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5 - CLAUDIO MONTEVERDI

occupa una posizione di grande rilievo nel panorama musicale di inizio ‘600, nella sua produzione troviamo sia
le esperienze stilistiche della fine del ‘500 che nuovi mezzi espressivi, stilistici e formali che fino ad allora
erano sconosciuti, nella sua figura troviamo un perfetto equilibrio tra tradizione e innovazione che si
esplicita nel corpo centrale della sua produzione gli 8 Libri di Madrigali stampati a Venezia tra il 1587 e il
1638.
Claudio Monteverdi studiò a Cremona, dove è nato nel 1567 , con Marc’Antonio INGEGNERI M° di
Cappella della cattedrale di Cremona, i primi incarichi come musicista e compositore li svolge alla corte di
Mantova a servizio dei Gonzaga doveopera come suonatore di Viola dal 1590 al 1592 e poi, nel 1601 a
Mantova ottiene il posto di M° di cappella, qui scrive i primi 5 libri di Madrigali inseriti nel filone di musiche
polifoniche di fine ‘500 basati su un legame molto stretto tra immagini poetiche e musicali destinate
all’intrattenimento di corte, dal 1613 fino alla sua morte nel 1643, Monteverdi fu M° di Cappella di S. Marco
a Venezia, posto più prestigioso d’Europa, 1632 divenne sacerdote.
I primi 5 libri di Madrigali presentano un linguaggio descrittivo che si basa su frasi molto incisive e su
modi molto espressivi dove troviamo a livello di scrittura, improvvisi slanci melodici, spunti
melodici risonanti ed in genere uno sfruttamento delle voci più acute ma non mancano alcuni
esempi di passi, come nel 4° libro del 1603, che si avvicinano allo stile recitativo monodico;
Nei Madrigali scritti durante il periodo veneziano, dal 6° libro del 1614 in poi, si dedica all’esplorazione delle
nuove risorse offerte dalle monodia da camera e dallo stile recitativo sfruttando le voci solistiche e la
compagine sonora strumentale e infatti agli strumenti saranno affidate parti autonome, grazie a questi
ultimi libri il linguaggio di questo genere di Madrigale giunge a una di ricchezza di mezzi espressivi e formali
mai raggiunta fino ad allora.
Si è mostrato molto sensibile e attento alla scelta dei testi poetici da musicare, ha prediletto la produzione di
Torquato TASSO, dove abbiamo una grande varietà di immagini e di contrasti drammatici, molti dei testi sono
tratti dalla “Gerusalemme liberata”, attinge molto da brani di Giovan Battista GUARINI ed in particolare
dal “ Pastor fido” ma anche ad alcune canzonette strofiche di Gabriello CHIABRERA, oltre alle liriche di
Giovan Battista MARINO.
Dal punto di vista musicale l’utilizzo di procedimenti dissonanti e cromatici nei Madrigali è piuttosto sobrio
rispetto all’iter di Carlo GESUALDO Principe di Venosa e Luca MARENZIO nei loro Madrigali, ne fa un
uso più equilibrato, a partire dal 3° Libro è difficile trovare Madrigali che non presentino parti dissonanti ma
che sono sempre finalizzate a rendere più intense e pungenti le immagini proposte dal testo;
Le pratiche musicali di Monteverdi causarono le critiche di un teorico bolognese Giovanni Maria ARTUSI,
che si scagliò contro la produzione di Monteverdi, nel testo del 1600:
“l’Artusi - ovvero delle imperfezioni della moderna musica”; questo teorico attacca duramente le abitudini
dei, cosi detti, moderni a utilizzare combinazioni intervallari contrarie alle buone regole del contrappunto, in cui
la dissonanza deve necessariamente provenire da una consonanza e
risolvere su un altra consonanza.
Nelle sue argomentazioni Artusi riporta alcuni passi tratti proprio dal 4° e 5° Libro di Madrigali di Monteverdi
che aveva avuto modo di vedere e di ascoltare prima che fossero dati alle stampe;
sentì il bisogno di rispondere a queste accuse e lo fece nel breve avvertimento contenuto nel libro 5° del 1605,
in cui afferma che queste innovazioni armoniche non le aveva certamente fatte casualmente ma che
andavano considerate nel contesto, di quella che Monteverdi chiama la “seconda pratica”; e quest’idea di
Monteverdi in merito ad una distinzione di prima pratica, che è quella insegnata da Gioseffo ZARLINO, il
teorico suo predecessore, e seconda pratica sono esposte in maniera più estesa e approfondita dal fratello di
Monteverdi, Giulio Cesare Monteverdi, nella dichiarazione allegata agli “scherzi musicali” di Monteverdi
del 1607.
Giulio Cesare, in questa pubblicazione dice che nelle prima pratica l’armonia della musica non è comandata ma
è commendabile ovvero si intende la vecchia arte del contrappunto dei franco-fiamminghi e anche insegnata da
Gioseffo Zarlino, mentre la seconda pratica è quella in cui per “signora dell’armonia” pone l’orazione,
ovvero quella in cui i valori espressivi del testo poetico prevalgono su quelli della musica.
Tuttavia l’idea di subordinare la musica alla parola non implica una resa incondizionata all’impiego dei
madrigalismi descrittivi e alla semplice resa musicale di immagini proposta dal testo, perché l’intenzione di
Monteverdi è quella di elaborare un discorso musicale in cui la parola, che dà sicuramente l’avvio alla
composizione, ma è l’organizzazione formale complessiva a giocare un ruolo di primaria importanza, il disegno
globale del brano è disposto in sezioni o frasi o periodi musicali che si collegano, si alternano, si ripetono
secondo una forte logica interna che esalta e potenzia sicuramente il contenuto del testo, quindi ad
un’organizzazione formale legata a le particolarità del testo, ed è nell’ambito di questo nuovo senso nell’ambito
musicale che si manifesta la potenza inventiva ed espressiva di Monteverdi.
L’interesse di Monteverdi per l’articolazione della forma in dimensioni vaste è riscontrabile a
partire dal libro 5° dove finalmente un ruolo fondamentale è svolto da l’impiego del basso continuo che è
articolato autonomamente negli ultimi sei Madrigali di questa raccolta del libro 5°; la base sonora del
basso continuo apre la possibilità di unificare una serie di sezioni diverse e di contrapporre episodi con più voci
ad episodi con voce solista, diciamo quindi che il basso
continuo funge da collante fra le differenti parti del Madrigale, i basso può infatti rimanere identico nelle
diverse sezioni mentre le linee vocali risultano diversificate.
E’ nei libri 7° del 1619 e 8° del 1638 che l’universo monteverdiano di suoni raggiunge una
pienezza di espressione mai raggiunta finora e in queste due raccolte la costruzione del Madrigale polifonico
convenzionale si è disgregata totalmente, non si tratta più quindi di libri di Madrigali nel senso corrente del
termine, basti pensare che il 7° libro è intitolato “Concerto” e questo per
sottolineare la pluralità di stili e di mezzi espressivi impiegati in questa raccolta in cui troviamo un gioco di
confronti e di contrasti tra canto e strumenti che svolge un ruolo fondamentale
nell’organizzazione formale del brano;
Il forte senso di equilibrio formale in “Tempro la Cetra” del 7° libro, si ripresenta anche in
numerosi Madrigali del’8° libro, celebre è “Il Lamento della Ninfa”, che è costruito da capo a
fondo su uno schema melodico armonico fisso, ovvero su un tetracordo discendente LA SOL FA MI ripetuto
uguale per ben 34 volte.
Si tratta di un procedimento molto importante perché tornerà spesso in futuro come componente
essenziale nella struttura di numerosi brani vocali e strumentali dal ‘600 in poi basati sulla linea del cosi detto
“Basso Ostinato”, testo di Ottavio Rinuccini.
Il brano si sviluppa in tre parti: la prima inizia con il testo “ non avea febo ancora ”, la seconda con“amor
dicea” e la terza con “si tra sdegnosi pianti”;
nella prima parte abbiamo la ninfa che all’alba lascia la sua dimora vagando fra i prati in preda ad una grande
inquietudine, inizia poi il lamento disperato della ninfa nella seconda parte, lamento disperato per il suo
perduto amore, qui c’è il basso ostinato sul tetracordo discendente LA SOL FA MI che si ripete
incessantemente e funge da base per il canto che invece si muove con una notevole varietà di accenti e di
patos, quindi abbiamo un contrasto tra due elementi quello statico del basso continuo e quello dinamico della
voce della ninfa a cui però si aggiungono gli interventi di tre voci maschili che compiangono la ninfa e
partecipano al suo dolore; alla fine, nella terza parte, le voci maschili concludono amaramente dicendo che
l’amore può essere al tempo stesso “fiamma e gelo”.
Vediamo che la scrittura di Monteverdi cerca di sottolineare le sfumature del testo poetico con numerosi
cromatismi e dissonanze anche non preparate.
NEL “Il lamento della linfa”, con attenzione al procedimento del basso continuo.
Quindi si rivela appieno con il libro 8° sottotitolato “Madrigali guerrieri e amorosi di genere
rappresentativo”; NEL “Il combattimento di Tancredi e Clorinda”, nella premessa alla stampa di questa
raccolta di Madrigali Monteverdi spiega che sono tre le principali contrastanti passioni dell’animo umano cioè
l’IRA, la TEMPERANZA e l’UMILTA che la musica deve essere in grado di suscitare negli ascoltatori, e
secondo lui fino ad allora in musica nessuno era stato in grado di esprimere il genere dell’IRA che lui traduce
con, chiamato da lui, in “lo stile concitato”, che intende introdurre nelle composizioni del libro 8° che sono
accompagnate dalla dicitura “In Genere Rappresentativo”, perché si voleva rappresentare, in maniera vivida,
gli affetti umani.
Per tradurre in musica con lo stile concitato degli affetti guerreschi e d’ira, Monteverdi utilizza una serie
di espedienti, in particolare quello che si nota di più è la ripercussione frenetica di note o di accordi
affidata ad un gruppo di strumenti, note ripetute sempre uguali incessantemente o con ritmi marziali di
fanfara e di tremolo con gli archi, scale molto rapide, ritmi ostinati e incalzanti.
Questa novità dello stile concitato viene impiegata per la prima volta in questo brano, che è basato sull’episodio
della “Gerusalemme liberata “ di T. Tasso in cui Tancredi durante un duello uccide, senza saperlo, la donna di
cui era innamorato, Clorinda.
Episodio molto tenebroso e complesso che culmina con la morte di Clorinda, la narrazione è in stile recitativo,
quindi aderente al testo, nella voce di Tenore con la partecipazione di 4 parti strumentali e di alcuni interventi
cantati di Tancredi=Tenore, e Clorinda=Soprano; in questa scena è riscontrabile un realismo molto vivido dove
si sente anche il tentativo di ricreare, per esempio, il trotto dei cavalli, il cozzare delle spade, tutte immagine
che Monteverdi cerca di rendere con figurazioni inedite e sonorità delle parti vocali e strumentali.

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