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L’OPERA IN GRAN BRETAGNA

Il nuovo stile recitativo, nato in Italia sul finire del Cinquecento, si diffuse gradualmente in G.B.,
conquistando prima di tutto la musica di scena, in particolare il MASQUE. Il Masque era uno
spettacolo di corte, composto di danza, musica, dramma, diffuso soprattutto nella prima metà del
XVII secolo, al tempo degli Stuart. Le sue origini risalgono probabilmente alla fine del XIV secolo,
il suo sviluppo è da porre in relazione con lo sviluppo di analoghe forme diffuse in Italia – trionfi,
mascherate ( da cui deriva il termine M. ), canti carnascialeschi, intermedii -, le fonti inglesi,
infatti, testimoniano l’influenza italiana esercitata, in questo genere di spettacoli, dalla presenza in
G.B. di musicisti, artisti e artigiani italiani.
Affine per funzione sociale al Ballet de Cour francese, il M. non aveva una forma codificata,
tuttavia il più delle volte comprendeva tre danze di scena – entry (entrata), main dance(danza
principale), going off (uscita) – affidate a un gruppo di nobili dilettanti, i masquers abbigliati con
sontuosi costumi e mascherati. Le danze erano logicamente collegate dallo svolgimento drammatico
di un tema allegorico-mitologico che permetteva l’inserimento di dialoghi, songs ( canti affidati a
professionisti) e cori. Alla fine del M. seguivano i Revels (festeggiamenti) e il taking out : gli attori
invitavano gli spettatori a unirsi a loro in una serie di danze di società. La musica serviva come
introduzione, interludio, accompagnamento alle danze e alle parti cantate. A partire dal 1605 e per
35 anni, Inigo Jones, dopo un soggiorno italiano, curò l’allestimento e la scenografia di numerosi
M., introducendo le novità proprie della tradizione teatrale italiana: scena mobile e cambio a vista.
Il primo M. curato da Jones fu The M. of Blacknesse, scritto da Ben Jonson. Fu proprio il genio
letterario di autori come Jonson e Milton a fare del M. una forma artistica matura. Jonson introdusse
ben presto elementi comici e grotteschi affidati prevalentemente a danzatori professionisti >
antimasquers( es. The M. of Queenes 1609 ) Col passar del tempo gli antimasquers aumentarono di
numero, compromettendo l’unità drammatica del M., e, similmente al Ballet de Cour, il M. divenne
una serie di quadri danzati > ballet a entrées.
Il primo esempio di recitativo si trova nel M. di Ben Jonson Lovers made men (1617), musicato da
Nicholas Lanier. Intorno alla metà del Seicento la monodia pervade il M., ma i compositori inglesi
non sempre riescono a cogliere l’essenza dello stile recitativo – intensificazione affettiva della
parola – e così sono più inclini a privilegiare il fattore ritmico rispetto a quello melodico, perdendo
pathos e flessibilità.
Negli anni ’40 il M. era in una fase di declino, accentuata dalla difficile situazione politica (guerra
civile 1642, puritanesimo ). Con la restaurazione – 1660 – e il ritorno dall’esilio di Carlo II, si
diffusero i modelli della musica italiana e francese, bisogna ricordare tuttavia che già nel 1656 era
stata rappresentata The siege of Rodhes, con musica di Locke e altri quattro compositori, che può
essere considerata la prima opera inglese.
Carlo II, amante dell’opera francese avrebbe voluto chiamare alla sua corte Lully, ma dovette
accontentarsi di Cambert che giunse a Londra nel 1673. La musica da evento privato divenne
istituzione sociale con la nascita del concerto pubblico. Nel 1683 la “Musical Society” iniziò a
celebrare solennemente la festa di S. Cecilia, per la quale successivamente i poeti Congreve e
Dryden composero odi musicate da Purcell, Haendel e altri.

HENRY PURCELL (1659-1695)


P. è il compositore che porta a compimento le tendenze del Seicento inglese, rivelandosi come il
massimo genio musicale del tempo.
Nel 1682 era organista alla corte di Carlo II, passò quindi alla King’s Private Music di Giacomo II.
Compose musica sacra, odi, “english operas” (vale a dire musica di scena), musica strumentale e
una sola opera Dido and Aeneas (1689).
Nella musica sacra adottò spesso tecniche contrappuntistiche, mescolando procedimenti arcaici
con elementi più moderni.
Le odi e i Welcome songs ( cantate profane), composti per occasioni di corte e per il giorno di S.
Cecilia, si configurano come cantate per soli, coro e orchestra (archi+trombe, flauti a becco, oboi ).
Nella scrittura orchestrale segue il modello lulliano a cinque parti.
Alla musica drammatica appartengono Masque e english operas - musiche di scena - tra cui
adattamenti da lavori shakespeariani quali Timone d’Atene, The Fairy Queen, The Tempest; i
lavori più maturi prevedono spesso imponenti recitativi, lunghe arie con orchestra, cori; si nota
l’influenza francese, soprattutto nello stile dell’ouverture. ma anche quella dello stile italiano
nell’uso dell’aria con da capo.
Nella musica strumentale sono notevoli soprattutto le Sonate a tre ispirate ai maestri italiani.
Dido and Aeneas è l’unica composizione di P. che possa formalmente definirsi opera, la musica
in essa non è, infatti, elemento decorativo come nel Masque, ma è il solo elemento espressivo
attraverso cui si realizza il dramma.
Scritta per un collegio femminile ( la corte si identificava ancora con il Masque, mentre la
borghesia prediligeva gli spettacoli teatrali parlati ), non ebbe altre rappresentazioni durante la vita
dell’autore. Il libretto di Nahum Tate ha una notevole dignità letteraria con richiami, citazioni e
parafrasi della fonte: l’Eneide virgiliana. Rispetto a quest’ultima tuttavia si deve segnalare la
presenza dell’elemento fiabesco e magico che indulge al gusto del tempo e porta a sostituire la
volontà degli dei con il sortilegio delle streghe, assecondando un gusto tutto inglese o nordico per il
demoniaco e il fantastico. Un’altra fondamentale differenza consiste nel perdono di Didone morente
ad Enea, mentre in Virgilio la regina di Cartagine maledice l’eroe.
Nella partitura P. fonde caratteristiche propriamente inglesi, quali il gusto per l’armonia
dissonante e la cantabilità popolare di alcune arie, francesi, lo stile dell’ouvertutre e il ritmo
puntato delle scene decorative, italiane, queste ultime talmente evidenti da qualificare l’opera
come “italiana”. L’intensa espressività del recitativo accompagnato discende da Monteverdi,
le arie-lamento riprendono il modello fissato da Cavalli e Cesti, la grande varietà formale dei
pezzi chiusi e la flessibilità del recitativo richiamano i capolavori del Barocco italiano.
Il coro arricchisce numerose scene.
Per quanto riguarda i personaggi Enea non ha pezzi chiusi ed è caratterizzato da recitativi molto
espressivi, mentre Didone, centro propulsore di tutta l’opera trova la sua più completa definizione
nelle due arie lamento che non solo individuano, come di consueto l’affetto, ma giungono a svelare
la psicologia del personaggio.
BALLAD OPERA
Dopo la morte di Purcell, il tentativo di creare un’opera nazionale non ebbe alcun seguito in G.B.,
l’opera italiana pertanto trionfò incontrastata per i primi trenta anni del sec. XVIII. A partire dal
1728, anno in cui fu rappresentata The Beggar’s Opera (L’opera del mendicante ispirata ad un
poema pastorale scozzese The gentle shepherd di Allan Ramsay) di John Gay con arrangiamenti
musicali di Pepusch ( Ouverture e armonizzazioni di alcune canzoni popolari), si affermò un nuovo
genere teatrale comico, composto di canto e recitazione, noto come Ballad Opera. Le parti musicali
non erano originali, ma proponevano riadattamenti di canzoni popolari (ballads) o, a volte, melodie
di autori famosi - come, ad esempio, Handel - note per la loro bellezza. Sino al 1740 la B.O. ebbe
una grande popolarità, furono composti circa 48 opere del genere e in esse si vide l’alternativa
nazionale all’opera italiana: la semplicità della musica si opponeva allo stile dell’opera seria, gli
argomenti contemporanei ai soggetti storici e irreali, la lingua nazionale ad una lingua straniera. A
metà del sec. XVIII la produzione di vere e proprie B.O. terminò, in quanto si cominciò ad
inventare la musica appositamente per questo tipo di spettacolo. La B.O. influenzò il Singspiel
tedesco.

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