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IV

Il Canto Gregoriano

Si intende per Canto Gregoriano quel repertorio di canti liturgici monodico-omofoni della
chiesa cattolica romana che furono messi per iscritto in età carolingia (VIII-IX sec. d. C.) e
nei secoli immediatamente seguenti. In realtà il canto Gregoriano non è che il momento
culminante di un complesso processo storico-musicale che si estese nell'arco di parecchi
secoli, a partire dall'inizio dell’era cristiana.
Le origini del canto cristiano sono contemporanee alle origini stesse del cristianesimo, nato in
Palestina dal popolo ebraico, e proprio la musica liturgica ebraica ebbe un ruolo primario
nella nascita della musica liturgica cristiana1. La liturgia dei cristiani ha in comune con quella
degli Ebrei una concezione sacrale della parola, considerata ispirata da Dio stesso. I cristiani
ritenevano la musica come una forma di preghiera, e da questo deriva una stretta aderenza fra
la parola e la musica.
Il Canto Gregoriano ebbe delle basi teoriche che costituiranno poi il fondamento del sistema
diatonico occidentale.
Esso è organizzato secondo otto schemi melodici (octoechos)2, chiamati modi, ciascuno
costituito da una scala diatonica ascendente di 8 suoni.
Abbiamo innanzitutto quattro modi fondamentali:
il primo modo, protus, comincia e termina con il nostro RE;
il secondo modo, deuterus, con il MI;
il terzo modo, tritus, con il FA;
il quarto modo, tetrardus, con il SOL.

Ognuna di queste scale può essere costruita in un ambitus melodico più grave di una 4ª, così il
primo modo potrà cominciare e terminare sul LA, il secondo sul SI, il terzo sul DO, il quarto
sul RE, e chiameremo questi modi derivati come "plagali". Avremo così un primo modo
autentico e uno plagale, e così anche per il secondo, terzo e quarto, ma sarà importante notare
come autentico e plagale non sono in realtà due modi differenti, ma lo stesso modo distinto in
due ambiti melodici differenti. Questo è evidente considerando il fatto che la nota
caratteristica di ogni modo, chiamata "finalis" (perchè è la nota su cui termina il canto) è la
stessa sia nell’autentico che nel plagale, nonostante quest’ultimo inizi, come abbiamo detto,
una 4ª sotto. La "finalis" sarà dunque il RE nel protus autentico e plagale, il MI nel deuterus,
il FA nel tritus e il SOL nel tetrardus.

1
Quasi duemila anni fa, il messaggio cristiano lascia la città santa di Gerusalemme e i territori della Siro-
Palestina per espandersi rapidamente lungo il bacino del Mediterraneo. Con la predicazione si diffonde anche il
culto cristiano nascente: ciò che si chiama liturgia, preghiera pubblica cristiana. Dal momento che non esisteva
assolutamente un potere religioso centralizzato, ogni regione celebrò la sua liturgia e, pertanto, cantò nella
propria lingua.
2
I modi gregoriani, la cui terminologia è chiaramente derivata da quella usata per le armonie greche, sono
raggruppati nell' «octoechos» La confusione tra gli uni e gli altri modi che nei teorici del Medioevo è presente e
diffusa è dovuta ad un'errata interpretazione di quanto scrive Severino Boezio che rappresenta l'anello di
congiunzione dalla teoria musicale greca al mondo medioevale. La confusione si riscontra nel trattato «Alia
musica» di anonimo (fine IX inizio X sec.) e dalla conseguente errata interpretazione di Boezio che influenzo
l'intero sistema musicale medioevale.
Dunque, il modo l’autentico traccia un ambito melodico di ottava verso l’acuto (dalla finalis
grave a quella acuta, posta un’ottava sopra), mentre il plagale traccia un ambito melodico che
dalla finalis si muove di una quarta verso il grave e di una quinta verso l’acuto.

Altra nota caratteristica nel Canto Gregoriano è la “repercussio”: anche in questo caso la sua
terminologia e la sua classificazione teorica trovano ragione d’essere nella pratica del canto:
la “repercussio” era la nota frequentemente ribattuta sulla quale veniva cantillato, recitato il
salmo. E’ la “repercussio” (detta anche per la sua funzione corda di recita) a permettere la
distinzione in autentico e plagale: essa si trova una 5ª sopra la finalis nei modi autentici e una
3ª sopra la finalis nei modi plagali3.

Quanto alla storia della sua diffusione, dobbiamo fissare nel 313 una data importante per il
Canto Gregoriano. Le nuove condizioni di libertà di culto riconosciute ai cristiani dall’Editto
di Costantino nel 313 d. C., appunto, permisero l’espansione sempre maggiore dei riti
religiosi e il diffondersi di tradizioni liturgiche regionali, cioè relative a dei luoghi specifici.
Possiamo così distinguere:
-il rito romano4, coltivato a Roma prima dell'epoca di Gregorio Magno (cioè fino al VI-VII
sec.);
-il rito beneventano, praticato nell'Italia meridionale;
3
Vi è una deroga a questa norma: quando la repercussio cade su SI, ovvero nel deuterus autentico e nel tetrardus
plagale, per evitare il tritono (“diabulus in musica”), ovvero la 4ª eccedente, la repercussio viene spostata al DO;
sempre per evitare la quarta eccedente, nei canti veniva frequentemente abbassato il Si a Si b (non a caso l’unica
alterazione praticata nel gregoriano).
4
Di tutti questi repertori dell’Occidente antico, solo il milanese è rimasto in uso fino ai nostri giorni. In effetti la
Chiesa di Milano ha conservato, non senza difficoltà e compromessi, una liturgia propria. Il suo canto è tutt’ora
chiamato “ambrosiano”, in ricordo del patronato spirituale esercitato su questa tradizione dal vescovo Ambrogio,
morto nel 397. I manoscritti più antichi, che documentano tale canto, risalgono al XII secolo.
-il rito greco-bizantino; sviluppatosi in Oriente, e particolarmente a Bisanzio;
-il rito ambrosiano, tipico di Milano e degli altri luoghi dell’ Italia del nord e rimasto in uso
fino ai nostri giorni;
-il rito gallicano, praticato nella Francia meridionale;
-un rito aquileiese per le regioni del nord-est dell’Italia
-il rito mozarabico, rimasto in uso in Spagna fino all'XI sec.
-un rito sangallese per le regioni di area tedesca.
Tra gli elementi che contribuirono alla affermazione del canto cristiano, dobbiamo citare la
costituzione degli ordini monastici e la fondazione tra VI-VII sec. di celebri abbazie:
Montecassino, Bobbio, S. Gallo. Nei monasteri infatti si coltivava l'istruzione musicale, si
organizzavano le scholae cantorum, e si cominciavano a scrivere nei preziosi codici liturgici
le prime melodie.
Un ruolo fondamentale nella organizzazione e nella espansione della liturgia occidentale fu
svolto però da Papa Gregorio Magno5, pontefice dal 590 al 604, e dal cui nome deriva poi
quello di Canto Gregoriano. Anche se studi recenti hanno dimostrato infondata l’antica
leggenda che voleva Papa Gregorio come l'inventore del canto e della schola, tuttavia il suo
ruolo fu fondamentale: riordinando la liturgia egli riordinò di conseguenza i canti, compilò un
Sacramentario6 (libro delle preghiere durante la messa) e forse riordinò l'Antifonario (libro
che contiene i canti dell’Ufficio).
Un altro momento importante nella storia del canto Gregoriano si ebbe verso la metà dell'VIII
sec., quando i sovrani carolingi stipularono un accordo politico-religioso con il Papa. Pipino il
Breve prima e poi il suo successore Carlo Magno decisero, d’intesa con il papa Stefano II, di
adottare l’unificazione liturgica di tutto l'occidente7. Si formò cosi un repertorio nato dalla
fusione di elementi romani con elementi francesi, e fu proprio quel repertorio che venne
imposto a tutto l’occidente e che ancora oggi costituisce l’elemento principale della liturgia
gregoriana.

5
La figura di Gregorio, formidabile riformatore, liturgista, evangelizzatore, è stata esaminata nei suoi rapporti
con la musica liturgica dallo studioso francese Gastoue, morto nel 1943, ne «Le origini del canto romano». Nel
giudizio dello studioso Gregorio non è più considerato, come vuole la leggenda, il creatore integrale del
repertorio musicale liturgico ma può, nella migliore delle ipotesi, vedersi attribuire il ruolo di raccoglitore e di
riordinatore. La leggenda di Gregorio compositore e musicista è dovuta ad uno dei suoi biografi (sono sei in
tutto le biografie tramandateci). Il biografo più autorevole e accreditato fu Giovanni Diacono che scrisse circa tre
secoli dopo la morte di Gregorio, alla fine del IX sec. E' lui che avvalora l'immagine di Gregorio come
compositore di canti; il che appare profondamente improbabile anche perché all'epoca di Gregorio non si usava
mettere per iscritto la musica. Proprio in quel periodo (inizi del VII sec. ), Isidoro, enciclopedista e saggio suo
contemporaneo testimonia tra l'altro che: «nisi enim ab homine memoria teneantur soni pereunt, quia scribi non
possunt». I più antichi codici a noi pervenuti che testimoniano le prime forme di notazione musicale sono datati
fine IX sec.; è quindi da escludere che il canto dell'epoca di Gregorio corrisponda perfettamente a quello delle
prime testimonianze scritte.
6
Sacramentarium o Liber Sacramentorum era chiamato il libro che conteneva le preghiera riservate al
“sacerdos” (Vescovo o presbitero) nella celebrazione della Messa o dei Sacramenti. Il sorgere rapido di questi
libri fu dovuto anche al fatto che, terminato il periodo d'oro della creatività liturgica, non furono più composti
libelli di valore, tali da reggere alla concorrenza con quelli già esistenti; facile dunque il passaggio alla raccolta e
alla trascrizione-diffusione dei libelli lasciati dai grandi Pontefici o dai loro collaboratori.
7
Alla fine dell' VIII sec. d.C., attraverso l'azione di Carlo Magno. l'impero romano si espande e prende la
denominazione di Sacro romano impero. Carlo Magno fu incoronato dal Papa e ciò a testimonianza dell'evidente
scambio di favori che Stato e Chiesa si ripromettevano. Una delle conseguenze della sottomissione dei Franchi
all'autorità spirituale di Roma, e con l'estendersi della cultura liturgica e musicale romana, fu la messa al bando
del canto gallicano che tuttavia non scomparve completamente ma subì l'innesto e la fusione con il canto romano
antico.
Per quanto riguarda lo stile del Canto Gregoriano, dobbiamo dire che esso è monodico-
omofonico (cioè solistico o corale all'unisono), di ritmo libero (segue cioè gli accenti tonici
del testo) e privo di accompagnamento strumentale.
Gli stili vocali derivarono direttamente dalla Palestina:
- la cantillazione, forma di solenne declamazione dei testi sacri e dei salmi, basata sulla
ripetizione continua di una stessa nota (“recto tono”) con lievi inflessioni verso l’alto o
verso il basso; si definisce poi salmodia la cantillazione applicata ai versetti dei salmi,
con brevi cadenze melodiche (di solito una o due note più gravi o più acute ma per
grado congiunto) all’inizio (ma solo nel primo versetto), in mezzo e alla fine del
versetto;
- il canto melismatico, basato su vocalizzi, come nello “jubilus”, l’ampio vocalizzo che
veniva intonato sulla ultima “a” della parola Alleluja8.
- Tra questi due stili opposti possiamo poi collocare uno stile intermedio: il canto
melodico-sillabico, nel quale troviamo sempre una-due note su ciascuna sillaba ma il
canto non procede su una sola nota, mostrando al contrario uno spiccato profilo
melodico (come nelle Antifone o negli Inni).

L'Alleluia Laudate pueri tratto dal


Graduale Triplex

Quanto alle forme di esecuzione il Canto Gregoriano poteva essere:


-diretto, quando cioè l'intonazione era fatta unicamente dal solista;
-responsoriale, come nel salmo responsoriale, quando cioè i versetti, intonati dal solista,
erano intervallati da un ritornello, chiamato appunto “responsorio” e intonato dall’Assemblea;
-allelujatico, come nella salmodia allelujatica, dove il popolo risponde intonando la parola
alleluja dopo ogni versetto del solista;
-antifonico, come nella salmodia antifonica, dove i versetti del salmo vengono intonati
alternativamente da due semicori.
Il momento centrale della liturgia cristiana9 è la Messa, divisa come sappiamo in due parti
principali, la liturgia della parola e la liturgia eucaristica, e con le preghiere e i canti

8
L'Alleluia , essendo segno di gioia, era in origine riservato al tempo pasquale, poi alle domeniche, e a poco a
poco fu esteso alle feste, eccetto il tempo quaresimale, durante il quale cessava assolutamente, per riprendersi
con solennità il sabato santo: uso ancora in vigore nel rito latino.
Fin da quando se ne ha notizia, l'Alleluia è un canto molto vocalizzato, e consta della parola alleluia, con un
lungo vocalizzo, detto giubilo, sulla vocale finale a (nel rito copto taluno di questi giubili dura fino a venti
minuti); segue un versetto (avanzo del salmo), dopo di che si ripete l'alleluia. S. Agostino descrive il giubilo
come un canto dove la musica rende con assoluta libertà melodica ciò che la parola non arriverebbe ad esprimere
9
L'anno liturgico si apre con la prima domenica d'avvento, cioè con la prima della quattro domeniche che
precedono il Natale, e si divide in quattro periodi: il primo centrato appunto attorno alla natività e si conclude
accuratamente scelti per i vari momenti. I canti della messa, a loro volta, si suddividono in
Ordinario, e sono quei canti che rimangono immutati per tutto l’anno liturgico (Kyrie, Gloria,
Credo, Sanctus, Agnus Dei, ma il Gloria non viene cantato durante i periodi di penitenza); e
Proprio10, cioè quei canti che mutano di giorno in giorno a seconda dei temi, della festività o
del periodo (Introito, Graduale, Alleluja, Offertorio, Communio). Tra questi canti i più
melismatici sono quelli responsoriali quali il Graduale e l’Alleluja, antifonali sono invece
Introito, Offertorio e Communio, sillabici sono infine Gloria e Credo.
Un altro momento di preghiere liturgiche è il cosiddetto Ufficio delle ore: durante la giornata
per otto volte viene prestato un servizio per l'offerta di preghiere, e questo servizio è chiamato
«Ufficio divino» o «delle ore» o «canonico». Il complesso di preghiere e canti che il clero
recita durante la giornata è costituita da otto ore canoniche (Mattutino e Laudi al mattino,
Vespri e Compieta alla sera, e quattro altre volte a distanza di tre ore), secondo una
successione che può essere così schematizzata:
1. Mattutino (ore 2.00 della notte);
2. Laude (all'aurora);
. 3. Ora prima (alle 6.00 del mattino);
4. Ora terza (alle 9.00);
5. Ora sesta (alle 12.00);
6. Ora nona (alle 15.00);
7. Vesperi (alle 18.00);
8. Compieta (chiusura della giornata).
I canti dell’Ufficio erano: i 150 Salmi con le loro Antifone (queste ultime costituite da un
breve versetto che precedeva e chiudeva il Salmo), i Cantici, le Litanie, le Orazioni e gli Inni.
Proprio l’Inno rappresenta una forma molto particolare nel repertorio Gregoriano, perché è
l’unico canto a:
- carattere strofico (la melodia si ripete uguale di strofa in strofa),
- carattere metrico (ha cioè un ritmo definito, quasi sempre giambo o anche trocheo),
- in versi e in rima.
In origine gli Inni erano canti dell’Oriente e tipici delle sette eretiche, ma ben presto li adottò
anche la chiesa come canti contro le eresie. Ricordiamo prima S. Ilario e poi soprattutto S.
Ambrogio, vescovo di Milano, morto nel 397. Va anche ricordato che il testo degli Inni non
era preso, come quello dei Salmi e dei Cantici, dalle Sacre Scritture, ma era di libera
invenzione, mentre la melodia aveva sempre un carattere orecchiabile e popolare.

dopo l'Epifania, il secondo fino alla Pasqua, il terzo fino alla Pentecoste ed il quarto relativo alla rimanente parte
dell'anno.
Il calendario della Chiesa romana include un gran numero di feste che si dividono in due grandi categorie: feste
del Signore e feste dei Santi. Il primo gruppo costituisce il «Proprium de tempore» o «Temporale» e raccoglie
tutte le domeniche e le festività dedicate ai vari momenti della vita del Signore. Le feste dei Santi sono
raggruppate in due categorie: «Commune sanctorum» e «Proprium sanctorum». Il primo gruppo raccoglie canti
e preghiere che sono usati per i vari santi minori raggruppati in categorie quali i martiri, i beati, i dottori, le
vergini e vergini martiri; mentre il secondo gruppo include le feste in onore dei santi principali: San Pietro e
Paolo, San Giuseppe, San Francesco etc.
Nei primi libri medioevali le feste del Signore e dei Santi erano sistemate insieme ma dal XIII sec. le varie
categorie vengono separate.
10
I canti del Proprium sono non soltanto più antichi ma anche i più importanti liturgicamente e più interessanti
musicalmente dal punto di vista del canto gregoriano. Anticamente, infatti, il termine Messa indicava
semplicemente il Proprium e solo in seguito, negli ultimi 5-6 secoli, la terminologia prevalente intende con la
parola Messa l'Ordinarium.
Rimane infine da parlare di quelle forme di canto che si affermarono a partire dal IX sec. e
cioè i Tropi e le Sequenze. L’accordo tra papato ed impero11, come sappiamo, aveva imposto
un repertorio unico in tutto l'Occidente. Da più parti tuttavia si sentiva l'esigenza di rinnovare
il canto cristiano, anche se il repertorio non poteva essere mutato. Si trovò, per così dire, un
espediente: alle melodie di alcuni canti molto melismatici si dette un testo nuovo, che
trasformava quel canto in sillabico.
Si scrissero così dei testi per i melismi dell’Alleluja, dando origine alle Sequenze12.
Ovviamente adattando la melodia al nuovo testo, il canto veniva modificato, e quando poi si
cominciarono a ripetere a coppie di strofe le sezioni melodiche e si impiegarono gli schemi
ritmici (trocheo e giambo) la Sequenza divenne una forma del tutto nuova. Nel XII secolo il
modello di Sequenza attribuito ad Adamo di S. Vittore avrà appunto la struttura a coppie di
strofe (AA-BB-CC….), metrica e in rima.
Tornando al IX secolo e ai Tropi abbiamo un processo ancor più evidente di manipolazione
dei canti liturgici: anche in questo caso alcuni canti della messa molto melismatici (Kyrie,
Introito ecc.) vennero arricchiti con nuovi testi, ovvero con aggiunte all'inizio e alla fine
(Tropo di “inquadramento”) o nel corso (Tropo di “interpolazione”) del canto di testi e
melodie nuovi. Appare chiaro che a questo punto il Tropo risponde pienamente alle esigenze
di rinnovamento, in quanto pur prendendo spunto da una forma preesistente di fatto permette
l'introduzione di elementi completamente nuovi.

11
Nel corso delle seconda metà dell’VIII secolo, inizia un avvicinamento tra il regno franco dei Pipinidi (Pipino
il Breve, poi il figlio Carlo Magno) e il papato (Stefano I e i suoi successori). Questo avvicinamento è prima di
tutto di ordine politico: i territori del papato sono minacciati dai Longobardi, mentre il giovane re dei Franchi è
preoccupato di garantire una legittimità ad un potere conquistato a viva forza. Pipino il Breve si impegna a
proteggere i territori pontifici, mentre il papa viene in Francia con la sua corte, rinnova la consacrazione del re
dei Franchi (754) e soggiorna per parecchio tempo all’abbazia di San Dionigi. Queste circostanze permettono al
nuovo sovrano di apprezzare gli usi liturgici romani. Pipino il Breve vede in essi un modo di garantire l’unità
religiosa dei suoi territori e, attraverso ciò, di consolidare la loro unità politica. Decreta perciò l’adozione nel suo
regno della liturgia romana e questa misura verrà energicamente reiterata da Carlo Magno.
Nel periodo del rinascimento carolingio (IX e X sec.) assistiamo ad alcune importanti innovazioni: la nascita
della scrittura neumatica, lo sviluppo delle prime forme polifoniche e l'innesto del canto romano antico su quello
gallicano (atto di nascita del canto gregoriano). La certezza che il gregoriano fosse stato creato per celeste
ispirazione da Gregorio magno dava un carattere sacrale a tale repertorio per cui ci si regolò in seguito sul motto
«ne varietur». Con la sua riforma si chiude l'età aurea della musica di chiesa. Sul piano artistico ci furono
conseguenza negative, cioè l'arresto della creatività compositiva; perciò i compositori cercarono nuovi spazi
paraliturgici data l'inviolabilità delle sezioni musicali del rito ufficiale. Nacquero così le forme della Sequenza e
del Tropo.
12
Il termine Sequenza appare nel «liber officialis» di Amolario in cui s'introduce una melodia che sostiene il
melisma sull'ultima sillaba dell'alleluja, cioè lo jubilus. Questa melodia era denominata sequenza. In origine
quindi la sequenza non era che un artificio per facilitare la memorizzazione, attraverso l'aggiunta di un testo
sillabico, di una melodia melismatica. Il testo che originava la sequenza fu chiamato prosa e questa era costituita
da frasi libere e ricche di assonanze organizzate in coppie strofiche. Il parallelismo strofico aveva innanzitutto lo
scopo di raddoppiare le lunghezza della composizione e infatti la sequenza appare la forma musicale più ampia
del periodo; inoltre la ripetizione facilitava la memoria anche se questa era solo melodica e non verbale.
Ben presto la sequenza cominciò a staccarsi dai particolari canti liturgici sviluppandosi come una forma
indipendente di composizione. Dal X al XIII secolo ne furono composte centinaia in tutta l'Europa occidentale.
In Chiesa si potevano cantare accompagnate dall'organo e le più note erano adottate ad usi profani. Una delle più
celebri era il Victimae paschali laudes, attribuita a Wipo, cappellano dell'imperatore Enrico III nella prima metà
del sec. XI; in tale sequenza è evidente la forma classica di tale forma a strofe accoppiate. Altra nota sequenza è
il Dies Irae, attribuita a Tommaso da Celano, in cui la melodia è ripetuta due volte ma la seconda con un finale
modificato. Gran parte di esse fu abolita dal rito cattolico con la riforma liturgica del Concilio di Trento; ne
rimasero quattro: Victimae paschali, Dies Irae, Veni Sancte Spirite, Lauda Sion. Una quinta, lo Stabat Mater
(per la Pentecoste), attribuita a Jacopone da Todi fu aggiunta nel 1727.
Il fenomeno della tropatura raggiunse il culmine nel sec. XI. In origine il tropo era
un'aggiunta composta ex novo, in stile neumatico e con un testo poetico, ad uno dei canti
antifonali del Proprio della messa, più tardi anche dell'Ordinario.
Si possono distinguere in:
tropi di adattamento: in cui il testo è adattato alla melodia pre-esistente;
tropi di sviluppo: in cui la musica originaria viene sviluppata ed ampliata con l'aggiunta di
nuove note;
tropi d'interpolazione: in cui al testo liturgico vengono aggiunti commenti (es. Ave verum,
tropo del Sanctus);
tropi d'inquadramento: in cui c'è il passaggio dall'interpolazione alla forma di preludio con
carattere più organico;
tropi di complemento;
tropi di sostituzione.

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