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La caccia è un tipo speciale di madrigale che usa l’artifizio contrappuntistico del canone (il
brano è così denominato perché una voce “caccia” l’altra). È un genere di composizione in cui
le immagini verbali vengono tradotte ed enfatizzate dall’intonazione musicale.
L’applicazione del canone avviene nelle due voci superiori, la terza voce funge da sostegno
armonico, rendendo con grande efficacia realistica le scene di caccia, di pesca, di gioco, di
mercato, descritte dal testo poetico. La struttura poetica della caccia di solito alterna versi
sciolti a versi a rima baciata.
I primi esempi di cacce vengono fatti risalire al 1340 circa, presso le corti di Padova e Verona e
fu un certo Maestro Piero a fare il primo modello.
LA BALLATA
Solo intorno al 1360-1365 corca si cominciano a scrivere ballate polifoniche non associate al
costume della danza. In origine la ballata monodica di piglio popolaresco era stata intesa quale
canto che accompagnava il “ballo in tondo” e l’elemento suo tipico era l’alternarsi del solista
con il coro.
I testi della ballata trecentesca sono di argomento amoroso e sono spesso ricolti direttamente
alla donna a cui sono destinati (l’amore idealizzato per la donna divenne il passatempo
coltivato per eccellenza nella ricca borghesia cittadina).
Nella seconda metà del secolo la ballata si raffina sempre di più e costituisce l’espressione
musicale più intensamente coltivata in ambito fiorentino: oltre la metà delle composizioni
polifoniche pervenuteci nei codici dell’ars nova sono infatti ballate.
Per quanto riguarda la forma poetica, la ballata è composta da:
• Una RIPRESA con un numero di versi da quattro a uno, spesso di due);
• Una STANZA (strofa), costituita da due PIEDI, ciascuno formato di un numero di versi
non maggiore di quello della ripresa;
• Una VOLTA con un numero di versi identico alla ripresa.
La struttura musicale segue direttamente, come nel virelai, la disposizione del testo poetico ed
è costituita da due sezioni (A B) che seguono lo schema A (ripresa) bb (piedi) a (volta) A
(ripresa).
Fu soprattutto con il fiorentino Francesco Landini, autore di 139 ballate a due-tre voci, che la
ballata polifonica raggiunse il più elevato grado di raffinatezza melodica ed espressiva.
Col Superius (la parte vocale più acuta) marcatamente melodico e le morbide sonorità
francesi, le ballate di Landini rappresentano un nuovo equilibrio tra tecnica polifonica e le
creazioni musicali dell’umanesimo rinascimentale.
L’ARS NOVA IN FRANCIA
Nella trattazione del Trecento Italiano si è fatto cenno ai rapporti intercorsi con la tradizione musicale
francese. La forte predilezione dell’arte polifonica francese per le tecniche e i procedimenti costruttivi
razionalizzanti si accentua grandemente nel corso del XIV secolo. L’enfasi sul concetto di dare un
ordine matematico alla musica in quanto affermazione della natura “continua” del tempo ha di certo
influito sulla nuova concezione delle tecniche compositive dei francesi.
L’artifizio compositivo che determina razionalmente la struttura generale del pezzo e che fu impiegato
nei mottetti e nei singoli movimenti della messa, è denominato ISORITMIA (=corrispondenza ritmica).
Il termine viene introdotto dal musicologo Friedrich Ludwig nel 1904 per indicare l’organizzazione
architettonica di formule rimiche e melodiche che ricorrenti che caratterizzano la musica francese
dell’epoca.
Alla base di questo procedimento ritmico sta la concezione di una data melodia (tenor su cui si
costruisce il brano) come combinazione di due distinti elementi:
• Elemento ritmico → TALEA, che veniva ripetuto senza tener conto della melodia;
• Elemento melodico → COLOR, inteso come successione di intervalli, che non doveva mantenere
un specifico profilo ritmico.
L’aspetto significativo dell’isoritmia è che le ripetizioni delle taleae e dei colores erano considerate
come entità o unità indipendenti l’una dall’altra e venivano pertanto costruite in maniera che i due
schemi non dovessero coincidere in lunghezza.
Il principio della costruzione isoritmica era di norma applicato al tenor (scritto a valori più lunghi
rispetto alle altre voci), ma poteva essere esteso al CONTROTENOR (parte che serviva di complemento
armonico al tenor) e più raramente alle voci superiori. Ciascuna parte era scritta con una notazione
ritmica diversa. Talvolta (in specie verso la chiusura del brano) la ripetizione della talea poteva
avvenire con valori diminuiti.
È da osservare che i procedimenti isoritmici non venivano concepiti dal compositore per essere
percepiti dall’ascoltatore → “sono oggetto più della vista che dell’udito” (come scriveva Johannes
Boen). Si tratta dunque di un tipo di complessità formale che appagava i gusti dell’intenditore
sofisticato, il quale poteva apprezzare e calcolare sulla pagina scritta le esattezze e le corrispondenze
strutturali di una determinata composizione musicale. È anche per questo motivo che il mottetto
dell’ars nova si rivolge sempre meno spesso all’ambiente ecclesiastico, ma soddisfa i gusti raffinati
degli ambienti di corte e della nobiltà feudale, diventando la forma tipica destinata ad avvenimenti
politici e celebrativi.
La Chiesa aveva, del resto, dichiarato la sua avversione verso i nuovi orientamenti musicale già nel
1325 con la bolla Docta santorum emanata dal papa Giovanni XXII, in cui si proibiva l’introduzione nel
servizio divino delle forme polifoniche tecnicamente complesse.
Accanto al cambiamento avvenuto nella sua destinazione sociale, il mottetto subisce anche
trasformazioni nel rapporto testo-musica: se prima i testi delle voci superiori commentavano il testo
del tenor e preesistevano alla musica, la tendenza ora era di utilizzare un unico testo per tutte le parti.
Egidius de Murino nel trattato De motetis componendis, suggerisce al compositore di:
1. scegliere la melodia del tenor che concorsi con la struttura della poesia (già composta);
2. comporre le parti superiori;
3. adattare a queste la poesia.
Dato il carattere solenne e celebrativo che sempre più assume il mottetto., si tende a sostituire i testi in
lingua francese con testi in lingua latina, che si ritenevano più adatti alle celebrazioni ufficiali.
Un ulteriore conseguenza del cambiamento nella funzione del mottetto riguarda il numero esiguo di
composizioni scritte in questo genere del trecento rispetto al più ampio repertorio del XIII secolo.
Abbiamo in tutto una 70ina di brani inseriti in due codici:
- Il manoscritto della Biblioteca Capitolare di Ivrea, contenente 36 mottetti;
- Il codice del Musee Condé di Chantilly che include 13 mottetti.
I brani contenuti in questi due codici riflettono i gusti del repertorio polifonico praticato nella Francia
meridionale e in particolare ad Avignone (sede papale dal 1305 al 1378). Ad Avignone a partire dalla
metà del XIV secolo, nonostante la bolla Docta santorum, si irradia la composizione polifonica,
soprattutto in alcune parti della messa, secondo il procedimento isoritmico, proprio mentre il mottetto
si allontanava dall’interesse liturgico.