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MADRIGALE

(del Trecento, da non confondere con quello del Cinquecento!)

FORMA METRICA: due o tre terzine di endecasillabi aventi lo stesso ordine di rima conclusa da una
coppia di endecasillabi a rima baciata detta ritornello (il ritornello può presentare anche versi settenari
invece che endecasillabi).
INTONAZIONE: la musica è costituita da due sezioni: la sezione A per l’intonazione delle terzine, la
sezione B per l’intonazione del ritornello. Le linee melodiche hanno solitamente un carattere
contrastante (talora anche il metro cambia).
I primi esempi di madrigali polifonici ci sono stati tramandati (anonimi) nel Codice Rossi.
La maggior parte dei madrigali che ci sono pervenuti sono intonati a due voci; talvolta a tre voci.

Il seguente madrigale poetico (tratto dal Canzoniere del Petrarca) viene musicato da Jacopo da Bologna
intorno al 1350.

Non al so amante piú Dïana piacque, A


quando per tal ventura tuta nuda
la vid’in mezo de le gelid’acque,

ch’a mi la pasturela ’lpestra et cruda A


fixa a bagnar el suo candido velo,
ch’al sol e a l’aura el vago capel chiuda;

tal che mi fece, or quando gli arde ’l celo, B


tutto tremar d’un amoroso gelo.

Nel madrigale il soggetto è spesso amorale o amoroso (temi convenzionali dell’amor cortese in àmbito
agreste); non mancano testi che si riferiscono a vicenda biografiche dei signori delle corti settentrionali.
La funzione delle terzine è quella, oggettiva, di riferire un avvenimento o di descrivere una scena,
mentre la funzione del ritornello è quella, soggettiva, di manifestare le riflessioni personali dell’autore o
di fornire una spiegazione del significato del testo precedente. Riflessioni o spiegazioni possono essere
necessarie poiché, oltre a quello letterale, c’è spesso nel madrigale un senso allegorico o metaforico. Le
differenti funzioni delle due sezioni del testo trovano il loro corrispettivo nelle differenti misure
temporali usate nelle due sezioni della musica.
Altri musicisti che intonano madrigali nel Trecento: Giovanni da Cascia; Maestro Piero.
Nota bene: diversamente da quanto avverrà col madrigale del Cinquecento, il moto delle singole parti
vocali si sviluppa con relativa indipendenza di organizzazione rispetto alle immagini evocate dal testo
poetico.

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CACCIA
FORMA METRICA: non segue uno schema regolare poiché si tratta di versi sciolti che si concludono con
un distico in rima baciata. Tale irregolarità metrica contribuisce all’effetto di concitata animazione tipica
della caccia.
INTONAZIONE: il nome ‘caccia’ deriva dall’attività venatoria molto in voga nelle corti del Trecento, che
in musica si realizza con una composizione vocale che utilizza l’artificio contrappuntistico
dell’imitazione a canone (una voce ‘caccia’, ossia insegue, l’altra). Un cantore inizia, il secondo lo
insegue riproponendo la medesima melodia (tecnica già utilizzata in Francia col nome di chace).
Solitamente sono presenti due voci che cantano + tenor strumentale.
Esempio di testo di caccia anonimo musicata da Gherardello: sono presenti onomatopee; l’irregolarità
del verso contribuisce a rendere concitato il dialogo tra i due cacciatori.

Tosto che l’alba del bel giorn’appare


disveglia i cacciator[i]: «Su ch’egli è tempo!»
«Allecta [gl]i can», «Tè, Viuòla», «Tè, Primera!».
Su, alto al monte, con buon cani a mano
e gli bracchett’al piano
e nella piaggia ordine ciascuno
i’ veggio sentire uno
d’i nostri miglior bracchi: «Sta avisato!».
«Bussate d’ogni lato
Ciascun le macchie, ché Quaglina suona!».
«Aiò. Aiò, a te la cerbia vene».
«Carbon l’ha presa ed in bocca le tene!».
Del monte que’ che v’era su gridava:
«All’altra, all’altra», e suo corno sonava.

Spesso nella caccia si utilizza la tecnica dell’hoquetus per rendere l’effetto dei richiami dei cacciatori.
I primi esempi di caccia vengono fatti risalire in Italia al 1340circa negli ambienti di Padova e Verona
(Maestro Piero). La caccia sarà poi coltivata nella seconda metà del Trecento a Firenze da
Gherardello da Firenze e da altri compositori attivi nell’area fiorentina.
I temi trattati sono quelli della caccia, della pesca, scene di gioco e di mercato (ossia tutte quelle
situazioni che prevedono un movimento di personaggi).

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BALLATA
«Si chiamano ballate perché si ballano», si legge in un trattatello anonimo del 1315-20 (che contiene la
descrizione delle forme musicali in uso in Italia all’inizio del secolo XIV: ballate, motetti, cacce,
madrigali, soni); Antonio da Tempo precisa che le ballate si cantano e si danzano. Nel Duecento la
ballata era un canto monodico che accompagnava un ballo in tondo ed era caratterizzata dall’alternanza
tra solista e coro. C’era una ripresa (ritornello) cantata dal solista che dirigeva il ballo e poi ripetuta dal
coro dei danzatori (ecco perché si chiamava ‘ripresa’). Poi venivano le ‘stanze’ (strofe) cantate dal solista
e seguite ciascuna da una ripetizione della ripresa.
Nel Palazzo Pubblico di Siena un particolare del Buono e Cattivo Governo (1339-40) di Ambrogio
Lorenzetti mostra un ‘ballo in tondo’ (nove fanciulle danzano in tondo mentre un’altra suona un
tamburello e canta). Queste erano ballate a una sola voce che sono giunte poiché appartenenti alla
tradizione orale.

Ambrogio Lorenzetti, Allegoria ed Effetti del Buono e del Cattivo Governo, (1338-1339) ciclo di affreschi,
Siena, Palazzo Pubblico, dettaglio.

Restano scarsissimi esempi anche delle ballate intonate a una sola voce da anonimi musicisti operanti
nell’Italia settentrionale durante la prima metà del secolo, e ancora a voce sola sono le poche ballate dei
primi musicisti fiorentini come Lorenzo e Gherardello. La ballata polifonica del Trecento verrà scritta e
non sarà più associata alla danza. Nella seconda metà del Trecento questa diviene l’espressione musicale
più coltivata in àmbito fiorentino. È infatti con Francesco Landini che la ballata non solamente riceve
intonazione polifonica (scritta) a due o più voci, ma diviene anzi il genere tipico della polifonia misurata
con testo volgare della seconda metà del 1300.
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Attenzione a non confondere la ballata italiana del Trecento
con la ballade francese del Trecento!

FORMA POETICA: la forma metrica della ballata è data da

- una ‘ripresa’ (con un numero di versi che va da 1 a 4, di solito sono 2; si dice ‘ballata minore’ se
sono 2, ‘ballata media’ se sono 3, ‘ballata grande’ se sono 4);
- due ‘piedi’ o ‘mutazioni’, cioè due gruppi di versi identici quanto a versi e rime (ciascun ‘piede’
è formato da un numero di versi non maggiore di quello della ‘ripresa’);
- una ‘volta’, con un numero di versi identico alla ripresa, ma non identica nella struttura metrica.
Identità di rima tra ultimo verso della volta e ripresa.
- ‘ripresa’, ecc.

INTONAZIONE: come di norma è composta da due diverse sezioni, la sezione A per intonazione della
ripresa e della volta, la sezione B per l’intonazione dei piedi.

La seguente ballata viene intonata da Francesco Landini (qui la strofa è soltanto una, possono anche
essere più):

Ripresa Ecco la primavera A


(rit.) che ’l cor fa rallegrare;
temp’è d’annamorare
e star con lieta cera.
1° piede No’ vegiam l’aria e ’l tempo B
che pur chiam’allegreça;
2° piede in questo vago tempo B
ogni cosa ha vagheça.
Volta L’erbe con gran frescheça A
e fior’ coprono i prati
e gli albori adornati
sono in simil manera.
Ripresa Ecco la primavera A
che ’l cor fa rallegrare;
temp’è d’annamorare
e star con lieta cera.

I testi della ballata trecentesca sono quasi tutti di argomento amoroso spesso rivolti direttamente alla
dama cui sono destinati (utilizzo di stilemi tipici dell’amor cortese quali il senhal, figura retorica tratta
dalla poesia dei trovatori atta a indicare i nomi fittizi usati dai poeti italiani, ad esempio L’aura per
indicare il nome di Laura, o S’andrà per quello di Sandra). L’ambientazione descritta è sovente quella
primaverile. Altre ballate toccano temi come la vecchiaia o la sorte, altre ancora sono di argomento
moraleggiante.

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Le intonazioni erano solitamente a due o tre voci: quando a tre voci, la voce eseguiva la parte superiore
e gli strumenti le due parti inferiori oppure due voci le due parti superiori e lo strumento quella
inferiore. Questa disponibilità delle voci sia ad una sonorità vocale sia ad una sonorità strumentale era
considerata una caratteristica delle intonazioni di Landini, il quale secondo lo storico fiorentino Filippo
Villani sapeva combinare così bene voci e strumenti da sembrare «aver inventato quasi una terza specie
di musica di ingenua giocondità». Fu infatti con Francesco Landini, autore di 140 ballate a 2 e 3 voci,
che la ballata polifonica raggiunse il più elevato grado di raffinatezza melodica ed espressiva.

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