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Cimagalli - volume 2
Un solco profondo separa l’epoca rinascimentale da quella barocca, ossia tra musica cinquecentesca
e musica seicentesca. Decadde il modello di uomo perfetto, il perfetto cortegiano, che coltivava la
musica in prima persona, soprattutto dopo la terribile crisi economica che ci fu intorno al 1620 e
alle devastanti pestilenze che la seguirono.La musica retrocesse a semplice bene d’uso,
l’aristocratico cessò di praticare la musica in proprio, servendosi esclusivamente di musicisti
salariati e inaugurando una netta separazione tra musicisti e pubblico.Nuove esigenze musicali:
• La monodia con basso continuo soppiantò il vecchio stile polifonico, poiché la monodia era più
adatta ad esprimere il contenuto emozionale del testo poetico a cui era associata: la musica era al
servizio della parola
• Nuovo stile concertante: consisteva nell’unire insieme di elementi eterogenei, come voci e
strumenti, gruppi di voci, gruppi di strumenti.
• Tendenza alla rappresentatività: gli spettatori volevano assistere a vicende teatrali rappresentate in
musica sotto i propri occhi. Dunque nacque la categoria di pubblico, fino ad allora inesistente in
campo musicale, e il pubblico non aveva alcuna competenza musicale; gli esecutori assunsero una
dimensione professionale. Nel Cinquecento invece la musica non era fine a se stessa, ma sempre
funzionale ad altri scopi, come accompagnare una cerimonia ufficiale, o accompagnare una liturgia
religiosa.
• Il fine della nuova musica monodica concertante e rappresentativa era quello di muovere gli
affetti, ossia scuotere le “passioni”, gli stati d’animo, i sentimenti degli spettatori.
L’OPERA IMPRESARIALE
L’asse portante della vita operistica italiana si era spostato a Venezia, in cui vi era una società
completamente diversa: era una repubblica fondata su lucrosi traffici mercantili, in cui vi era una
libertà di stampa e di pensiero insolita per l’epoca, che comportò una vivace vita culturale.
Nel 1637 un gruppo di musicisti romani e veneziani, capeggiati da Benedetto Ferrari e Francesco
Manelli, affittarono un teatro veneziano e vi rappresentarono l’opera “Andromeda”, recuperando le
spese del’allestimento dalla vendita dei biglietti l’opera diventò una vera e proprie impresa
commerciale ai fini di lucro, non più elargita dalla liberalità di un principe. Il pubblico, per l’elevato
costo del biglietto, non era comunque popolare, ma sempre aristocratico o al massimo alto-
borghese. Nacque quindi la figura dell’impresario, che investiva il suo capitale pagando le ingenti
spese dell’allestimento (affitto del teatro, retribuzione del compositore, dei cantanti, degli
strumentisti, il personale tecnico, spese di illuminazione
etc.); il librettista in genere non veniva pagato, perché era generalmente di condizione nobile, e a lui
spettava l’intero incasso della vendita al pubblico dei libretti. La fonte di guadagno dell’impresario
era la vendita dei biglietti; si diffuse l’uso di affittare per tutta la stagione i palchetti del teatro alle
famiglie aristocratiche.
Con il diffondersi dell’opera impresariale di costruirono così teatri dotati di vari ordini di palchi uno
sopra l’altro, che vennero chiamati “teatri all’italiana” e costituirono la forma architettonica del
teatro d’opera.
Siccome l’opera era uno spettacolo costosissimo e difficilmente si riusciva a rientrare nelle spese,
gli spazi dei teatri vennero adibiti al gioco d’azzardo. Anche al’argomento dei libretti fu impresso
un cambiamento che da Venezia si propagò nel resto d’Italia dai temi mitologici si sviluppò il filo
degli intrecci
desunti dall’Eneide o dalla storia antica; i librettisti appartenevano all’Accademia degli Incogniti, di
ideologia scettica e libertina: ironia nella rappresentazione dei personaggi mitici o nobili, infrazione
delle unità aristoteliche.
Nel 1645 iniziò una guerra tra la repubblica veneziana e l’impero ottomano per il possedimento
dell’isola di Candia (Creta); Venezia si alleò con l’impero asburgico e con il papato, e ciò contribuì
ad accelerare la diffusione dell’opera veneziana in Polonia e a Roma; anche le tematiche dei libretti
furono
influenzate dalla guerra: prevalsero le trame eroiche e imperiali, i cui protagonisti erano i grandi
condottieri dell’antichità.
Lo stile della musica di Mozart non solo segue da vicino lo sviluppo dello stile classico, ma senza
dubbio contribuisce in modo fondamentale a definirne le caratteristiche, in modo tale da poter
essere considerato esso stesso l'archetipo. Mozart fu uno straordinario compositore che si dedicò
con apparente semplicità a tutti i principali generi dell'epoca: scrisse un gran numero di sinfonie,
opere, concerti per strumento solista, musica da camera (fra cui quartetti e quintetti d'archi) e sonate
per pianoforte. Benché per nessuno di questi generi si possa affermare che egli fu il "primo autore",
per quanto riguarda il concerto per pianoforte si deve riconoscere che esso deve a Mozart, autore e
interprete delle proprie composizioni, il grandioso sviluppo formale e di contenuti che avrebbe
caratterizzato questo genere nel secolo successivo. Lo stesso Beethoven nutriva grande
ammirazione per i concerti per pianoforte mozartiani, che furono il modello dei suoi concerti, in
modo particolare i primi tre per pianoforte.
Mozart rinnovò il genere musicale del concerto: il discorso musicale si svolge come dialogo
paritario fra due soggetti di uguale importanza, il solista e l'orchestra. Mozart scrisse concerti per
pianoforte, violino, flauto, oboe, corno, clarinetto, fagotto. Mozart scrisse anche un gran numero di
composizioni sacre, fra cui messe, e composizioni più "leggere", risalenti per lo più al periodo
salisburghese, come le marce, le danze, i divertimenti, le serenate e le cassazioni.
I tratti caratteristici dello stile classico possono essere ritrovati senza difficoltà nella musica di
Mozart: chiarezza, equilibrio e trasparenza sono elementi distintivi di ogni sua composizione.
Tuttavia, l'insistenza che a volte viene data agli elementi di delicatezza e di grazia della sua musica
non riesce a nascondere la potenza eccezionale di alcuni dei suoi capolavori, quali il concerto per
pianoforte n. 24 in do minore K. 491, la Sinfonia n. 40 in sol minore K. 550 e l'opera Don Giovanni.
A questo proposito, Charles Rosen ha scritto:
«Solamente riconoscendo che la violenza e la sensualità è al centro dell'opera di Mozart è possibile
fare il primo passo verso la comprensione delle sue strutture e della sua magnificenza. In un modo
paradossale, la caratterizzazione superficiale di Schumann della sinfonia K. 550 in sol minore può
aiutarci a comprendere il demone di Mozart in modo più completo. Nell'opera di Mozart ogni
suprema espressione di sofferenza e terrore ha qualcosa di sorprendentemente voluttuoso.»
Soprattutto nell'ultimo decennio di vita Mozart esplorò l'armonia cromatica con una intensità
raramente ritrovata in altri compositori del suo tempo. Scrive Hermann Abert:
«Neppure l'uomo normale si dà pena di imitare alcuna cosa di cui non rechi già in sé l'embrione.
Nel genio questa scelta reca già l'impronta dell'atto creativo. Essa è infatti il primo tentativo di una
presa di posizione, d'un affermarsi nei confronti della tradizione: tentativo che dovrà agguerrirlo a
rifiutare ciò che gli sia estraneo o d'intoppo e non soltanto a imitare ma a "ricreare" e assimilare
ogni elemento congeniale. Non dovremo quindi mai dimenticare che la grandezza di Mozart sta nel
suo "io", nella sua forza creativa; non nel materiale col quale si è cimentato.»
Fin da fanciullo Mozart aveva mostrato che era capace di ricordare e imitare senza alcuna difficoltà
la musica che aveva l'occasione di ascoltare. I suoi numerosi viaggi consentirono al giovane
compositore di far sua una rara collezione di esperienze attraverso le quali Mozart creò il suo unico
linguaggio compositivo.
La ricerca critica e musicologica sull'opera di Mozart è al centro del monumentale lavoro in cinque
volumi Mozart - Sa vie musicale et son oeuvre (1912-1946) di Teodor de Wyzewa e Georges de
Saint-Foix. Attraverso un metodo di analisi scrupolosa delle influenze dovute all'ambiente musicale
col quale Mozart si confrontò nel corso della sua breve vita, i due musicologi arrivarono a
suddividere l'opera di Mozart in 34 fasi stilistiche diverse, ciascuna di esse sotto l'influenza di un
dato modello. Questo "approccio riduttivo", tuttavia, è stato in seguito criticato e messo in
discussione, fra gli altri da Paumgartner:
«Nella compiaciuta infatuazione di quei confronti critico-stilistici, si tralasciò anzitutto di cercar di
scoprire in virtù di quali leggi più profonde la musica di Mozart, nonostante le innegabili
reminiscenze dei modelli contemporanei, risulti così sostanzialmente diversa da questi e, appunto
perciò abbia potuto svilupparsi assumendo forme proprie, originali e durature»
Mozart era ancora bambino durante il soggiorno a Londra quando incontrò Johann Christian Bach e
ascoltò la sua musica. A Parigi, Mannheim e Vienna, egli ascoltò i lavori dei compositori attivi in
quei luoghi così come la famosa orchestra di Mannheim. In Italia ebbe modo di conoscere e
approfondire la ouverture italiana e l'opera buffa dei grandi maestri italiani del Settecento e questa
esperienza sarebbe stata di fondamentale importanza nello sviluppo successivo della sua musica.
Sia a Londra sia in Italia, lo stile galante dominava la scena: uno stile semplice, quasi da "musica
leggera", caratterizzato da una predilezione per le cadenze, da una enfasi sulle frasi nella tonalità
fondamentale-dominante-sottodominante (escludendo così altri accordi) e dall'uso di frasi
simmetriche e di strutture articolate in modo chiaro.
Lo stile galante, che fu l'origine dello stile classico, era nato come reazione alla "eccessiva
complessità" della tarda musica barocca. Alcune delle sinfonie giovanili di Mozart hanno la forma
di ouverture in tre movimenti nello stile italiano; molte di queste sono "omotonali", ossia tutti i tre
movimenti sono nella stessa tonalità, essendo il movimento lento centrale nella relativa tonalità
minore. Altri lavori "imitano" la stile di Johann Christian Bach, mentre altri ancora mostrano la
semplice forma bipartita in uso fra i compositori viennesi.
Passando dalla giovinezza alla prima maturità, Mozart iniziò a inserire alcune delle caratteristiche
fondamentali dello stile barocco all'interno delle proprie composizioni: per esempio, la Sinfonia n.
29 in la maggiore K 201 impiega nel primo movimento un tema principale in forma
contrappuntistica e sono presenti anche sperimentazioni con frasi di lunghezza irregolare. A partire
dal 1773 appaiono nei quartetti dei movimenti conclusivi in forma di fuga, probabilmente
influenzati da Haydn, che aveva incluso finali in questa forma nei quartetti dell'opera 20.
L'influenza dello stile Sturm und Drang, che preannuncia col suo carattere la futura era romantica è
evidente in alcune delle composizioni di quel periodo di entrambi gli autori, fra cui spicca la
Sinfonia n. 25 in sol minore K 183, la prima delle due uniche sinfonie in tonalità minore scritte da
Mozart.
Mozart fu anche uno dei grandi autori di opere; egli passava con grande facilità e naturalezza dalla
scrittura strumentale a quella vocale. Le sue opere appartengono ai tre generi principali in voga alla
fine del Settecento: l'opera buffa (Le nozze di Figaro, Don Giovanni e Così fan tutte), l'opera seria
(Idomeneo e La clemenza di Tito) e il Singspiel (Il ratto dal serraglio e Il flauto magico). In tutte le
sue grandi opere Mozart impiega la scrittura strumentale per sottolineare lo stato psicologico dei
personaggi e i cambiamenti di situazione drammatica. La scrittura operistica e quella strumentale si
influenzano a vicenda: l'orchestrazione via via più sofisticata che Mozart adotta per le composizioni
strumentali (sinfonie e concerti in primo luogo) viene adottata anche per le opere, mentre l'uso
particolare che egli fa del colore strumentale per evidenziare gli stati d'animo ritorna anche nelle
ultime composizioni non operistiche.
Cap.31 Ludwing van Beethoven
Discendeva da famiglia di musicisti d'origine fiamminga. L'avo Ludwig venne a Bonn nel 1732,
cantore prima, poi direttore d'orchestra del vescovo-elettore di Colonia; suo figlio, Johann, tenore e
violinista presso la stessa corte, uomo disordinato e dedito all'alcool, ridusse la famiglia in
condizioni penose. Da Magdalena Kewerich, vedova d'un valletto di corte, ebbe 6 figli, dei quali
non sopravvissero che Ludwig, Kaspar e Nikolaus. L'infanzia di B. fu triste e disagiata: il padre, il
cui unico scopo era di sfruttare le disposizioni musicali del ragazzo per esibirlo in pubblico quale
"fanciullo prodigio", gli imponeva rudemente lunghe ore di esercizio sul cembalo e sul violino.
L'istruzione generale si limitò a qualche anno di elementare.
Alle discipline musicali provvide dapprima il padre, poi il clavicembalista T. Pfeiffer, il violinista F.
Rovantini, gli organisti W. Koch e G. van den Eeden e, finalmente, il primo dei veri maestri di B.,
Chr. Gottlob Neefe, che istradò il B. all'armonia e al contrappunto. Presto il ragazzo poté entrare
nell'orchestra di corte come violinista e supplire il Neefe quale organista. L'ambiente di Bonn
comincia ad accoglierlo: il futuro medico F. Wegeler, la famiglia Breuning, il conte F. v. Waldstein
s'interessano di lui, e il conte gli procura una borsa di studio per Vienna (dove B. avvicina W.A.
Mozart), non sfruttata interamente perché di lì a poco egli doveva ritornare a Bonn per assistere la
madre morente. Cinque anni ancora a Bonn, quale cembalista al teatro e violinista in orchestra. Solo
conforto, oltre il lavoro, la calda simpatia dei Breuning (specialmente di Eleonora), del Waldstein,
dei musicisti F. Ries, i due Romberg, J. e A. Reicha. Nell'89 si iscrive all'università dove assiste alle
lezioni kantiane del van Schüren e l'anno seguente per la prima volta avvicina J. Haydn, di
passaggio a Bonn. Nel 1792, per intercessione del Waldstein, l'Elettore permette a B. di ritornare a
Vienna, per "raccogliere" - come scrisse il Waldstein - "lo spirito di Mozart dalle mani di Haydn".
Grazie alle commendatizie del Waldstein, l'ambiente viennese, anche l'aristocratico, l'accoglie con
grande simpatia: i Lichnowsky, i Browne, i Liechtenstein, gli Schwarzenberg, i Thun, i
Lobkowitz lo ricercano per le loro serate, e Lichnowsky lo ospita e più tardi lo sovvenziona.
Intanto B. studiava seriamente la composizione, dapprima presso Haydn (con scarso interessamento
da parte del maestro), poi presso il celebre contrappuntista J.G. Albrechtsberger e A. Salieri. A
partire dal 1796 era acclamato quale concertista di pianoforte a Praga, a Berlino, a Vienna, forse
anche a Lipsia e a Dresda. Dal 1795 era iniziata la pubblicazione delle sue musiche con i tredici trii
op. 1 dedicati al Lichnowsky. A una relativa popolarità pervenne presto la romanza Adelaide e tra il
1796 e il 1800 si svolse rapidamente la pubblicazione dei lavori già scritti in precedenza e di quelli
via via prodotti: tra l'altro, le prime sonate per pianoforte, il settimino (subito diffuso nel favore
generale), i primi quartetti, i due primi concerti per pianoforte e la prima sinfonia. Anni, questi, di
buona fortuna per il B., che alla nascente gloria di compositore univa i successi del pianista,
guadagni sufficienti, ammirazione e simpatia di nobili ambienti intellettuali. Anche quale
insegnante era ovunque ricercato: lo stesso arciduca Rodolfo tra poco sarà suo allievo e resterà suo
affezionato ammiratore e sostenitore fino alla morte.
Primi amori, primi idillî sbocciano tra il B. (pur non bello di persona) e gentili fanciulle: Giulietta
Guicciardi, Teresa di Brunswick e altre. Nascono allora le belle pagine della sonata op. 27 n. 2
(1801), poi detta "del chiaro di luna" e dedicata alla Guicciardi, la lettera "all'immortale amata"
(1801), forse Teresa di Brunswick, che esprimono l'incontenibile effusione dei tesori d'amore e di
tenerezza del giovane animo, destinato a tante delusioni, fino a che il B. non diverrà chiuso e restio
a ogni convivenza di società. Ma intanto una sciagura tremenda minacciava il musicista: la sordità,
che egli non si riduce a confessare se non nel 1801, dopo due anni di sofferenza, a due amici
lontani: F. Wegeler e C. Amenda.
Nelle lettere, come nelle opere, cominciano ad apparire le note ineguagliabili dell'animo
beethoveniano: dolore, breve rassegnazione, lotta e ribellione contro il destino, fede in un lontano e
arduo, ma splendido trionfo del bene. Talora accoglie per salvatrice l'idea della morte. Dopo il
cosiddetto "Testamento di Heiligenstadt" (prosa del 1802) che tenta una riconciliazione con la vita,
la morte coronata da un episodio grave e glorioso riappare, dalla sonata op. 26 (1801), nella
complessità della terza sinfonia (Eroica, 1803). Certo, l'alta moralità di B. rifiuta l'idea del suicidio.
Egli si rifugia piuttosto nella sua fervida vita interiore, si crea un mondo ideale in cui urgono,
aspirando a un'alta conciliazione, idee e fantasmi di religiosità, di libertà morale, di civile attività,
sensi d'amore alla natura, anelito alla sana gioia; e ne compone sintesi musicali gagliarde e audaci,
aspre talora per contrasti ideali, ma luminose sempre di poesia.
Nei tre primi lustri del secolo la sua arte avanza dalla seconda all'ottava sinfonia, dal balletto
Prometeo al Fidelio, alle musiche per l'Egmont; e intanto nascono gli altri tre concerti per
pianoforte, quello per violino e quello per trio e orchestra, gli altri quartetti fino all'op. 95, alcuni
trii, tutte le sonate per violino e quelle per violoncello op. 102, le altre sonate per pianoforte fino
all'op. 90, le altre composizioni per canto fino all'op. 99. Opere accolte ora dall'entusiasmo ora dalla
freddezza o addirittura dal dileggio. Ma s'accrescono le schiere degli ammiratori e degli amici: F.
Röchlitz, E.T.A. Hoffmann, il principe Rasumovskij, la contessa Erdödy, la baronessa Erdmann, A.
Streicher, il medico Malfatti, e - gradatamente - il gran pubblico. Nel 1807 Girolamo re di Vestfalia
lo vuole Musikdirektor alla sua corte, ma l'arciduca Rodolfo e i principi Lobkowitz e Kinsky lo
trattengono offrendogli una pensione annua di 4000 fiorini. Avvicina egli inoltre i letterati Chr. A.
Tiedge, K.A. e Rahel Varnhagen, Bettina Brentano (che entusiasta scrive di lui a Goethe) e il
Goethe stesso.
Nel 1813 un gran successo di pubblico arride a B. per la mediocre sinfonia intitolata La Battaglia di
Victoria (in onore del duca di Wellington) nello stesso concerto da lui diretto, in cui presentava per
la prima volta la VII sinfonia. Forse anche per il trionfo della Battaglia si riprese al Hoftheater il
Fidelio, questa volta con grande plauso. Nel 1815, i monarchi e i potenti radunati al congresso di
Vienna resero grandi onori al B. Il periodo di fortuna si concludeva però ben rapidamente: poco più
di dieci anni restano al maestro, da vivere nell'inquietudine e nella tristezza: malattia, misantropia,
bisogno, affanni d'ogni sorta. Dal 1816 la sordità è pressoché totale; per conversare col B. bisogna
ormai scrivere: egli non può più suonare in pubblico, né dirigere. Se vi si attenta, amarissima è la
delusione. La stessa fantasia del compositore sembra arrestarsi per lunghe soste: tra il 1816 e il
1822 non nascono che cinque sonate per pianoforte (tra le più belle, però), l'ouverture Zur Weihe
des Hauses e poche cose di secondaria importanza.
Ma ecco gli ultimi anni: dal 1819 al 1823 sorgono i monumentali edifici della Messa solenne in re e
della nona sinfonia, dal 1824 al 1826 i sublimi quartetti dall'op. 127 alla 135. La Messa, ideata per
la consacrazione dell'arciduca Rodolfo come arcivescovo di Olmütz, fu eseguita nel 1825 - vivo
Beethoven - solo in parte, con la nona sinfonia. E B. voleva ancora comporre. Nel 1822 il Röchlitz
l'aveva trovato non del tutto infelice: tante nuove musiche apparivano alla mente dell'artista: una
decima sinfonia (di cui restano appunti), un oratorio Saul, musiche per il Faust di Goethe, un'opera
Melusina e altro. Ma penosa era invece l'impressione che di lui ricevevano altri visitatori: F.
Schubert, F. Liszt, C.M. v. Weber, G. Rossini, F. Hiller, C. Zelter, A. v. Rellstab, ecc. Pochi lo
assistevano in quella sua triste dimora dello Schwarzpanierhaus: devoto tra tutti quell'Anton
Schindler che fu poi tra i primi suoi biografi. Negli ultimi tempi le ristrettezze finanziarie
aumentarono e soltanto 10 giorni prima di morire egli ricevette un generoso aiuto attraverso un
sussidio di 100 sterline inviatogli dalla Società filarmonica di Londra.