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La Scuola Musicale

Napoletana

Il termine Scuola musicale napoletana o Opera napoletana identifica una specifica


scuola di musica sviluppatasi a Napoli a partire dal XVIII secolo, la cui tradizione
didattica perdurò ancora fino al primo Novecento.
La fama della scuola è legata allo sviluppo dell'opera a partire dagli anni venti del 
a XVIII secolo, quando lo stile dei suoi maggiori esponenti andò rapidamente
affermandosi sulle scene italiane ed europee. Tale affermazione fu resa possibile
anche grazie a un sistema di istituzioni, denominate conservatorî, originariamente
nati come istituti di ricovero di minori orfani, abbandonati o poveri, che garantivano ai
ragazzi una formazione musicale di livello professionale.
Storia
I Conservatori

I conservatorî
Inizialmente i conservatorî avevano lo scopo di accogliere i bambini orfani e/o poveri non solo della città di Napoli
ma di tutto il regno. Successivamente, al finire del secolo XVII, tra le materie insegnate fu introdotta anche la musica
e ci si accorse ben presto che grazie alla possibilità di avere qualificati insegnanti del calibro di Francesco Durante,
si riuscirono ad ottenere risultati di qualità, che permettevano ai giovani, una volta usciti, di intraprendere una
carriera, come cantanti, strumentisti e compositori, o almeno di trovare un lavoro come musicisti.
La storia della scuola napoletana ruota a quattro conservatorî fondati nella seconda metà del XVI secolo e che
assunsero poi dalla seconda metà del XVII secolo un ruolo fondamentale per la vita musicale della città. In ordine
cronologico di fondazione, i conservatorî sono:
•il conservatorio di Santa Maria di Loreto (1537);
•il conservatorio della Pietà dei Turchini (1573);
•il conservatorio dei Poveri di Gesù Cristo (1589);
•il conservatorio di Sant'Onofrio a Porta Capuana (1598).
Storia
I Conservatori

Gli insegnamenti impartiti erano canto (essenzialmente quello ecclesiastico) composizione, violino,
clavicembalo, arpa, corno ecc. I primi studenti erano gli orfani presi dalle strade napoletane.
Successivamente, raggiunta una certa fama e prestigio, divennero delle vere e proprie scuole di musica
con l'ammissione anche di studenti esterni provenienti dai ceti non poveri, dietro pagamento di una retta.
Tra gli insegnanti più noti dei conservatorî napoletani si ricorda, oltre al già citato Francesco Durante, 
Gaetano Greco, che ebbe tra i propri allievi Giuseppe Porsile, Nicola Porpora e Leonardo Vinci Alla
scuola di Durante si formarono invece alcuni tra i più importanti compositori del periodo successivo,
quali Niccolò Jommelli, Tommaso Traetta, Niccolò Piccinni, Giovanni Paisiello, 
Pietro Alessandro Guglielmi e Antonio Sacchini. Giovanni Battista Pergolesi fu sia allievo di Greco (e di
Leonardo Vinci), prima, sia poi di Durante.
L'opera a Napoli nel
Sei e Settecento
Le prime rappresentazioni d'opera a Napoli risalgono alla metà del Seicento: a parte il caso de La Galatea di Loreto Vittori, andata in scena al Palazzo Spinelli di Cariati di nel
1644, la regolare produzione di spettacoli operistici fu avviata dalle compagnie itineranti di musicisti, dette dei "Febi armonici", che avevano in repertorio le opere di maggior
successo date nei teatri di Venezia, come Didone (1650), Egisto (1651), Giasone (1651) di Francesco Cavalli, Il Nerone (1651), più nota col titolo originario 
L'incoronazione di Poppea di Claudio Monteverdi, e La finta pazza di Francesco Sacrati.
Dal 1654 queste compagnie, grazie a una sovvenzione quasi sempre offerta dal viceré in carica, poterono allestire delle opere al  San Bartolomeo, un teatro solitamente utilizzato
per le commedie recitate, che tra alterne fortune e un incendio nel 1681, rimase il principale spazio per le rappresentazioni d'opera della città di Napoli fino al 1737, quando fu
inuaugurato il teatro San Carlo. Il repertorio del teatro San Bartolomeo, fino agli anni Ottanta del Seicento, fu costituito prevalentemente da riprese di opere veneziane di
Francesco Cavalli o di altri compositori non napoletani. Solo nel 1655 fu messa in scena la prima opera di un compositore locale,  La fedeltà trionfante di Giuseppe Alfiero, e nel
1658 vi fu rappresentato Theseo di Francesco Provenzale, compositore napoletano, attivo come maestro di cappella in varie chiese e insegnante al 
conservatorio della Pietà dei Turchini.
Per elevare il livello delle rappresentazioni teatrali a Napoli, i viceré offrirono il posto di maestro di cappella della ceppella reale ad affermati compositori provenienti dai maggiori
centri di produzione operistica, quali il veneziano Pietro Andrea Ziani nel 1680, e Alessandro Scarlatti nel 1683. Benché nato a Palermo, quest'ultimo si era formato a Roma,
dove era arrivato ancora dodicenne; qui aveva poi avviato una rapida quanto brillante carriera a partire dal 1678. A Napoli Scarlatti, chiamato dal viceré marchese del Carpio, già
ambasciatore spagnolo a Roma, visse in due distinti periodi: dalla fine del 1683 al 1702, e dal 1709 al 1725, quando morì. Fu senza dubbio l'operista più affermato del suo
tempo: le numerosissime sue opere gli vennero commissionate per i teatri pubblici e privati delle principali città italiane: Roma, Firenze, Venezia, Napoli, ma circolarono anche
nelle stagioni teatrali di altri centri. La sua vastissima produzione teatrale (delle oltre cento opere che compose, se ne conoscono circa 70, composte tra il 1679 e il 1721),
abbraccia quasi tutti i generi praticati al tempo: dramma, commedia, pastorale, dramma sacro ecc. Scarlatti, anche se non può esserne definito l'inventore, fu tra i primi a
utilizzare particolari soluzioni drammaturgico-musicali che divennero abituali nel Settecento, come la  sinfonia d'apertura in forma tripartita, il recitativo accompagnato
 dall'orchestra, l'aria con da capo e il concertato a fine atto.
Scarlatti fu maestro della cappella reale di Napoli, ma non ebbe mai incarichi di insegnamento nei conservatorî napoletani, né sembra avere avuto veri e propri allievi, ad
eccezione del figlio Domenico, e di musicisti non napoletani, come Domenico Zipoli, e i tedeschi Johann Adolph Hasse e Johann Joachim Quantz, i cui fugaci contatti col
maestro sono riferiti soltanto da fonti indirette e posteriori di decenni ai fatti. Lo stile operistico di Scarlatti, da taluni giudicato, già ai primi del Settecento, "malinconico", "difficile",
"più da stanza [camera] che da teatro", [1] perché particolarmente complesso, fondato essenzialmente sul contrappunto e su uno stretto ed equilibrato rapporto tra musica e testo,
fu dunque avvicendato dal nuovo stile che comparve nell'opera italiana dagli anni Venti del Settecento; abbandonata la scrittura contrappuntistica paritaria tra voce e basso
continuo, con o senza strumenti concertanti, tipica dell'opera secentesca, il nuovo stile privilegiò una distinzione di compiti tra la parte vocale e l'accompagnamento orchestrale,
preferendo una scrittura armonica di ampio respiro e semplificata nelle modulazioni, per dare maggiore risalto ai virtuosismi dei cantanti. [2] Tale stile caratterizza l'opera cosiddetta
napoletana, ma non solo essa, del XVIII secolo, che fece di Napoli uno dei principali centri operistici europei, grazie anche alla costruzione nel 1737 del teatro di San Carlo, sulle
cui scene vennero rappresentate le opere dei più grandi compositori del XVIII e XIX secolo.
Innovazioni della scuola napoletana nel
Settecento: l'opera buffa
Tra le più importanti sperimentazioni avviate a Napoli la "commedeja pe' museca", opera comica o sentimentale, in dialetto
napoletano, di regola in tre atti. Precursore del genere è La Cilla dell'avvocato e musicista dilettante Michelangelo Faggioli,
rappresentata nel palazzo dei principi di Chiusano nel 1706. Ad essa seguirono, in modo più strutturato, numerose altre date con
regolarità al Teatro dei Fiorentini, a partire da Patrò Calienno della Costa (1709) di Antonio Orefice, passando per Li zite 'ngalera (
1722) di Leonardo Vinci e Lo frate 'nnamorato (1732) e Il Flaminio (1735) di Giovanni Battista Pergolesi.[4] Fanno eccezione tre opere
della stagione 1718-1719, tra cui la commedia Il trionfo dell'onore (1718) di Alessandro Scarlatti, in cui si sperimentò l'utilizzo del
toscano in luogo del napoletano.[5] Altrove le due lingue si alternano, la prima riservata ai personaggi di alto lignaggio o forestieri, la
seconda al popolo napoletano. La commedia per musica, basata su trame amorose e divertenti, dal lieto fine, con personaggi
borghesi e popolari, conobbe dal Settecento un'evoluzione separata e diversificata per luoghi teatrali e cast vocali dal 
dramma per musica, poi definito opera seria in contrapposizione con l'opera comica, poi opera buffa. Dalla metà del XVIII secolo, la
commedia per musica, trasformata dal grande commediografo Carlo Goldoni in dramma giocoso, caratterizzato da vicende
sentimentali, punteggiate da momenti comici, conquistò un successo su scala europea, grazie anche al contributo di compositori
napoletani; basterà ricordare capolavori come Il filosofo di campagna (1754) di Galuppi, La Cecchina (1760) di Piccinni, Nina (1789)
di Paisiello, Il matrimonio segreto (1792) di Cimarosa, e la trilogia di Mozart/Da Ponte e, nella prima metà del XIX secolo, le grandi
opere buffe di Rossini (Il barbiere di Siviglia, 1816 e La Cenerentola, 1817) e Donizetti (L'elisir d'amore, 1832 e Don Pasquale, 1843).
Con questi grandi compositori il genere dell'opera buffa raggiungerà l'apice per poi declinare dopo la metà del XIX secolo, nonostante
il Falstaff di Giuseppe Verdi sia andato in scena nel 1893.
Nel filone del teatro comico rientrano anche generi minori come l'intermezzo (La serva padrona, 1733, di Pergolesi), e la farsa.
Esponenti

Tra i napoletani e i campani che più di tutti hanno contribuito al prestigio della scuola si annoverano Domenico Cimarosa, 
Domenico Scarlatti, Nicola Porpora, Niccolò Jommelli, Francesco Durante, Francesco Mancini, Francesco Feo, 
Gennaro Manna, Gian Francesco de Majo, Francesco Araja (che ebbe il merito di portare l'opera italiana in Russia), 
Davide Perez, Nicola Antonio Zingarelli, Gaetano Andreozzi ed altri meno noti. Altri grandi compositori non nativi di Napoli e
dintorni, ma formatisi nella città sono il marchigiano Giovanni Battista Pergolesi, il ligure Pasquale Anfossi, il maltese 
Girolamo Abos, i toscani Pietro Alessandro Guglielmi e Antonio Sacchini, l'abruzzese Fedele Fenaroli, i siciliani 
Alessandro Scarlatti e Andrea Perrucci, il calabrese Leonardo Vinci e i pugliesi Giovanni Paisiello, Niccolò Piccinni, 
Leonardo Leo, Tommaso Traetta, Domenico Sarro, Nicola Fago, Pasquale Cafaro, Gaetano Latilla e Giacomo Tritto.
Il sistema dell'opera napoletana produsse anche una lunga serie di celebri di castrati, formatisi nei conservatorî o presso i
maestri della città, che furono tra i più grandi virtuosi nei teatri italiani ed europei. Si ricordano tra i tanti Matteo Sassano, detto
Matteuccio, Carlo Broschi, detto Farinelli, che studiò canto con Porpora; Domenico Gizzi; il suo allievo Giacchino Conti detto 
Gizziello ; Nicolò Grimaldi detto Nicolino, e Gaetano Majorano detto Caffarelli.
Tra i librettisti che operarono nei teatri napoletani invece spicca Metastasio, che a Napoli ebbe l'occasione di scrivere i suoi
primi libretti negli anni Venti del XVIII secolo, che in seguito segnarono la storia dell'opera settecentesca. Nel XIX secolo si
ricordano Andrea Leone Tottola, che collaborò con Rossini, Donizetti e Saverio Mercadante, Salvadore Cammarano, uno dei
maggiori del periodo romantico che collaborò con Donizetti e Giuseppe Verdi, e Vincenzo Torelli. Di formazione napoletana è
anche il musicista forlivese Piero Maroncelli, noto soprattutto come patriota.

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