Sei sulla pagina 1di 9

IX TESI

La rinascita italiana: l’Ars nova (madrigali, cacce, canzoni, ballate) – Strumenti


in uso nel tempo

La secolarizzazione della società e della cultura. Prevalenza della musica


profana
Fino a tutto il secolo XIII la società medioevale era stata governata dal principio del
primato del sacro sul profano. Dio, al Chiesa, la spiritualità religiosa erano al centro
di una concezione unitaria di cui si alimentavano il pensiero filosofico e la cultura.
Anche la musica, sia monodica, sia polifonica, era destinata, con forte prevalenza, ai
riti sacri e alle celebrazioni religiose.
Questa concezione del mondo arrivò a piena maturità durante il Duecento. Dopo, il
mondo mutò e rapidamente avanzò la secolarizzazione, cioè la laicizzazione della
società e della cultura. Non la scristianizzazione, ma la distinzione tra la rivelazione
divina e la ragione umana, la separazione tra Chiesa e Stato, tra religione e scienza. In
politica, caduto l’ideale dell’unità rappresentato dal Sacro Romano Impero, si
vennero formando monarchie assolute fortemente centralizzate (Francia) o
costellazioni di piccoli stati e signorie assolute e rivali fra loro (Italia). In campo
sociale, al declino dell’aristocrazia feudale corrispose una crescita di potere
economico e politico della classe media urbana.
Il distacco dal passato fu più rapido ed evidente nei campi dell’espressione letteraria
ed artistica. Se l’ispirazione religiosa aveva animato una parte notevole delle
letterature in latino e nei volgari del Duecento, nelle opere del Trecento prevalse
l’ispirazione profana. Nell’architettura, accanto alle cattedrali innalzate alla gloria di
Dio, della Vergine e dei Santi, si costruirono palazzi per il conforto e la difesa dei
potenti. Nella pittura, al formalismo di origine bizantina dei crocifissi di Cimabue
subentrarono le storie raccontate con vivace naturalismo dal pennello di Giotto. La
stessa cosa avvenne per la musica: la produzione musicale sacra fu nel Trecento
inferiore e meno importante delle creazioni profane. Influì su questo capovolgimento
la crisi politica e religiosa che provocò il trasferimento della Curia papale da Roma
nella città francese di Avignone. Ma notevole peso ebbero anche le critiche che si
erano levate all’interno della Chiesa nei confronti della pratica contrappuntistica
applicata ai brani del repertorio liturgico. Queste critiche avevano una duplice
motivazione: il timore che la seduzione dell’artificio contrappuntistico a più voci
distraesse i fedeli dall’attenzione al rito e alla preghiera, e la constatazione che,
nell’intreccio delle voci, si perdesse l’intelligenza delle parole sacre e delle melodie
gregoriane.

Il contesto storico e culturale


Il termine “Ars nova” (“arte nuova”) fu introdotta nell’uso comune all’inizio del
presente secolo dallo studioso tedesco Hugo Riemann che lo derivò dal titolo del
trattato di Ph. De Vitry per designare le nuove tendenze del linguaggio musicale che
1
si manifestarono specialmente in Italia e in Francia durante il XIV secolo. Il termine è
particolarmente appropriato per indicare la creazione musicale di un’ epoca che vede
l’improvviso insorgere in Italia, seppure in aree geografiche estremamente limitate, di
un eccezionale e ricco repertorio di forme polifoniche. In contrapposizione ad “Ars
nova” si designa con i termini “Ars antiqua” o “Ars vetus”, la produzione polifonica
dei secoli XII – XIII.
La quasi totale mancanza, prima del XIV secolo, di musiche polifoniche italiane fu
molto probabilmente dovuta alla costante abitudine, qui radicata più che altrove nel
Medioevo, di far musica senza sentire il bisogno di scriverla, in specie per quanto
riguarda il repertorio dei canti monodici profani (ma nella tradizione non scritta è da
sospettare l’esistenza anche di forme polifoniche).
Eppure il sistema italiano di notazione esposto da Marchetto da Padova nel
Pomerium già nel 1321-1326, fu evidentemente il frutto e il risultato di una
consolidata pratica polifonica che pur doveva essere esistita in precedenza. Il sistema
notazionale di Marchetto tende ad accentuare e ad esprimere i tratti caratteristici della
polifonia italiana dell’epoca: il gusto per le fioriture virtuosistiche delle linee vocali e
per i cromatismi.

Prima fase dell’Ars nova italiana. Il madrigale e la caccia


La prima fase dell’Ars nova italiana si svolse in alcune in alcune città dell’Italia
settentrionale, come Verona, Padova e Milano, dove, dalla metà del XIV secolo,
operarono compositori come Iacopo da Bologna e Giovanni da Cascia. Durante
questa prima fase la forma più in uso fu il madrigale.
I primi esempi di madrigali polifonici ci sono stati tramandati anonimi nel Codice
Rossi. E’ il genere musicale più comunemente coltivato nell’Italia settentrionale
durante la prima metà del secolo. Incerto è il significato originario del termine: forse
deriva da materialis per denotare un testo poetico privo di regole formali, oppure da
matricalis (poema in lingua madre).
Gli argomenti trattati sono prevalentemente di carattere pastorale-amoroso o agreste,
ma non mancano testi che si riferiscono a vicende biografiche dei signori di corte
settentrionali. Dal punto di vista della struttura poetica, il madrigale è composto di
due o tre strofe di tre versi (terzine) ciascuna, aventi lo stesso ordine di rime, seguite
di norma da un ritornello di uno o due versi. I versi possono essere endecasillabi o
settenari.
La musica è divisa in due sezioni: una prima sezione (a), in genere più estesa, per
l’intonazione – sempre uguale – delle terzine; una seconda sezione (b) costituita da
un ritornello, cantato alla fine del gruppo di strofe, e di carattere contrastante nel
metro e nella melodia rispetto alla prima parte.
Fu Giovanni da Firenze a stabilire i caratteri stilistico musicali tipici del madrigale:
ciascun verso è iniziato e concluso da melismi vocali, mentre la sezione centrale è
scandita in stile perlopiù sillabico. La voce superiore è in genere più fortemente
melismatica rispetto a quella inferiore.

2
Un tipo speciale di madrigale che usa l’artifizio contrappuntistico del canone è la
caccia (il brano è così denominato perché una voce “caccia” l’altra). A differenza del
madrigale, la caccia di norma non ha uno schema strofico. L’applicazione del canone
nelle due voci superiori (la terza parte funge da sostegno armonico ed era
probabilmente eseguita da qualche strumento) rende con grande efficacia realistica le
scene concitate di vita all’aperto di vario genere (di caccia, di pesca, di gioco, di
mercato) descritte dal testo poetico. La struttura poetica della caccia non si attiene ad
uno schema regolare, e di solito alterna versi sciolti a rima baciata.
I primi esempi di cacce vengono fatti risalire al 1340. Sembra sia stato un certo
Maestro Piero a creare il modello di caccia che sarà imitato e coltivato più tardi da
Gherardello da Firenze e da altri compositori attivi perlopiù a Firenze.

Seconda fase dell’Ars nova italiana. La ballata


Poco dopo la metà del secolo il centro produttivo dell’Ars nova italiana si sposta a
Firenze. Nel primo periodo dell’Ars nova fiorentina la forma più usata era il
madrigale in cui erano presenti melismi complessi; la caccia era meno frequente nelle
opere dei compositori, ma quelle che ci sono pervenute sono pregevoli.
Parallelamente a queste due forme, si afferma anche la ballata.
La ballata era inizialmente una forma poetico-musicale di accompagnamento a una
danza; nel Duecento le ballate erano monodiche e alternavano ritornelli corali a
interventi solistici. Tale forma fu poi adottata dalla lauda e perse allora alcune
caratteristiche legate alla danza. Scarse sono le ballate monodiche degli inizi del XIV
secolo pervenute a noi, mentre la maggior parte delle composizioni di questo genere
sono tarde e polifoniche, in genere a due o tre voci.
La forma fixe assunta dalla ballata polifonica nel Trecento si può così riassumere:
una “ripresa” di due, tre, o quattro versi (rispettivamente per la ballata minore, media
e grande), due “piedi” identici quanto a numero di versi e rime, e una “volta”,
identica alla ripresa, in cui il primo verso rima con l’ultimo dei piedi e l’ultimo verso
rima con il primo della ripresa; la musica si articola in due sezioni: la sezione A
intona la ripresa e la volta, la sezione B intona i piedi. In precedenza, le strofe erano
spesso più d’una.

3
I principali musicisti della prima fase fiorentina furono Gherardello da Firenze,
Lorenzo Masini, Vincenzo da Rimini; alla seconda fase appartengono Donato da
Cascia e Nicolò del Preposto da Perugia.

Francesco Landini
E’ solo con Francesco Landini che la ballata ricevette intonazione a due e a tre voci, e
divenne il genere della polifonia misurata con testo volgare tipico della seconda metà
del secolo.
Il ritorno della sede papale da Avignone a Roma (1377) determinò una serie di
contatti e scambi culturali tra italiani e francesi che portò alla formazione del
cosiddetto ‘stile misto’, nel quale coesistono elementi sia dell’arte francese, sia di
quella italiana.
La ballata divenne polifonica e divenne la forma musicale più diffusa rispetto al
madrigale. Le prime ballate erano a 2 voci e di carattere umoristico; Francesco
Landino, o Landini (1335-1397), trasferì poi i contenuti lirici della ballata monodica
nella ballata polifonica a 2 e a 3 voci.
Le ballate a due voci sono ancora vicine allo stile dell’Ars nova italiana tradizionale,
hanno melismi non molto estesi e sono interamente vocali perché la parte inferiore
imita a volte la voce superiore. Le ballate a tre voci sono posteriori, concentrano
l’interesse melodico nella voce superiore; hanno un contrappunto raffinato, e nelle
terminazioni dei “piedi” , adottano la doppia formula dell’ouvert e del clos. Inoltre,
come nei mottetti francesi, Landini impiega a volte la tecnica isoritmica, e testi
differenti per le diverse voci di una stessa composizione.
A fine secolo e nei primi anni del Quattrocento il movimento musicale italiano
subisce fortemente l’influsso delle musiche manieristiche francesi, influsso
intensificatosi con ritorno della corte papale da Avignone a Roma (1378) e con la
successiva presenza presso le chiese cattedrali della penisola di un certo numero di
musicisti professionisti oltramontani, tecnicamente molto preparati nell’arte del
contrappunto. La polifonia italiana persegue in questo periodo l’ideale della
cosiddetta ars subtilior (“arte alquanto sottile”), che concepisce l’arte musicale come
tecnica di costruzioni razionali e geometrizzanti, privilegiando misure e mutazioni
ritmiche spesso molto complesse ed elaborate.

L’”ars nova” in Francia


Nella trattazione del Trecento italiano non si possono sottovalutare i rapporti
intercorsi, per tutto il secolo, con la tradizione musicale francese. Trattandosi di due
espressioni artistiche parallele, potrà risultare utile delineare i caratteri generali e
individuare i protagonisti anche della tradizione musicale francese di quest’epoca.
La forte predilezione dell’arte polifonica francese per le tecniche e i procedimenti
costruttivi razionalizzanti si accentua grandemente nel corso del XIV secolo.
L’artifizio compositivo che determina razionalmente la struttura generale del pezzo e
che fu impiegato nei mottetti e soprattutto nei movimenti singoli di messa è
denominato isoritmia, termine introdotto dal musicologo Friedrich Ludwig nel 1904
4
per indicare la organizzazione architettonica di formule ritmiche e melodiche
ricorrenti che caratterizzano la musica francese dell’epoca. Alla base del
procedimento sta la concezione di una data melodia (il tenor) come combinazione di
due distinti elementi: l’uno ritmico e l’altro melodico. L’elemento melodico,
denominato color, era inteso come una successione di intervalli. A tale linea
melodica il compositore applicava un determinato schema ritmico, denominato talea.
A questo schema ritmico (talea) veniva adattata la serie melodica originale (color),
cosicché il risultato finale era la combinazione di due diversi tipi di ripetizione: l’una
che riguarda le durate e l’altra inerente la linea melodica.
Il principio della costruzione isoritmica era di norma applicato al tenor, ma poteva
essere esteso al contratenor (parte che serviva di complemento armonico al tenor e
col quale talvolta si incrociava) e più raramente alle voci superiori.
E’ da osservare che i procedimenti isoritmici non venivano concepiti dal compositore
per essere percepiti dall’ascoltatore. Tali procedimenti “sono oggetto più della vista
che dell’udito” aveva scritto il teorico fiammingo Johannes Boen. Si tratta dunque di
un tipo di complessità formale che appagava i gusti dell’intenditore sofisticato.
E’ anche per questo motivo che il mottetto dell’ars nova si rivolge sempre meno
spesso all’ambiente ecclesiastico, in quanto viene meno la funzione liturgica che
aveva svolto in prevalenza nel secolo precedente. E così il mottetto diviene la forma
tipica destinata ai fastosi avvenimenti politici e celebrativi dell’epoca (grandi
cerimonie pubbliche). La Chiesa aveva, del resto, dichiarato la sua avversione verso i
nuovi orientamenti musicali già nel 1325 con la bolla Docta sanctorum emanata dal
papa Giovanni XXII, in cui si proibiva l’introduzione nel servizio divino delle forme
polifoniche tecnicamente complesse.
Mentre nel secolo precedente i testi (diversi) delle voci superiori sviluppavano in
genere il concetto espresso dal testo base del tenor, ora invece si tende ad utilizzare
un unico testo per tutte le parti. Dato il carattere spiccatamente solenne e celebrativo
che sempre più assume il mottetto, si tende a sostituire i testi in lingua francese con
quelli in latino (più appropriati alle grandi celebrazioni ufficiali pubbliche).

Philippe de Vitry (1291-1361)


Il poeta, teorico musicale, consigliere diplomatico a alto prelato Vitry è considerato il
caposcuola dei nuovi orientamenti stilistici del mottetto. Il compositore parigino fu il
primo ad adottare regolarmente e rigorosamente il procedimento isoritmico nei 14
mottetti. L’enfasi sulle formule ritmiche e complesse che caratterizza la tecnica
isoritmica, ha evidentemente fornito a Vitry lo spunto per le formulazioni teoriche
della notazione mensurale esposte nel trattato Ars nova. Vitry fu anche uno dei
compositori che inaugurarono la nuova moda del mottetto celebrativo e occasionale
in lingua latina.

Guillaume de Machaut (ca. 1300-1377)


Benché gli fossero stati concessi numerosi benefici ecclesiastici, la carriera di
Machaut si svolse in prevalenza in ambienti di corte. Nel 1323 divenne segretario di
5
Giovanni di Lussemburgo (1296-1346), re di Boemia. Alla morte di Giovanni di
Lussemburgo il musicista passò al servizio di alcuni esponenti dell’alta nobiltà
francese, tra i quali il futuro re di Francia Carlo V. Per rendere omaggio ai grandi
signori che favorirono la sua carriera, Machaut, mentre era in vita, fece compilare i
manoscritti contenenti tutte le proprie opere letterarie e musicali. La sua opera
letteraria rappresenta però la parte maggiore della sua produzione artistica.
Documenti dai quali si possono ricavare preziose notizie sulla sua opera e sul suo
metodo di lavoro sono le opere poetiche Remede de Fortune e Voir Dir, dove narra
dei suoi amori per una giovane ammiratrice di 19 anni.
La produzione musicale di Machaut riguarda prevalentemente i generi profani. La
maggior parte dei testi dei suoi 23 mottetti sono di argomento cortese: soltanto due
sono destinati ad un contesto liturgico.
Per quanto riguarda la costruzione isoritmica, Machaut si ricollega direttamente ai
modelli definiti da Vitry, introducendovi però ulteriori e magistrali complessità
tecniche: valori diminuiti nella ripetizione della talea, estensione del procedimento
isoritmico al contratenor.
Seguendo la tendenza dell’epoca di applicare alle parti di Messa i nuovi mezzi
espressivi e costruttivi del mottetto, Machaut raggiunge nella Messe de Notre Dame a
quattro voci tratti di grande bellezza e perizia compositiva. Il Kyrie, il Sanctus,
l’Agnus Dei e l’Ite missa est seguono la costruzione isoritmica; il Gloria e il Credo
sono invece scritti prevalentemente in stile sillabico omoritmico, tipico del
conductus. Non si conosce la data di composizione della Messa. E’ probabile che le
singole parti siano state scritte in tempi diversi e poi assembrate per l’esecuzione in
occasione di qualche festa della Madonna. La novità della Messe de Notre Dame di
Machaut sta nel fatto che tutte le singole parti furono composte, anche se in tempi
diversi, da un unico autore, mentre l’uso dell’epoca richiedeva che di una messa i
musicisti scrivessero solo alcune parti.
Nella sua opera Remede de Fortune, Machaut aveva inserito, anche a scopo
didattico, sette pezzi con valore di modelli esemplari di differenti generi poetico-
musicali: il lai, complainte, chanson royal, baladele, ballade, virelai e rondeau.
Tutte queste forme poetiche solevano già da tempo essere accompagnate da
un’intonazione musicale monodica, e lo stesso Machaut, autore anche dei testi
poetici, continuando la tradizione trovierica, aveva messo in musica 19 lais e circa
25 virelais. Il virelai è caratterizzato dal seguente schema formale:
A b b a…, in cui A indica il ritornello, b la prima parte della stanza (che viene
ripetuta) e a l’ultima parte della stanza (cantata sulla stessa melodia della ripresa).
Nel caso ci siano più stanze, il ritornello A può essere ripetuto alla fine di ciascuna.

6
Alcuni virelais di Machaut sono polifonici, e hanno un tenor strumentale al di sotto
della parte vocale, in funzione di accompagnamento. Oltre ai pochi virelais, le forme
che , a partire dal XIV secolo, vengono normalmente intonate con la tecnica della
polifonia misurata sono la ballade e il rondeau.
La ballade è costituita, in genere, da tre strofe con lo stesso numero e lo stesso tipo di
versi, di rime, e lo stesso verso finale (refrain).

L’intonazione musicale è composta da due sezioni. La sezione A intona la prima


quartina di ogni strofa; si intona dapprima il primo e secondo verso, e subito dopo il
terzo e il quarto. Queste due coppie di versi vengono però intonate con due formule
finali differenti denominate rispettivamente ouvert e clos. La sezione B serve per
l’intonazione dei rimanenti versi.
Il rondeau è costituito da una sola strofa di otto versi, con il quarto verso uguale al
primo e gli ultimi due uguali ai primi due.

7
L’intonazione musicale del rondeau è composta da due sezioni. La sezione A serve
per l’intonazione del primo, terzo, quarto, quinto e settimo verso; la sezione B serve
per l’intonazione del secondo, sesto e ottavo verso.

Strumenti in uso nel tempo


L’atteggiamento negativo dei Padri della Chiesa nei confronti della infiltrazione di
elementi profani nella liturgia lasciò poco spazio all’impiego di strumenti durante i
riti strettamente liturgici. Le autorità ecclesiastiche si pronunciarono in numerose
occasioni, dal secolo VIII in poi, contro l’ammissione in chiesa di menestrelli, giullari
e suonatori, e contro l’esecuzione di musiche strumentali. Soltanto più tardi (nel
secolo XIII) fu consentito l’impiego abituale dell’organo durante le feste maggiori
dell’anno liturgico.
Diversa era la situazione per quanto riguarda la musica extraliturgica. I giullari e i
menestrelli accompagnavano di norma i cantori, improvvisavano preludi e postludi
tra una stanza e l’altra delle chansons de geste, oppure adattavano composizioni del
repertorio vocale all’esecuzione strumentale. Gli strumenti più comunemente usati
per doppiare la parte vocale all’unisono o all’ottava erano la viella e la ribecca
(l’antenato del violino), strumenti ad arco con un numero variabile di corde (da una a
cinque) probabilmente introdotti in Europa dall’Oriente.
I fiati venivano adoperati per conferire pompa e solennità a certe cerimonie religiose
(l’inizio della Messa, le processioni) e pubbliche, per sottolineare la presenza della
famiglia reale, o per accompagnare il movimento di truppe.
Tra gli strumenti cordofoni più comunemente usati nel Medioevo sono da segnalare
l’arpa, il salterio, il liuto.
Per l’accompagnamento ritmico si impiegavano varie specie e forme di strumenti
membranofoni e idrofoni.
Nel XIV secolo, l’impiego di strumenti si estende anche all’esecuzione di brani
polifonici: i tenor dei mottetti e le parti di composizioni vocali prive di testo letterario
erano quasi sicuramente affidati a strumenti.
Benché l’impiego di strumenti nelle esecuzioni del tempo sia ampiamente confermato
da documentazioni di vario tipo, non è possibile stabilire, comunque, con certezza
assoluta l’organico specifico che veniva utilizzato nelle compagini strumentali. Ciò è
dovuto in primo luogo all’assenza pressocchè totale di indicazioni precise in merito
nelle fonti musicali pervenuteci.

ASCOLTI PROPOSTI DURANTE LE LEZIONI:

1) JACOPO DA BOLOGNA, - Madrigale - Non al suo amante;


8
2) FRANCESCO LANDINI, - Ballata - Questa fanciulla amor;
3) GHERARDELLO DA FIRENZE, - Caccia - Tosto che l’alba.

Potrebbero piacerti anche