Sei sulla pagina 1di 23

Riassunto di Storia della musica occidentale, M. Carrozzo e C.

Cimagalli - volume 2

Dal Barocco al Classicismo viennese

IV parte: Musica per muovere gli affetti


16. Teorici, umanisti e compositori verso la monodia
17. Monteverdi e la “seconda prattica”
18. L’opera italiana del Seicento
19. Girolamo Frescobaldi
20. Oratorio e oratoria
V parte: I luoghi della musica barocca
21. La cantata da camera
22. La sonata barocca
23. L’opera francese del Seicento
24. L’Europa tra Sei e Settecento
25. Il concerto barocco
VI parte: Alcuni problemi ideologici: la galleria degli antenati
26. Bach e Handel
27. L’opera seria tra Sei e Settecento
28. Intermezzi e opera buffa
29. Dallo stile galante allo stile classico
30. Wolfgang Amadeus Mozart
31. Ludwing van Beethoven

Un solco profondo separa l’epoca rinascimentale da quella barocca, ossia tra musica cinquecentesca
e musica seicentesca. Decadde il modello di uomo perfetto, il perfetto cortegiano, che coltivava la
musica in prima persona, soprattutto dopo la terribile crisi economica che ci fu intorno al 1620 e
alle devastanti pestilenze che la seguirono.La musica retrocesse a semplice bene d’uso,
l’aristocratico cessò di praticare la musica in proprio, servendosi esclusivamente di musicisti
salariati e inaugurando una netta separazione tra musicisti e pubblico.Nuove esigenze musicali:
• La monodia con basso continuo soppiantò il vecchio stile polifonico, poiché la monodia era più
adatta ad esprimere il contenuto emozionale del testo poetico a cui era associata: la musica era al
servizio della parola
• Nuovo stile concertante: consisteva nell’unire insieme di elementi eterogenei, come voci e
strumenti, gruppi di voci, gruppi di strumenti.
• Tendenza alla rappresentatività: gli spettatori volevano assistere a vicende teatrali rappresentate in
musica sotto i propri occhi. Dunque nacque la categoria di pubblico, fino ad allora inesistente in
campo musicale, e il pubblico non aveva alcuna competenza musicale; gli esecutori assunsero una
dimensione professionale. Nel Cinquecento invece la musica non era fine a se stessa, ma sempre
funzionale ad altri scopi, come accompagnare una cerimonia ufficiale, o accompagnare una liturgia
religiosa.
• Il fine della nuova musica monodica concertante e rappresentativa era quello di muovere gli
affetti, ossia scuotere le “passioni”, gli stati d’animo, i sentimenti degli spettatori.

Cap. 16 TEORICI, UMANISTI E COMPOSITORI


VERSO LA MONODIA
Durante il Quattrocento e il Cinquecento era diffusa la pratica della musica monodica “umanistica”:
nelle corti italiane i letterati umanisti cantavano o facevano cantare le loro poesia accompagnate da
semplici moduli musicali, dunque la musica era solo un accompagnamento alla parola.
Gradualmente la musica monodica cominciò a diffondersi e a sostituire la musica polifonica sia
nella frottola che nel madrigale.Ci furono diversi teorici musicali cinquecenteschi che appoggiavano
le istanze
monodiche: lo svizzero HEINRICUS GLAREANUS nel suo trattato “Dodecachordon” del 1547
affermò che erano veri musicisti solo coloro che inventavano melodie monodiche; NICOLA
VICENTINO nel 1555 pubblicò “L’antica musica ridotta alla moderna prattica” in cui discusse la
questione
dell’imitazione dell’antica Grecia (tema tipico delle arti figurative): lo scopo di Vincentino era
ricondurre ad una “moderna prattica” l’antica musica classica che si riteneva fosse monodica.
Tuttavia Vicentino non era a favore di una completa monodia, ma piuttosto di una semplificazione
della polifonia a favore
della comprensibilità del testo. Nella seconda metà del Cinquecento ci fu un’aspra polemica tra
GIOSEFFO
ZARLINO e VINCENZO GALILEI: l’uno era un accanito sostenitore della polifonia, l’altro era
aperto alle esigenze monodiche della sua epoca: schieramento di progressisti contrapposto ad uno di
conservatori. Galilei, progressista, contrapponeva la musica polifonia medievale alla musica
perfetta monodica
dell’antica Grecia, che era la musica che più si avvicinava ad una declamazione naturale, simile a
quella degli attori della commedia dell’arte.Le opinioni di Galilei erano condivide dalla
CAMERATA DE’ BARDI, un gruppo di giovani musicisti che si riunivano a Firenze a casa del
conte Giovanni de’ Bardi:
era una camerata e non un’accademia, perché non vi erano regole e statuti, ma solo un gruppo di
amici che discutevano delle varie arti e scienze. La camerata de’ Bardi ebbe il suo massimo rigoglio
negli anni ’70 e ’80 del Cinquecento: nel 1589 produssero gli intermedi fiorentini per le nozze di
Ferdinando de’ Medici e Cristina di Lorena. Nel 1592 Bardi si trasferì a Roma e le riunioni della
camerata si interruppero.Successivamente nacque la CAMERATA DI CORSI, nel palazzo di Jacopo
Corsi; l’esponente di punta di questo gruppo era Jacopo Peri. Questa camerata più che animare
dispute teoriche si dedicò alla realizzazione di eventi musicali concreti basati sul “recitar cantando”,
con la convinzione che nell’antica Grecia le tragedie fossero cantate e recitate nello stesso tempo.La
prima opera in musica fu la Dafne, pastorale drammatica rappresentata nel 1598 nel palazzo Corsi
durante il carnevale. La musica di “Dafne” fu perduta, così come quella di altre piccole pastorali
messe in musica da Emilio de’ Cavalieri.
EMILIO DE’ CAVALIERI compose il primo esempio sopravvissuto di dramma monodico per
recitar cantando: la “Rappresentazione di Anima et di Corpo” allestita a Roma nel 1600.Dunque è
questa la genesi cinquecentesca di un genere musicale che non conobbe più tramonto: l’opera in
musica.

Cap. 17 MONTEVERDI E LA “SECONDA PRATTICA”


Nel passaggio tra Cinque e Seicento si chiusero le porte dell’epoca rinascimentale per aprirle al
nuovo mondo barocco. Questo mutamento di orizzonte condusse allo sbocciare di nuovi generi
musicali e al radicale ripensamento di quelli già esistenti.Ad esempio, il madrigale dovette
abbandonare la sua intrinseca natura polifonica per aprirsi alla monodia con basso continuo, allo
stile concertante e alla tendenza alla rappresentatività per ottenere il fine della musica barocca,
muovere gli affetti degli ascoltatori.
CLAUDIO MONTEVERDI non abbandonò mai il genere del madrigale neppure in pieno Seicento,
trasformandolo in alfiere della concezione musicale barocca. Questo compositore cremonese
pubblicò ben 8 libri di madrigali che si inseriscono nella tradizione rinascimentale, ma con una
nuova attenzione al
contenuto espressivo delle poesie musicate. Nel 1590 egli fu assunto come violinista alla corte di
Mantova, poi diventò maestro di una piccola cappella che accompagnò il duca Vincenzo I Gonzaga
alla spedizione in Ungheria nel 1595. Nel 1601, dopo la morte di Benedetto Pallavicino, diventò
maestro di cappella della corte mantovana. Polemica con il canonico Giovanni Maria Artusi
l’Artusi era a favore della
“prima prattica”, ossia di una musica che fosse “signora del oratione”, cioè soggetta solo alle leggi
di natura tecnico-musicale; al contrario Monteverdi promuoveva la “seconda prattica”, in cui la
musica era al servizio del testo con lo scopo di muovere gli affetti degli ascoltatori. Monteverdi
riuscì a superare i madrigalisti in favore dei nuovi criteri costruttivi: lo scopo era rendere in musica
il contenuto più profondo del testo, non tanto descriverne il significato letterale.
Dunque Monteverdi evitò di accostare episodi contrastanti, cercando di guardare il testo dal punto
di vista globale. Nel 1607 fu rappresentato “Orfeo”, una favola pastorale in stile monodico; nel
1608 “L’Arianna” è considerata la prima tragedia in musica. Nel 1613 la vita di Monteverdi cambiò
radicalmente: il duca Vincenzo morì ed egli venne assunto come maestro di cappella in San Marco a
Venezia: era
passato dalla condizione di servitore di un signore assoluto alla condizione di pubblico funzionario,
ben retribuito e rispettato, in una repubblica mercantile ricca di attività editoriali e musicali favorite
dalla presenza di molte istituzioni laiche e religiose. A Venezia la sua produzione madrigalistica
registrò un’ulteriore evoluzione dal 1619, cioè a partire dal Settimo Libro de Madrigali, egli
applicò
sistematicamente al madrigale la monodia con basso continuo – il madrigale dunque non era più
polifonico – e l’inserimento di altre parti strumentali autonome. Dal 1638, con l’Ottavo libro di
madrigali, alcune composizioni prevedevano un’esecuzione rappresentativa, ossia un’azione
scenica, pur non situandosi su un palcoscenico ma rimanendo nell’ambito della musica da camera.
La più celebre di esse è il “Combattimenti di Tancredi et Clorinda” il cui testo è tratto dalla
Gerusalemme Liberata: in questo madrigale abbiamo monodia con basso continuo, stile
concertante, rappresentatività, che cooperavano tra loro
per muovere gli affetti degli ascoltatori: sono le quattro esigenze dello stile barocco integrate
pienamente nel genere rinascimentale per eccellenza.

Cap. 18 L’OPERA ITALIANA DEL SEICENTO, L’OPERA DI CORTE


A Firenze il primo tentativo di imbastire uno spettacolo interamente cantato (l’opera) era andato di
pari passo con la sperimentazione del recitar cantando e con l’esigenza di creare eventi fastosi e
irripetibili per celebrare occasioni solenni: erano spettacoli creati e realizzati dal personale fisso
della corte a cui assisteva un pubblico scelto ed elitario. Le corti di Firenze, Mantova, Ferrare,
Piacenza, Parma e Torino fecero a gara per
realizzare questa celebrazione della propria grandezza. Fu però un’altra città a promuovere
assiduamente questo nuovo tipo di spettacolo nei decenni seguenti: Roma. Qui la corte pontificia
non poteva
realizzare in proprio uno spettacolo profano, ma esso trovò accoglienza nei singoli palazzi della
nobiltà e dei cardinali, per questo motivo ebbe una connotazione particolare: accanto a temi tratti
dalla mitologia classica c’erano le vite dei santi. Nel 1631 fu rappresentato il “Sant’Alessio” di
Stefano Landi, opera importante perché:
• inaugurò il filone agiografico dell’opera romana
• inaugurò la stagione delle cosiddette “opere berberiniane”, cioè promosse dalla famiglia dei
Barberini (Matteo Barberini fu papa Urbano VIII)
• il suo libretto fu scritto da un letterato di punta, Giulio Rospigliosi
• conteneva l’elemento comico, estraneo ai primordi fiorentini dell’opera.
Con Rospigliosi, sotto influenza della produzione teatrale iberica, si giunse alla compilazione di
vere e proprie commedie musicali. Nel 1644 morì il papa Urbano VIII e arrivò al potere pontificio
la rivale famiglia
Pamphilj = declino delle attività operistiche barberiniane.

L’OPERA IMPRESARIALE
L’asse portante della vita operistica italiana si era spostato a Venezia, in cui vi era una società
completamente diversa: era una repubblica fondata su lucrosi traffici mercantili, in cui vi era una
libertà di stampa e di pensiero insolita per l’epoca, che comportò una vivace vita culturale.
Nel 1637 un gruppo di musicisti romani e veneziani, capeggiati da Benedetto Ferrari e Francesco
Manelli, affittarono un teatro veneziano e vi rappresentarono l’opera “Andromeda”, recuperando le
spese del’allestimento dalla vendita dei biglietti l’opera diventò una vera e proprie impresa
commerciale ai fini di lucro, non più elargita dalla liberalità di un principe. Il pubblico, per l’elevato
costo del biglietto, non era comunque popolare, ma sempre aristocratico o al massimo alto-
borghese. Nacque quindi la figura dell’impresario, che investiva il suo capitale pagando le ingenti
spese dell’allestimento (affitto del teatro, retribuzione del compositore, dei cantanti, degli
strumentisti, il personale tecnico, spese di illuminazione
etc.); il librettista in genere non veniva pagato, perché era generalmente di condizione nobile, e a lui
spettava l’intero incasso della vendita al pubblico dei libretti. La fonte di guadagno dell’impresario
era la vendita dei biglietti; si diffuse l’uso di affittare per tutta la stagione i palchetti del teatro alle
famiglie aristocratiche.
Con il diffondersi dell’opera impresariale di costruirono così teatri dotati di vari ordini di palchi uno
sopra l’altro, che vennero chiamati “teatri all’italiana” e costituirono la forma architettonica del
teatro d’opera.
Siccome l’opera era uno spettacolo costosissimo e difficilmente si riusciva a rientrare nelle spese,
gli spazi dei teatri vennero adibiti al gioco d’azzardo. Anche al’argomento dei libretti fu impresso
un cambiamento che da Venezia si propagò nel resto d’Italia dai temi mitologici si sviluppò il filo
degli intrecci
desunti dall’Eneide o dalla storia antica; i librettisti appartenevano all’Accademia degli Incogniti, di
ideologia scettica e libertina: ironia nella rappresentazione dei personaggi mitici o nobili, infrazione
delle unità aristoteliche.
Nel 1645 iniziò una guerra tra la repubblica veneziana e l’impero ottomano per il possedimento
dell’isola di Candia (Creta); Venezia si alleò con l’impero asburgico e con il papato, e ciò contribuì
ad accelerare la diffusione dell’opera veneziana in Polonia e a Roma; anche le tematiche dei libretti
furono
influenzate dalla guerra: prevalsero le trame eroiche e imperiali, i cui protagonisti erano i grandi
condottieri dell’antichità.

Cap. 19 GIROLAMO FRESCOBALDI


Fu solo agli inizi del Seicento, soprattutto per merito del musicista ferrarese Frescobaldi, che la
musica strumentale (separata e contrapposta a quella vocale nei secoli precedenti) iniziò quel
cammino che la condurrà dal regno dell’oralità al regno della scrittura.Girolamo Frescobaldi fu il
primo compositore di grande rilievo ad aver legato la propria fama ad una produzione quasi
esclusivamente strumentale, definito
“mostro degli organisti”. Egli infatti ricoprì sempre l’incarico di organista sia a Ferrara, poi nella
chiesa di
Santa Maria in Trastevere a Roma, poi nella Cappella Giulia in San Pietro.La prima apparizione di
sue musiche a stampa consistette, però, in un libro di madrigali polifonici, come consuetudine per i
giovani compositori dell’epoca.
Dal 1611 fu al servizio del cardinale Pietro Aldobrandini = elevazione del suo livello sociale, dal
momento che l’Aldobrandini era il “cardinale nipote” del papa. Successivamente, Frescobaldi
lavorò stabilmente in favore di personaggi collocati ai massimi livelli, come il granduca Ferdinando
II de’ Medici e il
cardinale nipote Francesco Barberini.
Ovviamente questo rendeva inevitabile l’adeguamento dell’attività compositiva ai gusti e alle
esigenze del padrone di turno. Importante l’opera “Toccate e partite d’intavolatura di cimbalo”
dedicato al
duca di Mantova Ferdinando Gonzaga novità: Frescobaldi voleva porsi lo scopo della “seconda
prattica” monteverdiana all’interno della musica strumentale, ossia voleva ricreare con uno
strumento a tastiera quei molteplici affetti cantabili riprodotti dai madrigali moderni.
L’importanza maggiore di Frescobaldi consiste dunque nell’aver conferito la dignità di opus di
altissimo livello artistico ai generi musicali idiomatici, ossia la toccata e la partita (idiomatici
significa che discendevano dall’antica prassi della musica improvvisata, anche se non c’era piena
improvvisazione, in
quanto l’interprete seguiva un canovaccio tradizionale) per mezzo del loro apparentamento con il
nuovo stile monodico vocale. In tal modo li ha resi degni non solo di inserirsi a pieno titolo nel
prestigioso flusso della tradizione scritta, ma anche in grado di muovere gli affetti degli ascoltatori.
Frescobaldi ebbe notevole fama presso i suoi contemporanei, attirando a sé come allievo un
organista della corte di Vienna.

Cap. 20 ORATORIO E ORATORIA


Agli inizi del Seicento a Roma nacque un altro genere musicale: l’oratorio. Se il Concilio di Trento
non ottenne altro scopo che quello di una revisione dottrinale e di un generico invito a una
moralizzazione dei costumi, accanto ad esso alcuni privati cittadini tentarono di dare il proprio
contributo per
l’applicazione del messaggio evangelico in modo più profondo e coerente. A Roma il sacerdote
Filippo Neri impiegò la musica per il suo apostolato. Egli si rese conto che era necessario un
riavvicinamento della gente comune alla pratica religiosa, così iniziò ad incontrarsi regolarmente
con un piccolo gruppo di laici per pregare insieme e discutere in modo informale di problemi
spirituali.
Venne seguito da un numero sempre maggiore di persone. Il papa Gregorio XIII donò a Filippo Neri
la vecchia chiesa di S. Maria in Vallicella, che benne ricostruita (chiamata la Chiesa Nuova) e
accanto ad essa venne inaugurato un oratorio (il primo oratorio). Negli oratori la musica ebbe un
posto di primo piano: come gradevole diversivo tra preghiere, discussioni e prediche, i partecipanti
eseguivano canti religiosi.
Filippo utilizzava le laudi in volgare, con veste polifonica semplice a tre voci. Alcune delle laudi
erano scritte in forma dialogica o drammatica, ma inizialmente non erano molto diffuse, non si
sentiva ancora l’esigenza di teatralità.
Con il passare degli anni il contesto sociale degli oratori cambiò radicalmente: iniziarono ad essere
frequentati da vescovi, cardinali e aristocratici, perciò sempre meno dai fedeli popolari. La gestione
degli esercizi spirituali passò interamente ai professionisti.
Tramontò di conseguenza la pratica del canto comunitario delle semplici laudi, inadatte a soddisfare
un pubblico di alto lignaggio. La produzione musicale per l’oratorio andò cercando nuove strade: si
utilizzò il genere del madrigale, sono famosi i madrigali spirituali di Giovanni Francesco Anerio,
inizialmente monodici ma non vicini al recitar cantando, in seguito l’elemento dialogico – quindi
recitativo – riaffiorò sempre di più. Intorno agli anni 30-40 del Seicento assistiamo a una nuova
congiunzione delle
quattro caratteristiche dell’epoca barocca sotto il segno della musica sacra, nel genere dell’oratorio.
La prassi cinquecentesca di circondare di musica il sermone condusse a due maniere di gestire
l’oratorio musicale: un oratorio lungo diviso in due parti intercalate dalla predica, oppure due più
brevi. Nell’oratorio si mettevano in musica, quindi, uno o due episodi biblici da cui trarre un
insegnamento.
I più importanti compositori della prima fase dell’oratorio sono i fratelli Mazzocchi, Marazzoli, e
Rossi, infine Giacomo Carissimi. Quest’ultimo è famoso per aver scritto non solo oratori in volgare,
ma anche in latino ( su commissione della Compagnia del SS Crocifisso). La grande distinzione tra
oratorio latino e oratorio in volgare è soprattutto ideologica: quello in latino è destinato ad un’élite e
circoscritto ai venerdì di quaresima, quello in volgare è aperto a tutti ed eseguito in qualsiasi
periodo dell’anno.

V Parte I LUOGHI DELL’ARTE BAROCCA


Nel Seicento l’unità stilistica delle epoche precedenti di infranse in una pluralità di stili paralleli il
compositore, ogniqualvolta si accingeva a scrivere musica, doveva scegliere lo stile più opportuno
da utilizzare a seconda delle circostanze per cui era richiesta la sua opera.
Lo scarto stilistico richiesto dalle varie situazioni, nel Seicento, divenne pienamente consapevole e
addirittura codificato nei trattati teorici. Questo può essere dovuto a due fattori:1. avvento della
“seconda prattica” = la prima prattica (polifonia contrappuntistica) non era stata soppiantata dalla
seconda, ma
sopravviveva nello stile della musica sacra. Per la prima volta un nuovo stile non cancellava
completamente lo stile precedente.
2. Nell’ambito della critica letteraria, con la pubblicazione del testo originale della Poetica di
Aristotele, venne iniziata un’opera di codificazione e classificazione dei generi letterari. Nel
Seicento si iniziò a parlare di una teoria dei generi musicali. Così la persistenza della prima prattica
a fianco della seconda e la codificazione dei generi musicali sulla scia di quelli letterari portarono i
teorici seicenteschi ad una riflessione sugli stili musicali appropriati alle varie circostante.
Distinzione tra uno stile da chiesa, stylus ecclesiasticus, uno stile da camera, stylus cubicularis, e
uno stile teatrale, stylus theatralis.
Questa tripartizione era affiancata dalla bipartizione di carattere tecnico-compositivo tra prima
prattica e seconda prattica.

CAP. 21 LA CANTATA DA CAMERA


Il pieno affermarsi della seconda prattica causò profondi mutamenti nella concezione e nella
struttura di quello che era considerato il genere per eccellenza della musica vocale da camera: il
madrigale.
I madrigali non sparirono di colpo, ma in particolare dal 1620 diminuì il numero di nuove edizioni e
di ristampe madrigalistico, anche per la crisi dell’editoria comportata dalla gravissima crisi
economica che affliggeva l’intera Europa con l’inizio della guerra dei Trent’anni. Dunque mutarono
i modi della produzione e della fruizione musicale all’interno delle corti:i musicisti non si
mescolavano più con i gentiluomini per cantare e suonare, ma i musicisti diventarono professionisti
e i gentiluomini meri spettatori.
La predilezione degli aristocratici si spostò su altri generi musicali: il genere che soppiantò il
madrigale fu la cantata, ossia una composizione per una o due voci (duetto da camera)
accompagnata dal basso continuo o da alcuni strumenti (in genere due violini). Il testo poetico
riguardava per la maggior parte dei casi argomenti amorosi, ma vi erano anche cantate sacre.
La prima pubblicazione a stampa in cui compare questo nuovo termine è l’opera di Alessandro
Grandi “Cantade et arie” pubblicate prima dell’anno 1620. Dalla seconda metà del Seicento il testo
della cantata assunse sempre di più il carattere di monologo cantato da un vero e proprio
personaggio, assumendo
un contenuto quasi teatrale nella riproduzione di una particolare situazione psicologica, con lo
scopo di muovere gli affetti. Dunque nella cantata ritroviamo le principali caratteristiche che si
possono
rintracciare in tutta la musica barocca.Roma può essere considerata la culla della cantata; in questa
città mancava una grande corte laica, ma vi erano le piccole corti di numerose e potenti famiglie
aristocratiche (le famiglie dei Colona, degli Orsini, dei Borghese, dei Barberini, etc.) che
patrocinavano attività musicali come elemento indispensabile per l’affermazione del proprio rango.
La cantata era tra queste famiglie il genere più richiesto per diversi motivi:
a. Non era dispendioso, perché richiedeva pochi musicisti e al massimo 2 cantanti
b. Stile raffinato e aggiornato che rispondeva alle nuove esigenze estetiche barocche
c. I testi potevano essere composti dai mecenati stessi o dai letterati della corte
La cantata durò per tutto il Seicento, ma sparì gradualmente nei primi decenni del Settecento,
poiché l’interesse si concentrò su teatro d’opera: il patriziato romano per l’abitudine di assumere
musicisti stabili, preferendo recarsi a teatro per vedere l’opera. L’unico spazio disponibile per le
cantate, nel Settecento e
nell’Ottocento, rimase quello delle occasioni pubbliche e solenni.

Cap. 22 LA SONATA BAROCCA


Fu soprattutto grazie all’attività compositiva di Frescobaldi che la musica strumentale si appropriò
della finalità principale della musica vocale seicentesca, ovvero la capacità di muovere gli affetti
degli ascoltatori.
La “canzone da sonar” venne gradualmente sostituita dalla sonata barocca: inizialmente questi due
generi erano simili, ma dagli anni 1600-1630 un fattore di ordine sociologico li distinse: le canzoni
strumentali erano composte da organisti (quindi da esperti di musica polifonica), mentre gli autori
di sonate
suonavano altri strumenti, in prevalenza violini, e dunque erano maggiormente dediti alla monodia
e meno interessati alla teoria della composizione. La sonata, quindi, libera da qualsiasi rapporto con
le voci umane o con un testo, accolse in pieno le nuove esigenze individualistiche dell’autore
seicentesco, avviandosi ad essere uno dei generi più praticati dell’epoca barocca.
C’erano due tipi di sonate:
1. Sonata a tre due strumenti monodici (in generi due violini) e basso continuo. Il numero degli
esecutori era però variabile, cioè il basso continuo poteva essere realizzato da un solo strumentista o
da molti.
2. Sonata a due o sonata solistica lo strumento monodico sostenuto dal basso continuo è soltanto
uno (un violino in genere), per cui la scrittura musicale si snoda sue due soli pentagrammi e non su
tre.
I primi esempi di questi due generi musicali risalgono al 1610 e sono dovuti a Giovanni Paolo Cima
e a Biagio Marini; tuttavia il più importante compositore di sonate è ARCANGELO CORELLI, che
lavorava a Roma presso il cardinale Benedetto Pamphilj. Corelli influenzò, agli inizi del Settecento,
la predilezione della sonata a due anziché della sonata a tre (praticata nel Seicento). Da Corelli e
Torelli in poi la
scrittura per o strumento solista andò facendosi sempre più virtuosistica, esaltano al massimo le sue
doti tecniche ed espressive.
La sonata si differenziò anche per la destinazione d’uso:
a. Sonata da chiesa la modernità del linguaggio strumentale sonatistico era contaminata dagli
influssi contrappuntistici che provenivano dalla prima prattica. La sonata da chiesa assunse una
struttura fissa, divisa in 4 movimenti tutti nella stesso tonalità, i cui andamenti erano
alternativamente lento-veloce-lento-veloce. Questo genere andò a sostituire il coro polifonico
stabile in quelle chiese che non potevano più
permetterselo.
b. Sonata da camera destinata agli intrattenimenti musicali nei palazzi aristocratici: prese la forma
di musica per danza. La musica per danza fino al Cinquecento era caratterizzata dall’accoppiamento
di una danza lenta con una successiva danza veloce. Nel Seicento nacque la SUITE, che consisteva
in successioni di danze (tre o più) alternativamente lente e veloci, unificate dall’uso di una
medesima tonalità. In genere la musica
per danza era considerata un genere musicale di second’ordine, tuttavia nel Seicento anche i
compositori di musica alta vi si dedicarono, anche se le suites artistiche non erano danzate, erano
virtuosismi,.
Non si deve credere però che il confine tra lo stile “da chiesa” e quello “da camera” fosse
invalicabile. Infatti a mano a mano che ci si avvicinava al Settecento i due tipi andarono sempre più
sovrapponendosi, poiché assorbirono l’uno le caratteristiche dell’altro.

Cap. 23 L’OPERA FRANCESE DEL SEICENTO


Nell’epoca barocca nacque l’idea, risalente all’antica Grecia, che la musica può esercitare effetti
potentissimi sull’animo umano, tali da renderla strumento indispensabile per il mantenimento
dell’ordine politico e sociale. Dunque la musica divenne uno dei mezzi con cui l’autorità celebrava i
propri fasti, muovendo a suo piacimento gli affetti degli ascoltatori per persuaderli di essere sudditi
del migliore dei regni possibili. Questo avveniva soprattutto in Francia, dove nel Cinquecento si
erano diffuse idee neoplatoniche presso l’Académie de poesie et de musique.
Differenze con la Camerata de’ Bardi a Firenze: l’idea di fondo, promulgata in particolare da
CLAUDE LE JEUNE, era che per far rivivere i portentosi effetti della musica antica bisognava
raggiungere una completa fusione tra poesia e musica attraverso un uso particolare del ritmo: il
ritmo musicale doveva ricalcare esattamente quello poetico, cioè bisognava tradurre le sillabe
lunghe e brevi della prosodia in corrispondenti valori lunghi o brevi delle note musicali. Un’altra
differenza: no monodia, i francesi continuarono ad esercitare la polifonia.
L’evento di maggiore importanza fu nel 1581 per le nozze di Margherita di Lorena, occasione per
mostrare al mondo quanto la Francia fosse prospera nonostante le guerre di religione. Tutta Parigi fu
trasformata con opportune decorazione in un immenso simbolo astrologico, al fine di attrarre le
emanazioni positive del cosmo sulla stirpe reale. Per un’intera settimana si susseguirono banchetti,
parate, tornei, spettacoli e soprattutto il Balletto drammatico della regina, lungo 6 ore,
rappresentazione della liberazione di
Ulisse dalla maga Circe ad opera di Giove, con una sofisticata coreografica ideata da Baltasar de
Beaujeux.
Negli anni ’30 del Seicento (sotto Richelieu) i balletti di corte abbandonarono i contenuti allegorici
per celebrare esplicitamente le glorie e i successi militari della monarchia francese. Alle dipendenze
del cardinale Richelieu ci fu GIULIO MAZARINO, cardinale italiano che fu inviato come nunzio
apostolico a Parigi, poi assunse la cittadinanza francese. Egli fece allestire a corte alcune opere
italiane, tuttavia il pubblico elitario
francese non le apprezzò, anzi mostrò un’aperta ostilità verso l’opera italiana: da una parte perché
era lontana dal gusto francese, dall’altra perché vi era in atto un tentativo di ostacolare
l’italianizzazione della vita di corte (nel 1648 ci fu una vera e propria caccia agli artisti italiani).
Nonostante gli sforzi di Mazarino, la Francia rimase l’unico paese europeo in cui l’opera italiana
non riuscì ad attecchire. Si cercò di forgiare un nuovo tipo di spettacolo che rispecchiasse
pienamente i gusti francesi, fornendo anche un’immagine fastosa e trionfale della monarchia
borbonica venne messo in pratica da JEAN BAPTISTE LULLY (Giovanbattista Lulli, nato italiano
ma naturalizzato francese).
Egli presso la corte di Luigi XIV ebbe incarichi sempre più importanti: da valletto da camera, a
compositore della musica strumentale del re, fino a diventare direttore dell’Académie Royale de
Musique. Egli componeva le musiche per i più importanti balletti di corte, dirigeva un gruppo di 16
strumenti ad arco, ma la sua importanza sta nell’aver imposto agli strumentisti uno stile esecutivo
assai diverso da quello italianeggiante: mentre lo stile italiano considerava le note scritte
unicamente come una traccia su cui
l’esecutore poteva improvvisare, il nascente stile francese di Lully pretendeva una maggiore fedeltà
al testo musicale. Negli anni ’60 del Seicento Lully collaborò con Molière per la creazione di
numerose “comédie-ballets”, ossia commedie recitate, intersecate da inserti musicali danzati. Dal
1673 egli portò in scena la prima “tragédie lyrique”, ossia una vera e propria tragedia in versi, il cui
testo era interamente musicato in
un’alternanza di récit e di airs. Lo stile musicale inaugurato da Lully diventò lo stile francese per
eccellenza,
ovviamente anche grazie alla protezione di Luigi XIV.

Cap. 24 L’EUROPA TRA SEI E SETTECENTO


Oltre all’eccezione francese, gli altri stati europei furono influenzati
notevolmente dall’opera italiana.
+VIENNA – IMPERO ASBURGICO
Per ostentare il prestigio della corte imperiale, dopo la metà dei Seicento, a Vienna furono allestiti
spettacoli operistici in lingua italiana per festeggiare gli avvenimenti più importanti; sulla scia della
capitale, ciò avvenne anche nelle piccole corti austro-tedesche. Anche ad Amburgo, una città-stato
autonoma anche se formalmente soggetta all’impero, venne costruito un teatro all’italiana dove
allestire opere, ma la sua
importanza sta nel fatto che il libretto non era scritto in lingua italiana, bensì in lingua
tedesca.Heinrich Schutz è considerato il più grande musicista tedesco del Seicento. Egli trascorse
quasi tutta la sua vita a Dresda, come maestro di cappella della corte di Sassonia, ma fece alcuni
viaggi in Italia, dove entrò in contatto con l’ambiente veneziano e con la “seconda prattica” di
Monteverdi, ancora
sconosciuta in Germania. Uno dei principi più importanti assorbiti dal compositore tedesco fu la
concezione della musica come arte di muovere gli affetti. Ed è questo principio che Schutz
applicherà per il suo repertorio sacro, facendo una sintesi della musica luterana e della seconda
prattica italiana.
+INGHILTERRA
In Inghilterra fino a tutto il Seicento dominava ancora il genere madrigalistico accanto ad una
produzione strumentale dedicata ad uno strumento tipicamente inglese, il virginale (un
clavicembalo con dimensioni ridotte).
Il pubblico londinese accettò l’inverosimiglianza di uno spettacolo drammatico interamente cantato
solo agli inizi del Settecento. Nel Seicento però vi fu un compositore che tentò di introdurre l’opera:
Henry
Purcell. I suoi componimenti, tuttavia, possono essere definiti “semi-opere” perché non erano
interamente cantati: il ruolo della musica era quello di intermezzo, ossia apriva la rappresentazione
e occupava gli spazi tra un atto e l’altro, oppure al massimo era introdotta in momenti in cui
l’azione richiedeva
un intervento sonoro con funzione realistica. Solo una delle composizioni teatrali di Purcell può
rientrare nella tipologia di opera vera e propria: il “Dido and Aeneas”, spettacolo interamente
cantato,
seppur di proporzioni assai ridotte. Un altro genere musicale di intrattenimento tipico
dell’Inghilterra pre-
cromwelliana è il “masque”. Si trattava di sofisticati e sontuosi balletti di corte corredati di musica
vocale e strumentale.
+SPAGNA
La Spagna rimase praticamente impermeabile alla diffusione dell’opera in musica. Il genere che
fiorì nel corso del Seicento è quello delle “zarzuelas”, ossia drammi recitati di argomento
mitologico con inserti musicali.

Cap. 25 IL CONCERTO BAROCCO


Le origini del concerto grosso vanno ricercate a Roma nella produzione strumentale tra Sei e
Settecento.
Attorno al 1670 gli oratori, sia in volgare che in latino, andavano servendosi di un organico
strumentale più ampio.
ANTONIO STRADELLA per primo divise i suoi musicisti in due gruppi:
• Concertino stessi strumenti della sonata a tre, cioè due violini e basso continuo
• Concerto grosso struttura a 4 parti eseguite da violino, viola contralto, viola tenore e basso
continuo
Stradella si serviva di questa suddivisione per le diverse esigenze dell’accompagnamento,
impiegando il concertino nelle arie dei solisti, e riservano il concerto grosso unito al concertino per i
pezzi d’assieme e la
sinfonia introduttiva. Dunque il concertino era costituito dai musicisti più virtuosi che suonavano da
cima a fondo tutta la composizione, mentre gli altri del concerto grosso erano meno virtuosi ed
eseguivano i pezzi d’assieme più semplici.
ARCANGELO CORELLI detto “il Bolognese”
Fece sua la prassi di Stradella. Egli produsse alcune composizioni (op. VI) che ricevettero per
antonomasia il titolo di “Concerti grossi”, essendo interamente imperniate sull’alternanza tra “soli”
e “tutti”. Contrariamente a Stradella, Corelli accentuò il virtuosismo del concertino, richiedendo
sovente ai solisti doti
strumentali di eccellenza.
I 12 concerti grossi di Corelli sono divisibili in concerti da chiesa (con movimenti di carattere
fugato) e concerti da camera (con movimenti in ritmo di danza). L’appropriazione de concerto da
parte di autori veneziani, come ANTONIO VIVALDI, introdusse molte novità rispetto all’impianto
corelliano:
• Il numero dei movimenti venne ridotto a 3
• Veniva applicata ai singoli movimenti la “forma-ritornello”, nella quale la sezione introduttiva del
“tutti” ritorna in varie tonalità
• Si accentuò la dimensione solistica del concertino, approdando con sempre maggiore frequenza
alla composizione di concerti per un unico strumento solista.
Si passò dunque dal concerto grosso al concerto solistico, e ciò avvenne nell’ambito della città di
Bologna, caratterizzata in campo musicale dalla diffusione di musiche per tromba: questo fornì
importanti elementi stilistici che entrarono a far parte dell’idioma musicale del concerto solistico. In
ogni caso, prese piede l’abitudine di scrivere concerti in cui a parte solistica desse modo
all’esecutore di dimostrare tutto il proprio virtuosismo. Il più importante compositore di concerti è
ANTONIO VIVALDI, che ne scrisse
circa 500. Egli inizialmente fu maestro di violino presso il Pio Ospedale della Pietà in Venezia, dove
insegnava musica ai bambini orfani o disagiati, e quindi compose concerti per cantatori e
strumentisti di questo Ospedale. Le allieve dell’Ospedale della Pietà divennero musiciste
professioniste di altissimo livello,
addestrare da anni di studio assiduo e rigoroso.
Ma oltre a questo tipo di composizioni, egli si dedicò anche al teatro d’opera: compose circa un
centinaio di opere. Nel 1720 si trasferì a Mantova come maestro di cappella e di camera del
governatore della città. Qui conobbe la cantante Anna Giraud, che divenne la principale interprete
delle sue opere. La sua fama iniziò a raggiungere una dimensione internazionale: tra il 1725 e il
1735 viaggiò in tutta Europa. Nonostante ciò, gli ultimi anni della vita di Vivaldi lo videro quasi ai
margini della vita musicale dell’epoca, forse per il mutamento di moda. Trascorse gli ultimi anni a
Vienna in condizioni economiche molto precarie.

VI parte ALCUNI PROBLEMI METODOLOGICI: LA “GALLERIA DEGLI ANTENATI”


In questo capitolo si approfondiscono singolarmente le figure di grandi personaggi singoli, che si
ergono come dominatori della loro epoca musicale: è una galleria di antenati celebri.

Cap. 26 BACH E HANDEL


Seppur coetanei, essi ebbero due vite estremamente diverse: se Bach non uscì mai dalla Germania,
ricoprendo sempre incarichi stabili presso le corti o le istituzioni ecclesiastiche, Handel invece fece
l’operista come libero professionista e trascorse la sua vita all’estero. Tuttavia essi celano
un’affinità caratteriale e artistica: entrambi riuscirono a fiutare le novità dell’atmosfera musicale
dell’epoca e a integrarle con il
substrato della tradizione tedesca. Infine una coincidenza: entrambi furono colpiti da cecità e furono
operati
inutilmente dallo stesso chirurgo.
JOHANN SEBASTIAN BACH
Nacque nel 1685 da una famiglia tedesca di musicisti. Cantava come voce bianca nel coro degli
allievi poveri della sua scuola. Nel 1700, a 15 anni, continuò gli studi in una città del nord della
Germania,
vicina ad Aburgo: qui venne a conoscenza sia del mondo organistico, sia della musica francese (il
duca di Celle aveva un’orchestra di musicisti francesi). In seguito egli ricoprì fino al 1708 diversi
incarichi, sempre alla ricerca di una sistemazione migliore, finchè in quella data entrò in contatto,
durante il suo
soggiorno a Weimar, con la musica italiana di Vivaldi, Torelli, Corelli. L’attenzione di Bach fu
attratta subito dalle sconvolgenti innovazioni italiane, così le trasfuse nella sua produzione. Nel
1718 divenne massimo responsabile delle attività musicali della corte principesca di Kothen, città di
religione calvinista, che non ammetteva alcuno sfarzo sonoro nelle celebrazioni liturgiche: egli si
dedicò allora alla musica puramente strumentale e a quello della musica didattica, tralasciando la
musica sacra. Qui vennero alla luce i “Concerti brandeburghesi”, nei quali si nota l’influenza di
Vivali, e le quattro “Ouvertures” per orchestra che invece si
riallacciano allo stile francese.
Nel 1723 venne assunto come Kantor nella chiesa e nella scuola di San Tommaso a Lipsia: qui
scrisse un vastissimo numero di cantate sacre e altre musiche destinate alla liturgia. Dal 1729 non
compose più musica sacra, ma si limitò a riadattare musiche già composte ad altre esigenze
liturgiche. In tale anno assunse la direzione del Collegio Musicale di Lipsia, un’istituzione
totalmente laica; in seguito fu ammesso fra i menìmbri della Società delle scienze musicali fondata
da Lorenz Mizler, composta da musicisti esperti di
filosofia e matematica compose delle opere di una tale complessità contrappuntistica, carica di
pathos, da far assurgere la materia sonora al rango di vera e propria “scienza musicale” grazie anche
al rapporto con la
matematica. I contemporanei, però, non compresero la portata delle riflessioni bachiane; le sue
opere e la sua fama circolarono solo fra gli intenditori.
GEORG FRIEDRICH HANDEL
Nacque nel 1685 in Sassonia, dove si avviò agli studi musicali. Nel 1703 si trasferì ad Amburgo,
dove lavorò nell’orchestra del teatro come violinista e poi come direttore delle esecuzioni.
Nel 1706 partì per l’Italia, alla ricerca delle fonti della musica moderna; qui entrò in contatto con i
musicisti italiani: Corelli, Scarlatti, Vivaldi, etc. Soggiornando prevalentemente a Roma, dove
l’opera era censurata per decreto pontificio, egli sperimentò la sua arte nei generi della cantata da
camera e dell’oratorio. Dopo aver pienamente assimilato lo stile vocale e strumentale
dell’Italia, nel 1710 partì verso Hannover, presso la cui corte fece il maestro di cappella. Si trasferì
presto in Inghilterra, a Londra, dove cercò di imporsi e di imporre l’opera italiana. Ebbe subito
successo, riuscì ad introdursi a corte.
Nel 1718 fu nominato direttore musicale della Royal Academy of Music, il cui scopo era
l’allestimento di opere italiane a teatro. Inizialmente fu da solo, poi venne affiancato dal rivale
compositore italiano Giovanni Bononcini. In ogni caso il pubblico non apprezzò il tentativo della
Royal Academy di introdurre
l’opera italiana, probabilmente perché la lingua italiana risultava del tutto incomprensibile, e i
personaggi erano estranei alla cultura inglese. Handel ricominciò con nuove stagioni operistiche al
King’s Theatre.
Caratteristiche dell’opera handeliana a differenza di quella italiana:
• Tre atti preceduti da un’ouverture alla francese e non da una sinfonia all’italiana
• Linguaggio musicale non tendente alla semplificazione, ma tessuto sonoro con impianto
contrappuntistico e ritmo serrato.
Tuttavia non riscosse successo nemmeno in questo secondo tentativo, nonostante fosse appoggiato
dal re Giorgio II. Tuttavia il genere in cui ebbe maggiore esito positivo fu l’oratorio in lingua
inglese.

Cap. 27 L’OPERA SERIA TRA SEI E SETTECENTO


L’opera seria italiana tra Sei e Settecento è il genere musicale che in assoluto incise profondamente
nel tessuto sociale di un’epoca. Essa si diffuse capillarmente in tutta l’Italia centro-settentrionale,
mentre
l’Italia meridionale – ad eccezione delle città di Palermo e Napoli – non offrì alcuno spazio al
mercato operistico. Il recarsi a teatro divenne gradualmente una consuetudine imprescindibile,
soprattutto nel periodo carnevali zio. Le famiglie nobiliari ari affittavano per la stagione i palchetti,
e andavano lì non solo per assistere allo spettacolo, ma anche per conversare, ricevere amici e
conoscenti, cenare, giocare d’azzardo. Essa era la più importante occasione di divertimento e di
relazioni sociali per le
classi dominanti, nonché occasione per conoscere i grandi temi mitologici e storici. Dunque alla
prima rappresentazione di un’opera vigeva silenzio, ma a tutte le altre repliche il pubblico assisteva
mostrando sonoramente il gradimento o il dissenso nei riguardi dello spettacolo stesso, oppure
dedicandosi anche ad altre attività. Il pubblico dell’opera non voleva trovarsi di fronte alla
rappresentazione
realistica di uomini in carne ed ossa con vicende plausibili, in cui potessero identificar visi:
volevano vedere qualcosa di diverso dalla vita di tutti i giorni, voleva entrare nel regno dell’arte e
della fantasia. Dunque non era tanto interessante la trama, quanto il modo in cui le vicende erano
rappresentate in
modo sempre nuovo (i virtuosismi canori delle arie cambiavano ogni sera per
variare l’esecuzione). Elementi non realistici dell’opera seria:
• Il libretto: non in prosa, ma in poesia. La storia, seppur tragica, era sempre a lieto fine
• I timbri vocali non rispondevano ad un’esigenza di verosimiglianza, ma ad esigenze artistiche: la
voce del protagonista maschile e della protagonista femminile dovevano ergersi su tutte le altre,
essere le più acute. Per questo si sceglievano uomini evirati dalla voce di soprano, o contralti. La
voce di basso non appariva praticamente mai.
• A Roma era considerato immorale che una donna recitasse: le parti femminili erano ricoperte da
castrati travestiti da donna
• Lo stile vocale non era naturalistico: oltre alla declamazione intonata nel recitativo, nelle arie vi
erano i virtuosismi, in cui era posta in secondo piano la comprensibilità del testo in favore del
godimento musicale puro.
/• I personaggi non sembrano persone verosimili: essi sono travolti dagli eventi e piombano da un
affetto ad un altro.
• Lo scorrimento del tempo è irregolare: nel recitativo il tempo della vicenda rappresentata ricalca
quello della vita reale, ma nelle arie il tempo è come cristallizzato: ripetizione di parole, lunghi
vocalizzi,
riproporsi variato dell’intera prima sezione dell’aria. È come se il tempo si fermasse per
concentrarsi su quel sentimento
• Il dramma si svolgeva parallelamente su due livelli: l’azione esteriore portata avanti nel recitativo,
e l’azione interiore (cioè ciò che avviene nell’animo dei personaggi) nelle arie. L’opera seria è
essenzialmente un dramma di affetti contrapposti che si manifestano soprattutto nei pezzi chiusi.
• La realtà rappresentata è ingannevole: tutti gradualmente si rendono conto di essersi sbagliati circa
la propria identità e quella degli altri, e prendono consapevolezza dell’esistenza di una seconda
realtà nascosta
dietro la prima.
Se nel Seicento il gusto per le vicende complicate, ricche di personaggi e di intrecci paralleli era
accentuato, a partire dagli inizi del Settecento iniziò a farsi strada il desiderio di una maggiore
coerenza drammaturgica verso criteri più naturalistici: via intrecci troppo stratificati, via le troppe
arie di sortita e di mezzo, via i personaggi comici e le loro scene buffe (che entreranno a far parte di
un altro genere musicale autonomo: gli intermezzi), via il deus ex machina, via gli argomenti
mitologici e gli elementi sovrannaturali. Scelta di trame di soggetto storico, in cui emergono i
rapporti tra la politica e le esigenze del singolo individuo, contrasto tra amore e ragion di stato. In
quest’ottica vanno inserite le riforme del teatro musicale portate avanti da Apostolo Zeno
(veneziano) e dal romano Pietro Metastasio.
Il mondo musicale Seicentesco era dominato dalla città di Venezia a partire dalla fine del Seicento,
il baricentro iniziò a spostarsi su Napoli, anche grazie al duca di Medinaceli.
Una delle cause che provocò l’indiscusso primato napoletano sull’opera del Settecento fu l’ottimo
sistema di istruzione musicale praticato nei suoi conservatori (istituti analoghi agli ospedali
veneziani). Dal 1710 i compositori napoletani cominciarono ad emigrare altrove in qualità di liberi
professionisti.
Da ricordare: Alessandro Scarlatti, G.B. PErgolesi, Niccolò Piccinni, Niccolò Jommelli, Domenico
Cimarosa, e altri. Da Londra a Stoccarda, a Dresda, a Pietroburgo, intorno alla metà del
Settecento l’opera italiana e napoletana in particolare non trovò rivali, tranne che in Francia.Sempre
in questo periodo si accentuò la volontà di passare dal regno della fantasia a quello della verità: si
cercò di imprimere ai libretti una struttura drammaturgica stringente, in cui l’azione scorresse
ininterrotta dall’inizio alla fine = numero minori di arie, recitativo spogliato di ogni elemento non
essenziale al decorso temporale dell’azione.
Il ruolo del compositore iniziò a prevalere su quello del librettista su influsso della tragédie lyrique
francese si diede maggiore importanza al recitativo accompagnato dall’orchestra, che andò a
soppiantare del recitativo secco: la libera declamazione del cantante su una musica scarna costituita
solo dal basso continuo non sembrava più adatta a suscitare emozioni e condurre l’azione
drammatica; si avvertiva il bisogno di una più massiccia presenza musicale.
L’attore inglese DAVID GARRICK, alla metà del Settecento, inaugurò uno stile di recitazione
inedito, molto verosimile: egli si identificava nel personaggio pienamente, creando negli spettatori
l’illusione drammatica come se il pubblico assistesse realmente ad una scena di vita vissuta. Questo
influenzò moltissimo
il gusto per la verosimiglianza nel teatro europeo.
Un tentativo importante di riforma fu messo in atto dal compositore CRISTOPH WILLIBALD
GLUCK alla corte di Vienna. Il suo scopo era quello di spogliare l’opera italiana dagli abusi con cui
i cantanti e i compositori l’avevano immiserita, attraverso:
• La limitazione del virtuosismo vocale e il “da capo” nelle arie (no discontinuità temporale)
• La sostituzione delle arie sentenziose con testi che facciano emergere le
passioni e i sentimenti
• Il collegamento della sinfonia iniziale con il resto dell’opera
• L’abolizione del recitativo secco e l’aumento dell’importanza dell’orchestra
• L’introduzione di numerose scene per cori e balli
• “restringere la musica al suo vero ufficio di servire la poesia” (cfr Monteverdi)
Tuttavia il suo rimase un tentativo, non riuscì davvero a riformare l’opera italiana, che continuò
nella sua tradizione.

Cap. 28 INTERMEZZI E OPERA BUFFA


La distinzione tra genere serio e genere comico non fu avvertita in modo vincolante fino alla fine
del Seicento all’interno dell’opera seria vi erano alcune scene buffe ad opera di alcuni personaggi
di basso ceto sociale (confidenti o servitori), che avevano un ruolo anche nell’azione seria, ma tra
loro davano
luogo ad autonome scenette comiche.Gradualmente la trama principale sera e la trama secondaria
comica si
separarono. Una causa determinante fu la specializzazione dei cantanti, che si divisero i ruoli fra
seri e buffi.
Le scene buffe andarono coagulandosi in entità sempre più autosufficienti: nei primi anni del
Settecento nacque il genere musicale degli intermezzi. In pratica, lo spettatore assisteva
parallelamente a due spettacoli, l’uno serio e l’altro comico, che si interrompevano a vicenda più
volte. Gli intermezzi erano
un “controdramma”. Caratteristiche degli intermezzi:
• Si svolgevano sul proscenio, perché non necessitavano di scenografie elaborate
• Vicenda ambientata nell’età contemporanea e tra personaggi di ceto sociale basso
• 2 protagonisti
• No intera orchestra, ma qualche strumento ad arco e basso continuo. Tuttavia questo non significa
una minore qualità di esecuzione
• Stile vocale nuovo: declamazione vicina a quella naturale, sillabica, ma comica
• Ritmo nervoso e mutevole, dinamica frastagliata prescritta in partitura, fraseologia frammentata e
ricca di incisi caratteristici
Napoli accolse con ritardo questo genere musicale: solo nel 1715 vennero messi in scena gli
intermezzi, anche se non ancora del tutto autonomi dall’opera seria. Metastasio nel 1724 fu il primo
librettista a scrivere un intermezzo del tutto indipendente dall’opera sera.
A Napoli, comunque, vennero prodotti gli intermezzi più famosi del Settecento. Il successo con cui
venne accolto questo genere musicale ne favorì, dopo gli anni ’30, l’esecuzione totalmente
autonoma, senza alcun dramma serio a cui fare da intermezzo: gli intermezzi andarono ibridandosi
con altre forme di
spettacolo comico, fino a contribuire alla nascita dell’opera buffa. A Napoli esisteva già dal 1709
uno spettacolo musicale comico: la commedia per musica, caratterizzata inizialmente dall’uso del
dialetto napoletano; solo intorno al 1720 iniziò ad avere alcune parti in lingua italiana e con
personaggi
di ceto non soltanto basso. A Venezia negli anni ’30 entrarono in contatto tutti i diversi modi di fare
uno
spettacolo comico in musica: la commedia per musica napoletana, gli intermezzi, le commedie di
prosa, la commedia dell’arte da questo miscuglio nel 1743 nacque la prima vera OPERA BUFFA:
“La Contessina” di Carlo Goldoni.
Tuttavia l’opera buffa acquistò un compiuto livello artistico, tale da farla diventare uno dei generi
musicali più importanti del Settecento, grazie alla collaborazione di Goldoni con Baldassarre
Galuppi (il Buranello).
Oltre all’opera buffa, nacque un nuovo genere musicale: L’OPERA SEMISERIA, nata dal filone
sentimentale-lacrimevole dell’opera buffa.

Cap. 29 DALLO STILE GALANTE ALLO STILE CLASSICO


Nell’ambito operistico, dunque, si senti progressivamente sempre di più l’esigenza di naturalezza e
di sentimento nella musica. Questo avvenne anche nell’ambito della musica strumentale con lo
STILE GALANTE. Lo stile galante era quello prediletto dal “galant homme”, ossia un ideale di
uomo rffinato, colto, gentile d’animo e di modi, libero, spontaneo e non artificioso. Egli prediligeva
un tipo di produzione musicale raffinata ma non artificiosa: una musica scritta spesso per un solo
strumento a tastiera, scritta in
modo assai elementare in modo che sia l’interprete con la sua sensibilità e bravura a renderla più
espressiva, in grado di toccare gli animi degli ascoltatori e commuoverli.
L’accostarsi alla musica di molti dilettanti causò il fiorire di numerosi trattati didattici destinati a chi
non poteva permettersi di mantenere un maestro di musica. In essi troviamo non solo la spiegazione
della tecnica dello strumento, ma anche spiegazioni su numerosi problemi stilistici: senza questi
trattati non
avremmo mai saputo che le partiture della musica in stile galante non solo altri che un lontano
riflesso di quella che doveva essere l’esecuzione.
Lo stile galante si diffuse in tutta Europa ed ebbe il suo apogeo tra il 1750 e il 1775. I suoi autori
più rappresentativi sono tedeschi e italiani: Galuppi (autore anche di opere buffe veneziane), Platti,
Sammartini, Paradisi, Quantz, Marpurg, Bach (il figlio londinese), Wagenseil.
Accanto allo stile galante, alla fine del Settecento e agli inizi dell’Ottocento, tre compositori
incarnarono quello che fu lo stile per eccellenza di quel periodo: IL CLASSICISMO VIENNESE.
Si tratta di Haydn, Mozart e Beethoven. Nella seconda metà del Settecento, la produzione
strumentale europea registra
una molteplicità di indirizzi diversi, a fronte dei quali lo stile classico non è che uno dei tanti. Anche
la forma-sonata era già stata sperimentata da molti compositori. Tuttavia è per opera di Haydn che
la forma-sonata divenne quel principio formale capace di dare la sua impronta ad un’epoca intera.
FRANZ JOSEPH HAYDN
Nacque nel 1732 in Austria. Da bambino fece la voce bianca nel coro di una cattedrale viennese:
dunque
‘istruzione musicale ricevuta tendeva principalmente ad educarlo ai compiti
pratici di cantore. Verso i 18 anni cambiò voce e venne licenziato dal coro: seguirono alcuni anni
piuttosto duri per lui. Tuttavia per caso venne a conoscenza di Metastasio e di Niccolò Porpora, e di
quest’ultimo divenne l’accompagnatore al cembalo in questo modo potè usufruire degli
insegnamenti di uno dei massimi musicisti dell’epoca e potè introdursi nell’alta società
viennese.Nel 1761 venne assunto come vice maestro di cappella dal principe Esterhàzy, un
esponente di una delle più ricche e potenti famiglie dell’impero austroungarico.
Nell’immensa reggia del principe, venivano organizzati intrattenimenti culturali di alto livello:
spettacoli di prosa, spettacoli di marionette, musica. Haydn divenne ben preso Kapellmeister, cioè
responsabile di tutte le attività musicali di corte. Egli produsse ogni genere di musica: dalla musica
sacra, alla musica di
intrattenimento e da camera, alla musica per teatro (sia opere serie che opere buffe). Si adoperò
anche per organizzare rappresentazioni di opere altrui, riuscendo a rimanere aggiornato su tutte le
novità artistiche della sua epoca.Il mondo galante e sensibile fu da lui trasformato in uno stile che
contemperava pienamente espressività e razionalità, contrappunto armonia e melodia: un vero e
proprio stile classico, che Haydn consegnò a Mozart e Beethoven. Diventò famoso in tutta Europa.
Nel 1790 il principe morì, e il figlio sciolse l’orchestra. Haydn continuò a ricevere lo stipendio, ma
di fatto era libero da qualsiasi mansione a palazzo. Si trovò quindi nella posizione di musicista
indipendente andò a Londra, dove ricevette la laurea honoris causa ad Oxford.
Nel 1795 tornò definitivamente a Vienna, e la sua tarda produzione fu dedicata alla musica sacra.
Morì nel 1809 a Vienna.

Cap. 30 WOLFGANG AMADEUS MOZART


- Nasce nel 1756 a Salisburgo.
- Produzione incredibilmente vasta, nonostante la morte prematura.
- Il padre, Leopold Mozart, si rese subito conto dell’incredibile potenziale del figlio, e fece di tutto
per permettergli di arrivare al successo che meritava; a partire dai suoi 6 anni, il piccolo Mozart
intraprese una lunghissima serie di viaggi, mirati alla sua istruzione musicale.
- Il bambino prodigio suonò brillantemente in tutte le principali corti europee, suscitando stupore e
ammirazione (Mozart dava spettacolo, si esibiva bendato, cantava, faceva buffonerie…).
- 1762: viaggi a Monaco e alla corte di Vienna contatti con l’opera italiana e con lo stile galante di
Wagenseil.
- Viaggi a Londra (dove entrò in contatto con lo stile galante di J.C. Bach), a Parigi (contatto con la
musica di Schobert), a Mannehim (conoscenza della prestigiosa orchestra di Mannehim).
- 1768: Vienna, rappresentazione del primo singspiel di Mozart, Bastien und Bastienne.
- 1769: a Salisburgo viene messa in scena la prima opera buffa di Mozart, La finta semplice.
- 1769: partenza per l’Italia:
♦ Milano: contatto con il sinfonismo di Sammartini, e con l’opera di Piccini. Messa in scena
delle opere serie Mitriade, re di Pontoe Lucio Silla, nel 1770 e nel 1772, e della festa
teatrale Ascanio in Alba, nel 1771
♦ Bologna: teorie del contrappunto di Battista Martini.
♦ Firenze: virtuosismo violinistico di Nardini.
♦ Roma: tradizione polifonica della cappella Sistina.
♦ Napoli: opera seria e buffa di Jommelli e di Paisiello.
Nonostante i preziosi spunti appresi nel viaggio in Italia, Mozart non ottenne incarichi stabili e
di prestigio, a causa della stima superficiale che gli era riservata, per via della sua giovane età.
- 1773: soggiorno a Vienna contatto con lo stile classico di Haydn: Mozart vede questo stile come
la giusta strada da percorrere, una musica dalla struttura formale solida e autosufficiente.
- 1774: Sinfonia K183 in sol minore, Sinfonia K201 in la maggiore.
- 1775: scrittura di numerosi concerti, tra cui il concerto per pianoforte e orchestra K271 in mi
bemolle maggiore.
- 1775: Monaco, esecuzione dell’opera buffa La finta giardiniera.
- 1775: Salisburgo, esecuzione del dramma per musica metastasiano, l re pastore.
- 1777: ritorno a Mannehim numerosi stimoli nuovi, legati alla conoscenza del musicista
Cannabich, al contatto con la nuova tecnica del melologo, e all’innamoramento con la cantante
Aloysia Weber.
- 1778: viaggio a Parigi, numerosi eventi negativi morte della madre, infedeltà di Aloysia,
difficoltà economiche.
- Nel 1779, Mozart viene assunto come konzertmeister organista del Duomo di Salisburgo
(composizione della Messa K317, dei Vesperae solennes de confessore </i>K339).
- 1781: Monaco, messa in scena dell’ Idomeneo, re di Creta si tratta di un’opera seria italiana che ha
però numerosi legami con la tragédie lyrique francese e con le opere riformate di Gluck
successo.
- Nello stesso anno, Mozart fu licenziato dal suo incarico di konzertmeister dal principe arcivescovo
Colloredo: Amadeus si era rifiutato di rientrare a Salisburgo, dopo essere stato con Colloredo a
Vienna, in occasione della morte dell’imperatrice Maria Teresa. Tentativo di Mozart di essere
accettato alla corte viennese:
♦ 1781: Mozart suonò davanti all’imperatore e al granduca di Russia.
♦ 1782: successo del suo Singspiel, Il ratto dal serraglio(nonostante l’imperatore Giuseppe
II la ritenesse una composizione troppo complicata, Gluck ne chiese un’esecuzione
supplementare).
♦ In questo periodo Mozart frequenta anche la casa del barone Gottfried van Swieten diretta
conoscenza delle composizioni di Bach e Händel, contatto con Haydn (profonda amicizia e
stima: Mozart dedicò i suoi sei Quartetti per archi op. 10 a Haydn).
♦ Completa maturazione dello stile di Mozart.
♦ 1786: opera buffa,Le nozze di Figaro, libretto di Lorenzo da Ponte iniziale successo,
spentosi a seguito delle critiche alla musica di Mozart, definita troppo complicata.
♦ 1787: Don Giovanni successo trionfale: Mozart viene nominato compositore di corte, ma
si tratta solo di un titolo onorifico, molto inferiore a quello di kappellmeister.
♦ 1789: situazione economicamente sempre più difficile (legata anche alle nozze con
Constanze Weber, e alla nascita del loro figlio).
♦ 1790: successo dell’opera buffa Così fan tutte, troncato dalla morte dell’imperatore le
rappresentazioni vennero interrotte.
♦ 1791: gli viene commissionata un’opera seria per l’incoronazione del re di Boemia, su testo
del Metastasio,Clemenza di Tito, eseguita a Praga.
♦ 1791: Singspiel Il flauto magico.
♦ 1791: prematura morte di Mozart, a causa di una febbre infiammatoria reumatica

La produzione di M. fu di una quantità veramente prodigiosa, specialmente se si confronta con la


sua breve vita: il catalogo delle sue opere, compilato da Ludwig von Köchel nel 1862, elenca 626
composizioni (che si indicano col numero del catalogo preceduto dalla iniziale K). Tutte le forme di
ogni genere interessarono l'inesauribile facoltà inventiva di M., dalla musica vocale sacra e profana
alla musica teatrale, dalla musica sinfonica a quella da camera. Egli scrisse 21 opere, 49 sinfonie, 25
concerti per pianoforte e orchestra, 5 concerti per violino e orchestra, 23 quartetti per archi, 17
sonate per pianoforte, 35 sonate per violino e pianoforte, e inoltre messe, cantate, litanie, vespri,
composizioni liturgiche minori, sonate da chiesa, arie con orchestra, Lieder, canoni, trii, quartetti
per varî strumenti, quintetti, marce e danze per orchestra, divertimenti, serenate, cassazioni, concerti
per diversi strumenti e orchestra. L'arte di M. è complessa e molteplice, opera geniale di un
indiscusso protagonista dei mutamenti culturali europei del tardo Settecento. L'apparente facilità
della sua musica ha consentito letture critiche spesso persino contrastanti; all'interpretazione
"classica" di O. Jahn (contenuta nella documentata biografia di M. pubblicata tra il 1856 e il 1859) e
a quella "storica" (1911-46) di Th. de Wyzewa e G. de Saint-Foix si contrappongono quella
"preromantica" di A. Einstein (1945) o quella "espressiva" di E. Hanslick (1854). La molteplicità
delle critiche testimonia l'universalità del genio mozartiano, ricco di elementi diversi, di influenze
(soprattutto italiane e tedesche) mirabilmente assimilate e lasciate alle spalle, capace di un raro
equilibrio tra la facilità dell'invenzione e la necessità della strutturazione formale, tra contenuti
spirituali e configurazioni morfologiche. Nel trapasso epocale dall'ancien régime all'età
rivoluzionaria M. fu perno nodale: la sua musica, pur non rinunciando a tratti di serenità e
compostezza sempre interiori, è difatti permeata di una sensibilità ormai indiscutibilmente moderna.
Lo Stile Mozartiano

Le composizioni di Mozart e di Haydn appartengono a un periodo storico – la seconda metà del


XVIII secolo – durante il quale avvenne nella musica occidentale l'evoluzione dal cosiddetto stile
galante a un nuovo stile, detto in seguito classico, che avrebbe accolto in sé anche gli elementi
contrappuntistici, che caratterizzavano la tarda musica barocca e proprio in reazione alla cui
"complessità" si era sviluppato lo stile galante.

Lo stile della musica di Mozart non solo segue da vicino lo sviluppo dello stile classico, ma senza
dubbio contribuisce in modo fondamentale a definirne le caratteristiche, in modo tale da poter
essere considerato esso stesso l'archetipo. Mozart fu uno straordinario compositore che si dedicò
con apparente semplicità a tutti i principali generi dell'epoca: scrisse un gran numero di sinfonie,
opere, concerti per strumento solista, musica da camera (fra cui quartetti e quintetti d'archi) e sonate
per pianoforte. Benché per nessuno di questi generi si possa affermare che egli fu il "primo autore",
per quanto riguarda il concerto per pianoforte si deve riconoscere che esso deve a Mozart, autore e
interprete delle proprie composizioni, il grandioso sviluppo formale e di contenuti che avrebbe
caratterizzato questo genere nel secolo successivo. Lo stesso Beethoven nutriva grande
ammirazione per i concerti per pianoforte mozartiani, che furono il modello dei suoi concerti, in
modo particolare i primi tre per pianoforte.
Mozart rinnovò il genere musicale del concerto: il discorso musicale si svolge come dialogo
paritario fra due soggetti di uguale importanza, il solista e l'orchestra. Mozart scrisse concerti per
pianoforte, violino, flauto, oboe, corno, clarinetto, fagotto. Mozart scrisse anche un gran numero di
composizioni sacre, fra cui messe, e composizioni più "leggere", risalenti per lo più al periodo
salisburghese, come le marce, le danze, i divertimenti, le serenate e le cassazioni.
I tratti caratteristici dello stile classico possono essere ritrovati senza difficoltà nella musica di
Mozart: chiarezza, equilibrio e trasparenza sono elementi distintivi di ogni sua composizione.
Tuttavia, l'insistenza che a volte viene data agli elementi di delicatezza e di grazia della sua musica
non riesce a nascondere la potenza eccezionale di alcuni dei suoi capolavori, quali il concerto per
pianoforte n. 24 in do minore K. 491, la Sinfonia n. 40 in sol minore K. 550 e l'opera Don Giovanni.
A questo proposito, Charles Rosen ha scritto:
«Solamente riconoscendo che la violenza e la sensualità è al centro dell'opera di Mozart è possibile
fare il primo passo verso la comprensione delle sue strutture e della sua magnificenza. In un modo
paradossale, la caratterizzazione superficiale di Schumann della sinfonia K. 550 in sol minore può
aiutarci a comprendere il demone di Mozart in modo più completo. Nell'opera di Mozart ogni
suprema espressione di sofferenza e terrore ha qualcosa di sorprendentemente voluttuoso.»

Soprattutto nell'ultimo decennio di vita Mozart esplorò l'armonia cromatica con una intensità
raramente ritrovata in altri compositori del suo tempo. Scrive Hermann Abert:
«Neppure l'uomo normale si dà pena di imitare alcuna cosa di cui non rechi già in sé l'embrione.
Nel genio questa scelta reca già l'impronta dell'atto creativo. Essa è infatti il primo tentativo di una
presa di posizione, d'un affermarsi nei confronti della tradizione: tentativo che dovrà agguerrirlo a
rifiutare ciò che gli sia estraneo o d'intoppo e non soltanto a imitare ma a "ricreare" e assimilare
ogni elemento congeniale. Non dovremo quindi mai dimenticare che la grandezza di Mozart sta nel
suo "io", nella sua forza creativa; non nel materiale col quale si è cimentato.»

Fin da fanciullo Mozart aveva mostrato che era capace di ricordare e imitare senza alcuna difficoltà
la musica che aveva l'occasione di ascoltare. I suoi numerosi viaggi consentirono al giovane
compositore di far sua una rara collezione di esperienze attraverso le quali Mozart creò il suo unico
linguaggio compositivo.
La ricerca critica e musicologica sull'opera di Mozart è al centro del monumentale lavoro in cinque
volumi Mozart - Sa vie musicale et son oeuvre (1912-1946) di Teodor de Wyzewa e Georges de
Saint-Foix. Attraverso un metodo di analisi scrupolosa delle influenze dovute all'ambiente musicale
col quale Mozart si confrontò nel corso della sua breve vita, i due musicologi arrivarono a
suddividere l'opera di Mozart in 34 fasi stilistiche diverse, ciascuna di esse sotto l'influenza di un
dato modello. Questo "approccio riduttivo", tuttavia, è stato in seguito criticato e messo in
discussione, fra gli altri da Paumgartner:
«Nella compiaciuta infatuazione di quei confronti critico-stilistici, si tralasciò anzitutto di cercar di
scoprire in virtù di quali leggi più profonde la musica di Mozart, nonostante le innegabili
reminiscenze dei modelli contemporanei, risulti così sostanzialmente diversa da questi e, appunto
perciò abbia potuto svilupparsi assumendo forme proprie, originali e durature»

Mozart era ancora bambino durante il soggiorno a Londra quando incontrò Johann Christian Bach e
ascoltò la sua musica. A Parigi, Mannheim e Vienna, egli ascoltò i lavori dei compositori attivi in
quei luoghi così come la famosa orchestra di Mannheim. In Italia ebbe modo di conoscere e
approfondire la ouverture italiana e l'opera buffa dei grandi maestri italiani del Settecento e questa
esperienza sarebbe stata di fondamentale importanza nello sviluppo successivo della sua musica.
Sia a Londra sia in Italia, lo stile galante dominava la scena: uno stile semplice, quasi da "musica
leggera", caratterizzato da una predilezione per le cadenze, da una enfasi sulle frasi nella tonalità
fondamentale-dominante-sottodominante (escludendo così altri accordi) e dall'uso di frasi
simmetriche e di strutture articolate in modo chiaro.
Lo stile galante, che fu l'origine dello stile classico, era nato come reazione alla "eccessiva
complessità" della tarda musica barocca. Alcune delle sinfonie giovanili di Mozart hanno la forma
di ouverture in tre movimenti nello stile italiano; molte di queste sono "omotonali", ossia tutti i tre
movimenti sono nella stessa tonalità, essendo il movimento lento centrale nella relativa tonalità
minore. Altri lavori "imitano" la stile di Johann Christian Bach, mentre altri ancora mostrano la
semplice forma bipartita in uso fra i compositori viennesi.
Passando dalla giovinezza alla prima maturità, Mozart iniziò a inserire alcune delle caratteristiche
fondamentali dello stile barocco all'interno delle proprie composizioni: per esempio, la Sinfonia n.
29 in la maggiore K 201 impiega nel primo movimento un tema principale in forma
contrappuntistica e sono presenti anche sperimentazioni con frasi di lunghezza irregolare. A partire
dal 1773 appaiono nei quartetti dei movimenti conclusivi in forma di fuga, probabilmente
influenzati da Haydn, che aveva incluso finali in questa forma nei quartetti dell'opera 20.
L'influenza dello stile Sturm und Drang, che preannuncia col suo carattere la futura era romantica è
evidente in alcune delle composizioni di quel periodo di entrambi gli autori, fra cui spicca la
Sinfonia n. 25 in sol minore K 183, la prima delle due uniche sinfonie in tonalità minore scritte da
Mozart.

Mozart fu anche uno dei grandi autori di opere; egli passava con grande facilità e naturalezza dalla
scrittura strumentale a quella vocale. Le sue opere appartengono ai tre generi principali in voga alla
fine del Settecento: l'opera buffa (Le nozze di Figaro, Don Giovanni e Così fan tutte), l'opera seria
(Idomeneo e La clemenza di Tito) e il Singspiel (Il ratto dal serraglio e Il flauto magico). In tutte le
sue grandi opere Mozart impiega la scrittura strumentale per sottolineare lo stato psicologico dei
personaggi e i cambiamenti di situazione drammatica. La scrittura operistica e quella strumentale si
influenzano a vicenda: l'orchestrazione via via più sofisticata che Mozart adotta per le composizioni
strumentali (sinfonie e concerti in primo luogo) viene adottata anche per le opere, mentre l'uso
particolare che egli fa del colore strumentale per evidenziare gli stati d'animo ritorna anche nelle
ultime composizioni non operistiche.
Cap.31 Ludwing van Beethoven

Beethoven, Ludwig van. - Musicista . Contemporaneo e lettore di I. Kant, W. Goethe e F. Schiller,


incarna la nuova figura del compositore moderno: con lui l'espressione dell'interiorità dell'artista e
delle sue dolorose vicende esistenziali viene in primo piano. Con il suo lavoro, inoltre, la nuova
coscienza storica e morale che aderisce ai grandi ideali di libertà e giustizia emersi dalla
Rivoluzione francese investe la creazione musicale.

Discendeva da famiglia di musicisti d'origine fiamminga. L'avo Ludwig venne a Bonn nel 1732,
cantore prima, poi direttore d'orchestra del vescovo-elettore di Colonia; suo figlio, Johann, tenore e
violinista presso la stessa corte, uomo disordinato e dedito all'alcool, ridusse la famiglia in
condizioni penose. Da Magdalena Kewerich, vedova d'un valletto di corte, ebbe 6 figli, dei quali
non sopravvissero che Ludwig, Kaspar e Nikolaus. L'infanzia di B. fu triste e disagiata: il padre, il
cui unico scopo era di sfruttare le disposizioni musicali del ragazzo per esibirlo in pubblico quale
"fanciullo prodigio", gli imponeva rudemente lunghe ore di esercizio sul cembalo e sul violino.
L'istruzione generale si limitò a qualche anno di elementare.
Alle discipline musicali provvide dapprima il padre, poi il clavicembalista T. Pfeiffer, il violinista F.
Rovantini, gli organisti W. Koch e G. van den Eeden e, finalmente, il primo dei veri maestri di B.,
Chr. Gottlob Neefe, che istradò il B. all'armonia e al contrappunto. Presto il ragazzo poté entrare
nell'orchestra di corte come violinista e supplire il Neefe quale organista. L'ambiente di Bonn
comincia ad accoglierlo: il futuro medico F. Wegeler, la famiglia Breuning, il conte F. v. Waldstein
s'interessano di lui, e il conte gli procura una borsa di studio per Vienna (dove B. avvicina W.A.
Mozart), non sfruttata interamente perché di lì a poco egli doveva ritornare a Bonn per assistere la
madre morente. Cinque anni ancora a Bonn, quale cembalista al teatro e violinista in orchestra. Solo
conforto, oltre il lavoro, la calda simpatia dei Breuning (specialmente di Eleonora), del Waldstein,
dei musicisti F. Ries, i due Romberg, J. e A. Reicha. Nell'89 si iscrive all'università dove assiste alle
lezioni kantiane del van Schüren e l'anno seguente per la prima volta avvicina J. Haydn, di
passaggio a Bonn. Nel 1792, per intercessione del Waldstein, l'Elettore permette a B. di ritornare a
Vienna, per "raccogliere" - come scrisse il Waldstein - "lo spirito di Mozart dalle mani di Haydn".
Grazie alle commendatizie del Waldstein, l'ambiente viennese, anche l'aristocratico, l'accoglie con
grande simpatia: i Lichnowsky, i Browne, i Liechtenstein, gli Schwarzenberg, i Thun, i
Lobkowitz lo ricercano per le loro serate, e Lichnowsky lo ospita e più tardi lo sovvenziona.
Intanto B. studiava seriamente la composizione, dapprima presso Haydn (con scarso interessamento
da parte del maestro), poi presso il celebre contrappuntista J.G. Albrechtsberger e A. Salieri. A
partire dal 1796 era acclamato quale concertista di pianoforte a Praga, a Berlino, a Vienna, forse
anche a Lipsia e a Dresda. Dal 1795 era iniziata la pubblicazione delle sue musiche con i tredici trii
op. 1 dedicati al Lichnowsky. A una relativa popolarità pervenne presto la romanza Adelaide e tra il
1796 e il 1800 si svolse rapidamente la pubblicazione dei lavori già scritti in precedenza e di quelli
via via prodotti: tra l'altro, le prime sonate per pianoforte, il settimino (subito diffuso nel favore
generale), i primi quartetti, i due primi concerti per pianoforte e la prima sinfonia. Anni, questi, di
buona fortuna per il B., che alla nascente gloria di compositore univa i successi del pianista,
guadagni sufficienti, ammirazione e simpatia di nobili ambienti intellettuali. Anche quale
insegnante era ovunque ricercato: lo stesso arciduca Rodolfo tra poco sarà suo allievo e resterà suo
affezionato ammiratore e sostenitore fino alla morte.
Primi amori, primi idillî sbocciano tra il B. (pur non bello di persona) e gentili fanciulle: Giulietta
Guicciardi, Teresa di Brunswick e altre. Nascono allora le belle pagine della sonata op. 27 n. 2
(1801), poi detta "del chiaro di luna" e dedicata alla Guicciardi, la lettera "all'immortale amata"
(1801), forse Teresa di Brunswick, che esprimono l'incontenibile effusione dei tesori d'amore e di
tenerezza del giovane animo, destinato a tante delusioni, fino a che il B. non diverrà chiuso e restio
a ogni convivenza di società. Ma intanto una sciagura tremenda minacciava il musicista: la sordità,
che egli non si riduce a confessare se non nel 1801, dopo due anni di sofferenza, a due amici
lontani: F. Wegeler e C. Amenda.
Nelle lettere, come nelle opere, cominciano ad apparire le note ineguagliabili dell'animo
beethoveniano: dolore, breve rassegnazione, lotta e ribellione contro il destino, fede in un lontano e
arduo, ma splendido trionfo del bene. Talora accoglie per salvatrice l'idea della morte. Dopo il
cosiddetto "Testamento di Heiligenstadt" (prosa del 1802) che tenta una riconciliazione con la vita,
la morte coronata da un episodio grave e glorioso riappare, dalla sonata op. 26 (1801), nella
complessità della terza sinfonia (Eroica, 1803). Certo, l'alta moralità di B. rifiuta l'idea del suicidio.
Egli si rifugia piuttosto nella sua fervida vita interiore, si crea un mondo ideale in cui urgono,
aspirando a un'alta conciliazione, idee e fantasmi di religiosità, di libertà morale, di civile attività,
sensi d'amore alla natura, anelito alla sana gioia; e ne compone sintesi musicali gagliarde e audaci,
aspre talora per contrasti ideali, ma luminose sempre di poesia.
Nei tre primi lustri del secolo la sua arte avanza dalla seconda all'ottava sinfonia, dal balletto
Prometeo al Fidelio, alle musiche per l'Egmont; e intanto nascono gli altri tre concerti per
pianoforte, quello per violino e quello per trio e orchestra, gli altri quartetti fino all'op. 95, alcuni
trii, tutte le sonate per violino e quelle per violoncello op. 102, le altre sonate per pianoforte fino
all'op. 90, le altre composizioni per canto fino all'op. 99. Opere accolte ora dall'entusiasmo ora dalla
freddezza o addirittura dal dileggio. Ma s'accrescono le schiere degli ammiratori e degli amici: F.
Röchlitz, E.T.A. Hoffmann, il principe Rasumovskij, la contessa Erdödy, la baronessa Erdmann, A.
Streicher, il medico Malfatti, e - gradatamente - il gran pubblico. Nel 1807 Girolamo re di Vestfalia
lo vuole Musikdirektor alla sua corte, ma l'arciduca Rodolfo e i principi Lobkowitz e Kinsky lo
trattengono offrendogli una pensione annua di 4000 fiorini. Avvicina egli inoltre i letterati Chr. A.
Tiedge, K.A. e Rahel Varnhagen, Bettina Brentano (che entusiasta scrive di lui a Goethe) e il
Goethe stesso.
Nel 1813 un gran successo di pubblico arride a B. per la mediocre sinfonia intitolata La Battaglia di
Victoria (in onore del duca di Wellington) nello stesso concerto da lui diretto, in cui presentava per
la prima volta la VII sinfonia. Forse anche per il trionfo della Battaglia si riprese al Hoftheater il
Fidelio, questa volta con grande plauso. Nel 1815, i monarchi e i potenti radunati al congresso di
Vienna resero grandi onori al B. Il periodo di fortuna si concludeva però ben rapidamente: poco più
di dieci anni restano al maestro, da vivere nell'inquietudine e nella tristezza: malattia, misantropia,
bisogno, affanni d'ogni sorta. Dal 1816 la sordità è pressoché totale; per conversare col B. bisogna
ormai scrivere: egli non può più suonare in pubblico, né dirigere. Se vi si attenta, amarissima è la
delusione. La stessa fantasia del compositore sembra arrestarsi per lunghe soste: tra il 1816 e il
1822 non nascono che cinque sonate per pianoforte (tra le più belle, però), l'ouverture Zur Weihe
des Hauses e poche cose di secondaria importanza.
Ma ecco gli ultimi anni: dal 1819 al 1823 sorgono i monumentali edifici della Messa solenne in re e
della nona sinfonia, dal 1824 al 1826 i sublimi quartetti dall'op. 127 alla 135. La Messa, ideata per
la consacrazione dell'arciduca Rodolfo come arcivescovo di Olmütz, fu eseguita nel 1825 - vivo
Beethoven - solo in parte, con la nona sinfonia. E B. voleva ancora comporre. Nel 1822 il Röchlitz
l'aveva trovato non del tutto infelice: tante nuove musiche apparivano alla mente dell'artista: una
decima sinfonia (di cui restano appunti), un oratorio Saul, musiche per il Faust di Goethe, un'opera
Melusina e altro. Ma penosa era invece l'impressione che di lui ricevevano altri visitatori: F.
Schubert, F. Liszt, C.M. v. Weber, G. Rossini, F. Hiller, C. Zelter, A. v. Rellstab, ecc. Pochi lo
assistevano in quella sua triste dimora dello Schwarzpanierhaus: devoto tra tutti quell'Anton
Schindler che fu poi tra i primi suoi biografi. Negli ultimi tempi le ristrettezze finanziarie
aumentarono e soltanto 10 giorni prima di morire egli ricevette un generoso aiuto attraverso un
sussidio di 100 sterline inviatogli dalla Società filarmonica di Londra.

Essenza e significato dell'arte beethoveniana


La musica è il vincolo che unisce la vita dello spirito alla vita dei sensi, ed è l'unico immateriale
accesso al mondo superiore della conoscenza. Nella musica l'uomo vive, pensa e crea". Tanto
Bettina Brentano riferisce a W. Goethe (1810) quali parole del Beethoven. E certo qualche cosa in
queste parole, probabilmente prestate dalla stessa Bettina, aderisce intimamente ai moti più
profondi, alle più alte aspirazioni dell'arte beethoveniana. La quale, appagando tale anelito in forme
di sovrana bellezza, costituisce una delle somme manifestazioni estetiche del genio, pari soltanto,
nell'epoca moderna, a quella d'un Michelangelo e d'uno Shakespeare. Come questi, e come un
Alighieri, il B. è, più che un figlio, un dominatore e un maestro delle generazioni che si muovono
nei suoi giorni. In special modo egli è di quelli che più profondamente sentirono la necessità d'una
armonia tra arte, pensiero e idealità morale.
L'evidenza di una rappresentazione della dialettica spirituale in dialettica di movimenti formali nel
seno dell'opera d'arte aveva annunziato la propria urgenza già nei predecessori di B.: K. Ph.
Emanuel Bach, W. Rust, J. Haydn, W.A. Mozart: annunzî non nutriti però, né sviluppati da una
consapevolezza e da una volontà così piene e così chiare come in Beethoven. Carattere forte,
energico, egli parte da una visione realistica della vita, da esperienze concrete, da un amore per la
natura, da un sentimento di consanguineità e di solidarietà morale con l'umanità e concepisce l'opera
d'arte sotto un impulso appassionatamente cordiale. Trascorsa appena l'età giovanile del settimino,
dei primi quartetti, delle due prime sinfonie, la concezione dell'Eroica lo mostra impegnato ormai a
un indirizzo sentimenti e di quegli impulsi.
Assai più spesso che la dolcezza e i sogni d'amore (sonata op. 27 e seconda e quarta sinfonia, ecc.)
urgono ormai al suo spirito altri problemi d'interesse più vasto: primo e massimo quello dello spirito
anelante - contro la materia e il destino - alla propria affermazione, alla propria libertà. Problema
che aveva già pervaso di sé le maggiori personalità del Settecento da J.-J. Rousseau a F. Schiller, da
I. Kant a W. Goethe (e meglio degli altri l'avevan per lui formulato uno Schiller e un Kant) e che
nell'arte di B. d'improvviso risolve, nell'Eroica, la sinfonia in vero e proprio dramma. Una raggiunta
conoscenza, un impulso d'azione portano nell'Eroica la libertà umana - intesa nel senso più generale
- al trionfo. La materia sonora s'è piegata al ritmo dell'idea, come l'idea, nel vigore di affetti ond'è
sentita, s'è fatta forma: il ritmo della sua dialettica s'è interamente risolto nel ritmo della dialettica
artistica; più spesso, nella dialettica tematica della sonata, forma prediletta nella quale il B. farà
affluire gli stilemi più nuovi e più eterogenei e della quale, d'altro canto, trasporterà gli elementi -
appunto - tematici nelle altre forme da lui coltivate: Lied (vocale e soprattutto strumentale),
variazione, rondò, fuga, scherzo, ecc., nutrendo la sua sostanza - sempre più spesso - di espressioni
armonistiche, di contrappunto, di timbri e d'impasti orchestrali, i più potenti che fino allora si
fossero uditi.
Ed ecco vicino all'Eroica, tra l'Eroica e il Fidelio, nascere le tante altre fioriture: capolavori come le
sonate op. 53 e 57 per pianoforte, l'op. 47 per violino, eteromorfe conferme di quell'affermazione.
Col Fidelio è la libertà dell'individuo che cerca la propria realizzazione. La Quarta sinfonia placa
l'urgenza degli eroismi di Fidelio in una pausa, o meglio in un acquetamento tra l'affettuoso e
l'umoristico, non scevro di colori romantici, appagato, si direbbe, nel piacere stesso dell'arte, che vi
è nitidissima. Forse per effetto della quasi contemporanea composizione del Fidelio, la Quarta
segna il passaggio della sostanza poetica - nel campo sinfonico - dal mondo esterno al puro mondo
spirituale; di qui innanzi quando si ripresenti alla fantasia un modello esteriore, una "persona", la
trasfigurazione musicale ne è afflidata alle ouvertures (che già tanto fulgore di vita, di
rappresentazione drammatica hanno nel Fidelio: le tre versioni dell'ouverture intitolata Leonora e
l'ouverture in mi maggiore che conserva il nome dell'opera, Fidelio): Egmont, Coriolano
mostreranno l'eroe che - di fronte alla società ostile - afferma la propria libertà scegliendo la morte.
Per ora, il momento che s'è accentrato nella Quarta vuole ancora riesprimersi: 4° concerto per
pianoforte, concerto in re per violino, quartetti op. 59. Ma ecco, subitaneo, il nuovo assalto: con la
Quinta prorompe uno dei drammi più ardui che lo spirito di B. abbia vissuto: l'urto tra la volontà e
le occulte, nemiche forze che si assommano nell'ipotesi del Fato. Ma la lotta, ancorché vittoriosa, è
stata immane: l'ardore combattivo chiede, per ritemprarsi, una sosta di tranquillità e di freschezza.
Ed ecco, il poeta orienta il suo desiderio di libertà verso la serena contemplazione della natura,
Sesta sinfonia, e verso nuove interpretazioni meditative: i trii op. 70, la sonata per violoncello op.
69. La volontà eroica risorge con il 5° concerto per pianoforte, con l'Egmont, in larghe e luminose
chiarità, devia con la settima sinfonia in una libertà cercata piuttosto nell'ebbrezza orgiastica, in un
miraggio di luci irreali che trascorre dall'estasi all'impeto dionisiaco. Parentesi tra questi massimi
lavori, sguardi fissi ora nel mondo, ora entro il proprio fondo mistero: il trio in si bemolle op. 97, i
quartetti op. 74 e 95, le canzoni da Herder e da Goethe. Quivi giunġe la ottava sinfonia, come un
filtro magico d'oblio.
Ma il problema fondamentale che ha sospinto B. a passi di gigante sulla via dell'arte non ha esaurito
i suoi aspetti. Che è dei rapporti tra l'uomo e il Cielo? V'è una libertà dello spirito in Dio? V'è una
conquista suprema nell'ordine morale col sentirsi investiti dell'afflato divino? L'ascesa verso queste
vette progredisce per i gradi maestosi, largamente spaziati, delle mirabili ultime sonate per
pianoforte, di cui ognuna segna tanto un intenso raccoglimento dello spirito quanto un'espansione
audace, originale e possente, d'architettura sonora. Ed ecco la Messa solenne in re: non l'atto
liturgico, non l'adorazione rituale, ma lo sforzo di adeguarsi spiritualmente alla vista del Creatore: il
simbolo del concetto che la creatura, misticamente incarnandolo, ospita il Dio. Un passo ancora,
l'ultimo passo "umano": il distacco dall'esperienza, dal già esperito, come attualità dileguata, la
visione riflessa del ciclo compiuto, la conoscenza alfine di quanto determina e afferma la vita -
lotta, impeto fantastico, contemplazione - sotto la luce di una passione morale. È un inno alla divina
gioia, alla solidarietà tra gli uomini. Una rievocazione, una fede, un auspicio: la Nona sinfonia.
Dopo, nel margine dei tre anni estremi, la sostanza fonica di B. sembra abbandonare il solido piano
terrestre per sospendersi in una sfera del tutto aerea - quella degli ultimi quartetti - ove il massimo
dell'unità timbrica e della duttilità lineare consentano lievità, calma e purezza ai colloquî dell'anima
con le memorie.
Composizioni principali in ordine cronologico
- 1782: variazione per pianoforte, fuga per organo, una lirica; 1783-84: tre sonate, un rondò, parte
di un concerto per pianoforte, una lirica; 1785-1787: tre quartetti, un preludio e un trio; 1789-1790:
due preludî, variazioni, un tempo di concerto per pianoforte, due cantate, due arie; 1791-1792: un
balletto, due serie di variazioni, due sonatine, un ottetto, due trii e altra musica da camera, liriche;
1795: tre sonate op. 2 e tre serie di variazioni per pianoforte, danze per orchestra, tre trii op.1, un
sestetto, un trio e altra musica da camera, liriche; 1796: due sonate, due sonatine, un rondò per
pianoforte, due sonate per violoncello, un quintetto d'archi e altra musica da camera, liriche, 1797-
98: sei sonate e variazioni per pianoforte, due concerti e un rondò per pianoforte e orchestra, la
prima sinfonia, quattro trii, tre sonate op. 12 per violino; 1799-1800: variazioni e sonata op. 22 per
pianoforte, tre concerti per pianoforte, sei quartetti op. 18, settimino, sonata per corno; 1800-1802:
sette sonate (fino all'op. 31), rondò, marce e variazioni per pianoforte, la seconda sinfonia, due
romanze per violino e orchestra, oratorio Cristo al Monte degli Ulivi, cinque sonate per violino e
altra musica da camera; 1803: danze per pianoforte, la terza sinfonia, sonata op. 47 per violino,
liriche; 1804-06: tre sonate per pianoforte (fino all'op. 57), concerto per pianoforte, violino,
violoncello e orch., 4° concerto per pianoforte e orchestra, concerto per violino e orchestra, Fidelio,
la quarta sinfonia, tre quartetti op. 59, liriche; 1807-1808: fantasia per pianoforte, coro e orchestra,
la quinta sinfonia, la sesta sinfonia, Messa in do, sonata op. 69 per violoncello, due trii, liriche;
1809-1810: tre sonate (fino all'op. 81), variazioni e fantasia per pianoforte, 5° concerto per
pianoforte e orchestra, Egmont, varî pezzi per banda, quartetti op. 74 e 95, liriche; 1811-1813: la
settima sinfonia, musiche per Le rovine di Atene e per il Re Stefano, La battaglia di Victoria, trio op.
97, sonata per violino, pezzi vocali; 1814-15: sonata op. 90 e polacca per pianoforte, ouvertures
Fidelio e Zur Namensfeier, due sonate op. 102 per violoncello, cantate, arie; 1816-22: cinque sonate
(op. 101-111) e Bagattelle per pianoforte, Marcia per la Guardia imperiale, danze per orch., fuga e
quintetto per archi, variazioni per flauto, pezzi vocali; 1822-23: Messa in re, ouverture e coro Zur
Weihe des Hauses, la nona sinfonia, variazioni per trio, liriche; 1824-26: cinque quartetti (op. 127-
135), canoni vocali, tre piccole danze, abbozzi per una decima sinfonia.

Potrebbero piacerti anche