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XX TESI

Il melodramma nazionale in Francia da Lulli a Rameau fino ai nostri giorni; in


Germania da Schütz sino a Mozart; in Inghilterra.

L’OPERA IN FRANCIA NEL SEICENTO

Prima di Lulli:

Premesse culturali e storiche all’opera nazionale francese

L’opera italiana del sei-settecento ebbe risonanza e diffusione europee e influì in modi
differenti sulla nascita e la crescita d’altre forme scenico-musicali.
Solo in Francia si affermò un tipo di teatro musicale che aveva caratteri originali rispetto ai
nostrani.
Nell’opera italiana la vocalità ere l’elemento dominante mentre l’opera francese raggiunse
un maggior equilibrio tra le diverse componenti lo spettacolo, il ballo e la coreografia che
occuparono un posto di grande importanza, poiché la matrice dell’opera francese era negli
spettacoli di ballo rinascimentale e nei brani solistici, la musica non prevaricava la poesia.
Al contrario della musica cantata italiana, i francesi professavano che l’espressione dei
sentimenti non doveva essere enfatica e la vocalità doveva soddisfare sia la ragione, sia i
sensi, apparendo equilibrata e naturale.
La pace religiosa tra cattolici ed ugonotti firmata nel 1598 da Enrico IV con l’editto di
Nantes, rafforzò la monarchia portando all’assolutismo dei suoi successori e discendenti.
Due personalità di spicco ebbero in questo periodo molta importanza nella storia della
Francia e la loro autorità abbracciò tutti gli affari di governo, compresa la cultura e lo
spettacolo: il duca e cardinale Armand-Jean Richelieu (1585-1642) che fu primo ministro
di Luigi XIII fino alla morte e al quale si attribuisce il merito di aver fondato l’Accademia
di Francia, ed il suo allievo e successore il cardinale Giulio Mazzarino italiano abruzzese
(1602-1661), durante gli anni difficili della reggenza di Anna d’Austria.
Costoro sostennero l’inclinazione dei regnanti per la musica e lo spettacolo e, infatti, sia
Luigi XIII sia Luigi XIV erano appassionati ballerini.
La grande attenzione che l’opera ottenne dai reggenti e la nobiltà, si spiega col fatto che era
la più fastosa e solenne manifestazione di spettacolo globale, rispecchiando quelle che
erano le direttive culturali e politiche del tempo e avendo un rilevante ruolo di strumento
politico.

Premesse teatrali all’opera nazionale francese. Il “ballet de cour”

Il teatro in musica in Italia era essenzialmente l’opera cantata; in Francia, invece,


primeggiava il ballo teatrale detto “ballet de cour”.
Esso aveva avuto origine in Italia all’inizio del secolo XV e i suoi fondamenti tecnici erano
stati messi a punto da Domenico da Piacenza.
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Bergonzo Botta è colui al quale si attribuisce l’idea del primo ballo come rappresentazione
di spettacolo di corte chiamato “Amor coniugale” in occasione del matrimonio tra
Galeazzo Sforza e Isabella d’Aragona nel 1489 e furono dei coreografi e ballerini italiani
all’inizio del XVI secolo a portare le esperienze italiane in Francia, soprattutto con
Baldassarino da Belgioioso che creò il balletto francese con la rappresentazione chiamata
“Ballet comique de la reyne” nel 1581. Al « ballet comique de la reyne », essendo un’opera
collettiva, collaborarono, oltre alla direzione del Belgioioso, un poeta, un pittore, due
compositori: uno per gli strumenti ed uno per le parti vocali. Esso era preceduto da una
Ouverture e terminava con un “gran ballet” di quaranta coreografie. La parte tra
l’ouverture iniziale ed il “gran ballet” finale comprendeva: airs de cour (cioè brani solistici
o corali – vedi avanti), recitativi, danze.
L’aggettivo nel titolo non allude ad una vicenda comica, ma semplicemente al fatto che
essa ha una conclusione felice.
Agli inizi del XVII secolo questa forma diede origine ad altri tipi di balli teatrali: il “ballet-
mascarade”, il “ballet mélodrammatique” ed il “ballet à entrées” che dopo il 1620
soppiantò le forme che avevano avuto fortuna in precedenza, anticipando di quasi un
secolo l’“opéra-ballet” e rinunciando alle vicende drammatiche, poiché rivolto alle
allegorie, alle moralità, ad episodi mitologici, buffi, politici.
Ritrovò la sua caratteristica di divertissement teatrale, diventò più drammatico, si avvicinò
all’opera di tipo italiano e da essa derivò l’impianto scenico e le macchine teatrali.
Le rappresentazioni avvenivano in grandi sale, gli spettatori prendevano posto lungo i lati
lunghi, i danzatori erano dei gentiluomini con dei paggi del re tutti mascherati, le dame
erano ammesse solo ai “ballets de la reine”.
Nei “Grands ballets” danzavano i nobili dei due sessi e talvolta anche i reali con la
famiglia, i musicisti erano dei professionisti ed il nucleo principale era composto dai 24
“violons du roi” che possiamo considerare la prima orchestra d’archi in senso moderno.
Il cardinale Richelieu fece rappresentare presso il Palais Cardinal il “BALLET POUR LA
PROSPERITE DES ARME DE FRANCE”, nel 1641, che segnò la separazione fra gli
esecutori ed il pubblico.
Si aprivano così le strade alla creazione della tragedia in musica francese, il cui ideatore e
creatore fu Giovan Battista Lulli.

Premesse musicali all’opera nazionale francese. La monodia vocale: l’ “air de cour”

Le « airs de cour » (arie di corte), segnarono il passaggio della musica profana dalla
polifonia alla monodia. Divenute anche, come sopra ricordato, parte essenziale del ballet
de court, esse erano composizioni corali di stile omofono a quattro voci d’andamento
omoritmico oppure, solistiche per voce e liuto, derivanti da quelle corali.
Quelle solistiche ottennero grande fortuna testimoniata dalle molte raccolte che vennero
stampate tra il 1570 ed il 1620, grazie anche alla grande diffusione del liuto in Francia
come strumento di accompagnamento della voce.
Le poesie degli airs de cour erano improntate allo stile petrarchistico ripetendone le
immagini, le metafore, esprimendo sentimenti amorosi con sorvegliata passione e
metricamente si svolgevano in quartine o sestine di ottonari rimati.

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Il termine “air de cour” designò anche altri tipi di composizioni vocali: “airs sérieux”, “airs
tendres”, “airs à boire”, chansons in forma di danza: “bourrée”, gavotta o minuetto, che
confluirono insieme ad altre forme soprattutto strumentali, nell’opera di Lulli.

La “Tragedie-lyrique” di Lulli

Antecedenti

Tra il 1645 ed il 1662 il cardinale Mazzarino offrì alla corte ed al pubblico parigino
ripetute occasioni per conoscere ed apprezzare l’opera italiana, ma i francesi, a differenza
di altre capitali europee, non adottarono il modello italiano d’opera musicale anche se gli
sforzi del Primo Ministro (Mazzarino) produssero, comunque, un risultato positivo, perché
stimolarono poeti e compositori francesi alla creazione di un teatro musicale francese.
Il primo tentativo per la creazione di un teatro musicale francese fu compiuto dall’abate
Pierre Perrin librettista e Robert Cambert compositore che, nel 1659, misero in scena la
“Pastorale d’Issy”, in cui si mescolavano elementi italiani e francesi.
I circoli sensibili mostrarono gran favore alla crescita della cultura musicale nazionale e,
pertanto, il ministro Colbert, ottenne nel 1669 a favore dell’abate Perrin il privilegio reale
di esclusiva per la rappresentazione di opere in musica in Francia. Frutto di tale atto fu
“Pomone”, la prima vera opera francese, composta da Cambert su libretto di Perrin nel
1671, anche se la vera data di nascita dell’opera francese è da considerarsi il 1672.
Trovandosi in difficoltà economiche, Perrin finì in carcere, e Lulli approfittando, rilevò il
brevetto regio facendosi rilasciare da Luigi XIV una nuova patente che gli riconosceva
l’esclusiva di rappresentare opere in musica in tutta la Francia per se ed i suoi eredi, e ad
organizzare l’Accademie royale de musique et danse (la futura Opèra), organismo preposto
a far rappresentare e cantare opere pubbliche ed esecuzioni in musica in versi francesi,
divenendo così il sovrano assoluto della musica in Francia.
Erano queste le premesse della nascita dell’opera in musica francese comunemente
indicata col nome di Tragèdie-lyrique.

Giovan Battista Lulli 1632-1687 (Jean Baptiste Lully)

La vita

Nato a Firenze nel 1632, all’età di quattordici anni fu condotto a Parigi e assegnato come
valletto di camera ad una delle principesse reali e, nei sei anni trascorsi al suo servizio, si
fece apprezzare per la vivacità dello spirito e le doti spontanee di violinista e di ballerino;
poté, inoltre, coltivare e perfezionare le inclinazioni musicali studiando con Michael
Lambert e con Roberday ed altri.
A venti anni passò al servizio del giovane re Luigi XIV il quale, apprezzandolo e
stimandolo, lo insignì dell’organizzazione della musica e degli spettacoli di corte in tutta la
Francia.

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Nel 1653, fu nominato compositore della musica di corte partecipando anche in qualità di
ballerino ed imponendosi come compositore di balletti e, nel 1661, divenne compositore
della camera del re.
Costituì, inoltre, un complesso più agile ed efficiente le “Petite bande des 16 violons du
roi” e la sua attività fu assorbita principalmente dalle composizioni sacre e dalla creazione
di spettacoli per la corte, per i quali lavorò in collaborazione con i maggiori ingegni della
poesia e del teatro francese.
L’ultimo quindicennio della sua carriera fu, comunque, dominato dalla definizione e dalla
messa a punto del suo modello di opera in musica francese: la Tragèdie-lyrique.
Nel gennaio del 1687, dirigendo un Te Deum di ringraziamento per la guarigione del re,
mentre batteva il tempo si ferì un piede col bastone di direttore, sopravvenuta la cancrena,
morì due mesi dopo.

L’opera

La produzione artistica di Lulli si svolse attraverso un terzo di secolo, ma impose forme e


stili che influirono sulla musica scenica francese per circa un secolo, fino agli intervanti di
Gluck.
Il primo ventennio della sua attività creativa fu occupato dalla composizione di 31 ballets,
molti su trame dettate da J. De Benserade, e 14 comèdies-ballets, frutto della
collaborazione con Moliere.
Lulli innovò gradualmente la tradizione del ballet de cour lasciando più spazio al canto e
alla parola sotto l’influsso italiano, i balli erano con coreografie che corrispondevano a
quelle delle danze in voga, così accanto alle correnti e alle gagliarde, vi furono: passapied,
rigaudon, bourree, la gavotta e, soprattutto, il minuetto.
Fu il grande comico e commediografo Jean Baptiste Poquelin detto Molière (1622-1673) a
proporre il genere inedito della comèdie-ballet, nella quale le scene e i dialoghi parlati
erano resi più vari dall’inserimento di balletti; la collaborazione di Lulli con Molière diede
luogo a spettacoli stimolanti.
Lulli raggiunse il culmine dell’esperienza creativa con le 13 tragèdies- lyrique composte
tra il 1673 ed il 1686, tra le quali emergono: “Alceste” 1674; “Isis” !677; “Psyche” 1678;
“Amadis” 1684; “Roland”1685.
La tragedia lirica lulliana ebbe molteplici influssi dal teatro tragico in poesia di Pierre
Corneille (1606-1684) e di Jean Racine (1639-1699) e il poeta Philippe Quinault (1635-
1688), il più diretto collaboratore di Lulli e autore di 11 libretti su 13 opere del Lulli. Egli
si richiamò proprio all’esempio dei due grandi tragici francesi contemporanei citati, sia per
le scelte dei soggetti sia per gli aspetti formali, quali la suddivisione in 5 atti e la
versificazione basata sul verso alessandrino.
Tra le tragedie liriche di Lulli e le contemporanee opere veneziane le differenze erano
notevoli, ed era soprattutto la musica che le sottolineava:
- la distinzione tra i recitativi e le arie delle opere lulliane era sicuramente meno netta di
quella delle opere dei compositori italiani, il passaggio non è sempre evidente, perché
entrambi attuavano il procedimento sillabico, ed erano guidati da un elevato tono di
declamazione cantata tipica della versificazione classica francese;

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- un altro elemento di differenziazione è la cospicua presenza nelle tragèdies-lyrique dei
cori e delle danze, i cori erano presenti in tutti gli atti, specie nelle conclusioni svolte su
moduli ritmico armonici di ampie ciaccone;
- l’orchestra di Lulli era ampia e ricca, omogenea e varia di quella impiegata nelle opere
veneziane, essa si basava su un nutrito gruppo di archi alla quale si aggiungevano anche i
fiati, la scrittura orchestrale era a 5 parti;
- oltre ad accompagnare tutte le parti cantate ed i balli, all’inizio dello spettacolo
l’orchestra suonava una ouverture, in seguito detta alla Lulli e che, da lui definita, adottata
anche fuori dalla Francia durante la prima metà del successivo secolo. Essa iniziava con un
Adagio o Lento maestoso ed incisivo con ritmo puntato e una cadenza sulla dominante lo
separava dal successivo Allegro fugato, più esteso. Più avanti nel tempo, si affermò
l’usanza di riprendere, nella coda conclusiva dell’allegro, l’andamento lento iniziale.
Lulli compose anche una ventina di mottetti, salmi e inni per il servizio religioso della
cappella reale nei quali individuiamo la sua padronanza della polifonia e la sua statura
musicale.
Con queste opere Lulli s’innalza al livello dei maggiori compositori francesi di musica
sacra suoi contemporanei come Charpentier e De Lalande.

La personalità

Lulli ebbe dai contemporanei francesi il titolo di “principe della musica” e come tale, al
servizio del monarca assolutista, trasse dall’esercizio della sua professione, ricchezze e
potere come nessun altro musicista avesse mai raccolto.
Tale fama va al di là della sua produzione musicale ed egli la deve soprattutto al fatto di
essere stato il creatore dell’opera francese barocca e di averla portata al punto più alto della
sua parabola, dal momento che le sue tragèdies-lyriques, tennero il cartellone per oltre un
secolo fino alla vigilia della rivoluzione.
Il suo successo risiede nel fatto di aver risposto alle attese di uno spettacolo musicale
accetto alla società francese dei regni di Luigi XIV, XV, XVI, realizzandole con gusto.
Il primo traguardo che egli si pose fu di creare l’equivalente in musica della tragedia in
versi, di rispettare l’unità e l’intreccio, la dignità dei contenuti, la proprietà della lingua, ma
l’opera doveva essere anche spettacolo e non poteva limitarsi, come la tragedia, a
raccontare per mezzo solo dei versi e dei dialoghi, poiché quest’ultimo era il compito del
canto e della danza nonché della messinscena.

L’OPERA IN FRANCIA NEL SETTECENTO (DOPO LULLI)

L’opéra-ballet

Dopo la morte di Lulli si spezzò l’equilibrio tra poesia, musica e danza che aveva conferito
unità e compattezza alla tragèdie-lyrique e si affermò un genere nuovo di teatro musicale:

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l’opèra-ballet, in cui prevalgono le danze e le arie cantate e fu smembrata l’unità di azione
che era osservata nella tragèdie-lyrique.
Ogni atto quindi si configurava come una piccola opera indipendente e furono trascurati gli
argomenti mitologici ed eroici recuperando quelli pastorali.
La poetica dell’Arcadia italiana aveva influenzato anche la cultura artistica francese, tanto
che nei brani cantati aveva acquistato valore di modello lo stile operistico italiano al quale
Lulli aveva sbarrato la strada.
Tra il 1697 ed il 1735, l’opèra-ballet contese alla tragèdie-lyrique i favori del pubblico
francese. I cultori principali dell’opèra-ballet furono: Andrè Campra (1660-1744) che si era
sforzato di mescolare alla delicatezza della musica francese la vivacità della musica
italiana; ed Andrè Destouches (1672-1749) che fu tra i primi musicisti francesi ad
impiegare con frequenza l’aria con il DA CAPO, estranea alla tradizione francese.

Jean-Philippe Rameau (1689-1764) – Lullisti e Ramisti

Jean-Philippe Rameau (1689-1764) è il più illustre operista francese del Settecento e


scrisse la sua prima opera teatrale intorno ai suoi cinquant’anni.
Figlio di un organista, viaggiò in varie città della Francia lavorando come docente ed
organista. In questo periodo compose la maggior parte delle sue musiche per clavicembalo
ed elaborò il “Trattato dell’armonia ricondotta ai suoi principi naturali” che pubblicò nel
1772, in cui conferma i principi zarliniani e perfeziona la concezione della teoria armonica.
Nel 1723 incontra a Parigi un appassionato compositore dilettante La Pouplinière che
diventò uno dei suoi migliori ammiratori. Costui gli affidò la direzione della sua orchestra
privata che si esibiva in una sua fastosa villa, lo aiutò e lo protesse e sembra lo persuase a
cimentarsi con l’opera.
La produzione teatrale di Rameau comprende 26 opere, i lavori più significativi risalgono
ai suoi primi anni di impegno operistico: “Castor et Pollux” (1737), “Dardanus” (1739),
“Les Indes galantes” (1739).
Il successo all’inizio fu contrastato dagli ammiratori di Lulli, che lo accusavano di essersi
allontanato dal modello teatrale ideato dal fiorentino, originando la famosa querelle tra i
lullisti ed i ramisti, soppiantata in seguito dalla “querelle des bouffons” nata dopo la
rappresentazione della “Serva padrona” di Pergolesi (1752-54).
A suggello della gloria acquistata, nel 1745 il re Luigi XV lo nominò compositore della
musica della camera del re e, nel 1764 prima di morire, gli furono conferite le patenti di
nobiltà.
A dispetto delle differenti opinioni dei lullisti, Rameau ci appare l’attento e fedele
continuatore della concezione teatrale imposta dal creatore della tragèdie-lyrique, ne
confermò la severa nobiltà drammatica, e, nella messinscena e nei divertissements danzati,
confermò il gusto per il meraviglioso che il pubblico continuava ad apprezzare.
La sua inclinazione teatrale si realizzò anzitutto, come aveva fatto Lulli, nel canto;
l’aspetto che contrassegnò in modi più originali le opere teatrali di Rameau fu la quantità e
la qualità dei brani strumentali, superiori a quelli dei contemporanei italiani e francesi.
Indicata col termine generico di SYMPHONIE, la musica strumentale delle opere di
Rameau riguardava anzitutto le OUVERTURES introduttive, che egli spesso intese come

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grandiosi affreschi sonori e che in alcuni casi descrivevano eventi naturali; la sua orchestra
ha, inoltre, grande rilievo sia quando accompagna il canto sia nelle danze.

L’opèra-comique

La commedia in musica in quanto forma operistica era sconosciuta nel Seicento, poiché
nacque e si sviluppò nel Settecento in Europa. Non ebbe i caratteri di cosmopolitismo
artistico e sociale dell’opera seria ma, al contrario, sviluppò tratti specificatamente
nazionali sia in Italia che in Francia tanto quanto nei paesi di lingua tedesca, di norma
limitata agli ambiti territoriali di ciascuna lingua.
A differenza dell’opera comica italiana, l’opèra-comique francese non si sviluppò
parallelamente all’opera seria, ma in opposizione ad essa. Essendo, infatti, ancora valido il
privilegio dato da Luigi XIV a Lulli ed all’Accademie royale de musique, quando si
aprirono dei teatri provvisori per le rappresentazioni di commedie o pantomime
inframmezzate da musiche, piovvero denunce e processi sedati con un compromesso: i
teatri periferici ebbero il consenso di introdurre modeste quantità di musica nelle
commedie a fronte del pagamento di una royalty annua all’Opera.
Nel 1715 ebbero, così, via libera il Théâtre de la Foire ed il Nouveau Théâtre Italien che,
senza preoccupazioni musicali, poterono mettere in scena le loro produzioni; nacque così il
genere dell’opèra-comique che si caratterizzò perché alternava sezioni parlate a brani
cantati.
Nei primi decenni le canzoni inserite tra i dialoghi erano semplici motivi del genere
chiamato VAUDEVILLE, mentre più avanti essi furono sostituiti da arie ed ariettes,
composte alcune da musicisti francesi altre, invece, risultanti da adattamenti di arie
originali italiane.
Il primo commediografo che intuì le possibilità artistiche del genere fu CARLES-SIMON
FAVART, produttore di numerosi lavori originali, e anche impresario.
JEAN-JACQUES ROUSSEAU, famoso anche come filosofo, scrisse la più celebre opèra-
comique del periodo chiamata “L’indovino del villaggio” del 1752. Rousseau, prima di
protendere per l’opera comica italiana, aveva composto questo piccolo gioiello di
commedia e di musica francese, con ariettes, arie e piccoli cori in stile vaudeville.
Il successo e le polemiche che scatenarono le rappresentazioni di opere italiane all’Opèra
di Parigi (1752-54/ “La serva padrona” di Pergolesi), esercitarono una positiva influenza
sulla definizione di un nuovo tipo di opèra-comique, il quale, negli ultimi quarant’anni del
Settecento, raccolse il favore crescente del pubblico, non solo nazionale ma anche
straniero.
La nuova produzione si distinse da quelle precedenti all’arrivo dei buffons italiani in
quanto la musica era sempre originale e conquistò uno spazio ed un’importanza sempre
maggiore rispetto alle parti parlate. L’italiano EGIDIO ROMUALDO DUNI (1709-1775),
fu l’artefice del passaggio alla seconda fase della storia dell’opèra-comique. Arrivato a
Parigi nel 1757, sposò subito la causa dell’opera in lingua francese e le sue produzioni
furono le prime a raccogliere successi duraturi con musiche totalmente nuove ed originali,
fondendo lo stile italiano e francese; compose 23 opèras-comiques, diverse sui libretti del
Favart, delle quali ricordiamo: “La fata Urgèle” e “L’isola dei pazzi”.

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I più apprezzati maestri di questo periodo furono di temperamento opposto: FRANCOIS
ANDRE’ PHILIDOR (17226-1795), fornito di un robusto talento drammatico, energico,
potente, ottenne il primo notevole successo con “Biagio il calzolaio” del 1759, anche se il
suo capolavoro è ritenuto “Tom Jones” del 1765 tratto da un romanzo di Henry Fielding;
PIERRE ALEXANDER MONSIGNY (1729-1817), melodista nato ed efficace, poco
dotato nella scienza della composizione, il cui capolavoro Il disertore del 1769, è ritenuto
uno degli opèra-comique più importanti.
Il compositore di maggior rilievo fu, però, il belga MODESTE GRETRY (1741-1813) che,
dopo 8 anni di studi a Roma, nel 1767 si stabilì a Parigi.
I suoi primi opèras-comiques furono accolti con favore ed egli continuò a scriverne fino
alla fine del secolo, mettendo in musica libretti che appartenevano a differenti tipi e generi.
Il suo capolavoro fu “Richard Coeur de Lion” del 1784, che costituisce il punto culminante
dell’opèra-comique e nello stesso tempo anticipa il teatro romantico del secolo XIX. Nelle
sue opèras-comiques si apprezzano ancora oggi l’invenzione melodica vivace, a volte
geniale, accortamente aderente alle aspirazioni sentimentali del tempo, ed il robusto senso
teatrale.

Arrivo di Gluck a Parigi

Dopo la riforma operata a Vienna, Gluck maturava il disegno di estendere alla “tragedie-
lyrique” francese gli spiriti del rinnovamento che aveva esercitato sull’opera seria italiana.
Dietro l’invito di alcuni intellettuali, nel 1773 si trasferì a Parigi.
Qui, tra il 1774 ed il 1779, compose sei opere: “Iphigenie in Aulide”; “Orfeo et Euridice”;
“Alceste”; “Iphigenie en Taurine”, “Armide”, “Echo et Narcisse”.
Le rappresentazioni di “Iphigenie in Aulide” e la versione francese dell’”Orfeo”,
scatenarono una “Querelle” che durò anni, per la opposizione sollevata dai sostenitori della
tradizione di Rameau alleati ai sostenitori dell’opera italiana, i quali gli contrapposero il
musicista barese Piccinni di scuola napoletana.
In questa “Querelle” fra Gluck e Piccinni, il primo ne fu l’unico protagonista, in quanto i
pochi seguaci di Piccinni si trovarono ben presto emarginati di fronte all’autorevole figura
di Gluck. Non deve, infatti, stupire se, nell’elenco dei post-gluckiani, figura il nome di
Piccinni, poiché diede valide dimostrazioni di aver capito il messaggio innovatore del suo
antagonista.

L’OPERA IN FRANCIA NELL’OTTOCENTO

Premessa

Durante il XIX secolo la Francia subì numerosi cambiamenti, alcuni radicali, che
segnarono la vita politica e civile che vide in rapide fasi successive, diverse forme di
governo, per arrivare alla terza Repubblica.
Sensibili furono gli avvicendamenti intervenuti nel teatro musicale e le due opere
significative che inquadravano l’inizio e la fine di questo secolo fervido e tormentato
furono “La vestale” di Spontini del 1807, e “Pellèas et Mèlisande” di Debussy del 1902.
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Da un tipo di opera che conservava ancora le impronte della Tragèdie-lyrique, si passò,
così, in successione al Grand-opèra, al dramma lirico, al dramma verista.
Le personalità creatrici che emersero nel primo periodo, non furono tutte francesi e fu
consistente la presenza di musicisti italiani e tedeschi (Cherubini, Spontini, Rossini,
Bellini, Donnizetti, Meyerbeer). Mentre gli operisti francesi che tuttora si ricordano sono:
Gounod, Bizet, Massenet, ed in posizione singolare Berlioz, i quali si affermarono nella
seconda metà del secolo.
I teatri attivi a Parigi nell’Ottocento erano:
 L’Opéra, fondato nel 1671 con il titolo di Accadèmie royale de musique et de danse,
che cambiò frequentemente nome e sede, nel quale si rappresentavano opere di
grande impegno scenico, di argomento serio o tragico, era ed è tuttora, anche la sede
degli spettacoli di danza.
 L’Opéra Comique che conservò e alimentò la tradizione settecentesca di opere di
contenuto vario, in cui le parti dialogate erano recitate e non cantate. Cambiò spesso
nome e sede, in alcuni periodi l’attività fu anche sospesa, in altri ospitò anche il
Théâtre Italien.
 Il Théâtre Italien era il più antico, essendo sorto all’inizio del secolo XVII come
Comédie Italienne. Vi erano rappresentati gli spettacoli della nostra Commedia
dell’Arte e, verso la metà del Settecento, il teatro diventò la sede naturale per le opere
italiane cantate in italiano.
 Nella storia dell’opera a Parigi nella seconda metà dell’Ottocento ebbe grande
importanza il Théâtre Lyrique. L’esigenza di differenziare il cartellone di questo
teatro da quelli dell’Opèra e dell’Opèra Comique convinse i direttori che si
succedettero alla guida del nuovo teatro a mettere in scena sia opere di autori
francesi, noti e meno noti sia opere straniere, particolarmente italiane e tedesche,
tradotte in francese.

I primi decenni del secolo

Durante il primo trentennio dell’Ottocento, nelle vicende del teatro d’opera francese, si
cercherebbero invano segni di reazione al gusto del tardo Settecento.
La trasformazione degli stili e delle forme avvenne, infatti, in modo graduale, senza
proclami e senza querelles, e approdò al Grand Opèra senza traumi né rotture.
All’Opèra gli dei dell’Olimpo greco-romano cedettero il passo a personaggi storici, mentre
all’Opèra comique le vicende sceniche di vario segno e contenuto avevano in comune il
rifiuto dei fatti drammatici e del tono solenne, i colori romantici erano ancora lontani.
I principali operisti attivi in questo periodo furono gli italiani: CHERUBINI, SPONTINI, e
ROSSINI, con i francesi BOIELDIEU, LESUEUR e MEHUL.

Luigi Cherubini (1760-1842) fiorentino.

Visse a Parigi dal 1788 e fu la personalità più influente sulla generazione.

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Compositore drammatico, influenzato da Gluck, si rivelo nei lavori: “Lodoiska” del 1791,
“Mèdèe” del 1797, “Le due giornate o Il portatore d’acqua” del 1800; ma tra i suoi lavori
più riusciti si allineano anche l’opera-ballet: “Anacreonte o l’amore fuggitivo” del 1803; e
le opere comiche: “L’osteria portoghese” del 1798, e “Le crescendo” del 1810.
Nel 1821 fu nominato direttore del conservatorio di Parigi, dove rimase fino al 1841,
dedicando in questo periodo minor tempo alla composizione e impegnandosi, invece, a
fondo come didatta.
Scrisse anche musica religiosa, tra cui 14 mese e due Requiem, musica strumentale ed un
corso di Contrappunto e Fuga del 1835 largamente adottato dai contemporanei.
Cherubini fuse in uno stile nobile e sorvegliato gli insegnamenti della drammaturgia
gluckiana e delle risorse strumentali di Haydn. Nessuno dei compositori italiani e francesi
del tempo fu aperto quanto lui agli spiriti del progresso musicale europeo e nessuno
impresse in generi tanto disparati il sigillo di una forte personalità.
La dottrina del contrappunto, la pienezza della scrittura strumentale, la sapiente
distribuzione delle voci nel coro contribuirono alla sua fama ed autorità tra i
contemporanei, complice anche una vocalità improntata dal vigore dei temi e
dall’ampiezza delle strutture.

Gaspare Spontini (1774-1851) marchigiano.

Nessuna delle opere di Cherubini o dei francesi contemporanei ottenne lo straordinario


successo duraturo della “Vestale” di Spontini rappresentata all’Opèra nel 1807.
Egli aveva studiato a Napoli con Piccinni, nel 1803 a Parigi e godette subito della
protezione dell’imperatrice Giuseppina. Napoleone attribuì alla “Vestale” il premio
decennale di composizione appena istituito.
Nel 1809 il successo si rinnovò per il suo “Fernando Cortez” che diventò il modello per le
opre di soggetto storico a grande spettacolo.
Mutata la situazione politica, benché i Borboni gli avessero affidato la direzione del
Thèatre Italien, nel 1820 Spontini lasciò Parigi per diventare direttore della musica alla
corte di Prussia.
A Berlino fece rappresentare, tra le altre opere, “Agnese von Hohenstaufen” del 1829,
prima di ritirarsi nel 1841 nella sua terra natale.
Scrisse anche musica sacra, vocale da camera e strumentale, di formazione napoletana e
temperò il nativo senso melodico con l’attenzione drammatica che il teatro francese aveva
ereditato da Gluck. La sua forte ispirazione si realizza, infine, in melodie ampie e duttili, in
recitativi plastici e incisivi con dense armonie.
Si venivano intanto scoprendo sempre più vaste possibilità timbriche; egli procedette, così,
assai avanti nella strada dell’adesione dei colori strumentali alle idee drammatiche.

Altri italiani emersero sulle scene operistiche francesi:


 Ferdinando Paër di Parma (1771-1839) che ebbe la direzione del Théâtre Italien dal
1820 al 1824 e raccolse successo con “Le maitre de chapelle” del 1821.
 Michele Carafa di Colombrano, d’illustre famiglia napoletana.

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 Gioacchino Rossini pesarese, attivo a Parigi solo tra il 1824 ed il 1829, in questo
breve periodo raccolse grande e duratura popolarità ed esercitò un’influenza assi
profonda sul teatro musicale francese (vedi tesina XXII).
Tra gli operisti francesi del tempo si ricordano:
 Nicolas Isouard.
 François Lesueur.
 Etienne Méhul.
 François-Adrien Boïeldieu (1775-1834) che ottenne il favore del pubblico una prima
volta con “Le calife de Bagdad” del 1801, poi con “Le petite Chaperon rouge” del
1818 ed infine con “La dame blanche” del 1825, un capolavoro di grazia leggera, di
spontaneità e naturalezza per cui si parlò di lui come di un Mozart francese.

Gli anni del “Grand-opèra”

Negli ultimi anni della Restaurazione dei Borboni i successi più clamorosi e duraturi erano
andati a “La dame blache” di Boïeldieu, a “La muette de Portici” del 1828 di Auber, ed a
“Guillaume Tell” del 1829 di Rossini.
Le ragioni di tali successi non erano da attribuire solo alla qualità della musica, alla
duttilità espressiva del canto, alla cura dell’orchestrazione, ma anche ai libretti, portatori di
idee di libertà e di rinnovamento sociale.
I libretti delle opere di Boïeldieu e di Auber sono usciti dalla penna di Eugène Scribe
(1791-1861), il più prolifico e rappresentativo commediografo e librettista del suo tempo,
collaboratore insostituibile di Meyerbeer e di Auber e autore di libretti affidati anche alla
musica di Rossini, Halèvy, Donizetti e di Verdi.
Scribe fu sensibile ai mutamenti delle mode letterarie ed un eccellente confezionatore dei
meccanismi librettistici appropriati al nascente Grand-opèra e al nuovo Opèra-comique.
Il GRAND-OPERA, affermatosi intorno al 1830, fu per oltre un ventennio il genere di
teatro musicale prediletto dal pubblico francese e poi esportato con successo in Europa. Le
opere di questo genere erano improntate ad un’esteriore appariscente grandiosità ed i
soggetti si muovevano su sfondi storici con gusto romanzesco, molti colpi di scena e
contrasti violenti di passioni; la messinscena era spettacolare con frequenti cambi di scena,
balletti, cori e comparse numerose.

Giacomo Meyerbeer (1791-1864) tedesco.

Fu il musicista che diede l’appropriata veste musicale, rinomanza e fama internazionale al


genere Grand-opèra tipicamente francese.
Dopo gli studi musicali, Mayerbeer venne in Italia dietro consiglio di Salieri e, tra il 1818
ed il 1824, si fece apprezzare come autore di opere che portavano il segno dell’influenza
rossiniana, delle quali la più fortunata fu “Il crociato in Egitto” del 1824.
Trasferitosi a Parigi, raccolse il primo successo con “Robert le diable” del 1831 che aprì la
stagione del Grand-opèra. Ad essa seguirono: “Gli ugonotti” del 1836, “Il profeta” del

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1849, “La stella del nord” del 1854, “Dinorah o il pellegrinaggio a Ploermel” del 1859 e
“L’africana”, rappresentata postuma nel 1865.
Vissuto sempre a Parigi, raccolse generale ammirazione e onori anche se non mancarono
avversioni d’altri artisti quali Berlioz, Schumann e Wagner.
Ebbe la rara capacità di assimilare facilmente stili e stimoli esterni, fino a dare
l’impressione di mutare spesso personalità. Possedeva il mestiere del musicista di teatro e
aveva il dono dell’invenzione melodica oltre a padroneggiare il linguaggio orchestrale con
abilità rara.

Daniel-Esprit Auber (1782-1871)

Ottenne il primo importante successo con il grand opéra “La muette de Portici“ e fu poi
apprezzato soprattutto come autore di opèras-comiques, scritti tutti con la collaborazione
librettistica di Scribe, tra cui “Fra diavolo” del 1830, “Le domino noire” del 1837, e “
Manon Lescaut” del 1856.
Raramente le sue opere sono riproposte al pubblico di oggi, mentre i suoi contemporanei si
deliziavano della facilità melodica, della varietà dell’invenzione e del gioco scenico. Alla
morte del Cherubini, di cui era stato allievo, fu nominato direttore del conservatorio di
Parigi.

Altri operisti francesi degni di ricordo furono:


 Fromental-Elie Halévy (1799-1862), “L’ebrea” ebbe trionfo all’Opèra nel 1835.
 Ferdinand Hérold (1791-1833) “Zampa o la fidanzata di marmo” del 1831.
 Adolphe Adam (1802 1856), ricordato principalmente come l’autore della musica
del balletto “Giselle” del 1841, e di “Il postiglione di Longjumeau” del 1836 e di “Se
fossi re” del 1852.
Lo stile del Grand-opèra influenzò in vario modo le partiture scritte da Donizetti: “Les
martyrs” del 1840, “ La favorite” del 1840, “ Don Sèbastien” del 1843; e di Verdi: “Les
vèpres siciliennes” del 1855, tutte su libretti di Scribe.

Il dramma lirico

La distinzione di Grand-opèra e di opèra-comique aveva soddisfatto fino a poco dopo la


metà del secolo i gusti del pubblico francese, ma durante il Secondo Impero, si
affermarono nuove esigenze, che furono intuite e soddisfatte da Lèon Carvalho,
l’impresario del Thèatre Lyrique.
In questa stagione del teatro musicale parigino il pubblico fece la conoscenza della
produzione teatrale di Mozart e di Weber, delle opere verdiane della maturità, delle teorie
sul dramma musicale di Wagner, dei musicisti francesi appartenenti alle generazioni nate
tra il 1810 e il 1840, vale a dire: THOMAS, GOUNOD, BIZET, MASSENET, ed
esponesti minori del dramma lirico.

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Il ceto sociale dei frequentatori del teatro d’opera era mutato, non essendovi più soltanto
l’alta borghesia, ma quel ceto medio che costituiva il nerbo della società parigina durante il
secondo impero di Napoleone III.
Questo pubblico nuovo gradiva la volgarizzazione di opere celebri della narrativa e del
teatro europeo, ridotte a canovaccio librettistico da Jules Barbier e Michel Carrè, sostituti
dell’ormai anziano Scribe nelle preferenze dei giovani operisti.
 AMBROISE THOMAS (1811-1896) è il più anziano dei nuovi operisti. Arrivò al
successo solo nel 1850 con il “Sogno di una notte d’estate”, “Mignon” del 1866 che
rimase in cartellone 28 anni, “Hamlet” del 1868, “Françoise de Rimini” del 1882 e
suggerita dall’episodio dantesco.
Gli operisti più vitali e tuttora eseguiti del teatro francese si collocano in questa stagione, a
breve distanza di anni l’uno dall’altro.

Charles Gounod (1818-1893).

Studiò con Halèvy, Paër e Lesueur. Insignito del Prix de Rome, durante la permanenza a
Roma si appassionò alle composizioni polifoniche rinascimentali ascoltate nella Cappella
Sistina.
Una profonda vocazione religiosa, che lottava nel suo animo con le ambizioni operistiche,
gli ispirò la composizione di varie messe, di alcuni oratori, di mottetti e di melodie sacre.
Alcune delle 14 opere da lui composte costituiscono un apporto prezioso all’arte lirica
dell’Ottocento. Tra esse ricordiamo “Sapho” del 1851, “Faust” del 1858, il suo capolavoro
“Mirelle” del 1864 e “Romeo et Juliette” del 1867.
Lasciò anche sinfonie, musica da camera, melodie e trascrizioni.
Grande ammiratore di Gluck e di Mozart, con un temperamento essenzialmente lirico,
Gounod espresse in uno stile luminoso una profonda esperienza del linguaggio musicale e
la novità della sua arte, fatta di originalità e di equilibrio, esercitò notevole influenza sui
musicisti francesi della successiva generazione.

George Bizet (1838-1875).

Figlio di musicisti studiò sotto la guida di Halèvy e vinse il Prix de Rome.


Trascorse a Parigi la sua breve esistenza di lavoro e morì poche settimane dopo la prima
rappresentazione di “Carmen”.
Oltre a musiche vocali e strumentali, una sinfonia, una suite, compose una decina di lavori
teatrali: “I pescatori di perle” del 1863, l’opèra-comique “Djamileh” del 1872 e “Carmen”
del 1875.
Dotato di un istinto musicale eccezionale, si sforzò di disciplinare la spontaneità con la
riflessione, pur trovandosi più a suo agio nelle strutture dell’opèra-comique.
Di fatto, in “Carmen” allargò i confini del genere dell’opéra-comique, solitamente
riservato a vicende liete e sentimentali, introducendovi accese passioni ed una conclusione
tragica.
La sua musica si connota per le sue melodie eleganti, per l’armonia chiara e raffinata e per
l’orchestrazione trasparente e variata.
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Jules Massenet (1842-1912).

Fu allievo di Thomas e vinse il Prix de Rome.


La sua opera “Le roi de Lahore” del 1877 fu ben accolta dal pubblico e risente
dell’influenza bizetiana.
La sua personalità si definì con “Manon” del 1882, con “Werther” del 1892 e con “Thais”
del 1894, opere nelle quali fece sfoggio della sua abilità di uomo di teatro e che gli
conquistarono il grande pubblico.
Insegnante di composizione al conservatorio dal 1878, formò molti musicisti della giovane
scuola francese, tra cui Bruneau, Charpentier, Rabaud e Fl. Schmitt.
Dai contemporanei fu considerato l’erede di Gounod. Assecondò abilmente i gusti del
pubblico assimilando con discrezione alcuni procedimenti innovatori di Wagner e fu un
profondo conoscitore delle risorse della strumentazione e della voce umana.

Alla fine del secolo

Negli ultimi anni del secolo, il teatro francese subì le influenze combinate del
rinnovamento della musica strumentale e della concezione wagneriana.
In questo quadro si collocano alcuni musicisti:
 Cèsar Franck, autore di tre opere teatrali tra cui “Hulde” rappresentata postuma nel
1894.
 Vincent d’Indy, fervente wagneriano, che si richiamò alla concezione drammatica del
maestro tedesco e ne derivò l’impiego del LEITMOTIV. Si ricordano di lui:
“Fervaal” del 1897, e “L’etranger” del 1903.
 Camille Saint-Saëns, autore di 12 opere teatrali tra le quali è ancora assai apprezzata
“Samson et Dalila” del 1877.
 Gustave Charpentier, la cui “Louise” colpì i contemporanei per l’impostazione
fortemente verista.
 Claude Debussy, agli albori del nostro secolo dischiuse nuovi orizzonti al teatro
musicale con: “Pellèas et Mèlisande” del 1902.

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L’OPERA IN GERMANIA E IN AUSTRIA NEL SEICENTO

L’opera italiana nei paesi di lingua tedesca nel Seicento

La prima opera composta in Germania fu “Dafne”, rappresentata nel 1627. Si basava sul
libretto di Rinuccini tradotto in tedesco dal più autorevole poeta e trattatista del tempo,
Martin Optiz; la musica, purtroppo perduta, era stata scritta da Heinrich Schütz.
Fino alla fine del Settecento, l’opera in Germania ed in Austria fu, direttamente o
indirettamente, sotto l’influsso egemone della musica italiana;
direttamente: a Vienna e presso le corti più importanti si rappresentavano opere italiane di
maestri italiani, su libretti italiani con artisti italiani;
indirettamente: nelle corti di alcuni piccoli regni o ducati tra il 1670 ca. ed il 1730 ca.
furono messe in scena opere di compositori tedeschi su libretti tedeschi ma di derivazione
italiana o francese. I centri nei quali prosperò e si diffuse l’opera tedesca barocca furono
molti, principalmente nelle regioni settentrionali e centrali della Germania, ma soprattutto
ad Amburgo che ebbe una funzione che si può equiparare a quella di Venezia nei confronti
dell’opera italiana.
Amburgo era in quell’epoca la sola città tedesca in grado di offrire, a giovani talenti,
occasioni e risorse per sperimentare novità in campo teatrale, abitata da una borghesia ricca
e favorevole alle novità, e con una posizione geografica strategica.
Nel 1678, alcuni facoltosi cittadini si consorziarono e fecero edificare un teatro chiamato
“Del mercato delle oche” che fu eretto con criteri impresariali come quelli veneziani, con
la differenza che questo era aperto tutto l’anno e per ogni stagione vi erano rappresentate
dalle 8-10 opere nuove.
L’opera tedesca barocca, nata su un terreno vergine, non preesistendo alcuna forma o
abbozzo di teatro musicale, non poteva altro che richiamarsi a modelli stranieri, la qual
cosa evidente già dai libretti, tradotti o derivati dai contemporanei drammi per musica
dell’opera veneziana.
Le cose non andavano diversamente sul piano della composizione: i maestri non potevano,
infatti, ignorare il materiale dei repertori operistici stranieri già consolidati e diffusi,
specialmente quello veneziano.
Nei compositori tedeschi più dotati, le opere manifestano uno stile curiosamente ibrido, nel
quale si mescolano recitativi secchi e arie con il da capo, melodie di stampo liederistico e,
più avanti, balletti all’uso francese.
I compositori di maggior rilievo furono:
 Johann Wolfgang Franck che compose le “Tre figlie” del 1679, la più antica opera
tedesca che ci sia rimasta.
 Johann Sigismund Kusser che aveva studiato a Parigi con Lulli e che fu apprezzato
anche per le doti di organizzatore e direttore.
 Reinhard Keiser, allievo del Kusser e la personalità di maggior statura, che operò
prevalentemente ad Amburgo. Nei lavori teatrali della sua maturità il Lied, l’aria ed il
recitativo italiano, la danza francese si componevano in gradevole omogeneità
musicale.
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 Johann Mattheson che scrisse per il teatro di Amburgo quando il declino dell’opera
tedesca barocca era già avviato.
 Georg Friedrich Händel che si trovò nella stessa situazione di Mattheson. Non ancora
ventenne ed all’inizio della carriera, compose quattro opere tedesche, di cui solo la
prima “Almira” del 1705 c’è pervenuta.
I maestri tedeschi che successivamente si dedicarono con successo all’opera, entrarono
decisamente nel campo italiano, lasciando cadere l’usanza di mettere in musica libretti
tedeschi.

L’OPERA IN GERMANIA E IN AUSTRIA NEL SETTECENTO

Il Singspiel

Verso la metà del Settecento si affermò un genere di spettacolo misto di recitazione e


musica che prese il nome di Singspiel. Esso aveva avuto origine dall’iniziativa di
commedianti tedeschi che, nelle commedie e nei drammi recitati, inserivano sia canzoni
popolari, sia arie e concertati di opere.
Nato a Vienna, il genere si diffuse anche in Germania; gli impresari ed i capocomici più
avveduti compresero presto che il nuovo genere, specie presso il pubblico borghese, aveva
notevoli possibilità di successo, e puntarono sulla creazione di drammi originali con
musiche composte appositamente.
La cultura musicale ufficiale fu indifferente a questo nuovo genere e solo Goethe comprese
quale novità teatrale esso portasse con se.
Tra i musicisti che composero Singspiel spiccano:
 Johann Adam Hiller (1728-1804), compositore fertile in vari generi e scrittore che,
mentre viveva a Lipsia, compose quattro Singspele, il più noto dei quali è “La caccia”
del 1770, nel quale si fondono le melodie del bel canto italiano, lo stile buffo
dell’opèra-comique ed il carattere tedesco del Lied.
 Georg Benda (1722-1795), autore dei melologhi (scene e drammi con
accompagnamento orchestrale) “Arianna a Nasso” e “Medea”. Compose anche dei
Singspiele tra cui “La fiera del villaggio” del 1775. A differenza di Hiller e dei suoi
contemporanei, le sue scene erano più ampie e varie, senza rinunciare allo stile
melodico di facile comunicabilità.
Rispetto a quelli composti in Germania, i Singspiele nati a Vienna intorno agli anni
Cinquanta rivelano maggiore abilità e maturazione musicale: in quello viennese c’è, infatti,
più musica che dialogo ed assume una struttura più vicina al modello tradizionale di opera.
Per la valorizzazione del Singspiel viennese, ebbe grande importanza la decisione
dell’imperatore Giuseppe II di dargli una sede ufficiale nel BURGTHEATER, al quale fu
apposta la qualifica di “Teatro nazionale”.
Tra i compositori viennesi spicca:

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 Karl Ditters von Dittersdorf (1739-1799), autore anche di opere buffe italiane, il cui
„Dottore e farmacista“ del 1786 ottenne un’accoglienza tale da eclissare il successo
delle “Nozze di Figaro” di Mozart.
L’importanza artistica del Singspiel sarebbe stata modesta se esso non avesse offerto
terreno propizio alla nascita di alcuni capolavori fra i quali spiccano quelli di Mozart.
 Wolfgang Amadeus Mozart (1756-1791), compose ventiquattro opere teatrali distinti
in tre stili: opere serie su libretti italiani; opere buffe su libretti italiani; Singspiele in
lingua tedesca.
L’opera seria italiana, di schemi e spiriti metastasiani, viveva ormai i decenni del suo
tramonto. A questa tipologia appartengono: “Mitridate re di Ponto”, “Ascanio in Alba” e
“Lucio Silla” rappresentate al teatro ducale di Milano dal 1770 al 1772, “Idomeneo re di
Creta” del 1781, la più riuscita di questo genere, “La clemenza di Tito” del 1791.
Tra le opere buffe si ricordano: “La finta semplice” del 1768, “La finta giardiniera” del
1775, “ Le nozze di Figaro” del 1786, “Don Giovanni” del 1787 e “Così fan tutte” del
1790. Queste tre ultime opere, su libretto di Lorenzo Da Ponte, riassumono l’opera buffa
italiana, ma nello stesso tempo la trascendono, realizzando un tipo totalmente inedito di
commedia musicale, in cui i personaggi escono dalle tipizzazioni e si esprimono come
persone, con individualità di affetti e di pensieri, che si confrontano e scontrano, sia nelle
arie a solo, ma maggiormente nei duetti e nei pezzi di insieme, ben più numerosi che
nelle opere buffe italiane contemporanee. Altrettanto nuova è la partecipazione
orchestrale che spesso usa procedimenti di scrittura sinfonica.
I Singspiele sono tre: “Bastien und Bastienne” del 1768, “Il ratto dal serraglio” del 1782
ed “Il flauto magico” del 1791. Quest’ultimo capolavoro, emblematico e per molti versi
misterioso, è l’unica opera di Mozart nella quale si evidenziano idee generali del suo
tempo, quali ad esempio lo spirito laico ed illuministico che ispirava la massoneria. I
brani musicali, inframmezzati da dialoghi parlati secondo l’uso dei Singspiel, palesano,
inoltre, una varietà eccezzionale di stili vocali ed espressivi, individuando i diversi
caratteri di Tamino e Pamina, di Sarastro, della Regina della notte e di Papageno.
Va aggiunto prima di concludere che il Singspiel fu la matrice storica dell’operetta
viennese dell’Ottocento.

L’OPERA IN GERMANIA E IN AUSTRIA NELL’OTTOCENTO

Premessa

All’inizio dell’Ottocento, la vita teatrale nei paesi di lingua tedesca, soprattutto in Austria e
in Germania, era assai prospera.
Anche nelle piccole città, erano aperti e funzionanti teatri che ospitavano sia lavori
drammatici sia opere in musica. Esemplare di una situazione culturale che era quasi unica
in Europa, si può segnalare il teatro di corte del piccolo ducato di Weimar dove, fra il 1791
ed il 1817, fu sovrintendente il letterato Wolfgang Goethe.

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Il genere musicale più gradito era l’opera italiana la quale si era acclimatata da oltre un
secolo. Questa presenza si alimentava con le creazioni di Rossini, Donizetti e di un
cospicuo numero di operisti di secondo rango, e grazie all’autorità organizzativa e
gestionale di Salieri e dell’impresario napoletano Barbaja, di Francesco Morlacchi e
Gaspare Spontini.
Pochi erano i teatri nei quali si rappresentavano i Singspiele, più graditi ad un pubblico
medio. A quest’ultimo genere appartiene “Fidelio” l’unica opera di Beethoven e le
trascurate opere di Schubert rappresentate postume.

Verso l’opera romantica

L’affermazione del nazionalismo culturale germanico e la consapevolezza dell’apporto


determinante del classicismo viennese allo sviluppo della musica europea, non solo
strumentale, alimentarono tra i letterati e i compositori il dibattito sulla creazione di un
teatro musicale tedesco. Uno degli scrittori che anticiparono le linee teoriche del
romanticismo musicale fu: Ernst Theodor Amadeus Hoffmann (1776-1822). Egli enunciò
quelli che riteneva essere i caratteri distintivi della futura opera tedesca, la quale avrebbe
dovuto nascere in contrapposizione all’opera italiana, ricordando che in questa direzione si
era già mosso Gluck.
Queste enunciazioni anticipavano di quasi mezzo secolo il progetto che, con ben più ampio
respiro e consapevolezza storica, Richard Wagner illustrò nei suoi scritti teorici e con le
opere della maturità, Hoffmann tentò anche di tradurre in pratica le sue intenzioni, ma
nessuna delle quattro opere da lui scritte e fatte rappresentare si impose per solide qualità
artistiche.
Il vero creatore dell’opera romantica tedesca fu, invece, Weber.

Carl Maria von Weber (1786-1826).

La sua famiglia era formata da gente di teatro, ed egli dedicò al teatro gran parte della sua
non lunga attività professionale, nella quale alternò gli impegni di Kapellmeister e operista
alle tournèes come virtuoso di pianoforte.

La vita

Nacque ad Eutin nel 1786 nella Germania settentrionale. Il padre era direttore di una
compagnia d’opera ambulante.
A diciotto anni iniziava l’attività di direttore nel teatro di Breslavia per passare a Karslruhe
ed infine a Stoccarda. Nel 1811, esordì nella carriera di concertista di pianoforte,
alternandola all’esercizio della composizione.
Nel 1813 rientrò in teatro a Praga come Kapellmeister e quattro anni dopo passò a dirigere
il nuovo teatro dell’opera tedesca di Dresda. In queste due città si affermò come
organizzatore teatrale abile e moderno, iniziando la battaglia per il rinnovamento della
scena teatrale tedesca, vale a dire repertorio ed allestimenti.
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Non potendo opporre nulla al repertorio italiano, privilegiò quello francese di Cherubini,
Spontini, Grètry, Mèhul e Boïeldieu, ancora sconosciute in Germania.
Da Dresda si allontanò nel 1820 per una serie di concerti e per presentare le sue opere e,
nel 1826, ammalato di tisi e stanco per l’eccesso di lavoro morì.

L’opera

Le creazioni musicali di Weber toccarono la maggior parte dei generi musicali del tempo e
si svilupparono in varietà fino al 1820, quando egli si dedicò quasi esclusivamente
all’opera.

OPERE TEATRALI
Aveva incominciato a scrivere per il teatro a tredici anni, a quindici compose “Peter
Schmoll” al quale seguirono “Silvana” ed “Abu Hassan”.
Sono le quattro opere della maturità: “Preciosa” del 1820, “Il franco cacciatore” del 1821
che è il suo capolavoro, “Euryante” del 1823, ed “Oberon” del 1826.
Le prime composizioni teatrali di Weber sono in uno stile misto di Singspiel e di opèra-
comique, “Il franco cacciatore” non era più il lavoro di un operista, ma il colpo di genio di
un drammaturgo musicista. A quest’opera i contemporanei decretarono un successo
entusiastico che creò il prototipo dell’opera romantica tedesca, mentre inferiori risultati
ottennero le opere “Euryante” ed “Oberon”.
Il nuovo carattere musicale nelle opere della maturità è il senso del dramma musicale, le
melodie cantabili per la loro semplicità di derivazione dal canto popolare, l’impiego delle
sonorità e del colore orchestrale, per esempio il clarinetto ed il corno.
Nuovi anche i soggetti delle opere, ispirate al demonismo, l’esotismo ed il fiabesco.

COMPOSIZIONI NON TEATRALI


Composizioni per pianoforte, scritte la maggior parte per uso personale;
concerti per solisti e orchestra: due per pianoforte, due per clarinetto, uno per fagotto;
scarsa è stata la produzione per orchestra e da ricordare sono le sinfonie;
opere di circostanza prive di caratteri originali sono i numerosi Lieder, le composizioni
corali, la musica religiosa ed una scarsa produzione cameristica.
Lasciò anche scritti letterari: saggi, articoli, un romanzo ed un’autobiografia entrambi
incompiuti.

La personalità

Weber è considerato uno degli esponenti del romanticismo musicale tedesco. Tale
valutazione è principalmente legata all’opera “Il franco cacciatore” che è la spia della
condizione storica della musica tedesca all’inizio del secolo XIX, rivolta verso una
tematica rinnovatrice che sarà compiutamente realizzata dalle generazioni successive.
Viene definito come il primo uomo nuovo della musica germanica e considerato un
compositore di rilievo nella storia della musica, in quanto precursore di una tendenza che si
realizzerà nell’opera wagneriana.
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Operisti della prima metà del secolo

Le opere di Weber costituirono, per diversi decenni, le creazioni più avanzate del teatro
musicale tedesco le opere degli altri musicisti tedeschi della prima metà del secolo non ne
furono, tuttavia, influenzate, benché i soggetti risentivano già di un clima letterario e
narrativo nuovo, che si arrestava, comunque, solo ai libretti e non provocava soluzioni
musicali romantiche.
Alcuni musicisti che composero opere per la scena tedesca e che ebbero liete accoglienze
furono:
 Louis Spohr (1784-1859), direttore, organizzatore, insegnante, violinista, autore di
gran quantità e varietà di musiche strumentali, il cui stile era tributario a Mozart e a
Cherubini. Per il teatro compose “Faust” del 1813 e “Jesonda” del 1823 che
rappresenta la sua opera migliore.
 Heinrich Marschner (1795-1861) è l’unico che abbia tentato di seguire, con estro
limitato, le orme di Weber. Lo si ricorda per “Il vampiro” del 1828, e “Hans Heiling”
del 1833 nella quale riappaiono l’elemento satanico ed il conflitto fra il naturale ed il
soprannaturale.
 Albert Lortzing, autore di “Zar e carpentiere” del 1827 e “ Undine” del 1845, che
sviluppò un gusto più tradizionale del teatro con influenze italiane e francesi,.
 Friedrich von Flotow, autore di “Alessandro Stradella” del 1844 e di “Martha” del
1847.
 Otto Nicolai che scrisse l’opera comica “Le allegre comari di Windsor” del 1849 e
opere anche su libretti italiani.

20
L’OPERA IN INGHILTERRA NEL SEICENTO

Dal “Masque” all’opera inglese

Nell’Inghilterra dei Tudor, Masque era il nome di un trattenimento di corte affine al ballet
de cour francese o agli intermedi rinascimentali italiani.
Svolgeva argomenti mitologici o allegorici, con alternanza di scene recitate, musiche
vocali e balli. I dialoghi e le parti cantate erano affidati a musicisti professionisti, mentre
nelle danze si esibivano gentiluomini mascherati.
Il masque toccò alti livelli esecutivi nei primi decenni del Seicento, durante il regno dei
primi due Stuart, Giacomo I e Carlo I. La rivoluzione puritana di Cromwel, la guerra civile
e l’instaurazione della repubblica dal 1649 al 1660 ne segnarono, poi, la fine.
Il masque ebbe significato e valore cerimoniale, e solo indirettamente di rappresentazione.
Nulla era tanto lontano dal teatro dell’opera italiano quanto il masque, che rappresentava
un atto collettivo con il quale il ceto aristocratico e il suo sovrano celebravano come un rito
esclusivo i loro fasti.
La valutazione delle qualità musicali di questo genere è sommaria poiché la gran parte
delle musiche è andata persa, anche se erano certamente superiori i valori della parte
letteraria e dello spettacolo.
I libretti erano scritti dai maggiori poeti e drammaturghi inglesi succeduti a Sakespeare,
soprattutto Ben Jonson (1572-1637) e John Milton (1608-1674).
I compositori delle musiche dei masque erano di livello modesto. Si distingue, comunque,
Matthew Locke (1622-1677).
Lo stile del recitativo italiano influenzò le parti recitate del masque. la prima di queste
opere fu “Lovers made Men” del 1617 di Ben Jonson musicato da Nicolas Lanier, in cui i
recitativi, benché scritti in lingua inglese, vennero musicati all’italiana con le conseguenti
difficoltà del caso.
Con la guerra civile (1641) e la chiusura dei teatri pubblici il masque volse al termine.
Sopravvisse soltanto in alcune case patrizie private e, nel 1635, in un palazzo di Londra,
alcuni gentiluomini rappresentarono “Cupid and Death” su versi di James Shirley e
musiche di Cristopher Gibbons e Matthew Locke, dando vita al lavoro più maturo e
musicalmente più riuscito di questo genere.
Sul finire della repubblica di Cromwel, William Davenant ottenne l’autorizzazione ad
aprire un piccolo teatro per rappresentazioni in musica, e per la prima volta fu usato il
termine “Opera” al posto di masque. La prima opera messa in scena fu “The siege of
Rhodes” del 1756 del Davenant con musiche di vari autori uno dei quali era Locke.
Durante la restaurazione seguirono altre opere cantate in inglese e l’influenza francese fu
molto viva. Come esempio citiamo l’”Arianne” su libretto di Perrin e musiche di Louis
Grabu, cantata in inglese nel 1674 al Convent Garden.
Storicamente importante fu “Albion and Albanus” del 1785, perché il poeta John Dryden
riprodusse la struttura del libretto d’opera italiano con la distinzione fra i recitativi e le arie.
John Blow (1649-1708) creò con il suo “Venus and Adonis”, il modello per “Dido and
Aeneas” di Henry Purcell.

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Henry Purcell (1659-1695).

Uno dei maggiori tra i musicisti inglesi di tutti i tempi, interpretando con stretta aderenza
gli ideali della società inglese della restaurazione. La sua produzione fu di altissima qualità
e assommò alla tradizione inglese gli spiriti della musica vocale italiana e di quella
strumentale francese.
La sua produzione comprende anthems e altre composizioni sacre, odi e cantate profane,
composizioni strumentali. L’attività di compositore teatrale fu intensa soprattutto negli
ultimi sei anni della sua vita. Capolavoro del genere è l’opera in miniatura “Dido and
Aeneas” del 1689 che, nonostante la brevità e l’essenzialità delle risorse musicali e
sceniche, è sviluppata con alto senso del dramma e con un accorto utilizzo di recitativi,
arie, cori, danze, intermezzi strumentali che s’incalzano con grande varietà di accenti.
Il resto della produzione di Purcell appartiene al genere che oggi definiamo musiche di
scena e che in Inghilterra aveva solide tradizioni.
Le creazioni teatrali sono il culmine dell’attività creativa di Purcell e danno la misura della
sua abilità nell’organizzare il materiale musicale.

L’OPERA IN INGHILTERRA NEL SETTECENTO

La “Ballad opera”

Allargando la penetrazione in Europa, l’opera seria italiana nei primi decenni del
Settecento si insediò sui palcoscenici di Londra, anche se essa non fu una conquista totale
né indolore. Il favore ottenuto, infatti, dalla nobiltà fu negato dai ceti medi e gli scrittori
ebbero degli atteggiamenti critici. Ttra le critiche più sferzanti, quella più efficace e
godibile fu uno spettacolo leggero, rappresentato tantissime volte per tutto il secolo e
scritto dal drammaturgo John Gay, intitolato “The Beggar’s opera” (L’opera del
mendicante), del 1728 - curato per la parte musicale dal compositore tedesco naturalizzato
inglese Johann Christoph Pepusch (1667-1752) - che diede origine al genere della Ballad
opera.
Nei dieci anni seguenti ne furono composte e rappresentate più di 120 del genere tutte
frammezzate da canzoni popolari, ma nessuna ebbe lunga vita sulle scene.

L’opera italiana a Londra e il ruolo di Händel

La prima opera eseguita a Londra con i recitativi cantati, fu “Arsinoe regina di Cipro”, nel
1705, messo in musica dall’inglese Thomas Clayton che era un compositore di scarso
talento con il merito di aver soggiornato in Italia. In seguito vi furono altre opere cantate in
un primo momento in inglese, poi con una mescolanza di inglese e di italiano e, per finire,
cantate interamente in italiano.

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Nel 1708, presso il Queen’s Theatre, fu rappresentato “Pirro e Demetrio” di Alessandro
Scarlatti. Protagonista fu l’eunuco Nicolino Grimaldi, la cui bella voce, congiunta ad
un’efficace recitazione, fu l’ elemento determinante per la vittoria sulla scena londinese
delle opere cantate in italiano.
Secondo il dr. Charles Burney, autore della “General History of Music” del 1789, la prima
opera eseguita totalmente in italiano e cantata da italiani fu “Almahide”, forse di Bononcini
(1710).
Nel 1711 trionfa in Inghilterra con il suo “Rinaldo” Georg Frederic Händel il quale,
iniziando l’attività di operista italiano, di compositore e di impresario, per un quarto di
secolo divenne determinante per lo stabile assestamento dell’opera italiana a Londra.
Nel 1720, un gruppo di gentiluomini si accordarono per dare alle rappresentazioni di opere
italiane a Londra una sede più stabile fondando la Royal Accademy of Music con sede al
King’s Theatre.
Come librettisti furono designati Paolo Rolli e Nicola Hayn, mentre Händel fu il “Master
of orchestra” congiuntamente agli operisti Giovanni Bononcini ed Attilio Ariosti.
“Radamisto”, del 1720, fu la prima delle tredici opere nuove che Händel compose per la
nuova impresa teatrale, che non ebbe una vita facile. Una serie di contrasti fra gli addetti ai
lavori portarono, infatti, nel 1728 allo scioglimento della compagnia.
Händel, messosi in società con Nicola Heidegger, che al King’s Theatre aveva la
responsabilità degli allestimenti, creò un’impresa per la gestione del King’s Theatre e parti
alla volta dell’Italia per reclutare altri valenti artisti. Riguadagnato il teatro, mise in scena 2
o 3 opere e dei pasticci per stagione, ma, malgrado tutto, l’ambiente rimase agitato. Gli
oppositori costituirono, infatti, un’altra impresa (l’Opera della Nobiltà) la cui direzione
artistica fu affidata a Nicolò Porpora.
Stanco delle lotte e prostrato dalle malattie, nel 1738 Händel abbandonò così il teatro
dedicandosi interamente all’Oratorio che gli attribuì fama e consensi del pubblico inglese e
dei posteri.
Ma ormai l’opera italiana si era radicata in Inghilterra prosperando sino al nostro secolo.

Secolo e
FRANCIA INGHILTERRA GERMANIA (Paesi di lingua tedesca)
Nazione

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Tramonto del Masque.
Tentativo di trapianto dell’opera italiana (Mazarino).
XVII Tentativi di nascita di un Predominio dell’opera italiana (Leopoldo I
Gian Battista Lulli (nascita del teatro nazionale
1600 teatro nazionale inglese istituisce la carica di poeta cesareo).
francese, Tragedie-Lyrique).
(Purcell).

Rameau.
Prima querelle tra Lullisti (sostenitori di Lulli) e
Ramisti (sostenitori di Rameau).
Nascita dell’opera-comique (unione di parti cantate e
Ancora dominio dell’opera italiana (anche
recitate) in contrapposizione alla trgedie-lyrique.
Mozart con alcune sue opere).
1752 rappresentazione dell’intermezzo “La serva
Nascita di un prodotto tipicamente tedesco:
padrona” di Pergolesi.
il Singspiel (corrispettivo tedesco con parti
XVIII Seconda querelle (querelle des Buffons) tra Lullisti e Trapianto dell’opera italiana
cantate e recitate dell’opera-comique
1700 Ramisti ormai riappacificati e gli Enciclopedisti (Haendel).
francese).
fautori dell’opera buffa italiana.
Grande esempio di Singspiele “Il flauto
Arrivo di Gluck a Parigi, dopo la sua riforma operata
magico” di Mozart e “Fidelio” di Beethoven.
a Vienna.
Riforma di Gluck.
Terza ed ultima querelle tra Gluckisti (sostenitori di
Gluck) e Piccinnisti (sostenitori di Piccinni e
dell’opera italiana).

Influenze italiane nella musica francese (Cherubini,


Spontini).
Periodo napoleonico “Ferdinando Cortez” di
Spontini.
Inizio del Grand Opera (Meyerbeer, massimo
esponente: “gli Ugonotti”, “Robert le diable”, “Il
profeta” e “L’africana”).
Sopravvive ancora il Singspiel e nasce
Abbandono dei soggetti della storia antica ed
l’opera nazionale tedesca con soggetti tratti
introduzione di soggetti della storia moderna (dal
XIX dalla storia tedesca intrisi di romanticismo
medioevo in poi). Nessun evento di rilievo.
1800 tedesco, Weber è il massimo esponente (“Il
Fine del periodo napoleonico, dopo il 1850 nascita
franco cacciatore”) riforma Wagneriana
del Dramma lirico o Opera-lyrique.
conseguente espansione europea.
Nasce come una evoluzione dell’opera-comique, si
abbandonano i soggetti storici a favore di quelli
romantici (esempio tipico “Carmen” di Bizet, donna
non più vittima del fato ma fautrice del fato).
Fine secolo e primi del 900 influsso Wagneriano ed
influenze delle nuove tendenze della musica
strumentale.

ASCOLTI PROPOSTI DURANTE LE LEZIONI:

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1) JEAN BAPTISTE LULLY, - ARMIDE - Air di Rénaud, Atto II, Scena III,;
2) " " Récit di Armide, Atto II, Scena V;
3) HENRY PURCELL - DIDO AND AENEAS - Recitativo e Aria finali;
4) GIACOMO MEYERBEER - LES HUGUENOTOS - Arie e Recitativi, Atto II, Scene 7
e 8;
5) WOLFANG AMADEUS MOZART - DON GIOVANNI - K527, Arie e Recitativo, Atto
I, Scena 5;
6) CARL MARIA VON WEBER - DER FEISCHÜTZ - Ouverture;
7) " " Arie, Atto I, Scena III/Atto II,
Scena II.

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