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L’ARS NOVA IN ITALIA E IN FRANCIA (‘300)

IL CONTESTO STORICO E CULTURALE


Il termine “Ars nova” fu introdotto all’inizio del XX secolo dallo studioso tedesco Hugo
Riemann, che lo derivò dal trattato di Ph. De Vitry, per designare le nuove tendenze del
linguaggio musicale che si manifestarono in Italia e in Francia durante il XIV secolo. In Italia si
preferisce chiamarlo il Trecento Italiano, perché il vero contributo fu in Francia.
Il termine Ars nova si applica per denotare la creazione di un ricco repertorio di forme
polifoniche che non aveva avuto riscontro in precedenza.
La quasi totale mancanza, prima del XIV secolo, di musiche polifoniche italiane fu
probabilmente dovuta alla costante abitudine di far musica senza sentire il bisogno di
scriverla (soprattutto per quanto riguarda il repertorio monodico profano).
I riferimenti che si fanno alla musica nelle opere letterarie dell’epoca (300) non riguardano,
del resto, la musica polifonica, bensì i vari generi di musica monodica non scritta.
Eppure il sistema italiano di notazione, esposto da Marchetto da Padova nel Pomerium, fu il
frutto di una consolidata pratica polifonica esistita in precedenza. Le formulazioni teoriche di
Marchetto sono articolate e precise, nonostante erano apparentate con la teoria francese e da
essa pur indipendenti. Il sistema notazionale di Marchetto tende ad accentuare e ad esprimere
i tratti caratteristici della polifonia italiana dell’epoca: gusto per le figure virtuosistiche, per i
cromatismi e per una sonorità eufonica, di preferenza accordale.
La predilezione dei musicisti francesi per i procedimenti compostivi basati sulla
premeditazione razionale, richiedeva invece un sistema notazione diverso da quello italiano.
Già nella seconda metà del Duecento la lingua e la cultura letteraria francesi erano
grandemente apprezzate in Italia, soprattutto nell’area padana.
I principali compositori della prima generazione dell’ars nova sono stati associati a Verona e a
Padova (Jacopo da Bologna, Giovanni da Firenze).
Parte dei testi (in lingua volgare e qualcuno in latino) ci pervengono in minima parte e
comunque quello che ci perviene da queste corti settentrionali si riferisce a biografie dei
signori, che probabilmente ne furono anche i committenti. La condizione sociale
prevalentemente artigiana e sostanzialmente feudale dei compositori attivi nelle corti del
Nord Italia, non ebbe un equivalente a Firenze, dove si produsse fino ai primi del ‘400 un
repertorio polifonico di alta qualità.
Le composizioni italiane dell’ars nova (circa 600) sono raccolte in sei ampi codici e numerosi
frammenti, di provenienza fiorentina e risalgono a fine Trecento-inizi-Quattrocento.
Il ruolo di protagonista svolto dalla città di Firenze potrebbe essere stato stimolato e facilitato
dalla corrente letteraria del “dolce stil novo”, che proponeva l’eleganza formale dei versi e
degli stilemi poetici, e le parole erano scelte secondo il criterio di chiarezza e gentilezza,
centrando l’interesse verso l’amore estatico e interiorizzato.
La polifonia fiorentina è da considerare il prodotto dell’umanesimo civico, che aveva prodotto
l’attività musicale privata tra i cittadini. Il codice Squarcialupi, prende il nome dall’organista
Antonio Squarcialupi, è la dimostrazione che riflette lo spirito umanistico di raccolta delle
opere del passato, nonché di ammirazione e di glorificazione per i grandi fiorentini delle
generazioni precedenti.
IL MADRIGALE E LA CACCIA
Ci pervengono circa 200 primi esempi di madrigali polifonici, tramandati anonimi nel Codice
Rossi. È il genere musicale più coltivato nell’Italia settentrionale durante la prima metà del
secolo.
Il significato del termine è incerto: forse deriva da materialis (privo di regole formali) o da
matricalis (poema in lingua madre).
Gli argomenti trattati sono prevalentemente di carattere pastorale-amoroso o agreste, ma non
mancano i testi biografici dei signori di corte settentrionale. La struttura poetica del madrigale
è di due o tre strofe di tre versi (terzine), ciascuna aventi lo stesso ordine di rime, seguite da
un ritornello di uno o due versi a rima baciata. I versi possono essere endecasillabi o settenari.
Il disegno melodico generale segue e dipende dalla struttura del testo poetico, determinando
una coerenza tra poesia e musica.
Il moto delle singole parti vocali si sviluppa comunque con relativa indipendenza di
organizzazione rispetto alle immagini evocate dal testo poetico (per questo non ha nulla in
comune con quello del ‘500, che non è su testo strofico).
Ciascun verso è iniziato e concluso da melismi vocali, mentre la sezione centrale è scandita
perlopiù in stile sillabico. Tale stile melodico, caratterizzato dalla tendenza
all’improvvisazione e alla coloratura vocale, è tipico della musica italiana di quest’epoca e
successiva.
La voce superiore è più melismatica di quella inferiore. La musica è divisa in due sezioni:
1. a → più estesa, dove le strofe (terzine) hanno un’identica intonazione
2. b → seconda sezione costituita da un ritornello, contrastante alla prima parte.

La caccia è un tipo speciale di madrigale che usa l’artifizio contrappuntistico del canone (il
brano è così denominato perché una voce “caccia” l’altra). È un genere di composizione in cui
le immagini verbali vengono tradotte ed enfatizzate dall’intonazione musicale.
L’applicazione del canone avviene nelle due voci superiori, la terza voce funge da sostegno
armonico, rendendo con grande efficacia realistica le scene di caccia, di pesca, di gioco, di
mercato, descritte dal testo poetico. La struttura poetica della caccia di solito alterna versi
sciolti a versi a rima baciata.
I primi esempi di cacce vengono fatti risalire al 1340 circa, presso le corti di Padova e Verona e
fu un certo Maestro Piero a fare il primo modello.

NON AL SUO AMANTE (JACOPO DA BOLOGNA)


In questo testo abbiamo una raffinatezza del testo e della musica. È un madrigale:
- Di tipo strofico, formato da terzine di endecasillabi, seguiti in conclusione da una
coppia finale di versi;
- La musica viene attribuita logicamente, e abbiamo due sezioni musicali diverse: A, per
intonare le terzine, B per la coppia di versi.
È una composizione su testo di Petrarca → Petrarca narra di una sua esperienza, facendo
riferimento al mito di Diana e Atteone. Questo mito vede come protagonisti un giovane
cacciatore (Atteone), il quale sapeva che la dea Diana era solita andare con le sue ancelle in
una fonte dove si bagnavano (e quindi erano poco vestite), dunque decide di seguirle per
spiarle. Diana si accorge di questo cacciatore che le guarda e allora decide di punirlo
trasformando la sua testa in quella di un cervo e non contenta, aizza i suoi cani contro di lui,
vendicandosi. Questo testo paragona l’esperienza di Petrarca che si imbattè in una pastorella
che lo fece innamorare.
Il passaggio dalla sezione A alla sezione B è spesso messo in evidenza dai compositori con il
cambio mensuarale, ovvero se la parte A era ritmo binario, la parte B sarà in ritmo ternario.
La polifonia è a 2 voci con due registri distanziati: un registro medio di contralto o soprano e
un registro di tenore. I melismi sono riservati all’inizio e alla fine del verso.

LA BALLATA
Solo intorno al 1360-1365 corca si cominciano a scrivere ballate polifoniche non associate al
costume della danza. In origine la ballata monodica di piglio popolaresco era stata intesa quale
canto che accompagnava il “ballo in tondo” e l’elemento suo tipico era l’alternarsi del solista
con il coro.
I testi della ballata trecentesca sono di argomento amoroso e sono spesso ricolti direttamente
alla donna a cui sono destinati (l’amore idealizzato per la donna divenne il passatempo
coltivato per eccellenza nella ricca borghesia cittadina).
Nella seconda metà del secolo la ballata si raffina sempre di più e costituisce l’espressione
musicale più intensamente coltivata in ambito fiorentino: oltre la metà delle composizioni
polifoniche pervenuteci nei codici dell’ars nova sono infatti ballate.
Per quanto riguarda la forma poetica, la ballata è composta da:
• Una RIPRESA con un numero di versi da quattro a uno, spesso di due);
• Una STANZA (strofa), costituita da due PIEDI, ciascuno formato di un numero di versi
non maggiore di quello della ripresa;
• Una VOLTA con un numero di versi identico alla ripresa.

La struttura musicale segue direttamente, come nel virelai, la disposizione del testo poetico ed
è costituita da due sezioni (A B) che seguono lo schema A (ripresa) bb (piedi) a (volta) A
(ripresa).

Fu soprattutto con il fiorentino Francesco Landini, autore di 139 ballate a due-tre voci, che la
ballata polifonica raggiunse il più elevato grado di raffinatezza melodica ed espressiva.
Col Superius (la parte vocale più acuta) marcatamente melodico e le morbide sonorità
francesi, le ballate di Landini rappresentano un nuovo equilibrio tra tecnica polifonica e le
creazioni musicali dell’umanesimo rinascimentale.
L’ARS NOVA IN FRANCIA
Nella trattazione del Trecento Italiano si è fatto cenno ai rapporti intercorsi con la tradizione musicale
francese. La forte predilezione dell’arte polifonica francese per le tecniche e i procedimenti costruttivi
razionalizzanti si accentua grandemente nel corso del XIV secolo. L’enfasi sul concetto di dare un
ordine matematico alla musica in quanto affermazione della natura “continua” del tempo ha di certo
influito sulla nuova concezione delle tecniche compositive dei francesi.
L’artifizio compositivo che determina razionalmente la struttura generale del pezzo e che fu impiegato
nei mottetti e nei singoli movimenti della messa, è denominato ISORITMIA (=corrispondenza ritmica).
Il termine viene introdotto dal musicologo Friedrich Ludwig nel 1904 per indicare l’organizzazione
architettonica di formule rimiche e melodiche che ricorrenti che caratterizzano la musica francese
dell’epoca.
Alla base di questo procedimento ritmico sta la concezione di una data melodia (tenor su cui si
costruisce il brano) come combinazione di due distinti elementi:
• Elemento ritmico → TALEA, che veniva ripetuto senza tener conto della melodia;
• Elemento melodico → COLOR, inteso come successione di intervalli, che non doveva mantenere
un specifico profilo ritmico.
L’aspetto significativo dell’isoritmia è che le ripetizioni delle taleae e dei colores erano considerate
come entità o unità indipendenti l’una dall’altra e venivano pertanto costruite in maniera che i due
schemi non dovessero coincidere in lunghezza.
Il principio della costruzione isoritmica era di norma applicato al tenor (scritto a valori più lunghi
rispetto alle altre voci), ma poteva essere esteso al CONTROTENOR (parte che serviva di complemento
armonico al tenor) e più raramente alle voci superiori. Ciascuna parte era scritta con una notazione
ritmica diversa. Talvolta (in specie verso la chiusura del brano) la ripetizione della talea poteva
avvenire con valori diminuiti.
È da osservare che i procedimenti isoritmici non venivano concepiti dal compositore per essere
percepiti dall’ascoltatore → “sono oggetto più della vista che dell’udito” (come scriveva Johannes
Boen). Si tratta dunque di un tipo di complessità formale che appagava i gusti dell’intenditore
sofisticato, il quale poteva apprezzare e calcolare sulla pagina scritta le esattezze e le corrispondenze
strutturali di una determinata composizione musicale. È anche per questo motivo che il mottetto
dell’ars nova si rivolge sempre meno spesso all’ambiente ecclesiastico, ma soddisfa i gusti raffinati
degli ambienti di corte e della nobiltà feudale, diventando la forma tipica destinata ad avvenimenti
politici e celebrativi.
La Chiesa aveva, del resto, dichiarato la sua avversione verso i nuovi orientamenti musicale già nel
1325 con la bolla Docta santorum emanata dal papa Giovanni XXII, in cui si proibiva l’introduzione nel
servizio divino delle forme polifoniche tecnicamente complesse.
Accanto al cambiamento avvenuto nella sua destinazione sociale, il mottetto subisce anche
trasformazioni nel rapporto testo-musica: se prima i testi delle voci superiori commentavano il testo
del tenor e preesistevano alla musica, la tendenza ora era di utilizzare un unico testo per tutte le parti.
Egidius de Murino nel trattato De motetis componendis, suggerisce al compositore di:
1. scegliere la melodia del tenor che concorsi con la struttura della poesia (già composta);
2. comporre le parti superiori;
3. adattare a queste la poesia.
Dato il carattere solenne e celebrativo che sempre più assume il mottetto., si tende a sostituire i testi in
lingua francese con testi in lingua latina, che si ritenevano più adatti alle celebrazioni ufficiali.
Un ulteriore conseguenza del cambiamento nella funzione del mottetto riguarda il numero esiguo di
composizioni scritte in questo genere del trecento rispetto al più ampio repertorio del XIII secolo.
Abbiamo in tutto una 70ina di brani inseriti in due codici:
- Il manoscritto della Biblioteca Capitolare di Ivrea, contenente 36 mottetti;
- Il codice del Musee Condé di Chantilly che include 13 mottetti.
I brani contenuti in questi due codici riflettono i gusti del repertorio polifonico praticato nella Francia
meridionale e in particolare ad Avignone (sede papale dal 1305 al 1378). Ad Avignone a partire dalla
metà del XIV secolo, nonostante la bolla Docta santorum, si irradia la composizione polifonica,
soprattutto in alcune parti della messa, secondo il procedimento isoritmico, proprio mentre il mottetto
si allontanava dall’interesse liturgico.

PHILIPPE DE VITRY (1291-1361)


Teorico musicale e caposcuola degli orientamenti musicali del mottetto, fu il primo ad adottare il
procedimento isoritmico nei suoi 14 mottetti, di cui 9 nel codice di Ivrea.
L’enfasi sulle formule ritmiche anche proporzionali e complesse, caratterizza la tecnica isoritmica di
Vitry.
Garrit Gallus → la struttura di questo mottetto è palindroma.
Il tenor di questo mottetto è chiamato Neuma quinti toni, ed è caratterizzato da un color (melodia
originaria) formato da 36 note. Per “terminare” le 36 note del color, la talea va ripetuta 3 volte.
Il color viene poi ripetuto per intero. Quindi, concludendo, la struttura formale del Garrit Gallus è
costituita da un color ripetuto 2 volte (AB) e da una tale ripetuta 3 volte (I,II,III) per ogni color.

GUILLAUME DE MACHAUT (1300-1377)


Le vicende della vita e della carriera artistica del maggiore esponente dell’ars nova francese
rispecchiano il carattere segnatamente secolare dell’arte musicale dell’epoca.
La carriera di Machaut si svolse prevalentemente negli ambienti di corte.
La produzione musicale riguarda prevalentemente i generi profani. La maggior parte dei testi dei suoi
23 mottetti sono di argomento cortese: 15 sono scritti su testi in lingua francese, 2 sono politestuali,
mentre dei 5 restati solo due sono destinati al contesto liturgico. Gli ultimi 3 mottetti a quattro voci (gli
altri sono a 3 voci) riprendono il momento solenne e occasionale, con riferimenti e appelli alla pace
(siamo nel periodo della Guerra dei Cent’anni).
Per quanto riguarda l’isoritmia (applicata in 20 dei 23 mottetti) Machaut si ricollega ai modelli definiti
da Vitry, introducendoci però ulteriori complessità tecniche: asimmetrie ritmiche, valori diminuiti
nella ripetizione della talea, estensione del procedimento isoritmico al controtenor e alle voci
superiori, estese sincopature.
Seguendo la tendenza dell’epoca di applicare alle parti di Messa i nuoci mezzi espressivi e costruttivi
del mottetto, Machaut raggiunge nella Messe de Notre Dame a quattro voci, tratti di bellezza e perizia
compositiva. Nei se movimenti della Messa vengono adoperate disparate tecniche compositive:
- Kyrie, Sanctus, Angus Dei, Ite missa est seguono la costruzione isoritmica, utilizzando nel tenor
melodie liturgiche;
- Gloria e Credo sono invece scritti prevalentemente in stile sillabico omoritmico.
Il nucleo più consistente della produzione musicale di machaut è costituito dalle composizioni su testi
lirici nelle forme fisse del virelai, rondeau e ballade, arricchendole di nuove forme espressive
attraverso l’isoritmia. In queste composizioni Machaut mette in opera tutta la sua perizia tecnica e
ricchezza inventiva. Un posto di rilievo viene dato alla voce superiore, riccamente ornata di passi
melismatici, di sincopature e di altre raffinatezze melodiche.
A volte Machaut raggiunge momenti di grande ingnegnosità come nel caso del PROCEDIMENTO
RETROGRADO utilizzato nel rondeau a tre voci Ma fin est mon commencement et mon commencement
ma fin. In questa composizione la voce superiore e il tenor hanno la medesima melodia, esguita però
con procedimento retrogrado dal tenor → va letta dall’ultima nota della cantus alla prima. La melodia
del controtenor segue un procedimento analogo: viene esposta regolarmente nella prima metà del
rondeau ed è poi presentata a ritroso.

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