto della foschia.
Esistono filtri polarizzatori lineari e circolari , i secondi sono
maggiormente utilizzati in quanto i sistemi AF non funzionano con i
polarizzatori lineari. La dicitura lineari e circolari non è dunque riferita
alla forma ma al loro modo di interagire con la luce.
Il filtro polarizzatore circolare a vite si presenta con due anelli
sovrapposti, uno si avvita alla filettatura dell’obiettivo mentre l’altro può
essere ruotato per orientare il filtro e variare l’intensità dell’effetto
polarizzante che sarà immediatamente visibile nel mirino della
fotocamera.
Da notare che l’effetto polarizzante dipende anche dalla posizione della
sorgente luminosa. Il filtro polarizzatore non ha praticamente alcun effetto
se il sole è davanti o dietro al fotografo mentre il suo effetto è
apprezzabile se il sole è disposto lateralmente. L’uso di un filtro
polarizzatore assorbe luce, togliendo luminosità alla scena per circa 1
stop.

Haida filtro polarizzatore circolare


(Fonte immagine: Haida, www.haidaphoto.com )

Filtro ND – Il filtro ND (a densità neutra o Neutral Density ) serve a


togliere luminosità alla scena senza influire sui colori ossia senza
introdurre dominanti di colore (se il filtro è di buona qualità).
Si utilizza per permettere al fotografo di aumentare il tempo di scatto, al
fine di ottenere particolari effetti creativi come, ad esempio, rendere in
fotografia il movimento delle nuvole spinte dal vento oppure il fluire di un
corso d’acqua o di una cascata, il cosiddetto effetto seta .
In pieno giorno, senza filtro ND, sarebbe praticamente impossibile, anche
chiudendo tutto il diaframma (cosa non suggeribile a causa del fenomeno
della diffrazione), ottenere tempi lunghi di esposizione nell’ordine di
qualche secondo o decine di secondi.
La quantità di luce rimossa dipende da quanto il filtro è scuro. Un filtro
ND1000 toglie 10 stop di luce: se senza filtro il tempo più lento ottenibile
è 1/125 di secondo, montando il filtro si potrà scattare a 8 secondi.
Non di rado, a causa della notevole quantità di luce rimossa, montando un
filtro ND molto scuro è impossibile visualizzare l’immagine nel mirino o
in LiveView (immagine ripresa in diretta e mostrata sullo schermo
posteriore della fotocamera). In questa situazione, dopo aver sistemato la
macchina fotografica su un treppiedi (senza filtro montato sull’obiettivo),
si compone la scena la scena mettendo a fuoco in manuale quindi,
delicatamente, si monta il filtro ND e si scatta con il telecomando o
impostando l’autoscatto.
Esistono delle app gratuite per smartphone che, inserendo il tempo di
scatto senza filtro ND e la gradazione del filtro che si andrà a montare
sull’obiettivo (esempio ND8, ND1000), calcolano il nuovo tempo di scatto
da impostare per ottenere la corretta esposizione. Queste app sono
particolarmente utili se il tempo di scatto supera i 30” e si rende
necessario utilizzare la posa B (funzione che sarà spiegata a breve).
Haida filtro ND3.0 1000x
(Fonte immagine: Haida, www.haidaphoto.com )

Filtro ND graduato o GND – In inglese graduated neutral density (GND)


è un filtro digradante che serve a togliere luce solo a metà della scena. Si
presenta con una lente che per metà è scura (toglie luce) e per metà
normale (non ha effetti sulla luce) con un passaggio graduale tra le due
parti.
Avvitato sull’obiettivo, questo filtro si utilizza soprattutto nelle fotografie
di paesaggio quando vi è una forte differenza di luminosità tra due parti
della scena. Un esempio classico è la fotografia che include cielo e
terreno. Se si espone correttamente il cielo, il terreno sarà inesorabilmente
sottoesposto mentre operando al contrario il cielo apparirà
inesorabilmente sovraesposto.
Utilizzando un filtro GND, facendo coincidere l’orizzonte con la metà del
filtro, utilizzeremo la metà scura sul cielo e la metà normale sul terreno
ottenendo una scena più semplice da esporre per la fotocamera, in quanto
la differenza di luminosità tra le due aree è ora molto più limitata.
Il limite sta nel fatto che l’orizzonte si troverà sempre a metà fotogramma
e che eventuali oggetti che attraversano la linea dell’orizzonte in senso
verticale appariranno per metà chiari e per metà scuri, con un risultato
innaturale.
Per questo motivo i filtri GND si distinguono in hard e soft . I primi, con
un passaggio netto tra zona scura e zona chiara, si utilizzano quando la
linea dell’orizzonte è priva di elementi che la attraversano (esempio
l’orizzonte sul mare); i secondi, con un passaggio sfumato, trovano
impiego in caso contrario (esempio l’orizzonte in montagna).
Spesso, per aggirare il problema del contrasto elevato tra cielo e terreno, i
fotografi paesaggisti scattano due fotografie (una esposta per il cielo e una
per il terreno) e poi i due scatti vengono uniti in post-produzione.

Haida filtro neutro graduato


(Fonte immagine: Haida, www.haidaphoto.com )

Poco fa, iniziando a parlare di filtri, ho detto che essi si avvitano sulla
filettatura frontale dell’obiettivo, questo è vero per filtri a vite ma in realtà
esistono anche filtri a lastra . Quest’ultimi si posizionano davanti
all’obiettivo facendoli scorrere nelle guide di un elemento porta lastra
(holder ) agganciato all’obiettivo per mezzo di un anello filettato (ring )
avvitato frontalmente.

Filtro GND a lastra di tipo soft inserito nelle guide del porta lastra
(holder) a sua volta avvitato frontalmente all’obiettivo per mezzo di un
anello filettato (ring)

Scatto remoto – Il telecomando per scatto remoto offre al fotografo la


possibilità di scattare senza premere il pulsante sulla fotocamera. Esso si
collega alla macchina fotografica con un apposito cavetto oppure in IR
(infrarosso). Il telecomando è utile per evitare di generare vibrazioni
anche lievi.
Con la fotocamera su treppiedi, la pressione del tasto di scatto
inevitabilmente produce una micro vibrazione, con lo scatto remoto questo
problema non si pone (è anche possibile, senza scatto remoto, impostare la
fotocamera in modalità autoscatto dopo X secondi).
Lo scatto remoto, inoltre, permette di sfruttare la posa B o modalità Bulb
ossia di andare oltre il limite dei 30” di esposizione.
In posa B , utilizzando un controllo remoto, l’otturatore rimarrà aperto da
quando si preme il pulsante del telecomando fino a quando lo si rilascia (i
telecomandi offrono un blocco del pulsante in modo da non dover premere
con il dito per tutto il tempo).
La posa B trova largo impiego nelle lunghe esposizioni con filtro ND e
anche in questo caso nella fotografia paesaggistica. Se montando il filtro
ND e calcolando con una app il nuovo tempo di esposizione questo eccede
i 30”, ad esempio 72”, si potrà impostare la fotocamera su posa B e
rilasciare il tasto del controllo remoto dopo 1’ e 12”.
Alcuni telecomandi lavorano anche come intervallometro con la
possibilità di configurarli perché scattino in automatico X fotografie
ognuna ad un intervallo di tempo prestabilito.
Questa modalità si utilizza normalmente negli star trail , una sequenza di
immagini che montata in post-produzione permette di rendere l’effetto del
movimento apparente delle stelle.

QUMOX scatto remoto e intervallometro


(Fonte immagine: Amazon, www.amazon.it )
Flash esterno – Le macchine fotografiche, dalle compatte alle
reflex/mirrorless (generalmente non professionali), incorporano un
piccolo flash. La scelta di un flash esterno però presenta indubbi vantaggi:
1) maggiore capacità di illuminazione; 2) possibilità di orientamento del
lampo; 3) nessuna conseguenza sulla carica delle batterie della
fotocamera; 4) maggiore velocità di ricarica del lampo.
Esistono manuali dedicati alla fotografia con il flash e non è scopo di
questa guida approfondire tale tecnica. La potenza del flash è misurata in
NG (Numero Guida ), a numeri più alti corrisponde una maggiore potenza
di illuminazione.
Con il numero guida, il fotografo può calcolare l’apertura corretta del
diaframma per un soggetto che si trova ad una certa distanza misurata in
metri (dato un valore ISO 100). Nelle fotografie con flash, infatti, è
l’apertura del diaframma a determinare la corretta esposizione del
soggetto mentre il tempo determina l’illuminazione dello sfondo. La
formula è dunque la seguente:
apertura diaframma = numero guida / distanza
Con un flash NG58 e un soggetto posto a 10 metri per ottenere
un’esposizione corretta il diaframma andrà aperto a f/5,8 (arrotondato a
f/5,6) viceversa, conoscendo il NG e l’apertura del diaframma, posso
calcolare a che distanza pormi dal soggetto.
Fortunatamente, con gli automatismi dei flash TTL (Through The Lens
ossia la misurazione della luce avviene attraverso le lenti dell’obiettivo)
questi calcoli non sono normalmente più necessari.
Canon Speedlite 600EX II-RT
(Fonte immagine: Canon, www.canon-europe.com )

Zaini e borse – Trasportare l’attrezzatura fotografica garantendone al


tempo stesso la sicurezza non è cosa semplice. Zaini e borse a tracolla (a
seconda dei gusti e del tipo di uso) possono aiutare il fotografo non solo a
trasportare il materiale ma anche a proteggerlo da urti, pioggia, polvere,
ecc.
Se sei deciso all’acquisto meglio optare per sistemi che offrano una buona
imbottitura, siano impermeabili, con vani interni modulabili, dotati di
scomparti con cerniere e con una capacità di carico un poco superiore alle
necessità del momento per potervi riporre anche un futuro acquisto
(esempio un nuovo obiettivo).
Lowepro zaino classico per fotografia
(Fonte immagine: www.lowepro.com )

Kit di pulizia – Ho lasciato questo accessorio come ultimo in quanto non


legato direttamente alla pratica fotografica. I kit tipicamente includono
una pompetta per soffiare via la polvere, un panno in microfibra, dei
pennellini e un liquido di pulizia e possono risultare utili nel tenere in
ordine l’attrezzatura fotografica.
Un discorso a parte riguarda i kit di pulizia per i sensori delle macchine
fotografiche reflex e mirrorless. Con il tempo è normale che sui sensori si
vadano a depositare polvere e altre impurità (visibili nelle fotografie come
puntini o macchie) a causa del frequente montaggio/smontaggio degli
obiettivi.
Personalmente, ritengo questi kit di aiuto solo nelle mani di persone
esperte. L’uso non accorto, infatti, può creare seri danni al sensore (graffi)
fino a rendere la fotocamera inservibile quando, per poche decine di euro,
è possibile rivolgersi a centri specializzati e ottenere in pochi giorni una
pulizia professionale del sensore.
Hama kit di pulizia a secco
(Fonte immagine: Hama, www.hama.com )
Backup delle fotografie
Desidero chiudere questa guida sulla fotografia per chi parte da zero
parlando di un argomento spesso trascurato ma estremamente importante:
la conservazione dei file immagine nel tempo .
Prima dell’era digitale le fotografie dovevano necessariamente essere
stampate. Se oggi siamo ancora in grado di emozionarci rivedendo
immagini scattate decine e decine di anni fa lo dobbiamo proprio al
processo di stampa.
Con l’avvento del digitale, invece, la fotografia ha perso la sua dimensione
materiale e la possibilità di accedere ai nostri ricordi è oggi strettamente
dipendente dalla possibilità di accedere ai file delle immagini digitali. É
evidente che questa situazione è estremamente rischiosa.
I file .JPG o RAW sono salvati su supporti di memoria elettronici
potenzialmente soggetti a guasto in qualsiasi momento. Inoltre, anche
l’errore umano come formattazioni o cancellazioni accidentali, virus
informatici e corruzione dei file possono avere effetti altrettanto
dirompenti e compromettere per sempre l’accesso alle fotografie.
Per questo motivo, presa coscienza del pericolo, il fotografo deve
adoperarsi per proteggere il proprio archivio fotografico digitale dal
rischio di perdita dei dati con delle semplici, quanto efficaci, procedure
di backup .
Il backup consiste nell’effettuare una o più copie dei file delle immagini
. Il backup ovviamente non impedisce la perdita dei dati ma ne attenua gli
effetti in quanto sarà possibile accedere ad una copia delle fotografie.

Suggerimenti per un backup di successo

è bene salvare tutte le fotografie in un’unica posizione sul


computer principale, ad esempio nella cartella X:\Fotografie .
All’interno di questa cartella verranno poi create le sottocartelle
per la vera e propria organizzazione dei file (esempio
X:\Fotografie\RAW\2020\01\Roma , potrebbe essere il percorso
delle fotografie in formato RAW scattate a Roma nel gennaio
2020). Se tutte le fotografie sono in un’unica cartella basterà
ricordarsi di fare il backup di X:\Fotografie per avere una copia di
tutte le immagini
impostata la cartella sul computer principale questa diventerà la
sorgente (source) dei nostri backup ossia la posizione dove si
trovano i file originali
definita la sorgente dobbiamo decidere la destinazione (target) del
backup ossia dove copiare i file. La destinazione deve trovarsi su
un drive diverso da quello sorgente altrimenti un eventuale guasto
dell’hard disk o dell’SSD ci farà perdere sia i file originali che la
copia… altro che backup! La soluzione migliore, secondo la mia
esperienza, consiste nell’acquistare un drive esterno USB 3.0, da
2TB o 4TB, da dedicare esclusivamente al backup delle fotografie
sul drive di destinazione è suggeribile creare una cartella del tipo
Y:\Fotografie_Backup\ e copiarvi all’interno la cartella sorgente
(con tutte le sue sottocartelle). Al termine dell’operazione avremo
1 copia di backup delle fotografie. Qualora un qualsiasi imprevisto
dovesse impedirci l’accesso al drive sorgente sul computer
principale saremo in grado di accedere ai file sulla copia di
backup. Più sono le copie di backup e maggiore è il livello di
sicurezza, personalmente uso il drive sorgente e 2 diversi drive di
backup per un totale di 3 copie dei file RAW. Di contro,
l’operazione è più lunga in quanto la sorgente va copiata in più
destinazioni
il drive o i drive di backup, se possibile, andrebbero conservati in
un luogo diverso rispetto al drive sorgente (esempio, se il/i drive
di backup è/sono conservati vicino al computer principale si corre
il rischio, in caso di furto, di vedersi rubati sia il computer che il/i
drive di backup)
un backup, infine, è utile solo se è aggiornato e funzionante . Sul
primo punto, la frequenza di aggiornamento della copia è
fondamentale per garantire che il contenuto del drive/dei drive di
destinazione sia identico a quello del drive sorgente. Se hai
elaborato delle fotografie o hai scaricato nuove immagini sul drive
sorgente non aspettare ed esegui quanto prima un backup. Sul
secondo punto, dopo la copia verifica a campione la corretta
apertura a schermo di alcune immagini; sarebbe veramente
frustrante scoprire nel momento del bisogno che la copia non è
stata eseguita o che il backup è corrotto e i file non si possono
aprire
il metodo più semplice di backup consiste nell’utilizzare la
procedura di copia dei file prevista dal tuo sistema operativo,
tuttavia potrebbe essere più comodo ed efficace utilizzare un
software di backup anche gratuito. Un esempio è il programma
SyncBackFree , in versione free, scaricabile al link
https://www.2brightsparks.com/welcome/backup/freeware.html .
Esistono ovviamente numerosi altri software, ti basterà effettuare
una ricerca in Internet per scegliere quello preferito. Vi è poi
un’ulteriore possibilità, il backup su spazio cloud gratuito o a
pagamento; il problema principale di questa modalità è la velocità
di upload delle fotografie ma se disponi di una connessione in
fibra puoi valutare anche questa soluzione.
Ulteriori suggerimenti riguardano l’uso delle schede di memoria e il
trasferimento delle immagini dalla fotocamera al computer.
Sebbene il prezzo al GB sia sempre più conveniente, suggerisco di evitare
l’uso di memory card di dimensioni superiori a 32GB o addirittura a
16GB. In ottica di protezione dei file immagine è meglio suddividere
64GB di fotografie su 2 schede da 32 oppure su 4 da 16.
Nel primo caso, un malfunzionamento della memory card da 64 GB
determinerebbe la perdita del 100% della sessione fotografica mentre su
una scheda da 32GB o da 16GB la perdita sarebbe contenuta al 50% o al
25% della sessione fotografica; la “scomodità” di utilizzare più card è
ampiamente ricompensata dalla maggiore sicurezza.
In relazione al trasferimento delle fotografie da fotocamera a computer,
seleziona sempre la modalità copia e non sposta. Al termine della copia,
infatti, disporrai già di un backup poiché i file saranno disponibili sia sulla
memory card (almeno fino a quando non deciderai di cancellarli) che sul
drive del computer principale. Nella modalità sposta , invece, le immagini
saranno copiate sul drive del computer principale ma poi cancellate dalla
memory card.
Per quanto riguarda la conservazione delle memory card, esse vanno
sempre tenute nel loro astuccio rigido venduto insieme alla card oppure
acquistabile a parte. Infine, non risparmiare sulle memorie, qualche euro
in più per card di marche note è sicuramente ben speso.
Conclusione

Il nostro viaggio nei principali aspetti della fotografia digitale è giunto al


termine.
Ho creato questa guida con passione e altrettanta ne ho messa per rendere
questa seconda edizione ancora più chiara, ricca di esempi e utile. Spero
che la lettura sia stata piacevole ed avvincente e di aver contribuito a far
crescere ulteriormente in te la passione e la curiosità per questa bellissima
arte.
Allo stesso tempo, mi auguro di essere riuscito ad offrire al fotografo che
parte da zero un aiuto concreto a comprendere e padroneggiare i concetti e
le più importanti nozioni alla base di uno scatto consapevole, fuori dalle
logiche degli automatismi e del punta e scatta .
Ripercorrendo la mia personale esperienza ti suggerisco di non smettere
mai di documentarti ma soprattutto di osservare molte fotografie del
genere che preferisci (ritratto , paesaggio , street photography , still life ,
naturalistica , sport , ecc.).
Guarda i lavori altrui, cerca di capire cosa ti piace di quegli scatti, cosa ti
colpisce e ti emoziona, osserva come sono posizionati gli elementi (la
composizione dell’immagine), la prospettiva, i colori e prendi ispirazione
per le tue fotografie.
Esercitati! Siamo nell’era del digitale e puoi permetterti tutta la pratica di
cui hai bisogno senza i costi di sviluppo della pellicola, tipici della
fotografia analogica. Con il trascorrere del tempo il tuo occhio riuscirà a
vedere cose di cui nemmeno si accorgeva e la fotografia prenderà forma
prima nella tua testa e poi nello scatto.
Non cadere nel tipico errore di chi parte da zero, quello di ritenere che per
fare una bella fotografia serva una bella macchina fotografica. Se ti piace
un’immagine, non chiedere con quale fotocamera è stata scattata, sapere
che il fotografo ha utilizzato una Canon X, una Nikon Y, una Sony Z o una
Fuji K in cosa potrà mai aiutarti? Molto più utile sarà domandare i valori
di tempo e diaframma, la lunghezza focale impiegata e l’eventuale uso di
filtri e/o flash.
Infine, chiudo affidandoti un compito. Dedica, se non lo hai ancora fatto,
tempo alla lettura del manuale d’uso della tua fotocamera, imparerai a
conoscere meglio lo strumento tra le tue mani.
Se la tua passione crescerà, prima o poi ti sentirai limitato nell’uso di una
fotocamera entry-level , solo allora l’acquisto di una fotocamera di livello
superiore ti sarà veramente utile per crescere ed esprimerti.
Le belle fotografie, che tu ci creda o no, ancora oggi le fa il bravo
fotografo.
Autore e contatti

Mi chiamo Massimo Mazza, classe 1973, una laurea in economia e


appassionato di fotografia digitale dal 2012. I miei generi preferiti sono il
paesaggio, soprattutto di montagna, e il ritratto in esterno con luce
naturale. Mi sono formato principalmente da autodidatta, basandomi sulla
consultazione di siti Internet e sulla lettura di svariati libri di fotografia.
Da ciascuna fonte ho tratto spunti e nozioni utili alla mia formazione.
Al fine di migliorarmi osservo costantemente le gallerie di fotografi
professionisti e di appassionati evoluti oltre a cercare articoli di tecnica
fotografica e a sperimentare sul campo quanto appreso.
Ho scritto i seguenti libri:

Fotografia Digitale, Io parto da Zero il testo che hai tra le mani


Fotografia Digitale, Io parto da Zero: Il Paesaggio per chi inizia a
muovere i primi passi nel meraviglioso mondo della fotografia
paesaggistica
Fotografia Digitale, Io parto da Zero: Il Ritratto in Esterno per
chi inizia a muovere i primi passi nell’affascinante mondo della
fotografia di ritratto in ambiente esterno
Fotografia Digitale, Io parto da Zero: L’Archivio Fotografico per
gli appassionati di fotografia in cerca di spunti e suggerimenti su
come creare, organizzare e mantenere il proprio archivio
fotografico. Il libro è distribuito gratuitamente sul mio sito, poco
più avanti trovi il link.
Prima di salutarti vorrei chiederti una cortesia, dedicare solo un attimo
del tuo tempo a scrivere una breve recensione del libro . Sai bene anche
tu quanto oggi sia importante per un prodotto venduto online presentarsi al
pubblico con il maggior numero possibile di buone referenze, la tua
recensione per me è molto importante perché può aiutare questo libro ad
essere più visibile e me ad offrirti dei prodotti migliori.
Ti ringrazio per l’acquisto e per avermi dato la tua fiducia.

Online
Sito personale:
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Contatti
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fotografia, esprimere o ricevere opinioni.
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Della stessa serie trovi anche
Fotografia Digitale, Io parto da Zero: Il Paesaggio
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Della stessa serie trovi anche
Fotografia Digitale, Io parto da Zero: Il Ritratto in Esterno
di Massimo Mazza

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Fotografia Digitale, Io parto da Zero: L’Archivio Fotografico
di Massimo Mazza

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