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Tesina di approfondimento

Alunno Fortunato Pasquale

Opera italiana nel 700

OPERA - ORIGINE DELLA PAROLA

“Opera” è il termine italiano di utilizzo internazionale di un genere teatrale e


musicale in cui l’azione scenica è abbinata alla musica e al canto.
Se pure altre nazioni posseggono tradizioni operistiche di innegabile importanza
e valore, il melodramma è nato e si è sviluppato in Italia, Paese che per questo
possiede il maggior numero di teatri d’opera al mondo, perciò considerata la
patria dell’opera.

CARATTERISTICHE

Nell’opera viene rappresentata un’azione drammatica, per mezzo di scenografie,


costumi e attraverso la recitazione.
Il testo letterario appositamente composto, che contiene le battute pronunciate
dai personaggi e le didascalie, è denominato “libretto”.
I cantanti sono accompagnati da un complesso strumentale di dimensioni
variabili, anche di una grande orchestra sinfonica (fin dal suo primo apparire,
l’opera accese appassionate dispute tra gli intellettuali, tese a stabilire se
l’elemento più importante fosse la musica o il testo poetico).
I soggetti rappresentati sono vari e possono corrispondere a taluni sottogeneri:
serio, buffo, giocoso, semiserio, farsesco.
L’opera si articola convenzionalmente in vari momenti musicali che possono
essere d’assieme (duetti, terzetti, concentrati, cori) oppure assoli (arie, ariosi,
romanze, cavatine).
Il successo di un’opera deriva, secondo un criterio comunemente accettato, da
un insieme di fattori alla cui base, oltre alla qualità della musica vi è l’efficacia
drammaturgica del libretto e di tutti gli elementi di cui si compone lo spettacolo
teatrale.
Un’importanza fondamentale rivestono dunque anche: la messinscena
(scenografia, regia, costumi ed eventuali coreografie), la recitazione e la qualità
vocale.

I ruoli che intrepretano i cantanti, sono distinti in rapporto al registro vocale.


La prima distinzione è tra voci maschili e femminili.

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Le voci maschili sono denominate, dalla più grave alla più acuta in: basso,
baritono e tenore. A queste si aggiungono le voci di controtenore e sopranista
che utilizzano un’impostazione di falsetto a imitazione della voce femminile
(esse eseguono ruoli un tempo affidati ai castrati).
Le voci femminili sono classificate, dalla più grave alla più acuta, come: contralto,
mezzosoprano e soprano.

BREVI CENNI STORICI

La storia dell’opera abbraccia un arco cronologico-temporale di oltre quattro


secoli, dalla fine del XVI al presente.
Le sue origini risalgono al passaggio tra il XVI e il XVII secolo, quando un gruppo
di intellettuali fiorentini, noto come Camerata de’ Bardi, dal nome del mecenate
che li ospitava, decide di formalizzare il nuovo genere.
Le sue radici storiche risalgono per altro al teatro medievale, mentre le radici
ideali affondano nel teatro antico e in particolare nella tragedia classica. Già
nella commedia dell’arte cinquecentesca prevedeva al suo interno l’uso delle
canzoni, cosi come il “ballet de court “ francese ed il “masque” inglese
mescolavano voci, strumenti, scene, e i “drammi pastorali comprendevano ampi
spazi musicali.
L’opera ha poi enorme diffusione in età barocca, affermandosi soprattutto a
Roma e Venezia.
Lo spettacolo inizialmente era riservato alle corti, e quindi destinato agli
intellettuali e aristocratici. Acquista carattere di intrattenimento a partire
dall’apertura dei primi teatri pubblici, nel 1637 con il teatro San Cassiano a
Venezia e nel 1639 con il teatro Santi Giovanni e Paolo sempre a Venezia.

Tra i primi soggetti rappresentati troviamo i poemi omerici e virgiliani ma anche


le vicende cavalleresche in particolare quelle narrate da Ludovico Ariosto e
Torquato Tasso con aggiunta di spunti comici, erotici e fantasiosi.

La musica è caratterizzata dall’onnipresente “basso continuo” arricchito dalla


presenza di strumenti a fiato e ad arco.

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L’OPERA ITALIANA NEL 700

Fino a tutto il 700 l’Opera era considerata: un prodotto privilegiato del regno
della fantasia, per cui non si cercava assolutamente di mettere in scena
situazioni realistiche.
Tutto sommato l’opera era apprezzata non tanto come la realizzazione musicale
di una vicenda, bensì come una sequenza di momenti musicali “attraenti” e non
necessariamente collegati logicamente. Il fulcro di interesse non era tanto
l’intreccio bensì l’interpretazione e l’arte compositiva con cui la storia era
realizzata in musica.
Naturalmente questa sorta di fuga nel regno del fantastico si rifletteva anche nel
libretto che per tutto il settecento si mantenne rigorosamente in versi (quindi
distante dal linguaggio parlato) e quasi sempre dotato di lieto fine (sebbene la
vicenda originaria avesse un finale drammatico). Nei casi in cui non se ne poteva
fare a meno, la catastrofe non avveniva mai davanti agli occhi degli spettatori.
La mancanza di verosomiglianza si rifletteva anche nei timbri vocali che sono in
gran parte innaturali: la voce del protagonista maschile doveva svettare su tutte
(non era secondo a nessuno in quanto eroe della vicenda) pur cui aveva la
meglio l’uomo con la voce sopranile.
Il fatto che i vari momenti musicali non dovessero necessariamente essere
collegati logicamente diede il via libera ai capricci dei cantanti che iniziarono a
pretendere arie composte “ad hoc” per loro o, addirittura, inserirono nell’opera i
propri cavalli di battaglia estrapolati da altre opere “estranee”.
Ecco, quindi, i primi fenomeni di divismo e vera e propria idolatria nei confronti
dei cantanti alcuni dei quali venivano pagati più dei compositori. Pensiamo
almeno ad un nome entrato nella storia dell’opera: il castrato Carlo Broschi
meglio noto come Farinelli.

STRUTTURA GENERALE DEI LIBRETTI

Anch’essa non realistica essendo basata sull’alternanza di “tempo reale” (in


genere nel recitativo) e rallentamento e sospensione del tempo (in tutti i numeri
melodici).
La sospensione del tempo drammaturgico si realizza con (ad esempio, si pensino
alle arie):
 ripetizioni di parole e frasi;
 lunghi vocalizzi;
 ripetizione della sezione iniziale nell’aria con da capo (ossia con struttura
A-B-A)
Questo assetto dell’opera (troppo poco verosimile e troppo legato allo
strapotere ed ai capricci dei cantanti) non piaceva, però , agli intellettuali
settecenteschi e per questo motivo, si avvicendarono alcuni tentativi di
“riformare” l’Opera (soprattutto quella seria).

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DALL’ARCADIA ALLA RIFORMA DI ZENO-METASTASIO

Per i letterati ed intellettuali, il melodramma doveva essere modificato ed


allineato alla nobiltà della coeva tragedia.
A questo proposito già dal 1690 era nata a Roma l’Accademia d’Arcadia.
Le riflessioni sul teatro degli Arcadi si diffusero grazie anche ad una capillare
organizzazione anche fuori da Roma (avevano molte sedi dette Colonie) e
suggerirono una diversificazione.
Le loro istanze erano ispirate dal desiderio di razionalità a sua volta suscitato
dalla nascente filosofia cartesiana.
Inoltre, ebbe molta influenza il confronto con la coeva Tragedia per musica
francese, sicuramente non inquinata da esigenze estranee alle ragioni
drammaturgiche (ovvero, in Francia l’opera era considerato un genere teatrale
nobile e di alto valore musicale, letterario e drammaturgico; non si sarebbero
mai sognati, quindi, di infarcire l’opera con numeri musicali estranei alla
vicenda).
Per gli arcadi in Italia, invece, il posto della grande tragedia, fu usurpato dal
dramma per musica; alcuni addirittura suggerirono di sopprimere il teatro
musicale, pur di trovare rimedio.

Fortunatamente non tutti erano cosi radicali ed accordarono al dramma in


musica diritto di cittadinanza purché fosse riformato ed epurato di tutte le
irregolarità .
Molti Arcadi produssero, quindi, scritti coi quali tentarono di dare delle regole.
Quelle che maggiormente influenzarono i compositori furono:
 struttura dell’opera in tre atti;
 nel primo atto si prepara l’intreccio presentando i personaggi;
 nel secondo ha luogo la vicenda vera e propria;
 nel terzo atto si hanno “colpi di scena” e si ha lo scioglimento definitivo
oppure la catastrofe;
 il recitativo deve consistere in settenari ed endecasillabi tra loro mescolati.

La riflessione degli intellettuali d’inizio settecento influenzò essenzialmente la


struttura drammaturgica complessiva.
Fino alla fine del Seicento, l’opera aveva un carattere composito e all’interno del
singolo evento coesistevano elemento drammatico e buffo.
Ora, invece, si iniziò a chiedere:
 unica vicenda senza vicende accessorie;
 eliminazione dei personaggi comici;
 niente “deus ex machina” ridimensionato della presenza di argomenti
mitologici e soprannaturali.

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Fra gli scritti più rilevanti la palma dell’ironia va a Benedetto Marcello il quale
con il suo libretto “Il teatro alla moda” (1720) sbeffeggiò gli autori (librettisti e
compositori) descrivendone i difetti più microscopici.
La satira di Marcello illustra per bene lo stato dell’opera italiana ed è per questo
motivo che da tempo gli Arcadi lavoravano per una seria riforma. Riforma che
ebbe luogo con due poeti Arcadi: Apostolo Zeno e Pietro Metastasio.

APOSTOLO ZENO (1668-1750)

Fondatore nel 1698 della colonia veneziana dell’Arcadia, fu poeta cesareo (ossia
di corte) alla corte di Vienna dal 1718 al 1729.
Nel suo caso, in realtà , non si può parlare di una vera e propria cosciente
riforma. Più che altro egli si fece portavoce delle istanze sopra illustrate e
formalizzò 3 precetti:
 eliminazione dei personaggi comici;
 preferenza di soggetti storici al posto dei mitologici;
 riduzione drastica del numero di arie.
Per Zeno, però si trattò di un palliativo; per lui, infatti il modello tragico
(letterario) era sempre compromesso dal canto.
Di Zeno ci sono giunti 36 libretti tutti di argomento storico.

PIETRO METASTASIO (1698-1782)

Anche lui, come Zeno, divenne poeta cesareo a Vienna nel 1730 e mantenne
questa carica fino al 1782, anno della sua morte.
Egli è il librettista più importante della storia della musica. Rispetto a Zeno,
Metastasio era più elastico, infatti per lui l’associazione tragedia/musica non era,
poi, cosi problematica. Egli scrisse 27 libretti che diedero vita a circa 800 opere.
I suoi libretti furono dotati di dignità letteraria “alta” ma nello stesso tempo
furono pensati per essere musicati: ne deriva una costruzione calibrata secondo
i principi letterari “arcadici” e nel contempo aperta alle esigenze del canto
virtuosistico.

Possiamo individuare alcune caratteristiche:


 celebrazione ed omaggio del potere assoluto (caratteristica importante, in
quanto poeta cesareo non si poteva sottrarre all’omaggio ai potenti);
 articolazione in tre atti;
 impianto ispirato ai precetti di Aristotele: convergenza dell’azione verso la
catastrofe che sfiora la tragedia e poi scioglimento (solo tre libretti di
Metastasio hanno finale tragico: Didone abbandonata, Catone in Utica e
Attilio Regolo);

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 cura del lessico che doveva contenere spunti descrittivi e sonori
generando un preciso bagaglio di figurazioni ritmiche, sonore e retorico-
musicali:
Tempesta = tremoli archi
Guerra = trombe timpani e ritmi puntati
Caccia = corni
Onde = flusso scorrevole e ininterrotto di valori brevi
Fulmini = rapidi scale ascendenti e discendenti sia vocali che
strumentali
Lacrime= arpeggi e staccati nei violini

Detto questo, va chiarito che il ruolo “moralizzatore” di Metastasio non deve


assolutamente essere enfatizzato. Anch’egli inserì nei propri libretti delle arie
“neutre”, ossia non strettamente legate alla vicenda cosi da poter essere
trasportate (secondo il capriccio dei cantanti) all’interno di altre opere. Si tratta
di un’usanza radicata (che anche Metastasio riuscì a scalfire) rappresentata dalle
cosiddette “arie da baule” ossia le arie che i cantanti estraevano dal baule del
proprio repertorio ed inserivano a piacere (ed arbitrariamente) in tutte le opere
che si trovavano a seguire.

Va, poi, chiarito anche che, relativamente all’opera di questo periodo (anche
quella metastasiana) il concetto di originalità era del tutto assente (si spiega
quindi che alcune libretti furono musicati da diversi compositori ed alcuni
venivano musicati anche più di una volta dallo stesso compositore).
L’azione di Metastasio, quindi, non limitò più di tanto lo strapotere dei cantanti,
ma di sicuro eliminò quasi del tutto la presenza di personaggi comici dall’opera
seria.
I personaggi comici, quindi, traghettarono verso un nuovo genere operistico:
OPERA COMICA O BUFFA (o buffonesca o farsa in musica ecc.).
Si deve smentire che il genere comico fosse riservato al popolo e quello serio alla
nobiltà . Anche l’opera comica era sponsorizzata dalle classi aristocratiche.
Si trattava di comicità scarsamente ancorata alla vita reale: a volte densa di tratti
paternalistici (tipici dell’aristocrazia) e a volte ricca di elementi marcatamente
buffoneschi e grotteschi desunti dall’ambiente popolare ma volti a far ridere la
nobiltà .

OPERA COMICA / BUFFA

Le opere comiche si possono ripartire in due grandi filoni:


 intermezzo;
 commedia musicale.

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INTERMEZZO

Si tratta di un’opera breve (pochi episodi) con due, massimo tre personaggi più
un mimo. Nacque come interludio da eseguire nei due intervalli di un’opera seria
(quindi in genere è organizzata in due atti detti propriamente “intermezzi” : la
celeberrima Serva padrona di Pergolesi, quindi, tecnicamente non è un
intermezzo bensì due intermezzi). Questo genere si sviluppò dagli elementi
farseschi dell’opera seria che lentamente si coagularono in una
rappresentazione autonoma.

Caratteristiche generali degli intermezzi:


 quotidianità (ma non realismo) della vicenda;
 ritmo teatrale rapido;
 nessun virtuosismo canoro, quindi interpreti meno capaci (mai i castrati)
e più convenienti per l’impresario;
 interpreti dotati di maggior senso comico-teatrale (senso mimico);
 minori spese;
 poche e semplici scenografie (es. la Serva padrona: sempre e solo la
camera).

Si trattava, quindi, di uno spettacolo conveniente sia per gli impresari che
avevano pochissime spese sia per il pubblico a fronte di un biglietto di ingresso
sicuramente meno caro di quello dell’opera seria. Ciò contribuì al successo degli
intermezzi (ma lo stesso vale anche per le commedie in musica) che lentamente
si staccarono dalla propria funzione di interludi all’opera seria e iniziarono ad
essere rappresentati autonomamente.

La sintesi perfetta di tutte le caratteristiche degli intermezzi è La serva padrona


di Pergolesi (1733). Essa è formata da: recitativi, due duetti (uno per
intermezzo) e cinque arie.
Originariamente inframezzava l’opera seria il prigionier superbo dello stesso
Pergolesi; poi se ne staccò e tuttora gode di vita autonoma.

COMMEDIA MUSICALE (o COMMEDIA PER MUSICA)

Si trattò di una forma di teatro musicale comico promossa dall’aristocrazia


napoletana originariamente dialettale.
Nell commedia per musica coesistono personaggi “seri” e “comici”: quelli seri
cantano in uno stile simile a quello dell’opera seria mentre quelli buffi si
producono in canzonette di facile vena melodica.

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L’atmosfera generale era abbastanza simile a quella degli intermezzi, ma con una
caratteristica peculiare: una tinta sentimentale e malinconica, ma nello stesso
tempo patetica.

Intorno agli anni quaranta del 700 l’opera si trasferì da Napoli a Venezia dando
vita alla vera e propria opera comica in italiano.
A Venezia entrò in scena Carlo Goldoni che, oltre ad essere celeberrimo
commediografo, fu anche librettista formalizzando la struttura formale
dell’opera comica (un po’ come fece Metastasio con l’opera seria).
Rispetto alle precedenti esperienze comiche, Goldoni attribuì all’opera una
struttura più complessa legata a vicende più caricaturali e a tratti paradossali,
dando maggior peso ai personaggi seri.
La presenza di questi personaggi seri modificò un po’ l’assetto drammaturgico
che, non è più improntato solo alla farsa ma anche ad elementi lacrimevoli e
sentimentali.
In pratica Goldoni importò in Italia un genere che in Francia ed in inghilterra
aveva un certo successo: la cosiddetta “comédie larmoyante” (commedia
lacrimevole); imperniata sul tema del conflitto sociale innestato all’interno di
una storia d’amore. Il più celebre esempio del genere è Cecchina, ossia la buona
figliola che Goldoni trasse da una propria commedia Pamela (a sua volta desunta
dal romanzo Pamela or virtue rewarded -1740- dello scrittore inglese
Richardson).
La “Cecchina” fu messa in musica prima da Egidio Duni (1756) e poi da Niccolò
Piccinni (1728-1800) che nel 1760 diede vita ad un vero capolavoro.
La formalizzazione di Goldoni sancisce l’atto di nascita di uno schema formale
che di lì a poco sarebbe entrato a far parte anche dell’opera seria: il concentrato
di fine atto ossia un finale in cui si ritrovano sul palcoscenico tutti i personaggi
principali.
Un particolare tipo di “concentrato” (assolutamente esilarante) è il cosiddetto
concentrato di stupore che consiste in una scena di insieme in genere così
organizzata:
 succede qualcosa che genera lo stupore dei personaggi; stupore che
determina una sorta di fermo immagine, di apnea emotiva in cui, quasi
senza respiro, i protagonisti esprimono il proprio stupore. In genere in
questi casi la musica pare quasi galleggiare nell’aria in totale assenza di
ritmo;
 entra in gioco la successiva reazione: nella mente di ciascuno si scatena un
vortice di pensieri dando vita ad un’espressione musicale ai limiti della
follia.

Nel Don Giovanni di Mozart (opera italiana, quindi ispirata ai modelli comici
italiani) abbiamo una sorta di concentrato di stupore embrionale nel II atto

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allorché viene scoperta la tresca tra Leporello e Don Giovanni (e gli altri
personaggi vogliono “far fuori” il povero maggiordomo).

Ma colui che veramente raggiunse il top nella realizzazione di spassosissimi,


geniali e folli concentrati fu Rossini; in particolare nell’ Italiana in Algeri (finale
dell’atto primo).
Nella stretta (ossia la sezione conclusiva del finale caratterizzata dal vortice di
pensieri) Rossini fu in grado di creare una straordinaria scena musicale
altamente paradossale.

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